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a.s. 2021-2022
II semestre
Prof. Marco Carboni
LEZIONE 1 18/02
Una persona (Chiara) è quella persona da sempre?
Da quando Chiara è nata si è sempre sentita Chiara?
Quando Chiara ha iniziato a percepirsi come Chiara?= c’è un momento in cui inizia
l’autopercezione?
● Dalla nascita
● Da prima della nascita
● Da quando ha iniziato ad interagire con gli altri.
● Ancora non mi sento Chiara
● Da quando mi hanno dato il nome Chiara → mi hanno attribuito l’identità
→ prima che la chiamassero Chiara chi era? Ero un essere umano *(1)
● Da quando avevo 4-5 anni, perché da quel momento ho iniziato a capire che se
chiamavano Chiara stavano chiamando me → ho preso autoconsapevolezza.
● Con il tempo, con lo sviluppo.
● Non sono ancora Chiara al 100 per 100.
● Sono Chiara da quando inizio a capire cosa mi piace, cosa non mi piace, quando faccio
scelte per me stessa facendo ciò che io voglio. → non per tutti nello stesso momento.
Ma in realtà già da piccolo so cosa mi piace e cosa non mi piace. E’ solo che questo cambia con il
tempo e anche in base ai momenti. Quindi ogni volta che mi trovo di fronte ad una scelta esprimo e
definisco la mia personalità. Però attenzione: ogni scelta dipende non solo da me, ma anche dalle
circostanze. Es: una bambina può voler mangiare i broccoli un giorno si, quello dopo no. Magari
perche il secondo giorno ha appena litigato con la mamma che li ha cucinati. Ma forse all’inizio i
nostri gusti sono determinati da quelli dei nostri genitori. *(2)
Chiara è sempre stata Chiara allo stesso modo?= l’identità cambia? No, non sono sempre stata
la stessa Chiara. Però il suo nome è sempre rimasto lo stesso. Ho formato la mia identità anche
guardando come si comportavano gli altri ed estrapolando da loro certe caratteristiche.
Possiamo cambiare la ns identità con il tempo: Chiara potrebbe diventare anche Marco.
La ricerca dell’identità è un percorso.
Cosa è che ti connota come Chiara? = quali sono i tratti che definiscono la personalità?
↓
Tutte queste riflessioni sono giuste ma devono essere integrate. Noi rifletteremo su questioni
complesse:
FORMAZIONE DELL’IDENTITA’
● Formazione
● Quanto è importante il gruppo in età adolescente?
● Riconoscimento
LEZIONE 2 25/02
Periodo Prenatale
La psicologia dello sviluppo. Cosa intendiamo per SVILUPPO? E’ di un processo continuo o
discontinuo?
La psicologia dello sviluppo come disciplina e ottica è abbastanza recente. Infatti, è cambiata molto
la prospettiva verso bambini e verso l’infanzia negli ultimi tempi. Quasi subito, quando si nasce, dalla
famiglia veniamo inseriti in un contesto sociale allargato (nido,materna). L’infanzia non è più quel
carattere prettamente privato, ma rientra in un ambito sociale, anche politico in qualche modo.
L’ottica rispetto all’infanzia è cambiata totalmente, in parte grazie anche ad autori e scrittori celebri
come Freud. Sono cambiate molto anche tutte le teorie psicologiche riguardanti i bambini. Prima il
bambino veniva considerato una sorta di tabula rasa, qualcosa di inerme. Un tempo la mortalità
infantile era molto elevata, prima di dare un nome ad un bambino si aspettava molto tempo perché il
rischio che morisse era molto elevato.
C’è stato poi un lungo dibattito (non ancora esaurito del tutto) tra quelle che sono le determinanti che
definiscono lo sviluppo del bambino —> aspetti innati e l’ambiente
Per stati di sviluppo possiamo pensare come in ciascuna fase vengano sviluppate delle capacità e
organizzate delle competenze. Lo sviluppo è dato da un senso di continuità e discontinuità. Non
dobbiamo pensare allo sviluppo come un percorso compatto che fin dall’inizio va verso una crescita
omogenea e lineare. Ci sono invece delle linee di sviluppo che differiscono, si intersecano. E’ in
realtà un processo molto più complesso e dinamico. E’ l'idea è che non esista un ordine prettamente
cronologico ma logico nel senso che poi il passaggio ad uno stadio successivo necessariamente
presuppone l’acquisizione di quello precedente.
Lo sviluppo ha delle costanti però ha anche allo stesso tempo dei cambiamenti.
Questa frase, un po’ forte, significa che non esiste un'entità come un bambino, ossia un’entità che si
possa definire come tale fuori dalla sfera del suo ambiente, svincolata. Il bambino può essere
considerato come tale solo dentro un contesto, all’interno di un ambiente specifico. Parlare di un
bambino fuori dal suo ambiente in cui questo bambino nasce e cresce è impossibile.
Quindi, necessariamente ci deve essere un aspetto specifico del bambino (corredo genetico,
caratteristiche temperamentali) e l’ambiente. Nessuno delle 2 separatamente è sufficiente. Bisogna
considerare il sistema dinamico all’interno del quale nasce il bambino.
Microsistemi: scuola, famiglia, contesto sociale
Tutte queste sono dimensioni che entrano ed interagiscono nello sviluppo di tutti gli esseri umani.
Lo stato mentale della madre può influire su quello che è lo sviluppo del feto all’interno dell’utero
materno: c’è un passaggio di ormoni che, attraverso la placenta dalla madre, passa al bambino. C’è
già una comunicazione fra la madre e il feto. L’utero della madre rappresenta già un ambiente per il
feto e come tale ha delle sue caratteristiche proprie.
Già c’è un ambiente uterino che è diverso da persona a persona, fatto di rumori, di sapori ecc.
Anche il bambino influenza l’ambiente: lo zigote scende e si impianta sulla parete uterina e
progressivamente si espande e comincia a prendere possesso del corpo della madre il quale inizia a
modificarsi.
Il bambino stesso quindi determina un cambiamento dell’ambiente, già a partire da tutto il periodo
prenatale.
Noi tutti nasciamo predisposti all’interazione: il nostro cervello è predisposto all’interazione così
come i nostri muscoli sono predisposti al movimento. Il tutto si muove verso l’esperienza.
Diventare adeguatamente umani vuol dire parlare del senso di sé: non è dato così per certo e non è
così stabile; è un senso di continuità e discontinuità. Il senso di sé è qualcosa di legato anche agli
altri, all’alterità, da come veniamo visti dagli altri.
Il periodo prenatale non è legato ad uno sviluppo meramente fisiologico (maturazione biologica).
Tendenzialmente ci sono 3 fasi in cui il periodo prenatale viene suddiviso:
1. il periodo dello zigote: l’ovulo e lo spermatozoo si uniscono (lo zigote si attacca alla parete
uterina. Qui si crea un impianto e prende l’avvio una prima comunicazione)
2. Periodo embrionale: in questo periodo molti organi iniziano a formarsi ed inizia a battere il
cuore, inoltre, inizia a formarsi quello che sarà poi il tubo neurale. Tutti i sistemi
progressivamente iniziano a formarsi)
3. Periodo fetale: In questo periodo si sviluppano e maturano i sistemi percettivi, ma iniziano
anche a funzionare dei processi di memorizzazione, gli schemi innestici)
L’ambiente (con i proprio odori, rumori, abitudini…) ha un’influenza importante sullo sviluppo. Lo
stato mentale della madre può influenzare lo sviluppo del feto bambino, anche come individuo, come
rappresentazione del sé. I feti di madri depresse reagivano meno a degli stimoli, però la reazione
“comportamentale” non corrispondeva ad una attivazione (parametri del rousal: attivazione
corporea) che invece erano più alti. Ossia come se apparentemente reagisse meno ma in realtà tutti
i parametri fisiologici erano più alti. Il feto inoltre metteva più tempo a tornare sui suoi livelli basali. Al
contrario, i feti di madri non depresse reagivano in maniera più marcata allo stimolo però il battito
cardiaco tornava più velocemente ai ritmi basali, allo stato normale. Questa è una cosa molto
importante.
Lo stato esterno di un bambino non corrisponde necessariamente al suo stato interno. Un bambino
molto tranquillo non è detto che stia bene, ma anzi può essere che non è in grado di esprimere le
sue emozioni, non c’è una totale sintonizzazione con ciò che prova. Il pianto può essere una prova
di tale sintonizzazione. Un bambino che piange ha l’aspettativa che qualcuno venga a consolarlo, un
bambino che non piange magari non ha nemmeno questa aspettativa.
Le variabili nello sviluppo sono tante (variabili caratteriali, genetiche, ambientali, di eventi) e
fortemente interagiscono tra loro. Una condizione come una depressione dentro una famiglia è un
fattore sicuramente importante: un bambino che nasce e cresce all’interno di un clima familiare di
questo tipo avrà delle caratteristiche particolari specifiche.
Il “baby blue” non è proprio una depressione conclamata ma è uno stato depressivo legato
soprattutto al cambiamento ormonale della madre.
Bisognerebbe far sì che la società e la politica facessero tutto un lavoro preventivo e di supporto alle
madri per evitare lo sviluppo di stress e, di conseguenza, la nascita di forti sofferenze per il bambino
e per la mamma stessa.
Una cosa che cambia il clima ambientale è la presenza di gemelli e sono state fatte delle ricerche
molto interessanti su questo aspetto.
I bambini certe volte fanno cose ma non in maniera consapevole: è come se si instaurassero dei
sistemi di autoregolazione. Quando viene meno l’interazione con la mamma il bambino tenterà ha
mettere in atto in maniera innata una gamma di pattern di autoregolazione con cui questi cerca di
regolare ciò che è dato dallo stress di questa interruzione brusca della comunicazione.
A volte i pattern relazionali osservati tra gemelli nel periodo prenatale sono stati riscontrati anche
dopo la nascita, quindi anche quanto questo tipo di esperienza forma e crea delle memorie implicite.
Sicuramente delle esperienze che noi facciamo già in fase prenatale hanno un'influenza su quello
che poi sarà il nostro sviluppo dopo. Questo non vuol dire che c’è un determinismo, ossia che tutto
quello che viene dopo è già condizionato dalla fase prenatale, però dobbiamo notare come già in
questa fase esistano delle interazioni, delle esperienze e non si tratta di una fase statica. Ci sono
esperienze uterine che restano proprio impresse.
Storia vera:
A un bambino di 18 mesi gli era morto un gemello e lui cercava di vivificare e scuotere gli oggetti nel
gioco, come se cercasse di smuovere qualcosa. → conseguenza del trauma
Tornando allo stato mentale della madre, un teorico della mentalizzazione, Fonagy, ha visto quanto
lo stato mentale della madre avesse un valore predittivo su quello che poi è il comportamento e lo
stato mentale del figlio. Nella sua ricerca lui ha realizzato un’intervista semistrutturata che è stata
costruita dalla Main (ricercatrice che appartiene alla corrente post balbiana, in linea con la teoria
dell’attaccamento) e chiamata “adult attachment interview” (con questo strumento si vanno a
valutare le narrative dei genitori rispetto alle proprie esperienze di quando erano con i propri
genitori): si tratta di un'intervista in cui viene richiesto al soggetto di raccontare degli episodi della
propria infanzia che riguardano i propri genitori. Valutando il profilo che emerge da questa intervista
si è osservato che esiste una correlazione con il tipo di attaccamento dei figli. La cosa interessante
riscontrata da Fonagy è che somministrando questo test alle madri durante la gravidanza è stato
possibile prevedere il tipo di attaccamento dei figli. C’era una corrispondenza significativa tra il
profilo che emerge dall’adult attachment dei genitori con quello dell’attaccamento dei figli. Questo
non vuol dire che se i genitori hanno avuto esperienze traumatiche allora necessariamente le avrà
anche il figlio. La cosa è più complessa: è quanto un genitore è in grado di mentalizzare (capacità
Un altro aspetto è anche la capacità dei genitori di pensare il proprio figlio come una persona che a
sua volta ha una mente: praticamente esiste l’idea che un genitore implicitamente consideri il
bambino già come un essere umano che ha a sua volta delle funzioni mentali attive e questo è un
processo implicito. Già la madre considera il figlio come un interlocutore con una mente attiva e
quindi può attribuire al figlio una sorta di intenzionalità, una capacità mentale già in essere. Questo è
considerare il bambino come essere dotato di una capacità mentale. Ovviamente il bambino non
avrà già presente consa lo faccia soffrire ma, il fatto che il genitore presupponga che il figlio ha già
un motivo per cui soffre, ha un significato importante. Il bambino all’inizio non riuscirà a distinguere
se gli farà male la bocca, la pancia o i denti, sarà il genitore a cercare di capire cosa sta
succedendo: il genitore significherà lo stato del bambino.
Si dà molta più importanza oggi all’ambiente in cui avviene il parto e all’esperienza del parto stesso.
Si dà molta più attenzione ai corsi preparto. Anche se ci sono diverse correnti di pensiero.
Gli ospedali sono delle aziende e quindi il posto letto viene pagato. Sempre più spesso il parto viene
indotto (somministrazione dell’ossitocina) perché si vogliono liberare i posti letto, senza però
rispettare i tempi naturali. Molti però si rifiutano di sottomettersi a queste pratiche.
I riflessi
Sono delle risposte involontarie agli stimoli e sono fondamentali per la sopravvivenza. Alcuni di
questi riflessi sono residui della nostra evoluzione, sono chiamati riflessi evolutivi.
Il nostro cervello è fatto da una parte interna, quella limbica, che è primordiale. E la parte esterna, la
corteccia, che si sviluppa dopo ed è deputata alla maggior parte delle nostre competenze cognitive,
anche se pure nel sistema limbico ci sono delle parti addette, per esempio l’amigdala. Il cervello
dpovrebbe finire di svilupparsi con la fine dell’adolescenza. Una volta compiuto questo sviluppo
dovrebbe esserci un processo top-down, ma in realtà ancora molte risposte che diamo vengono
dall’area limbica, sono risposte istintive, per esempio a un pericolo.
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
12
Studio delle esperienze sensoriali e percettive
Le ricerche sono state fatte attraverso diversi metodi.
Metodo della preferenza (percezione visiva): il bambino viene messo davanti a due stimoli e si
capisce quale guardava di più, che deve essere quello che gli interessava di più. Sembra che il
bambino abbia una predisposizione a vedere un volto. IIn realtà per alcuni i bambini notano più
immagini che hanno un forte contrasto di colori. Questa è una condizione da laboratorio, quanto ci
dice effettivamente di come è fatto un individuo non è chiaro. Perché non è detto che nella vita
quotidiana guardiamo davvero le figure più contrastate.
Metodo dell’abituazione: posto di fronte a uno stimolo, la risposta diminuisce in maniera
proporzionale in proporzione a quanto lo stimolo è familiare per il bambino. Questo dimostra che la
memoria del bambino sta già funzionando. Il bambino è in grado di discriminare i due stimoli. Alcuni
però dicono che i bambini guardano gli stimoli che gli sono familiari. Può essere fuorviante la
distinzione tra abituazione e preferenza, bisogna tenere conto dei tempi di familiarizzazione.
I bambini nascono con delle capacità sensoriali già attive, che però devono continuare a maturarsi
grazie all’esperienza.
I feti riescono già a discriminare le esperienze che fanno, per esempio se cambia la frequenza
cardiaca quando sente la voce della madre, che sarà diversa da quella che ha quando sente la voce
di un estraneo.
La bidirezionalità si trova anche qui: le risposte dei figli hanno un effetto sui genitori, per esempio se
questo non reagisce molto agli stimoli i genitori si preoccupano che abbia dei disturbi.
I bambini nascono con dei gusti predefiniti, ciò si vede perché i vari sapori provocano espressioni
facciali differenti. Le reazioni sono simili agli odori. L’olfatto è un senso importante, che
sottovalutiamo molto spesso. Gli odori sono strettamente legati alle emozioni.
Tatto: La manipolazione del corpo ha un effetto strutturante sull’individuo. Le esperienze che
facciamo sono sconnesse, disgregate tra di loro. Per esempio quando ho sete percepisco la gola
secca, ma un neonato non percepisce tutto ciò con tale facilità. Non sa cosa sta provando, perciò
piange.
La manipolazione del corpo va a strutturare la percezione che il bambino ha di esso. Gli psicanalisti
hanno parlato dell’importanza psichica della pelle (io-pelle). Quindi il contatto è importante anche a
livello di struttura percettiva.
I riflessi hanno a che fare anche con la percezione spaziale: cambiando completamente l’assetto
sperimentale cambia anche la percezione di quello che sarà lo sviluppo percettivo del bambino. I
bambini apprendono la percezione con il movimento del corpo all’interno dell’ambiente. Il
gattonamento serve tantissimo perché gli permette di prendere delle misure con lo spazio
circostante. Anche l’aspetto della profondità si apprende attraverso il movimento.
Le emozioni sono fondamentali anche in questo ambito. Quando i bambini si trovano in situazioni di
incertezza, osservano i loro genitori per capire cosa fare. L’emozione del genitore restituisce al
bambino il significato dell’ambiente nel quale si muove. Il bambino cammina sopra il dirupo per
raggiungere il giocattolo se il genitore esprime emozioni positive, di incoraggiamento.
Tutti i bambini appena nati hanno già in parte sviluppato le loro capacità percettive. I bambini
appena nati sono già predisposti all’interazione e tutti i vari studi fatti sull’analisi e
l’osservazione del sistema percettivo confermano ciò. Il tatto, il gusto e l’udito sono già
sistemi che si attivano in periodo prenatale. Questo fa sì, secondo i famosi studiosi
intersoggettivi (come Tronic, Trevarthen…) questo sarebbe la conferma del fatto che siamo
già predisposti subito ad interagire con l’ambiente, con il mondo esterno, con i caregiver. Le
conferme a ciò sono il fatto che il neonato interagisce in modi diversi a cose diverse: il
neonato è in grado di distinguere. Le interazioni sono diversificate a seconda che si abbia a
che fare con un oggetto o con un essere umano, e si aspetta anche che l’altro interagisca
con lui: c’è un'aspettativa dell’interazione. Inoltre, ci sono delle predisposizioni del bambino a
riconoscere la voce della madre, l’odore della madre, la tettarella imbevuta del latte della
madre…Ci sono quindi già competenze che permettono l’apprendimento sociale. Tutte
queste capacità, così come i riflessi innati, sono importanti perché permettono la
costituzione del legame tra bambino e caregiver.
Il neonato reagisce in modo diverso alla voce della madre rispetto a quella di un estraneo, per
esempio con la madre aumenta il battito cardiaco.
Com’è che poi si vede che il neonato preferisce sentire la voce della madre rispetto ad altre
voci? Ci sono vari metodi:
1. La suzione: al bambino viene data una tettarella a cui è attaccato un macchinario che
registra la frequenza di suzione e si vede che praticamente il bambino modula la
suzione ad un ritmo associato al sentire o vedere l’immagine della madre: in qualche
modo cerca di procurarsi degli stimoli in relazione alla propria madre
2. La frequenza cardiaca: si vede che la frequenza cardiaca del bambino cambia a
seconda che senta la voce della madre, cosa che invece non succede se sente la voce
di un estraneo
Tutto questo tipo di variazione dei parametri fisiologici (non cognitivi) non appaiono , non
sono stati osservati nei figli di madri depresse, come se in qualche modo la risposta di questi
bambini fosse molto più sottotono rispetto a quella dei bambini di madre non depressa.
I sistemi percettivi sono già funzionanti alla nascita, ma in che modo? Com’è la percezione di
un bambino? Come sono organizzati questi sistemi percettivi alla nascita?
La percezione dei bambini è transmodale: attraverso una modalità sensoriale si identifica un
oggetto di cui si è avuto esperienza attraverso un’altra modalità sensoriale.
Attraverso degli esperimenti si è visto che i neonati a cui è stato messo davanti un oggetto
virtuale si aspettavano di poterlo toccare, quindi si è pensato che c’è già una corrispondenza,
un’aspettativa tra sensi, tra vista e tatto. Creavano invece disagio delle incongruenze: far
vedere una madre attraverso uno schermo insonorizzato con asincronia tra immagine e
suono. Il bambino era già sensibile a queste forme di non sincronia tra gli stimoli che lui
aveva. Questa capacità non si sviluppa tutta insieme, ma si formano delle combinazioni
cross-modali in periodi differenti (anche se stiamo parlando sempre dei primi mesi): le
percezioni tattili e visive sono intorno ai 4 mesi, vista e udito dai 4 mesi in poi.
Quindi cosa c’è alla base del pensiero? Il pensiero parte dall’esterno? Il pensiero ha delle
radici corporee? quasi come se nel corpo ci fossero le radici del pensiero?
L’esperienza che si fa durante l’atto imitativo è fondamentale perché è l’esperienza alla base
tra sè e l’altro, questa è la cosa che M. mette in luce: non è solo un arco riflesso, una reazione
ad uno stimolo esterno, ma è molto di più. L’azione vista dal bambino viene messa in
relazione con il feedback propriocettivo: ci sono tutti degli stimoli che collegano muscoli e
cervello e il cervello poi mette a confronto ciò che si vede con ciò che si sente e così si può
anche cambiare, aggiustare il nostro movimento.
La sintonizzazione dei caregiver rispetto allo stato dei bambini è importante perché funziona
da contenitore rispetto a quegli stati che il bambino non è ancora in grado di regolare e di
contenere, e che potrebbero procurargli un effetto disgregante, doloroso o disorganizzante. E’
importante quindi che il bambino abbia figure di adulti che possano sintonizzarsi con lui e
modulare i suoi stati psicofisici (psico-fisico perché il corpo e la mente sono un tutt’uno=
aspetti mentali ed emotivi). Entrare in sintonizzazione con il bambino non vuol dire avere una
perfetta simmetria, sennò non ci sarebbe una condizione di contenimento: se il bambino
inizia a piangere disperatamente e anche il genitore inizia a piangere disperatamente manca
un contenimento, invece se il bambino piange, il genitore sente, percepisce il suo stato e
cercherà di modulare (magari con il tono della voce o con una cantilena) (entrare in sintonia
con lo stato del bambino e modularlo non vuol dire allo stesso tempo rispecchiarlo.
Rispecchiarlo non sarebbe contenitivo). Si creano degli schemi di interazione connotati. Il
genitore dovrà capire il pianto del bambino, non lo comprende immediatamente ed
innatamente. Il neonato spesso non sa quello che sta provando, non riesce a riconoscerlo.
Quindi serve un genitore che riconosca dall’esterno il suo stato. Chiedere al bambino "perché
piangi?” è già un livello metacognitivo, significa riconoscere che il bambino sia in grado di
capire il perchè del suo pianto (il genitore presuppone che il bambino abbia già chiara la
rappresentazione di come sta). Con i neonati non si può dare per scontato che sappiano dirci
che cos’hanno perché non sono in grado di definirlo (il neonato non lo sa, ma lo prova). E’
giusto chiedere al bambino “che cos’hai?” ma la cosa importante è non dare per scontato che
il bambino sappia cosa gli succede o cosa sta provando. IL neonato vive degli stati interni
psicoaffettivi e psicofisici ma non lo sa, sente soltanto il disagio. Questo disagio sarà
significato dall’esterno.
La prima potatura neuronale avviene prima della nascita, la seconda potatura neuronale
avviene nell’adolescenza.
Facendo studi sui macachi si è visto che in queste scimmie si attivavano nelle aree
premotorie questi neuroni sia quando guardavano l’azione, sia quando la commettevano,
imitando gli esseri umani. L’impulso e l’intensità non è lo stesso, però questa è considerata
come una scoperta molto importante perché dà una base neurofisiologica di quelle che sono
esperienze legate all’empatia e alla comprensione dell’azione. Questi neuroni vanno a
cogliere l’intenzionalità, cioè la finalità dell’azione.
Hanno a che fare con l’esperienza. Dentro al soggetto deve essere immagazzinata
quell’esperienza per poter attivare i neuroni specchio: quindi la scimmia quando guarda
l’umano che prende una nocciolina, per attivare i neuroni a specchio deve aver fatto prima
l’esperienza di aver preso la nocciolina. Questo ci spiega perchè l’empatia è qualcosa che si
apprende (non in senso cognitivo) ma all’interno di una relazione empatica. Osservando
un’azione si attivano gli stessi neuroni, gli stessi impulsi che si attiverebbero se fossimo noi
stessi a fare l’azione. Mappando un intenzione si dà significato.
Beebe e Lachmann sono tra i due più famosi ricercatori della infant research: loro hanno
improntato una modalità di studio e di ricerca su quelle che sono le interazioni del bambino
con i caregiver e hanno utilizzato moltissimo le videoregistrazioni dell’interazione tra madri e
figli e su queste registrazioni facevano delle microanalisi, andando ad analizzare fotogramma
su fotogramma. Si è scoperto che anche le primissime interazioni a 4 mesi correlano con le
forme di attaccamento che si svilupperanno successivamente. Si vede quindi come sin da
subito le interazioni dei bambini con la madre siano già attive: da subito si possono vedere
degli indici sugli schemi relazionali.
Si è visto come i tempi di interazione siano velocissimi, meno di un secondo tra botta e
risposta.
Tronik, altro ricercatore famosissimo appartenente alla categoria dei pensatori
intersoggettivi, ha organizzato un paradigma molto semplice ma molto forte per capire
l’importanza delle interazioni, chiamato “still face”, volto immobile. Parliamo di modelli di
regolazione reciproca tra madre e bambino, che sono due interlocutori attivi.
L’esperimento: viene chiesta a una madre di mettersi di fronte al suo bambino di meno di 6
mesi e interagire col bambino. A un certo punto viene chiesto alla madre di interrompere
bruscamente qualsiasi espressione del volto e l’interazione col bambino. La bambina cerca in
tutti i modi di riavere l’attenzione della madre. La bambina si arrabbia e si mette a piangere:
l’interruzione dell’interazione fra bambino e madre porta al bambino un forte stress.
L’interruzione dell’interazione infatti è fonte di stress perché vengono disattese le sue
aspettative.
Si è creata in laboratorio un'esperienza di forte stress, dovuto all’interruzione della reazione
all’interazione. Il bambino prima tenta di richiamare l’attenzione con un sorriso, poi inizia a
indicare e alla fine mette in atto una serie di strategie autoconsolatorie, spesso rivolte al
Un genitore non è sempre sintonizzato col figlio. C’è una percentuale molto esigua nelle
situazioni normali in realtà. I genitori più sensibili tenderanno a mostragli più attenzioni e i
bambini si aspetteranno di conseguenza molto di più le reazioni dei genitori, nascerà nei figli
di genitori più sensibili un’aspettativa di una responsività.
I genitori nei casi in cui non sono molto sensibili e responsivi, cioè non corrispondono agli
inviti relazionali, portano il bambino a non avere molta aspettativa, oppure ad avere
maggiormente un’aspettativa negativa.
Il coping è una serie di strategie che servono per gestire la situazione di stress (interruzione
della interazione). I meccanismi di coping diventano autoconsolatori, diretti su se stesso, si
ritira dalla comunicazione. Lo stress aumenta laddove non c’è l’aspettativa dell’interazione.
Ci sono casi in cui uno nasce e cresce in contesti in cui manca una sensibilità da parte dei
genitori, perciò i meccanismi di coping diventano strutturali nel comportamento del bambino,
che magari tenderà anche a isolarsi di più dagli altri individui.
Variazioni su questo esperimento: se la madre invece che fare il volto immobile
semplicemente si voltava da un’altra parte, cioè spostava la sua interazione altrove, questo
non creava lo stesso disagio. Quindi a pochi mesi c’è già la capacità di distinguere i diversi
parametri dell’interazione. C’è una differenza tra una interazione interrotta e una
inespressività.
Nelle interazioni faccia a faccia il bambino è stressato anche quando c’è una mancata
corrispondenza tra ciò che il bambino vede e sente: risposte differite tra vista e udito.
Già da subito i bambini sono sensibili alla qualità della comunicazione e alla qualità affettiva
ed emotiva dell’ambiente in cui nascono. Sono in grado di processare i diversi parametri
d’interazione. L’emotività del bambino è determinata dal coinvolgimento relazionale (e questo
non è una cosa scontata).
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
29
Caso pratico vero: una madre si rivolge a una collega del prof perchè il suo bambino di pochi
anni non voleva mangiare (aveva varie tendenze tra cui picchiare la madre ecc.). La madre
decide per provare a risolvere la situazione di dargli la possibilità di scegliere se mangiare o
meno. Si è voluto distinguere l’aspetto relazionale da quello del cibo e alla fine il bambino ha
iniziato a mangiare. Il problema è questo: nel non mangiare poteva esserci altro? C’era
magari una protesta, una rabbia. Nelle risposte dei genitori il problema non considerato era la
questione della rabbia, dello stress. Magari il problema del cibo è stato risolto, ma la rabbia è
rimasta, non si è risolta. Quando ci sono dei comportamenti disfunzionali o provocatori è
difficili collocarli o contestualizzarlo all’interno di un quadro emotivo del bambino. Si fa fatica
a pensare quanto anche l’aspetto emotivo ed affettivo sia fondamentale e importante anche
per tutti quei domini del cognitivo, della socializzazione, dell’apprendimento ecc. Molto
spesso abbiamo una parcellizzazione, non possiamo però dividere un disturbo
dell’apprendimento dall’aspetto affettivo. Non c’è separazione tra l’aspetto cognitivo e quello
emotivo. Noi viaggiamo sempre parallelamente: un aspetto cognitivo non ancora sviluppato
come ad esempio nel bambino del video di 6 mesi può essere accompagnato da una
componente emotiva invece molto forte -> L’importanza della sintonizzazione, dell’empatia
dei caregiver. Elementi banali provocano sul bambino una risposta molto forte.
Libro Fraiberg (assistente sociale che faceva interventi a domicilio): “Sostegno allo
sviluppo”. Si tratta di un libro di studi sulle famiglie, tra cui uno fatto sulle famiglie con figli
non vedenti. L’autrice ha visto che ci sono spesso marginalità di questi bambini, perché i
bamabini non vedenti non rispondevano agi stimoli della madre, che si sentiva spesso
inadeguata rispetto ai figli, che non rispondevano ai propri inviti nella relazione, e quindi le
madri si distaccavano, creando un circolo vizioso. Più la madre si distaccava più il figlio
instaurava dei coping di isolamento. L’autrice ha deciso di spostare l’interazione tra madre e
bambino attraverso altri canali di percezione, come quello uditivo e del gioco. In questo modo
si è potuto riattivare il dialogo interattivo tra madre e figlio. Questo ci fa capire quanto è
importante che i figli rispondano all’interazione dei genitori.
Altra ricerca: una madre ha fatto uno studio in cui ha identificato tutte quelle madri con
problemi post parto: aveva visto differenziando che le donne che hanno avuto figli più difficili
(più irritabili) incorrevano nel rischio di sviluppare una depressione, ma non tutte (solo chi ha
trovato maggiore difficoltà, le altre no). Il contesto ambientale però anche permette che si
sviluppino meno delle situazioni patologiche. Ci sono dei fattori costituzionali che devono
incontrare dei contesti ambientali.
Tra i fattori che facilitano il recupero dei prematuri è il tempo trascorso con la madre e la
tecnica del metodo del marsupio. Il fatto che la madre tenesse il figlio attaccato al corpo era
utilissimo per instaurare il bonding (legami madre-figlio) e perché funzionava come
autoregolazione dei parametri fisiologici del bambini, cioè lo tranquillizza.
La nascita del bambino parte all’interno della mente dei genitori, cioè c’è già un bambino nella
mente dei genitori che poi dovrà trovare un bambino reale.
Quali sono in un contesto ambientale le strategie di coping messe in atto dai bambini?
Stern (rientra tra gli autori intersoggettivi) ha fatto ricerche con videoregistrazioni ed ha
notato che tra le madri controllanti e i bambini si instaurava una sensibilità reciproca ancora
maggiore, l’uno rispetto all’altro: è un effetto paradossale. Lui ha identificato un pattern di
interazione particolare che definisce “caccia e fuga”: più si avvicina uno più l’altro se ne va,
più l’altro se ne va più uno si avvicina. La sensibilità reciproca è maggiore perché è come se
tutti e due fossero sempre molto attenti ai movimenti dell’atro, che sono regolati
dall’avvicinamento e dall’allontanamento dell’altro (più la madre cerca di controllare il figlio e
più il figlio scappava oppure più la madre si allontanava e più il figlio cercava contatto: diade
sintonizzata ma in senso disfunzionale). Paradossalmente la sintonizzazione di per sé non
per forza vuol dire che le cose vadano bene. Non basta che il genitore sia sintonizzato. È una
sintonizzazione disfunzionale quella del caccia e fuga. Sono delle relazioni molto intense.
[Per esempio, Il disturbo borderline di personalità viene identificato con la frase “né con te né
senza di te”, frase che ha un valore rappresentativo dell’instabilità della relazione che crea poi
quella oscillazione continua: i borderline non possono fidarsi della relazione. La relazione
esiste ma è disfunzionale, è impossibile mantenerla stabile.]
Qual è l’effetto sulla salute mentale dei figli? L’impatto della mente dei genitori è molto grande
sui figli. Non perché sia sempre colpa del caregiver. Gli effetti della depressione materna
sono effetti a lungo termine, hanno riscontrato tutta una serie di sintomi come sonno
disturbato, iperagitazione, bambini più capricciosi, problemi nelle relazioni con i bambini...
L’empatia non è semplicemente capire ciò che prova l’altro e rispecchiarlo (se un bambino
piange piango anch’io), ma anche aiutare l’altro a contenere le proprie emozioni. Per esempio
una madre che si preoccupa troppo per la preoccupazione del figlio, non lo aiuta a superare
tale preoccupazione ma la peggiora.
Quando si parla di bambini autistici non si pensa che ci siano delle competenze maggiori
rispetto alla norma. Però manca spesso l’aspetto della condivisione emotiva, non si riescono
a instaurare delle relazioni. L’attenzione condivisa è importante perché ci dice che il bambino
ha raggiunto delle tappe emotive ma anche perché è capace di condividere l’esperienza con
qualcuno.
A 6 mesi il bambino è capace di fare giochi complessi, scherzi. C’è un implicita
comprensione dei desideri e delle interazioni dell’altro.
Mettere in mostra se stessi in modo burlesco vuol dire che hanno anche idea di quella che
può essere la loro rappresentazione nel mondo esterno. A 9 mesi si parla di un salto
evolutivo, che comporta la paura dell’estraneo, perché è più in grado di distinguere tra
familiari e estranei.
Jean Piaget
La cosa per Piaget non è un’acquisizione immediata a livello cognitivo. Il bambino dovrà acquisire la
capacità di distinguere la realtà dall’apparenza, cioè quelle che sono delle qualità insite nell’oggetto
ed immutevoli dall’apparenza percettiva (ad esempio un cucchiaio che viene messo sotto l’acqua
sembra spezzato ma non lo è). Per Piaget questo non è qualcosa di dato ma è qualcosa che viene
acquisito con il tempo e con l’esperienza.
Che cos’è una struttura congitiva quindi? dove la vediamo? cosa manca?
Con lo stadio operatorio formale (nel’adolesenza) si esaurisce lo sviluppo cognitivo. Queste tappe
per Piaget sono una sequenza universale. L'acquisizione di tutte quelle che sono le competenze di
uno stadio sono necessarie per passare a quello successivo. Il ritmo dello sviluppo dipende sia da
Il primo di questi 6 sottostadi è quello dell’attività riflessa (nel primo mese di vita). Secondo Piaget i
riflessi innati che il bambino ha non sono solo degli automatismi ma iniziano ad essere e diventare
delle operazioni automatizzate: è come se questo riflesso poi cominciasse ad acquisire una capacità
di organizzazione della mente e la mente anche riuscisse ad organizzare meglio queste capacità
motorie. Anche Piaget, che non è interessato all’aspetto emotivo e relazionale del bambino,
considera però questo stadio come uno stadio di adualismo iniziale in cui non c’è differenza per il
bambino tra interno ed esterno.
Il secondo sottostazio di questo sistema sensomotorio sono le reazioni circolari primarie. Il bambino
in qualche modo acquisisce quelle che sono delle abitudini che si poggiano su queste capacità
innate (ad esempio se prima la suzione veniva solo rispetto al seno della mamma, il bambino poi
impara che si può ciucciare anche il dito). Sono delle capacità che inizialmente poggiano su
qualcosa di innato poi diventano degli schemi cognitivi e che il bambino a quel punto è in grado di
riproporre sulle parti del proprio corpo. Piaget non aveva gli strumenti per fare una ricerca prenatale.
Secondo lui in questo momento avviene la differenziazione tra assimilazione e accomodamento. Nel
terzo sottostadio del sensomotorio il bambino inizia a comprendere di poter avere un effetto
sull’ambiente esterno e il fatto di poter produrre un effetto sull’ambiente esterno gli provoca piacere e
quindi in qualche modo è come se lui riproponesse tutti quei comportamenti che in qualche modo ha
notato avere un effetto sull’ambiente esterno. Il bambino non riesce a capire il rapporto di casualità
ma ricerca un effetto. Non c’è però una vera e propria intenzionalità in questa fase (quarto mese di
vita). Trevarthen e Melson dicevano una cosa ben diversa. Ovviamente Piaget non aveva per alcune
cose gli strumenti di analisi che abbiamo invece adesso.
ESPERIMENTO DI PIAGET → l’esperimento dei bicchieri viene utilizzato per dimostrare che lo
sviluppo nei bambini avviene per stadi. Secondo Piaget i bambini in età prescolare (tra i 2 e i 6/7
anni) hanno difficoltà a capire le trasformazioni che avvengono davanti ai loro occhi. In questo stadio
i bambini colgono solo un aspetto delle trasformazioni e si concentrano su un’unica dimensione (non
lo colgono nel suo insieme). Quelli di età scolare invece (tra i 7 e i 10 anni) sono in grado di svolgere
operazioni mentali più complesse, in questo stadio quindi i bambini sono in grado di collegare più
aspetti tra loro e dare una spiegazione più articolata e complessa dei fenomeni della realtà. Piaget
definisce i 2 stadi:
- stadio dell’intelligenza intuitiva o pre-operatoria
- stadio delle operazioni intellettuali concrete
Freud può essere definito come una sorta di mostro sacro della psicoanalisi. Seppur spesso criticato
è un pensatore che ha un carattere geniale: dopo di lui la concezione del mondo non sarà più la
stessa. Freud in realtà non ha scoperto nulla di totalmente nuovo: in realtà già da tempo, tutta una
serie di concetti come l’inconscio, l'ipnosi ecc. erano analizzati da vari studiosi. Ma lui ha avuto
questa grandissima capacità di sistematizzare in un modello molto complesso ma anche molto
organico (anche se spesso poi Freud si contraddice da solo nel tempo) che adesso non ha eguali.
La psicoanalisi che prende l’avvio da lui, adesso non è più soltanto psicoanalisi freudiana, adesso
esistono diverse psicoanalisi. Sicuramente Freud ha dato l’inizio di tutto questo modello (modello
che per lui stesso era sia un modello di ricerca che un modello d’intervento) però adesso non è più
così. Ci sono stati anche dei limiti molto importanti nel modello freudiano, tra cui sicuramente quello
del “monismo fallico”: per Freud sostanzialmente esisteva soltanto il pene, cosa che è stata
giustamente criticata (oggi sappiamo che non è così) però dobbiamo anche tener presente il
contesto in cui lui viveva da cui sicuramente sarà stato influenzato.
Freud nasce nel 1856, era cecoslovacco, si trasferisce a Vienna, era figlio delle seconde nozze da
parte del padre (il padre è abbastanza ansiano mentre la madre è molto più giovane), lui era il figlio
prediletto della mamma e, siccome era il bambino più intelligente, è stato anche il bambino più
sostenuto da tutta la famiglia (nelle sue biografie si scrive infatti che tutte le sue sorelle siano state
abbastanza sacrificate perché tutti gli sforzi dei genitori venivano fatti per far studiare lui). Freud
studia medicina e diventa neurologo, per anni lui lavora in vari lavoratori e fa vari studi (tra cui uno
studio sulla cocaina, in cui scopre la proprietà analgesica della cocaina, scoperta che avrebbe
potuto portarlo ad una pubblicazione importante che avrebbe potuto dargli l’opportunità di
intraprendere una carriera universitaria ma questo articolo gli fu soffiato, fu pubblicato da un altro
L’isteria veniva considerata come una malattia inventata, non si sapeva quale fosse la sua eziologia,
la causa.
Charcot, studiando l’ipnosi, fa risalire le isterie ad eventi traumatici che in qualche modo sono stati
dimenticati dal paziente stesso. Cambia così anche l’idea della nostra mente, perchè vuol dire che in
qualche modo non c’è un’eziopatologia organica ma è legato a un disturbo funzionale del nostro
cervello (no è quindi legato ad un difetto organico del nostro cervello ma a un disturbo funzionale
della nostra mente).
Nella nostra mente ci sono dei processi e dei funzionamenti di cui non siamo consapevoli (non è
stato Charcot il primo ad identificare questo aspetto). Secondo Charcot, trattando questo tipo di
patologie, diventa evidente il fatto che abbiamo 2 tipi di processamento della memoria, ci sono 2
Per Charcot, però, si trattava di una sorta di debolezza mentale per cui lo stato traumatico veniva
vissuto come una specie di ipnoide di coscienza e quindi questo era tenuto in un’altra parte della
nostra mente che in qualche modo non era consapevole: per questo sotto ipnosi i sintomi potevano
essere “guariti” e allo stesso modo i sintomi potevano essere indotti. Per Freud non sarà così perchè
lui identificherà quelli che sono dei meccanismi, una dinamica interna alla mente che fa sì che alcuni
ricordi diventano inconsci. Freud identifica infatti quelli che sono i processi di rimozione, per cui un
ricordo viene spostato dalla coscienza all’inconscio.
Ad un certo punto della sua vita Freud aveva bisogno di lavorare per poter vivere, dato che la sua
carriera universitaria non era andata, e quindi inizia a fare il medico di base a Vienna. Era un
giovane medico e come tale inizia a collaborare con un medico molto considerato nella società
viennese, Breuer, il quale stava curando con l’ipnosi il famoso caso di Anna O, uno dei casi più
famosi. Anna O. è stata molto importante perchè in parte è stata lei che ha suggerito poi la scoperta
del metodo associativo (chiamato da lei “spazzare il camino”). Anna O presenta tutta una serie di
sintomi, quindi seguendo le scuole di pensiero di quel tempo Breuer la metteva sotto ipnosi. Sotto
ipnosi quello che lui poi riusciva a fare era risalire al ricordo dell’evento che aveva scatenato il
sintomo. Anna O aveva come sintomo quello di aver paura di bere: sotto ipnosi arriva il punto di
ricordare che quando era piccola aveva visto il cane bere dal suo bicchiere (ricordo di disgusto). Una
volta recuperato il ricordo sotto ipnosi a quel punto il sintomo non c’è più e lei può nuovamente bere.
Qui siamo ancora nel modello di Charcot: il recupero dell’evento traumatico che è stato messo
dentro un altro stato di coscienza (non è consapevole) e che determina il sintomo isterico.
Le pazienti una volta sveglie non erano più in grado di ricordare, questo non rendeva soddisfatto
Freud (non era un bravo ipnotizzatore).
Freud arriva ad elaborare la tecnica delle libere associazioni, cioè si fa rilassare la paziente e di
farle fare tutta una serie di associazioni per poi risalire all’evento traumatico che è stato rimosso. C’è
un meccanismo psichico, una dinamica attiva (anche se inconscia) che porta alla rimozione. Questo
tipo di meccanismo è molto diverso ad esempio dal modello di Janet (contemporaneo di Freud, di
origini francesi) per cui noi abbiamo invece delle dissociazioni normali, cioè la nostra mente è
normalmente un po’ dissociata (la nostra mente per lui è come se fosse già predisposta ad essere
dissociata e quindi questi eventi se avvengono in uno stato in cui il paziente è ipnoide non vengono
ricordati). In Freud la differenza è che non c’è una sua debolezza mentale congenita (mentre invece
era così per Janet), ma c’è un processo attivo, cioè la rimozione, che fa sì che non si ricordi l’evento.
Adesso però poi la prospettiva di Janet è stata molto rivalutata per quanto riguarda ad esempio gli
stati dissociativi del sé (non siamo sempre gli stessi in tutte le circostanze, questo secondo alcuni ha
un forte valore adattativo, che, paradossalmente, aiuta a mantenere un sé integrato).
Se Charcot poneva la questione sul ricordo traumatico che veniva spostato dalla coscienza
nell’inconscio (ossia in uno stato non raggiungibile dalla coscienza), per Freud non è solo questo,
c’è qualcosa di più di diverso. Nella rimozione cos’è che viene rimosso? da una parte c’è la
rappresentazione dell’evento e dall’altra parte c’è l’aspetto affettivo, cioè il vissuto dell’evento. Freud
dice che quello che viene rimosso è la rappresentazione dell’evento ma non l’affetto. Che fine fa
quindi la parte affettiva? (questo è l’aspetto interessante della nuova teoria di Freud) la parte
affettiva viene convertita nel sintomo isterico, cioè Freud dice che c’è una rimozione della
rappresentazione dell’evento traumatico ma l’affetto viene convertito nel sintomo isterico, quindi il
sintomo sarebbe la conversione della parte affettiva, dell’orrore, del disgusto dell’evento traumatico.
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
57
Per Freud la cosa importante è che il recuperare il ricordo ha un effetto catartico: non soltanto viene
recuperato il ricordo ma si può esprimere l’affetto, e questo per Freud ha una funzione abreativa,
cioè di poter esprimere l’affetto che invece prima era rimasto incistato e convertito in un sintomo
isterico (era stato somatizzato nel corpo). Freud condivide il fatto che l’eziologia dell’isteria sia legata
ad un evento traumatico. Secondo Freud i sintomi isterici hanno sempre un legame simbolico diretto
con quelli che sono stati gli eventi traumatici (ad esempio il caso di Anna O e dell’acqua). Il sintomo
quindi ha un senso. (ad esempio il cutting adolescenziale, per cui gli adolescenti si tagliano, per ogni
adolescente ha un significato diverso, è un sintomo che ha un legame con l’evento). Verrà così
scoperto il transfero, ossia il fatto che quando i pazienti vanno in cura ripropongono quelli che poi
sono i rapporti che hanno avuto con le figure genitoriali (Anna O si innamora di Breuer). Freud
diceva che era del tutto normale che il paziente riproponesse nel rapporto con il medico quelli che
erano i propri rapporti con i propri genitori. Per Freud in realtà, l’amore che Anna O aveva verso
Breuer non era un amore vero verso di lui, ma il transfer libidico dell’amore che hanno Anna O
aveva verso il padre che aveva traslato di Breuer (Breuer non era a conoscenza di questo
fenomeno). Freud sarà il primo a definire questo fenomeno. Poi fu scoperto anche il controtransfert
per cui al transfert del paziente si affianca un controtransfert dell’analista, che per alcuni va a
beneficiare il lavoro analitico (l’analista prima di ciò non doveva esprimere la sua opinione, doveva
rimanere sempre uguale poi successivamente si è iniziato ad usare il controtransfert come un
elemento importante nel rapporto terapeutico, uno strumento a cui l’analista poteva far riferimento
per capire quali erano le sue reazioni controtransferali al tutti i processi di transfert del paziente).
Freud mette in risalto il fatto che ci sia un meccanismo funzionale nei pazienti che impedisce
l’emergere di questi ricordi traumatici e che è appunto la rimozione: per Freud la scoperta della
rimozione è qualcosa di importantissimo.
Freud quindi comincia a dubitare che questi fatti traumatici ricordati durante l’ipnosi siano veri:
comincia a non credere più ai suoni nevrotici (inizia a chiedersi “sono veramente fatti traumatici o
erano delle fantasie infantili che in qualche modo erano state rimosse?). Freud inizia così a capire
che già nell’infanzia esistono delle fantasie sessuali, il bambino in qualche modo è già pieno di
pulsioni sessuali.
Lui scriverà 3 saggi sulla teoria sessuale. La proposta di questa sua teoria della sessualità attiva già
nei bambini creerà scandalo (il bambino era considerato come privo di qualsiasi sessualità).
La pulsione libidica non è intesa come una sessualità genitale sin dall’inizio, è diversa. Quando si
parla di una pulsione libidica orale, per Freud non è da considerarsi come un atto di accoppiamento
genitale.
Freud non ha mai lavorato con i bambini, sarà sua figlia Anna Freud a farlo dopo di lui. Però
lavorando con i pazienti ha iniziato a rendersi conto che l’origine dei sintomi nevrotici era da
ricercare proprio nello sviluppo psico-sessuale del soggetto, quindi nello sviluppo libidico del
bambino.
⇒ Per Freud, per arrivare alla realizzazione di un soggetto sano ci dovrebbe essere il passaggio
attraverso tutte queste fasi per arrivare alla risoluzione edipica e quindi ad una vita genitale
soddisfacente.
Sono aspetti dissociativi fondamentali per mantenere un sé integrata. È una dissociazione non
verticale, ma che ci permette di mantenere una rappresentazione di sé coesa, anche se
differenziata.
Charcot quando trattava le persone isteriche con paralisi, attraverso l’ipnosi le diceva di alzarsi e
camminare e queste ce la facevano, ma quello che faceva era semplicemente togliere il sintomo ma
non la causa della paralisi, perciò erano emissioni temporanee, dopo le quali poi apparivano altri
sintomi. Freud invece voleva andare alla radice del problema. Con Anna O sotto ipnosi, attraverso
un racconto per libere associazioni, arrivavano via via all’evento traumatico, che quindi era stato
rimosso.
Freud comincia a lavorare con diversi pazienti, appura quasi sempre che c’è un trauma di natura
sessuale, ma pensa che questi eventi non siano realmente accaduti, ma siano delle fantasie,
desideri sessuali infantili che poi sono stati rimossi. Esisterebbe da subito una pulsione sessuale
attiva e lo sviluppo psichico sarebbe connesso a questa pulsione sessuale. Parla di fase di sviluppo
psico-sessuale:
- Anale: espulsione delle feci (incomincia a formarsi una funzione psichica dell’attività della
passività)
Il complesso edipico: il bambino desidera avere la madre, la bambina desidera il padre. Il desiderio
del genitore del sesso opposto porta ad avere una rivalità con quello dello stesso sesso. Però
bisogna distinguere tra complesso edipico positivo e negativo, il primo il desiderio del genitore e
l’altro la rivalità.
In questa rivalità succede che il bambino a un certo punto dovrebbe rinunciare alle pretese di avere
la madre tutta per sé, che dovrebbe portare a introiettare l’aspetto paterno, cioè il bambino si
identifica con il padre.
Questa è una chiave molto semplicistica, si parla anche del terzo, che rappresenta il mondo, non
tanto volere madre o padre, ma vedere il genitore dello stesso sesso come l’ambiente, come il
mondo, non più come una rivalità. Il terzo è l’elemento che sta fuori dal rapporto simbiotico e che
permette di entrare in contatto con il mondo.
La risoluzione del complesso di edipo è fondamentale perché il risultato è la formazione del Super
Io. Se non viene risolto, poi si mantengono il desiderio e la rivalità verso il genitore anche in età
avanzata. La risoluzione è la rinuncia da parte del bambino del desiderio del genitore del sesso
opposto e l’identificazione nel genitore dello stesso sesso.
Tutto questo processo coinvolge la rimozione da parte dell’adulto del desiderio e della rivalità che ha
provato nell’infanzia.
Le scoperte di Freud hanno suscitato anche tanto entusiasmo perché si capiva che non si
dovevano reprimere le fantasie sessuali dei bambini, perché questo avrebbe invece potuto
scatenare una nevrosi in futuro. Anzi i genitori avrebbero dovuto sostenere queste fantasie e
curiosità dei bambini.
ANNA FREUD
La figlia di Freud si pone sulla scia del padre, che non aveva mai lavorato direttamente con i
bambini, e si specializza nella psicologia infantile. È stata considerata una grande conservatrice ma
anche innovatrice del modello freudiano, sviluppando un suo modello specifico, dal quale si è
originata la corrente della psicoanalisi dell’io (es. Erickson).
Anna Freud si pone di fronte al bambino in ottica diversa dal padre: se il padre aveva ricostruito il
funzionamento della mente del bambino a partire dall’osservazione dei pazienti nevrotici, Anna
mette in discussione questa prospettiva, decidendo invece di ricostruire la mente del bambino
osservando direttamente il bambino, altrimenti il rischio è sovrapporre il funzionamento infantile con
quello nevrotico. Istituirà l’osservazione diretta del bambino all’interno del training degli psicoanalisti,
che abitua a stare e assumere un’ottica di osservatore e che permette di cogliere delle dinamiche
che vanno al di là dell’aspetto fenomenologico. Anna ha avuto tanta esperienza sul campo, ha
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
64
istituito una clinica a Amsterdam dove trattava bambini con problematiche, bambini orfani per via
della guerra. Inizialmente sosterrà molto una educazione di tipo psicoanalitico per prevenire lo
sviluppo di patologie nevrotiche.
Il padre nel 23 con il saggio L’Io e l’Es formalizza un cambiamento della topica della mente, un
secondo modello strutturale della mente: io, es, super io. Freud si chiede: la rimozione è un
processo conscio o inconscio?
Per Freud l’istanza con cui noi nasciamo è l’Es, che quindi è innato e inaccessibile alla coscienza.
Esattamente come l’inconscio al suo interno ci sono le pulsioni e i contenuti rimossi dalla coscienza.
Segue il principio di piacere, che è la scarica della pulsione. La pulsione tende alla scarica perché se
c’è un accumulo di tensione c’è una sensazione di dispiacere, ciò che dà piacere è la scarica di tale
accumulo. Se nella zona erogena si accumula la pulsione libidica, questo crea disagio. Freud segue
il modello orgasmo. Le pulsioni dell’Es tendono alla scarica. Poi i contatto dell’es con il mondo reale
crea una struttura non del tutto integrata, cioè l’Io, un tramite tra l’Es e il mondo esterno, l’istanza
che dovrà addomesticare le pulsioni dell’es e diventare abbastanza forte da poter posporre la carica
pulsionale, visto che a volte non possiamo scaricare subito le nostre pulsioni. È come se ci fosse
una conflittualità tra le spinte dell’Es e l’Io che fa da mediatore con la realtà esterna, per cercare di
controllare tali pulsioni. Questo conflitto tra Io e Es è alla base della nevrosi. Però c’è anche un’altra
istanza, il super io, cioè il precipitato del complesso edipico, l’identificazione con tutti gli aspetti
genitoriali.
La rinuncia agli oggetti d’amore è un lutto con cui ci identifichiamo. Quando elaboriamo un lutto, la
malinconia che sta alla base è dovuta alla nostra identificazione con l’oggetto abbandonato. Nella
malinconia c’è l’aspetto anche di attacco e rabbia con l’oggetto con cui ci siamo identificati, che è
diventato una parte del nostro Io. Nella formazione del super io c’è qualcosa del genere. La rinuncia
all’oggetto desiderato fa sì che possiamo identificarci con esso. Per questo Freud dice che il super io
è il risultato della risoluzione del complesso edipico. Nel super io ci sono aspetti ideali e morali, i
desideri e le aspettative (quello che si vuole diventare) ma anche i divieti
L’Io deve da una parte gestire le pulsioni dell’Es, dall’altra sopportare le istanze morali del super io,
tutto questo per poi operare nella realtà esterna. La psicosi è data dal conflitto tra l’Io e mondo
esterno, quando l’io esce dal mondo esterno e si ripiega su sé stesso. L’angoscia è un segnale che
l’Io dà che c’è qualche pulsione dell’Es che vuole uscire fuori. È un sentimento che non ha un
oggetto specifico. È ben diversa dalla fobia, che si rivolge verso un oggetto preciso, nell’attacco di
panico questo non c’è, siamo solo pervasi dall’angoscia.
Nella nevrosi il contatto con la realtà c’è, mentre la psicosi è un isolamento dal mondo esterno.
Freud diceva che la psicosi non si poteva curare, invece con Klein si aprono le possibilità di curare
le psicosi.
Anna Freud, seguendo il lascito del padre, studia molto i meccanismi di difesa e le funzioni dell’Io.
L’Io secondo lei è una struttura fondamentale per lo sviluppo del bambino. L’organizzazione di
questo Io è fondamentale affinché l’individuo viva bene. Per Freud la difesa è utilizzata affinché si
possano gestire le pulsioni dell’essere. Nel processo psicoanalitico inizialmente l’obiettivo era
scardinare le difese per andare a scoprire il ricordo rimosso. Per Anna non c’è solo una difesa, una
rimozione, ma c’è una certa riorganizzazione dell’io. La difesa è qualcosa di fisiologico, cioè l’Io
struttura fisiologicamente delle difese che sono normali. Anna mette i meccanismi di difesa
all’interno di una dimensione evolutiva. Inizia a pensare a un modello cronologico delle difese, non è
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
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una risposta che semplicemente serve a contenere una pulsione e ha a che fare con qualcosa di
patologico, ma queste difese hanno a che fare con l’Io e hanno una dimensione evolutiva. Ci sono
quindi difese primitive (es. negazione) e più evolute (intellettualizzazione).
L’importanza dei genitori nell’educazione: I genitori per Anna Freud devono aiutare ad un
raggiungimento di una sano equilibrio tra Es, Io, Super Io. È interessata a come aiutare il bambino a
uno sviluppo sano e non solo come affrontare la patologia. Però dice: “Secondo la psicoanalisi non
ci può essere una piena prevenzione alla nevrosi. La stessa divisione della personalità in Es, Io e
Super Io ci pone di fronte a una struttura psichica nella quale ogni parte ha una sua origine
specifica, con i suoi specifici scopi e doveri e il suo modo di funzionare. Le diverse istanze psichiche
interferiscono l’una con l’altra e ciò dà luogo ai conflitti interni che raggiungono la coscienza sotto
forma di conflitti psichici. Questi esistono dovunque si è verificato un complesso sviluppo strutturale
della personalità”. Cioè il fatto di avere diverse istanze psichiche fa sì che entrino in conflitto e quindi
siamo tutti un po’ innatamente nevrotici. Non possiamo pensare che l’educazione possa prevenire in
maniera assoluta le cose che accadono, siamo animali talmente complessi e sofisticati (geni,
ambiente, interazioni) che è difficile capire completamente i nostri problemi. L’educazione è il
massimo che possiamo fare per mitigarli.
[Il nostro percorso di sviluppo non è lineare. Le nostre linee interne non vanno sempre di pari
passo, ci sono cose che si raggiungono prima e altre dopo. Ci possono essere delle normali
regressioni, dei passi indietro nello sviluppo, che non sono necessariamente anormali, patologici.]
[Inizialmente S. Freud sostiene che l’evento traumatico viene rimosso perché l’affetto è troppo
negativo, e l’affetto viene convertito nel sintomo. L’affetto non è soltanto un trauma reale, ma noi
rimuoviamo i desideri, le pulsioni dell’Es che confliggono con la realtà. Se un bambino ha una
pulsione aggressiva deve imparare a gestirla. La funzione dell’Io è quella di mitigare la pulsione
dell’Es, soprattutto lipidiche e aggressive. Il trauma porta un ricordo a inserirsi in livelli cerebrali che
non hanno a che fare con il simbolico e per questo è difficile ritrovarlo.]
MELANIE KLEIN
La pulsione per Freud sta a metà tra il corpo e lo psichico, è come se la pulsione fosse un
ambasciatore del corpo nello psichico. E’ un concetto cardine che unisce la parte fisica con la parte
psitica. Inizialmente la pulsione era stata anche un po’ tradotta come istinto, ma in realtà le 2
questioni sono distinte. Molti studiosi hanno lasciato un po’ cadere l’dea di una pulsionalità, di una
mente pulsionale.
Klein si discosta dall’idea freudiana anche se era una sua grande seguace.
La pulsione è come una spinta che tutti abbiamo e che per Freud ha tre componenti:
1. Fonte: parte somatica da cui nasce (es. pulsione libidica che si concentra sulla zone
erogena della bocca)
2. Meta: la quale segue il principio del piacere e vuole essere scaricata (c’è un aumento della
tensione e la pulsione tende alla scarica) (es. bambino che ciuccia un il seno)
3. Oggetto della pulsione: serve semplicemente al raggiungimento della meta, cioè al fatto di
trovare, di raggiungere il soddisfacimento (es. il bambino deve raggiungere il seno per
essere soddisfatto)
Per Freud inizialmente la pulsione è autoerotica, ossia c’è un momento in cui secondo lui la libido
prima di essere indirizzata verso l’oggetto è diretta verso il proprio corpo (fase
narcisistica-autistica primaria). È stata questa idea subito confutata dagli studiosi intersoggettivi,
non esiste una fase autistica.
La Klein era molto famosa soprattutto perchè era in totale opposizione con Anna Freud, le due si
odiavano. Anna era la figlia bilogica di Freud mentre la Klein si sentiva come la vera persecutrice del
modello freudiano. Le due divergevano su diverse cose. Per Anna Freud inizialmente la tecnica
psicoanalitica non poteva essere applicata sui bambini, perché secondo lei il bambino non è in
grado di poter sviluppare una traslazione sull’analista (la Freud poi in realtà rivedrà questa sua
teoria). L’approccio doveva essere pedagogico. Per la Klein invece non era così.
Klein suggerì a una paziente la tecnica del gioco per gestire il figlio. Il gioco era considerato come
un qualcosa di propedeutico per instaurare una buona alleanza terapeutica. Per la Klein invece non
era così. Lei credeva che, attraverso il gioco il bambino, fa emergere il suo mondo interno,
attraverso il gioco si osservano i contenuti inconsci del bambino.
⇒ Fino a quel momento tutto quello che riguardava l’infanzia era ricostruito nel trattamento analitico
nelle memorie dei pazienti nevrotici, ma non c’è realmente un trattamento dei bambini. Freud non ha
mai lavorato direttamante con loro.
Lei era convinta che si dovesse andare a lavorare dove c’era l’angoscia (ossia interpretare).
Secondo la Klein, il bambino è dominato dall’angoscia di fantasie persecutorie (es. fantasie sessuali
dei genitori). Lei faceva delle interpretazioni molto dirette. Fa delle sedute a un bambino di nome
Richard, faceva fare un disegno, secondo lei i disegni erano fantasie inconsce del bambino che
attraverso i disegni si scioglievano e si scioglieva la loro angoscia. Oggi nessuno lavorerebbe in
questo modo, però la Klein lo faceva.
E’ comunque vero che il modello della mente che lei ha ideato è molto innovativo, e si discosta da
quello di Freud. E’ una delle autrici che ha poi influenzato moltissimo anche altri autori.
Per lei il bambino nasce pieno di fantasie, di curiosità, di dubbi, di domande (come una spinta
epistemiofilica, il bambino ha una pulsione verso la conoscenza, vuole sapere, vuole conoscere).
Con la tecnica del gioco lei estende la tecnica analitica ai bambini, lei dice che “Attraverso questa
tecnica del gioco è possibile raggiungere le più profonde esperienze represse e fissazioni dei
bambini”.
Lei si mette sempre sulla scia Freudiana anche se in realtà poi ci rimane ben poco.
Anna Freud perché diceva che non si poteva trattare un bambino con la psicoanalisi almeno fino ai 3
/ 4 anni d vita ? perchè lei diceva che finchè non c’è stata la fase fallica, ossia non si è costituito il
super io, non può nemmeno esserci una traslazione con il psicoanalista. Invece Klein dice che la vita
psichica del bambino è attiva fin da subito. Per lei esiste un io alla nascita, un io congenito. Per
Freud, invece,l’io si formava a partire dall’es, ossia, nell’incontro con la realtà veniva a formarsi per
fare da mediatore con la realtà stessa.
Klein cambia totalmente la prospettiva sullo sviluppo del bambino (gli intersoggettivi poi
confermeranno questa sua teoria di un io alla nascita). Secondo lei se esiste un io alla nascita,
esistono anche dei meccanismi primitivi, che determineranno da subito la fantasia inconscia del
bambino (un movimento spitico del bambino). Lei anticipa di gran lunga un super i(che è molto
diverso da quello di Freud): il super io non è più a 3/ 4 anni ma è metà del primo anno, secondo la
Klein c’è un super io arcaico già a sei mesi. Se per Freud il super io deriva dall’identificazione col
genitore dello stesso sesso, per Klein invece il super io non nasce secondo questa dinamica ma
nasce in relazione alla coppia genitoriale.
Secondo lei la pulsione non è svincolabile dall’oggetto, la pulsione è quindi sempre legata a un
oggetto che la può soddisfare. Nel caso del bambino il primissimo oggetto con cui lui ha a che fare è
la madre, ma se pensiamo ai primissimi stadi non è nemmeno la madre nella sua totalità, ma il seno
nello specifico. In qualche modo la pulsione non è svincolarla dal seno e il rapporto con esso diventa
un rapporto oggettuale.
(una madre ce controreagisce non farà altro che ampliare le fantasie persecutorie)
Posizione schizoparanoide (che avviene prima) e posizione depressiva (che avviene poi)
Quando il bambino proietta la pulsione di morte sull’oggetto, succederà che lui stesso avrà paura di
esso: avrà un’agoscia persecutoria dell’oggetto esterno (persecuzione schizzo-paranoica). Ha
paura che tale oggetto possa distruggerlo, attaccarlo. È la posizione schizzoparanoica, perché il
bambino tende a scindere lo stesso oggetto in due oggetti, uno buono e uno cattivo. Questo è
seno buono → seno che nutre e gratifica (oggetto buono primario nella mente del bambino)
Una madre assente nel bambino viene rappresentata come una fantasia persecutoria.
La pulsione di morte in realtà per la Klein ce l’abbiamo tutti. Anche un genitore perfetto non preserva
dal fatto che si costituisca la rappresentazione del seno cattivo. L’introiezione è alla base del nostro
io, il quale è formato da tanti oggetti: il nostro mondo interno, il nostro io è un depositario di tanti
oggetti interni che derivano sia dalle nostre fantasie ma anche della relazioni che noi facciamo
effettivamene (le esperienze che noi facciamo nella realtà). È quindi essenziale che il bambino abbia
delle esperienze gratificanti, perché altrimenti non si può formare l’idea del seno buono, e se questo
non si forma il bambino avrà delle fantasie persecutorie, una forte angoscia. All’inizio seno buono e
seno cattivo devono essere separati perché l’io non è abbastanza forte e anche l’oggetto buono
interno dei fortificarsi sennò non regge gli attacchi del seno cattivo.
Secondo Klein ci sono degli aspetti congeniti, c’è chi è più predisposto a fantasie persecutorie (e chi
no). Ci sono bambini che hanno una tendenza più bramosa verso il seno. I bambino non devono
essere giudicati per questo o condannati ma devono essere aiutati.
I bambini vogliono svuotarle il seno, depredarlo (teoria che è stata poi criticata) → lei parla di invidia
primaria (tutti quanti tenderanno ad invidiare le qualità buone del seno perchè il seno è quello che
nutre, il seno ha delle qualità che il bambino, a causa della sua pulsione aggressiva, invidia l’oggetto
che nutre).
Il bambino deve scindere e proiettare, ma di rimando c’è un’angoscia persecutoria perchè ha paura
dell’oggetto cattivo. (secondo la Klein stiamo parlando dei primi 3 mesi di vita)
Se l’io già si forma a partire da una pluralità di oggetti, vuol dire che ha un io scisso, legato agli
oggetti che ha introiettato in sé e che coinvolgono dinamiche diverse.
Per la Klein l’oggetto esterno è in continuo dialogo con l’oggetto interno: c’è un aspetto costitutivo
della realtà esterna. (la Klein tralascerà un po’ il fatto ambientale, l’ambiente esterno). Winnicott e gli
intersoggettivi gli daranno molta più importanza.
Alla nascita i processi di introiezione costituiscono la base del super io, che precede di alcuni mesi
l’inizio del processo edipico. La precisa introiezione del seno buono e cattivo è fondamento del
super io e influenza lo sviluppo del complesso edipico. La questione è completamente diversa da
Freud.
L’esperienza reale può mitigare o amplificare le fantasie persecutorie. L’assenza della madre diventa
un’angoscia persecutoria, perchè per la Klein il bambino ha a che fare con un seno che non si
presentifica.
Per la Klein la rimozione di cui parla Freud è già un meccanismo psichico molto più avanzato: già
nella mente prima, inconscia, ci stanno la scissione, la proiezione e l’introiezione che avvengono
prima della rimozione. Per la Klein il tutto avviene molto prima.
Per la Klein ha moltissima importanza la fantasia inconscia, che è alla base dell’attività psichica del
bambino (la fantasia inconscia è una delle questioni portate contro le tesi di Anna Freud).
“L’attività della fantasia avendo radice negli istinti è la controparte psichica di questi. Le fantasie
operano fin dall’inizio come gli istinti e sono l’espressione mentale dell’attività degli istinti di vita e di
morte. Il sistema di fantasie incentrate sul mondo interno del bambino sono fondamentali per lo
sviluppo dell’io. L’attività della fantasia è alla base dei meccanismi di proiezione e introiezione, i quali
mettono in grado l’io di stabilire relazioni oggettuali.”
Il seno cattivo da cui si sente minacciato porterà anche il bambino a volerlo attaccare, e questo nella
clinica si vede nei disegni di graffi, strappi, ecc. Il seno buono è il seno che è investito della pulsione
libidica e rappresenta l’esperienza d’amore. L’oggetto introiettato diventa un oggetto che permetterà
al bambino di poter amare (c’è la fiducia di un oggetto d’amore mantenuto al suo interno). Il seno
buono è un miscuglio fatto dalle fantasie del bambino (legate alle pulsioni di morte e alle pulsioni di
vita, le pulsioni libidiche). La proiezione della nostra pulsione libidica farà sì che il seno buono
oggetto d’amore venga idealizzato. Questa proiezione si integra poi con l’esperienza positiva (il
bambino ha fame e subito viene nutrito dal seno buono → esperienza positiva).
Una definizione della Klein che è rimasta è quella della identificazione proiettiva. La proiezione per
Freud aveva lo scopo di liberarsi di tale oggetto. Per Klein non è semplicemente proiezione della
pulsione di morte sull’oggetto, perché altrimenti mi sentieri minacciato da esso, lei parla anche di
identificazione proiettiva, che prevede che quando proietto l’oggetto proietto una parte del mio sé. La
massiccia identificazione proiettiva poi porta a uno svuotamento dell’io del bambino. Se la pulsione
di morte è eccessiva, l’identificazione proiettiva è molta, perché si cerca di liberarsi della paura. Ciò
intensifica le fantasie persecutorie.
Gli psicotici secondo Bion tendono a sminuzzare il proprio io e a proiettarlo in modo massiccio sugli
altri oggetti, che poi assumono un carattere persecutorio. L’identificazione proiettiva per Bion può
diventare una forma di comunicazione tra madre e figlio, perché la madre può digerire la paura,
metabolizzare l’identificazione proiettiva per il bambino.
“L’autoerotismo e il narcisismo sono contemporanei alla sua prima relazione con gli oggetti”. Freud
invece diceva che prima la pulsione è verso se stessi e poi verso l’oggetto. “L’autoerotismo e il
narcisismo includono l’amore e l’identificazione con l’oggetto buono interiorizzato.” Il narcisismo è
rivolto verso il proprio sé, che però è fatto da oggetti che derivano dalla relazione oggettuale. La
libido che è diversa verso il proprio io, è rivolta in realtà verso gli oggetti che abbiamo interiorizzato
in noi, perché l’io si basa sulle relazioni oggettuali.
Dalla posizione schizoparanoide si passa a quella depressiva. Il bambino comincia a capire che
seno buono e cattivo sono lo stesso oggetto. Non ha più angoscia persecutoria del seno cattivo, ma
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
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angoscia depressiva che deriva dall’aver rovinato il seno buono, di averlo perso. Per questo è
importante che ci sia una buona scissione. Serve tutta un’opera di riparazione dei danni che il
bambino sente di aver fatto all’oggetto, lo può fare solo se ha un oggetto buono stabile al suo
interno, a quel punto può provare anche gratitudine verso tale oggetto.
D. WINNICOTT
Qual è la differenza tra l’IO e il SE’? Sono la stessa cosa? ⇒ qui interviene il concetto della
rappresentazione che uno ha di sè.
La Klein struttura un Io diverso da quello di Freud, perché Freud inizialmente parla di pulsioni (ci
sono queste pulsioni dall’es che spingono per essere soddisfatte per il principio di piacere e si
scontrano poi con la realtà esterna e quindi in qualche modo poi devono essere mediate dall’io). La
Klein dice invece che c’è un io già dalla nascita: è un io non strutturato non integrato ma è un io che
si forma a partire non soltanto dalle pulsioni ma anche dalle fantasie inconsce che fa sì che noi ci
costruiamo degli oggetti interni. Il nostro io secondo la Klein quindi è presente sin dalla nascita ed è
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
75
formato da tanti oggetti: il mondo interno del bambino diventa un palcoscenico animato da diversi
oggetti interni.
Winnicott, a differenza della Klein che ne parla molto poco e solo in base ad alcuni aspetti, parla
moltissimo del concetto del sé.
Una frase famosissima di Winnicott è “Non esiste qualcosa come un bambino” frase che indica
come non esista di per sé qualcosa che è possibile identificare come un bambino al di fuori del
contesto rispetto al quale noi possiamo identificare quello come un bambino. Parla quindi di una
matrice relazionale entro cui il bambino sta sempre con la madre: si parla di una diade. Lo sviluppo
del bambino non può essere preso in considerazione al di fuori dell’ambiente. Il bambino si sviluppa
sempre necessariamente all’interno di un ambiente da cui non può essere scisso.
All’interno di questa matrice relazionale tra madre e bambino inizia a differenziarsi il bambino e a
costituire un sè (inizia a distinguere un io da un non io, un sé da un non sé), inizia quindi anche
definire tutte quelle che sono le categorie spazio temporali e a riconoscere l’oggetto in quanto tale
(ossia l’oggetto come qualcosa che è “un non me”).
Bisogna quindi distinguere quello che è un sé da quello che invece è un io. Il fatto che la Klein abbia
postulato l’esistenza di oggetti interni, quindi di un mondo interno in cui ci sono diversi oggetti, già
pone la questione dell’esistenza di una pluralità e quindi in qualche modo c’è sicuramente una
differenziazione.
Ci sono diversi stati del sé che sono essenziali a mantenere il proprio senso di integrità. Il sè un
concetto un po’ diverso da quello di io. Esso è un po’ come una rappresentazione, una percezione
che noi abbiamo di noi stessi, ma non è una cosa così semplice e chiara.
Winnicott postula che esiste già fin da subito un sé centrale (che però non è già strutturato), che si
può sviluppare grazie alle cure materne. Una volta che si struttura questo sé il bambino è in grado di
concepire e rappresentare sé stesso e l’oggetto esterno (cosa che non avviene subito): è quindi in
grado di differenziare quello che è lui da quello che è invece l’oggetto esterno.
Come si costituisce questo sé? Cioè noi da quand’è che ci sentiamo noi? (ragionamenti della prima
lezione) è difficile identificare quando ognuno di noi si sente quello che è: piucchealtro questo
sembra qualcosa che in qualche modo emerge a poco a poco. E come emerge? secondo Winnicott
ciò emerge grazie al rapporto con la madre, all’interno di questa matrice relazionale madre-bambino.
ll sè quindi per Winnicott è presente fin da subito in forma embrionale nella relazione
madre-bambino ed è legato alla consapevolezza di sè stessi (anche se all’inizio non è subito così).
L’io è quindi una sorta di elaboratore delle sensazioni e delle percezioni dell’esterno ma anche
dell’interno: cioè sia tutto quello che vede e che sente ma anche tutto quello che gli comporta
internamente (la fame, la cacca, la pipì, il piacere…).
C’è sempre una parte simbolica ma c’è anche un livello molto fisico e corporeo che in qualche modo
permette tutta questa strutturazione del sé. L’io ha invece una funzione di organizzazione che mi
permette poi di avere questa esperienza del mio sé.
Sia il sé che l’io sono presenti fin dalla nascita ma non sono sviluppati.
Processo di personificazione ⇨ la mente è integrata nel corpo (aspetto non scontato), C’è un
processo, uno sviluppo emotivo nel bambino per cui è necessario che poi ci sia questo processo si
personificazione e di soggettivazione in cui la mente entra nel corpo.
Se un sé nucleare di un bambino che ancora non è strutturato non viene adeguatamente supportato
e sostenuto nel suo sviluppo possiamo assistere a una crescita fisica ma quel sé dell'individuo
rimarrà non sviluppato (l’ambiente deve sostenere il bambino). Ci sono casi di pazienti in cui c’è un
sé non sviluppato, Winnicott dirà che ci saranno della formazione difensive, ossia che verrà
strutturato un falso sé che dovrà invece proteggere quello che lui chiama “Il vero sé".
E’ molto importante che il bambino faccia esperienza di una madre reale che sostiene questo io e
questo sé che ancora non è strutturato e integrato. Le cure materne sono importantissime perché
danno la percezione di continuità dell’essere. La cura materna dà quel senso di continuità che
inizialmente non c’è: quell’io non integrato non ha quel senso di continuità dell’essere. Sono le
esperienze ripetute, reiterate, costanti e prevedibili a dare un senso di continuità dell’essere.
Solo grazie a queste esperienze con la madre il bambino inizia a percepire il suo corpo. Se invece
non c’è un ambiente che gli permetta di fare questo tipo di esperienze, l’io, che ancora è debole, si
dovrà difendere e in quel senso avremo l’altro sè (“il falso sé") come organizzazione difensiva di quel
nucleo che non si è potuto sviluppare.
Di cosa ha bisogno il bambino per iniziare a poter integrare questo io in modo tale che poi raggiunga
uno sviluppo di differenziazione di quello che è lui rispetto all’esterno? ha bisogno delle cure
materne (manipolazione, appagamento, contatto fisico, l’essere cambiato, le coccole, la
nutrizione…) perchè queste forniscono un’esperienza al neonato della continuità del suo essere.
Tutte queste cose danno un senso di coerenza.
L’esperienza con la madre del neonato permette anche di contenere i suoi impulsi che sicuramente
sarebbero troppo distruttivi per le sue strutture psichiche che sono ancora fragili.
Winnicott postula quello che lui definisce un periodo di dipendenza assoluta nel neonato.
Lo stato di non integrazione: è lo stato di nascita del bambino, in cui il suo io non è ancora integrato
in una struttura solida, salda, così come il suo sé, la sua psiche non è ancora integrata. Per far sì
che questo accada ci sono tutta una serie di stati e di fasi. (ciò è diverso dalla disintegrazione: ossia
la percezione che uno ha di qualcosa di esterno che minaccia la propria integrazione, visione più
kleiniana dell’angoscia).
Per Winnicott i processi primari dello sviluppo sono 3 ed iniziano molto precocemente.
1. Integrazione
2. Personalizzazione
3. Valutazione del tempo e dello spazio
Esempi clinici di persone aventi un sé non integrato: in questo articolo riporta il caso di una paziente
psicotica che in analisi ha dichiarato che da piccola pensava che la gemella fosse lei stessa e si
sorprendeva quando la gemella veniva presa in braccio e lei rimaneva dov’era. Il suo senso di sé e
dell’altro diverso da sé non si era sviluppato.
Il bambino quindi appena nato in quale stato si trova? si trova in uno stato di non-integrazione e ha
bisogno quindi di cure materne che possano sostenerlo e permettere di portare avanti il suo
processo naturale di integrazione: questo si chiama stato di dipendenza assoluta.
Come sarà possibile garantire al bambino questo sviluppo? la madre si deve trovare in uno stato di
psicosi normale, sana. La madre deve essere assolutamente devota, ossia in qualche modo la
madre per un certo periodo, abnegasse il proprio sé per dedicarsi totalmente a quello del bambino.
Questa è definita come preoccupazione materna normale: la madre si sintonizza completamente
con quelli che sono i bisogni richiesti dal bambino.
Winnicott ci dice che la madre deve identificarsi in modo inconscio con il suo stato di indipendenza
assoluta.
Paradosso di Winnicott: quando la madre guarda il bambino vede sé stessa, così come quando il
bambino guarda la madre vede sè stesso (funzionamento psicotico in cui c’è un rispecchiamento).
Questo perchè il bambino non è ancora in grado di percepire effettivamente tra il non-me e il me. Il
bambino non può sopportare la differenza in questo momento perchè è troppo fragile.
L’HOLDING è il contenimento, ossia la funzione materna primaria che è sia una funzione di
protezione dagli eventi imprevisti ma ha anche una funzione di integrazione (contenimento degli stati
somatici del bambino che ancora non sono integrabili).
8/04 - 14:30
Sia la madre che il bambino devono uscire dallo stato di holding, altrimenti sarebbe solo uno
scivolamento psicotico.
Il bambino esperisce attraverso l’holding un senso di integrità, di unità.
Dopo gli intersoggettivi diranno che il caregiver che pensa al bambino come unità pensante, che si
avvicina a quello che dice Winnicott.
Quali sono le prime relazioni oggettuali? Il bambino quando nasce si trova in uno stato di
dipendenza assoluta dalla madre e quindi non è in grado di distinguere il sé dal non-sé. Come
nascono le prime relazioni con l’ambiente esterno? Gli intersoggettivi dicono che i bambini hanno dal
momento in cui nascono delle relazioni con l’ambiente esterno. Per Winnicott il bambino in realtà
vive in una illusione in cui non c’è distinzione è una fase di illusione onnipotente, l’aspetto
onnipotente è che non essendoci distinzione tra il sé e l’oggetto esterno, il bambino si sente come il
creatore di tale oggetto. Non è né un oggetto interno (Klein), né esterno. Come avviene questa
psicosi? Per creare l’oggetto prima esso deve essere scoperto e in questo sta il paradosso. Questa
cosa può avvenire solo in riferimento all’ambiente esterno, cioè la madre, che deve garantire al
bambino l'illusione di essere lui il creatore dell’oggetto. Quando un bambino ha fame e arriva la
Appunti delle lezioni di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione
81
mamma con il seno-biberon, il bambino all’inizio ha l’illusione che il seno-biberon sia una cosa
creata da lui. Fornendogli tale oggetto la madre consente al bambino di avere tale illusione. La
madre fa ciò stando in uno stato di devozione assoluta primaria, perché è totalmente sintonizzata
con il bambino, capendo che esso ha fame. Non appena il bambino ha fame, la madre gli porta il
seno-biberon, perciò il bambino è convinto di essere stato lui ad aver creato l’oggetto che lo
soddisfa, perché non ha dovuto aspettare quasi per niente prima che esso gli fosse offerto dalla
madre. All'inizio è giusto che sia così perché un’attesa creerebbe frustrazione nel bambino, che è
ancora troppo debole per sopportarla. Solo quando il bambino, dopo qualche tempo, è in grado di
sopportare la frustrazione, allora potrà iniziare ad avvenire la scissione di sé dall’oggetto esterno.
Una buona dipendenza però parte da una fase di dipendenza assoluta. l’illusione onnipotente dà
molta più enfasi alle cure della madre. Mentre la Klein diceva che comunque tutti abbiamo delle
pulsioni di morte e quindi avremo delle angosce persecutorie, anche se riceviamo tutta l’attenzione
possibile della madre, per Winnicott una madre reale conta eccome, perché una madre che
inizialmente non riesce a fornire il seno, non riuscirà a sostenere il bambino attraverso la creazione
in lui del senso di onnipotenza.
Può succedere che la madre non corrisponda a questa necessità oppure anticipa l’esigenza di un
oggetto, cioè il bambino non ha ancora fame ma lei comunque gli presenta il seno, quindi c’è un
eccessiva presenza. La madre deve comunque inserirsi nella giusta dimensione temporale. Quando
Winnicott parla di onnipotenza non dobbiamo pensarla come risvolto dell’impotenza, ma ha un
aspetto di sostegno del vero Sé che è ancora fragile.
In un articolo del suo libro Winnicott dice che le psicosi hanno a che fare con questi primissimi stati
del bambino, in cui non si sente integrato e non percepisce gli altri oggetti come integrati. L’unità per
lui è la struttura individuo-ambiente. Che succede se la madre non soddisfa l’esigenza del bambino
nei giusti tempi? Non sarà l’ambiente ad adeguarsi ai tempi del bambino, ma il bambino ad adattarsi
ai tempi dell’ambiente. Se l’ambiente si muove verso il bambino perché è sintonizzato con esso, il
bambino non percepisce una distanza tra sé stesso e l’esterno. Se l’esigenza viene anticipata,
l’ambiente non risponde ai bisogni del bambino, che quindi si deve adattare ai tempi dell’ambiente.
In questi casi si crea un falso sé, che permette al bambino di difendere il primo sé. Tutti abbiamo un
falso sé, ma diventa patologico quando è l’unica cosa con cui ci sosteniamo.
La psicosi delle madri ha un effetto sui bambini. Winnicott ha studiato il caso di una bambina data in
adozione, che ha avuto dei problemi in seguito, ma la madre psicotica aveva dato all’inizio tutta la
devozione di cui il bambino aveva bisogno, ma poi non è riuscita a distaccarsi e non ha dato la
possibilità alla figlia di sviluppare un proprio sé.
Per Winnicott la fantasia è la chiave di accesso al mondo esterno, mentre il fantasticare ha una
valenza di ritiro difensivo dal mondo esterno, ha un aspetto più “autustico”. Il fantasticare
onnipotente ha una base di senso di impotenza.
Dopo la prima fase di dipendenza assoluta si sviluppa quella relativa, e ciò avviene in modo
naturale. Il bambino può fare esperienza di un ambiente che non risponde sempre alle proprie
esigenze.
La madre esce dalla preoccupazione materna primaria e il bambino comincia a sviluppare sempre di
più la distinzione tra interno e esterno. I fallimenti in senso evolutivo facilitano il processo di
disillusione e il bambino impara a segnalare quelli che sono i suoi bisogni, perché sa che il suo
bisogno non può gratificarlo da solo nel momento in cui non c’è corrispondenza tra interno e
esterno.
Le esperienze positive con la madre permettono di formare oggetti interni buoni dentro di sé.
Inizialmente il bambino non capisce che la madre è separata da sé, ma questo serve per creare un
Sé saldo. La scissione inizia attraverso un oggetto transizionale.