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DI CHE COSA SI OCCUPA LA PS. DELLO SVILUPPO?

Oggetto della ps. Dello sviluppo sono i cambiamenti incrementali che avvengono nel tempo, ovvero
quei cambiamenti che aumentano le dimensioni, la diversità o la complessità dell’organizzazione di
una persona o delle sue caratteristiche, delle sue capacità e delle sue relazioni con l’ambiente.

SCHEDA

•crescita: accrescimento fisico, di massa corporea


• maturazione: cambiamenti dovuti innanzi tutto al dispiegamento del patrimonio genetico
• apprendimento: all’opposto, acquisiti o perfezionati attraverso l’esperienza /studio /addestramento
• socializzazione: riguardano atteggiamenti, valori e conoscenze caratteristici di una certa cultura e
avvengono soprattutto grazie all’educazione o all’imitazione

LESSICO
• Infanzia: 0-2 anni
o Neonato: fino ad 1 mese
o Infante: nel 1° anno
o Bambino (toddler): nel 2°
•Fanciullezza: 2-11 anni
o Prima fanciullezza (early childhood): 2-6
o Media fanciullezza: 6-11
•Preadolescenza: 11-13 anni•Adolescenza:13-20 anni

1.1
LA STORIA
ORIGINI DELLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO

La nascita della psicologia come disciplina scientifica a sé risale al 1879 a Lipsia quando Wundt,
studioso tedesco fondo’il primo laboratorio di psicologia.

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Le prime ricerche scientifiche dello sviluppo psicologico hanno avuto inizio alla fine dell’ottocento
quando invece le prime teorizzazioni su come si educano i bambini sono state rilevate oltre duemila
anni fa (nella grecia classica). Questa disparità e’ dovuta al fatto che capire un bambino sia alquanto
facile perche’ tutti abbiamo avuto una esperienza diretta di questi periodi di vita e anche perche’
durante la storia il bambino e’ stato considerato tale solo in tempi relativamente recenti.

SCHEDA

. FATTORI CULTURALI E SOCIALI (Aries):


• Medioevo: non esiste il concetto, fino a svezzamento (alte probabilità morte) B. non considerato in
quanto soggetto, poi entra direttamente nel mondo adulto (adulto in miniatura), dove peraltro anche
gli adulti sono giovani e collettività intera partecipa ad attività “da B.” (giochi, danze)
•1400: in concomitanza con progressivo aprirsi delle scuole anche ai laici moralisti/teologi iniziano a
proporre concezione di fanciullezza come fase distinta della vita: B. è creatura corrotta dal peccato
originale ma priva della consapevolezza del male, e bisognosa perciò di essere salvata dal pericolo ->
divaricazione tra la condizione degli scolari (maschi di famiglie abbienti) ai quali è riconosciuto status
diverso dall’adulto, e gli altri (femmine, maschi poveri)
• 1600: fanciullezza è età dell’innocenza, ma intrisa di debolezza, va quindi protetta -> organizzazione
delle classi per età
• 1700/1800: servizio militare obbligatorio -> concetto di adolescenza
• 1900: urbanizzazione -> scolarizzazione di massa (USA)

PRIME METODOLOGIE DI STUDIO DELLO SVILUPPO DEL BAMBINO.

Granville Stanley Hall, USA era stato colpito da uno studi condotto in germania da Preyer 1882,
Germania, “La mente del B.”: osservazioni accurate non intrusive di comportamenti spontanei o
provocati da stimolo, guidate da ipotesi o interrogativi precisi, e annotate immediatamente per
iscritto. Ebbe quindi la necessità di conoscere cosa c’e’ nella mente dei bambini. Utilizzo il metodo dei
questionari ricerca strutturata per lo piu’ in forma indiretta , utilizzando i ricordi che gli adulti
avevano di loro stessi quando erano bambini . Il metodo non era attendibile tuttavia Hall ebbe il
merito di aprire un nuovo campo di ricerca e di aver raccolto una serie di dati che fornivano una
serie di spunti per nuove ricerche.

Altri autori che nel corso del ‘900 affrontarono i primi studi sullo sviluppo del bambino:

• S. Freud - padre della psicoanalisi, condusse i suoi studi solo su soggetti adulti ma per
interpretare comportamenti disturbati elaboro’ una teoria riguardante lo sviluppo sessuale e
affettivo del bambino .

SCHEDA FREUD: ANALISI STORICA DELLO SVILUPPO (focalizzazione sul passato dell’individuo)

IPOTESI STRUTTURALE ORGANIZZAZIONE PSICHICA, 3 gruppi di funzioni:


• Es: rappresentati psichici delle pulsioni
• Io: insieme di funzioni che consentono la relazione tra l’individuo e l’ambiente
• Super-io: aspirazioni e regole morali
SVILUPPO

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• psiche del neonato costituita dall’Es e governata da forze pulsionali che tendono ad essere
soddisfatte senza alcuna limitazione sotto la guida del principio del piacere -> la soddisfazione della
pulsione causa una riduzione della tensione che si accompagna a sensazioni piacevoli, di gratificazione
-> associazione tra il ricordo di ciò che ha provocato la soddisfazione della pulsione (es latte) e il
ricordo dell’eccitamento legato alla pulsione
• esperienze di scontro tra l’urgenza delle pulsioni e limitazioni della realtà sono fonte di emozioni
sgradevoli; in assenza di una risposta materiale il lattante elabora un sorta di soddisfacimento
mediante la fantasia (surrogato del desiderio allucinatorio) -> riproduzione della percezione del latte
per cercare di ricostruire la situazione di soddisfacimento
• processo di soddisfacimento mediante la fantasia concorre alla formazione dell’Io
• funzioni dell’Io permettono l’adattamento al mondo, attraverso il passaggio dal principio del piacere
al principio di realtà
• e permettono di mediare tra Es e realtà grazie all’attivazione di meccanismi di difesa, al servizio
dell’Io pur se inconsci, che impediscono la manifestazione incontrollata delle pulsioni dell’Es ( eccesso
o insufficienza dei meccanismi di difesa genera stato psicopatologici)
• la meta delle pulsioni è sempre la scarica della tensione ad esse associata, ma l’oggetto attraverso il
quale può avvenire questa scarica può cambiare
• libido (pulsione sessuale) diretta via via verso diverse zone erogene nelle diverse fasi dello sviluppo
psicosessuale, per effetto dei processi maturativi e delle pratiche educative: orale (soddisfazioni legate
all’alimentazione)/ anale (soddisfazioni legate al trattenere o espellere le feci)/ fallica (investimento
libidico sul pene e complesso edipico)/ di latenza (superamento complesso edipico, formazione del
Super-io, accantonamento provvisorio libido) / genitale

• Charlotte Buhler : studio’ il bambino a partire dall’analisi delle fiabe di successo;


• William Stern: sviluppo linguistico
• Luquet : disegno infantile

Gli studi finora attuati erano però molto limitati, in quanto si basavano sulla mera osservazione dei
figli degli psicologi, non erano generalizzabili. Un tentativo di superare tali limiti fu effettuato da Arnold
gesell, allievo di Hall che costruì una serie di tavole nelle quali vennero annotate i progressi ottenuti
da alcune decine di soggetti lungo un dato periodo di tempo (fino a 16 anni). Occorreva pero
superare il limite metodologico sin qui adottato, una seppur articolata descrizione dei progressi
maturati non consentiva di elaborare una teoria esplicativa, in grado di chiarire quali processi
cognitivi o quali fattori sottostanti presiedevano un determinato stadio di sviluppo.

Le successive ricerche sperimentali avviate da diversi studiosi tra cui Vygotskij, Piaget, Bruner
emerse un’immagine del bambino assai diversa da quella del senso comune, il b. e’ un precoce
elaboratore di info, ha uno spiccato senso di adattamento, utile perla sopravvivenza, partecipa
attivamente alla elaborazione del mondo ed al suo significato.

In Italia la ps. Dello sviluppo e’ arrivata molto tardi datoli clima non favorevole di allora (prima e dopo
il periodo fascista). Anticipatrice però dello studio sullo sviluppo fu la pedagogista Maria Montessori
(primi 900).

1.2
JEAN PIAGET

Piaget 1896-1980 . Epistemologia genetica: modi in cui l’essere umano e la scienza passano
da tipi di conoscenza meno evoluti a tipi più evoluti -> studio dell’evoluzione cognitiva nel
B.

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SVILUPPO AVVIENE ATTRAVERSO SEQUENZA DI STADI
• Ogni stadio è una totalità / struttura , ovvero ha caratteristiche che influenzano pervasivamente le
più diverse attività: tesi olistica contrapposta a tesi pluralistica (modularità)
• Passaggio da uno stadio inferiore a uno superiore consiste in una integrazione gerarchica: lo stadio
superiore differenzia le strutture di quello che lo precede e le integra
• Gli stadi costituiscono una sequenza invariante: l’ordine non può essere mutato dalle circostanze
ambientali o personali
• Gli stadi sono universali: opportunità / vincoli derivanti dall’ambiente o dalle caratteristiche
individuali possono solo accelerare o rallentare o al limite bloccare i passaggi, esperienze diverse si
traducono sì in contenuti di pensiero diversi ma non possono cambiare i modi in cui questo è
organizzato

•0-2 anni, stadio sensomotorio: B. non è in grado di evocare mentalmente oggetti ed eventi,
interagisce con l’ambiente solo attraverso percezioni e azioni motorie, che si raggruppano in piani
d’azione detti schemi sensomotori; all’inizio ciascuno schema è indipendente (ad es. il B. non riesce a
guardare qualcosa e prenderla contemporaneamente), poi i diversi schemi si coordinano in schemi più
complessi; un risultato di questa coordinazione è il formarsi della nozione di oggetto, che continua ad
esiste in quanto tale anche quando il B. non lo vede più perché nascosto
• 2-7 anni, stadio preoperatorio: dalla coordinazione degli schemi sensomotori si sviluppano gli schemi
mentali, che permettono l’attività rappresentativa, o funzione simbolica, grazie alla quale i B. sono in
gradi di evocare mentalmente oggetti o eventi non presenti attraverso il linguaggio, il gioco di
finzione, l’imitazione; fino a 4-5 anni vengono formulati dei pre-concetti che tengono conto solo degli
aspetti delle cose che in quel momento attirano l’attenzione del B., in seguito i concetti si stabilizzano
ma il ragionamento può violare i principi della logica (es. no reciprocità fratello, cambiamento quantità
liquido quando cambia il recipiente, es); no distinzione tra realtà interiore ed esteriore, tra attività
umane e processi naturali, tra verità e fantasia; scarsa cooperatività nel gioco e nelle relazioni con i
coetanei
• 7-11 anni, stadio delle operazioni concrete: gli schemi mentali si coordinano in schemi operatori
dotati di reversibilità (capacità di considerare contemporaneamente una relazione e la relazione
opposta), buona capacità di ragionamento logico di fronte a problemi che riguardano oggetti concreti,
manipolabili o rappresentabili mentalmente, ma ancora difficoltà se il problema viene presentato solo
in forma verbale; cooperazione con i coetanei nei giochi complessi e che possono richiedere il rispetto
di numerose regole
• dopo gli 11-12 anni, stadio delle operazioni formali: tappa più avanzata dello sviluppo
dell’intelligenza, estensione del campo di applicazione delle operazioni dello stadio precedente e nuove
operazioni, o operazioni di seconda potenza

MOTORE DELLO SVILUPPO, OTTICA BIOLOGICA-INNATISTA• organizzazione e adattamento come


invarianti funzionali presenti in tutti gli esseri viventi, caratterizzano la vita in quanto tale, e valgono
anche in campo cognitivo
• organizzazione cognitiva come tendenza intrinseca degli schemi sensomotori e poi mentali a
collegarsi in sistemi sempre più ampi e complessi
• adattamento cognitivo come risultato dell’equilibrio tra
• assimilazione cognitiva (incorporare un elemento dell’ambiente in un’azione motoria o mentale) e
•accomodamento cognitivo (modificare il proprio schema di azione motoria o mentale in risposta alle
specifiche sollecitazioni provenienti dall’ambiente) (processi top down e bottom-up?)• assimilazione
prevale nel gioco funzionale o di esercizio e nel gioco di finzione o simbolico, accomodamento prevale
nel gioco di imitazione
• nello sviluppo del B., disequilibrio fra i due viene avvertito come tensione che spinge a ricerca attiva
di nuovo equilibrio agendo sui due versanti -> piccoli e graduali cambiamenti danno origine alle
sostanziose differenza tra stadi

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MOTORE DELLO SVILUPPO: 1a FORMULAZIONE(attualmente rivalutata): OTTICA FUNZIONALISTICA,
RUOLO DELLA SOCIALIZZAZIONE
•pensiero ha dapprima la funzione di permettere soddisfazione allucinatoria dei desideri (influenza
Freud) -> pensiero autistico
• in seguito (7/8 anni) il confronto sociale obbliga il B. a rendersi conto che esistono punti di vista
diverso dal proprio e provoca il bisogno di convincere l’altro; per rispondere a questo bisogno il
pensiero diventa pensiero socializzato, evolvendosi in direzioni sempre più conformi ai principi della
logica e acquisisce la proprietà di reversibilità (stadio delle operazioni concrete)
• questo nuovo pensiero, nato quindi dai rapporti interpersonali, viene poi interiorizzato (Janet,
Vygotskij): “il ragionamento logico è una discussione di fronte a noi stessi che riproduce interiormente
gli aspetti di una discussione reale”
• ma, al contrario che per Vygotskij, pensiero genera linguaggio

1.3 LEV. S. VYGOTSKIJ

L’approccio storico-culturale

All’Istituto di Psicologia di Mosca nel 1924 lo spiritualista Celpanov viene sostituito dal materialista
Kornilov, che si pone il problema teorico del rapporto tra psicologia e marxismo e promuove il lavoro
di giovani studiosi, tra cui: Vygotskij, Leontjev, Lurija.

Vygotskij
Si possono identificare 3 fasi principali dell’attività scientifica di V. :
• tra il 1915 e il 1927 si occupa da un lato di critica letteraria e psicologia dell’arte, dall’altro
inizia ad interessarsi dell’applicazione della psicologia alla pedagogia, in particolare nel caso di
bambini con handicap (1924: “Problemi dell’educazione dei bambini ciechi, sordomuti e con
ritardo mentale”), ambito in cui propugna la visione della mente handicappata non come
“mente normale a cui manca qualcosa”, ma come “mente che si è riorganizzata diversamente”
per fare fronte all’handicap; sempre nel 1924 tiene la sua famosa prima conferenza all’Istituto
di Psicologia di Mosca che contiene gli elementi essenziali del manifesto della scuola storico-
culturale
• tra il 1928 e il 1931 continua ad occuparsi di pedagogia ma elabora anche le sue riflessioni
teoriche sulla storicità delle funzioni psichiche, in contrasto con la visione sostanzialmente a-
storica della mente propria della psicologia dell’epoca (e successiva); nel 1931 termina di
scrivere “Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori”, che verrà pubblicato postumo
nel 1960
• tra il 1932 e il 1934 (quando muore, a soli 38 anni) approfondisce vari temi di psicologia vera e
propria; nel 1934 scrive “Pensiero e Linguaggio”, che sarà pubblicato pochi mesi dopo la sua
morte

Temi principali:

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• nella dimensione cosciente della psiche umana (e solo in quella umana) vi è “l’esperienza
storica”, per cui moltissimi nostri comportamenti sono trasmessi alle generazioni successive
per via non genetica ma culturale; “l’esperienza sociale”, per cui l’individuo non dispone solo
delle connessioni (associazioni S-R) che si sono formate nel corso della sua esperienza, ma
anche di un gran numero di connessioni che si sono formate nell’esperienza di altri uomini; e
infine “l’esperienza duplicata”, ovvero la capacità di rappresentarsi mentalmente un’azione ed
eseguirla come piano (uomo vs ape o ragno di Marx)
• tra gli animali e l’uomo c’è quindi un salto qualitativo, caratterizzato dallo sviluppo di processi
psichici superiori dipendenti dal contesto storico-sociale in cui cresce il bambino; i processi
psichici superiori conservano la stessa natura biologica di quelli inferiori, ma l’influsso dei fattori
storico-culturali dà loro una nuova, diversa organizzazione funzionale
• in particolare, l’uomo non funziona solo con stimoli di primo livello; capacità precipua dei
processi psichici superiori dell’uomo è inserire nella sequenza un terzo livello, che V. definisce
stimolo-mezzo, ovvero l’uomo è capace di creare lui stesso (o di apprendere per via culturale)
stimoli “artificiali” che si auto-somministra (nodo al fazzoletto, moneta per scegliere); questi
stimoli-mezzi, anche da V definiti “segni”, sono mezzi che permettono all’uomo di dirigere il
proprio e l’altrui comportamento; il più importante, per gli effetti che ha sull’organizzazione dei
processi psichici, è il linguaggio
• il processo per cui questi stimoli-mezzi influiscono sull’organizzazione funzionale delle strutture
psichiche passa attraverso la loro interiorizzazione
• in particolare il linguaggio viene dapprima appreso dal bambino come strumento di
comunicazione con l’altro per dirigerne il comportamento (funzione interpsichica), e viene poi
interiorizzato diventando uno strumento per comunicare con se stesso e dirigere il proprio
comportamento (funzione intrapsichica); in questo V. prende una posizione diametralmente
opposta a quella di Piaget, che invece riteneva che il linguaggio fosse inizialmente egocentrico
e solo in seguito, passando ad un successivo stadio di sviluppo cognitivo, il bambino fosse in
grado di utilizzarlo con funzione sociale

• nell’interiorizzarsi il linguaggio cambia il pensiero, che diventa “pensiero verbale” (il linguaggio
cioè esplicita il pensiero, aiuta a pensare) e cambia esso stesso: il linguaggio interno è più
frammentato, abbreviato del linguaggio esterno; il senso (cosa la parola significa per il
parlante) predomina sul significato (cosa la parola significa per la maggioranza dei parlanti) –
connotativo e denotativo?
• Estendo il concetto, nello sviluppo del bambino ogni funzione fa la sua apparizione due volte:
prima sul piano sociale, fra le persone, come categoria interpsichica, poi all’interno del bambino
come categoria intrapsichica
• questo aspetto consente a V. di formulare una teoria del processo educativo (che deve avere
carattere interpersonale e sociale) basata sul concetto di “zona di sviluppo prossimo
(prossimale)”, ovvero quell’area di contenuto mentale che il bambino ad un dato livello di
sviluppo non può ancora produrre da solo, ma può arrivare già a produrre con l’aiuto
dell’insegnante, e che successivamente interiorizzerà spostando in avanti il limite inferiore della
zoped -> l’insegnante dovrà a quel punto spostare in avanti quello superiore
• per V. lo sviluppo ontogenetico è quindi uno sviluppo culturale, in quanto fondato
essenzialmente sull’interiorizzazione dei mezzi forniti dall’ambiente socio-culturale

Gran parte del lavoro di V. si indirizzava alla pedologia, ovvero alla ricerca di una teoria unificata dello
sviluppo psichico del bambino sotto l’influenza dei fattori sociali e culturali; la pedologia viene però
condannata nel 1936 dal comitato centrale del PCUS in quanto rispecchiante correnti
psicopedagogiche borghesi di stampo idealistico.

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Le opere di V. vengono di conseguenza bandite, e saranno nuovamente disponibili solo dopo la svolta
del 1956. In occidente inizieranno ad essere conosciute solo a partire dal 1962 (pubblicazione di
Pensiero e Linguaggio, con prefazione di Piaget), con una vera e propria esplosione di interesse negli
anni ’80.

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Fra prospettiva storico-culturale e fisiologia: Aleksandr Lurija

Considerato da alcuni come il più grande neuropsicologo del secolo, nasce nel 1902, a 19 anni fonda la
società psicoanalitica di Kazan, si laurea in scienze naturali e inizia lavorando presso la clinica
psichiatrica di Kazan.
Nell’autunno del 1923 viene invitato da Kornilov all’Istituto di Psicologia di Mosca, dove nel 1924
incontra V.; nel frattempo diventa anche segretario della società psicoanalitica di Mosca, carica a cui
rinuncerà nel 1927; tra gli anni 20 e 30 lavora alla fondazione di una “psicoanalisi sperimentale”; nel
1932 pubblica “The nature of human conflicts”.
Nei primi anni 30 si distacca da V., nel 1936 si laurea in medicina e inizia a lavorare presso l’istituto di
neurochirurgia di Mosca, poi nel 1939 passa a quello di neurologia. Durante la guerra dirige un
ospedale militare negli urali -> studio cerebrolesi; nel 1947 pubblica “Afasia traumatica”. Nel 1950
viene attaccato in quanto non in linea con la dottrina ufficiale pavloviana e deve trasferirsi in un
istituto minore (difettologia), dove rimane acquattato occupandosi dei problemi dei bambini con
ritardo mentale fino alla riabilitazione della fine degli anni 50, quando può tornare a lavorare
all’istituto di neurochirurgia .
Nel 1962 pubblica “Le funzioni corticali superiori nell’uomo”, sintesi fondamentale della sua teoria
neuropsicologica, nel 1968 “Una memoria prodigiosa”, nel 1972 “Un mondo perduto e ritrovato” (casi
clinici), nel 1973 la sintesi “The working brain” che diffonde la sua teoria. Ancora nel 1974 scrive
“Storia sociale dei processi cognitivi”, con il rendiconto della spedizione effettuata in Uzbechistan 30
anni prima, ai tempi del sodalizio con V., alla ricerca di riscontri empirici della teoria socio-culturale.
Muore nel 1977.

Lurija formula la sua teoria basandosi sull’esame di centinaia di pazienti cerebrolesi condotto secondo
il metodo clinico della neuropsicologia classica, basata sullo studio del caso singolo, che si contrappone
al metodo occidentale che indaga grandi campioni adottando procedure sperimentali e analisi
statistiche.

Culturalmente influiscono sulla sua teoria: Freud (non riconosciuto), V. e Goldstein, neuropsicologo
tedesco (?).

Rivede sostanzialmente tre concetti principali utilizzati nelle precedenti concezioni delle basi cerebrali
dei processi psichici: funzione, localizzazione e sintomo

• Funzione: in contrasto con il localizzazionismo rigido che concepisce la funzione come


un’attività specializzata di una determinata area cerebrale, L. sostiene che le funzioni corticali
superiori nascono dall’attività integrata di aree corticali diverse, analogamente a quanto accade
per altri processi fisiologici complessi (es digestione, respirazione); quindi se da un lato ogni
area corticale ha una propria funzione semplice (es visione, udito, programmazione motoria),
alla base dei processi psichici umani (ad es scrittura) vi sono funzioni complesse che dipendono
da insiemi integrati (che Lurija chiama “sistemi funzionali”) di queste funzioni semplici. In linea
con l’approccio storico-culturale, per L. l’organizzazione di questi sistemi integrati non è
geneticamente programmata, ma si sviluppa sotto l’influsso di fattori sociali e culturali.

• Localizzazione: in questa visione dei “sistemi funzionali” la localizzazione dei processi psichici
superiori non può essere rigida ma dinamica, tanto quanto lo è la funzione, anche tenendo
conto che il sistema funzionale si evolve ontogeneticamente. Questo ha ripercussioni notevoli
sugli effetti delle lesioni: lesioni in età infantile che producano un danno ad una delle funzioni
semplici della visione ostacolano fortemente lo sviluppo del sistema funzionale che su queste
funzioni semplici poggia; al contrario se la lesione sempre di aree con funzioni semplici legate

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alla visione avviene in età adulta, quando il sistema funzionale si è già formato, il sistema
funzionale può rimanere relativamente indenne avvalendosi dell’attività di altre aree. Ma se la
lesione in età adulta riguarda le cosiddette aree associative o “superiori”, gli effetti sono
devastanti perché, anche se le funzioni semplici rimarrebbero disponibili, si disintegra il sistema
funzionale e quindi il processo psichico non può più avvenire.

• Sintomo: coerentemente, il sintomo deve essere inteso piuttosto come una sindrome, che
segnala un disturbo del sistema funzionale senza nulla dire sulla localizzazione del danno
cerebrale; e viceceversa, lesioni in aree diverse possono danneggiare uno stesso sistema
funzionale in diversi modi (non c’e’ corrispondenza biunivoca sintomo-lesione…e questo è
Freud!)

Inoltre Lurija disegna un’architettura del cervello per cui i vari sistemi funzionali sono a loro volta
organizzati in tre super-sistemi o unità funzionali tra loro, ovviamente, interconnessi, che partecipano
tutte e tre alla maggior parte dei processi psichici superiori coscienti:
• unità di regolazione del tono, ciclo veglia/sonno, bisogni e emozioni: formazione reticolare
ascendente e strutture sottocorticali
• unità per la recezione, analisi e immagazzinamento dell’informazione: lobi occipitali, temporali
e parietali
• unità per la programmazione, regolazione e controllo delle attività motorie: aree motorie,
premotorie, prefrontali; in particolare poi Lurija individua nella corteccia prefrontale, che si
sviluppa tardi nell’ontogenesi (3-4 anni), la regione che assicura il massimo dell’integrazione
funzionale intracerebrale, la “sede stessa della coscienza”, il “sistema dei sistemi funzionali”
che si avvale del linguaggio come strumento principale della regolazione della regolazione
cosciente del comportamento

1.4. JHON BOWLBY

SCHEDA

ATTACCAMENTO: John Bowlby, processo a base innata. Base evolutiva e ontogenentica consiste nella
necessità di essere vicino al genitore: predisposizione biologica del B. a sviluppare un attaccamento
per chi si prende cura di lui. Funzione biologica: proteggere la prole; funzione psicologica: fornire
sicurezza
Primo legame affettivo del B. Definito come legame di lunga durata, emotivamente significativo, con
una persona specifica

Caratteristiche del sistema: selettivo / implica ricerca di vicinanza fisica / fornisce benessere e
sicurezza come risultato della vicinanza / l’interruzione del legame determina stato di angoscia da
separazione

Distinzione tra
• “sistema di attaccamento”: termine teorico, si riferisce ad un programma e sistema di controllo non
osservabile che causa i comportamenti di attaccamento,
• “legame di adattamento”: termine osservativo: la relazione stabile ed emotivamente significativa
che si traduce in ricerca di vicinanza
• e “comportamento di attaccamento”: termine osservativo: le azioni volte a mantenere la vicinanza

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Processo di attaccamento si sviluppa in 4 fasi:
• preattaccamento: 0-3 mesi; risposte del tutto indiscriminate, le risposte (tipicamente sorriso)
servono a promuovere le vicinanza del genitore
• formazione dell’attaccamento (3-7/9 mesi): riconoscimento delle persone familiari, risposte nei
loro confronti più pronte e più intense (base cognitiva necessaria: memoria di riconoscimento)
• attaccamento vero e proprio: 7/9 mesi –2/3 anni: risposte di attaccamento concentrate su
persone familiari e in particolare sul caregiver; angoscia da separazione; persone non familiari accolte
con diffidenza/timore (base cognitiva necessaria: costanza dell’oggetto)
• formazione di un rapporto reciproco / relazione gestita in funzione dell’obiettivo: dai 2/3
anni in poi il B. diventa capace di comportarsi con intenzionalità, pianifica le sue azioni in funzione dei
suoi obiettivi ed è in grado di iniziare a prendere in considerazione anche sentimenti e obiettivi
dell’altro
Autismo: incapacità innata di sviluppare l’abituale e biologicamente determinato contatto affettivo con
le persone
Sviluppi successivi vedono l’interazione tra 3 sistemi comportamentali:
• attaccamento / esplorazione / prudenza
(base cognitiva necessaria: capacità di formarsi una rappresentazione mentale del caregiver da
“portare con sé” e con cui entrare in relazione anche in assenza della figura stessa)

Tipi diversi di attaccamento, risultanti dall’interazione tra richieste del B. e risposte della madre (a loro
volta modulate da caratteristiche sia della madre* che del B.)
• sicuro <- madre autonoma (gruppo di maggioranza, da 57 D a 75% UK)
• insicuro evitante <- madre rifiutante (da 5 J a 35% D)
• insicuro resistente <- madre preoccupata (da 3 UK a 27% J)
• disorganizzato
Paradigma “strange situation” C. Ainsworth

A partire dalle esperienze con le figure di attaccamento, si creano i cosiddetti “modelli operativi
interni” ( i modelli fungono da guida ale azioni del b., anticipano il comportamento dell’altro) , che
finiscono con rappresentare le caratteristiche proprie di ciascuna figura e del tipo di relazione che con
essa si è sviluppata
• rappresentazioni mentali che comprendono sia caratteristiche emotive che cognitive
• sviluppo modellato dalle esperienza di ricerca di prossimità vissute dal B.
• una volta formati, esistono al di fuori della coscienza e tendono ad essere stabili
• forniscono regole che guidano comportamenti e sentimenti nei confronti degli altri significativi
*Ipotesi continuità intergenerazionale: modello operativo interno della madre influenza il modo di
interagire con il figlio e quindi il tipo di attaccamento che questi svilupperà nei suoi confronti

CAP. 2 – I NODI TEORICI ATTUALI

2.1
Perche’ si e’ da sempre parlato di psicologia dell’età evolutiva e non di ps. Dello sviluppo? Parlate di
età evolutiva voleva significare che la crescita di una persona arrivata l’età adulta si stabilizzava,
dopo di che sopravveniva una fase decrescente e di declino corrispondente all’età senile. Secondo
questa prospettiva il bambino e l’adolescente erano adulti imperfetti, difficili da comprendere perche’
dovevano ancora raggiungere la meta che gli consentiva di conseguire la maturità e la completezza

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dell’essere adulto. Gli studi degli ultimo decenni hanno mutato questa prospettiva, l’età adulta non e’
sempre quel periodo in cui si raggiungere uno sviluppo ottimale e perfetto, questo periodo della vita
si e’ dimostrato molto dinamico e l’essere adulti non significa aver raggiunto il pieno e completo
sviluppo di una persona. Lo sviluppo e il cambiamento possono durare tutta una vita e negli anziani è
possibile una produttività sconosciuta alle età precedenti. Lo sviluppo non puo’ essere etichettato
come processo evolutivo in atto in una determinata fase della vita cui farebbe seguito una fase
involutiva, la psicologia dello sv. Abbraccia l’intero ciclo di vita dell’uomo perche’ lo sviluppo riguarda
tutta l’esistenza.
2.2 I MODELLI DETERMINISTICI UNICASUALI

L’influenza che i progressi e le scoperte scientifiche hanno avuto sulla nascente


psicologia è stata rilevante. Gli psicologi adottarono le metodologie dominanti nelle scienze forti
dell’800 (fisica) come modello da applicare agli studi dei processi psicologici. Questi modelli erano
di tipo unicasuale e deterministico, la psicologia comportamentista di John Watson con la nota
formula S-R evidenzia bene quanto il comportamento sia considerato un risultato obbligato si uno
stimolo ambientale, in una relazione unidirezionale che non lascia spazio ne’ ad altre influenze né
all’azione individuale.
Nel caso della psicoanalisi il comportamento è il risultato dell’azione della pulsione. Quest’ultima in
accordo con il modello meccanicistico derivante dalla scienza dell’800 è considerata una energia
psichica di produzione endogena e di deviazione istintuale la quale ceca di trovare sbocco nel
comportamento.

2.3 I MODELLI PROBABILISTICI MULTICASUALI. IL CONTRIUTO DELLE SCIENZE FISICHE.

L’introduzione di una visione sistemica ha profondamente modificato il modo di


considerare le variabili, poichè ha spostato l’attenzione alle reciproche modificazioni ed interazioni
delle variabili lungo il tempo. Perciò ad un sistema statico si sostituisce una visione dinamica ce
considera l’evoluzione del sistema nel tempo.Non e’ più possibile una rigida distinzione tra variabile
indipendente e variabile dipendente dal momento che ogni variabile può essere causa ed effetto delle
altre. Tali modelli nel campo della fisica trovano applicazione nella teoria delle catastrofi, nelle
previsioni meteorologiche.

2.4 I MODELLI PROBABILISTICI MULTICASUALI: IL CONTRIBUTO DELLA PSICOLOGIA

Numerose elaborazioni teoriche hanno contribuito a costruire modelli multicasuali che sono
riconducibili a due grandi aree:
1 – studi che hanno preso in considerazione il ruolo attivo della mente umana
2 – studi che hanno adottato una prospettiva interazionista e sistemica.

L’approccio cognitivista in psicologia ha sempre sottolineato il ruolo attivo della mente umana, capace
di rielaborare le info e di attribuire significato al mondo. Tra gli studiosi che hanno studiato lo sviluppo
cognitivo si annoverano Piaget, Werner, Vygostkij.
Secondo il costruttivismo di Piaget l’intelligenza:
1- realizza la più alta forma di adattamento, cioè il più alto equilibrio tra azione dell’organismo
sull’ambiente e viceversa
2- Secondo Werner l’individuo attraverso lo sviluppo mentale realizza un equilibrio sempre più
stabile e flessibile in rapporto con la realtà
3 - Vygostkij ha sottolineato come i processi psichici superiori abbiano una natura sociale e come
la mente umana svolga un ruolo attivo nell’ utilizzare i mezzi sociali e culturali della propria società
per attribuire un significato alla realtà attraverso l’uso del linguaggio. Individuo e la’mbiente sociale e
culturale sono in stretta e reciproca interazione.

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Bruner pone la questione di non limitare l’analisi dei meri processi di elaborazione delle info per
spiegare il funzionamento della mente umana. Secondo B. il limite della teoria dell’elaborazione
dell’info sta proprio nel fatto che si è ignorato il ruolo strutturante della cultura, come proposto da
Vygostkij.

Tra i modelli che hanno considerato una prospettiva interazionista e sistemica si annoverano gli
studiosi Lewin (1951) ed in un primo momento Bronfenbrenner.
Lewin ha introdotto il concetto di campo e di forze , le intuizione di Lewin sono state riprese da
Bronfenbrenner (1979): Egli ha sottolineato l’importanza del contesto nel quale l’individuo si
sviluppa.Ha proposto il modello “persona-contesto-processo” che sottolinea la reciproca relazione tra
persona e ambiente. In passato B. aveva sottolineato l’importanza del contesto, piu’ tardi ha
cambiato prospettiva per ribadire l’importanza della persona e dei processi di sviluppo che in tale
relazione si elaborano.

SCHEDA

•Lewin cerca spiegazioni comportamento esaminando le


interrelazioni attuali tra la persona e l’ambiente, non
in chiave causa-effetto, ma di influenze reciproche
circolari (vs comportamentismo)
• interrelazioni descritte usando metafore spaziali ->
• psicologia topologica, ovvero scelta di un approccio
sistematico ma non quantitativo/metrico (vs quantificazione della psicometria) come modo più
appropriato per rappresentare scientificamente la complessità delle dinamiche psicologiche
• principale caratteristica dei fenomeni psicologici è il fatto che si verificano per una determinata
persona dentro e in relazione con un determinato ambiente
• ambiente non è fisico, oggettivo, ma psicologico, soggettivo, anche se nell’esperienza della persona
esso ha carattere di oggettività, la sua struttura di fatto riflette i bisogni della persona, -> spazio
vitale (C= f(P,A)=f(SV)
• proprio perché l’ambiente rispecchia i bisogni della persona, gli oggetti presenti dell’ambiente non
sono neutri, ma possiedono un “carattere imperativo” o “valenza”, che può essere positiva o negativa
• le valenze creano forze psicologiche di attrazione o repulsione, la cui intensità, direzione e verso
possono essere rappresentati da vettori
• le valenze non sono caratteristiche stabili degli oggetti, ma mutano a seconda dei bisogni della
persona (vs comportamentismo, stimoli come motori esterni del comportamento): il segno e
l’intensità della valenza di un oggetto o di un evento dipendono direttamente dallo stato dei bisogni di
un individui ad un momento dato
• quindi il comportamento dipende dallo stato della persona e del suo ambiente: C = f(P,A) = f(SV),
dove P e A devono essere considerate variabili in dipendenza reciproca, circolare, che costituiscono lo
spazio vitale, e dove f è la “legge psicologica” ovvero la relazione tra spazio vitale e comportamento
da individuare per spiegare e prevedere il comportamento
•Situazioni di conflitto generate da forze psicologiche che spingono con pari intensità in direzioni
opposte, per effetto della presenza di due oggetti o con uguale valenza (positiva o negativa) ma
alternativi o con valenze opposte ma accoppiati
• conflitto può generare reazione di fuga dal campo, che può essere impedita circondando la sona del
campo con qualche tipo di barriera

•Struttura psichica interna dell’individuo e struttura dell’ambiente differenziate in regioni, ossia


diverse sfere di vita e corrispondenti bisogni

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• Sviluppo B. va nella direzione di una sempre maggior differenziazione e numerosità delle regioni e
solidità delle barriere che le delimitano, che consente articolazione e relativa indipendenza delle sfere
di vita
(richiama concetto complessità del Sé) , una maggiore
distinzione tra i piani della realtà e dell’irrealtà, e
una maggiore articolazione della dimensione temporale
passato-presente-futuro, che permette da un lato
di dilazionare la gratificazione e costruire piani
per il futuro e dall’altro di integrare
l’esperienza passata

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2.5 UN MODELLO PROBABILISTICO OLISTICO INTERAZIONISTA COSTRUTTIVISTA

La psicologia contemporanea si e’ orientata sempre più verso un modello (vedi titolo del
capitolo). L’assunto di fondo di questa concezione riguarda la relazione tra individuo e il suo ambiente,
i quali formano un sistema integrato e dinamico, di cui sia l’individuo che l’ambiente sono elementi
inseparabili e che si influenzano reciprocamente. Per capire meglio l’interazione si puo’ concepire
l’ambiente come un sistema distinto in livelli differenti che sono stati variamente definiti.
Bronfenbrenner parla di ambiente ecologico distinto in vari sistemi. L’ambiente non deve essere
considerato immobile e spesso gli studi psicologici hanno postulato questa condizione , esso e’
dinamico e si modifica nel corso dello sviluppo sia in relazione a fattori esterni che interni all’individuo.
Gli individui contribuiscono alla costruzione dell’ambiente nel quale vivono anche quando ne sono
inconsapevoli. Oggi in una prospettiva di interazione reciproca viene considerata l’interazione che
l’individuo esercita sull’ambiente, il sistema e’ dinamico e aperto, questa azione si esplica prima di
tutto nell’ambiente familiare, delle amicizie e dei pari, l’individuo contribuisce alla creazione stessa
della cultura e ne provoca la continua modificazione. L’analisi dell’ambiente percepito e’ di primaria
importanza perche’ sono le rappresentazioni che ogni persona si fa dell’ambiente che porta l’individuo
a comportarsi e ad agire in un determinato modo. Un’altra importante distinzione riguarda l’ambiente
condiviso (es. la famiglia). Da uno studio recente e’ emerso però che sono proprio le esperienze non
condivise nel rendere ragione di quelle differenze che vi sono tra fratelli e che non sono quindi
imputabili al solo fattore genetico (la cui influenza e’ limitata nella percentuale massima del 50%). La
persona e’ concepita come un sistema che opra in modo attivo e finalizzato che costruisce il proprio
sviluppo e si autoregola in interazione con un ambiente che non e’ da lei separato e che anzi in una
certa misura ha costruito l’individuo stesso. <le persone possono quindi influenzare il proprio sviluppo
attraverso un’azione sul contesto (sviluppo come azione nel contesto).

2.6 BIOLOGIA E AMBIENTE:IL RAPPORTO TRA MATURAZIONE ED ESPERIENZA

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Il contributo offerto dalla biologia e dalle neuroscienze e’ stato quello di chiarire il
funzionamento delle strutture nervose e dei processi chimici coinvolte. E’ sempre piu’ chiaro che i
fattori genetici forniscono il corredo “potenziale” di un individuo ma non la sua particolare
realizzazione. Lo sviluppo di un potenziale talento è possibile solo grazie alle opportunità che vengono
offerte dall’ambiente. Quindi i fattori biologici insieme a quelli genetici rendono possibile un certo
funzionamento psichico pungolo sviluppo. Ad es. per lo sv. Cognitivo è stato evidenziato che le tappe
più significative nell’infanzia, fanciullezza e adolescenza corrispondono a momenti importanti di
produzione e di selezione delle sinapsi, e cosi’ è anche per la mielinizzazione delle fibre nervose.Ma
l’influenza tra la maturazione biologica e l’esperienza e’ di tipo biunivoco. Anche la pratica influenza la
maturazione neurofisiologica, ad ese. Sia a livello di produzione che di selezione delle sinapsi. Questa
reciproca influenza ed anche il fatto che la maturazione biologica pone dei limiti allo sviluppo ad ogni
livello di età pone il problema dell’esistenza o meno di periodi critici rigidi nei quali l’esperienza e
l’ambiente esercitano la loro massima influenza ed oltre i quali può risultare difficile per una funzione
riuscire a manifestarsi. Questa condizione risulta difficile da dimostrare considerato che l’uomo e’
dotato di grande plasticità, per questa ragione gli psicologi preferiscono parlare di periodi sensibili ( o
critici) nei quali nuovi apprendimenti e cambiamenti sono maggiormente probabili .

2.7 LA SFIDA DEI MODELLI PROBABILISTICI

L’interazione tra individuo e ambiente e’ di tipo dinamico e va sempre contestualizzata talche’


nel corso del tempo vi possono essere reciproche modificazioni. Vi è quindi un approccio diverso e di
piu’ ampio respiro in ordine alle potenzialità e alla responsabilità educativa dell’adulto e piu’ in
generale alle opportunità che il presente puo’ offrire allo sviluppo di ciascuno nel corso della vita.
Effetti prima considerati irrilevanti , ora mettendo in primo piano il fattore temporale come fattore
dinamico, assumono una maggiore importanza in quanto gli stessi (effetti) possono nel tempo
innescare conseguenze rilevanti. ( i cosiddetti “scostamenti marginali” che sono definiti minimi
scostamenti dalla norma ma che possono evolvere nel tempo con effetti significativi).
Il compito della ps. dello sviluppo e’ quello di comprendere i fattori maggiormente significativi
e di capire i processi che regolano l’azione, non solo descrivere il funzionamento psichico ma i processi
che lo sovrintendono.
Dal punto di vista metodologico cio’ comporta:
• L’abbandono e il superamento delle strategie di ricerca basati sul metodo retrospettivo, vale
a dire partire dall’adulto per ricostruire lo il percorso di sviluppo del bambino;
• Superamento dell’approccio basato sulle variabili e sui rapporti di causazione tra variabili
indipendenti. L
• Prevale un approccio centrato sull’individuo e sul sistema persona-ambiente considerati come
insiemi organizzati in interazione.

Si preferiscono sempre piu’ piani di ricerca longitudinali rispetto a quelli trasversali. La maggiore
attenzione al contesto ed alla relazione tra individuo e ambiente ha portato a privilegiare metdi di
osservazione in condizioni naturali.

2.8 CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’ LUNGO LO SVILUPPO.

Con il cambiamento di prospettiva adottato nell’adozione di modelli olistici gli studiosi della ps.
dello sviluppo si sono dal pari chiesti cosa cambiasse e cosa rimanesse uguale lungo lo sviluppo
cognitivo, affettivo e sociale, quali processi permangano o mutino nel corso dello sviluppo. )In

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altre parole un bambino timido rimarra’ tale per tutta la vita oppure potrà modificare il proprio
modo di rapportarsi agli altri negli anni della scuola? A livello soggettivo ognuno di noi vive un
senso di continuità nella propria esistenza e persona, nonostante i cambiamenti fisici e psichici.
Nel momento in cui si perde questo senso di continuità (ad es. il pensionamento , una grave
malattia, situazioni dolorose) vi e’ una attiva ricerca del soggetto di ricercare un filo conduttore
che ricostruisca la nostra esistenza e identità. La continuità dei processi mentali e’ importante
quanto quello comportamentale. A riguardo dei primi si parla di continuità dei processi se si
ritiene che lungo tutto il corso dello sviluppo agiscano gli stessi processi causali ., ad es, la T. di
Piaget e’ continua perche’ presuppone che i processi di assimilazione accomodamento e d q
equilibrio funzionino lungo tutto lo sviluppo dell’individuo.

2.9. LA SEQUENZA STADIALE.

Il concetto di stadio e di fase sono stati utilizzati dai modelli tradizionali per spiegare la continuità
e la discontinuità dei comportamenti lungo l’età evolutiva. Secondo il modello costruttivista e
studiale di Piaget lo sviluppo cognitivo non è affatto continuo,come aveva postulato l’approccio
psicometrico per il quale lo sviluppo dell’intelligenza era meramente quantitativo. Secondo Piaget
lo sviluppo delle strutture mentali è discontinuo e si organizza in stadi qualitativamente
differenziati sulla base della maturazione biologica.
La sequenza di questi stadi e’ invariante. Il passaggio da una fase o da uno stadio all’altro avviene
ad una certa età e lo stadio o fase si estendono in tutti i bambini per un certo periodo di tempo.
Lo stadio e la fase sono concepiti in modo unitario e tutte le modalità di funzionamento psicologico
del bambino che si trova in un certo stadio o fase sono accomunati dalle stesse proprietà. Lo
sviluppo cognitivo secondo Piaget non doveva avere effetti di “decalage” orizzontali nello
sviluppo vale a dire che non ci fossero delle differenze nelle prestazioni fra compiti diversi ad un
certo momento dello sviluppo. Uno stadio infatti e’ caratterizzato da una certa struttura logica e
tutti i compiti sono quindi risolti allo stesso modo, indipendentemente dal campo di applicazione. I
decalages sono soltanto verticali riguardano cambiamenti qualitativi tra uno stadio e l’altro.Ci si
attende quindi che alla stessa v isia una scarsa variabilità interindividuale e variabilità
intraindividuale. Ogni bambino ad uno certo stadio presenta prestazioni simili che riguardano tutti
gli ambiti del funzionamento psichico. Le eventuali differenze rilevate all’interno dello stesso stadio
vengono per lo piu’ interpretate come deviazioni dalla norma e quindi come regressioni e non
come normali scarti temporali nello sviluppo di differenti funzioni.

2.10 .OLTRE IL CONCETTO DI STADIO

Questi concetti sono stati messi in discussione da tempo da molti studiosi sulla base di evidenze
empiriche e di modelli teorici che sottolineavano l’importanza della cultura e ambiente sociale e non
soltanto di fattori di origine biologica nel plasmare lo sviluppo. Per V. lo sviluppo biologico definisce le
possibilità di sviluppo ma non la concreta realizzazione che e’ legata alle opportunità offerte dalla
cultura e dall’utilizzo di strumenti propri di quella cultura. “L’area di sviluppo prossimale” di V.
definisce quell’area che si colloca tra un livello di sviluppo di un bambino in un momento definito ed il
suo livello potenziale non ancora raggiunto cui puo’ accedere con l’aiuto di un adulto che metta a
disposizione gli strumenti culturali. (areata cio’ che il bambino e’ in grado di fare da solo e tra quello
che potrebbe potenzialmente fare con l’aiuto di…). La successione stadiale quindi non può essere
individuata come una sequenza obbligata di sviluppo biologicamente fondata , uguale per tutti i
bambini, e che non tutti i bambini della stessa età ragionano allo stesso modo o utilizzano le stesse
modalità di interazione sociale. Se V. dava risalto alla utilizzo dei mezzi culturali altri studiosi hanno
focalizzato le proprie attenzioni al ruolo dell’interazione sociale non solo con gli adulti ma anche con i
pari . Gli studi sul conflitto sociocognitivo hanno dato un contributo decisivo a mettere in discussione

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l’omogeneità delle prestazioni cognitive e dei comportamenti dei bambini ad un certo stadio. I bambini
possono, a certe condizioni (ad es. trovarsi nella fase terminale di uno stadio):
anticipare modalità di funzionamento propri dello stadio successivo, limitatamente ad un ambito
cognitivo, quando si trovano a confrontare il proprio punto di vista con un bambino poco piu’ grande.
Questi studi hanno dimostrato che lo stadio non e’ una struttura globale ed unitaria ma che e’
possibile per certi compiti ragionare in modo diverso caratteristico dello stadio seguente. Le sfasature
(decalage) non si rilevano solo a livello verticale ma anche orizzontale, cioe’ differenze nel modo di
ragionare all’interno dello stesso stadio.

2.11 VARIABILITA’ INERINDIVIDUALE E VARIABILITA’ INTRAINDIVIDUALE

Per quanto non appaia opportuno alla maggior parte degli studiosi dello sviluppo in una
prospettiva interazionista solistica, abbandonare del tutto l’idea di sequenzialità dei processi maturativi
nel corso del tempo, con un percorso comune di maturazione agli esseri appartenenti alla specie
umana, viene sottolineato che tali processi individuano una possibilità di sviluppo la cui realizzazione
resta legata alla interazione tra individuo e l’ambiente. Il concetto odierno di stadio è quello di una
possibile successione legata allo sviluppo biologico che segue una certa progressione. Il passaggio da
uno stadio all’altro dipende dalle influenze ambientali e gli stadi successivi possono anche non essere
raggiunti. All’interno di uno stesso stadio vi puo’ essere anche una variabilità tra individui e anche
all’interno dell’individuo, un bambino puo’ a 5 anni avere una buona capacità verbale ed essere goffo
nella manipolazione degli oggetti. L’ambiente puo’ si’ aiutare il bambino ad anticipare i livelli di
prestazione sempre pero’ all’interno di un limite massimo specifico per quell’età.

2.12 PERCORSI DI SVILUPPO INDIVIDUALIZZATI E DIFFERENZIATI.

Per queste ragioni al concetto di stadio molti psicologi dello sviluppo preferiscono quello di
percorso di sviluppo nella convinzione che si debba parlare tanto per lo sviluppo cognitivo che per
quello affettivo e sociale non di percorsi obbligati ma di percorsi possibili fortemente individualizzati e
differenziati che sono il risultato di una complessa interazione lungo il tempo dell’individuo e del suo
ambiente. L’interazione tra tutti questi fattori non e’ inconoscibile perche’ avviene secondo modalità
costanti e processi ordinati. (secondo modalità sottoposte a leggi e non in modo casuale). Negli ultimi
anni la psicologia dello sviluppo ha prestato attenzione crescente a quelle esperienze che
costituiscono dei punti di svolta (turning point) nella vita di un individuo e che possono a seconda
delle decisioni prese avere delle implicazioni notevoli per la futura capacità di adattamento.

2.13 SVILUPPO E CAMBIAMENTO

L’obiettivo della psicologia e’ quello di individuare e nel comprendere i processi sottostanti al


funzionamento e allo sviluppo psichico dell’individuo. Il primo scopo e’ quello di individuare i fattori
che operano nel corso dello sviluppo dell’individuo ed in secondo luogo capire quali siano i
meccanismi attraverso i quali tali fattori operano. Cambiamento e sviluppo nel corso del ciclo di vita
di un individuo non sono sinonimi. Non tutto cio’ che rappresenta un cambiamento ovvero una
modificazione del comportamento significa che vi sia stato uno sviluppo. Per sviluppo si intende un
cambiamento non solo quantitativo ma anche qualitativo delle capacità psichiche. Esso era
accompagnato da un parallelismo tra il funzionamento biologico e psicologico. Secondo Piaget (75)
l’intelligenza, forma superiore di adattamento biologico, attraverso i processi di assimilazione
accomodamento realizza lungo lo sviluppo un equilibrio sempre piu’ plastico e stabile . Lo sviluppo
comporta per l’individuo la capacità di rispondere ed interagire alle stimolazioni provenienti
dall’ambiente esterno in modo flessibile compensando le perturbazioni . Lo sviluppo è concepito
come n cambiamento sistematico coerente sequenziale e probabilistico progressivo e multidirezionale.

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2.14 LO SVILUPPO DELLE POTENZIALITA’ TRA OPPORTUNITA’ E RISCHI

Superando una concezione che identifica la normalita’ con la norma statistica l’accento viene
posto sullo sviluppo delle potenzialità individuali. Le persone presentano grandi differenze individuali,
sia per la diversa dotazione biologica che per le diverse esperienze fatte. Il criterio di valutazione della
positività di un’acquisizione non e’ piu’ estrinseco ma fa riferimento alle potenzialità dell’individuo e
quindi alle sue eventuali carenze o al contrario a i suoi talenti. Anche i fattori di rischio nella
prospettiva solistica vengono considerati in modo differente. Non ci si puo’ limitare a considerare i
fattori di rischio in una visione unilineare e unicausale. Le organizzazioni e rappresentazioni interne
all’individuo mediano il rapporto tra individuo ambiente e rischio. Il concetto di resilience ovvero di
sape essere resistenti e flessibili alle avversità richiama la capacità delle persone di riuscire a
realizzare un adattamento accettabile nonostante le difficili condizioni di sviluppo. L’analisi non poteva
essere svolta solo in negativo , prendendo in considerazione i soli fattori di rischio poiche’ molti altri
fattori svolgono un ruolo di protezione mitigando o addirittura annullano l’influenza di condizioni
negative. E’ grazie al complesso intreccio fra fattori di rischio, di protezione , tra l’individuo e
l’ambiente che fa si’ che un percorso inizialmente intrapreso in condizioni rischiose puo’ non
concludersi in modo patologico.

CAP. 4 –LO SVILUPPO COGNITIVO

In che modo il bambino conosce il mondo

4.1 I RIFLESSI

I riflessi sono così distinti:

1 rotazione del capo


2 suzione
3 marcia automatica
4 prensione
5 Moro
6 Babinsky

Alcuni riflessi si mantengono per tutta la vita (riflessi pupillari), altri (riflessi neonatali) sono
destinati a scomparire nei primi mesi via via che le loro funzioni vengono sostituite da azioni
volontarie. La presenza dei riflessi è il primo indizio del fatto che il bambino reagisce a informazioni del
mondo esterno e non solo alle sensazioni propriocettive. La possibilità dei percepire testimonia la
attività mentale del neonato.

4.2 LA PERCEZIONE

Noi conosciamo il mondo attraverso gli organi sensoriali. Secondo alcuni studiosi il meccanismo
percettivo è frutto di un lavoro del sistema cognitivo operato su dati grezzi inviati al cervello dagli
organi sensoriali (teoria computazionale di Marr). Secondo la teoria della Gestalt la percezione è
organizzata in virtù di una innata corrispondenza tra le strutture percettive e la realtà. La percezione è
una modalità primaria di esperienza e consente all’essere umano di essere in “sintonia immediata con
il mondo esterno”. Secondo i coniugi Gibson percepire il mondo non richiede una attività mentale
integrativa o ricostruttiva, perché l’organismo umano è predisposto a cogliere. Il bambino quindi
durante l’evoluzione non fa che affinare strategie che gli permettano di selezionare le informazioni
rilevanti cogliendo le opportunità (affordances) del mondo esterno. Già nell’ambiente intrauterino il
bambino ha iniziato a sperimentare il mondo attorno a sè.

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4.3 VEDERE LE FORME

Immediatamente dopo la nascita il bambino reagisce alle differenze di luminosità e al


movimento; dopo pochi giorni riesce a seguire attivamente con lo sguardo la traiettoria di un oggetto
in movimento nel campo visivo. Inoltre il lattante dimostra di selezionare attivamente le cose da
guardare. Tra queste, l’immagine di un volto strutturato suscita un vivo interesse nei lattanti di 4
mesi, mentre bambini di 2 anni che ormai hanno uno schema del viso sviluppato, sono attratti dalla
rappresentazione di un viso destrutturato.

4.4 ORIENTAMENTO SPAZIALE

Si intende la capacità non solo di riconoscere le forme degli oggetti, ma anche di individuare le
relazioni spaziali tra gli oggetti e tra sè e gli oggetti. Già a 3-4 mesi i bambini iniziano a cogliere la
costanza di forma (percettiva), ovvero il fatto che gli oggetti non mutano forma o dimensioni se li
guardiamo da angolature o distanze diverse. La capacità del bambino di percepire il mondo come
quello degli adulti, dipende oltre che dal riconoscimento degli oggetti (2 mesi), anche dalla percezione
della profondità. Questa capacità è possibile esercitarla nel momento in cui il bambino inizia a
gattonare (6 mesi). Gibson e esperimento del precipizio visivo
Le ipotesi degli autori erano queste: se un bambino non percepisce la profondità sarà ugualmente
disposto ad andare a carponi sul precipizio. Se invece coglie il precipizio sarà restio ad andare verso
esso seppure incoraggiato dalla madre.

4.5 CAPACITA’ BASILARI DI APPRENDIMENTO.

Condizionamento classico applicato al riflesso di suzione. Dal punto di vista cognitivo la


capacità di imitare è più complessa di una semplice associazione SR. Imitare richiede infatti una
prestazione attentava di tipo selettivo, tutto ciò presuppone un certo livello di intelligenza “senso
motoria” come messo in luce dagli studi di Piaget. Probabilmente da studi recenti l’imitazione ha una
base innata.

4.6 LA MEMORIA

L’essere umano e’ dotato di memoria sin dalle prime fasi della vita : abituarsi a uno stimolo
implica conservarne qualche traccia, stabilire una connessione tra S e R.
Lo studio della memoria è stato condotto dagli anni 60 in poi nel quadro di un approccio HIP,
elaborazione delle info dell’uomo. Secondo tale orientamento la mente viene paragonata ad un
computer che elabora le informazioni. Già in lattanti di 5 mesi è stato constatata la capacità di
riconoscere immagini di un volto riproposto a distanza di un certo tempo (15 gg). (esperimento di
Fagan)

4.7. SUCCESSIVI SVILUPPI DELLA MEMORIA

Nel corso dell’età prescolare le capacità mestiche dei bambini si ampliano moltissimo. Se a 2 anni
di età un bambino supera con successo compiti di riconoscimento individuando correttamente 12

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stimoli a 5 anni cresce l’abilità di rievocazione. I bambini ricordano inizialmente soprattutto
elementi concreti della vita quotidiana ed eventi emotivamente significativi. La rapida espansione
del vocabolario dal secondo anno in avanti mostra che i bambini sono in grado di ritenere (nella
mente) anche materiale astratto – memoria e sviluppo linguistico si intrecciano inscindibilmente.
Un tipo di memoria per valutare la MBT e’ lo span (di cifre o altro materiale). Span e’ un termine
che indica ampiezza, lunghezza. Nel corso dello svilppo lo span di memoria si amplia fino ad
arrivare ai 6-8 elementi che un adulto puo’ tipicamente rievocare. Da cosa dipende il
miglioramento delle capacità del magazzino di memoria? Secondo gli studiosi che utilizzano
l’approccio HIP e’ dovuta ad un miglioramento della capacità strutturale e funzionale (cioe’
cambio di dimensione fisica del magazzino e uso sempre piu’ efficiente dello stesso(.

4.8. LE STRATEGIE MNESTICHE

L’immagazzinamento ed il recupero intenzionali chiamano in causa dei comportamenti finalizzati il


cui scopo e’ appunto quello di favorire un buon uso della memoria: le strategie

Le strategie di immagazzinamento comprendono:


• reiterazione
• organizzazione (raggruppare nel modo piu’ semplice ed economico gli elementi da
ricordare)
• elaborazione (costruzione di un legame tra gli elementi da ricordare)

4.9 MEMORIA E CONOSCENZA

Le strategie di immagazzinamento non fanno altro che potenziare una caratteristica della
memoria, ossia il suo disporsi in modo strutturato. Occorre distinguere tra:

M. episodica e M. semantica.

M. episodica. Riferita a fatti eventi legati alla esperienza diretta dell’individuo. Assicura la
continuità ed identità di se’.

M. semantica riguarda l’acquisizione e all’uso del linguaggio, comprende le conoscenze


enciclopediche che l’uomo acquisisce nel corso della vita.
Secondo Nelson, i primi ricordi sono organizzati sulla base della memoria episodica, per poi
acquisire con l’apprendimento del linguaggio l’organizzazione del sisema semantico basato su
schemi e concetti (modelli interiori del mondo incui le conoscenze sono legati le une alle altre in
una sorta di “rete” – mi pare modello connessionista vedi in appr. E memoria).
I concetti si basano su proprietà comuni a piu’ oggetti, gli schemi sono una sorta di copioni o
script che rappresentano una sequenza di azioni che si svolgono nello spazio e nel tempo e che si
ripetono con regolarità.

4.10 LA MEMORIA NELL’ETA’ ADULTA E SENILE

In alcuni confronti effettuati tra ventenni e sessantenni si è visto che questi ultimi ricordavano in
media un minor numero di parole, cifre o altri stimoli. Il cattivo risultato si lega pero’ ad una
scarsa motivazione di persone mature ad eseguire test che avevano un vago sapore scolastico e
lontani dalla loro vita di ogni giorno. Calato il compito in modo piu’ aderente al reale stile di vita
gli anziani adottavano un maggior numero di strategie e ausili per risucire in un determinato
compito e superavano i giovani. Se pero’ si impediva loro di utilizzare strategie di compensazione

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(ad esempio nodi al fazzoletto) il vantaggio degli anziani veniva meno. Nella mezza età la
memoria e’ ancora efficiente soprattutto per ricordare informazioni fattuali (memoria episodica) e
procedurali. Continua in età senile a funzionare bene la memoria implicita, procedurale il cui uso
non implica l’utilizzo di strategie di richiamo che implicano l’uso della MBT.

4.11 LINGUAGGIO.

Fra gli aspetti piu’ sorprendenti della crescita del bambino vi e’ senza dubbio lo sviluppo del
linguaggio. Nel volgere di pochi mesi il bambino possiede i primi elementi del codice verbale.
Entro 3- 4 anni sarà capace di conoscere le regole che governano il linguaggio .
I requisiti che occorre soddisfare perche’un sistema di comunicazione possa essere considerato
linguaggio sono:
semanticità – deve poter rappresentare simbolicamente gli oggetti;
dislocazione - deve potersi riferire al passato futuro e presente
produttività - il parlante deve essere in grado di comprendere e produrre frasi nuove mai sentite
prima, con potenzialità infinite di combinazioni
Tale creatività deve comunque rispettare regole rigide e arbitrarie accettate cioe’ in una
determinata società e cultura.

4.12 LINGUAGGIO:APPRENDIMENTO O MATURAZIONE

Skinner considerava il linguaggio come un comportamento appreso attraverso il rinforzo di


associazioni corrette fra determinate parole e determinati stimoli ( apprendimento del linguaggio
attraverso processi imitativi e associativi). La sua teoria pero’ non era in grado di spiegare l’aspetto
continuamente innovativo che caratterizza il linguaggio.
Secondo Piaget il linguaggio è connesso alla attività rappresentativa (es. disegno come sorta di
linguaggio, imitazione differita, gioco simbolico , immagini mentali). Piaget colloca il linguaggio
all’interno della funzione simbolica o semiotica (studio dei segni).
Da altri punti di vista, coke quelli della linguistica (Chomsky 1965) e della neuropsicologia il
linguaggio umano ha una sua specificità funzionale. Noam Chomsky mostro’ che il linguaggio è
troppo complesso per essere appreso con meccanismi cosi’ semplici (comportamentismo di
Skinner). Chomsky non ha mai negato che vi siano meccanismi di imitazione e rinforzo ma non
sono quelli che fanno sì che venga acquisito il linguaggio. Per la concezione strutturale innatista la
mente umana è biologicamente predisposta all’acquisizione del linguaggio attraverso un dispositivo
innato chiamato LAD (language acquisition device). LA sua teoria però non si occupa di come le
esperienze comunicative e sociali della prima infanzia influenzino l’acqisizione del linguaggio, ha
limitati interessi per i rapporti tra il linguaggio e le altre capacità cognitive, aspetto di cui tenere
conto perhce’ il linguaggio contribuisce a sviluppare le categorie con cui il bambi ordina le
esperienze del suo mondo, contribuisce a sviluppare i concetti che sono le prime unità astratte e
che lo mettono in grado di interpretare il mondo.

4.14. IL RAPPORTO TRA LINGUAGGIO E ABILITA’ SOCIALI

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LA PROSPETTIVA INTERAZIONISTA

Jerome Bruner considera i processi trascurati dalla teoria strutturale innatista. Egli prende in
considerazione :
• il ruolo delle esperienze comunicative nelle loro varie forme (adulto che interagisce con
il bambino);
• la conoscenza sociale del mondo e cioè il complesso di esperienze che possono essere
sviluppate attraverso l’interazione di tipo verbale
• le esperienze comunicative, soprattutto i processi pre verbali che scaturiscono dalla
interazione tra adulto e bambino, esse gettano le basi per lo sviluppo linguistico
successivo . Fra queste interazioni sono rilevanti:

L’attenzione condivisa Bambino e adulto condividono l’attenzione


su un oggetto od evento. L’attenzione e’
facilitata dal gesto dell’indicare (gesto
comunicativo)
L’indicare L’oggetto o evento possono essere indicati
in un primo momento da un adulto (invito
alla condivisione dell’attenzione) poi dal
bambino. Sono gesti deittici che esprimono
una intenzione comunicativa . E’ uno dei
prerequisiti piu’ importanti per la
formazione della capacità linguistiche.

Altre prime forme comunicative:


• i gesti di saluto (ciao ciao)
• i giochi di scambio (dare prendere).
• altri fra i primi giochi simbolici, come il gioco del cucu’ (nascondino)
• lo scambio verbale tra madre e bambino (motherese)

I giochi di scambio ad esempio sono il terreno fertile per sviluppare le prime relazioni sociali, e
il linguaggio, il gioco si struttura in routine (forme standardizzate preverbali , scambio
strutturalmente ordinati secondo regole come quelle della alternanza dei ruoli durante un
dialogo) e anche la lettura di libri da parte dell’adulto vengono a costituire un sistema di
sostegno per l’acquisizione linguistica

4.13 LINGUAGGIO E PENSIERO

Piaget ha sostenuto con forza l’impossibilità di separare il linguaggio dallo sviluppo della
intelligenza. Il primo modo per conoscere il mondo per P. consiste nell’agire su di esso con schemi
senso motori. A 18 mesi, quando lo schema s-m si conclude e si forma una intelligenza di tipo
rappresentativo il linguaggio fa la sua comparsa. Inizia per il bambino la capacità di usare gli
oggetti in modo simbolico (un pezzetto di legno diventa una barchetta) e solo allora la parola
assume autentico valore di simbolo (qualcosa che sta al posto di elementi della realtà). Per Piaget
lo sviluppo del linguaggio e’ correlato allo sviluppo cognitivo e alla comparsa di nuove capacità

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mentali (i vari stadi), non da insegnamenti o stimoli come sosteneva Skinner ne’ da strutture
innate come sostenuta da Chomsky.
Si tratta inizialmente di un linguaggio egocentrico e solo piu’ tardi il linguaggio diventerebbe
comunicativo e sociale. La tesi piagetiana ha trovato sia sostegno che smentite nei dati di
numerose ricerche condotte negli anni 70 con lo scopo di verificare la presenza di “prerequisiti”
cognitivi del linguaggio. Nell’insieme questi dati inducono a pensare non tanto ad una priorità dello
sviluppo cognitivo rispetto a quello linguistico quanto ad un’evoluzione parallela riconducibile a
comuni strutture mentali sottostanti.
Secondo Vygostkij pensiero e linguaggio hanno radici differenti.Lo sviluppo di entrambi è inscindibile
dal contesto sociale di crescita dell’individuo. • V. postula che le funzioni psichiche superiori e il
linguaggio compaiano una prima volta su un piano intermentale, ovvero nel corso dell’interione con
un’altra persona, e solo successivamente vengano interiorizzate sul piano intramentale ( il linguaggio
ha una funzione regolativa del pensiero e del comportamento)

4.15 L’EMERGERE DELLA COMPETENZA LINGUISTICA. I PRIMI SEGNALI GESTUALI E VOCALI.

Comunicare significa saper usare il linguaggio verbale e non verbale in modo da comprenderne
il significato e trasmettere messaggi. Il percorso evolutivo del linguaggio nel bambino è segnato da
diverse tappe:

Fase Capacità Caratteristiche


0-1 Fase preverbale e forma
mesi gestuale
2-6 Suoni vocalici e suoni Le frasi ripetute costituiranno le prime parole
mesi consonantici (lallazione)
9-13 Gesti comunicativi si Primi gesti referenziali o simbolici, assolvono la stessa funzione
mesi ampliano , indicare dare del linguaggio (scuotere la testa per dire no). Sino alla metà del
mostrare secondo anno di vita il sistema comunicativo e’ formato sia da
gesti che dalle prime parole. La comprensione delle parole
(molte piu’ di quelle che sa pronunciare ) inizia già a 8-10 mesi).
16 Distinzione netta tra gesti e Aumento esponenziale della produzione verbale e quasi
mesi parole (tra i due codici) scomparsa dei gesti referenziali ( i due sistemi restano cmq.
intrecciati per tutta la vita). Nel secondo anno di vita la
comprensione passa da 60 a 200 parole e piu’ a 16 mesi

4.16 LA PRODUZIONE DELLE PRIME PAROLE

11- La comprensione e produzione delle prime parole passa da 1 a10


13 in tre mesi a 200 in venti mesi. Le prime parole sono nomi per
mesi indicare oggetti familiari (mamma, nonni, cibo, giochi). Dapprima
il bambino nomina gli oggetti su invito della madre (es. cos’e’
questo?) man mano che il bambino costruisce il senso ed il
significato di un oggetto correlando la funzionalità e le
caratteristiche percettive dello stesso all’uso per cui e’ destinato,
il nome dell’oggetto diventa simbolico, cioe’ sta al posto di. Il
bambino attua un processo attivo nella acquisizione delle parole,
spesso attribuendo loro un significato piu’ ristretto
(sottoestensione) o piu’ amplio (sovraestensione) vedi figura 4.20
parola cane.

4.17 LE PRIME FRASI

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18- Le parole aumentano sino a Aumentano i verbi, aggettivi rispetto ai nomi semplici. Si
24 300. superano le olofrasi (frasi che comprendono i due codici, verbali e
mesi gestuali per esprimere una intenzione). Il bambino utilizza parole
perno, poche parole che ricorrono frequentemente e sempre in
posizione iniziale e le parole aperte in seconda posizione (es. bella
tata)

4.18 LO SVILUPPO DI GRAMMATICA E SEMANTICA NELLA


PRIMA E MEDIA FANCIULLEZZA

2-3 Le frasi diventano piu’ Il metodo con il quale i bambini imparano le regole morfologiche
anni complesse, alla struttura non e’ passivo , copiato dagli adulti, essi cercano di impadronirsi
centrale (soggetto e e usare autonomamente le regole, come rivelano alcuni errori
predicato) si aggiungono infantili (es. il piu’ peggio, piangiuto)
avverbi, aggettivi.

4.19 DALLE FRASI AL DISCORSO:COMPRENSIONE E


PRODUZIONE

4-6 Capacità di legare le frasi Aumenta la capacità di elaborare un discorso, di eliminare le parti
anni ed elaborare un discorso. insignificanti (es. nella lettura di un brano per gli adulti) ,
questo processo mentale deriva secondo alcuni da due teorie:
teorie proposizionali e teoria dei modelli mentali. La
rappresentazione mentale che un adulto si costruisce durante la
lettura di un testo è correlata al tipo di conoscenza che egli ha
circa l’argomento in questione. (vedi esempio ladro o acquirente
di una casa pg. 163).
7-8 Cresce la capacità dei Cresce la capacità di rilevare incongruenze o incompletezze nel
anni bambi di prendere in discorso. Un tipo di produzione particolarmente studiato per
considerazione le sequenze verificare la relazione tra organizzazione delle conoscenze e la
temporali e rapporti causa produzione linguistica nei bambini e’ la narrazione di storie.
effetto Narrare permette di cogliere il funzionamento di molti processi
psicologici, dalla memoria semantica e l’attivazione di processi di
problem solving; viene anche coinvolta la sfera emotiva
(sentimenti che possono svilupparsi verso i personaggi).

4.20 DAL LINGUAGGIO ORALE ALLA LINGUA SCRITTA

3-4 La consapevolezza fonologica facilita l’acquisizione della


anni corrispondenza fonema- grafema. Non so cosa mettere è un
capitolo che non mi piace

4.21 LO SVILUPPO DELLA PRAGMATICA

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Parlare di pragmatica significa saper adottare il giusto tono
espressivo durante un atto comunicativo. Quando parliamo noi
compiamo un atto linguistico, che non ha solamente un contenuto
semantico (locativo) ma anche uno illocutivo cioe’ la forza di far
raggiungere uno scopo attraverso la comunicazione con
l’interlocutore. Il modo in cui noi interpretiamo una frase dipende
da quali siano le intenzioni che attribuiamo al parlante. Alla luce
di questa prospettiva si è visto che già all’età di 4 anni compare
la capacità nel bambino di variare il modo in cui si parla a seconda
delle circostanze in cui si situa la comunicazione. Paradigma per
valutare la competenza pragmatica infantile e’ stato quello di
chiedere ai soggetti di valutare la chiarezza referenziale di un
messaggio verbale e decidere se fosse abbastanza chiaro da
permettere al destinatario di eseguire le istruzioni in esso
contenute.
9 Compaiono critiche a chi L’essere piu’ o meno capaci di adattare i propri msg alle
anni parla in modo non circostanze dipende piuttosto dalla frequenza e intensità con cui i
esauriente bambini vengono sollecitati nella vita quotidiana a prestare
attenzione agli altri, alle loro caratteristiche e alle loro reazioni.

4.23 L’INTELLIGENZA SENSO-MOTORIA

In che modo il bambino è in grado oltre che di “recepire il mondo” anche di agire su di esso in modo
intelligente. Piaget osservando i propri figli ha ipotizzato l’esistenza di una intelligenza pre-linguistica
che si sviluppa nel corso della prima infanzia e che poggia sull’attività pratica del bambino: è
l’intelligenza senso-motoria. Secondo Piaget l’intelligenza è un mezzo efficace di cui l’uomo dispone
per agire sulla realtà circostante, ampliando così la portata del suo adattamento biologico.
L’intelligenza assomigli al funzionamento biologico anche per altri aspetti: l’adattamento e
l’organizzazione. Per adattamento si intende la relazione esistente tra un sistema e l’ambiente i cui
è inserito.
L’adattamento si basa su due processi complementari che sono: l’assimilazione e
l’accomodamento.
Il processo di assimilazione è l’azione che compie l’organismo sull’ambiente ( assimilazione del cibo) il
processo di accomodamento (nel senso di aggiustarsi) è l’azione che compie l’ambiente
sull’organismo, che porta alla modificazione della struttura ad opera delle sostanze assimilate.
Il complesso dei processi di assimilazione e accomodamento realizza un complesso organizzato.
L’attività intelligente di assimilazione e accomodamento tende all’equilibrio, le nostre azioni pratiche o
mentali che compiamo in modo adattato (giusto nei confronti della realtà).

4.24 STADI E MECCANISMI DI SVILUPPO NEL PERIODO SENSO-MOTORIO

La concezione di sviluppo secondo Piaget è visto come una progressione di stadi. Nella concezione
strutturalista di Piaget ogni stadio rappresenta un salto di qualità rispetto al precedente. Piaget ha
ripartito i singoli stadi in ulteriori tappe per descrivere più specificamente i cambiamenti. Lo stadio
senso motorio è suddiviso in 6 stadi, i primi 5 vanno dalla nascita fino ai 18 mesi, il sesto va dai 18
mesi ai 24 mesi.

Stadi Età Capacità intellettive


Primo stadio 0-1 mese Nel primo mese di vita il
bambino dispone di una
motricità attivata dai

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riflessi. Piaget aveva intuito
l’importanza di questa
dotazione di base da lui
considerata come un
repertorio di schemi innati.
Secondo stadio 2-4 mesi Il bambino comincia ad
acquisire schemi nuovi e
coordina anche tra loro alcuni
schemi (visione e prensione)

Terzo stadio 4-8 mesi Il bambino incomincia a


conoscere sempre meglio le
proprietà delle cose attorno a
lui, ma questa esplorazione
(per Piaget) non è ancora
volontaria e sistematica,
perché manca la distinzione
mezzi-fini
Quarto stadio 8-12 mesi La distinzione mezzi-fini, ora
si delinea Il bambino coordina
due schemi in sequenze, ad
esempio spostare un oggetto
per afferrarne un altro.
Aumenta anche l’attività
esplorativa.
Quinto stadio 12-18 mesi Il bambino scopre nuovi
schemi attraverso la
sperimentazione attiva
Sesto stadio 18-24 mesi Appare la funzione
simbolica cioè la capacità di
rappresentare mediante i
simboli qualcosa che non è
presente

I progressi intellettivi a cui si assiste nel periodo senso-motorio sono dovuti ad un meccanismo di
reazione circolare. Azioni casuali che producono un effetto interessante tendono ad essere ripetute
dal bambino per replicarne gli effetti. La tendenza a ripetere è considerata una disposizione innata del
bambino che consente di perfezionare le sequenze motorie.

Reazione Stadio Caratteristiche e Esempi


funzioni
Circolare primaria Secondo 2-4 mesi Azione riguardante il Schioccare la lingua,
corpo del bambino e guardarsi le mani
non oggetti esterni ad
esso
Circolare secondaria Terzo stadio 4-8 mesi Effetti che le azioni del
Scuote un sonaglio
bambino producono per sentire il suono.
sul mondo esterno, in Agitare braccia e
modo non sistematico gambe nell’attesa che
forse il sonaglio suoni
Circolare terziaria Quinto 12-18 mesi Il bambino introduce Manipolare in tutti i
variazioni sistematiche modi un cucchiaio,

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alle azioni che compie provare se suona,
usarlo per spostare
intenzionalmente un
oggetto

4.25 DALL’EGOCENTRISMO ASSOLUTO (DEL NEONATO) ALLA COSTRUZIONE DEL MONDO

Nel primo e secondo stadio, fino a 4 mesi circa il bambino si trova in una fase di egocentrismo
assoluto il neonato non differenzia la realtà esterna da sé stesso. Non vede degli oggetti come
intendiamo noi, ma dei quadri percettivi ciascuno relativo ad una diversa modalità sensoriale e
inizialmente privo di connessioni con gli altri quadri percettivi. Più quadri percettivi e schemi ad esso
collegati formano l’oggetto come cosa a se stante. L’egocentrismo assoluto può dirsi superato quando
il bambino si formerà una rappresentazione mentale dell’oggetto (alla fine dello stadio senso-
motorio).

4.26 EQUILIBRIO E DISEQUILIBRIO NEL SISTEMA COGNITIVO: INTELLIGENZA, GIOCO, IMITAZIONE.

a) INTELLIGENZA -

Le attività intelligenti sono caratterizzate secondo Piaget da una proprietà: la tendenza


all’equilibrio o equilibrazione. Quando un dato nuovo ci sorprende o ci mette in crisi perche’ non
comprendiamo il senso il nostro sistema cognitivo si trova in uno stato di disequilibrio.
La situazione ideale verso cui la nostra intelligenza dovrebbe tendere è quella in cui non vi è
assimilazione totale (cercare a tutti i costi di far rientrare nei nostri schemi mentali qualcosa che mal
si adatta) e nemmeno accomodamento senza correttivi (la fatica di comprendere ci puo’ portare a
volte ad accettare situazioni senza troppo capirle – vedi esempio dello straniero in Cina o Inghilterra)
ma quella di equilibrio in cui noi riusciamo a ricondurre ed integrare il nuovo schema entro i nostri
schemi e di in modo innovativo recependo le novità del nuovo stimolo e integrandole in modo
omogeneo con le precedenti conoscenze.

b) GIOCO E IMITAZIONE

Non tutte le attività umane sono caratterizzate dalla necessità di risolvere problemi. Il gioco
rappresenta una dimensione importante nella vita sia del bambino che dell’adulto. L’assimilazione
prevale nel gioco, l’accomodamento nell’imitazione.
Anche se non conducono all’equilibrio, gioco e imitazione svolgono un ruolo importante nella
nostra vita soprattutto nel corso dello sviluppo. Il gioco costituisce per il bambino la palestra ideale
per esercitare le proprie abilità gratificandolo per i successi raggiunti durante il continuo fare e rifare
qualcosa in cui riesce particolarmente bene. Queste attività cognitive (gioco e imitazione) non
equilibranti non sono confinate al solo stadio senso motorio, i giochi simbolici continuano lungo tutta
l’età prescolare proseguendo nelle attività sociali sotto forma di giochi socio –drammatici nei quali
ogni partecipante assume un ruolo (incluse bambole o altri oggetti). L’imitazione consente al bambino
di conformarsi alle regole del gruppo e anche di identificarsi con modelli significativi.

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4.27 LA FORMAZIONE DEI CONCETTI

Il bambino che usa simboli, che imita modelli non visibili, interiorizzati e che adopera le parole
per riferirsi ad oggetti non presenti è ormai un bambino che pensa. Autori diversi come Piaget e
Vigotskij hanno postulato una stretta connessione tra pensiero e linguaggio (e anche Chomsky).
L’intreccio tra pensiero e linguaggio è ancora piu’ stretto nella formazione dei concetti. I concetti sono
strumenti cognitivi indispensabili per poterci destreggiare dall’enorme mole di dati che ci provengono
dal mondo esterno, permettendoci di dare un ordine alle cose, alle nostre esperienze e di organizzare
i singoli elementi in categorie. Comprendere e saper usare correttamente le parole è propedeutico (e
anche strettamente correlato) alla acquisizione dei concetti.
Eleanor Rosch (73) distingue i concetti in due tipi:

Concetti classici Es. nozione geometrica di triangolo, tutti gli


esemplari di quel concetto condividono la
medesima o le medesime caratteristiche (tutti
i triangoli sono composti da tre lati i cui angoli
interni danno 180 °)
Concetti probabilistici Definiti da proprietà che non sono presenti in
tutti gli esemplari di quel concetto (es. uccelli,
non tutti volano).

La formazione del secondo tipo di concetto (piu’ numerosi e diffusi) procede secondo un ordine
preferenziale, nel senso che i primi ad essere concettualizzati e ricordati sono gli esemplari piu’ tipici
per categoria i cosiddetti “prototipi”.

Oltre alla loro tipicità i concetti sono organizzati anche a livello gerarchico, i concetti vanno da
un livello di maggior dettaglio (subordinato) a un livello medio (base) fino ad un livello piu’ generale
(sovraordinato).

4.28 IL PENSIERO EGOCENTRICO

A differenza di altri autori per Piaget gli usi linguistici del bambino non rappresentano la
raggiunta padronanza dei significati e quindi la capacità di formarsi dei concetti ma solo a

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strutture intermedie dette pre-concetti (o infraconcetti). Egli faceva coincidere lo sviluppo
concettuale vero e proprio con l’acquisizione della logica delle classi Per P. l’acquisizione della
funzione simbolica è solo l’inizio di un lungo percorso evolutivo che ripercorre in un modo simile
gli stadi del periodo senso motorio. A 2 anni il bambi possiede schemi mentali che pero’ non e’
in grado di utilizzare in modo flessibile e adeguato al contesto, Piaget chiama egocentrismo
intellettuale (per distinguerlo dall’egocentrismo assoluto del neonato) questo modo di pensare
del bambino. L’egocentrismo intellettuale mostra una confusione di piani tra il reale ed il se’
analogamente alla fase di egocentrismo assoluto. Il bambino attribuisce ad oggetti inanimati
proprietà che sperimentano in se stessi (animismo) o credere che il loro pensiero sia qualcosa
di reale (realismo). (vedi poi esempio rapporti spaziali difficoltà del bambino di cogliere un
punto di vista da una prospettiva diversa dall’osservatore). La nozione piagettiana di
egocentrismo intellettuale è stata fortemente criticata da altri studiosi. Secondo molti autori le
idee errate dei bambini non dipendono da una effettiva propensione a ragionare in termini
indifferenziati ma dalla difficoltà riscontrate nel modo in ci venivano poste loro le domande, se
le questioni sono affrontate in modo piu’ semplice e chiaro ( e anche con una connessione con
la realtà, domande pratiche) i bambini non appaiono affatto egocentrici.

4.29 GLI SVILUPPI DELLA INTELLIGENZA NELLA FANCIULLEZZA E


NELL’ADOLESCENZA.

Intorno ai 6/7 anni agli inizi della scuola elementare, si verificano degli importanti
trasformazioni intellettuali. Di fronte a problemi di tipo spaziale o temporale i bambini appaiono capaci
di decentrarsi dal proprio punto di vista , questo consente loro di comprendere meglio le
trasformazioni cui gli oggetti possono essere sottoposti e compiere inferenze che vanno oltre le
apparenze immediate delle cose. Secondo Piaget questi progressi sono dovuti ala comparsa di una
nuova forma di pensiero: il pensiero operatorio.( o operativo). Grazie alle operazioni logiche su classi il
bambi riesce a classificare gli oggetti in base a una o piu’ proprietà comuni. Grazie alle operazioni
spazio temporali oltre ad acquisire le invarianze riesce a comprendere relazioni geometriche di vario
tipo e nozioni come quelle di velocità ed età. Il pensiero operatorio e’ dunque caratterizzato dalla
presenza di nuove strutture mentali dette appunto operazioni. Queste sono sistemi coordinati di
azioni mentali e sono caratterizzate dalla proprietà di reversibilità. La reversibilità di pensiero e’ la
possibilità di annullare l’effetto di una azione mentale eseguendone un’altra. Il pensiero operatorio e’
anche chiamato reversibile. Le operazioni sono pero’ in questo stadio limitate a casi concreti e
specifici di cui il bambino ha esperienza di prima mano, Piaget le ha definite operazioni concrete. Le
operazioni concrete non devono essere confuse con gli schemi senso motori. Le prime sono azioni
interiorizzate compiute con il pensiero, i secondi sono eseguiti materialmente sugli oggetti e non
implicano alcuna rappresentazione mentale.
Intorno agli 11 anni iniziano a formarsi nuove strutture di pensiero, le operazioni formali che
consistono in azioni mentali su proposizioni a loro volta frutto di precedenti operazioni di livello piu’
basilare (classificazioni, seriazioni eseguite su dati concreti). Queste operazioni consentono di
effettuare ragionamenti piu’ complessi formulando ipotesi e saggiandone la coerenza (pensiero
ipotetico deduttivo).(esperimento del pendolo eseguito da Piaget) Solo i ragazzi di 11 anni riescono a
lavorare in modo sistematico al problema. L’abilità di ragionare con queste modalità astratte
determina un risorgere dell’egocentrismo sotto forma di sopravvalutazione del pensiero. Da questo
modo di pensare nascerebbe la propensione introspettiva che si riscontra in molti ragazzi e un certo
radicalismo ingenuo nel valutare aspetti complessi della realtà.

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4.30 INTELLIGENZE DIVERSE

Tra gli individui non si puo’ non riscontrare tipi diversi di intelligenze. Vi è una discrepanza tra i
metodi di misurare l’intelligenza utilizzata da Binet con i test psicometrici e l’approccio clinico (colloqui
clinico) di Piaget. Oltre alle differenze quantitative rilevate dai classici test vi sono altre diversità tra le
persone nel modo di affrontare un compito cognitivo. Alcune di queste possono ricondursi a diversi
stili percettivi cioe’ a modi diversi di leggere la realtà. Alcuni individui tendono a leggere e analizzare
rapidamente il campo percettivo (soggetti campo indipendenti) altri invece trovano questo compito
piu’ difficile poiche’ tendono ad avere una visione olistica della realtà che hanno di fronte (soggetti
campo dipendenti). Secondo Witkin questa diversa modalità di percezione non e’ precipua del solo
ambito percettivo ma si riflette anche sulle modalità di lavorare con il pensiero, ad es. in situazioni di
problem solving:grazie alla capacità di cogliere gli elementi costitutivi entro diversi contesti soggetti
indipendenti dal campo sarebbero piu’ avvantaggiati non solo in compiti intellettuali ma anche in
situazioni sociali. Ci si è chiesti se l’intelligenza sia una facoltà unitaria che si manifesta parimenti in
qualsiasi campo della conoscenza o piuttosto che sia un insieme di abilità diverse. Piaget e’ a favore
della prima ipotesi (un insieme di poche strutture mentali che P. nomina raggruppamenti e gruppi di
operazioni), altri studiosi hanno sostenuto l’esistenza di componenti intellettive separate (teoria delle
intelligenze multiple di Gardner). Secondo G. sarebbe possibile individuare pacchetti separati di
operazioni mentali ciascuno fondato su una base biologica distinta (ma questo punto resta da
dimostrare) e ciascuno avviato a un indipendente percorso evolutivo. (vedi tab. 4.3 intelligenza
linguistica, musicale, spaziale ecc).

4.31 LA CREATITIVA’

La creatività si lega a una forma specifica di pensiero, il pensiero divergente proprio perche’ la sua
caratteristica e’ quella di generare soluzioni spesso inusuali in risposta a problemi per cui il pensiero
convergente ha in serbo una soluzione standard efficace ma scontata. La creatività comporta l’essere
dotati di una intelligenza fluida, flessibile e con indipendenza dal campo.

5. LE EMOZIONI E LO SVILUPPO AFFETTIVO

5.1. LE ORIGINI DELLE EMOZIONI.

L’individuo funziona come totalità, nessuna sua parte puo’ essere studiata separatamente, iò
e’ tanto piu’ vero se si considera lo sviluppo affettivo e quello emozionale due aspetti del
funzionamento umano che sono inscindibili l’uno dall’altro e che si intersecano con lo sviluppo sociale
e cognitivo. Le emozioni si dispiegano nelle interazioni sociali e le loro caratteristiche qualitative ed
espressive e la capacità di regolarle molto dipendono dalla qualità del rapporto affettivo instaurato
con la madre o con le figure di riferimento.
La regolazione delle emozioni sono influenzate dal modo in cui il bambino valuta ed etichetta
situazioni specifiche, dal significato che attribuisce loro, quindi sono influenzato da fattori di tipo
cognitivo e sociale. La manifestazione delle emozioni, il loro ripetersi, la loro regolazione dipendono

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molto dal tipo di reazioni che il bambino piu’ o meno inconsciamente va a innescare verso coloro che
si prendono cura di lui, è proprio questo intreccio di fattori cognitivi (le anticipazioni mentali del
bambino o dei genitori), fattori sociale , affettivi ed emozionali che portano allo strutturarsi del
legame affettivo tra genitore e bambino e ancor piu’ al formarsi di processi normativi (nella norma)
che accomunano gli individui o che al contrario ne determinano le differenze.

L’inizio delle manifestazione delle emozioni: tutti i bambini sorridono o piangono ma all’inizio questi
segnali non hanno alcun significato sociale e nemmeno indicano delle emozioni vere e proprie nel
senso che non si basano su una elaborazione cognitiva. Alcune manifestazioni emotive sono istintive,
hanno una funzione comunicativa e di adattamento all’ambiente sociale, il pianto o il sorriso del
bambino è un riflesso adattivo che consente al piccolo di vedere soddisfatti i propri bisogni primari da
chi si prende cura di lui. Col passare del tempo il piccolo capisce che le sue espressioni emotive
provocano delle conseguenze sociali, che esistono dei rapporti di causa ed effetto tra cio’ che lui
segnala e la risposta dell’adulto, impara a dare un significato alle azioni proprie e altrui.
All’inizio dunque il bambino non e’ consapevole del significato sociale delle emozioni che
esprime e nemmeno le stesse si possono definire vere e proprie emozioni nel senso che non vi è
alcuna assegnazione di significato alcuna elaborazione cognitiva dell’emozione provata . Per poter
dire che un bambino “prova un’emozione” dobbiamo trovarci di fronte a risposte di tipo:
• Fisiologico (aumento battito cardiaco per es.)
• Tonico posturali (tensione del corpo)
• Motorie (irrequietezza)
• Espressive ( pianto)

Nonche’ una elaborazione cognitiva di tutto quanto provato, la capacità di etichettare il vissuto
emotivo.

Quando vi è l’integrazione tra processi cognitivi ed emotivi nel corso dello sviluppo del
bambino? Sroufe (959 sostiene che tale integrazione non puo’ avvenire prima che l’indiviudo abbia
acquisito la capacità di anticipare gli eventi. Di come i piccolo acquisisce la consapevolezza di se’ e
degli altri.. Lo sviluppo delle emozioni segue le tappe dello sviluppo cognitivo indicate da Piaget. Vi
sono alcune emozioni- non ancora emozioni che si sviluppano nel bambino entro il primo anno di vita,
ad es. la rabbia la paura e la gioia , esse si configurano come emozioni nel momento in cui il piccolo e’
in grado di comprendere il significato di un evento e di anticiparlo mentalmente. Vedi modello della
risposta emotiva di Shachter e Singer (pg. 195).

5.2 EMOZIONI E SVILUPPO COGNITIVO

Nel tracciare i percorsi evolutivi delle emozioni Sroufe riprende e rielabora la Teoria della
differenziazione della Bridges (anni 30).

Età Stato emotivo descrizione


neonato Indifferenziato che evolve in Vi è uno stato di maggiore o
emozioni sempre piu’ minore eccitazione, una sorta
differenziate di eccitamento generalizzato
3 mesi L’eccitazione generalizzata si
differenzia in sconforto e
piacere
Dopo i 3 mesi Emozioni vere e proprie:dallo
sconforto si genera la collera,
disgusto e paura

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Il piacere di differenzia in
giubilo

Sroufe ha pero’ notare che questo processo di differenziazione progressiva sia preferibile
individuarlo sin dalla nascita con tre percorsi distinti:
- sistema piacere –gioia
- sistema circospezione-paura
- sistema frustrazione-rabbia

Sviluppo sistemi descrizione


Sistema piacere gioia
Periodo neonatale Appare sorta di prototipo a base interamente fisiologica di
quella che sarà l’emozione vera e propria. Il sorriso che
appare nei primi due mesi di vita, detto sorriso endogeno è
funzione di eventi interni al sistema nervoso
centrale,segnala uno stato di benessere e di piacere, non
sono riconducibili alla capacità del neonato di attribuire
significato .Il sorriso è un precursore di uno stato emotivo
vero e proprio ma non una emozione
3 mesi di vita Si parla di “emozioni” anche se non sono ancora
differenziate. Il sorriso e’ sociale , segnala una emozione di
piacere, la reazione e’ dovuta al riconoscimento di un
evento, la risposta del bambino e’ psicologica e in qualche
modo emotiva, se si presenta un pupazzo non gradito o
qualcosa che non conosce il bambi smette di sorridere. E‘
in questa fase che il bambino analizza riconosce e sorride
il volto umano
4 mesi L’emozione di piacere evolve in gioia
8mesi I bambini sorridono all’arrivo della madre, ridono quando
fanno il gioco del cucu’ anticipandola sua ricomparsa

Sistema circospezione
paura
Età neonatale Il pianto e’ prodotto da stimoli che catturano l’attenzione
(attenzione forzata o trasalimento), il contenuto
dell’evento e’ irrilevante.Questa reazione di disagio e’ il
precursore della paura.
Primo anno Nel corso del 1 anno questo prototipo si trasforma in
circospezione. Verso i 4 mesi un estraneo provocano nel
bambino una eccessiva attenzione (trasalimento) o
produrreuna attenzione forzataquindi disagio e pianto, la
reazione emozionale non e’ piou’ fisiologica ma psicologica.
Verso gli 8 mesi questa emozione diventa paura
Sistema frustrazione E’ simile al percorso precedente. La rabbia vera e propria
rabbia compare insieme alla gioia e alla paura a partire dalla
seconda metà del primo anno di vita . Progressivamente
compare poi la collera .

Sroufe in accordo con quanto sosteien Izard (77) nella sua teoria differenziale ritiene che le

emozioni possano essere definite a base innata.

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TEORIA DIFFERENZIALE DEllE EMOZIONI Izard (77) (richiamo esplicito a Darwin)
Postula un insieme limitato di emozioni distinte
• innate
• ciascuna corrispondente ad uno specifico circuito neurale
• con un vissuto specifico
•con specifiche espressioni

Al contrario di Izard sostenitore di una linea teorica filogenetica “dura” in ci ogni emozione si configura
darwinianamente come predeterminata sin dall’inizio Sroufe pone particolare attenzione ai processi
cognitivi che accompagnano lo sviluppo delle emozioni, egli sottolinea il percorso di sviluppo
indipendente di ciascuna dimensione(emozioni e cognizione), non a caso possiamo parlare di
emozioni vere e proprie solo a partire dal sesto mese di vita. . Le emozioni possono dareinizio,
indirizzare o interrompere l’elaborazione delle informazioni o portar aduna sorta di elaborazione
selettiva di esse e far cogliere quindi certi elementi e non altri o far emergere dalla memoria certe info
piuttosto che altre. Le emozioni provate dal bambino all’interno delle sue relazioni affettive primarie
possono dare significati diversi agli eventi e ai contesti in cui e’inserito,

Altre teorie emozioni:

TEORIA COGNIZIONE-ATTIVAZIONE o teoria bi-fattoriale (esperimento adrenalina) - antecedenti:


James-Lange, ho paura perché tremo)
• emozione = attivazione del SNA + valutazione (attività cognitiva)
• attività SNA determina carattere viscerale e intensità dell’emozione
• attività cognitiva permette di distinguere le emozioni
•alla nascita quindi non sono presenti emozioni, ma solo la capacità di una generica eccitazione
• emozioni distinte emergono nel tempo di pari passo con lo sviluppo cognitivo

TEORIA FUNZIONALE O ORGANIZZAZIONALE (sintesi)


•“Funzionale”: le emozioni sono sistemi di azione significativi e generalmente adattivi (o quanto meno
lo sono stati nella storia della specie)
• “Organizzazionale”: le emozioni orientano il comportamento, a breve (scopi immediati) e a lungo
termine (inducono a proporsi obiettivi e piani)
• organizzazione generale delle emozioni presente in forma rudimentale fin dalla nascita
le sue componenti si sviluppano, diventando più complesse, differenziate e regolate con processi simili
a quelli che presiedono lo sviluppo cognitivo

Descrizione del processo emotivo


• l’emozione non è generata tanto dall’evento in sé ma dalla valutazione (appraisal) che il soggetto fa
automaticamente del significato dell’evento, ovvero di quanto ostacoli o faciliti il raggiungimento di
suoi obiettivi (-> stesso evento, emozioni diverse in persone o momenti diversi)
• l’emozione attiva una tendenza all’azione (fare qualcosa ma anche bloccare l’azione in corso),
l’attivazione è di tipo automatico, il programma d’azione attivato assume la precedenza di controllo del
comportamento -> emozioni come programmi superordinati che intervengono nei momenti critici,
disattivando i programmi “normali” e attivandone e orchestrandone altri; viene attivato anche il SNA
che mobilita le energie necessarie
• similmente, l’emozione orchestra anche i processi cognitivi: attenzione selettiva, recupero in
memoria, memorizzazione, sensi “acuiti”, diversa concettualizzazione dell’ambiente (cf Lewin)

Descrizione del processo emotivo

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• l’emozione non è generata tanto dall’evento in sé ma dalla valutazione (appraisal) che il soggetto fa
automaticamente del significato dell’evento, ovvero di quanto ostacoli o faciliti il raggiungimento di
suoi obiettivi (-> stesso evento, emozioni diverse in persone o momenti diversi)
• l’emozione attiva una tendenza all’azione (fare qualcosa ma anche bloccare l’azione in corso),
l’attivazione è di tipo automatico, il programma d’azione attivato assume la precedenza di controllo del
comportamento -> emozioni come programmi superordinati che intervengono nei momenti critici,
disattivando i programmi “normali” e attivandone e orchestrandone altri; viene attivato anche il SNA
che mobilita le energie necessarie
• similmente, l’emozione orchestra anche i processi cognitivi: attenzione selettiva, recupero in
memoria, memorizzazione, sensi “acuiti”, diversa concettualizzazione dell’ambiente (cf Lewin)

•Stato emotivo: insieme dei fenomeni fisiologici e mentali che intervengono nel processo emotivo
•Vissuto emotivo: esperienza consapevole dell’emozione: può non esserci (emergenza, rimozione) o
essere attivamente modificato
• Regolazione,o controllo,o coping: le azioni/strategie messe in atto -deliberatamente o
automaticamente- per influire sulle proprie emozioni, o meglio sul loro vissuto

Sviluppo emotivo comprende:


• Ampliamento gamma delle emozioni sperimentate: comparsa emozioni secondarie
• Cambiamento delle situazioni che le suscitano: maggiore capacità di valutare gli eventi
• Comprensioni delle emozioni altrui, ovvero comprensione degli stati mentali -> rende possibili
riferimento social (emozioni degli altri come informazione), empatia, agire sulle emozioni altrui
• Regolazione delle emozioni da esterna a interna: comprensione e interiorizzazione delle regole di
esibizione

5.3 LA COSTRUZIONE SOCIALE DELLE EMOZIONI

Le Emozioni sono frutto di una costruzione sociale, ovvero l’etichetta che viene data ad
un evento è influenzato da chi si prende cura del piccolo. La madre si pone in termini di referente
sociale ed il comportamento del bambino è influenzato dalla espressione emotiva che la madre ha
in un determinato contesto sociale. Gli etologi considerano le paure manifestate dai piccoli senza
alcuna apparente giustificazione , le “paure irrazionali” come un set di risposte a base innata, una
serie di emozioni depositatesi nel patrimonio genetico della specie utili alla sopravvivenza. Per quel
che riguarda la paura dell’estraneo gli etologi riportano che in tutte le culture i bambini incominciano
ad aver paura degli estranei tra il 6 e l’8 mese, ovvero nel momento in cui riescono a gattonare e
possono allontanarsi dalla madre. In maniera analoga la paura dell’estraneo è influenzata dal
comportamento della madre nei confronti di uno sconosciuto. Se la madre ha un atteggiamento
cordiale, positivo verso l’estraneo il bambino adotterà un comportamento emotivo positivo e cosi’
accade anche nell’esperimento effettuato del precipizio visivo. Il bambino utilizza l’espressione
emotiva della madre per regolare le sue emozioni e per adeguare il suo comportamento rispetto ad un
determinato contesto. Le emozioni sono ampliamente influenzate dalle reazioni agli stessi eventi
manifestate dalla figura piu’ significativa per il bambino cioe’ quella con cui egli ha una particolare
relazione affettiva. Altro fattore importante su cui focalizzare l’attenzione è l’influenza esercitata dalle
aspettative che il piccolo ha per cio’ che concerne la risposta della madre ai suoi segnali. Già a tre
mesi di vita la risposta del sorriso è notevolmente determinata dal comportamento abituale della
madre. Un bambino la cui mamma abbia una espressione del viso impassibile, esibirà pochi sorrisi e
darà segni di stress.

5.4. EMOZIONI E PROCESSI DI NEGOZIAZIONE

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La capacità di usare le emozioni non solo per esprimere uno stato d’animo compare dunque
molto presto nello sviluppo umano. I segnali utilizzati per manifestare uno stato emozionale sono
continuamente suscettibili di modifiche dovute alle aspettative del piccolo (e anche negli adulti) circa
il probabile comportamento dell’interlocutore.

I bambini sono anche in grado di mostrare molto presto dei segnali ambigui cui corrispondono
presumibilmente stati emotivi contrastanti che diano loro il tempo di decodificare le intenzioni ed il
probabile atteggiamento dell’altro prima di decidere il da farsi ( esempio di Marco che al nido nel
contendersi alcuni giocattoli con i pari adotta una espressione visiva aggrottate pronta all’attacco
senza però passare alla azione comportamentale corrispondente, la risposta dell’interlocutore,
probabilmente intimorito da tale manifestazione espressiva sarà sufficiente ad ottenere l’oggetto
desiderato). Cio’ significa che ad un uso espressivo delle emozioni si accompagna un uso strumentale
di esse. Hinde suggerisce che è possibile collocare la componente espressiva e quella strumentale
lungo un continuum che rende conto della complessità della relazione tra stato interno e segnale.
L’espresisone delle emozioni non solo ha una funzione di comunicare agli altri uno stato interno e di
preparare l’organsimo ad agire ma contribuisce anche in maniera efficace a quel processo di
negoziazione tra gli individui che avviene durante l’interazione sociale.
Questo uso strumentale della segnalazione emotiva viene definitivo da Ekman (72) Display
rules – regole di ostentazione, norme che regolano l’emotività e la sua espressione sulla base di
standard espressivi dei membri del gruppo di appartenenza (diverse per cultura).
Un’emozione non implica soltanto l’integrazione di fattori emotivi e fattori cognitivi, . Un ruolo
altrettanto importante è svolto anche dal contesto dalle interazioni e dalle relazioni sociali e affettive
in cui il soggetto e’ coinvolto: E’ in relazione a questo contesto che il bambino si forma delle
aspettative che possono essere soddisfatte o deluse, all’interno di questo contesto in modo del tutto
strumentale userà l’espressione delle sue emozioni per dar avvio a veri e propri processi di
negoziazione con la madre, gli altri adulti i pari. Il grafico schematizza l’intreccio fra componenti
cognitive, emotive e sociali all’interno dell’interazione.

Le regole di ostentazione Ekman (72) – In ogni società e cultura esistono regole ben precise,
apprese durante i processi di socializzazione primaria (genitori , imitazione del comportamento di altri
e assunzioni di ruolo) dette di ostentazione (display rules) che determinano una connessione tra
stato interno ed espressione emotiva. Esse vengono rispettate si in età infantile che adulta:
1) Intensificare l’espressione di una emozione
2) Mostrare emozioni di intensità minore rispetto a quelle che in realtà si provano
3) Nascondere quello che si prova

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4) Mostrare un’emozione al posto di un’altra
5) Simulare uno stato d’animo

5.5 LA REGOLAZIONE DIADICA DELLE EMOZIONI E LO SVILUPPO AFFETTIVO: LA TEROIA


DELL’ATTACCAMENTO

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5.9. LA FORMAZIONE DELLA PERSONALITA’

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A mano a mano che il bambino cresce i legami di attaccamento non dipendono piu’ dalla
vicinanza fisica ma da qualità astratte del rapporto ( affetto fiducia stima) che vengono interiorizzate.
Attraverso i continui scambi affettivi e sociali con la propria figura di attaccamento il bambino si
costruisce una rappresentazione interna della relazione (modelli operativi interni) che tende a fare da
filtro nell’interpretazione delle informazioni provenienti dal mondo esterno. I modelli sono strutture
cognitive che come “schemi” o script organizzano le azioni del bambino sia nei riguardi del genitore
che nei riguardi di situazioni nuove. Queste rappresentazioni interne intervenendo sui processi di
elaborazione delle informazioni influenzano la costruzione delle nuove esperienze spingendo
l’individuo , seppur inconsapevolmente ,a ricercare attivamente quel modello di relazione che
risponde alle sue aspettative interne e che ricalca il tipo di rapporto instaurato con la figura di
riferimento. Se un bambino ha avuto delle esperienze precoci con una figura allevante pronta ad
offrire aiuto e conforto (bambino B, sicuro) costruirà un modello mentale del Sé come di persona
degna di essere amata e una rappresentazione degli “altri” come di persone pronte ad aiutarlo in caso
di necessità.
In breve nel corso della loro vita gli individui assimilano le informazioni relative alle nuove
relazioni ai modelli mentali preesistenti, estendono le loro aspettative alle figure affettive che
incontrano orientando il loro comportamento sociale, si aspettano che anche gli altri provino qualcosa
di simile e regolino di conseguenza la loro vita in modo analogo. Attraverso la somministrazione di un
test apposito ai bambini piu’ grandicelli (Separation Anxiety test ) è possibile risalire ai loro modelli
mentali.

5.10 TEMPERAMENTO E ATTACCAMENTO

La qualità della relazione di attaccamento non e’ solamente da ricondurre alle risposte della madre
ai bisogni del bambino, la costruzione del rapporto madre-bimbo non è unilaterale ma dipendono
da entrambi, anche il bambino svolge un ruolo attivo e importante nel determinare il tipo di
rapporto madre-figlio e il tipo di attaccamento. I bambini sono molto diversi gli uni dagli altri sin
dalla nascita. Thomas e Chess due pediatri di N.Y. hanno eseguito una lunga ricerca longitudinale
cercando di scoprire quali fossero le caratteristiche temperamentali riscontrabili in tutti i neonati.
Sulla base di queste dimensioni e’ possibile classificare bambini “difficili”, “facili” e “ a lenta
attivazione”.
Il carattere riguarda i modo in cui l’individuo si comporta, le disposizioni generali (Thomas e
Chess 77), puo’ essere equiparabile allo stile di comportamento (al come fa una cosa piuttosto che “al
cosa fa” o al perche’ lo fa) ma non al singolo comportamento
I tratti di carattere o di temperamento (si assume la medesima valenza per carattere e
temperamento) sono:
• Differenze individuali nei modi di rispondere a stimoli/situazioni
• Emergono precocemente
• Hanno una relativa stabilità nel tempo
• Sono influenzati dalla ereditarietà, ma non solo, ad es. nel modello di Thomas e Chess i due
studiosi nel corso della loro ricerca longitudinale hanno cercato le variabili del carattere o
temperamento.

Thomas e Chess 1977: 9 categorie di qualità caratteriali


• livello di attività (mobilità)

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• regolarità ritmi biologici
• approccio-allontanamento in risposta a novità
• adattabilità (modificabilità del comportamento in
una direzione desiderata)
• soglia di sensibilità agli stimoli
• intensità di reazione (livello energia risposte)
• qualità dell’umore (rapporto comportamenti positivi/negativi)
• distraibilità (efficacia stimoli nell’interferire con comportamento in atto)
•estensione dell’attenzione (quantità di tempo dedicata ad una determinata attività)
•B. “facili”: ritmi + regolari, risposte positive a novità, adattabilità, umore in prevalenza positivo -> ca
40%
• B. “a lenta attivazione” : risposte meno intense alle novità e adattamenti più lenti -> ca 15%
• B. “difficili”: caratteristiche opposte a quelli facili -> ca 10%
• rimanente 35%: mix
Ma: gradi di stabilità piuttosto limitati nel tempo (basse correlazioni
Gli effetti delle differenze caratteriali sullo sviluppo variano in funzione dell’interpretazione di tali
differenze da parte dell’ambiente (genitori in primis)

“Goodness of fit” bambino-ambiente come chiave per uno sviluppo ottimale (VHS lez. 7)

Buss e Plomin hanno criticato il modello di T. e C., il loro schema alternativo si basa su tre qualità
caratteriali (modello AS9 che in un’ottica psicometria sono piu’ affidabili delle 9 variabili di T. e C. in
quanto le 9 variabili non si presentano mai in modo distinto.
Modello EAS di Buss e Plomin 1984: solo 3 dimensioni possono essere identificate in modo affidabile
(ovvero sono separate e significative in un’ottica psicometrica):
• Emotività (-> nevroticismo)
• Attività
• Socievolezza (-> estroversione-introversione.

Le tipologie di attaccamento prescindono dalle caratteristiche temperamentali del piccolo

EREDITARIETA’: Il carattere secondo la maggior parte delle concezioni ha una componente


ereditaria. Cio’ non vuol dire che sia immutabile; l’ereditarietà indica che esistono basi genetiche
modificabili e trasformabili dalle esperienze della vita. Le prove della esistenza di una base genetica
sono cmq. Incerte.

5.11 LA TRASMISSIONE INTERGENERAZIONALE DELL’ATTACCAMENTO

Un bambino che ha fiducia nel genitore e si aspetta un supporto emotivo imparerà anche il
ruolo genitoriale complementare e sarà in grado di attuarlo quando diventerà a sua volta
genitore. In pratica i genitori realizzano, per lo piu’, i modelli di comportamento che hanno
sperimentato loro stessi da bambini. Il meccanismo che permette la trasmissione
intergenerazionale dell’attaccamento e che rende ereditaria la sicurezza o l’ansia affettiva è da
ricondurre all’effetto dei modelli operativi interni i quali guidano il comportamento parentale
attraverso una vera e propria identificazione che potremmo definire di matrice cognitiva. In
pratica il modello mentale interno che ciascun genitore ha della propria figura di attaccamento
regola il modo in cui lui o lei si comporta con il proprio figlio. Mary Main ha messo a punto uno

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strumento , l’Adult Attachment Interview che permette di misurare il modello mentale di
attaccamento degli adulti attraverso i racconti delle prime esperienze con i propri genitori. La
classificazione dei soggetti si basa oltre che su quanto loro riportato anche dal tipo di
valutazione che le persona fanno della oro esperienza affettiva. Le rappresentazioni mentali
dell’attaccamento in età adulta, infatti, dipendono anche dal senso che ciascuno riesce a dare
della esperienza vissuta e dalla capacità o meno di capire il comportamento che nel passato
hanno avuto genitori nei loro confronti (nella capacità dell’adulto di affrancarsi dal passato ,
di riconoscere i pregi e difetti dei propri genitori e di riconoscere i bisogni rimasti insoddisfatti
). La Main ha rintracciato i nessi tra modelli mentali di attaccamento in età adulta e quelli dei
figli valutati con la Strange Situation (vedi tabella 5.4 pag. 226).

5.12 DALL’ANSIA ALLA SICUREZZA

I modelli mentali dell’attaccamento tendono a dare luogo a modelli comportamentali


rigidi, prodotti come risposte non flessibili e inconsapevoli nei confornti delle altre relazioni
sociali. I modelli mentali dell’attaccamento tendono infanti a mantenersi stabili nello sviluppo: i
bambini che già a 12 mesi hanno un attaccamento sicuro o ansioso avranno un attaccamento
di questo tipo anche a 18 mesi e a 6 anni e presumibilmente lo manterranno anche da genitori.
I Modelli Operativi Interni regolando il passaggio da una gestione diadica delle emozioni e delle
strategie comportamentali ad una autonoma, danno conto del formarsi della personalità: di
fronte ad un susseguirsi di incroci con piu’ strade i modelli mentali fanno si’ che ognuno
intraprenda percorsi sempre piu’ obbligati che lo portano a riprodurre nelle relazioni successive
le caratteristiche delle prime relazioni e a comportarsi nei contesti sociali in maniera stabile
secondo lo schema che si e’ formato di se stesso e degli altri.
Che le caratteristiche dell’attaccamento si mantengano stabili negli anni tuttavia non e’
vero per tutti. Vari fattori possono portare alla trasformazione dei modelli mentali. Lo stesso
Bowlby sostiene che non tutti quelli che hanno avuto una infanzia carente di cure materne
evolvono in individui con personalità distorte o mostrano patologie menta,i della loro condotta.
Quali sono i fattori che possono portare al cambiamento o a quella che gli studiosi chiamano
“resiliency”, la resistenza di fronte a situazioni avverse?
Miglioramento della situazione economica e sociale dei genitori, un marito che diviene
piu’ supportivo una rete di relazioni (nonni zii ) che funziona come contesto protettivo un aiuto
psicoterapeutico ecc. Da una ricerca emerge che i bambini che mostravano un forte
miglioramento nel loro adattamento sociale nel passaggio dall’infanzia al periodo prescolare
avevano madri che erano passate da una condizione di single ad una di coppia basata su una
relazione stabile. Donne cresciute in un istituto in assenza di cure materne mostravano piu’
delle altre una buona competenza genitoriale perche’ supportate da mariti collaborativi. In
conclusione le esperienze precoci non possono essere viste secondo un’ottica deterministica,
vari infatti sono i fattori che possono modificare i percorsi di sviluppo, cio’ nonostante la teoria
dell’attaccamento richiama la nostra attenzione sui nostri bisogni primari in età infantile. La
teoria dell’attaccamento mostra inoltre che esistono meccanismi non solo affettivi ma anche
cognitivi (modelli operativi interni) suscettibili di portare gli individui ad interiorizzare degli
schemi che nel tempo spingeranno a comportarsi e a regolare le emozioni secondo quanto
riescono a capire e ad a settarsi dale loro relazioni con gli altri.

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6. LA PERSONA E I SUOI PROBLEMI

E’ stato più volte detto nei capitoli precedenti, lo sviluppo delle relazioni non è qualcosa di separato
dallo sviluppo degli affetti e dallo sviluppo cognitivo.

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Essa significa non solo che i sentimenti e i pensieri delle persone si sviluppano in rapporto a ciò che
avviene dentro ad un certo contesto, ma anche che questo contesto, a sua volta, è soggetto a
cambiamento, perché è anchesso in rapporto con altri contesti.
Uno strumento concettuale utile per descrivere e comprendere lo sviluppo delle relazioni che quello
offerto dalla teoria ecologica di Bronfenbrenner, cui già si è fatto riferimento nel secondo capitolo,
dove veniva tra l'altro evidenziato come essa permette di inquadrare lo sviluppo attraverso un modello
cronosistemico che ruota attorno a tre concetti principali: la persona, il processo e il sistema.
Quando si parla di microsistema, ci si riferisce alle interazioni dirette che un individuo per l'esempio
Mario con gli altri individui il padre e la madre. Tuttavia essi hanno anche due altre aree distinte, cioè
non condivise. Ciò significa che non basta che due fratelli stiano nella stessa famiglia per dire che
condividono lo stesso ambiente e, cioè lo stesso microsistema. Intanto perché il fratello maggiore,
essendo nato prima, ha fatto le esperienze di figlio unico che ha conosciuto i suoi genitori prima del
fratello più piccolo. La stessa famiglia non viene esperita nello stesso modo dai due figli pertanto è
importante il rapporto che si viene a creare di esperienze che sono sostanzialmente identiche nei due
figli e il tipo di esperienze che invece li diversificano. La proporzione tra esperienze condivise ed
esperienze non condivise è ciò che in ultima analisi ci dice quanto i due fratelli abbiano avuto le stesse
esperienze con i loro genitori. Il concetto di sistema rimanda dunque ad una sostanziale circolarità tra
ambiente persona. L'essere umano non è solo condizionato dal sistema in cui vive, ma anche lo
sceglie e lo modifica. Questo concetto di relazioni indirette ci conduce dentro ad un altro importante
distinzione, quella tra interazione, relazione e transazione. Cominciamo intanto col dire che per
interazione si intende uno scambio di azione tra due e più individui che in questo modo si influenzano
l'un l'altro nel loro comportamento. C'è da aggiungere che uno scambio di azioni non è un evento
psicologicamente neutro, ma un processo adottato di intenzionalità. Per relazione si intende, ad un
livello di complessità superiore, una serie storica di interazioni tra due persone che formano un
legame che trascende gli episodi specifici interattivi pur da essi nascendo. Per transazione, infine, si
intende quel processo attraverso quale una persona e il suo ambiente sono trasformati in modo
cumulativo dalle loro interazioni e dalle loro relazioni, così che queste trasformazioni hanno una
qualche influenza sulle interazioni attuali, sia per la persona che per l'ambiente.

6.2 FAMIGLIA SCUOLA E LAVORO

Alla luce dei vari orologi, convenzionali, biologici, storici e sociali, possiamo dire che nelle società
moderne la persona, nel corso del proprio sviluppo, entra a far parte di tre principali sistemi: la
famiglia, la scuola, il lavoro.
La famiglia costituisce il primo contesto di sviluppo nel quale le relazioni della persona si svolgono
secondo due cicli successivi: come figlio e come adulto-genitore. La scuola costituisce il secondo
contesto di sviluppo in ordine di tempo. Pur con le dovute eccezioni per esempio, zone particolari del
continente dove questo sistema è impraticabile per nomadismo o per scarsità di coorti diverse il
sistema scolastico nei paesi occidentali è organizzato in cicli. Il lavoro costituisce, in ordine di tempo, il
terzo contesto incontrato direttamente dalla persona del suo sviluppo. Naturalmente il bambino entra
indirettamente in contatto con il mondo del lavoro molto presto, attraverso l’ esosistema
rappresentato dall'impiego del padre e della madre. Tuttavia, sebbene in periodi di sovrapposizione tra
lavori famiglia siano possibili durante il primo ciclo della vita familiare, normalmente il lavoro affianca
il secondo ciclo di vita familiare e costituisce una condizione indispensabile perché questo secondo
ciclo si dispieghi adeguatamente. L'importanza del lavoro nel ciclo di vita è almeno duplice. Come si è
detto, esso è parte dell’esosistema del bambino attraverso il tempo libero dei genitori, la loro
soddisfazione lavorativa, le attitudini degli interessi che essi sapranno fornire nel figlio grazie al loro
lavoro e, naturalmente, attraverso tipo di lavoro ed il salario che condizionano il livello socio
economico della famiglia. In secondo luogo, il lavoro, inserendosi nel secondo ciclo della vita familiare,
che esprime una forma adulta dell'identità personale attraverso l'acquisizione della competenza
professionale.

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Famiglia, scuola e lavoro sono dunque i tre principali contesti di sviluppo dei quali la persona entra nel
ciclo di vita. Da quanto abbiamo detto fino ad ora è chiaro come questi tre contesti siano in
interazione tra loro. Dal momento che questo processo avviene nel tempo, terremo in particolare
considerazione alcuni periodi principali in questo sviluppo.
L'età della prima infanzia che dalla nascita dura fino alla conquista delle prime forme di dialogo con i
genitori.
La seconda età, detta prescolare, dura fino all'ingresso della scuola primaria, quando il bambino ha in
genere raggiunto una sufficiente capacità di autoregolarsi per poter interagire efficacemente con i
partner esterni alla famiglia.
La terza età è quella scolare, che dura fino alla preadolescenza e che segna il passaggio a forme di
interazione consapevoli e più sofisticate.
La quinta età, che comprende la preadolescenza e l'adolescenza, coincide con l'ingresso nelle scuole
secondarie e con gli studi superiori. Naturalmente, questa periodizzazione ha principalmente un valore
orientativo. Essa ci avverte che lo sviluppo umano non è un processo lineare, ma che contiene periodi
aventi caratteristiche proprie.

6.3 ETA’ INFANTILE: DALLA NASCITA ALLA CONQUISTA DI UN “DIALOGO”

Etimologicamente, l’età infantile è definita come un periodo in cui il bambino ancora non parla.
Durante la gravidanza ci sono due processi principali: lo sviluppo del feto e la preparazione dei
genitori. Questi due processi devono essere resi sincroni in modo tale che, quando il bambino nasce, i
genitori siano pronti ad accoglierlo. Al di là di difficoltà legate all'accettazione della gravidanza, la
stessa nascita prematura, per sua stessa definizione, può cogliere i genitori impreparati. La
preparazione alla genitorialità comporta che tutti e due i genitori mettano in atto una serie di processi
che facilitino la trasformazione della coppia in un nucleo a tre. Questi processi non sono
necessariamente sincroni nei due partner anche per il fatto che il processo biologico della crescita del
feto riguarda unicamente la donna. Secondo alcuni autori i tre trimestri in cui usualmente viene
suddivisa la gravidanza vedono la donna anticipata rispetto all'uomo. Solo nel terzo trimestre, con la
modificazione vistosa del corpo femminile, la presenza del feto diventa tangibile anche per l'uomo,
esperienza oggi facilitata anche dalle moderne scansioni ad ultrasuoni. E’ nel terzo trimestre, dunque,
che i due partner acquisiscono una certa sincronia e iniziano, in modo più partecipato di quanto
avvenisse prima, a fare progetti concreti su aspetti relativi alla nascita e al futuro del bambino.
L’evento della nascita assume dunque una connotazione diversa a seconda di come si incrociano il
processo di sviluppo dell'embrione e del feto, da un lato, e quello della preparazione della coppia,
dall'altro. Quella del figlio è determinata dalle sue caratteristiche innate.
Esse possono essere considerate di due tipi.
In primo luogo, la ricerca in neonatologia ha messo in evidenza come il neonato si presenti già con un
bagaglio di dotazioni innate che lo rendono preadattato ad un mondo fatto di persone che se ne
prendano cura. Basti pensare al ricco repertorio di riflessi, alla sensibilità ai volti alle voci umane,
all'emissione di segnali come il pianto e il sorriso che, sia pure non intenzionali, hanno una alta
rilevanza sociale. Insomma, il cucciolo d'uomo è dotato alla nascita di un corredo di predisposizione ad
adattarsi che possono attualizzarsi a patto chi i genitori soddisfino alcuni requisiti fondamentali. Come
si è visto nel quinto capitolo, fra le caratteristiche innate di cui è equipaggiato il bambino dobbiamo
annoverare anche il suo temperamento. Per analizzare questo incontro, cioè l'interazione iniziale che
si instaura fra genitore e figlio, gli psicologi fanno riferimento a due specifiche caratteristiche.
La prima riguarda la schematicità, o format, del rapporto. La seconda riguarda la cornice, o frame, che
lo sostiene e di cui è, sostanzialmente, una precondizione. La formazione degli schemi interattivi è
dovuta al fatto che le prime interazioni sono strettamente legate ad una ciclicità di ordine biologico e
sociale. Ciò fa sì che alcune interazioni si ripetano più volte al giorno per molte settimane. La seconda
caratteristica a cui abbiamo fatto riferimento è quella della cornice o frame. La cornice è una modalità
interattiva che segnala qualcosa a proposito di un altra modalità interattiva. Tuttavia, i comportamenti

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intenzionali emergono solo alla fine del primo anno di vita. Quindi, nel corso del primo anno, il
genitore tende a sopravvalutare sistematicamente le capacità del figlio.
Attraverso la cornice e lo schema, e poi anche costruendo giorno dopo giorno situazioni di interazioni
interpretate dal genitore come se fossero realmente un dialogo, viene costruita una sorta di
impalcatura con cui il bambino comincia ad orientarsi e sostenersi in quel caos che all'inizio è il mondo
sociale. Verso i due mesi di vita il rapporto tra genitore e bambino comincia ad assumere aspetti non
puramente legati alla necessità di regolazione biologica, ma finalizzati al mantenimento
dell'interazione stessa. Prima dei due mesi questa risposta era quasi riflessa e indiscriminata. Essa
aveva comunque la funzione altamente adattiva di promuovere la vicinanza del genitore. Ora diventa
invece strettamente legata alla percezione di un volto umano. Verso il 5-6 mesi l’ interazione si amplia
ulteriormente. È molto importante quello che avviene a questo punto. Man mano che il bambino
riesce ad integrare due focus allo stesso tempo, oggetto e genitore, l'interazione compie dei passi
avanti notevoli perché può iniziare un vero e proprio dialogo intorno a qualche cosa. Insieme a questi
passi avanti, una grande conquista si verifica verso la metà del secondo anno: la comparsa del
linguaggio, che permette di etichettare le situazioni in cui si condividono gli argomenti.
Riassumendo, dapprima l'interazione genitore-bambino avviene in funzione della necessità di una
regolazione biologica che permette l'instaurazione dei primi schemi bifasici, i quali, nel ripetersi,
creano lo schema di una alternanza. Poi, con la postura faccia a faccia, l’interazione si arricchisce dello
sguardo reciproco che costituisce una cornice per ulteriori schemi interattivi. Successivamente, con lo
sviluppo oculo-manuale, l'interazione include un oggetto che, verso i 9 mesi, diventerà argomento di
dialogo. Infine, con il progredire del coinvolgimento reciproco, la ripetizione di schemi fissi di dialogo
con variazioni e lo sviluppo del linguaggio, il dialogo diventa verbale e la conversazione si presenta
finalizzata sia all'oggetto che alla persona.

6.4 ETA’ PRESCOLARE: AUTONOMIA, INIZIATIVA E AUTOREGOLAZIONE

Nel periodo comunemente identificato con il termine età prescolare la vita sociale del bambino si
allarga progressivamente, sia all'interno della famiglia, nel momento in cui stabilisce relazioni anche
con altre figure, sia all'esterno, quando entra fa parte di contesti educativi come l’asilo nido e la scuola
materna. Poiché tutto questo comporta entrare in micro sistemi sempre più numerosi e diversi, è
necessario che il bambino impari le regole a cui attenersi. Ma rispettare le regole e sapere come
comportarsi sono cose che esigono una conquista di un importante capacità, che proprio in questo
periodo viene raggiunta: l'autoregolazione. Il bambino deve far prevalere il senso dell'autonomia su
quello del dubbio e della vergogna e il senso di iniziativa sul sentimento di colpa. Tuttavia le abilità
motorie più raffinate, come abbottonarsi o allacciarsi una scarpa sono ancora tutte da acquisire. La
stessa cosa dicasi per il controllo della muscolatura sfinterica. È allora evidente come il problema del
controllo sul proprio corpo e sui propri movimenti assuma in questa età un importanza primaria.
Quando si realizza, esso non è solo il segno di una raggiunta competenza ma, nel momento in cui
questo controllo rispetta certe convenzioni, diventa il biglietto di ingresso per essere accolto, come
bambino, dentro il mondo adulto. Una volta conquistato il senso dell'autonomia, il compito successivo
diventa: cosa fare di questa autonomia? È in questo periodo infatti che, come sappiamo, il bambino
affronta il problema edipico. Questi due importanti processi, la conquista del senso di autonomia e
quella del senso di iniziativa, sono possibili in questo periodo anche perché il bambino diventa dotato

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di nuove competenze sul piano cognitivo e linguistico oltre che motorio. Ora, in questa fascia d'età,
egli diviene in grado di auto valutarsi. Egli sa dire cosa fa, cos'è che gli piace fare o cosa pensa di
saper fare, insomma ha di se una percezione in termini di attività. C'è da dire che la sua comprensione
del sè è egocentrica, il bambino non misura bene le sue forze e questo gli fa fare errori di valutazione
e lo espone ad insuccessi, né si rende conto che in altri possono interpretare la stessa situazione in
modo diverso, cosa che può determinare opposizione e conflitti.
Questi progressi fatti a livello cognitivo e motorio, questo ampliamento di una visione di sé e del
mondo ancora imprecisa, ma pure così invitante, lo rendono molto più interessato a tutto e molto più
capace di esplorare cose nuove e interessanti. Al tempo stesso, queste capacità cui abbiamo fatto
cenno permettono al bambino di ampliare in misura notevole il proprio mondo sociale e di compiere
quindi una quantità diversa di esperienze. Il rapporto tra fratelli permette di fare esperienze che sono
al tempo stesso di conflitto e di cooperazione amichevole. Dunn ha messo in guardia contro i rischi di
volere considerare le relazioni tra fratelli lungo due polarità opposte, di rivalità e di cooperazione.
Sembra addirittura che i fratelli che litigano di più siano poi anche quelli che di più cercano di
sostenere, aiutare e cooperare. Con un fratello maggiore, un fratello minore può dunque fare
esperienza di opposizione ma anche di sostegno, può imparare nuove cose, come si fa con un esperto,
ma anche mettere a confronto punti di vista diversi, battendosi per essi, come si fa con i coetanei. Il
rapporto con il fratello amplia dunque le relazioni sociali del bambino secondo una dimensione del
tutto nuova, si potrebbe dire preparatoria al rapporto con i coetanei a scuola. Questo periodo viene
usualmente definito dell'autorità per significare quanto sia importante che i genitori guidino bambino
nelle sue progressive conquiste.
Lo scopo che i genitori si propongono è quello di far diventare il bambino autoregolato. Se inizialmente
il controllo esercitato dai genitori mira alla sopravvivenza e alla soddisfazione dei bisogni di base del
figlio, ora è incentrato sulla proibizione di situazioni pericolose, sulla trasmissione dei modelli familiari,
sull’ incoraggiamento verso comportamenti sociali positivi e sull'insegnamento di regole.
Nell'auto controllo, che viene raggiunto intorno ai 24 mesi, il bambino interiorizza le prescrizioni ed il
controllo degli adulti e in tal modo egli può indirizzare le proprie azioni secondo i modi voluti dal loro,
anche se sono assenti.
È necessario passare da un autocontrollo ad un’ autoregolazione, ad una capacità, cioè, di esercitare
un controllo flessibile che possa tenere conto delle mutevoli situazioni. L’ autoregolazione consente un
notevole progresso alla relazione genitore-bambino. Il genitore può raggiungere un buon
compromesso tra la necessità di controllare il bambino e le sue esigenze di sbrigare anche le proprie
faccende. L'autoregolazione intesa in senso ampio include dunque non solo una certa autonomia fisica
ma anche una percezione più realistica del pericolo, la coscienza morale e la capacità di resistere alle
tentazioni.
Arrivare all’ autoregolazione può essere concepito come una progressiva costruzione del senso della
regolarità. Questa costruzione avviene all'interno di routine domestiche. Le routine sono attività
ricorrenti e imprevedibili che caratterizzano la vita sociale. Le routine aumentano la prevedibilità dei
fenomeni. Esse creano un contesto di attese. Così le regole sociali, al di là del loro carattere
normativo, sono in genere prese come delle regole applicate in un contesto determinato. Il bambino è
particolarmente attento verso tutto ciò che viola un senso di normalità, tanto da mostrarsi a volte
incuriosito, a volte preoccupato, quando vede oggetti non normali o eventi anomali. In tal modo le
routine permettono una congiunzione tra questi tre mondi (cognitivo, sociale ed emotivo) secondo
modalità che vengono definite dal sistema nel quale il bambino vive. Come è facile intuire, sono
svariate le implicazioni e le conseguenze derivanti dal fatto che il bambino impari progressivamente a
padroneggiare le routine.

6.5 LE RELAZIONI EXTRAFAMILIARI

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La frequenza della scuola materna non è obbligatoria nel nostro sistema di istruzione. Tuttavia, la sua
importanza è venuta crescendo in queste ultime decadi. Ma c'è un'altra ragione della quale la scuola
materna e l'asilo nido hanno assunto una notevole importanza in questi ultimi anni ed è stata la
rivalutazione del rapporto precoce tra pari. Quando i bambini hanno cominciato ad essere osservati in
condizioni naturali e in modo sistematico, sono emerse insospettabili competenze interattive fin dal
primo e secondo anno di vita. Già a queste età i bambini sono in grado di istituire con il coetaneo
scambi di oggetti, avere comportamenti imitativi e relazioni di tipo ludico. A questa stessa età i
bambini appaiono in grado di coordinare la propria azione con quella di un coetaneo verso l'obiettivo
comune. Come hanno evidenziato, Tassi e Fonzi, durante l’età prescolare si registra una progressiva
tendenza ad acquisire modalità sociali sempre più adeguate allo svolgimento della cooperazione, una
maggiore aderenza alle regole del gioco e una simmetria nella competizione. Le relazioni verticali sono
caratterizzate da un’ asimmetria nel potere posseduto dai due partner. I due ruoli sono
complementari, manca una completa alternanza e reciprocità. Sono relazioni che fino a quel momento
il bambino ha prevalentemente sperimentato in famiglia con i genitori. Le relazioni verticali sono
finalizzate al controllo e alla protezione della prole, a garantire il formarsi del legame di attaccamento,
a trasmettere valori da una generazione all'altra. Le relazioni orizzontali sono invece basate su una
simmetria di potere. In una relazione simmetrica i membri sono sullo stesso piano e si confrontano
l'un l'altro. D'altra parte, interazioni orizzontali sono possibili tra genitore e bambino in situazioni quali
il gioco, la conversazione, ecc. Se però si considerano le relazioni, piuttosto che le interazioni, si dovrà
riconoscere che con gli adulti le relazioni sono prevalentemente verticali e con i pari prevalentemente
orizzontali.
Un aspetto assai importante del mondo in cui questi contesti sono organizzati è la predisposizione di
routine. Nella scuola materna le routine fanno parte di un esplicito programma educativo. Tali routine
hanno un chiaro significato culturale, quale si può notare nell’accento posto sull'ordine e sulla pulizia,
e sulla disponibilità al servizio, sul fare le cose insieme. Le attività routinarie proposte dagli insegnanti
portano alla costruzione di copioni. Esse forniscono scenari per la conversazione tra compagni:
condividere un copione facilita la comprensione reciproca, perché entrambe le parti sanno di che cosa
si tratta. La nozione di cultura dei coetanei intende descrivere un insieme stabile di attività, routine,
prodotti, valori, interessi ed obiettivi comuni che i bambini producono e condividono durante le
interazioni con i coetanei. Negli anni della scuola materna tre temi caratterizzano la cultura dei
coetanei: l'importanza di partecipare alla vita sociale, il tentativo di affrontare gli interessi, le
incertezze e le paure, ed infine il mettere in discussione ciò che dice l’adulto per ottenere un controllo
anche parziale delle proprie condotte nei confronti dell'autorità.

6.6 STATUS SOCIALE E INTERAZIONE TRA PARI

All'interno di questo cultura si stabiliscono particolari esperienze interattive e sotto forma di ruoli,
routine, reputazioni. Si può dire che durante l’età prescolastica possiamo vedere già operanti alcune
modalità fondamentali di interazione che risulteranno centrali anche negli anni successivi. Gran parte
delle interazioni tra pari avvengono all'interno di situazioni di gioco di gruppo. Intanto il gioco, a
queste età, permette di esprimere in modo socialmente accettato e divertente l'aggressività. Si tratta
di aggressività di tipo ludico in cui l'azione aggressiva ha uno scopo giocoso. Questa funzione è
estremamente importante e non solo per una sorta di sfogo fisico, ma soprattutto perché insegna a
modulare le azioni in base ai contesti, a precisare le espressioni, a chiarire quali siano le intenzioni,
facendo capire come lo stesso movimento possa assumere significati diversi in situazioni diverse.
Quando il gioco è invece più dichiaratamente verbale, simbolico e di drammatizzazione, come nel
gioco di finzione, i bambini possono esercitarsi ad eseguire routine che diventano sempre più
complesse, a costruire scenari. L'importanza che il gioco di gruppo riveste a queste età, e la quantità

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di routine e di scenari che esso permette di elaborare ed eseguire, fa capire quanto, già nella scuola
materna, esso costituisca una cornice dentro la quale si costruisce la cultura dei coetanei.
Per esempio, l'accettazione si esprime anche attraverso l'essere ricercato dai compagni, dal numero di
inviti e giocare che un bambino riceve. Il rifiuto appare dal numero di compagni che non vogliono
giocare con lui. L'isolamento, poi, è la condizione di chi viene ignorato che e non è né oggetto di
ricerca nè di rifiuto. Sembrerebbe che diventino ricercati quei bambini capaci di giocare con gli altri
entrando nel gruppo progressivamente, senza imporsi, facendo commenti pertinenti, condividendo con
gli altri le informazioni, usando strategie per mantenere le relazioni. Al contrario, quei bambini che
sono più turbolenti, molto attivi, loquaci, che fanno numerosi tentativi di avvicinamento sociale e sono
poco collaborativi rischiano di diventare dei rifiutati. Le condotte prosociali possono essere di tipo
diretto, e quando sono finalizzate ad aiutare o a recare piacere all'altro, oppure indirette, quando sono
più legate ad una attività strumentale. Le condotte aggressive possono essere di tipo ostile e diretto,
quando sono dirette nuocere all'altro, o strumentale e indiretto, quando riguardano il possesso di un
oggetto o l'occupazione del territorio. I tre fondamentali stili della aggressività-fisica diretta, verbale,
indiretta-costituiscono altrettante fasi evolutive, in parte successive, in parte sovrapponendosi l'una
all'altra durante l'infanzia e l'adolescenza. Le interazioni di tipo aggressivo sono molto comuni negli
anni prescolare, a causa delle difficoltà che i bambini hanno di trovare soluzioni negoziate in o di
utilizzare l'aggressività in modo più accettabile socialmente. Nel corso di uno sviluppo normale,
l'aggressività lascia il posto a comportamenti più evoluti, sempre più simbolici. In condizioni normali,
aggressività e prosocialità vengono opportunamente utilizzate all'interno di due modalità fondamentali
sulle quali si baserà l'interazione tra coetanei nell'età successiva: la cooperazione e la competizione.
Nella cooperazione si assiste ad una interazione finalizzata al raggiungimento di scopi comuni, mentre
nella competizione i partner interagiscono per la conquista di una meta che è esclusiva. È bene
precisare tuttavia come cooperazione e competizione non costituiscono due modalità tra loro esclusive
in quanto, nella maggior parte delle interazioni, è necessario sia opporsi, sia coordinare questa
opposizione in vista di uno scopo, anche se questo consiste nel vedere chi dei due vince. Interconnessi
a questa fitta rete di legami aggressivi, prosociali e ai conflitti sono i legami di amicizia. Si è scoperto
che fino dalla scuola materna i bambini sono in grado di formare amicizie che durano nel tempo. I
bambini che hanno amici non sono necessariamente bambini popolari. La popolarità ha a che fare con
l'essere ricercati, avere amici indica invece la capacità di formare legami significativi. L'amicizia
permette, già a queste età, di vivere dentro un tipo di relazione sicura e questo ha delle indubbie
conseguenze sul piano sociale. Sembra infatti che l'amicizia sia predittrice di relazioni sentimentali
successive.

6.7 ETA’ SCOLARE: LO SVILUPPO DELLE INTERAZIONI CONSAPEVOLI

L'età scolare, compresa fra il 5-6 e i 10-11 anni, è contraddistinta da notevoli progressi che il bambino
compie sul piano socio cognitivo. Questi progressi sono il risultato sia dei processi avviati nell'età
precedente, sia dalle nuove esigenze poste dal sistema scolare. Durante questo periodo il bambino
sviluppa progressivamente la capacità di role taking, cioè la capacità cognitiva di decentrarsi e di
assumere un punto di vista diverso dal proprio. Fino ai 5-6 anni, come si è detto nel quarto capitolo,
nel bambino prevale l'orientamento egocentrico. A partire da questa età, la sua capacità di role taking
entra in una fase nella quale c'è un riconoscimento della diversità tra il punto di vista proprio e quello
del compagno, anche se manca ancora la capacità di metterli in rapporto. Questa capacità diventerà
sempre più elaborata con gli anni, fino a che il bambino potrà considerare la diversità anche dal punto
di vista di un terzo esterno alla coppia e, in fine, dal punto di vista della collettività. L’autorità, per
esempio, da concetto che esprime una prerogativa arbitraria e autogiustificantesi, diventa un concetto
che fa riferimento alle competenze su cui l'autorità si fonda. Cambia inoltre la capacità di comprendere
le cause del comportamento. Il bambino non è solo capace di interpretare comportamenti interni di
cause esterne o interne, ma è anche capace di pensare a disposizioni stabili, a tratti di personalità e al

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tempo stesso a cause momentanee. Parallelamente alla conoscenza degli altri, anche la
consapevolezza di sè si sviluppa e il fanciullo comincia a comprendere le proprie azioni in termini di
disposizioni stabili oltre che contingenti. Il fanciullo si rende sempre più conto dell'opportunità di
esercitare un autocontrollo sulle proprie emozioni o del fatto che certe azioni siano socialmente
inopportune. Ma, oltre a questo, il bambino scopre anche che non esiste sempre un legame univoco
tra ciò che si prova e ciò che si esprime. Ci sono delle regole da seguire se si vuole ricevere
l’approvazione degli altri e queste regole possono anche comportare il dover nascondere quello che si
prova. Se con gli anni prescolari gli aveva imparato come ci si doveva comportare in una varietà di
situazioni diverse, divenendo pronto a fare nuove esperienze al di fuori della famiglia, ora il problema
è quello di trarre profitto da queste esperienze ed essere sempre più capace e sicuro di sé. Nella
realizzazione di questi compiti la famiglia svolge un ruolo decisivo. In quest’età il bambino passa gran
parte del suo tempo lontano dai genitori. Essi dunque si trovano a non potere esercitare un controllo
diretto su di lui. Diventano importanti dunque le informazioni, anche indirette, che il genitore ricava
sui microsistemi in cui il bambino entra. Il genitore è nella condizione di poter selezionare almeno in
parte i microsistemi in cui figlio entrerà. Può svolgere il ruolo di un vero e proprio manager delle
relazioni dei figli favorendo l'incontro del bambino con altri pari. L'attività con cui il genitore seleziona
questi microsistemi e poi mantiene un controllo su di essi risulta decisiva per il successo scolastico del
bambino, anche a lungo termine. Sebbene nella maggior parte dei casi i bambini abbiano frequentato
già la scuola materna, quando giungono alla scuola elementare, oggi chiamata di base, questo
contesto costituisce per loro un’ ambiente totalmente nuovo. Gli elementi di diversità sono però
straordinari. Pensiamo, per esempio, al fatto che in quasi tutte le società avanzate il bambino di sei
panni è giudicato abbastanza capace da poter essere sottoposto ad una educazione sistematica in
istituzioni extra familiari, statali o private. Ciò significa che a quest’ età scatta l’orologio sociale e
quindi un sistema di attese verso ciò che il bambino può e deve imparare fare. Al bambino vengono
per la prima volta avanzate chiare richieste di profitto. Questo profitto è strettamente legato alla sua
capacità di inibire il movimento fisico a vantaggio dell'impegno mentale e del rispetto di una serie di
norme valide per quel contesto. L'apprendimento è organizzato in modo tale da essere in funzione di
un gruppo. Il fatto di svolgere un compito in classe di aritmetica è un processo cognitivo, ma la
valutazione data dall'insegnante e il confronto con le valutazioni ricevute dei compagni investono
chiaramente la sfera sociale.
Tutto questo non riflesso sulla costruzione del sé del bambino, in termini di senso di capacità o
incapacità. Insorgono i primi dubbi sulle proprie capacità intellettive e i, durante la scuola elementare,
la percezione della propria competenza cognitiva a un declino. Il bambino comincia percepire per
differenza tra competenza e di impegno. Questa età è dunque particolarmente importante per lo
sviluppo di consenso più problematico dell'auto efficacia, cioè della percezione valutazione che un
bambino ha delle proprie capacità di affrontare con successo un determinato aspetto della realtà. Una
catena di insuccessi può aumentare la probabilità che i fallimenti si ripetano e testimoniare che si è
incompetenti.

6.8 DINAMICHE RELAZIONALI E AGGRESSIVITA’ INFANTILE

Durante i cinque anni del ciclo della scuola elementare, ruoli, legami funzioni possono perpetuarsi e
cristallizzarsi stabilizzando oltre misura condizioni sociali come quella di popolare, rifiutato o isolato. È
emerso, per esempio, che i bambini popolari quando voglio entrare in un gruppo usano una strategia
di accerchiamento. Si chiedono quali siano le attività e gli scopi del gruppo, condividono questa
struttura di riferimento, hanno uno stile interattivo piacevole, e evitano escalation di conflitti,
propongono compromessi e alternative. I bambini rifiutati usano invece un atteggiamento di
disapprovazione ed esercitano un controllo per deviare su di sé l'attenzione del gruppo, piuttosto che
integrarsi nella sua conversazione. Quanto il comportamento poco efficace dei rifiutati dipenda da
incapacità di tipo cognitivo è una questione ancora dibattuta. I bambini non adattati socialmente, vuoi

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perché rifiutati vuoi perché aggressivi, sarebbero caratterizzati da un deficit socio cognitivo in base al
quale farebbero degli errori di valutazione nel corso del loro processo di elaborazione delle
informazioni sociali. Quando le interazione aggressive riproducono se stesse e diventano stabili, è
difficile che questo avvenga senza che si sia creata una certa circolarità tra il bambino e il suo
ambiente: l’aggressività è sostenuta dalle risposte degli altri, ma anche dal modo che il soggetto ha di
interpretarle. Una volta che si è instaurata una certa circolarità tra ruolo e stile interattivo, si
determina una forma di stabilità che può produrre, a sua volta, conseguenze di una certa durata.
Dopo aver selezionato un campione di bambini rifiutati a 7 anni, hanno controllato la loro situazione
sociale a 18, riscontrando una preoccupante presenza di indicatori di rischio, quali insuccesso
scolastico, episodi di devianza. Non tutti i rifiutati, però sono aggressivi, e non tutti gli aggressivi sono
rifiutati. A 10 anni i rifiutati non aggressivi presentavano problemi di interiorizzazione, cioè erano più
dolorosi, ambiziosi e ritirati, mentre i rifiutati aggressivi avevano sviluppato problemi di
esteriorizzazione, cioè erano più ostili e impulsivi. Quando questo si associa ad un basso livello di
aggressività, può ostacolare un adeguato sviluppo sociale, forse perché un basso livello di aggressività
è esso stesso espressione di ansietà.
Sono stati confrontati non rifiutate aggressivi e rifiutati aggressivi. È emerso che quando l'aggressività
non era associata al rifiuto, essa conteneva certi aspetti di competenza sociale, in quanto i bambini
erano capaci di cercare una soluzione positiva nei litigi con i compagni. Questi soggetti, dunque,
riuscivano a modulare in modo accettabile le tendenze aggressive con le esigenze di non perdere l’
approvazione del gruppo. Le loro mosse aggressive, limitatamente al gruppo nel quale erano inseriti,
erano meno disadattive. Al contrario, i rifiutati aggressivi non si rendevano conto che le loro condotte
non erano accettate, oppure si ponevano in una posizione di conflitto rispetto al gruppo. La loro
condotta era dunque meno adattiva.
Forse è anche per questo che l'isolamento è la posizione più difficile da esaminare. Apparentemente, il
bambino isolato è un bambino che non ha interazioni significative in classe, i suoi compagni non lo
scelgono, nè lo rifiutano. Questa posizione può assumere almeno tre diversi significati. Il bambino può
essere isolato perché ansioso, timido e ha difficoltà ad inserirsi un gruppo. Oppure il bambino può
essere isolato perché poco capace di inserirsi in un gruppo, in quanto immaturo, chiassoso, fastidioso,
ostile. Infine, c'è il bambino che, più che isolato, è solitario. È il bambino che è capace di stare da
solo, magari perché è più interessato a giocare con gli oggetti che con le persone.

6.9 AGGRESSIVITA’ REATTIVA E PROATTIVA

Le condotte aggressive, infatti, possono essere considerate come delle risposte ad altre condotte
aggressive o delle vere e proprie iniziative. Sappiamo benissimo che non è sempre facile fare questa
distinzione. È però diverso il caso del bambino che pianifica la sua mossa aggressiva e come modo per
primeggiare, o per punire i colpevoli di qualche sgarro, e quello del bambino che reagisce in preda a
collera o rabbia. Nel primo caso l'aggressività è più intenzionale, pensata e fredda, mentre nel
secondo caso è più legata ad una reazione emotiva. Un caso di aggressività proattiva è quello delle
prepotenze. La prepotenza è una condotta sociale particolare, che deve essere mantenuta distinta da
altre forme di comportamento aggressivo. La prepotenza, o bullismo, è un concetto che implica uno
schema relazionale tra due o più protagonisti direttamente coinvolti, il bullo e la vittima, un gruppo
che in vario modo osserva, partecipa o ignora, ed un insegnante che non riesce ad intervenire
efficacemente. Il ragazzo prepotente non è tanto uno che aggredisce l'altro in uno stato di collera,
quanto chi taglieggia i compagni più deboli minacciandoli, perseguita sistematicamente e con
freddezza un compagno, esercita una prepotenza alleandosi con i suoi supporter per il semplice gusto
di esercitare oltre misura il proprio potere.
L'importanza che assume il legame amicale a queste età è enorme. Esso infatti non è più solamente
una relazione strumentale fondata su interessi comuni, come era negli anni precedenti, ma diventa

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una relazione nella quale lo scambio, l'iniziativa per mantenere il rapporto e la parità nei diritti e negli
obblighi, assumono un'importanza centrale. Essendo l'amicizia un rapporto protetto, essa permette di
fare esperienze altrimenti difficili o troppo dolorose. Essa consente di sperimentare con maggiore
intimità sentimenti reciproci, ma anche di avere degli scontri e dei litigi.

6.10 ETA’ PREADOLESCENZIALE E ADOLESCENZIALE: LO SVILUPPO DELL’IDENTITA’

Questo periodo è temporalmente il più esteso di quelli che abbiamo fino ad ora considerato. Esso va
dalla pubertà (11-12 anni, approssimativamente), quando si preparano le prime trasformazioni
biologiche e psicologiche dell'adolescenza, ad un'età quasi adulta, in cui il giovane si distacca dalla
famiglia e si avvia verso il mondo del lavoro. Mentre la fine è legata a criteri di ordine sociale, come,
ad esempio, un atteggiamento autonomo e responsabile verso società.
Se quindi è chiaramente individuabile l'inizio del processo adolescenziale, non lo è altrettanto la fine.
Nell'adolescenza psicologicamente intesa, si tende a distinguere tre sotto periodi, dei quali il primo e
l'ultimo sono meglio specificati, essendo il secondo più simile ad una fase di transizione fra i due. C'è
una prima adolescenza che è caratterizzata da rilevanti cambiamenti a livello di scuola, da un
aumento di conflittualità in famiglia e da una gruppalità ancora qualificata da quella segregazione
sessuale tipica dell'infanzia. C'è poi una tarda adolescenza dove invece è prevalente la preoccupazione
per il futuro (laurea, lavoro), un minor conflitto con i genitori, una gruppalità ormai mista, con
presenza di maschi e femmine. L'adolescenza è inoltre un’età in cui sono frequenti comportamenti a
rischio. Per esempio, se consideriamo tra le cause di mortalità, quelle dovute a traumi e
avvelenamenti sono il 6, 6% in tutta la popolazione italiana maschile, ma tra i maschi tra i 10 e i 14
anni raggiunge il 51% e il 69% tra quelli dai 15 ai 17. È forse da rifiutare il giudizio di Anna Freud
(1958) che giudicava normale l'anormalità dell'adolescenza e anomala la sua normalità. La parola
adolescenza proviene dal latino adolescere che significa crescere. Se poi andiamo a controllare la
variabilità con cui compaiono i segni distintivi della pubertà, scopriamo che anch’ essi si presentano
secondo ritmi intraindividuali e interindividuali assai differenti. C'è infatti una varietà non indifferente
di eventi notevoli che accadono, almeno in parte determinati dall'orologio sociale. L'orologio sociale
prevede in questo periodo nuove scadenze: il passaggio del ciclo primario a quello secondario e
superiore, la conquista di libertà codificate culturalmente. Queste scadenze, uguali per tutti, sembrano
marcate dal fatto che questi individui, così diseguali fra loro, sono per altri versi anche tutti uguali fra
loro. La ricerca sullo sviluppo sociale ha messo sempre più in evidenza la necessità di considerare la
famiglia come un sistema in evoluzione. Ciò è tanto più importante quando si prende in esame l'età
preadolescenziale e adolescenziale. Genitori e figli cominciano a ritenersi come appartenenti a due
distinte generazioni. La differenza generazionale è indubbiamente influenzata da quello che ormai
abbiamo imparato a considerare come l'effetto-coorte. Un altro aspetto legato alla coorte e
particolarmente evidente in questi anni è il fenomeno della famiglia lunga. Ciò che si chiama famiglia
lunga indica un fenomeno di procrastinazione del periodo adolescenziale, dovuto al ritardo del
momento di ingresso nel mondo del lavoro. Queste premesse ci permettono di capire come
l'adolescenza sia non solo una fase dello sviluppo dell'individuo, ma segni anche una fase di sviluppo
della famiglia. Dal punto di vista dell'adolescente, questo controllo sarà vissuto come un
comportamento bizzarro, proprio perché esso viene a negare l'avvenuta conquista di nuove capacità
cognitive e sociali verso le quali i genitori stessi lo hanno spinto. Il figlio imparerà a dimostrare la
propria maturità sia con la propria condotta sia con il saper giustificare le proprie ragioni, i genitori
impareranno a tollerare la loro ansia e prenderanno atto di un cambiamento in senso maturativo nel
ragazzo. Si verificherà così un processo di negoziazione che nella tarda adolescenza farà della
relazione fra genitori e figlio sempre più una relazione di interdipendenza. È lungo questo tragitto di
sviluppo dell'adolescente e della sua famiglia che deve essere collocato il principale compito evolutivo:

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quello della conquista dell'identità. Erikson ha parlato dell'identità come di una condizione dell'io
attraverso la quale vengono integrate fra tra loro diverse componenti dello sviluppo: le identificazioni
infantili, le vicissitudini emozionali, le attitudini, le capacità, l'inserimento nei ruoli sociali. L’Identità
durante l'adolescenza ripropone, per esempio, gli interrogativi sull'essere maschi o femmine, ma ad
un livello più complesso, perché questa volta la sfera sessuale è investita anche come un desiderio
cosciente. Con la preclusione dell'identità l'adolescente può, per esempio, ricercare la propria identità
sulla scorta di quelle che sono le aspettative del genitore, cercando se stesso, pensando di trovarsi, là
dove c'è solamente un adeguamento alle richieste paterne o materne. L'identità negativa è solo in
parte il caso opposto. Il figlio cerca di adottare un'identità che vada contro le attese genitoriale. Ma se
l'adolescente è così condizionato dalle attese dei genitori da essere costretto a fare il contrario, anche
questa è una forma mascherata di preclusione. Naturalmente, in questo processo gioca un ruolo
decisivo l'atteggiamento educativo del genitore. È possibile distinguere una forma di controllo
comportamentale da una forma di tipo psicologico. Il controllo comportamentale è quello più evidente
e consiste nel regolare, per esempio attraverso la proibizione, ciò che l'adolescente può o non può
fare. Il controllo psicologico è invece più tacito ed intrusivo. Esso consiste, se così ci si può esprimere,
nel controllare i pensieri e i sentimenti del ragazzo attraverso metodi più sottili. Basti pensare al senso
di colpa che un genitore può ingenerare nel figlio. Il genitore che controlla il comportamento del figlio
gli dice: (tu questa sera non esci), mentre quello che lo controlla psicologicamente egli dice: (anche
questa sera mi lasci solo?). Si capisce allora come nel controllo comportamentale il pericolo non stia
nell’ipercontrollo, ma nell'ipocontrollo. Al contrario, nel controllo psicologico il pericolo sta
nell’ipercontrollo. Si può anche comprendere come, tra gli atteggiamenti democratico, autoritario,
trascurante e permissivo dei genitori, sia lo stile democratico quello che può meglio degli altri
affrontare la problematica adolescenziale. Questo perché lo stile democratico non elude l'esigenza del
controllo, però favorisce contemporaneamente un dialogo su questo controllo, non esprime solo la
dipendenza, ma anche la fiducia e la assicurazione verso le prime incursioni dell'adolescente nella
direzione di un mondo completamente separato ed interdipendente dai genitori.

6.11 DALL’ETA’ GIOVANILE ALL’ETA’ ADULTA

In questi periodi famiglia, scuola e lavoro entrano in contatto in un modo del tutto finito: un giovane
può stare in famiglia con suoi, studiare all'università, e trovarsi un lavoro e decidere di sposarsi allo
stesso tempo, o in un breve arco di tempo. Abbiamo detto che se l'inizio dell'adolescenza è ben
definito da criteri biologici, la sua fine resta indefinita, per cui da un punto di vista psicologico non è
facile dire quando comincia l'età adulta. Questo per due motivi. Il primo risiede nel fatto che
l'adolescenza rimane un po’ un’età della vita nella quale l'adulto si attarda anche quando ne è oramai
lontano. Là dove le necessità di sostentamento economico sono più forti, e la famiglia di origine ha
essa stessa bisogno di uno stipendio in più, il figlio sarà precocemente chiamato a compiti di
responsabilità. D'altra parte, quando la famiglie dispone di mezzi ed il figlio ha voglia di studiare, essa
può mantenerlo nei studi fino che non si è laureato o specializzato, cioè anche fino ai 30 anni.
Nell'imporre dei doveri e delle fatiche, nel creare dei rapporti con colleghi e superiori, tutte cose
queste non molto dissimili da quelle conosciute dall'individuo a scuola, il lavoro dà un senso di potere
garantito dall'indipendenza economica. Il lavoro gioca dunque un ruolo importante nel diventare
adulto. Ma non è il solo. In questa età, l'essere umano sente generalmente il bisogno di crearsi una
vita propria con un partner, un rapporto cioè che è pensato come stabile nel tempo, capace di
garantire sicurezza, all'interno del quale sia possibile fare dei progetti. Con l'età adulta, generalmente,
ha inizio il secondo ciclo della vita familiare, ma si può anche dire che quest'ultimo sospinge verso una
dimensione adulta della vita. Naturalmente la famiglia non è una condizione indispensabile per
diventare adulto. Una persona può vivere da sola ed essere pienamente adulta.

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6.12 IL SECONDO CICLO DELLA FAMIGLIA

Con il periodo adolescenziale il soggetto ha acquisito un'identità sessuale fisica completa. La vita
familiare post adolescenziale può essere concepita come un processo di sviluppo della genitorialità.
Svariati autori hanno tentato di tracciare delle fasi di sviluppo dell'età adulta sotto questo profilo. È
interessante notare come tutti abbiano delineato un percorso prendendo come riferimento il processo
di crescita del figlio: la coppia inizialmente non ha figli, poi il primo figlio nasce e le età della sua vita
sembrano scandire le età della vita dei genitori, fino a che l'ultimo figlio non se ne va di casa e i
genitori vanno in pensione.

1) il primo periodo è contraddistinto dalla separazione dalla famiglia e da una fase di orientamento.
Questo tempo può essere occupato dal servizio militare, dall'università, da lavori temporanei. Il
giovane in una fase di moratoria usualmente considera la propria famiglia di origine come la sua casa-
base. Non tutti i giovani adulti passano attraverso questa fase di moratoria. In ogni caso, tuttavia,
quando il giovane ne esce, le istanze della generatività diventano predominanti. È allora che vengono
messe alla prova le capacità lavorative. Ironicamente questo periodo, che si chiama luna di miele, è in
realtà segnato dai conflitti connessi proprio alla necessità di adattamento reciproco. Il grado di
soddisfazione provata dei due coniugi nel matrimonio è determinato dal modo in cui essi valutano
equa la relazione in termini di scambio. Il matrimonio è soddisfacente quando entrambi i partner
considerano lo scambio equo. Un tempo questa equità poteva basarsi sul fatto che l'uomo provvedeva
alla protezione e al sostentamento della famiglia e la moglie alla cura della casa e dei figli. Oggi i
tempi sono cambiati e, le cose che vengono richieste sono piuttosto informate ai principi della
reciprocità e della condivisione dei compiti.

2) il secondo periodo è il tempo del nido. La generatività è infatti anzitutto la preoccupazione di creare
e dirigere una nuova generazione. Questo periodo inizia dopo la nascita del figlio e dura fino al
secondo anno di vita del bambino. Il figlio, viene concepito e poi atteso. Abbiamo visto che, durante la
gravidanza, ci sono due processi che devono essere resi sincroni: lo sviluppo del feto e la preparazione
dei genitori, in modo tale che quando il bambino nasce i genitori siano pronti ad accoglierlo. Questi
processi hanno una chiara forma circolare. Per esempio, alcune ricerche hanno mostrato che il modo
in cui la donna vive la gravidanza dipende dal modo in cui il marito la sostiene durante questo periodo,
ma l'adattamento post partum di quest'ultimo dipende da come la moglie ha vissuto la gravidanza.
Ecco dunque una possibile ricostruzione di un processo circolare che proseguirà lungo la vita della
coppia: attivo aiuto del marito durante la gravidanza = sensazione di soddisfazione della moglie
nell'essere sostenuta = adattamento positivo del marito-padre alla nascita del figlio = partecipazione
alla cura del figlio = ripresa del desiderio sessuale della moglie.

3) il terzo periodo psicologo fra i 2-3 e i 5-6 anni del figlio. Come dicevamo in questo periodo il
genitore deve preparare il bambino al mondo sociale, cioè ad avere relazioni molteplici. Dapprima si
tratta di raggiungere il controllo degli sfinteri e di imparare le regole-base dell'igiene. Poi le cose da
imparare si moltiplicano: come si sta a tavola, come ci si comporta per andare a letto, come si tiene in
ordine, come si salutano le persone che la mamma conosce. Ma in questo periodo possono
evidenziarsi contrasti tra i due partner circa il modo di educare il bambino.

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4) il quarto periodo si colloca tra i 5-6 e gli 11-12 anni del figlio. In questa fase i genitori devono
aiutare il bambino a coniugare relazioni sociali e apprendimento. Inoltre, dal momento che gran parte
delle esperienze saranno d'ora in poi fatti in altri contesti e con altri gruppi, essi devono poter seguire
a distanza il proprio bambino, anche al di fuori della famiglia.

5) il quinto periodo coincide con l'adolescenza del figlio. La transizione adolescenziale esige che i
genitori sappiano passare da una dimensione fondata sul controllo ad una dimensione fondata sul
negoziato e l'interdipendenza. Si può supporre che se il genitore ha svolto con successo i suoi compiti
interpretativi durante la fanciullezza, non avrà eccessivo bisogno di esercitare controllo
sull'adolescente, perché avrà mantenuto con lui una linea aperta di comunicazione.

6) il sesto periodo è quello del distacco, o del nido vuoto. Abbiamo visto inoltre come sia il fenomeno
della famiglia lunga, sia quello della moratoria adulta, indichino che in certi casi il distacco è
veramente un periodo abbastanza esteso, nel quale il figlio ha ancora molto bisogno dei genitori. La
fase del nido vuoto pone ai genitori due compiti fondamentali. Per un verso essi devono riorganizzare
la propria vita. Ma, per un altro verso, essi devono aiutare il figlio ad affrontare questo periodo di
distacco lungo tutta quella fase intermedia della moratoria, quando il figlio ama tornare a pranzo per
riassaporare i profumi dei buoni piatti di una volta.

6.13 IL LAVORO

Il lavoro rappresenta il terzo importante microsistema nel quale l'individuo entra nel corso del suo
sviluppo. Dai 20 ai 30 anni il figlio si distacca dai genitori, conquista una certa indipendenza
economica, fa le prime scelte sul piano matrimoniale e professionale. Vengono acquisite le prime
abilità tecnico-cognitive, sociali ed emotive, necessarie per lavorare e sostenere una famiglia.
Progressivamente emerge la disposizione ad armonizzare la dimensione lavorativa con altre
dimensioni affettive. L'attività lavorativa è connessa alla generatività in quanto in essa l'uomo e la
donna possono esprimere le loro capacità creative. Intanto il lavoro comporta un processo di
apprendimento di tecniche o prerequisiti tecnici ad una professione. Questo costituisce un
ampliamento della formazione disciplinare che l'individuo aveva fatto a scuola. Il lavoro costituisce un
elemento di cui tenere conto quando la famiglia deve scegliere il luogo di residenza. In questo modo
esso dunque influenza il fatto che la famiglia si stabilisca in una comunità piuttosto che in un'altra. Il
lavoro, inoltre, influenza la salute dei genitori, attraverso le condizioni in cui si svolge o la vita più o
meno movimentata che richiede e determina sia i margini di tempo libero che il padre e la madre
possono dedicare alla famiglia, sia la qualità di questo tempo. Tutti questi aspetti ci fanno capire come
lavora possa influenzare l'immagine di sé. In primo luogo, esso determina una auto percezione in
termini di soddisfazione professionale. Ma a fronte di questa soddisfazione, il lavoro comporta anche
dei costi, in quanto può produrre logorio e stress.

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