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04/10/2021

L’emigrazione italiana all’estero tra XIX e XX secolo: Caratteri generali e riflessioni introduttive

Aspetti culturali e formativi dell’emigrazione italiana.


L’emigrazione italiana è un processo plurisecolare, fine Ottocento- gli anni Sessanta dell’900.
Da un paese di emigranti l’Italia è diventato un paese di immigranti, ma comunque l’emigrazione è
ancora presente.
Cinque distinte fasi:
1. dalla prima metà dell’Ottocento al 1873;
2. dal 1874 al 1900;
3. dai primi del Novecento alla Prima guerra mondiale;
4. il periodo tra le due guerre;
5. dal 1945 alla fine degli anni Sessanta.
Già alla fine degli anni Sessanta riprende il flusso di emigrazioni.
Le cause dell’emigrazione sono:
- Le ricorrenti crisi economiche; es: la grande depressione. Italia è un paese prettamente
agricolo e soffre la crisi.
- Le crisi agricole (siccità, cattivi raccolte)
- Le crisi della produzione industriale (protezionismo, riconversione industriale…) una logica
novecentesca. Non si ha più redito su cui contare e si cercano condizioni migliori di vita.
- Assenza di qualsivoglia forma di tutela e di assistenza sociale, ossia di welfare state
(legislazione sociale dello stato liberale). Non si ha alcuna forma di agevolazione.
Fino al 1861 l’Italia è divisa in tantissimi stati, nella fase post-unitaria si sente:
- l’assenza di una legislazione organica di vigilanza, non si conoscono le leggi è facile che i
migranti soffrono delle truffe.
- assenza di una politica migratoria dello Stato liberale, sembra quasi di non accorgersi che
ogni anno una parte della popolazione si allontana, estraneità e indifferenza sia nei luoghi
di partenza sia nei luoghi di arrivo.
- Nel 1888 la legge Crispi sancisce il principio della libertà di emigrare, per legge è possibile
emigrare ad alcune, situazione di indifferenza e tolleranza. Sarà l’origine di una situazione
drammatica.
- Nel 1876 si avrà la prima rivelazione ufficiale dell’emigrazione italiana, si faranno carico di
censire quanti ogni anno partono. Fino a questo anno non esiste una statistica per poter
comparare l’emigrazione anno per anno. Si rivela l’importanza dell’emigrazione.
L’emigrante italiano:
- Prevalente maschio (81%): età giovanile (il 16% ha meno di 14 anni), con un livello di
istruzione più o meno elementare: analfabeta o semianalfabeta.
Le destinazioni:
Otto e novecento:
- emigrazione temporanea in Europa: Francia, Germania, Svizzera, Belgio, Regno Unito, etc.
- emigrazione a carattere definitivo nei paesi extraeuropei: Argentina, Stati Uniti, Canada e
più tardi Australia.
Molto spesso gli stagionali, non trovando condizioni migliori percorrono la seconda via, verso
un’emigrazione a carattere definitivo.
Da dove si emigra:
Di solito l’emigrazione si associa al sud Italia, ma in realtà è proprio l’inverso. Dal XIX al XX si
emigra soprattutto dal nord: Veneto, Friuli, Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Liguria…
Nel corso della seconda metà del Novecento si emigra soprattutto dall’Italia Meridionale, a causa
delle carenze dell’economia agricola.
Tra il 1868 e 1888 si assiste ad un periodo di gestione per via amministrativa dell’emigrazione e
dell’immigrazione per controllare il fenomeno.
Si arriva a una prima legge nel 1888: definisce i dati dell’ordine pubblico, applica un controllo
poliziesco, regolamenta i contratti di trasporto, vigila sulle truffe, ma non si interessa al “dopo”.
Nel 1901 si istituisce il Commissario generale dell’Emigrazione, di fatto l’organo farà molto poco
per l’emigrazione, non si occupa degli italiani all’estero.
La legge del 26 aprile 1927, sotto il regime fascista, viene ridotta l’autonomia del Commissario
dell’emigrazione, che viene posto sotto la direzione del Ministero degli Esteri per un più diretto
controllo da parte del regime fascista sui flussi e sul fenomeno migratorio, e anche per potenziare
la propaganda fascista.

L’emigrazione italiana in Brasile


Ci presenta un microcosmo dove si può cogliere i caratteri dell’emigrazione:
- Dimensione enormi del territorio brasiliano e ampiezza dei flussi migratori; l’offerta di
lavoro molto appetita, la situazione del Brasile viene presentata con simile alla terra di
origine;
- Varie forme di insediamento, sia rurale che urbano e anche questione etnica. Nell’enorme
realtà si distribuiscono le comunità etniche.
- Intensi legami familiari e comunitari e ruolo della Chiesa e della dimensione religiosa, una
volta arrivati nel paese, gli emigrati portano anche i familiari. Si può parlare
dell’emigrazione senza coinvolgere lo stato, ma la Chiesa è sempre presente con le
parrocchie e l’assistenza religiosa, è l’unica presenza che ha qualcosa da dire in questa
epoca.
Siamo di fronte ad una società che è radicalmente cristiana, la vita del lavoratore e intrecciata alla
vita religiosa. La chiesa, all’inizio, coglie in maniera negativa il fenomeno dell’emigrazione.
Nel 1875 assistiamo ad un’emigrazione di massa dalla Penisola italiana. In qualche misura certi
fenomeni innescano il processo emigratorio.
- L’indipendenza del Brasile dal paese della dominazione portoghese, siamo di fronte ad un
paese che si sta costruendo la sua autonomia, si sta sviluppando l’agricoltura, l’industria.
- Abolizione della schiavitù nel 1888, viene meno una risorse enorme della lavorazione dei
campi del Caffè, una della risorsa maggiore del paese. Comporta alla sostituzione degli
schiavi con il personale che costi poco.
- Un fattore chiave: la sempre maggiore carenza della manodopera agricolo nelle fazendas
(porzioni grandi di terra per le varie piantagioni) e nelle sterminate piantagioni per la
produzione del caffè.
Circa un milione e mezzo di italiani tra il 1875 e il 1975 si stabiliscono in Brasile.
Tra il 1887 e il 1902: 900 mila italiani (circa il 60% degli emigranti dell’Europa), soprattutto del nord
d’Italia.
La parte più industrializzata, più ricca del Brasile si trova al sud, Rio Grande do Sul, Parana, Sao
Paolo. La parte del nord, Amazonas, è bella ma meno industrializzata e povera. La zona
dell’Amazonia è vergine.
L’emigrazione in Brasile coinvolge la parte del sud e centro orientale, colonizzazione agricola (dal
Veneto, Friuli, Trentino, Lombardia). Si stipulano dei contratti tra le famiglie italiane e lo Stato
brasiliano per il lavoro della terra.
Si assiste alla nascita di veri e propri centri urbani.
Nel Brasile centrale (San Paolo, Minas Gerais, Rio de Janeiro) è presente soprattutto il lavoro
agricolo salariato nei latifondi, ovvero nelle grandi piantagioni di caffè, condizioni del clima
favorevoli. Le condizioni di vita e di lavoro sono disumane, bassi salari, nessuna tutela,
segregazione, controllo e violenza da parte del fazenderio e dei suoi collaboratori, isolamento dal
mondo.
Nelle grandi città del centro-sud del Brasile sono presenti soprattutto le occupazioni nel
commercio, nell’edilizia, nelle attività artigiane e nei servizi.

05/10/2021
La Santa Sede e l’emigrazione italiana all’estero tra Otto e Novecento tra esigenze pastorali e
impegno per la preservazione dell’identità nazionale

Gli emigrati italiani trovano all’estero una Chiesa lontana da loro.


Il fenomeno dell’emigrazione dall’Italia all’estero comincia alla fine degli anni 30-40 del 1800.
La religione e la dimensione psicologica – la religione costruisce qualcosa di semplice e di radicato,
e vuol dire il rito, la preghiera, la mesa domenicale, il rosario. La religione è fatta anche di
raffigurazione, i santini, i grandi affreschi, le statue, di Santi che accompagnano la vita dei cristiani,
di angelo custode, le feste (dei Santi è un momento di raduno collettivo).
I primi interventi della Chiesa a favore degli italiani che emigrano all’estero risalgono negli anni 40
dell’Ottocento; quindi, la Chiesa si rende conto quasi subito, che i flussi migratori della penisola
assumono le dimensioni massicce e l’andamento crescente dell’ultimo triennio dell’Ottocento.
I religiosi della Società dell’Apostolato Cattolico (Chiesa Nazionale, aiuta solo l’italiano) che
operano a Londra, che lavorano per convertire gli americani, si accorgono che Londra si riempie di
italiani. Nasce un’attenzione agli italiani che non parlano l’inglese, che vivono nelle periferie e che
spesso rischiano di finire vittime della delinquenza. Una Chiesa che svolge un’azione ad hoc al
favore degli italiani, una Chiesa che aiuta l’italiani.
30 anni dopo, 1875, la situazione è molto cambiata, per un caso fortuito Don Giovanni Bosco, sta
predisponendo una missione in Patagonia (parte dell’Argentina più selvaggia) per convertire gli
indigeni della Patagonia. Prepara i missionari anche per Buenos Aires quando Pio IX sollecita.
Siamo in una fase in cui l’attenzione della Chiesa è occasionale.
Nell’Europa furono attivi, i servizi, dal 1865 a favore degli emigrati italiani, i Barnabiti e i Lazzaristi a
Parigi, Dehoniani a Marsiglia e in altri centri minori. Quando in queste realtà arrivano gli italiani,
marginati, si vanno a creare delle periferie. La Chiesa si rende conto e interviene attraverso questi.
Negli Stati Uniti, la prima iniziativa nasce in Filadelfia (1854) all’opera di Giovanni Nepomuceno
Neumann. Il primo nucleo di italiani si insedia in questo territorio. La Chiesa nazionale italiana ha
la funzione di diventare il punto di aggregazione religioso e sociale di assistenza per gli italiani della
zona – Santa Maria Maddalena de’ Pazzi – più tardi retta dai Serviti.
Durante il pontificato di Pio IX c’è il tentativo di dare risposta, ma l’azione è un po’ vaga. Siamo di
fronte ad una Chiesa che affronta volta per volta i problemi, perché la comprensione complessiva
dell’emigrazione è ancora lontana.
La sensibilità iniziale della Chiesa italiana di fronte al fenomeno:
- Assenza di istituzioni specifiche e di forme di coordinamento su tale versante;
- Ma anche le scelte e gli orientamenti manifestati da tanta parte dell’episcopato e del clero
in cura d’anime (impegnato direttamente nell’assistenza della cura, pastorale) nei riguardi
del problema.
Lo strumento che si può adottare sono le Lettere Pastorali, per capire l’idea che i vescovi italiani
nei riguardi del proprio popolo che emigra.
Affinché il vescovo fosse fedele alla sua diocesi, il Concilio di Trento aveva obbligato tutti i vescovi
alla visita pastorale, il vescovo era tenuto a visitale tutte le parrocchie, chiese della sua diocesi,
serviva al vescovo a conoscere la sua chiesa e il suo popolo. Attraverso le lettere pastorale il
vescovo comunicava con i fedeli attraverso le lettere con diversi temi, temi che devono interessare
i fedeli, e importanti. Le Lettere pastorale hanno una funzione educativa, edificante.
Colpisce molto che le Lettere pastorali dedicate all’emigrazione sono poche, per avere le prime
lettere sull’emigrazione bisogna aspettare l’Unità d’Italia. È scarsa l’attenzione manifestata nei
riguardi del problema affrontato, con una scarsa cognizione, spesso l’approccio è di stampo
moralistico, il fenomeno disturba. Non sono capaci di collegare il fenomeno dell’emigrazione alla
condizione del dramma della fame, si emigra per non morire di fame, la situazione è disperata.
Non si insiste sulle ragioni ma si denunciavano:
- Le molteplici insidie all’integrità della fede della popolazione
- La natura perversa e gravida di conseguenze negative del fenomeno dell’emigrazione.
Spesso anche le grandi Organizzazioni Nazionali della Chiesa italiana fanno fatica a capire le
dimensioni dell’emigrazione.
La coscienza italiana e divisa fra l’appartenenza alla chiesa cattolica e l’appartenenza allo stato
liberale.
Dal 1878 i congressi della chiesa diventano sistematici, si ripetono ogni anno.
Il problema dell’emigrazione italiana all’estero fu dibattuto nel corso dei primi Congressi cattolici:
il primo fu a Venezia nel 1874, poi Firenze 1875.
Si discute molto, si prendono decisioni, ma tutto si risolve con un ordine del giorno che non
portava a nulla, non concretizza nulla.
Gli italiani che emigrano soffrono dell’assenza dello stato da una parte e dall’altra la chiesa che
comunque avverte il disaggio non riesce ad essere efficace.
A far maturare in seno alla Chiesa e al cattolicesimo italiano una più larga e profonda
consapevolezza delle drammatiche condizioni spirituali e materiali degli emigrati italiani
contribuirono le forti denunce formulate, a partire soprattutto della seconda metà degli anni
Ottanta, da talune personalità dell’episcopato:
- Vescovo di Cremona, mons. Geremia Bonomelli
- Vescovo di Piacenza, mons. Giovanni Battista Scalabrini
Rappresentati di un cattolicesimo colto. La dimensione nazionale e la dimensione cattolica non
devono essere divise, insieme fanno parte della formazione della persona.
In un opuscolo, L’emigrazione italiana, in America, Scalabrini fa capire che sa la situazione
drammatica degli emigrati italiani. Si percepisce il dramma, di uno Stato distratto.
Bonomelli si occuperà sull’emigrazione in Europa, e Scalabrini dell’emigrazione extraeuropea.
Scalabrini percepisce l’emigrazione come una drammatica necessaria a causa delle condizioni degli
italiani.
Nel 1899, Scalabrini viene invitato a tenere un discorso all’Opera del Congresso di Ferrara.
Usa tutta la sua rettorica per descrivere la situazione degli emigrati italiani. Denunciava il fatto che
una volta arrivati all’estero, gli italiani non dispongono più di una forma di assistenza, la pratica
religiosa e degli insegnamenti. Manca proprio una cura pastorale nel posto di arrivo degli emigrati.
In assenza costante di una forma di religione, la persona si discristinalizza.
Quello che il vescovo richiama è un cristianesimo che ha bisogno di una pratica religiosa, di vita
pastorale. La vita della parrocchia dà all’uomo analfabeta la possibilità di vivere in modo religioso,
e di costruire un’identità.

11/10/2021

Scalabrini nel 1887 crea una congregazione religiosa maschile, nel 1895 crea una congregazione
femminile “per l’assistenza spirituale degli italiani emigrati nelle Americhe”, il cui lo scopo sarebbe
stato quello “di mantenere viva nel cuore dei nostri connazionali emigrati la fede cattolica e di
procurare quanto è possibile il loro benessere morale, civili ed economico.
La maggior parte degli emigrati sono contadini.
Nel 1889, Scalabrini costituiva altresì a Piacenza una società laica di patronato denominata Società
San Raffaele con l’obiettivo di tutelare gli emigrati nei porti di partenza e di arrivo, e durante i
viaggi transoceanici, fornendo informazioni e assistenza.
Nel maggio del 1900, Bonomelli promuoveva a Cremona: L’opera di assistenza per gli italiani
emigrati in Europa e nel Levante con lo scopo di fornire l’assistenza materiale e religiosa agli
emigrati italiani in Europa e nel Levante.
Gli soggetti non sono completamente sradicati, l’assistenza è specifica.
In un’opera del 1900 si vede l’importanza di operare per l’assistenza agli emigrati. L’opera di
Bonomelli è stata resa possibile di un cambiamento della Santa Sede e della Chiesa
complessivamente.
Leone XIII
È la Santa Sede all’origine del coinvolgimento e dell’impegno.:
le allarmate denunce e le costanti sollecitazioni avanzate da personalità ecclesiastiche della
penisola (Bonomelli, Scalabrini), ma anche dagli episcopati dei paesi europei e del continente
americano.
Tutto volto a suscitare nei pontefici e in seno alla curia romana una più acuta consapevolezza delle
drammatiche condizioni spirituali e materiali in cui versano gli emigrati italiani.
Nel 1887 il prefetto Card. Giovanni Simeoni della Sacra Congregazione di Propaganda Fide (non
nasce per l’assistenza all’emigrazione, ma per la propaganda delle missioni), chiarisce a Scalabrini
quello che è stato l’operato della Chiesa fino a questo momento e i suoi limiti.
Si affida a Propaganda Fide di occuparsi oltre alla propaganda delle missioni anche il tema
dell’emigrazione.
Simeoni con riferimenti agli Stati Uniti denuncia la scarsa attenzione delle chiese locali riguardo
all’emigrazioni. Avverte un limite, una sorta di ruoli che non si rispettano.
Il 15 novembre del 1887, segretario della Sacra Congregazione di Propaganda Fide, Jacobini
notificava a Piacenza l’approvazione da parte del pontefice “dell’Istituto di sacerdoti in Piacenza da
lei proposto”. Un istituto maschile per l’assistenza all’emigrazione.
Leone XIII, il 25 novembre 1887, ritiene l’emigrazione un tema di grande importanza. Il pontefice
raccomanda ai vescovi italiani di essere disponibile a fornire i propri sacerdoti affiche l’istituto
diventi lo strumento di tutta la Chiesa italiana in qualche modo.
Si rende nota la costituzione dell’istituto perché dovevano far capire l’importanza dell’Istituto.
A fronte della netta presa di posizione della Santa Sede:
- scarsa collaborazione registrata tra le file dell’episcopato italiano;
- Tenaci e diffuse resistenze registrate in una parte estremamente significativa
dell’episcopato e del clero latino-americano. Avvertono come copri estranei non solo gli
emigrati ma anche i religiosi che vogliono farsi carico degli emigrati.
All’inizio di dicembre del 1888 il vescovo di Piacenza manifesta a Simeone lo sconforto delle
difficoltà dei pochi vescovi della penisola alla richiesta dei loro sacerdoti ad impegnarsi nella cura
pastorale degli italiani emigrati in America.
Il problema non è un problema di carenze ma il problema di una realtà che non sono legate
all’assistenza.
I missionari che arrivano nei paesi di accoglienza e si occupano degli emigrati, è il vescovo locale è
quello che deve attribuire la funzione pastorale ai sacerdoti missionari. In caso contrario non si
può celebrare la mesa, sacramenti. Alcuni sacramenti venivano esercitati a pagamento: in qualche
misura valeva di più il matrimonio e il battesimo, i parroci brasiliani si riservavano il diritto di
esercitare loro stessi questi sacramenti. Ai sacerdoti italiani era vitato il diritto di esercitate i
sacramenti dei matrimoni e battesimi.
In questo quadro si colloca la lettera apostolica Quam aetumnosa indirizzata da Leone XIII ai
vescovi del continente americano. È un documento molto forte, non era ma successo prima.
La Santa Sede manifestava, per la prima volta in modo diretto e incontrovertibile, la volontà di
assumere la direzione e il coordinamento degli emigrati.
La chiesa denuncia la gelosia, la cattiveria dei paesi di origine e la mancanza di assistenza agli
emigrati che arrivano nelle terre americane. Vuole mutare l’atteggiamento dei sacerdoti e dei
vescovi del paese di accoglienza degli emigrati, una mossa decisiva.
Nella lettera apostolica:
è un documento che cerca di tenere insieme e denunciare le condizioni
si cerca di limitare i danni e garantire un minimo di condizioni, avviare un dialogo con queste
chiese per farle acquisire la consapevolezza dell’importanza all’accoglienza.
La chiesa di Leone XIII cerca di rafforzare la presenza del governo pontificio centrale anche nel
territorio americano.
Leone XIII, istituisce quattro nuove delegazioni apostoliche, anche negli Stati Uniti, anche nei
territori dove è più diffusa la presenza di immigrati per rafforzare la cura pastorale.
Ci sono stati diversi provvedimenti emanati dalla Santa Sede in materia di assistenza religiosa agli
immigranti.
La Chiesa dell’Ottocento è una realtà che non ha vissuto direttamente il processo di
decolonizzazione, ma identificata come strategica per la Spagna e il Portogallo.
Emblematico il caso del brasile:
oltre alle difficoltà frapposte, ancora nei primi anni del Novecento, da taluni vescovi e da una parte
del clero locale alle disposizioni della Santa Sede.
C’erano delle criticità e disfunzioni generate dal regime di patronato che aveva caratterizzato a
lungo la struttura ecclesiastica brasiliana e influenzato notevolmente i costumi e l’operato del
clero in cura d’anime e la stessa pratica pastorale.
È una chiesa molto differente dove le richieste pastorale non sono avvertite.
Nei primi decenni del Novecento:
la corrispondenza tra il nunzio apostolico in Brasile e la segreteria di stato, perché il segretario è il
capo di governo della Santa Sede. Il Brasile ha una rappresentanza diplomatica a Roma.
Le caratteristiche e condizioni della Chiesa Latino-Americana e i peculiari effetti dell’antico regime
di patronato stabilito dalla dominazione portoghese sulla Chiesa in Brasile:
- La chiesa latino-americana esce dal periodo coloniale e delle guerre civili con un difficile e
conflittuale collegamento con Roma;
- E con una struttura organizzativa ancora embrionale: poche diocesi con territori vastissimi,
speso senza vescovi o con vescovi molto anziani.
Ci troviamo di fronte ad un popolo abbandonato a sé stesso per l’impossibilità di far fronte dal
punto di vista numerico.
Alla luce del quadro non sorprende l’atteggiamento di chiusura e ostilità manifesto da settori
consistenti.
Pio X
Durante il pontificato di Pio X:
- la questione dell’emigrazione italiana all’estero assurge ad un ruolo di primaria importanza
per la Santa Sede;
- si colloca al centro delle preoccupazioni e delle iniziative del nuovo papa.
Un uomo che non ha avuto una grande esperienza all’estero, un uomo che presenta tutta una
serie di caratteristiche mediocre, vescovo divenuto pontefice.
Pontefice che dai primi anni mostra un’importante attenzione, si rende conto che la Chiesa deve
essere modernizzata e ripensata.
L’avvio alla riorganizzazione su basi centralistiche e burocratiche della Curia romana (creazione
cinquecentesca che ha resistito sempre) per rafforzare la burocrazia romana, il potere della chiesa.
Le linee di fondo che Pio X nell’emigrazione all’estero, possibile domanda.
E insieme:
- la razionalizzazione delle funzioni degli apparati ecclesiastici
- La riduzione e il riordino delle diocesi
- Il rinnovamento della formazione del clero e il rilancio dell’iniziativa pastorale.
L’obiettivo di fondo:
- Un sostanziale rafforzamento dell’operatività e della disciplina della chiesa.
- Centralizzazione e modernizzazione
Gli interventi di Pio X in materia di assistenza all’emigrazione italiana all’estero:
- Sistematicità e rilevanza
- Mobilitare tutte le strutture ecclesiali nel far fronte alle esigenze all’esodo di massa dalle
campagne italiane verso i paesi industrializzati d’Europa e verso il continente americano.
In ogni diocesi e parrocchia deve sorgere un’istituzione per l’emigrazione per la tutela e
l’orientamento di coloro che si preparavano a lasciare l’Italia. È un’iniziativa che avrebbe dovuto
coinvolgere, accanto al clero in cura d’anime, anche le associazioni del laicato cattolico.
L’obiettivo:
- Necessaria un’azione preventiva a favore degli emigrati per fornire l’informazione e
sostegno
- affidata ai vescovi e ai parroci e avente come ambiti di riferimento le strutture diocesane e
quelle parrocchiali
- attraverso la costituzione di una vasta ed efficiente rete di Comitati per l’emigrazione
- in grado di fornire informazioni e sostegno e di fronteggiare adeguatamente i gravi rischi ai
quali erano esposti i contadini e gli operai che si preparavano a lasciare l’Italia per cercare
fortuna all’estero

In una lettera di istruzioni inviata l’8 settembre 1911 ai vescovi italiani il segretario di Stato di PioX,
card, Merry del Val, prospettava una sorta di pastorale integrale per i migranti, la cui realizzazione
era affidata ai parroci.

12/10/2021

Il parroco è la cellula ultima della struttura ecclesiastica. Ai parroci è affidato un lavoro in stretto
legame con i credenti.
Il parroco è chiamato a formare e informare coloro che stanno per emigrare. È un’opera di
formazione che prepara a scongiurare, dare un’informazione e comunicazione molto precisa.
Deve essere una chiesa che celebra (dimensione liturgica, sacramentale, allude al senso profondo
della chiesa a queste persone che stanno per partire) questo momento drammatico degli italiani
che lasciano la loro casa e vanno in un posto del tutto nuovo.
La cura pastorale dei migranti, non doveva considerarsi esaurita con la partenza di questi ultimi
dall’Italia:
- Era il compito dei parroci, tenere i contatti con i singoli parrocchiani e con i gruppi familiari
trasferiti all’estero;
- E non far mancare mai la vicinanza e il consiglio. Una sorta di guida spirituale a distanza.
Le istituzioni fornite nella lettera inviata l’8 settembre 1911 dal card. Merry Del Val ai vescovi
italiani delineava una pastorale dei migranti che non si limitava ad assicurare generiche forme di
assistenza morale spirituale ma puntava a salvaguardare e a rendere sempre più saldi e significativi
– a dispetto delle distanze e delle tante forme di spaesamento che l’emigrazione all’estero
comportava – i legami del migrante con la sua parrocchia d’origine.
Torna la questione del rapporto fra la identità nazionale e a salvaguardare la fede religiosa.
Perdere l’identità nazionale significa mettere a rischio anche la fede.
A meno di un anno da questo processo, Pio X avvia la riforma della Curia Romana, con il
provvedimento più importante del pontificato in materia di emigrazione,
15 agosto 1912 avviene la creazione di un’apposita Sezione per l’Emigrazione con competenza su
tutta la Chiesa universale all’interno della Sacra Congregazione Concistoriale che diveniva ora (in
luogo della S. Congregazione di Propaganda Fide) il dicastero specifico per trattare le questioni
dell’emigrazione italiana all’estero.
Fa una duplice azione, toglie la Propaganda fide ogni competenza dell’emigrazione e viene creata
nella sezione concistoriale- ha competenza su tutte le chiese universale, ha un valore universale
come se parlasse il Papa stesso, limita il potere delle chiese locali.
Spiega come la riforma di Pio X ha dato più potere alla Curia Romana.
Il processo di centralizzazione a questo punto e compiuto, proprio per evitare le resistenze, il non
accettare che fino adesso ha impedito le assistenze di cura degli emigrati in America.
All’interno della Concistoriale viene creato l’Ufficio o Sezione Speciale per la cura spirituale dei
migranti: rispondeva indubbiamente all’esigenza di un più saldo ed efficace coordinamento
centrale delle iniziative avviate nel settore da parte della Santa Sede.
Tra coloro che lavoravano sul campo, c’è Scalabrini.
Questa difficoltà fra centro e periferie è stato uno dei problemi di Pio IX e Leone XIII perché non si
è riuscito ad avere un potere centrale.
Scalabrini fa notare al pontefice che la Propaganda Fide, comunque, fa un buon lavoro ma c’è
bisogno di una Congregazione più importante.
Le intensificazioni delle iniziative ad opere e assistenza tanto in occasione delle partenze, quanto
nei luoghi di approdo dei flussi migratori
-  e la vera e propria centralizzazione delle politiche a sostegno della cura pastorale dei
migranti
- costituivano, comunque, solo un aspetto, ancorché estremamente significativo, della più
complessiva strategia perseguita dal pontificato di Pio X sul versante dell’emigrazione.
Il problema è che si chiede ai vescovi italiani di mandare i sacerdoti a formarsi dai Scalabriniani e
poi partire all’estero, in missione, mandarli in un mondo diverso, nuovo. C’è bisogno di una
sensibilizzazione apposita.
Possibile domanda: delinei le linee di intervento di Pio X nell’emigrazione
Pio X fa la scelta di accentrare tutte le competenze in materia e di procedere alla creazione di
un’apposita istituzione formativa controllato dalla Santa Sede.
Con il motu proprio De Italis ad externa emigrantibus del 13 marzo 1914:
- Istituiva il Pontificio Collegio per l’emigrazione italiana
- Posto alle dirette dipendenze della Sacra Congregazione Concistoriale
- per sopperire alla carenza di seminari ecclesiastici specializzati per la cura pastorale degli
emigrati italiani nel continente americano
- e costituire una sorta di laboratorio per la preparazione di un clero altamente specializzato
sotto il profilo culturale e pastorale.
Con il decreto De collegio Sacerdotum pro talis ad exteras regiones emigrantivus del 24 giugno del
1914:
- Promulgava il Regolamento generale del Pontificio Collegio per l’emigrazione italiana
Sottoposto al S. Congregazione Concistoriale
Sacerdote secolare: Don per esempio
Sacerdote regolare: vivono in comunità, alcuni abbracciano il sacerdozio e alcuni restano laici.
Le direttive messe a punto dalla Sacra Congregazione Concistoriale:
- notevole era l’attenzione riservata allo studio delle lingue estere: inglese, francese,
spagnolo, portoghese e tedesco
-
Si vuole formare un sacerdote che conosca 2-3 per essere utilizzato sui fari fronti. Il tema delle
lingue sia delle missioni che dell’emigrazione all’estero era di fondamentale importanza.

- E all’approfondimento delle legislazioni civili e delle condizioni speciali dei paesi dove è più
avviata l’emigrazione e dove saranno indirizzati gli alunni. Conoscere le normative, la
legislazione, conoscere i vari paesi dove andranno ad operare.
Gli studi teologici e scienze religiose:
- L’approfondimento obbligatorio di discipline quali l’apologetica (sacerdoti pronti allo
scontro, alle polemiche), la pastorale (veri pastori d’anime che lavorano in condizioni
difficili), la sacra liturgia (il culto cattolico per eccellenza perché il popolo che ha dovuto
emigrare ha presente l’immagine della grandiosità della mesa, la solennità del culto
cattolico come elemento di identificazione) e il canto ecclesiastico;
- L’introduzione principalmente al diritto canonico, onde rendersi più adatti alla missione a
cui si preparano.
La chiesa è quasi bloccata, ed implica tutta una serie di difficoltà e di disagi.
Il cardinale De Lai è molto potente nella Curia Romana e avrà l’appoggio di Pio X.
La stagione inauguratasi con lo scoppio della Prima guerra mondiale: mutamenti profondi sul
versante dei processi migratori e quasi totale soppressione dei flussi di espatrio negli anni del
conflitto
dopo il 1918:
- le leggi restrizioniste varate nel 1912 e nel 1924 negli Stati Uniti, si chiudono e non fanno
entrare nessuno nel paese.
- La sopraggiunta saturazione del mercato del lavoro affermatasi nelle tradizionali mète
dell’emigrazione italiana in America,
- erano destinate a ridurre drasticamente la mobilità transoceanica e a rendere prevalenti le
destinazioni europee: Francia, Svizzera, Gran Bretagna e Benelux.
L’emigrazione diventa soprattutto europea e temporanea.
Il 23 ottobre 1920 veniva creato l’ufficio del Prelato per l’emigrazione italiana con una
notificazione del card. Gaetano De Lai, segretario della Sacra Congregazione Concistoriale. La sua
competenza si estendeva a tutti i paesi (europei ed extra-europei) nei quali erano presenti colonie
di immigrati provenienti dalla penisola.
Prelato è l’equivalente di vescovo, figura centrale che si occupa direttamente dell’emigrazione.
Raccoglie in se tutte le competenze sull’emigrazione.
Cardinale de Lai sottolinea le ragioni che hanno spinto la Santa sede a creare questo ufficio.
Il prelato sarà il responsabile del Collegio e avrà poteri enormi su tutto il territorio. Rivolgono
l’assistenza anche ai soldati di guerra. Di qui la presenza di un clero guidato da un vescovo
Castrense.
La figura del Prelato per l’emigrazione italiana sarebbe stata abolita alcuni decenni più tardi a
seguito del riordinamento operato nell’organizzazione dell’assistenza religiosa agli emigrati dalla
Costituzione apostolica Exul Familia, promulgata da papa Pio XII il 1° agosto 1952.
Ma in realtà, già a partire dagli anni Trenta, tale figura aveva subito un certo ridimensionamento,
rispetto al ruolo e alle competenze esercitati originariamente, a seguito della forzata chiusura del
Pontificio Collegio per l’Emigrazione Italiana i cui corsi di formazione per i sacerdoti da destinare
alle comunità italiane all’estero erano stati sospesi in conseguenza del drastico calo delle vocazioni
e della parallela e sempre più marcata contrazione dei flussi migratori dalla penisola.
La logica del regime fascista:
- La chiesa è una struttura molto presente, una realtà molto efficace, nessuno come la chiesa
può parlare con gli emigranti in tutti i paesi. Il fascismo si propone con le finalità di
educazione e formazione del principio e il dettame di Mussolini.
Il fascismo cerca un consenso forte nelle comunità di emigrati. Siamo di fronte ad una politica che
sfrutta per la propria ideologia.
Nel 1927 la Santa Sede si vide costretta a sciogliere il corpo dei missionari dell’Opera di Bonomelli,
perché viene infiltrata dai fascisti. Una decisione molto dura, perché viene meno una struttura
consolidata che aveva favorito forme di assistenza molto importanti.
La Chiesa cattolica a partire dagli anni 30, con il peso del fascismo, crea un muro che indebolirà il
suo potere nelle comunità di emigrati.
Gianfausto Rosoli ha ricordato il «forte impegno» della Sacra Congregazione Concistoriale
«nell’opporsi alla strumentalizzazione del clero e alle menomazioni della sua autonomia giuridica e
disciplinare» nonché le resistenze frapposte alle manovre dei funzionari di regime dai nunzi
vaticani e dalla maggior parte dei sacerdoti e religiosi operanti con le popolazioni emigrate.

18/10/2021

Dopo pochi giorni dell’elezione di Pio XII scoppia la Seconda Guerra Mondiale e il flusso degli
italiani che migrano si ferma.
Pio XII utilizza la radio come strumento di dottrina e per far conoscere le aspirazioni della Santa
Sede, soprattutto negli anni della guerra.
A partire del ’43 quando la guerra ormai si delinea e la pace sembra vicina, si segna l’avvio del
pontefice di un pensiero del dopoguerra.
Nel 1945 Pio XII fa capire, spiega l’importanza della Chiesa. La chiesa rivendica un compito morale,
di prendersi cura delle persone dei popoli, senza differenze.
Subito dopo la liberazione il 20 febbraio 1946, Pio XII, in un discorso rivolto ai nuovi cardinali,
spiega i compiti, il Papa ribadiva l’importanza della chiesa come “madre ed educatrice di popoli e
nazioni” e si prendesse cura di tutti coloro che “l’emigrazione” o la condizione di “prigioniero di
guerra” teneva lontani dal paese di origine.
Nel 1951 nasce a Ginevra la commissione Internazionale Cattolica per l’emigrazione, con il compito
di individuare chi sono gli emigrati e di coinvolgere lo stato nel loro favore, farsi carico dei diritti
dell’uomo. La presa di coscienza, svolta universalistica – segna il superamento della versione
tradizionale della chiesa della Santa Sede che ha come compito l’emigrazione italiana, è una Chiesa
che copre un fenomeno più alto. La chiesa rivendica la sua motivazione sovranazionale per poter
assistere, servire al supporto di tutti gli emigrati, l’umano per l’umano, il diritto di un fuggitivo.
Sulla scia delle aperture in senso universalistico e del rinnovato impegno in favore dei rifugiati e
dei migranti espresso negli anni del secondo dopoguerra dal magistero pacelliano si poneva la
fondazione a Ginevra, nel 1951, della Commission Internationale Catholique pour les Migrations
(CICM). L’organizzazione internazionale riconosciuta ufficialmente dalla Santa Sede e destinata a
coordinare l’operato e le iniziative degli organismi ecclesiastici e dei patronati e sodalizi di
carattere confessionale in favore di quanti erano costretti ad emigrare per esigenze economiche o
ad abbandonare il proprio paese a causa della guerra.
La fede si costruisce all’interno di una comunità, è lo stesso dramma che avvertiva Scalabrini.
Il 1° agosto 1952 viene promulgata la costituzione apostolica Exul familia, si rivolge alle famiglie di
tutto il mondo, agli emigranti di tutto il mondo, alle persone che si trovano a vivere lontano dal
luogo di origine.
Exul Familia- presenta una grande novità. Visione universalistica, che sarà poi recuperata.
Ha anticipato alcuni temi di Pio XII.
Paolo XI promulga la lettera apostolica emigratoria di cura, seguita da un documento applicativo.
I documenti rappresentavano un rinnovamento della Exul Familia
Quando dopo il ’45 l’emigrazione riprende, i problemi persistono.
Nel 1946 è sorto il comitato Cattolico Nazionale per l’emigrazione, sancisce il fatto che la chiesa
italiana si fa carico del problema e vuole gestirlo.
Lo sforzo ormai è collettivo e viene anche istituita la Giornata Nazionale dell’Emigrazione con lo
scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi dell’emigrazione.

19/10/2021

La svolta si ha con l’avvento della Seconda guerra mondiale. Pio XII rimane colpito dal fatto che in
tutto il mondo c’è gente che abbandonano la patria e in qualche modo si trovano fuori dai confini
nazionali e sono costretti ad affrontare mondi, situazioni, contesti estremamente denigranti.
Indipendentemente della sua situazione il migrante va comunque sostenuto, accompagnato nel
suo percorso e va assistito e va creata soprattutto una sensibilità nuova da parte delle repubbliche
e dei governi.
Nel 1965 nasce la Conferenza Episcopale Italiana che ha dato vita alla Commissione Episcopale
Italiana per l’Emigrazione, la quale era chiamata a gestire, secondo lo spirito delle nuove direttive
conciliari, il trasferimento delle competenze sull’emigrazione italiana dalla Santa Sede alla stessa
Conferenza Episcopale Italiana (CEI). Era importante affrontare i problemi di popoli interi partendo
da una sensibilizzazione di massa.
In quello stesso frangente veniva istituito, quale organo esecutivo della CEI, l’Ufficio Centrale per
l’Emigrazione Italiana (UCEI) destinato ad esercitare le funzioni svolte precedentemente dalla
Direzione Nazionale delle Opere di Emigrazione per l'Italia e della Giunta Cattolica Italiana per
l'Emigrazione.
Nell’autunno del 1987, infine la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) dà vita alla Fondazione
Migrantes nella quale confluivano l’UCEI e le diverse organizzazioni dedite all’assistenza e alla cura
pastorale di emigranti, immigrati, migranti interni, rifugiati, profughi, rom e sinti, circensi,
marittimi.
Un mutamento reso necessario dal fatto che, nel frattempo, lo scenario nazionale e internazionale
era radicalmente mutato e che, soprattutto nel corso degli ultimi decenni, l’Italia da paese di
emigrazione si era ormai trasformato in paese d’immigrazione.
Una trasformazione epocale e di grande impatto, che poneva – e pone tutt’oggi – alla Chiesa
cattolica italiana nuove e drammatiche sfide sul piano religioso e pastorale come su quello dei
diritti umani e della convivenza civile.
Emigranti
Immigrati
Emigrati interni
Rocco e i suoi fratelli – film

Articolo. Mons. Giovanni Battista Scalabrini e l’emigrazione italiana in Brasile: pastoralità,


educazione e identità nazionale (1888-1905)
Gianfausto Rosoli, scalabriniano, sacerdote, religioso, è diventato uno storico del fenomeno
dell’emigrazione. Si è occupato del ruolo della Chiesa alludendo agli istituti religiosi che sono sorti
tra ‘800 e ‘900, di una grandissima importanza nella cura pastorale e anche materiale
dell’assistenza degli emigranti, non si occupava nessuno degli emigranti, tantomeno lo stato.
Rosoli parla di vita attiva, la vita religiosa si distingue in due grandi blocchi che sono generici:
- 1. monastico, che costituisce un clero di vita contemplativa. Il monaco non è destinato ad
impegnarsi nel mondo, anzi il monaco fugge dal mondo, richiudersi in un monastero,
abbazia e vivere di preghiera e di lavoro quotidiano. Qualche volta vive in solitudine totale,
eremitico, oppure sceglie di vivere la dimensione più comunitaria, monachesimo
cenobitico.
- 2. Vita attiva, alla fine del medioevo, tra il XIII e XIV secolo, le comunità feudale si spostano
verso i centri urbani, la chiesa ha necessità di nuove forze che si facciano carico, annuncio
del vangelo e a testimoniare un modo di vivere la fede.
- Francescani: un approccio più di testimonianza, i poveri con i poveri, il popolo con il
popolo. Si fanno carico del bisogno dei più poveri.
- Domenicani, predicatori: il loro modo di annunciare il vangelo è attraverso la predica.
Rendere la predicazione molto efficace, di sciogliere l’animo.
La lacuna storiografica segnalata dallo studioso appariva senza dubbio sorprendente sia per il
progresso fatto registrare in Italia, nei decenni precedenti, dalle numerose e documentate ricerche
sul rinnovamento della vita religiosa maschile e femminile a cavallo tra Ottocento e Novecento;
sia, in particolare, per la vera e propria centralità rivestita dal fenomeno dell’emigrazione nella
storia europea ed extraeuropea del medesimo periodo.
Nel XIV si assiste al momento in cui alcuni francescani e domenicani ottengono le cattedre
all’università.
Si cerca di conciliare la grande tradizione del mondo antico con i valori cristiani, i classici e quella
che è la nuova concezione religiosa del tempo.
Non basta più limitarsi a fornire al popolo con la predicazione in volgare quelle che sono le idee
essenziale. Si tratta di istruire il popolo con quelle che sono le vere cose essenziale, l’educazione,
l’istruzione, a leggere, a scrivere. È presente anche il tema dell’assistenza, con gli ospizi. Nascono
gli insegnanti e accanto nasce l’istituto Il bene Fratelli.
Farsi cura dei poveri, di quelli che non hanno nulla, dai feriti da guerra, dai militari.
Tra il ‘800 e il ‘900 negli istituti vengono creati i missionari, tutto uno sforzo rivolto alla
missionarietà, anche l’assistenza rivolta alle persone con disabilità.
La maggior parte dei nuovi istituti del ‘800 sceglie come ambito privilegiato l’apostolato:
- l’assistenza agli infermi e alla gioventù povera e diseredata;
- il recupero dei minori pericolanti e maggiormente a rischio dal punto di vista morale;
- la cura degli orfani e dell’infanzia abbandonata;
- la catechesi e l’animazione cristiana della gioventù nelle parrocchie.
Soprattutto l’istruzione e educazione civile e religiosa dei fanciulli e ragazzi d’ambo sessi e delle
diverse classi sociali per i quali istituirono scuole, convitti, collegi, educandati, corsi di formazione
professionale e di avviamento ai mestieri artigiani e al lavoro agricolo.
L’impegno pastorale è quello di farsi carico della cura delle anime, si preoccupano che i soggetti
vivano adeguatamente. L’esigenza fin dall’età napoleonica è la formazione religiosa.
Nel ‘500 davanti alla nascita protestante, il problema è istruire il popolo anche mnemonicamente
facendoli apprendere l’eredità principale della fede. Catechismi, delle raccolte, delle verità di fede,
fatti con la formula catechea con domande/risposte in modo da poter essere assimilate anche da
un’analfabeta. Si ascolta e si acquisisce domande semplici e brevi ma efficaci, erano fatte in modo
che il popolo potesse acquisire quelle verità di fede. Raccolta rapida, sintetica.
Gli uomini e le donne dell’inizio del ‘800, si misurano con le popolazioni emigrate. Uno dei
fenomeni che si registrava nelle popolazioni che abbandonavano le loro parrocchie, il paese nativo
per andare negli altri paesi, è che perdevano completamente il legame religioso, la fede religiosa.
A costoro bisognava ricostruire la dimensione interiore di religiosità.
In qualche misura Don Bosco svilupperà dei laboratori in modo da insegnare ai giovani, agli ex
contadini che arrivano in città un mestiere utile (dal tipografo al calzolaio). Realizzerà anche
scuole, ma anche tenere occupati negli oratori con diverse attività utili, morali.
Questo rappresenta in qualche modo l’origine degli istituti religiosi.
Non basta più fare l’elemosina ai poveri, come è stato nella tradizione per secoli. L’elemosina,
l’assistenza materiale, prendersi carico del mangiare costituiva il carattere dell’esercitare la virtù
della carità. L’assistenza intesa come mera elemosina, come esercizio episodico della carità, non
basta più perché non riscatta il soggetto, ma lo lascia povero, in qualche modo in una condizione di
indigenza, di bisogno e di dipendenza.
Il problema è che un occasionale intervento volto all’assistenza ai poveri lascia il posto a qualcosa
di molto più diverso. Nel ‘800 si pone la duplice esigenza, di sovvenire alla necessità dei poveri
soffrenti e di riconquistare a Cristo una società che sembrava avere ormai smarrito ogni autentico
riferimento alla fede e ai principi cristiani.
In questa presa di coscienza l’orizzonte della carità non è più la semplice assistenza ma diventa
qualcosa di più. I nuovi istituti religiosi sono portatori di una concezione della carità non solo
esclusivamente come assistenza ma soprattutto come educazione nella consapevolezza che una
forma eminente della carità è appunto l’educazione (educare i figli del popolo).
La scuola è concepita come lo strumento più efficace per l’istruzione e formazione
delle nuove generazioni.
E tale formazione, a sua volta, venne considerata il modo più idoneo per riformare la società per
rinnovare i costumi, per ricostruire il tessuto sociale e civile cristiano che lo sviluppo del
razionalismo illuministico prima e le vicende rivoluzionarie e napoleoniche in seguito, avevano
lacerato.

25/10/2021

A partire dagli anni Trenta e per tutto il corso del secolo XIX, prende corpo il processo migratorio
destinato abbastanza presto ad assumere dimensioni di massa e a suscitare in Italia come in altri
paesi del vecchio Continente l’attenzione e le sempre maggiori preoccupazioni della Chiesa
cattolica per la grave minaccia costituita da tale fenomeno per la fede e l’identità religiosa delle
popolazioni.
L’emigrazione italiana inizialmente poté contare nei paesi di approdo sull’assistenza spirituale di
un numero di sacerdoti e religiosi decisamente esiguo e, soprattutto, scarsamente preparati ad
affrontare le nuove sfide poste dal fenomeno migratorio. La maggior parte dei sacerdoti che si
trovano ad operare con la comunità di emigranti, con i primi emigranti che arrivano per esempio in
America, non hanno gli strumenti, molto spesso l’unica cosa che li accomuna è la lingua italiana e
la capacità di parlare, di rivolgersi ma si ha difficoltà a fornire assistenza efficace.
Casualità, improvvisazione, disorganizzazione, scarsa progettualità e assenza di competenze
pastorali specifiche furono i tratti caratteristici dell’assistenza religiosa offerta in questa prima fase
agli emigranti italiani da diversi sacerdoti secolari già presenti nei paesi di approdo taluni dei quali
con un passato burrascoso in patria e senza alcuna disciplina ecclesiastica.
Le testimonianze sono drammatiche di una scarsa capacità di incidenza.
La riflessione di uno scalabriniano del 1898, padre Pietro Maldotti (uno dei primi scalabriniani ad
impegnarsi sul piano pastorale rievocando la situazione originaria) usando parole di fuoco,
parlando del Brasile. Sta parlando un religioso specializzato che conosce bene la situazione e che
ha visto tanti fatti, tanto clero improvvisato. La lettera essendo privata non ha finalità pubbliche di
denuncia.
“E noi – egli scriveva – che preti secolari abbiamo mandato in regalo ai nostri coloni? I due terzi dei
nostri preti al Brasile sono il vero flagello di quella povera chiesa e delle anime. Scappati dalle loro
diocesi, dopo aver messo in croce il loro Vescovo, pieni di vizi e di delitti, trovarono laggiù una vera
cuccagna, un campo vastissimo da scorazzare e da sfruttare. La loro audacia e le distanze
sterminate dai Vescovi locali li rese impuniti e impunibili quasi sempre. Vero branco di lupi rapaci.”
Ciò spiega perché la S. Congregazione di Propaganda Fide abbia sollecitato a più riprese fin dagli
anni Quaranta del secolo XIX taluni Istituti religiosi missionari di antica fondazione già presenti sul
territorio ad affiancare ed integrare l’operato del clero secolare e a destinare alcuni membri di
origine italiana all’assistenza e alla cura pastorale dei loro connazionali immigrati.
Di fronte ad un clero secolare incontrollato e incontrollabile, la Sacra Congregazione di
Propaganda Fide non avendo altri strumenti raccomanda agli vecchi ordini religiosi che già sono
presenti in Oceania o nel continente americano come missionari, per le popolazioni che ancora
non conoscono il cristianesimo, di farsi carico anche degli italiani, di assistere anche gli italiani.
È il caso, ad esempio dei Frati Minori Cappuccini, dei Lazzaristi (opera di san Vincenzo de Paoli), dei
Passionisti, dei Gesuiti, dei Francescani Conventuali e dei Servi di Maria ai quali si affiancarono
anche alcune comunità monastiche di Benedettini e Camaldolesi (normalmente non fanno attività
pastorale).
Si costituisce quindi una prima presenza che è fatta soprattutto di ordine religioso (anche
monastico) e di antica fondazione (ordini religiosi fondati prima dell’Ottocento) che adesso
svolgono, in questo caso, un impegno soprattutto missionario. In assenza di un clero capace,
adeguato, formato c’è una prima risposta attraverso il rapporto degli istituti religiosi missionari di
antica fondazione e delle comunità monastiche è molto rilevante dal punto di vista quantitativo.
Sono istituti religiosi già dislocati sul territorio, la presenza dei Francescani nell’America Latina,
Centro, Sud, risale al Cinquecento ed era una presenza massiccia. Quindi, non è difficile da
garantire, il problema sta nel fatto che l’impegno pastorale è di stampo molto tradizionale e
scarsamente specializzato (specializzato = sa rispondere ai bisogni specifici di quelle comunità, del
gruppo di fedeli).
A causa del contesto, dello scenario nel quale si colloca, il tipo di storia delle comunità anche
l’istituto religioso specializzato nell’attività missionaria, spesso si rileva poco adatto, poco capace.
Coinvolgere i monaci, dal punto di vista dell’ufficio, delle funzioni religiose garantisce una stabilità,
continuità. Ma risulta poco efficace dal punto di vista di quelle forme di presenza religiosa che
garantiscono veramente la vita di una comunità.
Nonostante questa presenza massiccia la situazione non migliora sotto il profilo di una continuità
religiosa, siamo sempre di fronte a delle comunità che necessitano stabilità.
Man mano che la Chiesa prende coscienza queste comunità si vanno stabilizzando sul territorio.
In realtà a rendere decisamente molto difficile, e a tratti quasi impossibile l’attività pastorale e
l’assistenza religiosa dei sacerdoti e religiosi italiani nei riguardi dei loro connazionali immigrati
contribuirono senza dubbio, specie nel continente americano, una serie di fattori:
- le difficoltà legate alla mancanza di collegamenti
- la vera e propria dispersione degli emigrati in territori immensi
- ma soprattutto la carenza di collaborazione tra il clero indigeno e i missionari italiani
- e le vere e proprie resistenze frapposte talora, per diverse ragioni, dalle chiese locali.
Particolarmente grave si rileva la questione del Brasile, dove tra gli anni ’80 e ’90 l’assistenza
religiosa e la cultura pastorale delle popolazioni italiane presentano notevoli lacune.
Il paradosso che si crea, il clero e l’episcopati nazionali latino-americani, da un lato si rifiutano di
farsi carico di queste masse di popolazioni, si rifiutano perché non hanno le risorse. Il clero
brasiliano, la stessa conformazione della Chiesa presentano molte difficoltà: poche diocesi di
enorme grandezza, territori sconfinati, un clero che a malapena riesce a supportare in maniera
molto vaga le esigenze delle popolazioni locali (brasiliani). L’arrivo delle migliaia e migliaia di
persone fa saltare una macchina che già presentava molte difficoltà. I cleri locali e i vescovi locali
guardano con diffidenza a questo clero italiano che arriva nel territorio per farsi carico delle
necessità delle popolazioni italiane.
Lo scalabriniano Pietro Maldotti denuncia con delle relazioni fatte a Scalabrini (documenti privati)
che la situazione è molto drammatica. “Il clero indigeno è scarsissimo.”
Il Brasile grande quanto Europa, ma presenta un clero molto ristretto. L’emigrazione aggiunge un
qualcosa che fa saltare quel precario equilibrio esistente.
Ma non era solo un fatto di distanze immense, scarsi scollegamenti e forti carenze del clero
indigeno destinato alla cura animarum… C’è qualcosa di più, c’è il problema di una Chiesa
strutturata in modo molto diverso rispetto all’Europa.
 In una relazione fatta pervenire alla S. Congregazione di Propaganda Fide il 4 settembre 1889
mons. Giovanni Battista Scalabrini aveva fornito un quadro decisamente più articolato delle ragioni
che avevano impedito, fino a quel momento, l’implementazione di una solida e funzionale opera di
assistenza religiosa e di cura spirituale per gli italiani emigrati in Brasile:
il problema che pone Scalabrini è quello di un impedimento che i missionari italiani incontrano
quando arrivano in Brasile: molto spesso i missionari religiosi arrivano in Brasile e devono chiedere
al vescovo locale le facoltà per poter esercitare il loro ruolo pastorale (svolgere la mesa, insegnare
il catechismo, tutto ciò che caratterizza il pastore in cura d’anime). Anche il parroco deve
consentire che all’interno della sua parrocchia ci sia qualcun altro che svolge la funzione pastorale.
Questo era stato stabilito dal consiglio di Trento.
Tutta una serie di servizi che venivano esercitati dal parroco era sotto pagamento. Il parroco che
vedeva crescere il suo popolo anche grazie agli immigranti era mal disposta a sé stessa ad
autorizzare altri ad esercitare i sacramenti al loro posto. Il fatto che i parroci non autorizzava il
clero italiano ad esercitare certi sacramenti (matrimonio, battesimo) per via dei soldi costituiva
uno dei nodi che caratterizza la conflittualità tra la chiesa locale e i religiosi che arrivano per farsi
carico delle comunità di italiani e non solo. Il problema della tassa sui sacramenti e sulla liturgia è
tale che molto spesso costituisce l’elemento che impedisce l’intervento pastorale.
E, dunque, pur non facendosi carico della cura pastorale delle comunità di immigrati italiani
presenti nel territorio della parrocchia non concedevano l’autorizzazione ad esercitare tale opera
di assistenza religiosa ai sacerdoti e missionari italiani nella loro giurisdizione parrocchiale.
Negli ambiti rurali e nelle piantagioni di caffè si oppongono ad ogni forma di assistenza religiosa
perché spesso i lavoratori venivano trattati come degli schiavi (pagati pochissimo e sfruttati al
massimo), la situazione risultava drammatica. Quando arrivano i missionari si fanno carico anche
come sindacalisti, si fanno carico dei bisogni, delle esigenze, denunciano le condizioni subumane
degli emigrati.
Gli studi sull’emigrazione italiana sul continente americano documentano la sempre maggiore
presenza, a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento degli Istituti religiosi maschili e femminili di
nuova fondazione. Via via si assiste alla stabilizzazione di nuovi istituti sul territorio americano.
Mary Ewens, ad esempio, ha rilevato che 91 delle 119 congregazioni religiose attive negli Stati
Uniti nel XIX secolo erano di origine europea (ed erano sorte nel corso del XIX secolo!).
Secondo Rubén Gonzáles tra il 1854 e il 1914 si sono stabiliti in Argentina 28 istituti religiosi
maschili e 38 femminili di origine europea.
Gonzales fotografa una realtà in cui il grosso della vita religiosa è dato dagli istituti religiosi europei
approdati in Argentina a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.
 Werner Henkel, infine, ha ricordato come, all’inizio del secolo XX fossero presenti in Brasile solo 5
congregazioni religiose femminili con 2.462 suore; nel corso dei settant’anni successivi il loro
numero è salito a 325, con 41.309 religiose.
Ci sono alcuni istituti religiosi che casualmente si sono fatte carico dell’emigrazione: Salesiani,
vanno in Argentina per convertire le popolazioni, come missionari e che invece andranno a farsi
carico degli italianii. Molto spesso questi istituti religiosi non hanno nell’idea originaria quelli che
sono gli obbiettivi, i programmi, i destinatari della loro iniziativa fissati all’inizio dai
fondatori/fondatrici dell’emigrazione. Ma in qualche modo si fanno comunque carico degli
emigranti.
Siamo di fronte ad una Chiesa, a nuovi istituti religiosi che cercano di rispondere alle esigenze man
mano che queste emergono.
Una presenza e un impegno destinati a colmare un vuoto ad incidere significativamente sulla
crescita religiosa dei singoli e delle comunità italiane all’estero. Sia i vecchi ordini religiosi, di antica
fondazione, sia soprattutto le nuove congregazioni ottocentesche pur svolgendo un ruolo di
supplenza e pur non essendo nati con l’intento di farsi carichi dell’emigrazione in modo
specializzato, di fatto svolgeranno per decenni una funzione imprescindibile, colmeranno il vuoto.
si prenderanno cura in maniera globale di quelle che sono le famiglie italiane nel continente
americano.
I nuovi istituti religiosi nascono con un'unica preoccupazione, quella di prendersi cura, di
assistenza agli italiani emigrati.
Alcuni istituti religiosi che casualmente si sono fatto carichi dell’assistenza:
i Maristi di Marcellino Champagnat (Lyon 1816), i Pallottini (Società dell’Apostolato Cattolico)
fondati da don Vincenzo Pallotti (Roma 1839), i Salesiani (Società Salesiana) di don Giovanni Bosco
(Torino 1859);
 e ancora: i Giuseppini (Congregazione di San Giuseppe) di don Leonardo Murialdo (Torino 1873), i
Dehoniani (Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù) del padre Léon Gustave Dehon (Soissons 1877) e,
infine, i Figli della Divina Provvidenza (Piccola Opera della Divina Provvidenza) fondati da don Luigi
Orione (Tortona 1903).
Ancora più nutrita è la schiera delle fondazioni religiose femminili:
 le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea di Antonia Maria Verna (Rivarolo Canavese
1806), le Suore di S. Giuseppe di Chambéry di Jean Marcoux (Chambéry 1817), le Figlie di Nostra
Signora dell’Orto istituite da mons. Antonio Maria Gianelli (Chiavari 1829), le Suore Giuseppine
(Suore di San Giuseppe di Cuneo) fondate da don Bartolomeo Manassero (Cuneo 1831), le Suore
di Santa Dorotea di Paola Frassinetti (Genova 1836), le Figlie di Nostra Signora della Misericordia di
Maria Rossello (Albissola 1837), le Sorelle della Misericordia istituite da don Carlo Steeb (Verona
1840).
Una presenza massiccia quella offerta dai nuovi Istituti religiosi maschili e femminili sorti nel
corso dell’Ottocento uno straordinario impegno esercitato:
- tanto sul versante del sostegno alla vita religiosa e della cura pastorale
- quanto su quello assistenziale e educativo
a favore delle comunità degli immigrati italiani nel continente americano.
Ma accanto a quelle sopra ricordate non sono mancate neppure le fondazioni religiose
direttamente legate all’esperienza migratoria. Si tratta di alcune fondazioni religiose che nascono
proprio grazie ai migranti o comunque nel contesto dell’emigrazione.
Nel caso del Brasile: le Piccole Suore dell’Immacolata Concezione l’istituto femminile fondato a
Nova Trento (Santa Catarina) nel 1890 da Paulina do Coração Agonizante de Jesus, al secolo
Amabile Lucia Wisintainer, un’emigrata trentina trasferitasi in Brasile con i suoi paesani negli anni
della grande emigrazione (1875).
Nel caso dell’Argentina:
- le Suore di S. Antonio Padova, fondate a Buenos Aires nel 1889 dall’italiana Antonia Luisa
Cerini, emigrata da bambina dalla natia Castellanza in America nel 1839
- le Francescane Missionarie, fondate nel 1878 dal frate francescano Quirico Porreca
- i Missionari Catechisti di Cristo Re, fondati nel 1895 dal religioso domenicano Davide
Ghiringhelli.
Sono tutti istituti religiosi nati da religiose o uomini e donne, figlie di emigrati o proprio emigrati.
Le esperienze più significative sono gli istituti religiosi maschili e femminili specializzati che fin
dall’inizio hanno un unico ed esclusivo scopo, quello di farsi carico della cura pastorale degli
immigrati italiani all’estero.
Innanzi tutto, i Missionari di S. Carlo Borromeo per gli emigrati (Scalabriniani) istituiti a Piacenza
nel 1887 da mons. Giovanni Battista Scalabrini, è il primo istituto che nasce con un carisma
esclusivo che è quello di occuparsi degli emigranti.
Scalabrini, vescovo di una diocesi Piacenza che registra grandi masse di uomini e donne che
abbandonano la terra di origine per trasversi in America, altrove per bisogno, per mancanza di
prospettive, è il primo ad accogliere insieme a Bonomelli, vescovo di Cremona, certe necessità.
Nel 1880 la madre Francesca Saverio Cabrini aveva fondato il primo istituto religioso femminile,
Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, ad occuparsi degli emigranti italiani, soprattutto
dell’emigrazione femminile (bambine che venivano mandate da sole, a rischio di essere “buttate in
strada”), nel continente americano.
- le Apostole del Sacro Cuore di Gesù istituite a Viareggio nel 1894 dalla madre Clelia
Merloni
- infine, le Missionarie di S. Carlo Borromeo per gli emigrati originariamente denominate
Ancelle degli orfani e dei derelitti all’estero, più note con l’appellativo di Suore
Scalabriniane, fondate nel 1895 a Piacenza dallo stesso mons. Giovanni Battista Scalabrini
Scalabrini inizialmente pensa soprattutto agli uomini, ha presente che non è importate istruire e
far scuola ma assistere dal punto di vista religioso, della pratica religiosa. Ma ben presto averte
l’esigenza che ci sia qualcuno che oltre a fare la mesa e i sacramenti, si faccia carico anche
dell’assistenza femminile, che insegni il catechismo.
Scalabrini fa un’analisi molto moderna e non moralistica della situazione, non considera
l’emigrazione un fatto negativo, considerandola necessaria per il fatto che comporta alcuni aspetti
negativi. È moderno nel distinguere il fatto in sé di quelle che sono le responsabilità della Chiesa e
dello stato nel farsi carico di questo problema dell’emigrazione.
Il grande dilemma che si pone oggi all’emigrazione dal terzo mondo all’Europa.
La risposta che da Scalabrini è molto moderna, la presa di coscienza che il fenomeno può essere
gestito ma assolutamente non può essere bloccato, gestirlo vuol dire farsi carico dei problemi che
l’emigrazione pone. C’è una coscienza che al tempo era poco incontrata, molto rara.
Il presule lombardo era altresì persuaso che il nuovo Stato unitario sorto nel 1861 non fosse
realmente in grado di garantire assistenza e protezione agli italiani emigrati all’estero
- sia per le gravi lacune della legislazione in materia, per lungo tempo non ci sarà una legge
in materia
- sia per la scarsa e poco efficiente rete dei consolati italiani presenti e operanti nei paesi
d’immigrazione
Ma soprattutto per la carente e superficiale attenzione manifestata dalla classe dirigente liberale e
dall’opinione pubblica nei riguardi del problema.
 Di qui la piena convinzione del vescovo lombardo che fosse compito della Chiesa sopperire alle
carenze dell’intervento pubblico e farsi carico delle necessità materiali e spirituali degli italiani
emigrati all’estero.
Per il vescovo di Piacenza, d’altra parte l’emigrazione di massa costituiva non solamente una
drammatica sfida sociale ed economica per il nuovo Stato unitario ma anche, e soprattutto, una
sfida sul piano religioso, una minaccia gravissima per la fede cristiana delle popolazioni e per il
futuro della religione cattolica. A differenza di altri vescovi, Scalabrini è convinto che il problema
non sia quelli che restano ma sia anche queste popolazioni che tendenzialmente si perdono.
Sottoporre alla S. Congregazione di Propaganda Fide il progetto del suo istituto religioso maschile,
il 16 febbraio 1887, mons. Scalabrini sottolineava: Vengono richiamati tre elementi: l’incredulità,
l’eresia e framassoneria. L’elemento più importante per Scalabrini è l’incredulità, frutto del venir
meno di una presenza religiosa costante, per lui la fede deve essere alimentata continuamente.
Per il presule lombardo esisteva uno strettissimo legame
- tra l’identità nazionale e comunitaria
- e l’appartenenza religiosa delle popolazioni
specie di quelle più povere e neglette (contadini e operai)
Chiave di lettura per capire Scalabrini e il suo istituto.
La fede non è mai qualcosa di astratto ma è all’interno di una sensibilità, identità che è anche
politica, nazionale. Il venir meno dell’italianità comporta il venir meno della fede cristiana.
Scalabrini e gli scalabriniani opereranno per conservare agli emigranti sia la fede religiosa sia
l’amore per la patria e il sentimento nazionale.
Sotto questo profilo
- l’abbandono del proprio paese e della comunità d’origine (sradicamento geografico)
- l’indebolirsi dei legami parentali e comunitari (sradicamento affettivo)
- il vero e proprio ‘spaesamento’
- e la perdita dei punti di riferimento tradizionali
- che l’emigrazione all’estero comportava (disgregazione culturale e smarrimento
dell’identità) costituivano le drammatiche premesse della disaffezione dai valori morali e
religiosi tradizionali, dell’abbandono della fede cristiana…
Domanda: legame, rapporto
La fede cattolica, cristiana per poter essere tenuta viva, ha bisogno di cose materiale, qualcuno che
annunci la mesa, il culto, le pratiche devote, una presenza pastorale presente.
Un convincimento forte, questo di mons. Scalabrini destinato ad esercitare un notevole peso sulla
sua visione della cura religiosa e pastorale degli emigrati italiani all’estero in virtù del quale la
conservazione dei caratteri etnico-culturali (inclusa la lingua materna) costituiva necessariamente
la più incisiva e necessaria forma di difesa e di mantenimento di quella fede ‘popolare’ così
tenacemente legata alle tradizioni e ai valori d’origine.

26/10/2021

L’idea di fondo che anima Scalabrini e gli scalabriniani è dato da una persuasione, l’identità
nazionale non è estranea all’identità religiosa.
Scalabrini cercava di salvaguardare, di conservare una fede ‘popolare’ grandemente minacciata, se
non addirittura compromessa nei nuovi contesti di arrivo dei migranti.
 Una fede ‘popolare’, quella dei contadini e degli operai italiani che emigravano all’estero, che
necessitava di una presenza concreta della Chiesa e degli ‘apparati’ della religione.
Secondo Scalabrini la fede ‘popolare’ necessitava di una presenza concreta e costante della Chiesa
e degli apparati religiosi che accompagnano il soggetto fin da piccolo. Se viene meno questo
orizzonte di senso, si perde il senso stesso della fede e della religione.
Fin dalle origini Scalabrini pensa ad un istituto prettamente maschile fatto di sacerdoti, dedicato
alla cura pastorale popolazioni italiane emigrate all’estero, in particolare di quelle approdate sul
continente americano: un’emigrazione non temporanea, ma in larga misura definitiva.
L’emigrazione temporanea presenta altri problemi, lo sradicamento è temporaneo.
Inizialmente Scalabrini non si preoccupa di fare scuole, degli aspetti più materiali, il suo istituto è
dedicato alla cura pastorale. Un istituto religioso in grado di riproporre nei luoghi di approdo
dell’emigrazione italiana le caratteristiche della comunità ecclesiale d’origine la quale con
particolare riferimento alla tradizione religiosa veneta, piemontese e lombarda era incentrata sul
parroco e sulla parrocchia e caratterizzata da una pastorale comunitaria che aveva le sue
dimensioni basilari: la liturgia e la dispensa dei sacramenti, oltre che la catechesi e l’esercizio delle
più diffuse pratiche devozionali.
Anche fisicamente, anche materialmente egli propone le stesse caratteristiche della vita religiosa
dei luoghi di provenienza.
La religione è fatta dalla liturgia, dalla mesa, dalla dispensa dei sacramenti, il catechismo, l’eredità
di fede essenziali che devono accompagnare ogni credente, l’esercizio delle più diffuse pratiche
devozionali (Settimana Santa, complesso di pratiche che include preghiere).
Siamo di fronte ad una Chiesa fatta di gesti, di pratiche che garantisce costantemente che il
soggetto sia costantemente alimentato di segni e di simboli dell’identità religiosa.
Una pastorale in grado di promuovere una fede capace di alimentare l’identità individuale e
comunitaria e di ispirare ed animare le opere sociali e di supporto alla vita delle comunità locali:
 le casse di risparmio, le cooperative di lavoro, le scuole etniche e tutte quelle forme di solidarietà
e di sostegno ai soggetti più deboli che si rendevano indispensabili nei nuovi e difficili contesti
dell’emigrazione italiana oltreoceano. Il parroco diventa un punto di riferimento, tratta con le
autorità, spesso si fa promotori dei servizi appena citati. La parrocchia diventa un luogo di
accoglienza, assistenza.
Di grande interesse è l’originario Regolamento della Congregazione dei Missionari di San Carlo
messo a punto da mons. Giovanni Battista Scalabrini il 19 settembre 1888:
- assistenza dal punto di vista materiale, morale, civile è strettamente collegata con la
salvaguardia della fede;
- Oratori, piccole chiese dove si poteva svolgere la funzione religiosa.
- Storia della patria italiana per tenere viva l’identità nazionale
Le Confraternite nascono con la funzione di aggregazione nazionale, di solidarietà.
Le Confraternite sono presenti nell’America Latina, nei momenti forti svolgono anche le funzioni
religiose.
Altrettanto significativi risultano essere i successivi capitoli del Regolamento originario, laddove, in
particolare, si parla della necessità di istituire scuole italiane per i figli degli immigrati nel
continente americano:
- gli istituti prevedevano dei sacerdoti che in qualche modo svolgessero la loro opera
pastorale ma anche dei fratelli laici (si impegnavano soltanto a rispettare il regolamento e
affiancare i sacerdoti nell’esercizio delle loro funzioni, missionari laici).
- Le scuole erano di grande importanza e dovevo essere concordate con le comunità.
Nella successiva Regola della Congregazione dei Missionari di S. Carlo per gl’Italiani emigrati,
approvata nel 1895, la parte relativa alle scuole appariva meglio definita:
- Nelle scuole insegnare non solo la lingua italiana, ma anche la lingua del paese di
accoglienza, si inizia a percepire un’apertura delle comunità, integrazione con la comunità
di accoglienza.
- La vera novità è appunto l’apertura alla lingua dei paesi di accoglienza che denota la
consapevolezza che occorre favorire una necessaria integrazione, al contrario il rischio era
l’isolamento.
Per quel che concerne l’impianto spirituale conferito al nuovo istituto religioso dei Missionari di S.
Carlo Borromeo per gli emigrati siamo di fronte ad una spiritualità sacerdotale ad hoc nella quale
si registra il recupero della grande tradizione ascetica del cattolicesimo post-tridentino del Sei e
Settecento:
da Vincent Depaul (fondatore delle Figlie della Carità) a François de Sales (Vescovo di Ginevra) e ad
Alfonso Maria de’ Liguori (grande teorico, moralista, vescovo della diocesi di Sant'Agata de' Goti).
Domanda: quali sono i grandi filoni della religiosità, Vincent Depaul, Francois de Sales- del ‘600
Elaborano un modello di sacerdozio applicato a questa pastorale. Tutti e tre appartengono al
filone della spiritualità benignista. Si richiamano ad una visione che è propria anche di San Filippo
Neri che guarda al mondo e al rapporto fra il mondo e la fede in modo sereno pacifica, non c’è
nessuna visione negativa. Sono convinti che la natura dell’uomo è fragile segnata dal peccato
originale, l’uomo da solo non può salvarsi, ma viene sostenuto dalla grazia divina. Rapporto fra la
natura umana e la grazia è un rapporto molto equilibrato. La grazia rafforza la natura umana.
Francois De Sales
Il capitolo XII del già ricordato Regolamento della Congregazione del 1888 riflette appieno quella
spiritualità ‘benignista’ tanto cara al santo vescovo di Ginevra e largamente presente nei
documenti pastorali dello Scalabrini:
“Capitolo XII: Vita del Missionario nelle Missioni – Il Missionario come operaio evangelico deve
ricordarsi di essere obbligato a diffondere con la sua vita il buon odore di Gesù Cristo, e a
predicare il Vangelo più coll’esempio che colle parole. Avrà cura pertanto di predicare le virtù
proprie soprattutto del suo ministero, la carità, la dolcezza, la purità, la sobrietà, la modestia, la
semplicità.”
Quella che colpisce di più è la dolcezza, il sacerdote si rivolge alla comunità con dolcezza, presenta
una fede che vuol qualcosa di buono.
Siamo di fronte ad un cristianesimo adatto a persone semplici, è una fede che aiuta ed è cosciente
delle fragilità umane, sostiene. Propone un’idea sacerdotale centrata sull’esercizio di una pietà
calda, affettuosa. La fede si trasmette attraverso la dolcezza, la benignità. La fede non è qualcosa
che va a conturbare le coscienze, che suscita angoscia semmai la placca, trasforma angoscia in un
momento di serenità.
Siamo di fronte ad una spiritualità che si fa carico dei bisogni e delle esigenze del popolo, che sa
parlare al popolo in maniera comprensiva.
Francesco de Sales è il riferimento principale, torna costantemente sia per gli scritti, sia nella vita
religiosa. Scalabrini è un sostenitore.
Il punto centrale dell’insegnamento di François de Sales è:
- la perfezione cristiana – ovvero la santità – non è uno stato privilegiato, appannaggio di
una minoranza di eletti;
- la perfezione cristiana è raggiungibile da tutti i fedeli a prescindere dalla condizione di vita
in cui essi si trovano;
Essa si conquista non in virtù di gesti eroici o di pratiche religiose particolari ma attraverso
l’assolvimento da parte del cristiano dei doveri derivanti del proprio stato di vita e l’esercizio delle
virtù ordinarie.
In questa prospettiva il mondo diviene il luogo dove il cristiano è chiamato a realizzare la propria
perfezione; la vita quotidiana è il contesto ‘normale’ nel quale ciascun credente può realizzare la
sua vocazione alla perfezione cristiana.
In sostanza, una pastorale (e una spiritualità) calibrata sulla fragilità umana quella proposta da
François de Sales e fatta propria da mons. Scalabrini capace di restituire significato alla fede dei
tanti soggetti ‘sradicati’ e ‘spaesati’ per il forzato abbandono del luogo d’origine; di ricostituire
l’unità fra l’identità civile e l’appartenenza religiosa dell’immigrato.
François de Sales e Vincent Depaul costituiscono i punti di riferimento di mons. Scalabrini anche
per la fondazione, nel 1895, del ramo femminile delle Missionarie di S. Carlo Borromeo per gli
emigrati (Suore Missionarie Scalabriniane).
Questi due grandi Santi hanno creato entrambi un istituto religioso femminile. La caratteristica dei
due istituti e che non prevedevano la clausura.
In una relazione trasmessa nell’agosto del 1900 alla S. Congregazione di Propaganda Fide il
Vescovo di Piacenza sottolineava come, per la creazione del suo istituto religioso femminile egli
avesse preso a modello proprio la Compagnia delle Figlie della Carità di Vincent Depaul.
È altrettanto noto, del resto che per la stesura delle Costituzioni e Regole da osservarsi da parte
delle Missionarie di S. Carlo Borromeo per gli emigrati il Vescovo di Piacenza si sia direttamente e
largamente ispirato «alle Costituzioni delle Suore della Visitazione, fondate da S. Francesco di
Sales». Nelle lettere pastorali di Scalabrini sono tratti dagli scritti di Francois.
Mons. Giovanni Battista Scalabrini e i suoi Missionari di S. Carlo Borromeo sono stati, fin dalle
origini, i fautori di una pastorale per gli emigrati italiani nel continente americano che puntava:
- da un lato a salvaguardare l’identità culturale e ad alimentare il sentimento della patria
lontana
- dall’altro a riproporre, soprattutto nei centri rurali del continente americano la dimensione
ecclesiale e religiosa e le consuetudini e pratiche devozionali caratteristiche dei luoghi
d’origine delle popolazioni.
Particolarmente significativo (ma non unico!) il caso del Brasile dove la Congregazione
Scalabriniana si fece carico, fin dal 1888, dell’assistenza religiosa e morale degli emigrati italiani
tanto negli Stati centro-settentrionali (São Paulo, Minas Gerais, Espirito Santo, Bahia ecc.) dove la
grande maggioranza di costoro aveva trovato impiego in qualità di lavoratori salariati nelle
fazendas le grandi imprese agricole di tipo latifondista che fino a pochi anni prima avevano
impiegato gli schiavi;
Negli Stati meridionali (Paranà, Santa Catarina, Rio Grande do Sul ecc.) dove numerosi immigrati
provenienti dall’Italia erano riusciti a trovare una sistemazione e a divenire piccoli proprietari di
fondi agricoli a conduzione familiare attraverso il sistema della colonizzazione ‘libera’ in lotti di
proprietà a riscatto. Il governo brasiliano pur di far lavorare terre che erano abbandonate accetta il
sistema della colonizzazione, assegna piccoli loti a titolo gratuito e semi-gratuito e fornisce attrezzi
per loro a coloro che accettano stabilirsi in quei posti.
Sono due tipologie di insediamento:
- le grandi piantagioni di caffè
- la piccola proprietà affidata agli italiani divenuti contadini, proprietari terrieri in Brasile
Implicano approcci e strumenti pastorali estremamente diversi, parlare a salariati che lavorano in
condizioni drammatiche (hanno preso il posto degli schiavi), e i piccoli proprietari terrieri.

08/11/2021

“Per conservare la fede dei Padri” La Guida spirituale per l’emigrato italiano nella America del
sacerdote scalabriniano Pietro Colbacchini
Gli italiani prendono il posto degli schiavi che fino alla soppressione della schiavitù avevano
lavorato la terra ed erano stati protagonisti nelle piantagioni di caffè al centro/nord del Brasile.
Al sud per volere dello stato, la terra era stata suddivisa in loti e data in lavorazione agli emigrati
quindi anche agli italiani. Molti degli emigrati che hanno vissuto una situazione di sradicamento si
troveranno ben presto proprietari terrieri. Una colonizzazione si trova legata alle piccole proprietà
terriere concesse a riscatto o anche a titolo gratuito.
La congregazione scalabriniana adotta metodi di approcci particolare. Si tratta di studiare una
presenza che risponda a quelle che sono le esigenze di una popolazione che vive in condizioni
molto differenti.
Lavorare nelle fazendas significa vivere nelle baracche costruite dai padroni, i salari non erano
elevati.
Per quel che riguarda i numerosi emigrati italiani impiegati come braccianti agricoli nelle circa
2.500 fazendas presenti nelle aree interne del Brasile, la strategia pastorale adottata dagli
Scalabriniani s’imperniava, soprattutto inizialmente, sulla realizzazione delle così dette «missioni
volanti» ossia sulla visita periodica dei religiosi ai lavoratori impiegati nelle fazendas e alle loro
famiglie.
Si tratta di missioni volanti, visite periodiche che i religiosi fanno nelle fazendas, si fermano per
alcune settimane e forniscono l’assistenza religiosa agli emigranti. Volanti significa che sono anche
periodiche, si svolgono alcune volte all’anno.
Molto spesso i religiosi denunciano le condizioni con le quali gli emigranti sono trattati.
I sacerdoti che arrivano periodicamente, volante nelle fazendas vengono considerati come padri.
La missione è una strategia rivoluzionaria, c’è la necessità di garantire la possibilità di costruire un
rapporto diretto, affettivo dei missionari con gli emigranti.
Nella parte del centro-nord del Brasile si assiste alla costruzione di 150 chiese Italiane, si trovano
nelle fazendas. Negli anni queste chiese andranno a costruire le parrocchie.
Tutto questo garantisce la presenza della chiesa in queste aree sempre molto frammentarie, se il
missionario non fa ritorno nelle fazendas, il contatto tra la chiesa e gli emigrati si spezza.
Altrettanto originale - e destinata ad avere un notevole impatto sulla vita pastorale e sulla pratica
religiosa delle comunità italiane in Brasile - fu la scelta dei missionari scalabriniani di salvaguardare
il lavoro tra gli emigrati italiani attraverso la creazione di cappellanie curate per gli emigrati italiani,
una specie di parrocchia personale sul tipo delle parrocchie nazionali create negli Stati Uniti.
Le cappellanie curate sono parrocchie che hanno un clero stabile, un cappellano, colui che si
prende cura del popolo di Dio. Hanno una caratteristica, vengono riconosciuti dal parroco locale e
hanno lo stesso significato che in America hanno le parrocchie nazionali. Veniva garantito il
servizio religioso in italiano.
Anche in Brasile nascono le cappellanie curante che sono dei centri dove gli italiani sono in
maggioranza o sono l’unica presenza. Le cappellanie curante sono delle chiese, dei luoghi di
preghiera.
La vita religiosa, soprattutto dove la Congregazione scalabriniana riesce a collocare i suoi religiosi, i
suoi sacerdoti, al sud del Brasile, si sviluppa attraverso una struttura molto semplice: un parroco
(missionario, sacerdote), fratelli laici, verso la fine del Novecento arrivano le suore scalabriniane
che svolgono tutto una serie di servizi che affiancano il culto divino.
Accanto alle cappellanie curanti, vengono costruite anche le scuole elementari (abecedaria), viene
insegnato il portoghese come lingua di comunicazione ma anche l’italiano per preservare il senso
nazionale. Si insegna tutto ciò che serve a salvaguardare l’identità nazionale.
Per queste aggregazioni caratterizzate dalle comunità di italiani soprattutto provenienti dal nord,
gli scalabriniani elaborano una pastorale ad hoc con lo scopo di salvaguardare le radici delle
popolazioni, la fede religiosa, le radici nazionali, l’identità etnica.
La pastorale va a proporre le forme e le caratteristiche della vita religiosa e dell’esperienza di fede
che gli italiani avevano vissuto prima di partire.
Non è un caso che fin dall’edilizia delle chiese, che i missionari guidano e coordinano, lo sforzo è
quello di riproporre l’architettura, gli arredi, l’iconografia sacra. Si ripropone quell’insieme di
caratteristiche architettoniche tipiche italiane, affinché gli emigrati possano rivivere e ritrovare
quello che ha lasciato in Italia. Sembra di ritrovare un pezzo di Italia in un mondo lontanissimo.
Siamo di fronte ad uno sforzo massiccio di edificare una chiesa che ha le stessa fattezze di quelle
del veneto, Lombardia, Piemonte etc. con il campanile, le pitture, i quadri, gli affreschi, la
disposizione, il culto degli stessi santi del posto di origine.
Domanda: le caratteristiche della pastorale Scalabriniana nelle chiese Brasiliane.
Si trovano tutta una serie di attività, servizi religiosi che in qualche modo richiamano l’Italia:
- vengono create le confraternite laicali, aggregazioni che favoriscono la partecipazione dei
cattolici nei periodi forti, coinvolgono direttamente la comunità, dirette da un laico e dei
suoi aderenti.
- Le chiese si fanno promotrici di una celebrazione in una forma solenne del Patrono del
posto di provenienza, si sottolinea l’importanza del culto religioso, contadini che vivono
tutti i giorni al contatto con il lavoro agricolo, con questa festa si assiste ad un trionfo della
chiesa, della dimensione religiosa.
- Le scuole di catechismo che aggregano tutti i bambini del centro rurale.
- Il rosario
- Utilizzare sistematicamente il dialetto a seconda dei paesi, delle aggregazioni, sia nella
predicazione sia nella catechesi consente un rapporto molto diretto, una grande possibilità
di parlare la lingua di origine.
- La confessione frequente
- Sacramenti forti, battesimo, matrimonio, estrema unzione etc.
Siamo di fronte ad una pastorale tridentina, centrata sulla parrocchia, che vede il parroco al
centro. Siamo di fronte ad una realtà sorprendente nei territori brasiliani troviamo una chiesa
analoga per dimensioni, caratteristiche, organizzazione, visione pastorale a quelle delle realtà
rurali dell’Italia Settentrionale. Una pastorale in cui il parroco e la parrocchia costituiscono il
principale punto di riferimento per tutti gli aspetti della vita comunitaria.
Spesso il parroco svolge una funzione di garante nei confronti delle autorità costituite, sono le sue
dichiarazioni a far fede di fronte all’autorità brasiliana.
Le case di risparmio sono strumenti per consentire il credito a chi lavora il campo, la terra. Creare
le case di risparmio significa salvaguardare i risparmi delle popolazioni e salvaguardare la
possibilità di investimenti nella produzione agricola.
Come succede anche in Italia, la maggior parte dei fondatori delle case di risparmio sono i parroci.
Il parroco è l’unico soggetto che ha studiato e ha una cultura; quindi, è l’unico che può organizzare
le realtà complesse, come una struttura bancaria.
La maggior parte della popolazione ha un’istruzione elementare, raramente si incontrano
immigrati contadini con un’istruzione medio-superiore.
Il parroco si fa promotore delle cooperative agricole, per lavorare la terra insieme, per creare
strumenti comuni per un migliore sviluppo agricolo.
La creazione di scuole maschile e femminile, spesso nascono per volontà del parroco e sono poi
affidate alle suore.
Nello sforzo di salvaguardare la dimensione etnica (il sentimento nazionale della patria che si è
lasciata) e la dimensione religiosa, i parroci molto spesso creano in questi piccoli centri agricoli che
sono destinati a costruire dei veri e propri paesi, dove le lingue, i dialetti sono fondamentali a
conservare l’origine italiana. I parroci costruiscono un organo di comunicazione, di stampa nelle
lingue italiane, veneta, longobarda.
Siamo di fronte ad una presenza molto forte, marcata che ha tra le sue modalità quella di
riproporre la vita comunitaria sotto il profilo religioso tipica che gli immigrati hanno lasciato nel
paese di origine, mantenere gli usi, costumi tradizionale, salvaguardare le tradizioni domestiche
(alimentari).
Titolo: “Per conservare la fede dei padri”
Il testo è la presentazione di un libro destinato a diventare famosissimo in America Latina che è La
Guida spirituale per l’emigrato italiano nella America del sacerdote scalabriniano Pietro
Colbacchini tra animazione religiosa e promozione di un nuovo sentimento della cittadinanza. È
un testo in lingua italiana che è stato utilizzato dal Brasile al Argentina, Messico, Colombia,
America Meridionale, Centrale fino agli Stati Uniti. Pensato per gli immigrati italiani in America e
sarà guida fondamentale fino agli anni ’30, ’40. È un libro che in Italia non ha nessuna circolazione
proprio perché è stato pensato per l’America.
Colbacchini opera, si muove all’interno della pastorale religiosa di Scalabrini ma aggiorna questa
visione alle nuove sfide, alle nuove esigenze.
Pietro Colbacchini non nasce scalabriniano ma nasce sacerdote e la sua carriera è la stessa carriera
di tanti sacerdoti italiani che a un certo punto si ritrovano ad operare nel continente americano.
Attraverso lui scopriamo un modus operandi, un processo che porterà tanti sacerdoti, religiosi
italiani nel nuovo continente a sostegno delle attività, iniziative delle popolazioni emigrate.
Nel febbraio del 1887, lo abbiamo già più volte ricordato, il vescovo di Piacenza mons. Giovanni
Battista Scalabrini fondava l’istituto religioso dei Missionari di San Carlo «per l’assistenza spirituale
degli italiani emigrati nelle Americhe» il cui scopo precipuo avrebbe dovuto essere quello «di
mantenere viva nel cuore dei nostri connazionali emigrati la fede cattolica e di procurare quanto è
possibile il loro benessere morale, civile ed economico».
Nel 1895, lo stesso Scalabrini, in collaborazione con i religiosi padre Giuseppe Marchetti e madre
Assunta Marchetti dava vita ad un secondo istituto religioso, quello delle Suore Missionarie di San
Carlo Borromeo-Scalabriniane destinato ad affiancare e ad integrare l’operato del primo nel
campo della pastorale degli emigrati italiani nel continente americano.
L’obiettivo delle lezioni è di ripercorrere la genesi e le caratteristiche di un’importante e assai
diffusa operetta religiosa e devozionale ad uso popolare:
 la Guida spirituale per l’emigrato italiano nella America data alle stampe a Milano sul finire del
1896 dal religioso veneto padre Pietro Colbacchini.
Attraverso quest’opera possiamo cogliere gli orientamenti e il ruolo esercitato dagli Scalabriniani
nella predisposizione di moderni strumenti (destinati ad affrontare situazioni nuove che in passato
non si erano poste) di animazione pastorale e di educazione religiosa e civile per gli italiani
emigrati all’estero.
In una relazione inviata il 12 agosto 1900 al card. Mieczyslaw Ledòchowski, prefetto della Sacra
Congregazione di Propaganda Fide mons. Giovanni Battista Scalabrini rendeva noto l’esito di un
concorso da lui stesso bandito qualche tempo prima per la realizzazione di un «manuale o guida
spirituale dell’emigrante italiano in America» il quale avrebbe dovuto costituire un efficace ausilio
per l’opera pastorale e religiosa esercitata dagli Scalabriniani nel continente americano e
«contribuire al benessere materiale e, molto più, al vantaggio spirituale de’ nostri connazionali
emigrati»
Siamo all’inizio del ‘900 e Scalabrini comunica che ha avviato un bando per disporre di una
manuale o guida spirituale degli emigranti del America che accompagni e curi la formazione, la vita
religiosa, l’esperienza quotidiana con la fede.
L’idea nasce da Scalabrini: attraverso un concorso si deve trovare un soggetto preparato e
cosciente che scriva una guida che possa poi costituire un efficace ausilio, uno strumento a tutti gli
effetti per l’opera pastorale e religiosa esercitata dagli Scalabriniani.
Tredicesimo di 17 figli, Pietro Colbacchini (missionario Scalabriniano) nasceva a Bassano, in
provincia di Vicenza, l’11 settembre 1845 da una famiglia di proprietari terrieri (mondo agricolo,
rurale).
Entrato nel 1857 nel seminario vescovile di Vicenza, vi compì gli studi ginnasiali e,
successivamente, si trasferì a Padova e qui, nel locale seminario ecclesiastico, ricevette la
formazione liceale.
Nel 1862 presenta l’istanza di entrare a far parte della provincia veneta della Compagnia di Gesù e
nel novembre dell’anno seguente il giovane cominciò a frequentare il noviziato della Compagnia di
Gesù a Verona, all’interno di una terra ancora appartenente all’Impero austriaco.
Nel dicembre 1865 egli dovette tuttavia abbandonare la compagnia di Gesù e fare ritorno a
Bassano per curare una grave forma di anemia, la quale l’avrebbe accompagnato per l’intera
esistenza.
Rientrato successivamente nel noviziato della Compagnia di Gesù ebbe diverse ricadute della
malattia al punto da essere costretto a rinunciare in via definitiva al proposito far parte della
Compagnia di Gesù.
Nel seminario vescovile di Vicenza completò gli studi ecclesiastici e fu ordinato sacerdote il 19
dicembre 1868, all’età di 23 anni.
Fin dall’inizio della sua esperienza sacerdotale don Pietro Colbacchini si mise in luce per l’intensa
spiritualità e per il vigoroso impegno sul versante pastorale e della cura delle anime (cura
animarum come secondo la visione tridentina del Consiglio di Trento, un pastore dedito
soprattutto agli sacramenti, alla mesa, all’animazione religiosa delle popolazioni).
La stessa scelta di Colbacchini di entrare nella Compagni di Gesù testimonia questo spirito molto
intenso e vivo per la vita pastorale.
Nel 1874 intraprende l’attività di missionario apostolico, nel Veneto dell’epoca non c’erano sono le
parrocchie, ma esistevano anche le missioni speciali per intensificare la vita religiosa venivano
create le missioni pastorali. I missionari apostolici erano un gruppo di sacerdoti specializzati in
questa cura pastorale.
Più tardi viene nominato rettore della Chiesa di S. Corona a Vicenza, e nel 1879 viene chiamato a
ricoprire l’incarico di arciprete di Cereda, arciprete vuol dire parroco con una parrocchia
particolare per le dimensioni importanti.
Tutto lasciava presagire per il giovane sacerdote un’ordinaria e tranquilla carriera come pastore
d’anime in una delle tante parrocchie della diocesi e se avesse proseguito questa carriera,
Colbacchini sarebbe divenuto parroco in città a Vicenza o magari vescovo.
Colbacchini è animato da uno spirito di avventura come molti religiosi all’epoca.
È lo stesso don Pietro Colbacchini a ripercorrere l’origine della sua ‘conversione’ alla cura religiosa
degli italiani emigrati in America in un memoriale inviato nel giugno del 1889 all’internunzio
apostolico per il Brasile mons. Francesco Spolverini: egli racconta come ad un certo punto,
improvvisamente la sua vita cambia completamente perché incontra una realtà diversa.
Maturata la decisione di impegnarsi nell’assistenza religiosa e nella cura pastorale degli italiani
emigrati all’estero, don Pietro Colbacchini stabiliva i necessari contatti ed avviava i preparativi per
il suo trasferimento nel continente americano: andò a trovare Don Bosco (fondatore dei salesiani),
ma Colbacchini non si riconosce nei principi salesiani fondato da Don Bosco e non aderisce. Ma il
suo progetto fu comunque accettato.
Approdato nel 1885 sulle coste brasiliane al termine di un lungo e travagliato viaggio in mare don
Pietro Colbacchini si recò subito a visitare il vescovo di São Paulo, mons. Lino Deodato Rodrigues
de Carvalho per presentare le sue credenziali ed ottenere l’autorizzazione ad esercitare il
ministero pastorale in diocesi e qui ebbe modo di riscontrare per la prima volta le crescenti
diffidenze e contrarietà nutrite da una parte rilevante della gerarchia episcopale e del clero
brasiliani nei riguardi dei sacerdoti provenienti dall’Europa, e in particolare dall’Italia, per
occuparsi degli immigrati: dopo il lungo viaggio non trova un’accoglienza calda, e nasce da subito
una concorrenza, rivalità che nel tempo si farà sempre più accentuata.
In seguito, il sacerdote italiano ottenne finalmente di essere ricevuto in udienza dall’ordinario
locale e di vedersi assegnato un primo incarico pastorale: alla fine il vescovo di Sao Paulo accetta di
darle un carico pastorale. Il rapporto risulta molto delicato, difficile, così inizia l’esperienza
pastorale di Padre Colbacchini in terra brasiliana.
L’atteggiamento tenuto dal vescovo di São Paulo nei riguardi di don Pietro Colbacchini rifletteva il
forte disagio e la crescente diffidenza nutriti dalle gerarchie episcopali e dal clero brasiliani nei
riguardi dei sacerdoti e religiosi giunti in Brasile al seguito degli immigrati italiani e degli altri paesi
del vecchio continente.
Un disagio e una diffidenza alla radice dei quali si ponevano due modelli di Chiesa e due concezioni
della pratica pastorale e dell’esercizio della cura animarum radicalmente diversi.
Due concezioni frutto delle peculiari esperienze che avevano caratterizzato
- il radicamento e lo sviluppo del cattolicesimo nei territori coloniali dell’America latina a
partire dal secolo XV;
- e le altrettanto particolari condizioni geo-politiche e socio-economiche che
contrassegnavano gli enormi territori del Brasile e dell’Argentina.
La Chiesa faceva sostegno di questo intervento statale, coloniale e in qualche modo si imponeva
attraverso le armi delle forze portoghesi o spagnoli. È una chiesa molto legata ai governi coloniali
ed è una chiesa che ha le attività pastorali minimali, impartisce i sacramenti, esercita la mesa, ma
non ha un vero e proprio contatto con le popolazioni. È una chiesa che spesso reprime le forme
non cattoliche di culto e tende a sopprimere completamente in maniera violenta e rigida tutte le
religioni preesistenti.
Siamo di fronte a due realtà che si contrappongono.
A fronte della concezione tipicamente tridentina del ministero sacerdotale, che accomunava tanta
parte degli ecclesiastici e religiosi provenienti dall’Italia e da altri paesi del vecchio continente e
rifletteva un ideale pastorale il quale aveva il suo luogo deputato nella parrocchia e i suoi cardini
nella pratica liturgica e devozionale, nella dispensa dei sacramenti e nella catechesi ed educazione
cristiana del popolo di Dio si poneva il differente ideale sacerdotale e modello di vita ecclesiastica
 che il patronato regio, istituito nei secoli precedenti nei domini coloniali portoghesi e spagnoli
dell’America latina aveva contribuito a radicare in Brasile e in Argentina.
Il patronato regio – lo stato coloniale portoghese, spagnolo, brasiliano, esercita un patronato, la
chiesa è sottomessa al governo civile, al governo statale, quindi si plasma sulle esigenze del
governo.

09/11/2021

Il problema non riguarda tanto il singolo vescovo, il singolo sacerdote brasiliano, il problema
riguarda lo scontro fra due modelli di chiesa, fra due modelli di impegno religioso, quello europeo
modellato sul Concilio di Trento (forte impronta pastorale) e quello brasiliano legato all’esperienza
coloniale (sacerdoti, vescovi come funzionari statali).
Colbacchini è incaricato di svolgere la funzione di parroco nella colonia italiana di Monserrate,
parrocchia di Joundhiay, e ha il modo di stabilire i primi contatti con la comunità degli immigranti.
Siamo di fronte ad una realtà dove davvero le necessita sono enormi.
Il 24 maggio 1886 il sacerdote veneto giungeva a Curitiba, il capoluogo di quella che era allora la
provincia di Paranà, nell’arco di pochi mesi dà vita ad una serie di iniziative destinate a suscitare
ampi consensi tra le popolazioni italiane, imprime un nuovo corso della vita religiosa.
Il carteggio intrattenuto in questo periodo da Don Pietro Colbacchini con l’internunzio
(ambasciatore che svolge il suo ruolo non solo in Brasile ma anche in altri paesi dell’America
Latina) per il Brasile mons. Francesco Spolverini (rappresentante della Santa Sede in questi
territori) e con taluni ecclesiastici e religiosi in Italia ci consente di cogliere i più rilevanti problemi
vissuti dalla comunità emigrati in Brasile. Fino adesso si è visto il desiderio di creare, di costruire,
de dare lo spazio a quelle che sono le comunità cristiane create con l’emigrazione italiana.
In una lettera del giugno 1886 a don Domenico Mantense, parroco di Poianella (Vicenza),
Colbacchini tracciava un quadro assai problematico della situazione religiosa in cui versano gli
emigrati italiani.
Invece in un'altra lettera, Colbacchini richiede una urgenza di essere aiutato, una richiesta di
supporto da parte della Confraternita, spiega che non riesce a far fronte ai tanti bisogni
nonostante l’impegno.
Il progetto che Colbacchini concepiva era di dare vita ad una Congregazione religiosa, destinata a
farsi carico dei bisogni spirituali e della cura pastorale degli immigrati italiani in Brasile. È un’idea
che in questo periodo prenderà molti sacerdoti e li spingerà a cercare di realizzare.
Da un lato Colbacchini cerca di chiamare altri sacerdoti veneti, antichi colleghi di seminario,
dall’altro si rende conto che per un lavoro sistematico, un singolo sacerdote o qualche sacerdote
sparso non sarebbe adeguato, c’è bisogno di un impegno più organico, quindi pensa ad una
Congregazione religiosa.
Presto Colbacchini si rende conto che esistono già delle Congregazioni religiose che svolgono la
stessa azione, hanno le stesse finalità.
Progetto del quale il sacerdote veneto dava conto in una lettera inviata a don Domenico Mantese
nel febbraio del 1887. In essa Colbacchini forniva un quadro preciso delle sue intenzioni: pensa ad
un istituto religioso che si faccia carico dei missionari italiani e che riformi dall’interno anche la
chiesa brasiliana.
Colbacchini lascia il suo progetto iniziale e scrive a Scalabrini il 26 ottobre 1887, comunicando la
sua piena e convinta adesione all’iniziativa. Da parte dell’istituto Scalabriniano, avere una persona
conoscitore come Colbacchini della parte centrale e nord del Brasile è sicuramente un punto di
forza.
Colbacchini e il fondatore Scalabrini sono due personalità molto forti, entrambi hanno un’idea
precisa e un’esperienza pastorale importante, non arriveranno mai allo scontro ma certamente la
corrispondenza tre le due figure vede il tentativo, lo sforzo a trovare dei punti di accordo.
Nell’agosto del 1888, Pietro Colbacchini entra a far parte ufficialmente dall’istituto dei Missionari
di San Carlo per l’assistenza religiosa agli emigranti italiani in America. Si costituisce il primo nucleo
della congregazione missionaria scalabriniana.
Attraverso le lettere, Colbacchini, informava Scalabrini del notevole lavoro religioso e delle
molteplici iniziative avviate sul versante pastorale. Presenta un quadro di lavoro, impegno
massiccio, un lavoro sistematico che in qualche modo consente l’assistenza alle varie comunità
sparse sul territorio brasiliano.
Il 15 dicembre 1888, Padre Colbacchini presentava un articolo piano per l’istituzione di una e vera
proprio “Cappellania Curata nelle Colonie Italiane del Paranà. Progetto preciso, dare una struttura
specializzata per consentire un servizio più efficace. Questo progetto viene presentato al vescovo
di Sao Paulo, mons. Lino Deodato Rodriguez.
Questo progetto si scontra almeno all’inizio con le diffidenze del vescovo di Sao Paulo. La
situazione migliora gradualmente, il vescovo di Sao Paulo autorizza in via sperimentale il progetto.
La creazione di una parrocchia nazionale che consente di operare in tutto lo stato di Paranà.
Il 1888-1889 la situazione dell’emigrazione italiana in Brasile risente trasformazioni prodotti dai
radicali mutamenti politici e sociali introdotti nel paese:
- L’abolizione della schiavitù, maggio 1888 fece si che l’emigrazione italiana in Brasile,
destinata in larga misura a sostituire gli schiavi impiegati nelle grandi piantagioni di caffè
dell’area paulista.
- L’istituzione, dopo il colpo di stato del 15 novembre 1889 che portò al crollo dell’impero di
Pedro II, del regime repubblicano.
Siamo in una fase effervescente, il quadro sta mutando, si cambiano gli scenari.
Nel 1889 il numero degli italiani immigrati in Brasile superò per la prima volta le centomila unità,
raggiungendo nel 1901 la quota di 132 mila nuovi immigrati. Che poi comporterà ulteriori bisogni e
difficoltà.
Politicamente sta cambiando tutto, la repubblica che sta nascendo è laicista, sta cambiando lo
scenario ideologico. La massa di emigrati che arrivano non viene compensata.
Colbacchini fornisce alcune risposte:
- Fornisce un quadro realistico e circonstanziato dalle molteplici situazioni ed esperienze;
- La condizione economica, spirituale degli immigranti italiani in Brasile è molto precaria.
La tipologia che secondo Colbacchini ha un futuro e quella del Sud del Brasile dove prevale la
piccola proprietà che viene concessa dallo Stato.
Il tipo di lavoro nelle fazendas è un lavoro precario, non garantisce un futuro, si spinge la
popolazione italiana verso il sud, per il lavoro della terra. L’intento è trasformare l’italiani in piccoli
proprietari terrieri al sud.
Il Brasile è l’opposto dell’Italia, in Brasile, il nord è molto più povero.
La riflessione di Colbacchini nasce quale impegno religioso, quale cura pastorale nel supporto delle
colonizzazioni agricole.
Il modello di attività pastorale introdotto da padre Colbacchini e dagli scalabriniani nel Paranà
sarebbe stato esteso anche alle colonie presente in altre aree del Brasile meridionale, come nel
caso del Rio Grande do Sul.
La scelta di padre Colbacchini e dei suoi confratelli è di concentrarsi il proprio impegno pastorale e
religioso:
- sulle colonie d’immigranti sorte nelle aree agricole degli Stati del Sud (Rio Grande do sul)
- piuttosto che sui nuclei d’italiani impiegati come salariati nelle grandi piantagioni di caffè
degli Stati centrali di Sao Paulo, Minas Gerais ed Espirito Santo.

15/11/2021
- o sulle pur consistenti e variegate comunità d’immigranti stabilitesi nella capitale e nei
grandi centri urbani del Brasile.
Gli scalabriniani guardano al modello rurale (Veneto e Lombardia), come un modello
privilegiato.
Le colonie costituite dagli emigrati provenienti dalla Lombardia spesso vivano la dimensione
religiosa in maniera non drammatica, ma serena, ma anche la vita comunitaria.
Padre Colbacchini evidenzia il caso positivo delle colonie agricole costituite da immigrati
provenienti in larga maggioranza dalla medesima regione e accomunate, assai spesso, da un
vigoroso sentimento religioso e da un altrettanto saldo spirito identitario.
L’isolamento delle comunità di italiani costituisce un modo a parte all’interno della realtà
presenta. Il primo problema sarà quello di fare i conti con un’integrazione che appare necessaria.
Le colonie rurali d’immigrati italiani, sorte spontaneamente o per iniziativa del governo brasiliano
negli Stati del Sud e caratterizzata in larga misura da famiglie provenienti dalle regioni quali il
Veneto, la Lombardia.
In Brasile ci sono forme di organizzazioni religiose che in Italia sorsero nel 800’ e che ormai non
esistono più.
Alla metà degli anni 90’ del ‘800, dopo una lunga e impegnativa attività missionaria in Brasile,
Colbacchini ritorna in Italia dall’agosto 1895 all’ottobre 1896. In questo periodo che egli si dedica
alla stesura di una serie di operette devozionali. È un anno fondamentale.
Tra le operette devozionali scrisse un originale manuale di pietà destinato principalmente agli
italiani emigrati oltreoceano. Viene pubblicato in lingua italiana, è un testo che in Italia non avrà
grande importanza perché era destinato proprio agli emigrati che conoscono bene la realtà
dell’oltreoceano. Il testo verrà diffuso tra le comunità di immigranti in America Latina. Sarà un long
seller.
Nell’agosto dello stesso 1896, padre Colbacchini faceva ritorno in Brasile, ove sarebbe morto il 30
gennaio 1901, all’età di 56 anni.
Genesi di Un manuale di pietà
Il primo riferimento alla stesura del libro:
- in una lettera di padre Colbacchini a mons. Scalabrini nel marzo 1895
In essa il religioso veneto annunciava la volontà di predisporre per gli italiani immigrati nel
continente americano un manuale di pietà che contenesse anche percetti morali e norme di
comportamento, tali da costituire una sorta di guida per la vita di tutti i giorni.
Colbacchini al pari di tanti fondatori/religiosi è convinto che non c’è frattura tra l’anima civile e
quella religiosa e si deve comporre un’unità che è data proprio dai valori cristiani perché il buon
cristiano non può non essere anche un buon cittadino rispettoso delle leggi e dei valori che
sostengono a quella che è la vita comunitaria.
Nei mesi seguenti la stesura dell’operetta devozionale procedette lentamente anche perché
Colbacchini dovette fare i conti anche con la sua condizione fisica che peggiora.
L’amore per la patria secondo il vescovo di Piacenza andava pari passo con l’amore per la
religione.
Una diversità di vedute tra padre Colbacchini e mons. Scalabrini in materia di rapporti tra religione
e patria, fede, e identità nazionale destinata a non avere ripercussioni sul particolare rapporto di
stima e di fiducia e a non influire in alcun modo sul giudizio formulato dal presule lombardo nei
riguardi dell’opera, siamo di fronte ad una distinzione di posizioni.
I primi di aprile 1896 mons. Scalabrini manifestava la più ampia e convinta approvazione per
l’opera.
Si era all’inizio di un processo destinato a fare della Guida spirituale una sorta di long-seller ovvero
il più noto e diffuso manuale di riferimento per la vita religiosa e civile degli italiani all’estero in
circolazione.
Negli anni seguenti l’opera del padre Colbacchini avrà una notevole fortuna nonostante fosse
scritto in italiano.
Obiettivi e finalità:
- l’opera può essere assimilata, sotto certi aspetti, alla gran messe di testi di stampo
catechetico, agiografico (servono come modelli posti alla disposizione dei credenti per
prendere esempio e imitazione della vita dei santi) e devozionale fioriti nella penisola nel
corso dell’Ottocento.
Ossia al variegato filone di trattatelli, opuscoli, operette:
- destinati principalmente alla gioventù e agli adulti d’ambo i sessi e di diversa condizione
sessuale.
- Incentrati essenzialmente
- Scritte con un linguaggio piano di veste tipografia e editoriale modesta di costo sovente
irrisorio, che consente una grande diffusione.
Queste opere hanno conosciuto nella penisola, anche dopo l’unificazione nazionale, e almeno
fino alla Prima guerra mondiale, una diffusione e una circolazione straordinaria.
un tipo di pubblicazione di poche pretese:
- Tra i suoi autori vescovi, parroci e sacerdoti in cura d’animo, religiosi, esponenti del laicato
cattolico
- destinata a rivolgersi ad un pubblico di lettori molto variegato con una visione
interclassista, dal mondo contadino a quello urbano delle famiglie artigiane e della piccola
e media borghesia degli impieghi e del commercio.
Opere che intendeva fornire ideali e modelli di comportamento:
- indicazioni e suggerimenti di carattere pratico/operativo circo il modo più idoneo di
assolvere i doveri della vita cristiana e di esercitare le pratiche religiose;
- indicazioni su come agire ed operare quotidianamente in famiglia, a scuola e nei luoghi di
lavoro
Finalità propugnate anche della Guida Spirituale:
L’opera di padre Colbacchini, tuttavia, pur presentando non pochi legami e affinità con il ricco e
fortunato filone delle operette devozionali era destinata a rivestire un ruolo particolare, in quanto
rivolta esclusivamente ai «coloni italiani nell’America»
La Guida Spirituale si articola:
- in un proemio e in 18 capitoli dedicati a tematiche e questioni squisitamente religiose e
devozionali
- mescolate ad altre, di stampo precettistico, concernenti la condotta morale, le norme per
preservare l’igiene e la salute, il modo di contenersi nei rapporti civili, sociali e nelle attività
economiche e professionali.
- Al termine c’erano una serie di appendici dedicati alle “Devozioni raccomandate” alla “Via
Crucis”, alla “Devozione a S. Giuseppe” oltre ad una raccolta di “Lodi Spirituali” e ad un
“Prospetto di Dottrina Cristiana”.

La Guida Spirituale si rivolge non soltanto agli emigrati ma anche agli soggetti che vivono in
solitudine e sperimentano spesso la mancanza di una pratica religiosa in comunità.
Colbacchini ha presente soprattutto la realtà brasiliana delle colonie agricole.
Un dato è chiaro si è passato da una situazione insostenibile che ha portato le persone ad
abbandonare il paese di origine ad una situazione che mira a migliorare le condizioni esistenziali.
Colbacchini ha chiaro il modello in cui operare (sud Brasile) e viene proposto nell’introduzione
(saluto al lettore).
Il grande rischio che adesso vivono i lettori in Brasile, gli altri paesi, una volta superati le
vicissitudini della partenza, dell’abbandono della patria, dell’ambientazione in un mondo diverso
non è più quello dello sradicamento ma è quello di un benessere che porta tendenzialmente la
tentazione a mettere in secondo piano la fede. L’autore si rivolge essenzialmente non ad un
generico di immigranti italiani in America, ma alle popolazioni contadine originarie soprattutto del
Veneto, Trentino, Lombardia che si ritrovano in una realtà diversa.
Principali interlocutori della sua opera sono soprattutto i miseri braccianti e di modesti “fittavoli”
(affittano la terra) giunti in America a costoro occorreva fornire gli strumenti per conservare ed
accrescere la fede. “praticare gli atti della religione” e “diportarsi da buoni cristiani” in famiglia, nel
lavoro e nelle vicissitudini della vita quotidiana.
Lo scopo della Guida spirituale nella quale si rifletteva ampiamente il modello di cura pastorale
adottato da padre Colbacchini e dagli altri religiosi scalabriniani in Paranà e nelle altre regioni del
Brasile.
Siamo di fronte ad un testo che è apprezzato in tutta l’America Latina, Settentrionale e Centrale
ma che riflette il modello religioso e pastorale che Colbacchini aveva conosciuto bene e che aveva
solidificato.
La distribuzione dei diversi capitoli della Guida spirituale del padre Colbacchini non obbedisce,
almeno in apparenza, ad un determinato ordine logico né sembra essere il frutto dell’adozione di
un qualche criterio gerarchico nella disposizione degli argomenti da trattare. Essa riflette il modo
di argomentare impulsivo e passionale dell’Autore come se si trattasse di una serie di esortazioni
e raccomandazioni finali formulate a braccio, dal pulpito della Chiesa, ai propri parrocchiani
I capitoli:
gli orientamenti morali e religiosi della Guida Spirituale:
- di aiutare i lettori a conservare ed accrescere la fede, molto materiale, gesti esteriori
- “praticare gli atti della religione”
- “diportarsi da buoni cristiani” in ciascun momento della loro giornata. Cattolicesimo molto
concreto e pratico, ha bisogno del momento religioso comunitario.
Ampio capitolo dedicato ad “eccitare alla pratica della preghiera i buoni italiani”
Sulla scia di S. Alfonso Maria de’ Liguori, del quale era richiamato a bella posta il celebre monito
“chi prega si salva, chi non prega si danna”. Padre Colbacchini sottolineava come la vita del
cristiano dovesse essere, a tutti gli effetti, “vita di unione con Dio”, e come praticarla come singolo
e come religiosità comunitaria.
La preghiera individuale e collettiva espressa dal singolo e dall’intera comunità al pari di quanto si
realizzava quotidianamente e da secoli nelle campagne venete, trentine e lombarde avrebbe
dovuto scandire il tempo delle comunità di connazionali trapiantate in America.
Tra il tempo scandito delle campane della Chiesa e quello delle comunità rurali, per dirla con
Jacques Le Goff, che sola, a detta di padre Colbacchini, avrebbe reso possibile “la salvezza delle
anime e il progresso della religione”. Quella sintonia che per Colbacchini e la sola che può salvare
l’anima delle persone.
Sulla stessa linea si pongono altri capitoli successivi:
- Alla santificazione della fede religiosa
- Alle preghiere che i fedeli erano chiamati a recitare per seguire
- Alla frequenza dei sacramenti della confessione e della comunione
Allo scopo di rinvigorire la pietà religiosa dei singoli individui e dell’intera comunità, padre
Colbacchini esortava i lettori a praticare frequentemente frequentemente quelle devozioni che,
come nel caso dell’«esercizio della Via Crucis», avevano il grande merito di rammemorare al
cristiano il sacrificio della Croce.
Allo stesso modo, egli raccomandava di non trascurare le letture spirituali.
Una concezione pastorale e spirituale di stampo benignista e antirigorista, modellata
sull’insegnamento dei grandi santi dell’epoca moderna.
Colbacchini era animato da una visione tipicamente tridentina del ministero sacerdote e delle
responsabilità derivanti dalla cura animarum e intese promuovere, attraverso la sua Guida
spirituale la definitiva liquidazione dell’austera spiritualità di matrice rigorista tipica del
Settecento.
16/11/2021

Tutto ciò attraverso il ricorso ad una concezione pastorale nutrita dagli scritti di San Filippo Neri, S.
Francois De Sales, nella quale si riflettevano motivi di bellezza, dolcezza, l’amorevolezza, la
benignità propri della prospettiva spirituale di quegli autori.
L’immagine (visione tridentina) che torna costantemente nelle pagine della Guida Spirituale:
- È quella di una pastorale che ha il suo centro e il suo cuore pulsante nella parrocchia o nella
chiesa del villaggio
- E i suoi cardini nella pratica liturgica e devozionale, nella dispensa dei sacramenti e nella
catechesi ed animazione del popolo di Dio.
È una pastorale che si rivolge ad una popolazione di coloni italiani stabilitasi definitivamente in
America e alle prese con le nuove sfide morali e spirituali e alle prese con le nuove sfide morali e
spirituali derivanti dall’indubbio miglioramento delle condizioni di vita e dal crescente benessere
raggiunto.
Per fronteggiare le molteplici “occasioni di peccato” e i gravi rischi morali ai quali erano esposti «gli
italiani nelle Americhe»
- si rendeva necessario promuovere ed alimentare tra i fedeli delle colonie una pietà
religiosa semplice ma robusta e pienamente interiorizzata
- capace di orientare responsabilmente i comportamenti d’ogni giorno e le piccole e grandi
scelte individuali e collettive
- come anche di sopperire alle molteplici difficoltà e alle gravi e inedite minacce
caratteristiche dell’ambiente americano
L’idea di fondo era l’idea antica del cristianesimo, a cavallo dell’Ottocento si ripropone anche per
le popolazioni di immigranti.
Di fronte a quelli che sono i pericoli, definiti da Colbacchini come “pericoli antichi e nuovi” che
minacciano la sincerità della fede:
- si rendeva necessario promuovere ed alimentare tra i fedeli delle colonie una pietà
religiosa semplice ma robusta e pienamente interiorizzata
- capace di orientare responsabilmente i comportamenti d’ogni giorno e le piccole e grandi
scelte individuali e collettive
- come anche di sopperire alle molteplici difficoltà e alle gravi e inedite minacce
caratteristiche dell’ambiente americano
Si tratta di un testo che era necessario e di quale si sentiva la mancanza ai fini di un’animazione
religiosa della quotidianità. Colbacchini sviluppa una nuova concezione del rapporto di
cittadinanza, un nuovo sentimento della cittadinanza.
“Formare una sola società e col tempo una sola nazione”: la costruzione di un nuovo sentimento
della cittadinanza nella Guida spirituale di Padre Colbacchini. Accanto ai capitoli dedicati a
tematiche di carattere squisitamente religioso e devozionale la Guida spirituale del padre Pietro
Colbacchini ne comprendeva altri incentrati sui rapporti civili e sociali e sulle attività economiche e
professionali.
Un interesse particolare riveste la trattazione della complessa e controversa questione
dell’integrazione o meno degli emigrati italiani in America con la cultura e la lingua del paese che li
ospitava.
La questione che era già stata oggetto di un pacato confronto nel corso della stesura dell’opera tra
l’autore e mons. Giovanni Battista Scalabrini. In qualche misura Colbacchini mette in discussione
uno dei cardini della visione di Scalabrini.
In qualche misura Scalabrini era persuaso che con lo smarrimento del “sentimento nazionale” i
“poveri emigranti” avrebbero finito con il perdere anche “il sentimento della Cattolica fede” e,
dunque, aveva sollecitato a più riprese i suoi religiosi a tenere vivi, nella coscienza degli emigrati
l’amore per la patria d’origine e il sentimento d’italianità.
La conservazione dei caratteri etnico-culturali originari inclusa la lingua materna, la storia degli
eroi, tutto quello che apparteneva al paese che stavano lasciando. Questo costituiva, per
Scalabrini, una sorta di garanzia che coloro i quali lasciavano l’Italia avrebbero mantenuto la fede
religiosa così tenacemente legata alle tradizioni e ai valori della comunità di provenienza e così
grandemente minacciata nelle nuove realtà culturali e nei contesti nazionali di approdo dei
migranti.
Nella lettera già ricordata, inviata nel febbraio del 1896 al vescovo di Piacenza, padre Colbacchini si
era mostrato tutt’altro che favorevole alla rivendicazione di una pastorale religiosa incentrata sulla
difesa dell’italianità e sulla salvaguardia dell’identità nazionale delle popolazioni emigrate dalla
penisola.
La posizione espressa nella Guida Spirituale si poneva in netta contrapposizione nei riguardi di una
pastorale religiosa orientata in senso etnico o impegnata a dare particolare significato alla
dimensione ‘nazionale’ ed eccessivo risalto al legame dei singoli emigrati e delle intere comunità di
italiani all’estero nei confronti della madrepatria.
Colbacchini non vuole rovesciare del tutto o negare l’importanza di questa tradizione, vuole
soltanto definire il significato di quello che è il processo di integrazione.
Colbacchini era assolutamente estraneo e indifferente nei riguardi di ogni forma di culto della
patria lontana o di nostalgia per i luoghi nativi ribadendo come l’unica forma di ‘identità’ e di
‘appartenenza’ compatibile con la fede cattolica fosse quella religiosa e mettendo in guardia i suoi
lettori dai rischi insiti nel patriottismo esasperato.
Come anche dai rischi di un nazionalismo insensato che lunghi dal favorire l’integrazione nei paesi
di approdo rischiava di mantenere forzatamente isolati ed abbandonati a sé stessi gli italiani
emigrati in America. Si tratta di scongiurare l’isolamento.
La patria è il luogo dove in qualche misura realizzi a pieno la tua vocazione, a partire dal fatto che
per il cristiano la patria non è sulla terra. Per Colbacchini Italia non era la patria, perché non aveva
creato le minime condizioni per poter consentire loro di rimanere e di costruirsi una vita.
Allo scopo di non lasciare dubbi riguardo all’atteggiamento da tenere, Padre Colbacchini precisava
il suo punto di vista non mancando di raccomandare un equilibrio tra l’aspirazione a coltivare le
tradizioni legate alla madre patria e la necessità di non isolarsi dalle pratiche quotidiane del paese
di accoglienza. Acquisire il prima possibile la lingua del paese dove ci si trova per poter avviare
quel canale di scambio di comunicazione che è lo strumento di base all’integrazione.
La vera sfida non era quella di “mutare radicalmente i propri costumi” e di “cancellare anche
l’impronta della propria nazionalità” quanto piuttosto quella di avviare «cordiali relazioni» e di
stabilire «solidi legami» con la popolazione originaria del paese di accoglienza apprendendo la
lingua e adattandosi in misura crescente agli usi e ai costumi del luogo facendo del proprio
retaggio culturale non un ostacolo, ma un’autentica risorsa ai fini della positiva integrazione nel
nuovo paese. Saper convivere sia con gli italiani sia con gli stranieri.
La finalità del processo di emigrazione è l’integrazione totale. Siamo di fronte al superamento di
ogni forma di isolamento, non si nega l’italianità ma si utilizza come forma di arricchimento di un
processo di integrazione dove gli italiani portano ciò che è la loro ricchezza.
L’acquisizione da parte degli italiani emigrati nel continente di una nuova idea di cittadinanza
capace di assicurare loro non solamente l’integrazione nella vita sociale ed economica dei paesi
d’accoglienza ma anche l’assunzione delle responsabilità civili e politiche e l’effettivo esercizio dei
diritti e doveri avrebbe dovuto passare per l’assunzione e la condivisione di una serie di valori e di
comportamenti destinati a permeare ogni aspetto e dimensione della vita quotidiana e
dell’esperienza professionale.
Colbacchini propone un incontro con il paese di accoglienza che sia anche foriero di una nuova
identità di cittadino dell’emigrato.
Il tema non è soltanto sull’identità ma è proprio della cittadinanza cioè vivere a tutti i livelli di
diritti e di doveri, tema di fondo che ha alimentato la visione Scalabriniana del ‘900.
La dimensione religiosa e quella civile tornano unite e non in contrapposizione ad altre dimensioni,
ma all’integrazione di una presenza nella società.
Non sorprende l’esortazione rivolta da padre Colbacchini ai suoi lettori ad agire nella vita
quotidiana e nella pratica lavorativa e professionale con «onestà, rettitudine e giustizia», operando
«senza mistificazioni, senza frodi, senza menzogne».
C’è il richiamo ad una realtà personale comunitaria in un paese che ti accoglie e che ti propone di
vivere una vita a determinate condizioni, c’è il richiamo ad un’etica pubblica che deve interessare
tutti coloro che appartengono al paese già da generazioni e coloro che arrivano adesso e che sono
chiamati a farsi carico non solo di una serie di diritti ma anche di doveri dell’essere cittadino.
L’ideale di cittadinanza propugnato di Padre Colbacchini e proposto agli italiani emigrati nel
continente americano si caratterizzava per il convinto e costante riferimento all’osservanza della
legge e dell’ossequio per l’autorità costituita al rispetto delle altre minoranze e alla pacifica
convivenza con tutte le componenti della società alla vera e propria centralità della dimensione
religiosa nella vita del singolo individuo della comunità.
Colbacchini ha uno stile di vita che è quello della campagna veneta improntato alla sobrietà di vita,
alla temperanza dei costumi e alla semplicità nei modi di operare e di agire.
In qualche misura siamo di fronte ad un progetto che si farà pian piano strada.
Queste idee sono venute, assimilate e prodotto frutti nella mentalità.
La fortuna che ha avuto la Guida Spirituale è caratterizzata da una proposta semplice e capace di
incarnare un modello di vita degli emigrati italiani nel continente americano.

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