fascismo e sionismo
I primi ebrei arrivarono in Italia, a Roma, nel II secolo a.C., grazie agli intensi scambi
commerciali nel bacino del Mediterraneo. Già nel I secolo d.C. la comunità ebraica romana era
fiorente e stabile. Nel medioevo si formarono comunità significative nel meridione, per esempio a
Bari e Otranto.
Verso la fine del XV secolo gli Ebrei in Italia erano complessivamente 70.000 su una
popolazione totale di circa 8-10 milioni di persone, divisi in una cinquantina di comunità. La
maggioranza, circa 25.000, vivevano in Sicilia.
Con il Decreto dell'Alhambra del 1492 la Spagna cattolica, nella quale lo stato nazionale
tendeva a consolidarsi accentrando il capitale, ordinò la conversione obbligatoria o l'espulsione di
tutti gli ebrei, e molti di essi si trasferirono nel Nord Africa o in Italia. Dopo l'espulsione degli ebrei
dal Regno di Napoli nel 1533, il centro di gravità dell'ebraismo italiano si spostò al nord. Ma nel
corso del XVI secolo molti scelsero di lasciare l'Italia e di emigrare in Polonia e Lituania, dove la
comunità era più numerosa.
Nel 1516 la Repubblica di Venezia confinò gli ebrei sull'isola che fungeva da fonderia
pubblica, ove il metallo veniva raffinato (ghettato) con la ghetta, il diossido di piombo. Nacque così
il primo “ghetto” della Storia. Gli ebrei avevano l'obbligo di rientrare la sera, e le porte dell'isola
venivano chiuse la notte.
Nel 1637 il rabbino di Venezia vide pubblicata a Parigi la propria Historia de riti Hebraici la
prima opera intesa a spiegare l'ebraismo ai non ebrei e a combattere i pregiudizi antisemiti del
tempo. Destinata per un pubblico protestante anglosassone, l'opera anticipò il dibattito sulla
riammissione degli ebrei in Inghilterra, sancita dalla rivoluzione di Cromwell nel 1648 (erano stati
espulsi nel 1290). Nel 1638 un altro rabbino di Venezia, Simone Luzzatto, pubblicò il Discorso
circa lo stato de gl'Hebrei, sulla tolleranza religiosa ed i vantaggi reciproci dell'integrazione degli
ebrei a Venezia.
Le porte del Ghetto di Venezia furono abbattute nel 1797 con la conquista da parte di
Napoleone, che impose l'emancipazione. Nel corso del Risorgimento gli ebrei furono
progressivamente emancipati in tutta la penisola, a cominciare dal Regno di Sardegna. A
differenza del processo di formazione delle prime monarchie nazionali europee (Inghilterra,
Francia, Spagna), l'unificazione dello stato italiano avvenne dunque all'insegna dell'emancipazione
degli ebrei dalle discriminazioni subite in precedenza, soprattutto da parte della Chiesa cattolica.
2
INTEGRAZIONE DEGLI EBREI NELL'IMPERIALISMO ITALIANO
(1870 - 1918)
Gli ebrei si integrarono profondamente nell'apparato del nuovo stato italiano, sia nel
periodo liberale che nel successivo periodo fascista, e per questa ragione il sionismo in Italia ebbe
uno sviluppo piuttosto lento e difficile.
Lo storico americano dell'ebraismo Cecil Roth afferma che dopo il 1870 rispetto all'Italia
non vi era paese al mondo dove le condizioni degli ebrei “fossero o potessero essere migliori”:
Non solo furono tolte le discriminazioni, come avvenne anche altrove in questo importante
periodo, ma gli ebrei erano liberamente e spontaneamente accettati come membri del popolo
italiano, su un piano di completa eguaglianza con i loro connazionali...L'ebreo italiano non
possedeva alcun connotato di straniero. Installatosi nel paese già da duemila anni, era un
elemento altrettanto autoctono di qualsiasi altra componente del popolo italiano...Il nuovo
antisemitismo, che cominciò a mostrare il suo volto sinistro a nord delle Alpi, verso la fine del
secolo, non ebbe alcuna ripercussione nel paese. E anche dopo lo scoppio della persecuzione
nell'impero russo, negli anni 1880, quando masse di fuggitivi si riversarono nel mondo di lingua
inglese, nessun gruppo apprezzabile raggiunse questo paese latino, povero e poco
industrializzato, alterandone l'equilibrio...1
Antonio Gramsci nei Quaderni del Carcere, riprendendo lo storico Arnaldo Momigliano,
sottolinea come gli ebrei italiani avessero maturato una coscienza nazionale italiana nello stesso
periodo e nello stesso modo dei loro connazionali non ebrei.
Arnaldo Momigliano fa alcune giuste osservazioni sull’ebraismo in Italia. «La storia degli Ebrei
di Venezia, come la storia degli Ebrei di qualsiasi città italiana in genere, è essenzialmente
appunto la storia della formazione della loro coscienza nazionale italiana. Né, si badi, questa
formazione è posteriore alla formazione della coscienza nazionale italiana in genere, in modo
che gli Ebrei si sarebbero venuti a inserire in una coscienza nazionale già precostituita. La
formazione della coscienza nazionale italiana negli Ebrei è parallela alla formazione della
coscienza nazionale nei Piemontesi o nei Napoletani o nei Siciliani: è un momento dello stesso
processo e vale a caratterizzarlo...Come dal XVII al XIX secolo, a prescindere dalle tracce
anteriori, i Piemontesi o i Napoletani si sono fatti italiani, così nel medesimo tempo gli Ebrei
abitanti in Italia si sono fatti Italiani. Il che naturalmente non ha impedito che essi nella loro
fondamentale italianità conservassero in misura maggiore o minore peculiarità ebraiche, come
ai Piemontesi o ai Napoletani il diventare Italiani non ha impedito di conservare caratteristiche
regionali». In Italia non esiste antisemitismo proprio per le ragioni accennate dal Momigliano,
che la coscienza nazionale si costituì e doveva costituirsi dal superamento di due forme
...sotto il fascismo il numero degli ebrei tra i docenti universitari continuò ad essere molto
elevato, e così pure tra i generali e gli ammiragli...Guido Jung, dopo la nomina a ministro delle
Finanze, divenne membro ex officio del Gran Consiglio del fascismo...Margherita Sarfatti fu la
prima biografa ufficiale del duce nonché condirettrice del mensile Gerarchia, cui solo a fidati
fascisti era permesso di collaborare. Gino Arias fu il principale teorico dello stato corporativo, e
assiduo collaboratore di Gerarchia e del Popolo d'Italia; un altro collaboratore fu Carlo Foà,
eminente fisiologo ebreo. Giorgio Del Vecchio fu il primo rettore fascista dell'Università di
Roma.11
Quando, poi, nel marzo 1934 vennero arrestati, a Torino, gli ebrei antifascisti appartenenti a
Giustizia e Libertà, le reazioni nell'UCII furono di panico. Il presidente della Comunità di Milano,
l'imprenditore Federico Jarach, iscritto al PNF dal 1926, diramò un comunicato nel quale
sconfessava l'operato degli antifascisti torinesi e invocava un'udienza dal duce per esternargli la
devozione degli ebrei italiani. A Torino in segno di allineamento pro-regime si decretò lo
scioglimento del consiglio della Comunità ebraica e la nomina di un commissario, il banchiere
Ettore Ovazza, squadrista della prima ora.
Lo stesso Ovazza fu a questo punto tra i fondatori de La Nostra Bandiera, organo degli
ebrei “fascistissimi”, uscito il 1 maggio 1934 e diretto, oltre che dal suddetto banchiere, dal
generale Guido Liuzzi e dal giornalista Deodato Foà.
Questo giornale rispose alle sollecitazioni di Farinacci criticando il sionismo e celebrando
l'affinità tra il fascismo e l'ebraismo in generale. Parlando di una conferenza tenuta dal professor
Anselmo Colombo, La Nostra Bandiera scrisse che “il conferenziere volle e riuscì egregiamente a
dimostrare che Ebraismo e Fascismo nei loro ammirevoli intenti si eguagliano: mirano
meravigliosamente al perfezionamento assoluto, dell'individuo, della famiglia e della società”14. E
l'ingresso del generale Liuzzi nella Giunta dell'Unione delle Comunità Israelitiche fu accolto con
entusiasmo: “...ci rallegriamo in quanto oggi il nuovo spirito che anima l'Unione coincide con nuove
superbe realizzazioni fasciste ed affermazioni del Regime in ogni campo”15.
Per tutto il periodo 1918 – 38, dunque,
si possono considerare in minoranza gli ebrei
che si opposero alla ascesa e all'affermazione
del fascismo (come del resto accadde per tutta
la popolazione italiana). Tra costoro vanno
menzionati i comunisti Umberto Terracini, Rita
e Mario Montagnana, Emilio Sereni (fratello
del sionista Enzo), Giorgina Levi. Il socialista
Claudio Treves nel 1915 aveva sfidato
Mussolini a duello, e in seguito si rammaricò
«di non aver affondato la lama». Il senatore
Vittorio Polacco pronunciò un vibrante e coraggioso discorso di dissenso, che ebbe grossa
risonanza nel paese; Eucardio Momigliano si staccò dal fascismo quasi subito, fondando l'Unione
Democratica Antifascista; Pio Donati, deputato socialista, aggredito più volte e costretto all'esilio,
Mussolini cominciò con lo spiegare ai suoi interlocutori le ragioni della sua freddezza verso il
“focolare nazionale ebraico”: il sionismo era uno strumento dell'imperialismo inglese; gli scopi
dei sionisti erano “utopistici”; e la partecipazione di cittadini italiani al movimento poteva
provocare un conflitto nei loro sentimenti patriottici. I delegati cercarono di respingere queste
accuse, sottolineando che i sionisti non avevano alcuna intenzione di fare il gioco degli inglesi;
che i loro obiettivi non erano affatto incompatibili con le legittime aspirazioni degli arabi; che
l'Italia avrebbe avuto da guadagnare dalle attività sioniste in Palestina; e che i sionisti italiani
erano altrettanto fedeli alla loro patria quanto il resto della popolazione. Al che il duce si addolcì
e accettò di incontrarsi con il presidente dell'Organizzazione sionista mondiale, il dottor Chaim
Weizmann.16
Con quest'ultimo incontro Mussolini divenne un idolo del sionismo; Sokolow non solo lo lodò
come persona ma dichiarò la propria ferma convinzione che il fascismo fosse immune dai
pregiudizi antisemiti... “cominciamo a capire la sua vera natura...i veri ebrei non sono mai stati
contro di voi”. Queste parole, una così grande apertura, furono riprese sui periodici ebraici di
tutto il mondo.18
Il professor Sacerdoti è convinto che molti dei principi fondamentali della Dottrina Fascista
(rispetto delle leggi dello stato, rispetto delle tradizioni, principio dell'autorità, esaltazione dei
valori religiosi, desiderio di purezza morale e fisica dell'individuo e della famiglia, lotta per
l'aumento della produzione, e anche lotta contro il malthusianesimo), non sono né più né meno
che principi dell'ebraismo.19
Sokolow incontrò di nuovo Mussolini il 16 febbraio 1933, poche settimane prima della
vittoria di Hitler in Germania. Il loro incontro fu anche in questo caso “cordiale” e secondo l'Agenzia
Telegrafica Ebraica, organo ufficiale della WZO, Mussolini “dimostrò acuto interesse per i risultati
ebraici in Palestina”20.
Weizmann incontrò nuovamente Mussolini il 26 aprile 1933, convocato da quest'ultimo. I
contenuti di questo incontro sono poco noti, mentre più conosciuto è il colloquio che i due ebbero il
17 febbraio 1934, quando Weizmann era responsabile per l'insediamento in Palestina degli ebrei
tedeschi: una importante carica introdotta l'anno precedente dall'Esecutivo Sionista dopo avere
stipulato l'Haavara Agreement coi nazisti, ovvero l'Accordo di Trasferimento in Palestina di quote di
ebrei residenti in Germania, che potevano esportare i propri averi a patto di investirli nell'acquisto
di beni materiali tedeschi (macchinari agricoli o altro) da utilizzare nella “Terra Promessa”.
Nell'incontro Mussolini si dichiarò a favore di un piccolo stato sionista indipendente, e aggiunse
che avrebbe aiutato i sionisti a istituire una propria marina mercantile, riferendosi evidentemente al
progetto di Jabotinsky a Civitavecchia (vedi oltre).
Il 13 novembre 1934 a recarsi dal duce fu Nahum Goldmann, presidente del World Jewish
Congress, organismo di rappresentanti dell'ebraismo mondiale nato per reagire all'ondata di
antisemitismo in Germania e Austria, ma molto moderato e dominato dai sionisti. Goldmann nella
propria autobiografia afferma di aver detto a Mussolini che il WJC scoraggiava le manifestazioni di
protesta contro Hitler e il cancelliere austriaco Schuschnigg, ma contava su di lui per un cambio di
atteggiamento dei nazisti verso gli ebrei. Mussolini replicò:
Voi siete molto più forti del signor Hitler. Quando non vi sarà più traccia di Hitler, gli ebrei
saranno ancora un grande popolo...gli ebrei non devono temerlo. Noi tutti vivremo fino a
vederne la fine. Voi piuttosto dovete creare uno stato ebraico. Io sono un sionista, io. L'ho detto
al dottor Weizmann. Voi dovete avere un vostro paese, non la ridicola Casa Nazionale che vi
hanno offerto gli inglesi. Vi aiuterò a creare uno stato ebraico. La cosa più importante è che gli
ebrei abbiano fiducia nel loro futuro e non si lascino spaventare da quell'imbecille di Berlino. 21
un partito fascista ebraico non solo esiste ma ha già oltrepassato la fase della lotta per il
riconoscimento e aspira al potere in seno al movimento sociale ebraico meglio
organizzato...L'aspetto sinistro di questo paradosso è accentuato dal fatto che il fascismo
ebraico è, per origini, fini e tattiche, più prossimo al fascismo tedesco che al fascismo
italiano...Vanno in Palestina non per un ideale quale che sia, ma perchè tutti gli altri posti sono
stati loro interdetti e perché é l'unico paese dove possono insediare un fascismo che sia loro
proprio e dove sia possibile far rivivere la gloria del loro mondo passato. 22
Ci hanno chiamato i fascisti del Sionismo. E sia. Voglia il Signore che la nostra opera sia così
provvida per le sorti di Israele risorgente come lo è stato e lo è quella del Fascismo per l'Italia. 25
I revisionisti italiani dal maggio 1930 pubblicarono un mensile a Milano, L'Idea Sionistica, lo
stesso titolo del periodico della Federazione Sionistica Italiana all'inizio del secolo.
Nei primi anni '30 il movimento revisionista stava rompendo con la WZO, e i contatti con il
regime fascista si fecero sempre più frequenti. Nel 1931 Jabotinsky scrisse a Leone Carpi,
intermediario tra il movimento e il governo di Mussolini, con la proposta di costituire una scuola di
partito revisionista in Italia, in particolare rivolta ai membri del Betar, il settore giovanile. Questa
intenzione si trasformò nell'istituzione di un corso di addestramento per i giovani sionisti del Betar
presso la Scuola Marittima di Civitavecchia, a partire dall'ottobre 1934.
Nel gennaio 1935 il progetto, già avviato, fu approvato ufficialmente dal Consiglio dei
Ministri del governo fascista:
La stampa revisionista italiana fece descrizioni colme di elogi per gli organizzatori dei corsi.
Davar scrisse:
Occorre dire che tutti, Autorità governative e Consorziali, Gerarchi locali e Insegnanti della
scuola, si sono prodigati con comprensione e benevolenza a far sì che i giovani, venuti da così
lontano ad apprendere....trovassero una calda e amorevole ospitalità da noi. Ed è altamente
significativo che essi...siano venuti a ispirarsi e a istruirsi in questa nostra Italia fascista, risorta,
duce Mussolini, a nuova vita e a più alta morale umana e religiosa. 27
Nel marzo del 1936 L'Idea Sionistica descrisse la cerimonia per l'inaugurazione della nuova
sede del Betar:
All'ordine “Attenti!” risuonò un triplice slogan guidato dal comandante del plotone (Viva l'Italia!
Viva il Re! Viva il Duce!), cui fece seguito la benedizione impartita da rabbi Aldo Lattes in
italiano e in ebraico, per Dio per il Re e per il Duce...I betarim cantarono con entusiasmo
Giovinezza (l'inno del partito fascista).28
Sempre nel 1936 Mussolini in persona visitò la scuola, passando in rivista i betarim.
Nell'autunno del 1936, al termine di uno dei corsi, gli aspiranti marinai compirono una
crociera (Civitavecchia – Napoli – Genova – Livorno – Civitavecchia). Alla partenza Isacco Sciaky
raccomandò ai marinai:
Allievi! Salutate la bandiera italiana che sventola sulla nostra nave ebraica. Ricordate sempre
cosa vi ha dato l'Italia fascista! Tenete presente l'amore, la stima, la simpatia che deve
conservare l'allievo per il suo professore.29
Durante la sosta livornese la nave venne accolta in pompa magna dalla comunità ebraica
locale, presieduta da Guido Belforte: “Il Presidente Belforte ringraziò i convenuti della graditissima
visita, inneggiando alla grandezza e all'ospitalità dell'Italia fascista”30.
Etiopia 1935
A partire dal 1935, furono la questione dell'Etiopia e la Guerra di Spagna a orientare il
regime fascista verso la Germania.
Alla fine del 1934 tra Italia e Germania esistevano molti motivi di contrasto, tanto che il 7
gennaio 1935 a Roma Mussolini firmò un accordo franco-italiano con il ministro degli Esteri
francese Pierre Laval: scambio di territori tra l'Eritrea italiana e la Somalia francese e appoggio
italiano alla Francia contro la Germania in cambio del via libera francese alla conquista italiana
dell'Abissinia. Tre mesi dopo (11 – 14 aprile) l'Italia formò con Francia e Inghilterra la coalizione
anti-tedesca nota come Fronte di Stresa.
Ma l'invasione italiana dell'Etiopia (3 ottobre 1935) incontrò l'opposizione della Società delle
Nazioni, che condannò l'attacco (6 ottobre) e approvò alcune sanzioni (18 novembre), peraltro
moderate, contro il regime di Mussolini. In tali circostanze Mussolini cercò di appoggiarsi ai suoi
sodali ebrei e sionisti. Fu così che “l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, su consiglio e
invito di un alto ufficiale ebreo della marina italiana...inviò due emissari (Dante Lattes e Angelo
Orvieto) a Londra allo scopo di mobilitare l'opinione anglo-ebraica contro la politica delle
sanzioni”31. Essi incontrarono vari leader ebraici tra cui Weizmann, ma quest'ultimo rimase fedele
all'Inghilterra e non difese l'Italia dalle sanzioni.
Roma inviò allora l'ebreo fascista (e non sionista) Corrado Tedeschi in Palestina, a
suggerire ai sionisti laggiù che un atteggiamento di apertura verso l'Italia avrebbe loro giovato in
26 Archivio della Presidenza del Consiglio dei Ministri
27 Davar, 4 aprile 1935
28 In Lenni Brenner, Il Sionismo nell'Età dei Dittatori, 1983
29 L'Idea Sionistica, novembre – dicembre 1936
30 La Nostra Bandiera, 1 novembre 1936
31 Meir Michaelis, Mussolini e la questione ebraica, 1978
quanto avrebbe condizionato il governo mandatario inglese. Tedeschi vide diversi esponenti
sionisti, sia della fazione di Jabotinsky che dell'Agenzia Ebraica, in particolare il “ministro degli
Esteri” di quest'ultima Moshe Sharett. Nel suo rapporto finale Tedeschi scrisse che “il sionismo era
al tempo stesso una forza con cui fare i conti e un potenziale alleato contro la Gran Bretagna;
l'amicizia degli ebrei in Palestina era pertanto un obiettivo da perseguire...”32 altrimenti l'Italia ci
avrebbe rimesso a vantaggio esclusivo della Gran Bretagna.
Proclamato l'Impero etiopico il 9 maggio 1936, l'Italia aveva in mente di farne una testa di
ponte per un'ulteriore espansione, verso l'Egitto e i domini inglesi in Medio Oriente. A tale scopo
ipotizzò il trasferimento degli ebrei in Abissinia, in preparazione di un loro uso contro gli inglesi in
Palestina (inglesi che nel frattempo avevano sospeso l'immigrazione in Palestina a causa della
Grande Rivolta Araba). Nel luglio 1936 al Cairo si svolse un colloquio tra il locale rappresentante
dell'Agenzia Ebraica, Nahum Wilenski, e l'emissario fascista Ugo Dadone. Una nota sulla
conversazione riporta che per Dadone
l'intenzione degli italiani è che gli ebrei si stabiliscano nella zona di Gojjam in Abissinia...Egli si
rende conto che l'insediamento ebraico non può costituire un obiettivo finale per gli ebrei. Ma
l'Italia è pronta a favorire, in cambio dell'assistenza ebraica in questa vicenda, la creazione di
uno stato ebraico in Palestina...Successivamente, questo stesso signore si è incontrato con
rappresentanti della comunità ebraica egiziana al Cairo, e ha fatto loro identiche proposte. 33
32 ibidem
33 Public Record Office, Londra
34 Israel, 25 marzo 1937
5. LA PERSECUZIONE DEGLI EBREI ITALIANI (1938 - 45)
La Shoah in Italia
Le Leggi Razziali del 1938 determinarono l'allontanamento di migliaia di ebrei dalla
penisola, e l'espulsione di migliaia di altri da professioni e funzioni pubbliche. Tuttavia fu solo con
l'occupazione nazista del 1943 che iniziò la tragedia vera e propria per gli ebrei italiani.
La prima retata delle SS ebbe luogo a Trieste il 9 ottobre 1943. In questa, e in un'altra
retata successiva (19 gennaio 1944) vennero arrestati nella città giuliana 710 ebrei. Pochi giorni
più tardi (16 ottobre1943), un rastrellamento di grandi proporzioni fu effettuato presso il ghetto di
Roma provocando l'arresto di 1.259 ebrei; due giorni dopo 1.023 vennero deportati ad Auschwitz
(solo diciassette sopravvissero). Successivamente altre retate operate dai nazisti nella capitale
portarono il numero totale degli ebrei romani scomparsi durante l'occupazione tedesca a 2.021. La
Carta di Verona (novembre 1943) della appena sorta Repubblica Sociale Italiana definiva il
problema dell'ebraismo d'Italia nel capitolo settimo: «Gli ebrei sono stranieri e parte di una nazione
nemica». Ogni proprietà ebraica nella Repubblica di Salò venne sequestrata ed assegnata alle
vittime dei bombardamenti anglo-americani. Al momento della Liberazione i decreti di confisca
erano approssimativamente ottomila: la RSI confiscò alla gente ebraica beni fra immobili e preziosi
del valore approssimativo di due miliardi di lire del tempo.
Nel febbraio del 1944 il comando tedesco assunse possesso in via diretta del campo di
concentramento di Fossoli vicino a Modena, da dove gli ebrei vennero mandati nei campi
dell'Europa orientale.
L'antisemitismo non attecchì granché fra la popolazione italiana, trovando per contro forte
opposizione specialmente in certi gruppi intellettuali, nel proletariato e nei ceti a più basso reddito.
Sono moltissimi i casi registrati di ebrei e/o di ebrei aderenti a movimenti di sinistra tenuti nascosti
durante i rastrellamenti. Una città in cui questo fenomeno fu ragguardevole è stata quella
di Genova, mentre storicamente accertati sono i contributi dati in questo senso da molte
personalità divenute poi figure storiche, come Giovanni Palatucci e Giorgio Perlasca.
Secondo i dati riportati da Liliana Picciotto Fargion gli ebrei arrestati e deportati in Italia
furono 6.807; gli arrestati e morti in Italia 322; gli arrestati e scampati in Italia 451. Tolti quelli morti
in Italia, gli uccisi nella Shoah furono 5.791, quindi circa il venti per cento degli ebrei italiani. Di 950
persone mancano notizie attendibili.
Nell'Italia settentrionale (controllata dai nazifascisti) erano presenti circa 43.000 ebrei: quelli
deportati tra il 1943 e il 1945 saranno circa 7.500, di cui ne sopravviveranno solo 610. Ai morti
deportati vanno poi aggiunti gli ebrei uccisi sul territorio nazionale, stimati tra i 200 e i 400. Altre
centinaia troveranno rifugio in Svizzera e nel sud Italia.
Rispetto agli altri paesi occupati o alleati della Germania, la percentuale di ebrei
sopravvissuta è molto maggiore (più dell'80%).
Franco Cesana
Ferruccio Valobra
Immagini in copertina:
– medaglia celebrativa della legge Falco (30 ottobre 1930) che all'epoca definì i rapporti tra le
comunità ebraiche e il governo fascista istituendo l'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane
– i giovani sionisti revisionisti del Betar partecipano a un'adunata fascista a Civitavecchia
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