Sei sulla pagina 1di 6

L’ARTE NELLA DISABILITA’, LA DISABILITA’ NELL’ARTE

Il concetto di disabilità ha subìto nel corso della storia dell’umanità una lunga evoluzione, passando
per continue ridefinizioni che hanno seguito di pari passo lo sviluppo delle società.
Il modello di lettura di questa categoria a lungo predominante è stato certamente quello medico,
che si concentra esclusivamente sull’aspetto biologico, sulla menomazione dell’individuo, mentre
successivamente, quello sociale sottolinea le difficoltà riferite all’ambiente e legate ai pregiudizi,
oltre che le limitazioni nelle opportunità sia in ambito scolastico che lavorativo.
Se si ripercorre la storia, ci si accorge che la medesima condizione che oggi ricade sotto la
categoria di disabilità, in passato poteva non essere considerata disabilità.
In questo contesto, c’è da fare una riflessione su come la società si interfaccia con la disabilità e su
come questo approcciarsi evolve con il passare del tempo, con l’emanazione di leggi a tutela dei
disabili, con l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma soprattutto, con l’abbattimento di
barriere mentali.
La disabilità non è soltanto la condizione in cui una persona si trova a dover affrontare delle difficoltà
causate da una menomazione fisica o mentale, ma investe vari aspetti della vita sociale, politica e
culturale. Fortunatamente l’identità del disabile è cambiata con il trascorrere del tempo: da uomo
mandato sulla terra come punizione degli dei a giullare nelle corti rinascimentali, a malato incurabile
nell’ottocento fino ad arrivare a un passato alquanto recente, durante il periodo nazi-fascista 1,
quando i disabili venivano considerati “persone che non meritavano di vivere”, quando, quindi, il
potere era nelle mani di persone “inabili al pensiero” vittime di stereotipi e di retaggi culturali. Ci
sono voluti decenni di lotte, di dimostrazioni di capacità, studi sulla disabilità con la rivendicazione
di leggi per migliorare la dimensione sociale delle persone disabili, per arrivare a una maggiore
inclusività. Eppure, nonostante questo, lo sguardo di chi non ha vissuto direttamente la disabilità,
ma anzi la ignora, è ancora spesso legato alla compassione ed al pietismo: si è ancora molto lontani
dal considerare una persona disabile come un soggetto con una propria identità sociale, che
nonostante le difficoltà ha il diritto e il dovere di vivere in società e di esprimere le proprie capacità,
le proprie emozioni.
La storia dell’arte, in quanto sentire dell’uomo, può essere di grande aiuto all’uomo al fine di
ricostruire questo percorso di evoluzione del concetto di disabilità. Nel corso della storia dell’uomo,
infatti, ogni società, in base anche alla propria cultura, ha elaborato una sua visione della disabilità.
Studiare e capire la disabilità attraverso le espressioni artistiche passate e contemporanee può dare
il senso di come l’arte possa influire positivamente sul pensiero collettivo: la vita e le opere di artisti
disabili possono portare, come risultato, una maggiore inclusività sociale.
L’esclusione può essere rappresentata facendo riferimento al concetto delle ”barriere”: queste
impediscono o limitano l’accesso alla completa partecipazione sociale; le barriere non sono
ovviamente solo quelle architettoniche, ma anche quelle derivanti dal pregiudizio con cui ogni
diversità si trova a fare i conti. Il pregiudizio nei confronti dei disabili viene alimentato soprattutto
da un insieme di credenze negative e stereotipi che spingono a trattare il disabile come un soggetto
non completo, a metà, inducendo in noi senso di colpa, imbarazzo ed un certo pietismo ogni qual
volta ci ritroviamo di fronte ad esso. Quasi come se ci rapportassimo alla sua malattia e non alla
persona che abbiamo davanti. Ed è proprio tale dinamica che priva il disabile di costruire la propria

1
https://ecointernazionale.com/2020/03/lestetica-della-disabilita-svelata-nellarte/
identità in pieno, perché ognuno di noi si percepisce solo rapportandosi all’altro, nello spazio sociale,
in cui il proprio mondo interiore viene legittimato ed accolto.
Vi è però un ”luogo” che si sottrae ai pregiudizi, agli stereotipi, ai canoni della “normalità”, in cui
tutte le diversità, sia quelle fisiche che quelle psichiche, trovano piena accoglienza ed espressione:
quello dell’Arte.
Nella concezione artistica generale, la storia dell’arte è legata all’idea, del bello: l’arte sinonimo di
bellezza.
Io sostengo, invece, che l’arte è sì sinonimo di bellezza, ma è, anche e forse soprattutto, espressione
della vita intesa in tutte le sue sfaccettature, compresa la diversità, la malattia, la morte.
E’ in questo contesto che gli esempi di artisti famosi possono servire ad accrescere il senso di
autostima, di appartenenza, di inclusività delle persone disabili.
Moltissime sono le espressioni della disabilità nell’arte tutte tese a raccontare “una storia attraverso
le immagini”, alcune devianti, provocatorie, ma anche realistiche; tutte diverse ma accomunate da
uno stesso denominatore: la volontà di rappresentare la disabilità in una società in cui la cultura
dominante fa riferimento a persone non disabili.
Per questo motivo credo che conoscere le vicende biografiche di alcuni artisti possa servire alla
riflessione e alla discussione circa il rispetto, l’accettazione e l’integrazione delle “alterità”.2
Artisti di ogni epoca hanno rappresentato nelle proprie opere le deformità del corpo e della mente,
non solo di altri, ma anche proprie, mostrando come la disabilità sia soltanto una delle diverse
forme, delle molteplici manifestazioni, con cui l’uomo si trova a vivere in questo mondo e come sia
soltanto negli occhi di chi guarda quella lente deformante che impedisce di vedere in quei soggetti
rappresentati persone, prima che malati” 3. Di seguito, alcuni esempi.
Robert Fleury dipinse il medico Pinel tra gli alienati di un manicomio nell’atto di togliere loro le
catene con cui nell’ottocento si era soliti legare il collo e gli arti inferiori dei pazienti psichiatrici,
restituendo così alla malattia mentale nuova dignità.
Vincent Van Gogh, il cui genio fu sempre in relazione alla malattia mentale, durante la sua breve e
intensa vita, conclusasi con il suicidio all’età di 36 anni, espresse nelle suoi dipinti tutto il flusso
interiore che lo pervadeva, flusso soffocato tra i cosiddetti “normali” e che lo portò al manicomio,
trasformando tale flusso in pennellate fluenti e intense, come quelle della famosissima “Notte
stellata”. 4 Il periodo in Provenza fu il più prolifico, dal punto di vista artistico, durante tale perioodo
completò circa 150 opere nell’arco di un solo anno. In una lettera che scrisse al fratello Theo nel
1888, definì la pittura l’antidoto alla propria follia.
Alberto Savinio, fratello del più noto Giorgio De Chirico, era affetto dalla sindrome di Asperger, che
costituisce una forma attenuata di autismo 5. Secondo alcuni studiosi la sua pittura risulta ricca di
errori ottici, significati simbolici, dipinti che rappresentano individui con sembianze animalesche e
contorni alle volte allucinatori.
Henry Matisse. Quando l’artista francese capisce di avere oramai una ridotta mobilità, di essere
costretto a stare in carrozzina o per lunghi periodi al suo letto, comprende anche di non poter più
dipingere. Cambia, allora, prospettiva dando vita a una nuova stagione artistica 6.
Meravigliosa.

2
https://www.diariodellarte.it/arte-disabilita/
3
https://www.eventiculturalimagazine.com/arte-e-cultura/la-disabilita-nellarte/
4
https://www.eventiculturalimagazine.com/arte-e-cultura/la-disabilita-nellarte/
5
https://www.docsity.com/es/modelli-sociali-della-disabilita-26/8371324/
6
https://www.diariodellarte.it/arte-disabilita/
Si ingegna nel ritagliare forme nella carta, a creare collage in colori vivissimi. Questi lavori, sono
conosciuti col nome di Cut-Outs. Comprende di dover trasformare quella grande limitazione in una
felicità creativa alternativa. Era sempre stato un grande amante del mare, gli mancava poter anche
solo guardare le persone che nuotavano. Quando aveva ormai 82 anni decise di farsi accompagnare
dalla sua assistente a Cannes per osservare il mare e le persone che lì nuotavano . Il caldo, però, era
soffocante e i due furono costretti a tornare a casa. Non potendo più andare al mare pensò di
circondarsene. Appena a casa pensò di costruirsi da solo il proprio ambiente marino. Con una carta
blu brillante iniziò a ritagliate onde e nuotatori dalle forme sinuose e poi appese queste figure alle
pareti della stanza. Un’opera stupenda che oggi si può vedere al MoMA di New York.
Frida Kalo. Una vita segnata dalla malattia. Eppure è diventata un’icona dell’arte mondiale. A
seguito di un grave incidente stradale a 18 anni resta paralizzata per la compromissione della spina
dorsale e contestualmente perde la possibilità di avere figli.
Questa condizione la costrinse all’immobilismo totale e l’arte fu la sola compagnia della sua giovane
vita. Attraverso l’uso di specchi osservava quasi sempre solo se stessa e per tale ragione cominciò a
dipingere sempre lo stesso soggetto: il suo corpo. Nonostante la sua disabilità, che faceva di lei una
donna lontana dai parametri di persona sana e normale è diventata un’artista tra le più importanti
del novecento e un’icona dell’emancipazione femminile.
Henri de Toulouse-Lautrec, fu il pittore francese che realizzò i celebri manifesti del Moulin Rouge e
Le Chat Noir, che divennero i locali simbolo della vita notturna parigina, nel quartiere di Montmartre
dove di li a poco si sarebbe installato Picasso e avrebbe dato luogo a quella fucina di arte, bellezza,
creatività che avrebbe contraddistinto gli anni a venire. Toulouse-Lautrec dipinse però anche il suo
corpo deforme. Egli era affetto da acondroplasia, malattia che non consente la crescita degli arti e
quindi determina il nanismo. Il celebre autoritratto è realizzato senza indulgenze ed abbellimenti: è
uno spietato ritratto che sarà usato come documento medico per spiegare la sindrome che da lui
prenderà il nome. Ancora un corpo disabile. Ma ancora una mente e un pennello che ne assicurano
la piena inclusione in quella fucina di idee e nuove concezioni artistiche che fu Montmartre 7.
Jean Dubuffet, nel 1945 definì con il termine “Art Brut”, che letteralmente significa Arte Grezza,
tutte le opere che erano realizzate da coloro che stanno ai margini della società, che vivono al di
fuori dei canoni di bellezza ed estetica ufficialmente riconosciuti. Cominciò a girare per gli ospedali
psichiatrici di tutta Europa e degli Stati Uniti e collezionò tantissime opere realizzate dai reclusi in
questi ospedali. Con esse realizzò la Collection del l’Art Brut di Losanna che diede vita nel 1976 ad
un anti-museo dove vennero esposte tutte le opere che nei musei tradizionali non potevano essere
esposte. Fu questa una grande provocazione con la finalità di scuotere le coscienze e di dare voce
ed espressione ad artisti che fino al allora erano considerati inabili a fare qualsiasi cosa.
Se in passato le disabilità venivano rappresentate nel loro crudo verismo, probabilmente per dare
dignità all’esistenza di questa “categoria” anche artisticamente emarginata, lontano da sfumature
emozionali e senza pretese estetiche, nell’attualità la musica cambia: per fare un esempio si può
evocare la bellezza di Aimee Mullins, un’atleta paraolimpica che fa l’attrice in Cremaster 3,una serie
cinematografica dell’artista Matthew Barney 8.
Altri artisti come Barney decidono di osare uscendo fuori dai consueti canoni che vedono
protagonisti modelli di bellezza stereotipata. 9 L’artista Marc Quinn ne è un esempio. Egli indaga su
un’altra percezione di bellezza: piacere estetico e immaginazione lasciano spazio ad altre sensazioni

7
https://www.diariodellarte.it/arte-disabilita/
8
https://ecointernazionale.com/2020/03/lestetica-della-disabilita-svelata-nellarte/
9
https://ecointernazionale.com/2020/03/lestetica-della-disabilita-svelata-nellarte/
quali la provocazione e l’indignazione, che diventano pilastro dell’arte contemporanea e con cui
molti devono ancora fare i conti, in quanto li dichiarano inaccettabili. Le più prestigiose scuole di
pensiero insegnano che l’arte deve essere bella, soprattutto se si ispira alla classicità deve recare
serenità, chiarezza, limpidezza. Marc Quinn sfida queste scuole di pensiero ritenendole intrise di
luoghi comuni e crea la serie “The Complete Marbles”. Sono rappresentazioni di persone affette da
malformazioni fisiche ispirate a modelli classici antichi in una dimensione poetica oscillante tra il
disturbante, l’esecrazione e il sublime. A questa serie appartiene la statua, alta 3 metri e mezzo e
pesante undici tonnellate, in marmo bianco di Carrara della pittrice focomelica Allison Lapper,
sicuramente la più famosa in quanto esposta nel 2005 a Trafalgar Square. 10
Allison è rappresentata così com’è nella realtà, il suo corpo, “deformato” dalla malattia, è un corpo
senza gambe e senza braccia. Ma è un corpo sicuramente eroico anche se a metà. Ed è eroico
soprattutto perché Allison è rappresentata nel momento più bello dell’esistenza di una donna,
quando ha in grembo una vita, momento che se è miracoloso per tutte lo è ancor di più per Allison:
quel pancione esalta il suo coraggio, la sua energia, la sua bellezza.
La Lapper apprezzerà enormemente l’opera tanto d definirla “un tributo alla maternità alla
femminilità e all’handicap”.
La giovane artista Mari Katayama, stella della Biennale di Venezia del 2019 è affetta dalla nascita da
emimelia tibiale, una patologia che non consente lo sviluppo degli arti. A nove anni decide di andare
incontro a un epilogo volontario e angosciante: l’amputazione delle gambe per non esser costretta
su una sedia a rotelle ma tentare un altro modo per stare in piedi. C’è voluto un anno per imparare
a camminare con le protesi e questa situazione ha inoltre attirato l’ignorante ilarità dei giovani che
hanno fatto di lei la vittima del loro bullismo. Non le resta altro che richiudersi in casa dove Mari
inizia a dar vita ai suoi autoritratti con indosso una parrucca bionda, alla stregua di una
contemporanea Frida Kalo.
Inizia sul suo corpo un lavoro di cesello: con pizzo, conchiglie, cristalli, intarsi e ricami, riesce a creare
protesi diverse, luccicanti, artistiche che diventano estensioni dei suoi arti, per poi infine
fotografarli 11. Diventa protagonista delle foto che lei stessa realizza e diventa scultura vivente. Il più
delle volte si mostra senza protesi come il destino ha deciso per lei mostrandosi così nella sua
natura. Lei è artista per necessità: farsi guardare così com’è è l’unico modo per scoprire meglio sé
stessa. Quello che regala attraverso i suoi scatti non è angoscia o tristezza, non è pietà per una
giovane ragazza. In quegli scatti lei è solenne e austera e il suo sguardo è seducente, erotico. E vero.
E’ un concetto di bellezza diverso da quello cui siamo abituati, dove la perfezione è senza difetti,
senza cicatrici e tutto deve brillare per essere affascinante, ma lei si rende appetibile, come le sue
paillette, le sue conchiglie, i suoi lustrini, facendo diventare le sue imperfezioni perfette, facendo in
modo di focalizzare l’attenzione non sulla bellezza in se ma sul valore che questa ha, se si superano
beceri clichè. Ciò ci fa capire che la disabilità non è un limite: il limite esiste soltanto negli occhi di
chi osserva e soprattutto nella mente di chi non pensa.
Diverso il discorso della fotografa Diane Arbus la quale, attraverso le sue foto vuole cogliere proprio
quelle sfumature che prima venivano accantonate: niente paillettes e lustrini per i protagonisti delle
sue opere, uomini e donne fino ad allora considerati “personaggi”, fenomeni da baraccone ai quali
la loro diversità ha tolto la connotazione di persona 12.

10
https://ecointernazionale.com/2020/03/lestetica-della-disabilita-svelata-nellarte/
11
https://ecointernazionale.com/2020/03/lestetica-della-disabilita-svelata-nellarte/
12
https://ecointernazionale.com/2020/03/lestetica-della-disabilita-svelata-nellarte/
Persone con disabilità, quali nani, giganti, giovani ragazzi affetti da sindrome di Down sono
fotografati cogliendoli nel loro quotidiano, nei momenti più intimi della loro vita privata. La Arbus
sa che prima di essere foto sta parlando di esseri umani e con loro cerca di instaurare un rapporto
di amicizia, un legame personale. Sa che solo così sarà in grado di cogliere le sfumature più
impercettibili, i dettagli più veri e quindi di essere in grado di proporre un’immagine più poetica, più
emozionante, più intima, per quanto più scomoda e cruda, del soggetto.
Le sue foto rappresentano un manifesto della diversità che diventa lotta alla discriminazione. Fanno
vedere tutto quello che in molti non desiderano vedere, tutto quello che molti dicono che non
esiste. In questo modo ci spingono a partecipare ad una realtà diversa ma che esiste e che
dovremmo sempre, in ogni contesto della vita sociale sforzarci di comprendere e di indagare.
Nell’ambito di questa riflessione, assolutamente degno di nota è il lavoro svolto dall’artista Felice
Tagliaferri, uno scultore non vedente che ha intrapreso dalla fine degli anni ’90 un percorso artistico
particolarmente soggettivo che egli stesso riassume in uno slogan molto incisivo che recita: “Dare
forma ai sogni”. Le sue sculture sono infatti riproduzioni di opere che egli non può vedere, egli le
vede nella sua mente e poi da loro forma attraverso il miracoloso uso delle mani dotate di una
incredibile capacità tattile. Felice Tagliaferri padroneggia abilmente i più svariati materiali: legno,
pietra, marmo, creta. Possiede tecniche estremamente specifiche per lavorare qualsiasi materiale:
per lavorare il marmo imprime grande vigore, se modella la creta lo fa con delicatezza e gentilezza.
L’aspetto tattile è il punto di forza della sua tecnica: bisogna toccare le sue creazioni per apprezzarne
dettagli che non sono colti con la semplice osservazione visiva. La sue creazioni sono essenzialmente
figurative e la finalità che le caratterizza è stata definite dagli esperti un’”arte sociale”.
E’ un artista che si è imposto nel panorama internazionale perché le sue opere hanno un’enorme
potenza espressiva. L’artista cesenate con la manipolazione tattile del marmo riproduce statue
legate al mondo religioso e statue che descrivono la fragilità umana. Le sue mani sono capaci di
tradurre nel marmo quello che non può vedere con gli occhi, la sua capacità di percepire attraverso
le mani tutte le sfumature dell’opera che vuole riprodurre fa in modo che egli conferisca ad esse un
dato preciso e praticamente uguale all’opera originale.
La sua opera più interessante e famosa è sicuramente il “Cristo RiVelato”, che rappresenta una
rielaborazione della meravigliosa scultura di Giuseppe Sanmartino che si può ammirare nella
cappella San Severo a Napoli.
Questa scultura nasce come una denuncia, perché all’artista, in visita a Napoli, fu negata la
possibilità di toccare il “Cristo velato”. La rabbia scaturita da questo diniego, fece nascere in lui il
desiderio di riprodurne una copia, nonostante la complessità dell’opera. Tagliaferri si è fatto
descrivere il “Cristo velato” centimetro per centimetro, perché, come afferma lo scultore stesso,
“chi vede con gli occhi vede l’insieme e solo successivamente coglie i dettagli, mentre chi deve capire
dalle mani deve partire dai dettagli, che poi mette insieme come i pezzi di un puzzle, e solo così può
ricostruire l’immagine intera”. Trascorse tre giorni a farsi descrivere minuziosamente il “Cristo
velato”, dopodichè realizzò un piccolo bozzetto in creta di trenta centimetri, successivamente
comprò quattro tonnellate di marmo e si mise all’opera. Impiegò due anni e, finalmente, nel 2010
il “Cristo RiVelato” era stato realizzato. E’ stato definito “RiVelato” nel senso di “velato per la
seconda volta” e “svelato alle persone non vedenti”.
In conclusione, possiamo quindi affermare che l’arte è uno dei mezzi che abbiamo a disposizione
per abbattere gli stereotipi verso i disabili. L’arte non si lascia imbrigliare dalle catene del
pregiudizio, ma tutto ciò che riguarda l’uomo la riguarda, è per questo che accoglie in se tutto
dell’uomo anche le sue miserie e le sue malattie. Le opere prodotte da artisti con disabilità o che
descrivono la vita dei disabili, il loro isolamento, il loro sentirsi esclusi dalla vita sociale, ci pongono
nella condizione di osservatori che stanno ai confini di questa realtà, spesso ci voltiamo dall’altra
parte per non vedere, per non sentire il dolore di chi si sente escluso, ma proprio l’arte ci costringe
a fare delle incursioni nelle loro realtà e ad apprezzarne il mondo variegato e stupefacente che
vogliono esprimere.

Potrebbero piacerti anche