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CURA EDUCATIVA, RELAZIONE DI AIUTO E
INCLUSIONE: GLI ATTORI E I PROTAGONISTI
- la professione dell’insegnante specializzato di sostegno risulta ad elevata complessità
- il suo bagaglio formativo non può quindi prescindere da un insieme di conoscenze e competenze:
> integrate
> epistemologicamente fondate sulle categorie della complessità
e della polivalenza dell’agire strategico nei molteplici e
diversificati campi d’intervento Ecologico-sistemico
- l’insegnante specializzato si forma utilizzando una serie Fenomenologico-ermeneutico
di possibili approcci come, ad esempio, quello Umanistico-esistenziale
-l’insegnante specializzato, come professionista della cura e dell’aiuto ed agente inclusivo assume il
prioritario compito di:
accompagnare l’altro, in modo competente, con efficaci progettazioni di natura metabletica,
affinché re-cuperi o ri-acquisti le potenzialità, le risorse, l’autonomia necessarie per affrontare
la vita
sostiene e promuove
nell’altro, nel «diverso», orienta, indica, propone,
la nascita di nuovi senza mai imporre,
orizzonti di senso e di norme, decisioni
significato comportamenti, valori
La necessità della cura educativa, ovvero del prendersi cura di sé e dell’altro, nasce
dalla personale consapevolezza della qualità ontologica della mancanza, dalla
personale vulnerabilità e fragilità che porta ogni persona produttivamente ad essere
dipendente da e di a causa della sua strutturale incompiutezza;
L’aver cura implica piena disponibilità nei confronti dei «bisogni educativi
speciali» e non dell’altro, la tutela della promozione di ulteriori possibilità
esistenziali, affinché si estrinsechino nuove capacitazioni, possibilitazioni e
direzioni di senso rispetto ai precedenti desideri, limiti e risorse;
«Cura è una parola polisemica, ad ampio spettro e a doppia direzione: dare e ricevere. E’
un pensiero attento e costante, è interesse, preoccupazione, sollecitudine, diligenza,
accuratezza. E’ responsabilità verso se stessi e verso gli altri»*.
Non c’è azione di cura, in ambito formativo, senza epimeleia, ovvero senza attivare
all’interno della relazione di aiuto una sistematica attenzione per la persona, per le sue
forze e debolezze: ciò implica la promozione con l’altro di un processo di ricerca di
significati che passa attraverso le modalità della comprensione-interpretazione
(educatore come lettore ermeneutico), evidenziando l’aspetto formativo della
dimensione della cura educativa.
*L. Formenti (a cura di), Attraversare la cura. Relazioni, contesti e pratiche della scrittura di sé, Erickson, Trento, 2009, p. 128.
LA RELAZIONE DI AIUTO
- «un aiuto offerto non può diventare esclusivo: la relazione di aiuto è plurale;
- chi aiuta deve provare a intravedere nell’altro un’identità in cambiamento, al di là
delle stereotipie e dell’immobilità; occorre mettere in luce le molteplici identità
dell’altro;
- la relazione di aiuto non si muove con dinamiche di assolutezza, ma di
complementarietà e deve tendere a ridurre progressivamente l’asimmetria;
*R. Caldin, Introduzione alla pedagogia speciale, Cleup, Padova, 2007, p. 97.
«Scopo della relazione di aiuto non è quello di sostituirsi, ma
di sostenere, non di prendere il posto dell’altro, bensì di
consentirgli di esercitare la propria soggettività nella misura
più ampia possibile. Non è «fare al posto di», ma semmai
«fare insieme» per arrivare a «fare da sé» e soprattutto a
«scegliere da sé», a scegliersi: solo così si possono consolidare
le radici di un progetto di vita che significa non lasciarsi
vivere, bensì «progettar-si» o «sceglier-si», ossia decidere,
con maggiore autonomia e sulla base di una più sperimentata
e verificata conoscenza di sé, la propria identità»*.
* D. Resico, Diversabilità e integrazione. Orizzonti educativi e progettualità, FrancoAngeli, Milano, 2005, p. 91.
La relazione di aiuto implica sempre e comunque la restituzione di una
storia in un processo relazionale che si esplicita come incontro di storie
per cambiare il senso dell’esistenza, senza spirito di dominio. Chi
lavora con le diversità deve intuire, pre-vedere quando l’aiuto deve
essere gradualmente sottratto e quando è necessario agire in funzione
dello sviluppo e della maturazione dell’altro.
Aiutare vuol dire fare i conti con la storia dell’altro, con i suoi
particolari vissuti: l’altro è una traccia, una memoria che non si può
annullare. Se la narrazione è cura, narrarsi è aver cura di costruire
storie comuni.
«Nella relazione di aiuto l’educatore cerca con l’altro, nei meandri della
memoria, l’evento che ha sospeso momentaneamente la qualità
dell’esistenza, ovvero dove e come si è interrotto il processo formativo, allo
scopo di riaprire un discorso (progetto esistenziale) troppo precocemente
interrotto o predefinito» (P. Gaspari).
-comprensione entropatica;
-fiducia;
-empatia;
-autonomia;
-reciprocità;
-mediazione;
-interessamento;
-mantenimento della giusta distanza;
-autorevolezza;
-sostegno di prossimità
-coraggio
-accompagnamento sensibile e competente
-rispetto
-ascolto partecipato e partecipante
-ricerca di spazi di possibilità
-seduzione educativa
-contaminazione
-coeducazione
-cambiamento reciproco
La relazione di aiuto è una relazione di empowerment che non risolve
necessariamente i problemi, che pone l’uno accanto all’altro.
*Paolini M. (2012), «Passioni, relazioni d’aiuto in tempi di crisi economica e civile», L’Integrazione scolastica e sociale, 11 (4), p. 328.