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PROF.

STEFANO NOBILE

11 aprile 2005

LA TEORIA CRITICA

E’ una delle teorie in ambito sociologico che ha rivestito una importanza maggiore di tutto il pensiero
sociologico, sia per l’ampiezza delle tematiche trattate e sia per il fatto che ha avuto un’incidenza
culturale in tanto in 2 continenti tanto negli Stati Uniti quanto in Europa. Questo perché andava a toccare
aspetti fondamentali dell’evoluzione sociale come i movimenti (uno degli slogan del ’68 sulle 3 emme
Mao-Marcuse-Marx aveva a che fare con i teorici della Scuola di Francoforte).
Tra questi tanti interessi toccati dai teorici della Scuola di Francoforte ci rientra la cultura di massa, la
società di massa e le comunicazioni di massa. Con l’approccio che è riconducibile a tematiche
abbastanza generali sulle quali mi soffermerò per vedere che rapporto speculare c’è tra queste ed i temi
strettamente collegati alle comunicazioni di massa, e del quale approccio tra l’altro i vari autori della
Scuola di Francoforte si sono occupati in maniera diversa. Chi per più tempo, chi per meno, chi con
inclinazioni strettamente sociologiche, chi con ragioni legate alla psicologia, ecc.

La TEORIA CRITICA coincide con la Scuola di Francoforte, un istituto che viene fondato nel 1923
sotto la direzione di CARL GRUNBERG a Francoforte. E’ un istituto che nasce con degli intenti
specifici cioè quello di aggiornare l’impostazione marxista ad alcune tematiche che all’epoca
sembravano esprimere alcune tra le preoccupazioni più importanti della società di quel momento,
naturalmente collegate anche alle loro origini geografiche.
Queste tematiche erano:
 l’espansione dell’economia capitalista con posizioni molto diverse dal marxismo. Saggio “Il secolo
breve” di Oxtome viene fatto presente che c’è un momento storico del 900 in cui quasi 1/3 del
pianeta è influenzato a livello di governi dall’impostazione marxista che è una cosa di una rilevanza
straordinaria.
un’altra tematica è l’origine dell’antisemitismo perché tutti questi studiosi sono accomunati dal fatto
di essere di origine ebrea motivo per cui sono costretti a migrare.
infine la storia dei movimenti operai.

Era una impostazione largamente debitrice nei confronti del marxismo che però guarda a problemi
abbastanza classici della società dell’epoca. Quando nel 1933 venne il nazismo gli studiosi di questa
scuola lasciano la Germania e vanno in posti diversi, chi in Svizzera, che in Francia e poi in un secondo
momento negli Stati Uniti dove succede una cosa abbastanza singolare cioè un’area dell’istituto della
Columbia University dove coloro che si occupavano di comunicazioni di massa erano MERTON e
LAZARSFELD il quale apre le porte a questi fuoriusciti dalla Germania che erano intenzionati a
perseguire il loro obiettivo di approfondimento di queste questioni. Tenete conto che c’era anche una
comunanza ideologica, infatti LAZARSFELD aveva una impostazione marxista e che in quegli anni
(negli anni ’30) si stava occupando delle stesse cose per quanto riguarda la comunicazione. Quindi
trapiantati negli Stati Uniti – in particolare a Toronto – cominciano a collaborare con LAZARSFELD
(anche se poi i loro rapporti dopo 3 anni diventeranno tesi a tal punto da arrivare al conflitto definitivo).
La direzione passa ad HORKEIMER che è uno degli esponenti di punta della scuola di Francoforte e da
questo momento in avanti gli interessi cominciano a concentrarsi su altre questioni. Intanto su una che
potremmo chiamare una teoria sociale che rasenta quasi una filosofia della società, cioè una
impostazione che era caratterizzata da una fortissima inclinazione di tipo teoretico-strutturativo pur non
dimenticando l’impostazione empirica.
ADORNO ed altri hanno scritto diversi volumi e lavorato sulle caratteristiche socio psicologiche legate
a quella che loro chiamano la personalità fascista.
Quindi a dispetto di questa impostazione teoretica-strutturativa c’era anche una caratterizzazione di tipo
empirico molto forte, seria, rigida, ben impostata che si articolerà però più tardi.
Da quando HORKEIMER prende la direzione del Centro presso la Columbia University gli studi
iniziano ad avere una caratteristica un po’ diversa da quella precedente. Intanto l’asse teorico di
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riferimento non è più poggiante solo su Marx ma su Marx e su Freud. Due nomi che hanno
caratterizzato più degli altri debiti culturali della Teoria Critica sono senz’altro Marx e Freud. Da una
parte il tentativo di recuperare una parte della teoria marxista con gli aspetti del lavoro di Freud legati
soprattutto alla psicologia delle folle. In particolare è FROMM che importa all’interno della Scuola di
Francoforte questo tipo di impostazione. Da questo punto in avanti le ricerche che inizialmente
producono degli studi serissimi, per esempio sull’autorità e la famiglia, gli studi sull’industria culturale,
gli studi su ragione e rivoluzione ecc., tendono poi a dimenticare sempre di più (a partire dagli anni ’60)
la dimensione empirica ed a convergere quasi esclusivamente su quella speculativa. Questo vale un po’
per tutti i teorici della Scuola di Francoforte. La cosa interessante è anche vedere l’arco temporale che
riveste la Scuola di Francoforte che è estesissimo. La loro presenta teorica forte si avverte dall’inizio
degli anni ’30 fino alla fine degli anni ’60, in cui l’impronta della Scuola di Francoforte è fortissima.
Va anche detto che il fatto che questi teorici avessero una formazione abbastanza diversa tra di loro. Ad
esempio ADORNO per tutti gli anni ’30 non ha fatto altro che occuparsi di sociologia della musica,
infatti la musica tornerà come life motiv di molte delle sue riflessioni sulla cultura di massa, anche
perché insieme ai suoi interessi in campo politico, filosofico, sociologico lui ne coltivava altri nei generi
musicali.
Se dovessimo sintetizzare i concetti che sono alla base della Scuola di Francoforte (per quello che ci
interesserà dire dopo) cioè gli aspetti che hanno una ricaduta più vistosa sugli studi delle comunicazioni
di massa si potrebbero scegliere 3 concetti base:
 il concetto di sistema;
 il concetto di alienazione;
 il concetto di ragione.

Nell’ambito della Scuola di Francoforte con differenze abbastanza lievi, diciamo con una continuità di
impostazione non solo teorica ma addirittura etica, questi autori ribadiscono alcune idee chiave che
ritornano sempre per tutto l’arco di questi 40 anni che sono questi 3 concetti.
L’idea di sistema, terminologia usata negli anni ’70 per indicare il potere costituito sia economico che
politico che culturale riferito ai mezzi di comunicazione, era visto come qualcosa che governa i propri
sudditi come burattini. Un gigante rispetto al quale soltanto lo strumento della ragione critica può e deve
ribellarsi. Il concetto di sistema indica quindi un tutt’unico (o ritroviamo anche in altre dimensioni come
nel ragionamento che Adorno fa insieme ad Horkeime sul sistema). Non c’è quindi un approccio di tipo
analitico quanto invece di tipo olistico ai problemi del sociale ed ai problemi della comunicazione. Tutto
viene osservato come fosse inscindibile nelle sue parti e che quindi va studiato nella sua complessità.
Un approccio di questo genere contraddice altre impostazione che abbiamo visto in lezioni precedenti.
Ad esempio quando abbiamo detto che alcuni autori hanno invece rivendicato la indispensabilità di
restituire a ciascun mezzo di comunicazione (e anche ad ogni momento dell’atto comunicativo) la
propria specificità. Qui invece si ritorna ad una impostazione di tipo olistico. Quasi un ritorno alla teoria
ipodermica (anche se non possiamo confondere le 2 cose) la cui idea chiave dei mezzi di comunicazione
di massa come strumenti forti di potere qui sicuramente ritorna.
Il concetto di sistema è legato a sua volta al concetto di alienazione. Il sistema produce nelle persone
un sorta di estraniazione da esse stesse e quindi di alienazione, cioè di impossibilità di governare una
forte individualità.
Il concetto di ragione è il concetto centrale (più importante degli altri 2) che costituisce la parte più
cospicua, lunghissima di tutta la Scuola di Francoforte. Questo concetto viene inteso in modo che per
certi versi è controintuitivo. Per esempio l’attacco frontale nei confronti della matematica come
disciplina che fanno Adorno e Horkeimer può sembrare controintuitiva rispetto della rivendicazione di
un’idea di ragione che è un’idea dialettica.
ADORNO e HORKEIMER scrivono: “la civiltà attuale conferisce a tutto un’aria di somiglianza. Film,
radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni settore è armonizzato in sé e tutti fra loro”.

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Risposta a domanda. La ragione è una ragione critica. Tra l’altro alcuni osservatori della scuola di
Francoforte hanno visto un’impronta più forte da parte di Hegel che non di Marx nei confronti della
scuola di Francoforte.

CONTRO LA CIVILTA’ OCCIDENTALE.


Un’opera che forse più di tante altre presenta in rassegna gli aspetti decisivi della Scuola di Francoforte
è “La dialettica dell’Illuminismo”. Titolo difficile da capire quanto lo stile. ADORNO aveva uno stile
acrobatico virtuosistico fino all’esasperazione; in ogni frase c’è il tentativo di superare l’intelligenza
intrinseca nella frase precedente. Scrive per aforismi. Questa opera è un attacco frontale all’Illuminismo.
La parola “contro” che trovate nei lucidi esprime la caratteristica principale di questa opera “contro
l’Illuminismo”. E’ un’opera del 1947 in cui l’Illuminismo viene a riflettere l‘idea di “ragione
strumentale”. Il discorso che fanno questi autori è che l’Illuminismo (corrente filosofica del 1700 madre
della Rivoluzione Francese e inoltre nasce poco prima della Rivoluzione Industriale) si propone come
una dottrina filosofica che mira a rivendicare attraverso il primato della ragione alcuni dei diritti
fondamentali dell’uomo. Il progetto dell’Illuminismo – dicono questi autori – è un progetto che conosce
radici molto più antiche e di cui l’Illuminismo stesso è sostanzialmente la punta più vistosa di una
trasformazione dell’uomo (rispetto alla cultura) che è una trasformazione millenaria. Mi spiego meglio.
“La dialettica dell’Illuminismo” in realtà non è un attacco tra scuole (per esempio il funzionalismo
contro la teoria conflittualista di impostazione marxista) cioè una disputa tra scuole filosofiche, non è un
lavoro di revisione. Il concetto di Illuminismo viene utilizzato come concetto capace di riassumere una
tendenza, un atteggiamento nei confronti dell’uomo che è un atteggiamento che affonda le sue radici
molto prima. Addirittura in un passo ADORNO dice la scoperta degli utensili dell’homo sapiens già
diventa una forma in nuce, embrionale, di illuminismo. Questo perché il peccato originale compiuto
dall’uomo rispetto al quale loro rivendicano l’altro primato della ragione è quello di aver voluto
asservire ai bisogni dell’uomo la natura. Il mito prometeo, l’uomo che vuole conoscere. Uno dei simboli
contro cui scagliano le loro critiche ADORNO e HORKEIMER è Ulisse, l’Odisseo, questo personaggio
che qualunque scoglio incontra riesce sempre attraverso la forza della ragione a piegare la natura alla
propria volontà e quindi a superare gli ostacoli più difficili. Tutto questo è l’espressione di
un’impostazione – che non è unica, è perenne nel senso che è durata per millenni – tale per cui l’uomo
vuole piegare la natura ai propri bisogni.
Questo è il nucleo centrale del loro attacco all’Illuminismo. L’Illuminismo in quanto “ragione
strumentale” diventa l’espressione massima di questo. C’è un Illuminismo prima e c’è un Illuminismo
dopo l’illuminismo che arriva fino ai giorni nostri o almeno fino a quando ADORNO e HORKEIMER
scrivono “La dialettica dell’Illuminismo” che possiamo considerare attuale. E sta in questo cioè
nell’espressione di una ragione strumentale, che significa usare i mezzi dell’intelletto in modo
strumentale cioè per ottenere qualcosa di concreto. Perché questo per i teorici della Scuola di
Francoforte è perverso e la sua espressione massima arriva con l’Illuminismo? Perché il fatto di
anteporre la ragione strumentale a quella che loro chiamano la ragione oggettiva fa si che si dia la stura
da una parte alla logica del profitto e dall’altra alla diffusione dell’individualismo. E’ un passaggio
acrobatico ma ci sono dei motivi se ADORNO E HORKEIMER dicono questo, cioè che la ragione
strumentale (espressione massima che culmina nell’Illuminismo) è l’anticamera per la logica del profitto
e per l’individualismo. La logica del profitto per il fatto che la ragione strumentale si pone come
apparato ideologico (recupero dei concetti marxisti) che mira a far passare per buona, giusta, fondata
l’idea che il bene comune sta nella produzione. Ecco perché c’è una sintonia tra nascita dell’Illuminismo
e inizio dell’industrializzazione in Inghilterra. La razionalità tecnica vede nell’industrializzazione la sua
massima espressione cioè il prodotto industriale (in serie, con clichet, ecc.) segue una logica di profitto
secondo cui il bene di tutti sta nel fatto che a costi più bassi e attraverso merci che possiamo avere tutti
la società diventa più equilibrata, più democratica, e quindi il bene di tutti sta nella ragione strumentale,
nella ragione tecnica, nella razionalità tecnica che è dietro la ragione strumentale. I teorici della Scuola
di Francoforte rivendicano l’infondatezza di questa idea per il fatto che in questo modo viene soffocata,
secondo loro, l’espressione realmente democratica delle attitudini individuali dei soggetti. Questo può
sembrare in contraddizione con la cosa detta prima cioè il fatto che la ragione strumentale vada a
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svantaggio dell’individualismo. Non è una contraddizione nel senso che se pensiamo ad un altro autore
(che vedremo dopo) della Scuola di Francoforte MARCUSE ed al suo saggio “L’uomo ad una
dimensione” abbiamo una risposta a questa questione. L’uomo ad una dimensione è l’espressione tipica
di una impostazione ideologica e culturale che dall’Illuminismo culmina, attraverso le espressioni volute
dalla cultura di massa, e che trova nelle persone uniformate, omologate, tutte asservite agli stessi
bisogni, agli stessi consumi culturali, alle stesse necessità, ecc. la sua espressione più chiara. In questo
senso “L’uomo ad una dimensione” in MARCUSE diventa l’espressione di un uomo quindi di una
soggettività che viene omologata dagli altri, quindi dall’esterno, da un sistema e quindi dai bisogni
indotti dal sistema.
Ricapitolando: la razionalità strumentale cioè la logica secondo cui per esempio nell’industrializzazione
viene prodotto il bene in serie sotto la giustificazione ideologica che “il bene in serie è democratico e fa
bene a tutti” è una logica che in realtà porta all’annichilimento dell’individualità in quanto le persone
tendono poi ad omologarsi, a diventare tutte uguali, a consumare tutti gli stessi beni, a vestirsi tutte alla
stessa maniera. In questo senso c’è l’annichilimento della individualità.
Capite bene che questo modo di intendere il concetto di Illuminismo fa fuoriuscire il concetto stesso dai
ranghi tipici della sua connotazione in termini strettamente filosofici e quindi storici. Cioè non parliamo
di Illuminismo in senso stretto ma di quella che per ADORNO e HORKEIMER era l’espressione
massima, suprema di questa razionalità strumentale. L’idea forte, intrinseca dell’Illuminismo è quella
che anche le idee si possono addomesticare ad una volontà di ragione che è una volontà determinata
dalla razionalità strumentale. La pretesa dell’Illuminismo di ergersi a dottrina che attraverso
l’espressione della ragione, più di ogni altra, in ambito filosofico può dare voce all’espressione delle
necessità primarie dell’uomo (libertà, fraternità, uguaglianza) erge l’Illuminismo stesso ad alfiere di una
concezione fortemente rigida, acritica della storicità che è intrinseca all’interno dei valori (quindi di
quello che è bene e quello che non lo è).
In questo senso il concetto di Illuminismo diventa un concetto contenitore che va molto oltre la sua
dimensione strettamente storico-filosofica, è la razionalità strumentale che va dall’homo sapiens con i
suoi utensili fino all’industrializzazione ed oltre.
Quindi la critica che gli esponenti della scuola di Francoforte rivolgono all’Illuminismo è una critica
rivolta alla società occidentale, quindi è una critica che parte dal mettere in discussione l’idea del
primato dell’occidente.

Pensate soltanto al lavoro compiuto da FROMM per avvicinare 2 tradizioni lontanissime tra loro
psicoanalisi e buddismo zen. Il tentativo di unire una forma di razionalismo occidentale con l’oriente,
con la tradizione secolare d’oriente. E’ un colpo all’idea del primato della cultura occidentale.

Uno dei bersagli di questa riflessione sull’Illuminismo compiuta da ADORNO e HORKEIMER è Ulisse,
ma non solo lui, c’è anche Bacone perché è considerato l’iniziatore del metodo sperimentale e quindi
l’iniziatore della scienza moderna (inizi 1500). Che cosa ha la scienza moderna che non piace alla scuola
di Francoforte? Questa impostazione molto rigida, schematica, razionale, questa certezza di potersi
approssimare alla verità. Questo è il motivo per cui un po’ tutti gli autori della scuola di Francoforte
ingaggiano delle lotte serratissime contro il Funzionalismo, oppure contro il Neopositivismo logico.
Questo perché specialmente verso il Neopositivismo logico che con il suo tentativo di ergere un sistema
di regole capace di governare tutte le scienze compie un tentativo di portare anche in un ambito
speculativo il dictat della razionalità strumentale. Il fatto cioè che noi possiamo piegare tutto alla volontà
di una ragione per un presunto benessere. Il Funzionalismo viene attaccato perché rappresenta l’idea
rigida di sistema con sistema e di conseguenza un sistema come sistema equilibrato come veicolo di
status quo.

CONTRO LA RAGIONE SOGGETTIVA.


L’ultimo bersaglio è Kant perché senza richiamare tutti i concetti, uno dei problemi di Kant è un
problema gnoseologico (come avviene il conoscere) che lui risolve in termini di fenomeno e noumeno.
Cioè lui dice che la realtà osservata non è una realtà osservabile oggettivamente ma è una realtà
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fenomenica, una rappresentazione della realtà, qualunque sia il campo disciplinare dell’osservazione. In
questo senso Kant per ADORNO e HORKEIMER diventerebbe (scegliendo ed indicando in campo
filosofico questa strada qua) colui che apre le porte ad una impostazione per cui è la razionalità
soggettiva ad rivendicare il proprio primato, cioè il fatto che siccome non è possibile osservare le cose
oggettivamente come era stato nella tradizione filosofico-scientifica per molti secoli, evidentemente ci si
deve rendere conto che c’è una parzialità nell’osservazione dei fatti scientifici, cioè c’è una parte giocata
da chi osserva (il culmine di questo arriverà col principio di determinazione di Haisemberg).
L’idea che la razionalità soggettiva e quindi la procedure innescata dallo scienziato possa essere la base
per un nuovo discorso scientifico è un’idea che viene contestata cioè è la conseguenza di questa idea che
viene contestata, e cioè il fatto che in questo modo – attraverso il suggello dato dalla razionalità
soggettiva – si possa arrivare a esasperare una dimensione individualistica che va ben oltre i confini
della scienza e che ha dei riferimenti nel sociale. Quello che dicono contro Kant è il fatto di aver
involontariamente dato vita all’espressione della razionalità soggettiva, quindi all’idea che (ancora una
volta) il bene comune non vada cercato in un’espressione globale ma nel bene dei singoli e per esempio
nel bene della soddisfazione dei loro bisogni ad esempio attraverso il consumo (materiale e/o
immateriale).
Lo stesso HORKEIMER in un’opera successiva “L’eclisse della ragione” ribadisce questi concetti e poi
attacca il pragmatismo. Sostanzialmente per gli stessi motivi cioè per questo indebolimento del pensiero
forte.

CONTRO LA SOCIETA’ TECNOLOGICA.


L’espressione teorica che meglio prosegue l’impostazione che abbiamo visto ne “La dialettica
dell’Illuminismo” ci viene forse da MARCUSE, cioè dall’attacco che questo porta ancora una volta nei
confronti della razionalità tecnological’idea marcusiana cioè secondo cui la razionalità tecnologica
che è propria degli effetti dell’industrializzazione finisce con l’essere un veicolo ideologico e quindi
finisce con l’essere l’espressione mascherata del totalitarismo.
Cambio cassetta.
… diventa veicolo ideologico perché uno degli effetti di questa razionalità tecnologica basata sulla
manipolazione, ecc. diventa quindi manipolazione delle persone, e quindi diventa espressione del
totalitarismo, quindi espressione di un potere ideologico forte su una massa razionalmente debole,
acritica. ADORNO e HORKEIMER esprimono lo stesso concetto cioè la mancanza di una risposta al
potere totalitario.

CONTRO LA RICERCA AMMINISTRATIVA.


Questo lo vediamo in una ricerca del 1937 quando ADORNO comincia a collaborare con
LAZARSFELD a questo progetto “Princeton Radio Project” (a cui aveva contribuito anche la
HERZOG). Qui succede che questi 2 studiosi entrano in rotta di collisione perché stavano lavorando in
un questionario e LAZARSFEL si ostina a mettere delle domande che non avevano nessuna rilevanza
scientifica con quel progetto ma che servivano soltanto al committente per identificare meglio i
potenziali fruitori del servizio. ADORNO si ribella a questo dicendo che stavano facendo un discorso
che facilitava lo strapotere dei mezzi di comunicazione in questo caso, e comunque degli apparati
dell’industria culturale. Questo fu il primo sintomo di una rottura progressiva di questi studiosi della
ricerca empirica. Per prima cosa dicono che nella ricerca empirica non ci deve essere nulla che in
qualche modo dia sostentamento ai poteri forti dell’industria culturale. Poi aggiungono che forse lo
stesso approccio tipico in particolare della ricerca qualitativa – cioè l’approccio esatto, la ricerca con
questionario ed altre forme meno rigide, più libere – sono l’espressione esatta nell’ambito della ricerca
di questo tipo di razionalità e non servono a nulla. Non servono a nulla perché se noi partiamo dall’idea
che gli individui comuni siano omologati dall’industria culturale a che serve fare loro le domande? Tanto
vale – dicono – fare una riflessione a livello sistemico. Lavoro che gli studiosi di Francoforte
compiranno dalla fine degli anni ’50 fino alla fine degli anni ’60 è tutto su questa impronta qua. I grandi
lavori (studi sulla autorità della famiglia; sulla personalità autoritaria; ecc.) le grandi ricerche empiriche
compiute nell’ambito della scuola di Francoforte diventano materiale d’archivio.
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CONTRO L’INDUSTRIA CULTURALE.


Non c’è solo questo in termini di approccio in termini di ricerca ma c’è anche la critica contro la
settorializzazione disciplinare (concetto sistemico) per cui il sistema dei media deve essere studiato
come tale per quello che dicevamo prima, ADORNO per esempio dice che radio, film, giornali ecc,
veicolano tutti la stessa espressione ideologica la quale ha la sua cifra più rappresentativa nel concetto di
industria culturale. Questo concetto soppianta quello che era stato in voga presso gli studiosi dei mezzi
di comunicazione di massa e cioè il concetto di cultura di massa e che rivendica invece il fatto che non si
possa parlare di cultura di massa per il semplice motivo che una cultura fatta dalle masse non esiste.
L’industria culturale impone alle masse una cultura di cui le masse fruiscono e quindi è inutile parlare di
questo. Da qui in avanti si inizia a parlare di industria culturale.
Vedrete che MORIN esponente della teoria culturologica in un altro conteso ma anch’egli influenzato da
Marx e dalle teorie della scuola di Francoforte, esce in Francia e poi in Italia (metà anni ’60) un libro dal
titolo “L’industria culturale”.

CONTRO I GENERI.
Questa volontà di omologazione tipica dell’industria culturale si annida nei generi. I teorici della scuola
di Francoforte sono contro i generi nel senso che il sistema dei generi garantisce un alto livello di
prevedibilità da parte delle persone che ne fruiscono, quindi in qualche modo riesce a sedare quel
bisogno che le persone hanno di trovare il già noto nel fittizziamente, fintamente ignoto. Per esempio
ADORNO dice che nel caso della musica popolare, se si è preparati ad un certo tipo di sequenza
melodica si sa già cosa aspettarsi quando la si sente. Se si guarda un film poliziesco (altro esempio) si sa
già che certi personaggi non moriranno mai e altri si. Questo è un discorso che su larga scala funziona e
forse tiene ancora oggi perché l’aspetto che a loro, in particolare ad ADORNO (che negli anni ’30 scrive
molte cose sulla sociologia della musica facendo degli attacchi tremendi contro la musica jazz, la musica
popolare) interessa dissacrare cioè dire che il prodotto culturale ha un altissima dose di prevedibilità e
quindi questo fa a pugni con un aspetto che invece il prodotto culturale dovrebbe avere cioè
l’innovazione del linguaggio. In questo senso possiamo dire che il discorso è ancora attuale, nel senso
che se pensiamo al cinema holliwodiano (che in termini di generi è forte ancora oggi) ritroviamo
applicate in grandissima parte le teorie sulla formazione di generi nel senso che questo tema della
prevedibilità è fortemente riscontrabile. Legge una frase di ADORNO sul lucido: “Quanto più si fa
complicata la vita moderna, tanto più le persone si sentono tentate ad attaccarsi a cliché che sembrano
portare un certo ordine in ciò che sarebbe altrimenti incomprensibile”.

CONTRO LA MASSIFICAZIONE DELL’ARTE


Altre voci nell’ambito della scuola di Francoforte tra cui quella di BENJAMIN di cui già abbiamo
parlato quando abbiamo trattato il problema della cultura di massa. Questo autore scrive un’opera
fondamentale “L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica” in cui dice che con la
riproduzione di immagini l’opera d’arte viene a perdere la sua sacralità. La massima espressione della
stereotipizzazione dell’arte arriverebbe per BENJAMIN con il cinema. Ad un certo punto dice che se noi
facciamo un confronto tra l’attore di cinema e l’attore di teatro abbiamo subito restituito il senso della
differenza che c’è tra 2 modi molto diversi di concepire quella che istintivamente ci sembrerebbe lo
stesso tipo di arte. BENJAMIN dice che il fruitore dell’opera teatrale fruisce di un tutt’uno, cioè di un
qualcosa di sistemico, quando invece il cinema diventa l’espressione massima della sedimentazione dei
ruoli. Però come ricorderete lo stesso BENJAMIN vede nel cinema la possibilità espressiva in termini
rivoluzionari. (leggete i lucidi).

CONTRO LA MANIPOLAZIONE DEI MEDIA


Un altro autore della scuola di Francoforte è HABERMAS di cui abbiamo già parlato. Questo autore ha
insistito su un aspetto specifico dell’influenza dei mezzi di comunicazione di massa che è quello
dell’eclisse dell’opinione pubblica. L’idea che propone HABERMAS secondo cui lo spazio che c’è tra
opinione pubblica e potere è uno spazio che progressivamente comincia ad essere occupata dai mezzi di
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comunicazione, in particolare dai giornali. L’idea di HABERMAS è che dopo un momento che ha inizio
nell’Inghilterra a partire dal 1600 (che poi si diffonde anche ai paesi europei) in cui, grazie alle grandi
esplorazioni e ai viaggi, si comincia a diffondere il sentire comune per cui le persone sono in contatto tra
di loro e cominciano a sentire la necessità di discutere di un bene pubblico, quindi a formare l’opinione
pubblica che attraverso le prime espressioni giornalistiche fa da contrappeso rispetto al lavoro realizzato
dal potere costituito. Poi col tempo finisce per perdersi nel senso che nel momento in cui in questo
spazio occupato – tra opinione pubblica e potere – dai mezzi di comunicazione e nei mezzi di
comunicazione entrano altri aspetti (per esempio il pettegolezzo, la cronaca mondana, la cronaca nera, lo
spettacolo), nel momento in cui tutte queste cose accadono l’attenzione delle persone si sposta sempre di
più da un contesto strettamente legato ad una dimensione di potere ad un altro contesto e quindi il
contrappeso costituito dall’opinione pubblica viene a perdersi.
Un’opera di HABERMAS è “Storia e critica dell’opinione pubblica”.

LA TEORIA CULTUROLOGICA
C’è un altro autore della scuola di Francoforte al quale potrei cominciare a raccordarvi con le poche cose
che vi dirò su EDGAR MORIN (morain) filosofo che si è occupato di molte cose tra cui l’industria
culturale, cultura di massa, ecc. con posizione largamente debitrice del pensiero marxista ed anche della
scuola di Francoforte.
Un altro debitore della scuola di Francoforte è LEO LOWENTHAL che alla fine degli anni ’40 scrive un
lavoro interessante, fa una analisi del contenuto sulle biografie dei personaggi famosi. Prende 2 periodi
da mettere a confronto e cioè l’inizio del 1900 e gli anni ’40. Prende una serie di volumi ed arriva a fare
la considerazione che nel corso di un quarantennio l’asse di attenzione da parte del pubblico, dei lettori,
nei confronti delle biografie dei grandi personaggi si è spostato sostanzialmente in quello che lui chiama
“gli eroi della produzione” a “gli eroi del consumo”. Nel senso che le biografie che lui scopre essere
consumate all’inizio del ‘900 erano biografie che riguardavano grandi personaggi della storia, oppure
grandi personaggi dell’economia e della finanza, oppure grandi condottieri e cose di questo genere.
Progressivamente l’interesse si sposta nei confronti degli eroi del consumo verso i divi del cinema, i divi
della musica, i divi del teatro cominciano a diventare i padroni indiscussi di questa scena. Si consumano
tantissime biografie su questi argomenti ed evidentemente hanno a che fare con un’altra estrazione
dell’industria culturale legata al momento del consumo laddove gli stessi attori, musicisti, cantanti ecc.
fanno riferimento al mondo del consumo culturale.
Già in questo è abbastanza sintomatica l’indagine di LOWENTHAL nel senso che ritroviamo ancora
una volta, attraverso tra l’altro gli strumenti dell’indagine empirica, analisi del contenuto, la prova del
fatto che l’industria culturale sposta anche l’asse dei numeri attraverso la commercializzazione, la
proposta dei prodotti. Questa riflessione sul divismo che è un punto di approdo di LOWENTHAL è uno
degli elementi cardine della riflessione di MORIN.
MORIN è un francese che scrive nel 1962-63 che si chiama “L’industria culturale” in cui riprende
alcuni dei concetti che interessano parte della sua opera che riguarda l’analisi delle comunicazioni di
massa e cioè il fenomeno del divismo. La teoria culturologica si chiama così anche perché questo autore
si rifà a dei clichet di impostazione antropologica. Cioè si rifà ad una impostazione secondo cui certi
fenomeni anche in campo strettamente sociologico possono essere indagati in una chiave antropologica.
Questo è quello che va a fare quando riflette sul divismo dicendo che questo può essere considerato
come una sorta di religione in cui gli dei, i simulacri, sono i divi stessi (attori, cantanti ecc.) e coloro che
ne ufficiano sono naturalmente il pubblico, quelli che lui chiama i fan. Per questo MORIN è portato ad
approfondire la liturgia del consumo (per esempio di musica, di cinema ecc,) in una chiave fortemente
caratterizzata in chiave fortemente antropologico come se appunto fosse una liturgia in cui i fan hanno
un ruolo centrale. MORIN dice che i divi non esisterebbero se non esistessero i fan. Questo è uno degli
aspetti importanti della riflessione che questo autore fa sulle comunicazioni di massa e ci interessa
particolarmente perché troviamo in MORIN una delle prime riflessioni compiute su un aspetto che oggi
è sotto gli occhi di tutti e che rispetto all’industria culturale è una delle dimensioni emergenti e sulla
quale c’è un dibattito, è l’aspetto appunto del divismo e oggi potremmo dire della caducità del divismo.

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Per esempio il programma del “Grande Fratello” ha successo perché ci si può riconoscere nei personaggi
il che porta all’idea che ognuno di noi potrebbe essere lì. Nel divismo vengono veicolati da una parte
aspetti che strutturano la società in termini di rapporti “di classe” (il divo del cinema con la villona a
Beverly Hills è un personaggio a cui noi aspireremmo) con personaggi irraggiungibili, invece in questo
tipo di divismo invece è più raggiungibile nel senso che è un divismo di persone qualsiasi come siamo
noi e quindi è un divismo alla nostra portata. E’ interessante se pensiamo che il divismo diventa veicolo
di sentimenti umani come l’invidia e l’ammirazione (anche contraddittori tra di loro).
MORIN quando riflette sul diverso status dei divi del cinema e della televisione dice che la differenza
forte tra questi sta nel fatto che il divo del cinema è da una parte un divo che centellina le sue
apparizioni e dall’altra per la dimensione propria del cinema questo contribuisce a fare del divo del
cinema un personaggio irraggiungibile.
Il divo della televisione è più alla nostra portata e a questo tendiamo ad assuefarci più facilmente.
Ci sono alcuni concetti centrali che troviamo nell’opera sull’industria culturale e sono:
 concetto di etica del loisir
 concetto di sincretismo
 concetto archetipi e stereotipi

L’idea di MORIN è che l’industria culturale tende ad occupare lo spazio liberato dall’industrializzazione
alla fatica umana (quindi le ore che teoricamente l’uomo dovrebbe avere liberato dal lavoro) e questo
spazio viene consegnato all’industria culturale. L’etica del loisir cioè l’etica dello svago, del
divertimento, del contrapporre alla fatica del lavoro qualche cosa che necessariamente deve essere di
distensione e che non può essere un impegno è uno degli aspetti sui quali MORIN insiste di più. Dice
che l’industria culturale nasce e viene proposta in contrapposizione all’impegno del lavoro e quindi
viene pensata non come un possibile spunto di riflessione, di contemplazione estetica nei confronti dei
prodotti culturali, ma viene concepita unicamente in termini di loisir, di svago, di divertimento, come
qualcosa che insomma ti deve far passare bene il tempo. Torniamo ad una concezione forte del ruolo
giocato dai mezzi di comunicazione di massa, in termini ancora una volta ideologici un po’ come era la
scuola di Francoforte. MORIN dice che dietro c’è una ideologia che poi contrappone all’impegno del
lavoro il disimpegno del non lavoro il quale deve essere finito in termini di svago, rilassatezza.

Un altro concetto chiave è il concetto di sincretismo. Sincretismo significa riunire tra di loro elementi
che hanno caratteristiche diverse. Un prodotto sincretico è un prodotto che potremmo dire in parole
poverissime “non è né carne né pesce”, è un prodotto che miscela elementi che hanno provenienze
diverse. MORIN usa questo concetto per fare un discorso sui generi dicendo che il prodotto culturale
emesso dall’industria culturale è un prodotto (oggi) altamente sincretico perché è un prodotto che cerca
di far contenti tutti, nel senso che convogliando al proprio interno elementi diversi che quindi possono
soddisfare i gusti più disparati, è per questo un prodotto omologante. Se fate una riflessione banalmente
sui quotidiani vedete che su questi si trova tutto dallo sport ai programmi televisivi, alla cronaca nera
ecc. Anche nel prodotto sincrono troviamo questo.
Vediamo che il discorso è un po’ diverso da quello dei teorici della scuola di Francoforte. Mentre
ADORNO diceva che in genere tendono a rendere prevedibile il prodotto culturale di massa, il prodotto
dell’industria culturale, MORIN invece dice che c’è un’ambizione abbastanza sottile da parte di chi crea
il prodotto dell’industria culturale che sta nel tentativo di immettere in questo prodotto degli elementi
che siano capaci di soddisfare un po’ tutti i palati. Questi sono discorsi che ancora oggi sono abbastanza
fondati.

L’ultimo concetto chiave per capire “l’a b c” di MOREN e quindi la TEORIA CULTUROLOGICA è
il concetto di stereotipo. MORIN dice (partendo da un discorso sui generi) che la grande tradizione
narrativa in campo letterario poggiava sostanzialmente su personaggi archetipici cioè su personaggi che
in qualche modo esemplificavano l’immaginario collettivo. Un esempio di personaggi archetipici sono i
personaggi omerici come Achille e Ulisse. Personaggi con caratteristiche anche molto pronunciate.
Questo anziché essere il punto di partenza era il punto di arrivo di un’espressione popolare. Cioè la
11 aprile 2005
8/9
PROF. STEFANO NOBILE

cristallizzazione nell’archetipo in un personaggio con caratteristiche molto forti, pronunciate e


riconoscibili (per esempio il coraggio di Achille o l’astuzia di Ulisse) che erano il punto di approdo e
non il punto di partenza dell’immaginazione popolare la quale riconosceva alcuni caratteri tipici è che lì
cristallizzava e formalizzava (attraverso anche l’opera letteraria) i personaggi di questo tipo. MORIN
dice che oggi succede il contrario e cioè che c’è un ribaltamento dell’archetipo in stereotipo, cioè il
personaggio con tutta la sua quota di prevedibilità (che c’era anche nell’archetipo ma che era il punto di
approdo) che qui diventa il punto di partenza. Lo stereotipo viene pre costituito in modo tale che le
persone possano già riconoscere determinate figure (ad esempio i personaggi in un film poliziesco sono
figure canoniche che si trovano sempre). Nel rovesciamento dell’archetipo nello stereotipo troviamo
ancora una volta l’espressione forte, violenta e dominatrice dell’industria culturale e quindi il tentativo
di asservire i fruitori dei mezzi di comunicazione a dictat culturali ben precisi.

Chiarimento:
L’archetipo è il prodotto dell’immaginario collettivo. Un esempio di archetipo o di figure
archetipiche quindi possono essere Davide e Golia che rappresentano elementi comuni a tutta la storia
dell’umanità vissuta nell’occidente che riconosce in Golia il cattivo, prepotente, grosso, forte ma un po’
stupido ed in Davide quello che rivendica i propri diritti, le proprie ragioni ed anche astuto. Nasce
dall’immaginario collettivo e viene riproposto dalla cultura.
Lo stereotipo o la figura stereotipata invece è una figura costruita a tavolino e che a suon di
ridondanza va sempre a finire nell’immaginario collettivo ma ci arriva per un percorso che è esattamente
l’inverso. Non parte dalle grandi narrazioni di una tradizione consolidata nel tempo (pensate anche alle
fiabe) ma segue un percorso contrario cioè viene pre confezionato, dato in pasto ai fruitori e a quel punto
viene recepito nell’immaginario collettivo e quindi diventa una figura istituzionalizzata
dell’immaginario collettivo. E’ posto dalla cultura all’immaginario collettivo.

In tutto questo c’è una logica di dominio cioè l’idea che l’industria culturale debba creare delle figure
riconoscibili attorno alle quali si sviluppa il discorso stesso (di senso) dell’industria culturale cioè il fatto
che ci siano degli elementi riconoscibili che la rendono accessibile.

Alla prossima lezione.

11 aprile 2005
9/9

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