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LO STUDENTE BAMBINO

Precisando il fatto che ai bambini non si “insegna” una lingua, bensì li si guida verso il contatto con una
lingua straniera, accostare i bambini a una lingua straniera non è più un fatto raro o inusuale: ormai le
lingue straniere fanno parte dei curricoli della fascia più bassa dei sistemi scolastici di molti paesi, e sempre
più si diffonde l’idea che insegnare le lingue ai bambini non sia solo possibile, ma anche e soprattutto
auspicabile.

Ciò non sembri una nozione scontata: sono solo pochi anni che l’insegnamento delle lingue straniere ai
bambini ha assunto piena dignità e la ragione primaria per l’accostamento precoce alla lingua straniera è di
natura politica, data dal passaggio da bilinguismo a bilinguità.

Solo pochi decenni fa, infatti, il bilinguismo infantile era visto come causa di problemi nello sviluppo
cognitivo, di ritardo linguistico e di insuccesso scolastico, ed era quindi una condizione da evitare e,
laddove presente, da estirpare.

Contrariamente a ciò che si pensava, diversi studi neurolinguistici hanno dimostrato come la presenza di
due strutture linguistiche nel cervello porti ad un arricchimento cerebrale. Secondo questa ipotesi, negli
anni Sessanta Lenneberg ha individuato, tra i fondamenti biologici del linguaggio, la caratteristica detta
"plasticità". Essa è particolarmente attiva durante i primi anni della vita di una persona, per regredire
sensibilmente dopo la pubertà, età in cui si conclude il "periodo critico" per l'acquisizione linguistica. Su
queste basi si sono sostenute molte delle proposte di insegnamento precoce delle lingue straniere e si
sono spiegate alcune delle difficoltà dell'insegnamento delle lingue ad adulti (andragogia).

Nelle neuroscienze l'accezione di "periodo critico" è leggermente diversa: si tratta del periodo (sempre
localizzato nella fase di massima plasticità, cioè l'infanzia) durante il quale una esperienza cruciale ha il suo
effetto massimo sullo sviluppo o sull'apprendimento, risultando in un comportamento normale adatto allo
specifico ambiente a cui l'organismo viene esposto.

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LO STUDENTE ADULTO

Se il modello pedagogico, concepito per insegnare ai bambini, si basa su un rapporto di dipendenza da


parte del discente verso l’insegnante, il quale detiene tutto il sapere e decide i contenuti, i metodi, i tempi
e valuta l’apprendimento, il modello andragogico, al contrario pone il discente al centro del processo
formativo. Quest’ultimo partecipa in modo diretto, o almeno dovrebbe essere coinvolto, alla definizione
dei suoi bisogni formativi, degli obiettivi della formazione e nei modi e tempi in cui apprendere.

Gli adulti, in qualità di apprendenti, hanno già delle conoscenze, amano essere autonomi sia per svolgere i
diversi ruoli delle diverse fasi della vita, sia per imparare ad imparare.

Knowles ha identificato sei principi nel suo modello andragogico:

- il bisogno di conoscere: gli adulti vogliono sapere perché si deve apprendere qualcosa e a cosa possa
servire; quindi devono avere chiara la necessità di apprendere per aumentare le proprie conoscenze;

- il concetto di sé: un adulto vive essenzialmente una dimensione autonoma, al contrario del bambino, la
cui dimensione dipende dagli altri e quindi ha bisogno di autogovernarsi anche nell’apprendimento;
- il ruolo dell’esperienza precedente: l’esperienza ha un ruolo fondamentale nell’adulto perché le nuove
conoscenze si devono rapportare con l’apprendimento pregresso, quindi è necessaria un’integrazione e
può essere utile usare delle tecniche che diano enfasi all’esperienza dei discenti;

- la disponibilità ad apprendere: l’adulto ha consapevolezza di quello che vuole imparare e quindi la sua
disponibilità è limitata a quello che crede possa servirgli per la sua vita quotidiana;

- l’orientamento verso l’apprendimento: gli adulti tendono ad imparare quello che vedono può essere di
immediata applicazione nella loro realtà quotidiana, ciò che permette loro di risolvere dei problemi;

- motivazione: per gli adulti le motivazioni più forti sono quelle personali, sono le pressioni interne, come il
desiderio di una maggiore soddisfazione nella vita, la qualità della vita, ecc.

Il formatore vede quindi modificato il suo ruolo: viene identificato come un facilitatore, un consulente, una
guida, un accompagnatore che deve riuscire a coinvolgere le persone facendole partecipare senza però
forzarle. Deve sapere lavorare sulle soft skills e porsi “dietro le quinte” per lasciare la scena ai suoi discenti.

Conosce gli adulti, crea con essi un legame, li assiste e li accompagna nel diagnosticare gli obiettivi e nel
percorso di raggiungimento di questi facendo in modo che si crei un clima positivo e collaborativo. Cerca
inoltre di alimentare in essi motivazione e spirito di partecipazione, fa in modo di renderli consapevoli
dell’importanza del percorso che andranno ad affrontare dal momento che saranno loro stessi gli autori
della formazione.

IL GRUPPO DI STUDENTI

Normalmente, a eccezione dei corsi individuali, l’apprendimento avviene insieme ad altri compagni. Il
termine cooperative learning, letteralmente "apprendimento cooperativo", è una metodologia di
insegnamento che si realizza attraverso, appunto, la cooperazione degli studenti. Nel dettaglio si tratta di
un metodo didattico che consiste nella suddivisione degli alunni in piccoli gruppi e il raggiungimento di un
obiettivo comune. Nel portare a termine l'obiettivo, si favorisce l'apprendimento degli studenti attraverso
l'aiuto reciproco, il quale porta ad un miglioramento personale e ad un maggiore capacità di collaborazione
tra gli alunni.

In questa cornice, l'insegnante assume un ruolo di moderatore ed organizzatore delle attività, stimola
l'impegno di ognuno e favorisce una buona armonia all'interno del gruppo di studenti. Per quanto riguarda
gli obiettivi stabiliti egli fa in modo che vengano conseguiti attraverso una condivisione di conoscenze e
abilità da parte di tutti e tramite lo sviluppo di una buona capacità di risoluzione dei problemi (problem
solving).

Quali sono i vantaggi che si possono ottenere attraverso l'utilizzo della cooperative learning? Rispetto
all'insegnamento tradizionale, il cooperative learning presenta i seguenti vantaggi:
 Migliori risultati degli studenti = tutti gli studenti lavorano di più e con risultati migliori, sviluppano
maggiori capacità di ragionamento e di pensiero critico
 Relazioni più positive tra gli studenti = gli studenti comprendono l'importanza dell'apporto del
singolo per il raggiungimento dell'obiettivo e sviluppano pertanto il rispetto reciproco e lo spirito di
squadra
 Maggiore benessere psicologico = gli studenti sviluppano un maggiore senso di autostima,
sopportano meglio le difficoltà e lo stress.
Gestione di gruppi disomogenei

Alcuni gruppi classe possono caratterizzarsi per la presenza di disomogeneità dovuta a diversi fattori, fra
cui il cui il livello e la natura delle competenze possedute dal singolo, nonché la diversa provenienza sociale
e culturale. Possibili ipotesi di gestione di gruppi disomogenei sono le seguenti:

- variare attività, con un’alternanza equilibrata, per coprire tutte le abilità e per permettere a tutti di
fortificare quanto già sanno o di scoprire qualcosa di nuovo, attraverso tipologie di esercizi che attivano stili
cognitivi diversi. Occorre cioè far in modo che ogni studente trovi qualcosa di adatto a lui/lei nell’arco della
lezione e sfidi sé stesso/a e si metta in gioco in quello che di solito è portato ad evitare;

- attività a tempo, ogni attività deve andare da un minimo di 20 minuti ad un massimo di 40 minuti;

- cambiare le coppie ed i gruppi, costantemente, dimodoché si abbia meno probabilità che si formino
conflitti e si offra l’opportunità a tutti di confrontarsi e di imparare dal compagno;

- unità didattiche brevi. A volte per sfruttare tutte le risorse di un brano vengono proposte attività
ripetitive e noiose che demotivano lo studente e lo rendono impermeabile all’acquisizione. L’unità
didattica, la vedo più tematica; può essere trattata in modo discontinuo, lasciata e poi ripresa, in modo da
avere una continuità nella discontinuità, come meglio chiarisco nel prossimo punto.

- ciclicità, ovvero un percorso didattico a spirale, che permette di ritornare più volte sullo stesso testo, per
acquisirlo in maniera più solida. Riproponendo la stessa lettura, per esempio, a seguito di un’attività di
comprensione e allo scopo di un’operazione di analisi, si memorizzano il vocabolario e le strutture.
Riproporre un role-play può servire a stratificare l’appreso.

- precisione nelle consegne, l’insegnante deve dare istruzioni precise su come si svolge un’attività, pena
obiezioni, incomprensioni e malcontenti.

- compiti a casa, ogni giorno si danno attività metalinguistiche, graduate, in modo che gli studenti abbiano
del tempo a disposizione per studiare da soli, secondo i propri ritmi.

Non chiedere mai “Avete capito?”

Ogni volta che si chiede agli studenti “Avete capito?”, avrai probabilmente notato che raramente ottieni
una risposta reale. Quindi ti troverai o ad andare avanti senza che loro abbiano capito e prima o poi finirai
per ripetere quello che hai già detto. Invece, poni delle domande focalizzate a far emergere la mancanza di
comprensione oppure chiedigli di spiegare a parole loro cosa hai detto.

A questo punto hai due opzioni: possono direttamente dirlo a te oppure svolgere un rapido Think-Pair-
Share (TPS), letteralmente "pensa-coppia-condividi". Questa è un’attività di apprendimento collaborativo
in cui gli studenti lavorano insieme per risolvere un problema o rispondere a una domanda. Questa
strategia presuppone che gli studenti debbano pensare a qualcosa in modo individuale prima di sistemarsi
a coppie e condividere le loro idee. Discuterne con un partner massimizza la partecipazione, focalizza
l’attenzione e coinvolge gli studenti.

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