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Livio ab urbe condita

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Ascanio, il figlio di Enea, non era ancora maturo per comandare; tuttavia il potere rimase intatto finch? egli
non ebbe raggiunto la pubert?. Nell'intervallo di tempo, lo Stato latino e il regno che il ragazzo aveva ereditato
dal padre e dagli avi gli vennero conservati sotto la tutela della madre (tali erano in Lavinia le qualit?
caratteriali). Non mi metter? a discutere - e chi infatti potrebbe dare come certa una cosa cos? antica? - se sia
stato proprio questo Ascanio o uno pi? vecchio di lui, nato dalla madre Creusa quando Ilio era ancora in piedi e
compagno del padre nella fuga di l?, quello stesso Julo dal quale la famiglia Giulia sostiene derivi il proprio
nome. Questo Ascanio, quali che fossero la madre e la patria d'origine, in ogni caso era figlio di Enea. Dal
momento che la popolazione di Lavinio era in eccesso, lasci? alla madre, o alla matrigna, la citt? ricca e
fiorente, e per conto suo ne fond? sotto il monte Albano una nuova che, dalla sua posizione allungata nel senso
della dorsale montana, fu chiamata Alba Longa.
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Con la distruzione di Alba, Roma si espande, raddoppia la sua popolazione. Il colle Celio viene
inserito nella citt e, per spingere la gente a sceglierlo come residenza, Tullo lo elegge a sede
permanente della reggia da quel momento in poi. La nobilt albana (Giuli, Servili, Quinzi,
Gegani, Curiazi e Cleli) ottenne nomine senatoriali, cos che anche quella parte dello Stato
potesse avere un incremento numerico. E come sede consacrata per questo strato sociale che
egli stesso aveva aumentato di proporzioni cre la curia, che continuava ad avere il nome di
Curia Ostilia ancora ai tempi dei nostri padri. E perch tutte le classi potessero crescere
numericamente grazie al nuovo popolo, arruol dieci plotoni di cavalieri, complet i ranghi
delle vecchie legioni e ne cre di nuove, sempre attingendo esclusivamente alle forze alleate.
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I consoli partirono dall'Urbe; prima Spurio Carvilio, a cui era stato dato il comando delle legioni
veterane che M. Atilio, console dell'anno precedente, aveva lasciate nella regione di Amiterno[4],
giunto nel Sannio mentre i nemici intenti alle loro pratiche superstiziose tenevano conciliaboli
segreti, prese loro d'assalto la citt di Amiterno: vennero uccisi circa duemila ottocento uomini, fatti
prigionieri quattromila duecento settanta. Papirio con un esercito di nuova leva, come era stato
decretato, espugn Duronia. Il numero dei prigionieri fu inferiore a quello del collega, alquanto
maggiore invece il numero degli uccisi: la preda conquistata fu abbondante in entrambe le citt. I
consoli poi, dopo aver saccheggiato il Sannio, specialmente la regione di Atina, si portarono l'uno,
Carvilio, a Cominio, l'altro, Papirio, ad Aquilonia dove erano concentrate le forze dei Sanniti.
Xxi 6
Con Sagunto non erano ancora aperte le ostilit, ma Annibale stava gi
provvedendo a seminare discordie con i popoli confinanti, soprattutto i Turdetani.
I Saguntini, rendendosi conto che i Turdetani erano sostenuti proprio da colui che
stava fomentando contrasti e che non si stava cercando la soluzione di una
controversia giuridica ma solo un pretesto per passare alla violenza, mandarono
ambasciatori a Roma per chiedere aiuto in previsione di un conflitto ormai
vicinissimo. Erano allora consoli a Roma Publio Cornelio Scipione e Tiberio
Sempronio Longo: essi introdussero gli ambasciatori in Senato, e successivamente
posero in discussione la situazione politica. Fu deciso di mandare degli
ambasciatori in Spagna per compiere un 'inchiesta sulle condizioni degli alleati.
Se la causa fosse sembrata legittima, gli ambasciatori dovevano intimare ad
Annibale di non toccare i Saguntini, alleati del popolo romano. Dovevano poi
trasferirsi in Africa, a Cartagine, per riferire le lamentele degli alleati del popolo
romano. Questa delegazione era ormai decisa, ma non ancora partita quando
giunse, inaspettata, la notizia che Sagunto era gi sottoposta ad assedio

Xxi 16
Pressappoco negli stessi giorni ritornarono gli ambasciatori da Cartagine i quali riferirono a Roma che ormai si
respirava ovunque aria di guerra e fu portata la notizia della strage di Sagunto. Un grande dolore afflisse i
senatori sia per piet? degli alleati indegnamente uccisi sia per la vergogna di non aver recato loro aiuto. E si
instaurarono un tale odio contro Cartagine e una tale paura per la sopravvivenza dello stato che sembrava
quasi che i nemici fossero alle porte. Gli animi, frastornati da tante emozioni simultanee, si lasciavano prendere
dalla paura invece che riflettere sul da farsi. Mai Roma, dicevano i senatori, aveva avuto a che fare con un
nemico pi? determinato e bellicoso, n? mai la situazione dello stato romano era stata tanto fiacca e tanto poco
preparata alla guerra. I Sardi, i Corsi, gli Istri e gli Illiri avevano pi? provocato che effettivamente messo alla
prova le armi romane. Quanto ai Galli, con loro c'erano stati scontri irregolari pi? che delle campagne militari
vere e proprie. I Cartaginesi, sostenevano sempre i senatori, erano invece nemici provati da ventitr? anni di
durissime e sempre vittoriose campagne militari tra le popolazioni ispaniche e avvezzi ad un comandante
esigentissimo: reduci dalla recente distruzione di una ricchissima citt?, ora stavano passando l'Ebro; stavano
coinvolgendo, dopo averli indotti alla ribellione, tantissimi popoli ispanici e si apprestavano a far risollevare
anche le popolazioni galliche sempre desiderose di impugnare le armi. Insomma i Romani stavano per scendere
in guerra contro il mondo intero: in Italia e in difesa delle stesse mura di Roma.
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Queste le parole che il console rivolse ai Romani. Annibale, convinto che i soldati andassero esortati pi? coi fatti
che con le parole, fece disporre l'esercito tutto intorno in modo che potesse vedere: ordin? che fossero
introdotti in mezzo dei montanari prigionieri ancora in catene, facendo poi gettare delle armi galliche davanti ai
loro piedi e chiedendo loro, per mezzo di un interprete, se qualcuno voleva combattere: sarebbero stati liberati
dalla catene e, in caso di vittoria, avrebbero ricevuto armi e un cavallo. Come un sol uomo, tutti chiesero le
armi e il combattimento: si dovette far ricorso al sorteggio e ciascuno desiderava di essere scelto dalla fortuna
per combattere. Quelli che venivano designati dalla sorte, tutti eccitati per le congratulazioni che ricevevano,
saltavano di gioia danzando come ? in uso tra quella gen- te e andavano a prendere le armi. Ad ogni
combattimento, l'atteggiamento non solo dei compagni ma anche di tutti gli spettatori senta distinzione alcuna,
era tale che veniva esaltata la sorte dei vincitori ma anche quella di chi sapeva morire con dignit?.
Xxii 7
Cos? si svolse la famosa battaglia del Trasimeno, una sconfitta che ha pochi eguali nella storia del popolo
romano. In combattimento caddero quindicimila romani; altri diecimila, sparsi in fuga chi per una strada chi per
un'altra, attraverso tutta l'Etruria cercarono di raggiungere Roma. Tra i nemici duemilacinquecento caddero in
battaglia ma in seguito, per le ferite riportate, ne morirono molti altri. Qualche storico riferisce che il numero
delle perdite fu molto maggiore per entrambi gli eserciti. lo non voglio lasciarmi andare senza fondamento ad
esagerazioni cui troppo spesso incli- nano gli animi degli autori e oltre a ci? io considero pi? autorevole la
testimonianza di Fabio, contemporaneo agli eventi di quella guerra Annibale lasci? andare senza esigere riscatto
i prigionieri di nazionalit? latina, mentre gett? in catene i Romani. Diede anche ordine di seppellire i corpi dei
suoi soldati, dopo che fossero stati separati dai mucchi di nemici accatastati e si diede anche molto da fare per
cercare il corpo di Flaminio cui voleva dare sepoltura, ma non gli riusc? di trovarlo.

Xxii 14
Allora prese la parola Minucio: "Siamo venuti qua per dare gioia ai nostri occhi, osservando lo spettacolo delle
stragi e degli Incendi che subiscono i nostri alleati? Come ? possibile non provare vergogna, non dir? di fronte
ad altri, ma nemmeno davanti a questi concittadini che i nostri antenati hanno mandato come coloni a
Sinuessa, perch? questo litorale fosse protetto dal nemico sannita? E ora a mettere a ferro e fuoco ogni cosa
non ? il vicino sannita, ma il cartaginese straniero, avanzato fino qui dagli estremi confini del mondo grazie alle
nostre esitazioni e alla nostra ignavia. Ahim?, a tal punto abbiamo tralignato dall'eredit? dei nostri antenati che
quel lido, al largo del quale essi giudicavano lesivo del loro prestigio il fatto che incrociassero le flotte puniche,
ora noi lo dobbiamo vedere pullulante di nemici e caduto in potere di Numidi e Mauri!".
Xxii 17
Allora prese la parola Minucio: "Siamo venuti qua per dare gioia ai nostri occhi, osservando lo spettacolo delle
stragi e degli Incendi che subiscono i nostri alleati? Come ? possibile non provare vergogna, non dir? di fronte
ad altri, ma nemmeno davanti a questi concittadini che i nostri antenati hanno mandato come coloni a
Sinuessa, perch? questo litorale fosse protetto dal nemico sannita? E ora a mettere a ferro e fuoco ogni cosa
non ? il vicino sannita, ma il cartaginese straniero, avanzato fino qui dagli estremi confini del mondo grazie alle
nostre esitazioni e alla nostra ignavia. Ahim?, a tal punto abbiamo tralignato dall'eredit? dei nostri antenati che
quel lido, al largo del quale essi giudicavano lesivo del loro prestigio il fatto che incrociassero le flotte puniche,
ora noi lo dobbiamo vedere pullulante di nemici e caduto in potere di Numidi e Mauri!".

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