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Il 24 agosto 410 Alarico e i suoi Goti entrarono a Roma da Porta Salaria. Trovarono la via
aperta e non ebbero bisogno di combattere. Si gettarono con furia sulle strade della città,
avidi di bottino e di facili prede. Chi aprì loro la porta? Chi li aiutò? Non lo sappiamo,
troppo esigue le nostre fonti. Sappiamo però che quei tre giorni furono l'esito di un
confronto tra impero e goti che durava da decenni: una delle numerose grandi migrazioni
di popoli dalle steppe asiatiche al cuore di un impero che appariva promettente; una lotta
disperata per la sopravvivenza o l'annientamento.
La storia inizia in Tracia, alla fine del 376, sulle rive del Danubio gonfio di pioggia.
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delle truppe romane, portò i Goti a Marcianopoli, dove furono fatti accampare, ma gli fu
impedito di acquistare cibo. Di nuovo i capi goti supplicarono dichiarandosi sottomessi e
in pace con l’impero, ma invano. Fu l’inizio degli scontri tra gli abitanti della città e i Goti.
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rispetto di Roma, non erano più supplici o profughi, ma avevano una loro autonomia ed
erano comandati dai loro capi; le tesse loro assegnate erano prob esenti da tasse. I Goti
rappresentavano ora un’enclave politica e culturale all’interno dell’impero: era aperta la
strada verso i regni romano-barbarici.
settembre 394 – i Goti federati accompagnarono, secondo i patti, Teodosio in una
marcia verso il nord Italia contro l’usurpatore Eugenio, e ne costituirono l’avanguardia.
Teodosio trionfò, ma i Goti caddero in 10.000, dimostrando col sangue la loro fedeltà al
principe.
Anche nel privato Teodosio fu coerente con questa linea: fece sposare Serena, sua
figlia adottiva, ad un semibarbaro di stirpe vandalica: Stilicone, a cui offrì comandi e onori.
A lui, prima di morire nel 395, affidò per testamento la tutela dei due figli Arcadio e
Onorio. Arcadio sposò Eudossia, principessa franca, e Galla Placidia sposerà il goto Ataulfo.
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saccheggio pagando un ingente riscatto e dovette ospitare i goti per qualche tempo),
Corinto, Argo, Sparta. Poi i barbari sembrarono intenzionati a stabilirsi nel Peloponneso,
area protetta da montagne e vicino al mare. Nel 397 Stilicone sbarcò nel Peloponneso e di
nuovo accerchiò i Goti, ma di nuovo trovò un accordo con Alarico: per la terza volta
Silicone ebbe in pugno il destino di Alarico e della sua gente, e per la terza volta rinunciò
all’annientamento e li lasciò liberi.
I Goti allora si diressero in Epiro e lo misero a ferro e fuoco: Arcadio inviò
ambasciatori per trattare la pace. Così, nel 397 i Goti ottennero un nuovo foedus : fu
concesso loro di stabilirsi in Macedonia e Alarico divenne dux per Illyricum , dunque
ufficiale superiore dell’esercito imperiale, con autorità sui foederati stanziati nella regione.
Alarico consolidava la su posizione di rex dei Goti e il suo ruolo di mediatore tra le
esigenze della stirpe gotica e gli interessi dell’impero di Roma.
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La svolta: l’assassinio di Stilicone (22 agosto 408)-
Nei piani di Stilicone, Alarico avrebbe ricevuto l’oro; in cambio si sarebbe allontanato dai
confini Italiani. Ma non ci fu tempo per questi propositi: scoppiò a Ticinum (Pavia) una
sommossa guidata da Olimpio contro Stilicone: le truppe romane trucidarono tutti i
dignitari amici di Stilicone al seguito dell’imperatore Onorio. Fu l’esplosione improvvisa
di un odio che aveva radici lontane: il bersaglio non era solo l’immenso potere di Stilicone,
ma il risentimento verso i barbari che occupavano posti di rilievo nella gerarchia militare.
Tutta la società era percorsa da un sentimento antibarbarico e si ribellava alla politica di
apertura verso i barbari.
Stilicone allora, rifiutò di marciare contro i rivoltosi e, preoccupato per Onorio, si recò a
Ravenna, da solo accompagnato da pochi seguaci per incontrare il principe e convincerlo a
destituire il partito di Olimpio, prima di procedere alla repressione della rivolta: era
l’unico modo per evitare altri massacri.
La sua decisione di non muovere truppe barbariche contro quelle romane fu un
segno di grande coerenza politica e di nobiltà d’animo. Una guerra tra romani e barbari
avrebbe tradito l’eredità del suo benefattore Teodosio e avrebbe vanificato anni di
governo rivolti all’unità dell’impero e alla pacificazione tra le genti.
Così Stilicone giunse di notte a Ravenna e venne a sapere l’ordine imperiale del suo
arresto. Si ritirò allora all’interno di una chiesa, mentre i suoi seguaci assistevano attoniti
agli eventi. Quando era ormai giorno, un drappello di soldati fece irruzione nella chiesa.
Al cospetto del vescovo i soldati convinsero Stilicone a uscire che avevano un ordine di
custodia del prigioniero. Appena uscita fu estratta una lettera che proclamava Stilicone
condannato a morte per crimini contro lo stato. Con grande dignità offrì il collo al
carnefice, pur di evitare un sanguinoso scontro tra barbari e Romani.
Fu decapitato il 22 agosto 408. Finiva nel sangue il sogno di Teodosio di pacifica
convivenza tra romani e barbari.
Un inutile massacro –
Pagarono anche i familiari e gli amici di Stilicone: suo figlio Eucherio fu condannato a
morte, sua figli Termantia imperatrice fu ripudiata da Onorio; illustri e potenti dignitari,
legati a Stilicone, subirono processi sommari e atroci torture prima di essere giustiziati.
In viaggio verso Ravenna, Stilicone aveva ordinato alle guarnigioni delle città di prendere
in custodia le famiglie dei soldati barbari. Questo aveva indotto i foederati alla
moderazione e alla calma. Alla notizia della morte del magister, le guarnigioni romane
massacrarono le mogli e i bambini dei soldati barbari che erano stati loro affidati e si
impossessarono di tutti i loro beni. Così tutte le milizie barbariche al servizio di Onori
disertarono e passarono dalla parte di Alarico.
Dopo la morte del magister si consumò in Italia una lacerazione profonda,
un’epurazione violenta dei barbari al servizio dell’impero. Alarico emerse come guida
carismatica e rifugio di tutti i barbari e i perseguitati del regime di Onorio. La lotta dei Goti
per l’integrazione nell’impero assunse un significato politico e culturale più grande, nella
drammatica contrapposizione tra romani e barbari.
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La difficile mediazione di Alarico –
Stilicone aveva sempre risparmiato i goti e la sua morte creava un vuoto pericoloso:
veniva a mancare il mediatore sul versante romano, tanto più che al potere era adesso il
partito antibarbarico che Onorio appoggiava. Alarico non possiamo immaginarcelo come
un barbaro sfrenato e sanguinario: si trovava ora a gestire oltre che le vitali esigenze del
suo popolo, anche i barbari che erano stati al servizio dell’impero e che, dopo il massacro
delle loro famiglie, confluivano pieni di odio e assetati di vendetta agli accampamenti dei
goti. Alarico continuava ad avere i suoi obbiettivi: terra, riconoscimento imperiale, pace e
riformulò al nuovo governo le sue richieste, propose uno scambio di ostaggi, si mostrò
disponibile a insediarsi in Pannonia. Ma Onorio e il suo ministro Olimpio rifiutarono
sprezzanti. Allora Alarico, abbandonando la diplomazia, decise di marciare contro Roma.
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si impegnavano a fornire foederati per le guerre dell’imperatore contro i suoi avversari.
Onorio sembrò dare il suo assenso e Alarico tolse il blocco. Le porte della città si aprirono
e fu concesso di acquistare viveri e beni di prima necessità in un mercato che durò 3
giorni. I goti si diressero verso l’Etruria, insieme a 40.000 schiavi che abbandonarono i loro
padroni e recuperarono la libertà unendosi ai Goti, nella speranza che Alarico preludesse
al sovvertimento di un ordine sociale.
Estate 409 -
Onorio e i suoi ministri rifiutarono le pur moderate offerte di Alarico e gettarono su Roma
il fardello dell’ira gotica. Nella tarda estate del 409 Alarico era di nuovo davanti alle mura
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di Roma. Di nuovo Alarico, prima di passare alle armi, proseguì la sua pressione
politica e diplomatica. Durante le trattative l’accampamento di Alarico fu
inaspettatamente attaccato da 300 guerrieri al comando del goto Saro che stava regolando i
conti con Ataulfo. Alarico pensò che fosse un attacco proditorio e aprì la strada della
vendetta e del castigo di Onorio e dei Romani.
I goti si abbatterono sulla città come una tempesta, tutti corsero a nascondersi e si chiusero
nei grandi palazzi nobiliari, nelle insulae, nelle chiese. Fu una razzia indiscriminata,
condotta senza regole e con scarsa possibilità di controllo da parte di Alarico e dei suoi
comandanti subalterni: terrore e caos, questo raccontano tutte le fonti. La furia dei barbari
si abbattè sugli edifici pubblici, sui monumenti più splendidi della città, nei palazzi delle
grandi famiglie, dove i barbari pretendevano oro e argento, pena morte e incendi. Fu
investito il Templum Pacis, dove furono portati via i preziosi cimeli del trionfo sugli Ebrei a
Gerusalemme: il candelabro a 7 bracci, il tesoro di re Salomone. Ancora un secolo dopo
questo immenso bottino faceva parte del tesoro regio del regno visigoto.
Pur nel caos, i beni più preziosi o simbolicamente più prestigiosi erano destinati ad
Alarico: nell’ottica della traslatio imperii, per un capo che aspirava a fondare un suo regno
riconosciuto dall’impero romano, il possesso del tesoro dell’ultimo re di Israele rivestiva
un grande valore simbolico.
Poi toccò alle due grandi basiliche del Foro, la Aemilia e la Iulia che ospitavano gli scambi
finanziari e le attività bancarie della città. Qui prob le tavole dei banchieri erano piene di
monete, a giudicare dal pavimento dove si fusero con l’incendio. Danni anche all’aria
adiacente alla Curia (Alarico voleva colpire il Senato); poi il Campo Marzio, l’Anfiteatro
Flavio, la via Caelimontana, piena ville e residenze dell’aristocrazia senatoria. E prob che i
saccheggiatori siano stati guidati dai molti schiavi che nel 408 avevano lasciato i loro
padroni per unirsi all’esercito di Alarico. Fu inoltre asportato il prezioso fastigio di statue
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d’argento che Costantino aveva donato alla basilica di S.Giovanni Laterano alla sua
fondazione, per un totale di 662 kg di argento.
I Goti uscirono dalla città con un immenso bottino: oro, metalli preziosi, tesori inestimabili
trafugati da palazzi, templi, chiese e ostaggi di altissimo rango, come la principessa
imperiale Galla Placidia, sorella di Onorio, e Attalo, l’ex usurpatore e cittadini privati
portati via come schiavi e che furono liberati dopo molti anni.
Dopo 3 giorni i Goti abbandonarono Roma da Porta Aurelia e ripiegarono verso sud,
lungo l’Appia che portava a Capua.
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baluardo per la salvezza dei romani: non era stato Giove Ottimo Massimo a vegliare sulla
difesa della città, ma Pietro e Paolo. Sotto gli occhi di tutti, anche dei pagani che pur di
sfuggire alla morte si erano rifugiati nei luoghi sacri, la Roma cristiana prevaleva sulla
Roma pagana.
Era la fine di un mondo, del mito che stava al centro di quel mondo, la grandezza e
la potenza di Roma che dopo 800 anni di ascesa inarrestabile, trovava il suo tramonto:
tramontava la Roma pagana dei cesari e delle antiche divinità che per secoli avevano
protetto la città e la sua ascesa a impero mondiale. La maestà di questa Roma, le sue
antiche certezze di sicurezza, eternità, vittoria furono spazzate via dal sacco e non
tornarono più.
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