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Università degli studi di Torino – anno accademico 2014/2015

Corso di laurea triennale in Storia


Corso di Filosofia della Storia (prof. Enrico Donaggio)

La Dialettica dell’illuminismo nel contesto del marxismo occidentale


di Mattia Steardo
Indice

Genesi del marxismo occidentale p. 3

L’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte p. 4

Il progetto della Dialettica dell’illuminismo p. 5

Struttura e temi della Dialettica dell’illuminismo p. 6

Rapporti con il pensiero di Marx p. 7

Rapporti con il marxismo occidentale p. 8

Bibliografia p.10

2
Genesi del marxismo occidentale

La storia del marxismo è una storia travagliata, segnata da continue divisioni al suo interno.
Malgrado la forte tensione all’internazionalismo di Marx ed Engels, questa caratteristica
non è sopravvissuta ai due autori e la solidarietà derivata dalla comune lotta per
l’emancipazione della classe operaia non fu un collante sufficientemente forte da tenere
unita la Seconda Internazionale, che capitolò con lo scoppiare della Prima Guerra Mondiale.
Dopo la fine del conflitto apparve nel panorama europeo l’URSS, la prima formazione
statale dichiaratamente ispirata agli insegnamenti degli autori del Manifesto del Partito
Comunista, che promosse la nascita della Terza Internazionale, portò avanti il lavoro di
pubblicazione e di sistematizzazione degli scritti di Marx ed Engels e si presentò come faro
per chiunque avesse in progetto una rivoluzione di stampo socialista. Ma nonostante queste
premesse, lo stato sovietico dovette fare i conti con il processo di stalinizzazione che inaridì
il dibattito marxista nel giro di pochissimi anni; grazie a una potente opera di censura e
repressione l’unico paese in cui fino ad allora aveva trionfato la Rivoluzione si trasformò in
una «palude illetterata»1, che cercò di espandere la sua sterilità intellettuale su tutta
l’Europa: coloro che non si conformavano all’ortodossia del partito guidato da Stalin erano
screditati e le loro opere incontravano grande difficoltà nella diffusione.
I due libri che diedero inizio al marxismo occidentale furono scritti proprio da due di questi
comunisti dissidenti: Storia e coscienza di classe di György Lukács e Marxismo e filosofia
di Karl Korsch, pubblicati nel 1923. Entrambi furono considerati revisionisti a causa della
prospettiva filosofica delle loro opere, in cui veniva anche criticata la definizione di
ortodossia data dal Partito comunista sovietico. Ma se per questi motivi furono rinnegati
dalla dottrina ufficiale, contemporaneamente mostrarono la strada per un ampliamento dello
spettro della riflessione marxista, dando vita a una nuova tradizione unitaria. Perry
Anderson ha identificato alcuni elementi che rendono il marxismo occidentale una corrente
teorica indipendente e innovativa rispetto al resto della tradizione marxista.
Innanzitutto la base di provenienza di questi intellettuali si sposta dall’area dell’Europa
orientale a quella dell’Europa occidentale: i principali teorici del marxismo ortodosso
provengono dalla Russia, mentre la nuova generazione di intellettuali si concentra in
particolare in tre stati (Francia, Germania e Italia), in cui era presente un forte movimento
comunista, osteggiato però dai partiti politici dominanti.
Oltre alla dislocazione geografica, il tratto più caratteristico di questi pensatori fu che, con il
passare degli anni, attuarono una netta separazione tra teoria rivoluzionaria e prassi politica.
Con l’eccezione dei due “fondatori” e di Gramsci2, nessuno ricoprirà importanti cariche
all’interno di un partito comunista, e molti non ne saranno neppure iscritti. L’abbandono
1
Anderson, Il dibattito nel marxismo occidentale, p.28
2
Antonio Gramsci fu tra i fondatori del Partito Comunista Italiano nel 1921. L’anno seguente si instaurò il primo
governo Mussolini, che aprì la strada alla dittatura fascista e alla messa al bando delle opposizioni. Lo stesso Gramsci
verrà imprigionato nel 1926. Il contesto storico non permise quindi all’intellettuale sardo di svolgere una libera attività
politica come guida del nuovo partito.
3
della prassi politica fu «il risultato di un’intera epoca storica»3: dopo la fallimentare ondata
rivoluzionaria seguita alla vittoria della Rivoluzione Russa e alla fine della Grande Guerra,
in occidente i partiti comunisti stavano perdendo terreno e con la loro stalinizzazione erano
quasi del tutto eliminati gli spazi di confronto teorico al loro interno. Il marxismo
occidentale si allontanò dalle masse: all’interno dei partiti si poteva continuare la lotta
rivoluzionaria, ma senza mettere in dubbio le strategie di questa lotta, che erano indicate da
Mosca senza possibilità di replica; in questa situazione, la strada per chi volesse continuare
la ricerca teorica fu quella dell’isolamento politico.
Una caratteristica del marxismo occidentale legata al suo allontanamento dalla politica, fu
l’attenzione di tutti gli autori per la filosofia, bandita fino ad allora dall’orizzonte del
marxismo ortodosso, strumento con cui poter dare una nuova fondazione alla teoria: per
Lukács infatti l’ortodossia risiedeva nel metodo dialettico, non in ogni singola affermazione
di Marx. Inoltre, nel 1932 vengono pubblicati per la prima volta a Mosca i Manoscritti
economico-filosofici del 1844, che avranno una forte influenza su tutti i marxisti occidentali,
così che da questo momento «l’intera opera di Marx fu trattata come un vasto repertorio da
cui l’analisi filosofica potesse estrarre i principi epistemologici per un uso sistematico del
marxismo come sistema di interpretazione (e di trasformazione) del mondo»4.

L’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte

L’Istituto per la ricerca sociale di Francoforte fu la più importante espressione di questa


nuova tendenza: un centro accademico di ricerca marxista all’interno di uno stato capitalista,
che, dopo l’insediamento di Horkheimer alla direzione nel 1931, spostò il suo campo di
ricerca principale dalla storia del socialismo e del movimento operaio, al tentativo di sanare
la crisi del marxismo dell’epoca grazie alla compenetrazione tra filosofia e scienze sociali,
al fine di «sviluppare una teoria della società dove la costruzione filosofica non sia più
dissociata dalla ricerca empirica»5. L’obiettivo era quindi l’elaborazione di un materialismo
storico multidisciplinare e per realizzarlo, Horkheimer formò una squadra di intellettuali,
ognuno con una particolare specializzazione: Theodor W. Adorno (teoria della musica),
Herbert Marcuse (filosofia), Erich Fromm (psicanalisi), Leo Löwenthal (letteratura) e
Friedrich Pollock (scienza politica).
Le ricerche dei francofortesi si dovettero scontrare con l’emergere di alcune anomalie
paradigmatiche della teoria marxista classica: la rivoluzione che tardava ad arrivare, un
proletariato più incline ad integrarsi piuttosto che a ribellarsi al sistema sociale e il
tradimento della causa rivoluzionaria da parte dei partiti politici (la socialdemocrazia che
prende la strada del riformismo e l’URSS di Stalin che nel 1939 si allea con la Germania
nazista col patto Molotov-Ribbentrop). Per risolvere questi problemi fu attuato un

3
Ivi, p.57
4
Ivi, p.69
5
Wiggershaus, La scuola di Francoforte, p.49
4
capovolgimento della loro funzione euristica e la dislocazione dei campi di ricerca dalla
struttura alle sovrastrutture: la teoria dell’avvento della rivoluzione fu usata per dimostrare
l’opposto e si cercò di elaborare una teoria marxista della soggettività, in quanto totalmente
assente negli scritti di Marx. In questo modo si delinearono i tre campi di indagine più
innovativi della Scuola di Francoforte: il rapporto tra marxismo e psicanalisi, l’analisi della
cultura di massa e dell’industria culturale e la ricerca di una spiegazione convincente sulla
natura del nazismo.

Il progetto della “Dialettica dell’illuminismo”

Questi tre temi di ricerca troveranno un tentativo di sintesi nella Dialettica dell’illuminismo,
edita nel 1944 ad opera di Adorno e Horkheimer. «Attualmente tutti i miei progetti sono
rivolti alla preparazione, nei prossimi anni, del libro di cui tutti i miei precedenti studi, editi
e inediti, non sono altro che lavori preliminari»6. Così scriveva il direttore dell’Istituto in
una lettera alla sua segretaria nel febbraio del 1939. Inizialmente il libro doveva essere un
lavoro di equipe, ma alla fine, di tutti i collaboratori, rimase solo Adorno, da sempre tra i
più fidati di Horkheimer. La forma in cui si presenta l’opera è frutto di diverse esigenze dei
due autori: l’esposizione del metodo dialettico come fondamento e strumento della teoria
critica, l’analisi della nascita e dello sviluppo della soggettività borghese e la spiegazione
del perché l’uomo sprofondasse sempre più nella barbarie attraverso uno studio accurato
dell’antisemitismo (in quanto «così come è vero che si può comprendere l’antisemitismo
solamente a partire dalla nostra società, altrettanto vero mi sembra che ormai si possa
comprendere la società stessa solo attraverso l’antisemitismo»7) .Un altro stimolo decisivo
per la composizione e i temi dell’opera fu Walter Benjamin: dopo il suicidio del filosofo
tedesco nel 1940, le sue Tesi sul concetto di storia furono affidate ai francofortesi che
rimasero colpiti dall’affinità di quest’opera con le loro riflessioni: «nessun altro lavoro di
Benjamin lo rivela così vicino alle nostre intenzioni soprattutto per quel che riguarda la
rappresentazione della storia come catastrofe permanente, la critica al progresso e al
dominio sulla natura, e la posizione rispetto alla cultura»8.
Il piano complessivo dell’opera doveva quindi essere una critica all’ideologia del tempo,
basata sull’identificazione tra pensiero razionale e pensiero logico. Il punto di partenza è
l’analisi della nascita e dello sviluppo del pensiero razionale, che, contenendo già al suo
interno delle contraddizioni legate al suo rapporto col pensiero mitico e al suo distacco dalla
natura, finiva inevitabile per esasperare queste contraddizioni con il procedere dello
sviluppo, il cui risultato ultimo e peggiore erano i campi di concentramento nazisti.

6
Ivi, p.187
7
Ivi, p.321, lettera di Horkheimer a Laski, marzo 1941
8
Ivi, p.322, lettera di Adorno ad Horkheimer, giugno 1941
5
Struttura e temi della “Dialettica dell’illuminismo”

Il sottotitolo dell’opera (Frammenti filosofici) fornisce un’indicazione sulla sua struttura


formale: un insieme di cinque saggi, legati ma anche indipendenti l’uno dall’altro, che
mostrano una tendenza comune alla frammentarietà della riflessione filosofica del
Novecento, in cui ormai è svanita la pretesa di uno “sguardo totale”, tipica dei pensatori
precedenti. La Dialettica si apre quindi col primo capitolo in cui si espone la tesi principale,
in seguito due excursus storico-intellettuali, due capitoli in cui si dimostra e esemplifica la
tesi e un’appendice di aforismi filosofici.
Il primo capitolo (Concetto di illuminismo) inizia col chiarire cosa intendano i due autori per
illuminismo: non bisogna intenderlo come una corrente di pensiero individuata storicamente
ma «nel senso più ampio di pensiero in continuo progresso»9. Il pensiero razionale «ha
perseguito da sempre l’obiettivo di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni. Ma la
terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura»10. Perché nonostante
questa promessa di emancipazione gli uomini, col progredire della storia, sono invece
sempre più assoggettati al dominio della natura? Gli autori individuano il motivo di questa
contraddizione nell’essenza stessa dell’illuminismo: con il pensiero l’uomo compie il primo
passo per distaccarsi dalla natura e assoggettarla al suo volere, ma così facendo inizia anche
il richiamo verso quel mondo primitivo appena abbandonato, in quanto più felice della
condizione raggiunta grazie all’azione del pensiero. Per svincolarsi totalmente dalla natura
l’uomo deve reprimere continuamente la sua natura interna e quella esterna, il pensiero
razionale mostra sempre più solo il suo lato negativo di logica formale (che rifiuta ogni
concezione teorica in quanto ideologica) e «il dominio coerente della natura si impone
sempre più decisamente e integra ogni interiorità»11. Dopo aver abbattuto il mito
(considerato un primo tentativo dell’uomo di dare una spiegazione razionale ai fenomeni),
l’illuminismo si rovescia a sua volta in mito, in quanto la sua pretesa di sistematizzazione,
di efficienza e di unificazione è essa stessa mito. Il risultato è una sovrastruttura che produce
la forma più sottile e opprimente di dominio e che si riproduce in ogni struttura nel corso
della storia.
I due excursus storico-intellettuali (Odisseo, o mito e illuminismo e Juliette, o illuminismo e
morale) mostrano due forme in cui avviene la repressione delle passioni naturali. Nel
secondo, alla critica all’idealismo kantiano, si accosta l’esaltazione di autori “neri”
dell’illuminismo (Nietzsche e Sade) perché ne hanno mostrato le contraddizioni, ridotte a
quotidianità nella società contemporanea. «Nel sadismo si esprimono apertamente le
pulsioni degenerate in perversioni perché represse dalla ragione strumentale, che
strumentalizza gli stessi soggetti che se ne fanno portatori»12. L’excursus su Odisseo è
invece uno dei passaggi più famosi dell’opera. Gli autori considerano l’incontro dell’eroe

9
M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, p.11
10
Ibidem
11
Ivi, p.240
12
Ivi, p.XIV dell’introduzione di C. Galli
6
greco con le Sirene esemplificativo della genesi della soggettività borghese: il canto dei
mostri marini rappresenta il richiamo della natura e perciò Odisseo non vuole lasciarsi
sfuggire il piacere dell’esperienza dell’ascolto, ma si fa legare così da non cadere vittima di
questo richiamo inarrestabile, reprimendo le sue pulsioni. Ai compagni invece, come ai
proletari, è negato anche il piacere dell’ascolto e il loro unico compito è remare
l’imbarcazione del capo, con le orecchie tappate con la cera.
I capitoli sull’industria culturale, prima opera in cui compare questa celebre definizione, e
sull’antisemitismo sono due esemplificazioni della regressione causata dall’illuminismo.
Nel primo si mostra come la promessa di emancipazione dell’arte si sia trasformata, nel
contesto delle democrazie occidentali, solo in un ulteriore meccanismo di dominio, in fun, in
bagno ritemprante per poi rimmergersi nel processo produttivo. Nel secondo gli autori
cercano di analizzare i meccanismi psichici alla base dei comportamenti antisemiti,
riconducendoli alla lotta contro la natura repressa: l’antisemita si accanisce contro l’ebreo in
quanto questo gli ricorda le sofferenze patite per ottenere egli stesso l’assoggettamento al
dominio razionale. Sia nei regimi totalitari che nelle democrazie, si svolge un continuo
processo di asservimento al mondo così com’è, che toglie agli uomini la propria capacità di
giudizio, permettendo una docile sottomissione al dominio della logica razionale.

Rapporti con il pensiero di Marx

«La fedeltà a Marx viene enunciata dalla teoria critica negli anni ’30 come criterio
orientativo irrinunciabile. La impressione tuttavia che tale fedeltà sia mantenuta ferma più
nel metodo che nel sistema è difficilmente eliminabile»13. I francofortesi infatti
riconoscevano la forza delle categorie marxiane di analisi della realtà sociale, ma era
necessario un aggiornamento e un ripensamento di queste categorie alla luce delle
trasformazioni del capitalismo, da liberistico a pianificato, e del conseguente fallimento di
alcune prospettive della teoria marxiana.
Il materialismo storico era ormai inservibile come strumento di analisi: in Europa non c’era
alcuna prospettiva concreta di rivoluzione, l’unica avvenuta non si era svolta secondo le
previsioni di Marx, si assisteva all’avanzare di regimi oppressivi. Ma allo stesso tempo una
nuova teoria critica non poteva non iniziare le sue analisi dai rapporti materiali tra gli
individui, così da smascherare ancora una volta le contraddizioni interne alla società. In
questa prospettiva, il tema centrale della Dialettica, la teoria del progresso come un
continuo cammino verso il sempre più stringente asservimento dell’uomo alla natura, si
configura come una lettura filosofica della storia di cui dovrebbero tenere conto tutte le
successive ricerche sulla realtà sociale. L’idea di una classe che domina sulle altre passa in
secondo piano, in quanto tutti gli uomini sono soggiogati allo stesso modo dal dominio del
pensiero illuministico. L’intuizione sulla duplice natura del capitalismo, che da una parte

13
F. Apergi, Marxismo e ricerca sociale nella Scuola di Francoforte, p.15
7
soddisfa sempre più i bisogni degli individui e dall’altra riduce al minimo gli spazi di
libertà, era comunque già presente in Marx14, ma i francofortesi estendono questa
caratteristica al pensiero razionale tutto, ideologia dominante della storia, individuando
dunque l’inizio dell’assoggettamento degli uomini molto prima della comparsa di una
qualunque classe dominante. Il processo di mistificazione della reale natura dei rapporti
sociali, operato secondo Marx dal capitalismo, nella Dialettica è frutto dell’uomo stesso e
del suo impulso primario, che è l’autoconservazione15.
Inoltre l’utilizzo delle terminologia classica marxiana è spesso sostituito da complicate
locuzioni, che dimostrano la cautela dei francofortesi, dato che si trovavano a lavorare nella
nazione in cui era presente la forma più avanzata di capitalismo e in cui i sostenitori delle
teorie di Marx erano assai pochi.

Rapporti con il marxismo occidentale

Una fonte primaria della concezione della ragione illuministica come pensiero tecnico-
calcolatore è la riflessione teorica di Lukács: in Storia e coscienza di classe il pensatore
ungherese, influenzato dal concetto di razionalizzazione e disincanto weberiano, aveva già
messo in luce questo aspetto del pensiero borghese16. Inoltre è evidente l’appropriazione
della prospettiva di Lukács secondo cui l’ortodossia della ricerca marxista risieda nel
metodo dialettico.
Altra caratteristica che inserisce appieno la Dialettica dell’illuminismo nella tradizione del
marxismo occidentale sono gli spunti tratti dalla riflessione filosofica estranea al pensiero di
Marx per cercare nuovi fondamenti o conferme delle teorie formulate: l’analisi delle
contraddizioni dell’illuminismo formulata da Nietzsche è portata come esempio di un autore
che ha compreso l’ambivalenza dell’illuminismo e cerca di smascherarla; la tradizione
hegeliana è costantemente tenuta in considerazione e arricchita; Kant è considerato immerso
nel pensiero illuministico, ma non mettendone in luce le contraddizioni, facilita il suo
avanzare incessante.
In quest’opera è evidente il pessimismo di fondo che secondo Anderson caratterizza tutti gli
intellettuali del marxismo occidentale: la storia dell’uomo è vista nella prospettiva di un
imbarbarimento costante, non sono presenti proposte pratiche che possano dar vita a una
nuova strategia rivoluzionaria, sono messe in luce le caratteristiche negative del pensiero
razionale, da sempre considerato come uno strumento di accrescimento per l’uomo. Ma un
messaggio di speranza è comunque presente: nell’aforisma Contraddizioni, nell’ultima
sezione del testo, è messo in scena un dialogo tra due giovani, uno rappresentante del
14
Dai Manoscritti storico-economici del 1844: «il raffinamento dei bisogni e dei loro mezzi produce, da un lato, un
imbarbarimento animalesco, e una completa, rozza, astratta semplificazione dei bisogni, dall’altro; o meglio, altro non
fa che riprodurre se stesso in senso inverso», in K. Marx, Antologia, p.82
15
«La proposizione spinoziana «Conatus sese conservandi primum et unicum virtutis est fundamentum» è la vera
massima di ogni civiltà occidentale», in M. Horkheimer, T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, pp.36-37
16
Da Storia e coscienza di classe: «l’identificazione ingenua e dogmatica […] della conoscenza razionale, matematico-
formale, con la conoscenza in generale», in S. Petrucciani, Ragione e dominio, p.70
8
pensiero logico-razionale, l’altro di quello critico. Questa scena mostra le contraddizioni
insite nell’argomentazione del primo giovane, che alla fine non riuscirà a ribattere al
secondo, portatore di una visione del mondo disillusa e ottimistica: «se tutti la pensassero
come me, non diminuirebbero, spero, solo i rimedi contro il male, ma anche il male stesso.
L’umanità ha ancora altre possibilità»17.
Il messaggio della Dialettica dell’illuminismo e della teoria critica tutta è spesso considerato
solo nel suo lato negativo e di critica, anche perché non ha conseguito nessun risultato nella
prassi. Ma questo perché «l’importanza storica della sua prestazione non è manifesta.
Dipende piuttosto dal fatto che gli uomini si pronuncino e agiscano per essa»18.

M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, p.257


17
18
M. Horkheimer, Teoria tradizionale e teoria critica, in E. Donaggio (a cura di), La Scuola di Francoforte, pp.40-41
9
Bibliografia

P. Anderson, Il dibattito nel marxismo occidentale, Laterza, Bari 1977

F. Apergi, Marxismo e ricerca sociale nella Scuola di Francoforte, La Nuova Italia


Editrice, Firenze 1977

E. Donaggio (a cura di), La Scuola di Francoforte. La storia e i testi, Einaudi, Torino 2005

M. Horkheimer, T. W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, Einaudi, Torino 2010 (prima


edizione italiana 1966)

K. Marx, a cura di E. Donaggio, P. Kammerer, Antologia. Capitalismo, istruzioni per l’uso,


Feltrinelli, Milano 2007

S. Petrucciani, Ragione e dominio. Autocritica della razionalità occidentale in Adorno e


Horkheimer, Salerno Editrice, Roma 1984

R. Wiggershaus, La scuola di Francoforte : storia, sviluppo teorico, significato politico,


Bollati Boringhieri, Torino 1992

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