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19-11-2020 slide A.

Covelli- Relazione di aiuto

Una delle competenze fondam. Che i professionisti della cura e dell’aiuto devono avere è l’empatia.
Empatia prepotente è la falsa capacità di mettersi nei panni dell’altro perché c’è un ascolto che vuole
condurre in maniera prepotente idee e comportamenti a quello che viene proposto o pensato dai
professionisti della cura e dell’aiuto. Quindi è quel tipo di ascolto che in realtà non prevede un’evoluzione
 quindi si tratta di un inganno: ‘’io ti ascolto e provo empatia ma a patto che tu faccia quello che ho
programmato per te’’  non ha nulla a che vedere con l’aiuto migliorativo di entrambi.

Empatia Competente: l’empatia è competente quando anche colui che aiuta  compiere un’evoluzione
exattativa (Gould), tipo particolare di evoluzione/cambiamento che si verifica in entrambi i protagonisti
della relazione, per cui l’evoluzione exattativa non c’è chi ha ragione chi ha torto, non c’è un inizio e una
fine, ma c’è una sorta di incontro dove nessuno dei due deve sapere come ne esce, dove deve portare
l’altro. Quindi è un modello dinamico, deve costruirsi progressivamente, è una crescita che avviene un po'
alla volta nel corso del tempo all’interno di una relazione che non è già rigidamente precostituita.
Nell’operazione di exattamento anche la persona che ha già uno stadio più evoluto di maturazione
nell’incontrare l’altro deve essere disposto a fare uno spazio per la novità che l’altro ci porta, per la messa a
disposizione.  capacità di adattamento e rinnovamento/trasformazione condivise da entrambi i
protagonisti.

Essere autonomi per l’alunno con disabilità vuol dire sapere a chi chiedere e quando e dove chiedere, non è
bastarsi da soli. La persona autonoma è chi ha già dei punti di riferimento.

Canevaro: il bambino con bisogni educativi speciali ha bisogno di un intervento su misura, cioè come di un
abito su misura, una modalità di aiuto competente, personalizzata, aiuto specifico in quel momento. Anche
il contesto deve essere un contesto che ha cura dell’altro non può essere solo l’ambiente fatto di spazi ma
anche l’insieme delle relazioni, dinamiche comunicative ma anche i pregiudizi e stereotipi che possono
condizionare quel contesto. Il contesto deve essere accogliente, personalizzato deve avere quelle
risorse/sostegni che lo caratterizzino come inclusivo.

L’alunno con BES deve poter indossare un certo tipo di sostegno, aiuti perché deve raggiungere un
determinato scopo. ‘’La competenza della sarta si esprime anche in momenti in cui impone le sue
decisioni’’ (slide 12 Covelli-relazione di aiuto) c’è bisogno a volte di intervenire, di fare qualcosa di concreto
poi ci sono dei momenti in cui bisogna lasciare spazio. Ma l’intervento non può non tenere conto
dell’evoluzione di tutto il contesto: evoluzione exattativa non solo tra i due protagonisti della relazione ma
anche all’interno del contesto stesso evoluzione che richiede anche un cambiamento contestuale.

Complessità della cura educativa e della relazione d’aiuto: difficile gestire delle polarità antitetiche che la
costituiscono e che sono tra loro in conflitto come LONTANANZA VS VICINANZA E SEPARAZIONE VS
PARTECIPAZIONE poi richiede anche una costante operazione di autoanalisi.

LONTANANZA VS VICINANZA: SUPERARE L’IDEA DI UNA SUBORDINAZIONE E DELLA SOSTITUZIONE


ALL’ALTRO PER CERCARE SEMPRE PIU’ DI PROMUOVERE LA REALIZZAZIONE DI UNA RELAZIONE DI AIUTO
BASATA SULLA CATEGORIA DELLA RECIPROCITA’.

Il funzionamento dinamico dell’alunno con disabilità va rapportato al contesto, coinvolgendo tutte le altre
figure professionali, tutti coloro che partecipano attivamente nella costruzione progettuale del processo di
inclusione scolastica e sociale. Paradossalmente bisogna andare a chiedere aiuto al soggetto che ha bisogno
di aiuto, ma è paradossale anche il contrario che chi ha bisogno di aiuto si rivolga solo ad una persona 
nessuno salva l’altro, ci si salva se ci si vuole salvare. Passaggio dal sostegno individuale al reperimento di
una rete di sostegni e aiuti che non possono essere assunti da una sola figura ma che hanno bisogno di una
costante operazione di mediazione con gli altri, fondamentale apporto fornito dai coetanei.
SEPARAZIONE VS PARTECIPAZIONE: per garantire un distacco ottimale bisogna tutelare la persona che offre
aiuto e anche chi lo riceve. A volte si può andare incontro a dinamiche ingiustificate, meccanismi di rifiuto,
disinteresse, mancanza di empatia che può generare situazioni di freddezza, di scarso riconoscimento dei
bisogni dell’altro. Chi dona aiuto non deve sentirsi il salvatore di chi è aiutato. Fondamentale la
consapevolezza dei nostri limiti perché altrimenti non riusciamo ad aiutare l’altro  comprendere la
propria responsabilità.

Dall’idea di un sostegno unico duale (questo tipo di modello ritiene l’altro come soggetto mancante, nel
senso inferiore, malato incapace, chi aiuta ha l’idea che chi deve essere aiutato è un ‘’guasto da riparare’’
quindi questo aiuto tradizionale era legato ad una considerazione molto medica terapia e riabilitazione
non sono il fine della cura autentica) si deve passare ai sostegni di prossimità (slide 16): fine ultimo è la
rivisitazione del progetto di vita. Ma questa è un’operazione che richiede reciprocità, per cui dal concetto
medicalizzato riparativo, conservativo, assistenzialistico dobbiamo riconoscere il valore di passare a
un’evoluzione di questo concetto per realizzare una distribuzione reticolare di una pluralità di sostegni e
aiuti. Il reticolo di sostegni e aiuti è caratterizzato da delle interconnessioni attive, e che queste reti di
connessioni devono essere connotate da comportamenti professionali che hanno una forte natura
empatica competente.  rompere l’idea che l’insegnante specializzato è il sostegno per l’altro, non è un
aiuto sano quello che crea dipendenza ad un’unica figura di riferimento. Qui c’è un intervento educativo,
formativo che mette l’altro nella condizione di rivedere la propria esistenza, l’unico modo per rompere la
subordinazione è quello che ci siano dei mediatori. Es. se quando stiamo male/abbiamo un problema ci
rivolgiamo sempre ad un’unica persona poi quella viene a mancare, come facciamo?  ulteriore
problematica. Il sostegno unico procura una situazione eccessivamente subordinante. Non si può delegare
tutto ad un’unica figura. Mentre i sostegni di prossimità rete di sostegni, altri punti di riferimenti.

Sostegni di prossimità:

1. introdurre una rete di risorse cercando di evitare la strada soluzione, ovvero c’è solo una soluzione.
2. Abbattere le pareti della scuola, per individuare un’inclusione fatta di percorsi misti scuola-famiglia,
scuola-lavoro, altre associazioni.
3. Progettare e costruire percorsi individualizzati (e non individuale: esclude, ghettizza): adotto
strategie metodi su misura (sarto che taglia e cuce il vestito) ma non vuol dire che deve essere
isolato. Perché tutti gli alunni devo essere in grado di raggiungere lo stesso traguardo ovviamente
con metodi, strategie modalità organizzative personalizzate che rispondono ai bisogni di ciascun
alunno.
4. Sia l’alunno e il docente specializzato hanno bisogno di agganciarsi alla classe, ma anche viceversa
perché le dinamiche di cambiamento attivate per l’alunno in difficoltà servono anche per gli altri
alunni.
5. Inclusione non deve escludere, più pensiamo di essere competenti più alla fine diventiamo
specialisti dell’esclusione non agenti inclusivi. Bisogna formarsi per tutta la vita perché la
formazione non finisce mai, e bisogna ridurre i conflitti tra le competenze educative e quelle
mediche.
6. L’insegnate specializzato di sostegno è un mediatore
7. Pensare che c’è un oltre alla scuola, ma appunto anche nella diversificazione dei luoghi formativi
extra scolastici. La formazione integrale e integrata dell’alunno non si può solo fermare all’interno
della classe, bisogna pensare anche al futuro.  PENSAMI ADULTO

La relazione d’aiuto deve essere il luogo della resilienza, della coeducazione corresponsabilità e quindi
dell’integrazione di competenze.

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