Sei sulla pagina 1di 20

IL GENERALE CONTRO L’IMPERATORE.

LA POLITICA DI MAIORIANO E IL DISSIDIO CON RICIMERO

Nella primavera del 460 d.C., con un anno di ritardo rispetto ai progetti ini-
ziali , le truppe dell’imperatore Maioriano lasciarono la Gallia, attraversarono i Pi-
1

renei e marciarono verso la città tarraconese di Cesaraugusta, al di là dell’Ebro, dove


il sovrano stabilı̀ di sostare prima di ripartire alla volta di Gibilterra e dell’Africa 2.
L’attacco alle basi dei Vandali sarebbe stato piuttosto imponente: Sidonio racconta
già nel 458 che Maioriano era riuscito ad arruolare un esercito di mercenari reclutati
tra i popoli più remoti dell’Europa centro-orientale 3 e una flotta il cui allestimento
aveva imposto il disboscamento degli Appennini 4.

1 La partenza delle truppe, differita a causa dei disordini scoppiati in Gallia, si data tra il 17 aprile,
quando ad Arles fu emessa Nov. Maior. 9, e il mese di maggio, quando Maioriano entrò in Spagna: Hyd.
Chron. p. 31 (nel presente contributo i chronica di quinto e sesto secolo sono citati con riferimento alle pagine
dell’edizione Mommsen).
2 Non sussistono elementi che inducano a dubitare sulla sosta a Cesaraugusta (Chron. Caesaraug.
p. 222); diversam. G.E. Max, Majorian Augustus (Ph.D. Diss.), Ann Arbor 1975, pp. 145 s., secondo il quale
Maioriano da Arles avrebbe seguito tutt’altro tragitto, percorrendo la via Augusta.
3 Sid. Carm. 5.470-483 Loyen, su cui cf. spec. A. Loyen, Recherches historiques sur les Pane´gyriques de
Sidoine Apollinaire, Paris 1942, p. 78 nt. 3, e Max, Majorian cit., pp. 127 ss. La lista delle diciotto etnie che
secondo Sidonio avrebbero composto le truppe di Maioriano è genericamente indicativa dello sforzo compiuto
dal sovrano per reperire soldati; gli etnonimi riportati sono anacronistici e amplificati (si tratta di un aspetto
condiviso; cf. p. es. O.J. Mänchen-Helfen, The World of the Huns: Studies in Their History and Culture, Ber-
keley / Los Angeles 1973, p. 161; R.W. Mathisen, Roman Aristocrats in Barbarian Gaul. Strategies for Survival
in an Age of Transition, Austin 1993, pp. 39 ss.), secondo un gusto per le elencazioni e per le suggestioni eso-
tiche tipico della letteratura di questo periodo (M. Roberts, The Jeweled Style. Poetry and Poetics in Late Anti-
quity, Ithaca-London 1989, pp. 59 s., 85 s.), che nei panegirici assume una particolare enfasi legata alle finalità
del genere letterario; cf. p. es. A. Loyen, Sidoine Apollinaire et l’esprit pre´cieux en Gaule aux derniers jours de
l’empire, Paris 1943, pp. 20 ss.; ora M. Colombo, Gli etnonimi barbarici nei poemi di Claudiano. La tecnica
poetica della propaganda politica, «Athenaeum» 96 (2008), pp. 293-326.
4 Prisco (fr. 36.1 Blockley) parla di trecento imbarcazioni, mentre Sidonio (Carm. 5.441-461), più
genericamente, di una flotta degna dei più grandi imperi dell’antichità; su questo problema cf. spec. Max,
Majorian cit., pp. 124 ss. Sidonio aggiunge che le navi furono allestite sul Tirreno e sull’Adriatico, probabil-
mente a Miseno e a Ravenna, i cui porti erano ormai privi di una flotta stabile; cf. G. Gigli, La flotta e la difesa
del Basso Impero, «MAL» 1 (1948), pp. 3-43, e più recentemente M. Reddé, Mare nostrum. Les infrastructures,
le dispositif et l’histoire de la marine militaire sous l’empire romain, Rome 1986, pp. 647 ss. Sulle modalità di
approvvigionamento di legname dai boschi dell’Appennino cf. spec. M. Destro, Boschi e legname tra antichita`e
medioevo: alcuni dati per l’Appennino umbro-marchigiano settentrionale, «Ocnus» 12 (2004), pp. 77-94, spec.
87 s.; sul rapporto tra sfruttamento boschivo e trasporti fluviali o marittimi cf. A. Giardina, Allevamento ed
economia della selva in Italia meridionale, in Id., Italia romana. Storie di un’identita` incompiuta, Roma-Bari
1997, pp. 138-192 (già in A. Giardina - A. Schiavone [a c. di], Societa` romana e produzione schiavistica I, Ro-
ma-Bari 1981, pp. 87-113).
Le catastrofiche conseguenze che per l’intera spedizione comportò la distruzione delle navi lascia pen-
sare che, nella strategia di Maioriano, la flotta fosse uno strumento di guerra e non un semplice supporto per il
— 544 —

Per quanto si voglia diffidare dell’enfasi del panegirista, non si può negare una
certa consistenza all’apparato militare predisposto dall’imperatore, visto che Gense-
rico, all’approssimarsi dell’attacco, manifestò evidenti segni di preoccupazione. Fino
all’ultimo momento il re dei Vandali tentò di raggiungere un accordo con i Romani
(accordo che fu impossibile, giacché le energie che Maioriano aveva speso e i capitali
che aveva investito non lasciavano spazio ad alcuna trattativa) 5; poi, quando i suoi
ultimi legati furono rispediti in Africa, tentò di ostacolare in tutti i modi l’avanzata
dei nemici: ordinò di avvelenare nel più breve tempo possibile le fonti di approvvi-
gionamento idrico poste lungo le principali vie di comunicazione della Mauretania e
della Numidia, e di bruciare i campi attraverso i quali avrebbero marciato i fanti
romani 6. Maioriano, dal canto suo, aveva voluto che l’attacco terrestre fosse soste-
nuto da una parte della flotta, certamente in grado di coprire l’avanzata delle truppe
e di resistere all’opposizione delle navi vandaliche, veloci, agili, ma probabilmente
inadeguate a quel combattimento 7.
Il timore di Genserico era pari alla fiducia di Maioriano nella buona riuscita della
spedizione, e anche per questo la catastrofe che in una notte d’estate si abbatté sulla
flotta romana e sul destino del sovrano giunse quanto mai inattesa: le navi dislocate
nel porto ispanico di Elche, nella Tarraconese sud-occidentale 8, pronte per l’immi-
nente traversata, furono irreparabilmente sabotate da ignoti proditores, molto proba-
bilmente assoldati dallo stesso Genserico 9. La perdita fu devastante e svela quanto fra-

vettovagliamento dell’esercito (come è portato a credere Reddé, Mare nostrum cit., p. 650). Non è remota la
possibilità che la flotta adriatica, posta a copertura del Canale di Sicilia, fosse stata affidata a Marcellino di
Dalmazia, il quale, al momento della morte di Maioriano, si trovava in Sicilia (Prisc. fr. 38); è da notare
che esisteva un antico legame tra la Dalmazia e la flotta ravennate, su cui cf. G. Forni, Dalmazia e flotta ro-
mana di Ravenna, in Id., Esercito e marina di Roma antica, Stuttgart 1992, pp. 317-323 (già in Atti del I Con-
gresso internazionale sulle relazioni fra le due sponde adriatiche. Momenti e problemi della storia delle due sponde
adriatiche. Brindisi - Lecce - Taranto 15-18 ottobre 1971, Lecce 1973, pp. 41-47).
5 Prisc. fr. 36.1; Hyd. Chron. p. 32.
6 Prisc. fr. 36.1.
7 Sulla tipologia delle navi dei Vandali cf. p. es. Ch. Courtois, Les Vandales et l’Afrique, Paris 1955,
pp. 205 ss.; J. Rougé, Quelques aspects de la navigation en Me´diterrane´e au V e sie`cle et dans la premie`re moitie´
du VI e sie`cle, «CH» 6 (1961), pp. 129-154; Reddé, Mare nostrum cit., pp. 647 ss.; ultimam. G. Maier, Amt-
stra¨ger und Herrscher in der Romania Gothica: Vergleichende Untersuchungen zu den Institutionen der ostgerma-
nischen Vo¨lkerwanderungsreiche, Stuttgart 2005, pp. 43 ss.
8 Nella cronaca di Mario di Aventico (p. 232) si legge che le navi erano ancorate a Elche, mentre Ida-
zio (Chron. p. 31) parla di Carthaginiensis provincia e di litus Carthaginiense. Questa apparente difformità ha
indotto Max, Majorian cit., pp. 147 s., a credere che la flotta spagnola fosse stata divisa, forse in vista di un
duplice attacco contro le coste dell’Africa e delle Baleari; in realtà le due testimonianze sono del tutto coinci-
denti e alludono a un unico luogo: mentre la prima fornisce l’esatta indicazione della città che ospitava la flotta
(precisando per altro la contiguità tra Elche e Cartagine: ad Elecem iuxta Chartaginem Spartariam), la seconda
contiene un più generico riferimento alla zona di Cartagine.
9 Hyd. Chron. p. 31; Mar. Avent. Chron. p. 232; Chron. Gall. p. 664. L’interpretazione di L. Vassili,
La figura di Nepoziano e l’opposizione ricimeriana al governo imperiale di Maggioriano, «Athenaeum» 14 (1936),
— 545 —

gile fosse la forza militare romana, benché in essa si fossero concentrati gli sforzi di tre
anni di governo. Maioriano fu costretto ad annullare la spedizione e ad accettare i ne-
goziati con i nemici in una posizione di debolezza; quindi, dopo aver sottoscritto nel-
l’autunno del 460 un deludente accordo di pace, ripartı̀ per la Gallia congedando le
sue dispendiose truppe 10. Trascorse l’inverno e la primavera seguente ad Arles e sol-
tanto in estate decise di tornare in Italia, sapendo di dover affrontare un clima di de-
lusione e di dissenso 11. Accompagnato da una esigua scorta, forse di domestici (rt+m
soi& | oi\jei* oi|) 12, partı̀ nella piena estate del 461, diretto probabilmente a Roma 13.
Maioriano questa volta non attraversò le Alpi, come aveva deciso di fare nel
458 per raggiungere Lione, perché da Arles era più rapida la via Aurelia, che costeg-
giava la Gallia meridionale e il litorale ligure. Fu quindi all’altezza di Genova, o po-
co prima, che egli decise di cambiare improvvisamente tragitto, probabilmente per-
ché si era reso conto che Ricimero lo stava raggiungendo: deviò verso Nord e si di-
resse a Dertona, per arrivare a uno snodo viario che lo portasse forse a Ravenna,
attraverso la via Emilia 14. Ma il due agosto fu intercettato da Ricimero e dai suoi
uomini, arrestato, spogliato delle insegne imperiali e cinque giorni dopo assassinato
nelle vicinanze del fiume Ira 15, senza che gli fosse concessa una sepoltura decorosa,
come ricorda con rammarico il poeta Ennodio: Cum perstat gravior, bustum fortuna
per iram | contulit exuviis, Maioriane, tuis. | Nunc indignis pyramidum * prospice mole
| vilia principibus linque sepulcra piis 16.

pp. 56-66, secondo cui il traditore era Nepoziano, che avrebbe agito per conto di Ricimero, si fonda su una
discutibile interpretazione della figura di Nepoziano (su cui infra, nt. 58).
10 Prisc. fr. 36.2. Idazio (Chron. p. 32) colloca i trattati di pace tra Romani e Vandali dopo alcuni
eventi posti nel novembre del 460. La possibile permanenza di Maioriano in Spagna durante l’autunno indica
forse che egli tentò in un primo momento di riorganizzare l’attacco, per poi desistere (per carenza di mezzi o
per il sopraggiungere della stagione fredda). I termini del trattato ci sono ignoti; sulla base della testimonianza
di Prisco (fr. 36.2) possiamo dedurre che non erano favorevoli a Roma, anche se a Genserico non fu ricono-
sciuto il possesso della Sicilia (fr. 38); Courtois, Les Vandales cit., pp. 199 s., pensa a un trattato stilato sulla
base di quello del 442.
11 Sidonio (Ep. 1.11.15) parla di una premonizione: Ad hanc ipse sententiam cum verecunde capite de-
misso gratias agerem, contionatoris mei coeperunt ora pallere, in quae paulo ante post iram tristitia successerat; nec
satis defuit quin gelarent tamquam ad exsertum praebere cervices iussa mucronem.
12 Prisc. fr. 36.2.
13 Hyd. Chron. p. 32; Prisc. fr. 36.2. J. van Hengel, Specimen historico-literarium inaugurale, de Ma-
joriano, Lugduni Batavorum 1833, p. 47, accoglie la dubbia testimonianza di Giordane, secondo cui Maio-
riano quando fu ucciso si preparava ad affrontare gli Alamanni entrati in Gallia.
14 Sulla posizione di Dertona e sul passaggio di Maioriano cf. S. Giorcelli, Epigrafia e coincidenze della
storia: l’imperatore Maioriano, Dertona e una presunta nuova iscrizione cristiana, «Rivista di storia, arte, archeo-
logia per le province di Alessandria e Asti» 107 (1998), pp. 173-188.
15 Prisc. fr. 36.2; Fast. Vind. prior. p. 305; Chron. Gall. p. 664; Hyd. Chron. p. 32; Marcell. Chron.
p. 88; Mar. Avent. Chron. p. 232.
16 Ennod. Carm. 2.135 Vogel. Ricimero fece circolare la falsa notizia che l’imperatore era morto per
cause naturali (su questo artificio cf. S.I. Oost, D. N. Libius Severus P. F. Aug., «CPh» 65 [1970], pp. 228-
— 546 —

Che Ricimero potesse progettare e portare a compimento l’eliminazione di un


imperatore è di per sé fatto tutt’altro che sorprendente; sembra anzi un aspetto pe-
culiare della sua esperienza politica, durante la quale egli partecipò all’assassinio di
Avito e di Maioriano, prima di fare uccidere Libio Severo ed entrare in guerra aperta
con Antemio, di cui aveva sposato la figlia. Ma l’assassinio di Maioriano fu certa-
mente il meno scontato, perché spezzò una relazione umana che durava probabil-
mente da due decenni 17 e soprattutto un’alleanza politica tutt’altro che estempora-
nea, maturata nella nuova stagione aperta dalla faida mortale tra Aezio e Valentinia-
no e sedimentata proprio in quei momenti disordinati, attraversati dal breve regno
di Petronio Massimo, dal sacco dei Vandali e dall’elezione, caldeggiata dai Visigoti,
del nobile galloromano Eparchio Avito.
Le qualità dell’uno e dell’altro si erano felicemente compenetrate: Maioriano,
dopo la frattura con Aezio, rappresentava la continuità con la dinastia teodosiana,
dalla quale a lungo era stato considerato il principale candidato alla successione
di Valentiniano 18, mentre Ricimero con i suoi bucellari disponeva di un prezioso
sostegno militare, in un tempo in cui l’esercito imperiale mostrava enormi difficoltà
di reclutamento.
Anche per queste ragioni, nel 456 entrambi occupavano posizioni rilevanti al-
l’interno dell’organigramma militare romano: Maioriano era comes domesticorum (ti-
tolo che probabilmente ricevette all’indomani dell’eliminazione di Aezio) 19, mentre

240). Procopio (Vand. 1.7.14 Haury), seguito più tardi da Teofane (che tra l’altro riporta anche la versione
dell’assassinio per mano di Ricimero), dà credito alla falsa notizia, ma è un caso sporadico; Evagrio (Hist. Eccl.
2.7 Bidez e Parmentier), oltre a riferire la notizia dell’assassinio, ricorda che questo avvenne con il tradimento;
Malala (375 Dindorf) registra l’assassinio di Ricimero, ma ne imputa le cause a un’incomprensibile tradimen-
to di Maioriano a favore di Genserico (per questo, forse, A.M. Papini, Ricimero. L’agonia dell’impero romano
d’Occidente, Milano 1959, pp. 139 ss., afferma che il fallimento dell’impresa vandalica fu il frutto di una co-
spirazione di Maioriano, Egidio e Marcellino, contro Roma, l’Italia e Ricimero).
17 È probabile che anche Ricimero avesse iniziato la carriera militare nell’esercito di Aezio (Sid. Carm.
5.266-268), cosı̀ come Egidio, futuro rex Francorum, e forse come il comes (o magister militum) di Dalmazia
Marcellino (infra, ntt. 57, 59); cf. J.M. O’Flynn, Generalissimos of the Western Roman Empire, Edmonton (Al-
berta) 1983, p. 104.
18 La candidatura di Maioriano fu la causa del suo esilio, giacché essa si sontrava con i progetti dina-
stici che Aezio aveva coltivato per il figlio Gaudenzio. Sui problemi legati alla mano di Placidia cf. spec. S.I.
Oost, Ae¨tius and Majorian, «CPh» 59 (1964), pp. 23-29; F.M. Clover, The Family and Early Career of Anicius
Olybrius, «Historia» 27 (1978), pp. 169-196, spec. 169-182; Id., Geiseric and Attila, in Id., The Late Roman
West and the Vandals, Aldershot 1993, pp. 104-117, spec. 104-110 (già in «Historia» 22 [1973], pp. 104-
117); O’Flynn, Generalissimos cit., p. 95; cf. anche T. Stickler, Ae¨tius. Gestaltungsspielra¨ume eines Heermeisters
im ausgehenden Westro¨mischen Reich, München 2002, pp. 70 ss.; su Gaudenzio cf. ora U. Roberto, Geiserico,
Gaudenzio e l’eredita` di Aezio. Diplomazia e strategie di parentela tra Vandali e impero, «MedAnt» 9 (2006),
pp. 71-85. La vedova di Valentiniano continuò a sostenere Maioriano dopo la morte del marito: Prisc. fr.
30, su cui cf. il commento di U. Roberto, Prisco e una fonte romana del V secolo, «RomBarb» 17 (2000-
2002), pp. 117-159, spec. 133-142.
19 Chron. Gall. p. 664.
— 547 —

Ricimero fu nominato magister militum nell’urgenza di un attacco vandalico, per


fronteggiare il quale Avito non poteva contare sull’aiuto di Teoderico, impegnato
contro gli Svevi 20. Indubbiamente le alte cariche di cui erano stati investiti ne favo-
rirono i piani sovversivi; il momento era favorevole, proprio perché Avito era privo
del sostegno dei Visigoti, e in breve tempo Ricimero e Maioriano organizzarono in
accordo con la gran parte della nobiltà italica una cospirazione che culminò con l’as-
sassinio dell’imperatore. Dopo alcuni mesi di interregno 21, Maioriano fu finalmente
incoronato, con il consenso dei Deci e delle più potenti famiglie romane di tradi-
zione filodinastica e antiaeziana, le quali avevano ben ragione di sostenere un sovra-
no che insieme al suo patrizio aveva dimostrato di sposare in pieno i loro orienta-
menti politici 22. L’accordo che portò Maioriano sul trono nel dicembre del 457 23

20 I Consularia italica (Fast. Vind. prior. p. 304; Addit. ad Prosp. p. 304) considerano Ricimero magister
militum quando assedia Avito a Piacenza, nell’autunno del 456, mentre Idazio (Chron. p. 29) lo definisce co-
mes quando sconfigge i Vandali nella primavera di quello stesso anno. Molti ne hanno dedotto che Ricimero
fosse stato prima comes rei militaris (al tempo di Petronio Massimo, secondo G. Lacam, Ricimer, Le´on Ier et
Anthemius. Le monnayage de Ricimer, Paris 1986, pp. 2 s., e Id., «Ricimer». Un Barbare au service de Rome,
Paris 1986, pp. 120 ss.) e poi magister militum, una volta che ebbe sconfitto i Vandali (cf. p. es. H. Meyer,
Der Regierungsantritt Kaiser Majorians, «ByzZ» 62 [1969], pp. 5-12; G. Chianéa, Les ide´es politiques de Sidoine
Apollinaire, «RD» 47 [1969], pp. 353-389, spec. 353 nt. 8; Max, Majorian cit. pp. 73 s.; s.v. Ricimer 2, in
PLRE II, pp. 942-945; O’Flynn, Generalissimos cit., p. 105). In realtà Ricimero immediatamente dopo questa
battaglia capeggiò la frangia antiavitiana, e per questo è molto più probabile che il sovrano lo avesse nominato
magister militum prima, quando gli affidò la difesa delle coste dell’Italia. Idazio nel definire Ricimero comes gli
attribuisce un titolo che sia nella sua cronaca (nel caso di Nepoziano e di Egidio), sia in altre fonti, si trova
unito alla carica di magister militum (in Nov. Maior. 11, del 28 marzo 460, proprio Ricimero è definito comes
et magister utriusque militiae atque patricius, mentre Stilicone, come nota P.S. Barnwell, Emperor, Prefects &
Kings. The Roman West, 395-565, London 1992, pp. 33 ss., in due rescritti è chiamato magister militum, in
due comes et magister militum). Sul problema della titolatura cf. anche W. Ensslin, Zum Heermeisteramt des
spa¨tro¨mischen Reiches, I. Die Titulatur der magistri militum bis auf Theodosius I, «Klio» 23 (1930), pp. 306-
325; Id., Zum Heermeisteramt des spa¨tro¨mischen Reiches, III. Der Magister utriusque militiae et patricius des
5. Jahrhunderts, «Klio» 24 (1930-1931), pp. 467-502; più recentemente, con analisi prosopografica dei patricii
nell’età di Aezio, T.D. Barnes, Patricii under Valentinian III, «Phoenix» 29 (1975), pp. 155-170; quindi R.W.
Mathisen, Patricians as Diplomats in Late Antiquity, in Id., Studies in the History, Literature and Society of Late
Antiquity, Amsterdam 1991, pp. 67-81 (già in «ByzZ» 79 [1986], pp. 35-49), con ampia bibliografia. Sul co-
mes, benché relative a un periodo successivo, utili anche le recenti osservazioni di Maier, Amtstra¨ger cit.,
pp. 161 ss., 207 ss.
21 In questa fase (dal 28 febbraio del 457: Fast. Vind. prior. p. 305), Ricimero è magister militum atque
patricius e Maioriano magister militum. È plausibile l’ipotesi di T.D. Barnes, Late Roman Prosopography: bet-
ween Theodosius and Justinian, «Phoenix» 37 (1983), pp. 248-270, spec. 267 ss., secondo cui la doppia pro-
mozione era stata ottenuta senza alcun intervento della corte orientale; diversam. p. es. W.E. Kaegi, Byzantium
and the Decline of Rome, Princeton 1968, p. 31; Mayer, Der Regierungsantritt cit., p. 7; L. Camilli, s.v. Maio-
rianus, in DE V (1997), pp. 485-494, spec. 487 s.
22 L’eliminazione di Avito, che era stato un sostenitore della politica di Aezio, riflette la linea filodi-
nastica seguita da Maioriano dopo la frattura con Aezio; cf. spec. G. Zecchini, Aezio: l’ultima difesa dell’Occi-
dente romano, Roma 1983, pp. 211 ss.
23 L’assunzione della porpora da parte di Maioriano è questione controversa, giacché le fonti forniscono
— 548 —

implicava per Ricimero, oltre alla conservazione del più alto magistero militare, il
consolato per il 459 (quello del 458 era come da prassi riservato al sovrano), mentre
al principale rappresentante dei Deci, Flavio Cecina Decio Basilio, era riservata la
prefettura dell’Italia: redigendo una novella destinata al senato subito dopo l’inse-
diamento, Maioriano non mancò di rilevare che la sua elezione era stata il prodotto
proprio di questa intesa, grazie alla quale l’impero era stato liberato ab externo hoste
et a domestica clade 24.

due diverse date: il primo aprile 457 (Fast. Vind. prior. p. 305) e il 28 dicembre 457 (Addit. ad Prosp. p. 492). Le
principali soluzioni proposte sono riconducibili a O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt VI,
Stuttgart 1920, pp. 338 ss., e a E. Stein, Histoire du Bas-Empire I, Bruges 1959, p. 374: il primo ha ipotizzato,
sulla base di Marcell. Chron. p. 87, che Maioriano fosse stato eletto Cesare ad aprile e Augusto a dicembre; il
secondo che Maioriano, acclamato ad aprile dalle truppe, avrebbe rifiutato il trono per attendere il consenso di
Costantinopoli, come parrebbe confermare l’iniziale rifiuto alla corona di cui parla Sidonio (Carm. 5.9-12). In
generale, si può osservare che entrambe le ipotesi presuppongono un intervento nell’elezione di Maioriano da
parte di Leone che le titolature delle leggi sembrerebbero confutare (in quelle emesse dalla cancelleria orientale
il nome di Maioriano è assente, mentre in quelle occidentali manca la menzione del collega fino alla primavera
del 458; per un ragionamento su questo problema attraverso la monetazione delle due partes cf. spec. G. Lacam,
La fin de l’empire romain et le monnayage or en Italie. 455-493 I, Luzern 1983, pp. 234 ss.; Camilli, s.v. Maio-
rianus cit., p. 492). Per quanto riguarda specificamente la tesi di Seeck, c’è da dire che Marcellino definisce
Maioriano Cesare anche da imperatore (quando muore, ad esempio), ad evidenziare la subordinazione del so-
vrano occidentale a quello orientale (puntualmente definito Augusto). D’altra parte, il rifiuto del trono di cui
parla Sidonio, che conforterebbe la tesi di Stein, rientra nel topos della recusatio imperii di cui l’autore fa uso
anche negli altri due panegirici (Sid. Carm. 2.22-24; 7.568-571, dove il tema è più sfumato); cf. M. Mause,
Die Darstellung des Kaisers in der lateineschen Panegyrik, Stuttgart 1994, pp. 119 s.; E. Dovere, «Oblatum im-
perium deprecatus es». Etica e Recusatio imperii in eta`tardoantica, «SDHI» 62 (1996), pp. 551-562; in generale
su questo tema cf. U. Huttner, Recusatio imperii. Ein politisches Ritual zwischen Ethik und Taktik, Hildesheim -
Zürich - New York 2004, pp. 240 ss. Pertanto, poiché sarebbe alquanto insolito che i Fasti Vindobonenses fa-
cessero menzione della nomina di Maioriano a Cesare omettendo quella ad Augusto (Seeck), o altrimenti del-
l’acclamazione delle truppe senza registrare la successiva incoronazione (Stein), è evidente che entrambe le fonti
si riferiscono allo stesso evento, l’insediamento (sono indicative anche alcune corrispondenze lessicali; p. es. il
verbo levatur); perciò una delle due riporta una data sbagliata, e siccome gli autori che registrano la durata del
regno di Maioriano (Addit. ad Prosp. p. 491; Chron. Gall. p. 664; Paul. Diac. Hist. Rom. 15.1 Droysen) non
consentono mai di giungere oltre la fine del 458, dobbiamo concludere che l’errore è da imputare ai Fasti Vin-
dobonenses e che l’elezione di Maioriano, quindi, fu celebrata nel mese di dicembre.
24 Nov. Maior. 1. Se nella domestica clades è stato facile riconoscere la guerra mossa contro Avito, l’in-
dividuazione degli hostes ha suscitato alcuni dubbi: L. Cantarelli, L’imperatore Maioriano, Roma 1883, pp. 17
ss., era convinto che si trattasse dei Vandali debellati in Campania da Maioriano (Sid. Carm. 5.385-440); al-
cuni, come Max, Majorian cit., p. 111, hanno immaginato che il passo si riferisse ad altre scorribande vanda-
liche, non registrate dalle fonti, oppure ai Vandali respinti in Corsica da Ricimero nel 456 (Hyd. Chron.
p. 29); un’ulteriore possibilità è che si trattasse degli Alamanni sconfitti da Maioriano in veste di magister mi-
litum nel 457 (Sid. Carm. 5.373-385). Queste ultime due ipotesi si adatterebbero bene alla contiguità che il
testo della novella sembrerebbe porre tra questi eventi e l’eliminazione di Avito; il fatto che la battaglia navale
in Corsica era probabilmente opera di Ricimero assai più che di Maioriano rende preferibile la seconda. Da
escludere, invece, che si trattasse dell’attacco sferrato dai Vandali in Campania, da collocare nella primavera o
nell’estate del 458.
— 549 —

Se un uomo divenuto imperatore grazie ai legami con i Teodosidi, alla sua re-
cente collisione con Aezio e al prolungato sodalizio con Ricimero, fu eliminato dalle
stesse mani che lo avevano innalzato al trono soltanto tre anni prima, è evidente che
qualcosa nel periodo del suo governo provocò un’irreparabile rottura ai vertici del-
l’impero; e non fu certamente un episodio contingente a determinarla: come vedre-
mo, i segni di un profondo scollamento di Maioriano dai suoi principati alleati, Ri-
cimero e i Deci 25, sono sparsi un po’ in ogni cellula della politica imperiale di questi
anni.
Per ragioni di chiarezza converrà focalizzare l’indagine distinguendo tre aspetti
del governo maiorianeo che in realtà sono intersecati: la legislazione, la politica gal-
lica, la gestione dell’esercito.

A. La legislazione

Le leggi varate dal governo di Maioriano a noi pervenute affrontano rilevanti


problemi di ordine sociale ed economico, già oggetto di precedenti interventi nor-
mativi: le tasse e i procedimenti di esazione tributaria (Nov. Maior. 2; 5); il ruolo dei
curiali, gli abusi dei funzionari e dei nobili (3; 7); la famiglia, la disciplina dell’or-
dinazione alla vita religiosa (6; 11). Se si analizza il taglio con cui la cancelleria maio-
rianea volle caratterizzare queste disposizioni, sarà possibile riconoscervi una certa
analogia con una parte della recente produzione legislativa di Valentiniano III,
che ci induce a riflettere sul ruolo esemplare assunto da tale esperienza normativa
per la formulazione delle leggi maiorianee.
Sebbene la legislazione valentinianea appaia tutt’altro che uniforme 26, è inte-
ressante rilevare la coerenza con cui Maioriano attinse a questo eterogeneo patrimo-
nio legislativo: in gran parte egli ripropose provvedimenti che durante il regno di

25 Dopo la morte di Maioriano, Basilio ottenne prima il patriziato e poi il consolato (R.W. Mathisen,
Leo, Anthemius, Zeno, and Extraordinary Senatorial Status in the Late Fifth Century, «ByzF» 17 [1991],
pp. 191-215, spec. 196, nota che il patriziato di Basilio è l’unico conferito a un civile in Occidente nel periodo
tra Valentiniano e Antemio). Sull’influenza enorme raggiunta da Basilio nel corso degli anni Sessanta è rile-
vante la testimonianza di Sid. Ep. 1.9. Sui legami nel V secolo tra il magister utriusque militiae e la grande
aristocrazia fondiaria insistono G. Gera - S. Giglio, La tassazione dei senatori nel tardo impero romano, Roma
1984, pp. 53 ss. Secondo L.R. Scott, Antibarbarian Sentiment and the ‘Barbarian’ General in Roman Imperial
Service: the Case of Ricimer, in Actes du VII e Congre`s de la Fe´de´ration Internationale des Associations d’E´tudes
Classiques. Budapest 3-8 septembre 1979, Budapest 1984, pp. 23-33, spec. 32, Ricimero era sostenuto princi-
palmente dagli Anicii; ma questo, almeno fino al 467, mi pare difficilmente dimostrabile.
26 Esempio delle contrastanti ingerenze rilevabili nella normativa di Valentiniano è Nov. Valent. 7.1,
licenziata durante la prefettura di Petronio Massimo e revocata solo due anni dopo, durante la prefettura del-
l’antiaeziano Paterio, il quale restituı̀ ai comites finanziari la titolarità delle cause fiscali contro i curiali, che
Massimo aveva invece riservato al prefetto al pretorio e al sovrano. Su questo cf. spec. B.L. Twyman, Aetius
and the Aristocracy, «Historia» 19 (1970), pp. 480-503, spec. 488 s.
— 550 —

Valentiniano furono incoraggiati da uomini legati ad Aezio o alla gens Anicia, volti
ad imporre un rigore soprattutto in materia fiscale, che recuperava taluni indirizzi
legislativi del IV secolo (specialmente di Giuliano e Valentiniano I). Anche laddove
il pensiero giuridico della corte di Maioriano si espresse con maggiore originalità è
evidente una continuità ideologica con questa legislazione, variamente orientata a
promuovere «un’amministrazione fiscale non prevaricatrice e tesa a difendere i cu-
riali e ad osteggiare lo strapotere dei palatini in campo sociale» 27.
Le analogie tra la legislazione di Maioriano e quella di Valentiniano sono rile-
vabili dal confronto di singole disposizioni:
– nella seconda novella di Maioriano appaiono recepiti alcuni provvedimenti
promossi da Valentiniano attraverso le Novelle 1.1 e 1.3, del 438 e del 450, la pri-
ma durante la prefettura di Anicio Acilio Glabrione Fausto, la seconda durante
quella di Firmino. La stessa legge ripropone alcune disposizioni di Nov. Valent.
7, emessa nel 440 sotto la prefettura di Petronio Massimo, che interveniva contro
gli abusi dei palatini e che circoscriveva la giurisdizione sui reati fiscali dei curiali
all’imperatore o al prefetto al pretorio, e di Nov. Valent. 36, voluta da Aezio e in-
dirizzata al prefetto Firmino nel 452, sulla disciplina degli approvvigionamenti di
Roma.
– evidenti i legami tra alcuni capitoli della lunghissima Nov. Maior. 7 e Nov.
Valent. 3, emessa nel 439 durante la prefettura di Petronio Massimo, in cui si di-
sciplina a favore delle curie la destinazione dei patrimoni dei curiali passati alla vita
clericale e in cui si vieta la loro traslazione nella Chiesa. Sempre nella Novella 7 di
Maioriano vi è un esplicito riferimento alla disposizione del 445 contro le truffe
connesse alla diffusione contemporanea di solidi aurei dal conio differente (Nov.
Valent. 16, indirizzata al popolo romano) e, ancora, l’ammonimento a impedire l’e-
sodo dei corporati dai rispettivi collegi (Nov. Valent. 20, indirizzata al prefetto ur-
bano Flavio Olbio Ausenzio Drauco 28 nel 445) 29.
– notevoli infine le connessioni tra le Novelle 6, 7 e 11 di Maioriano e Nov.
Valent. 35, indirizzata a Firmino nel 452; nella Novella 11, tra l’altro, è evidente
l’adesione alla posizione assunta dal legislatore a favore della Chiesa di Roma in
Nov. Valent. 17, inviata ad Aezio (che mostra il sostegno del generalissimo verso

27 G. Zecchini, La politica degli Anicii nel V secolo, in Atti del Congresso internazionale di studi boeziani.
Pavia 5-8 ottobre 1980, Roma 1981, p. 127; cf. anche Id., Aezio cit., pp. 241 ss. Per altro, già Stein, Histoire
du Bas-Empire cit., pp. 375 ss., aveva notato che le leggi indirizzate a Basilio «respirent un esprit tout différent
de celui qui animait les classes dirigeantes».
28 Cf. s.v. Auxentius 6, in PLRE II, p. 205; quindi S. Roda, L’aristocrazia senatoria occidentale al tempo
di Attila: l’ideologia oltre la crisi dell’impero, in Id. (a c. di), La parte migliore del genere umano. Aristocrazie,
potere e ideologia nell’Occidente tardoantico, Torino 1994, pp. 272-291, spec. 272 nt. 2.
29 La Novella 7 di Maioriano accoglie altre disposizioni di Valentiniano contenute nel Codice Teodo-
siano, volte a salvaguardare l’integrità delle curie. Per questa legislazione si rimanda a F. Elia, Valentiniano III,
Catania 1999, pp. 109 ss.
— 551 —

il primato rivendicato della cathedra Petri impegnata nella disputa con Ilario di Ar-
les 30).
Al di là di questi prestiti più evidenti, lo spirito che emerge dalle novelle maio-
rianee sul fisco (2; 5), sui curiali (3; 7) e da talune disposizioni sul matrimonio e sul
reclutamento ecclesiastico (presenti nelle Novelle 6 e 11) coincide con quello che
aveva animato altre leggi di Valentiniano, come quelle contro i privilegi fiscali (4,
del 440, e 10, del 441, a Petronio Massimo) o contro l’occultamento dei tironi
nei latifondi (6, del 440, a Sigisvuldo, durante la prefettura di Massimo 31).

Un’impostazione normativa di tal genere è indubbio che si inseriva in una


tradizione distante da quella dei Deci, e poiché è insensato credere che Basilio
potesse aver invitato Maioriano a emettere una legislazione completamente oppo-
sta agli orientamenti della propria famiglia e che si inseriva evidentemente nella
tradizione legislativa di tendenza anicia e aeziana 32, dobbiamo concludere che

30 La Novella fu inviata ad Aezio e probabilmente ispirata dallo stesso generale che in gran conto te-
neva le esigenze di Leone e degli Anici, da tempo impegnati nell’affermazione del primato di Roma in Occi-
dente e soprattutto su Costantinopoli. Cf. spec. G. Zecchini, La politica religiosa di Aezio, in M. Sordi (a c. di),
Religione e politica nel mondo antico, Milano 1981, pp. 250-277, spec. 267 ss.
31 Sigisvuldo è uno dei principali rivali di Petronio Massimo e contro di lui, secondo Barnes, Patricii
under Valentinian III cit., pp. 158 s., è emessa la famosa legge Nov. Valent. 11, del 13 marzo 443, sulle pre-
cedenze tra le diverse cariche; diversam. R.W. Mathisen, Emperors, Consuls, and Patricians: Some Problems of
Personal Preference, Precedence and Protocol, «ByzF» 17 (1991), pp. 173-190, spec. 183 ss. Sul dibattito circa la
posizione di Sigisvuldo cf. p. es. G. Zecchini, I «Gesta de Xysti purgatione» e le fazioni aristocratiche a Roma alla
meta` del V secolo, «RSCI» 34 (1980), pp. 60-74, spec. 66-69.
32 Sulla contrapposizione tra Anici e Deci e sulle fazioni politiche romane cf. p. es. L. Cracco Ruggini,
Clientele e violenze urbane a Roma tra IV e VI secolo, in Atti del Convegno internazionale su Corruzione, repres-
sione e rivolta morale nella tarda antichita`. Catania 11-13 dicembre 1995, Catania 1999, pp. 7-52. Lo stesso
contrasto tra Aezio e la dinastia teodosiana si riflesse nella concorrenza tra le due fazioni rivali, cosicché il ge-
nerale accordò gran parte del proprio sostegno alla politica dei principali rappresentanti della gens Anicia (Ani-
cio Acilio Glabrione Fausto, Quinto Aurelio Simmaco, Firmino e soprattutto Petronio Massimo), mentre
Galla Placidia e Valentiniano preferirono stringere alleanze con i membri della gens Caeionia-Decia, nonostan-
te da essa fossero usciti i principali rappresentanti del paganesimo romano. In questo contesto è fondamentale
l’interpretazione del ruolo di Massimo tra Aezio e Valentiniano, su cui si è ampiamente dibattuto: parte ri-
levante della storiografia lo considera un antiaeziano (da Cessi a Clover), un’altra parte un filoaeziano (p. es.
Twyman e Zecchini); le ragioni di questi ultimi e la natura della legislazione di Valentiniano III rendono pre-
feribile la seconda ipotesi. Sul ruolo di Petronio Massimo e di Aezio nella legislazione di Valentiniano e sul-
l’alterna influenza a corte di uomini legati agli Anici e ai Deci cf. spec. Twyman, Aetius and the Aristocracy cit.;
Zecchini, La politica degli Anicii cit.; quindi Id., I «Gesta de Xysti purgatione» cit.; Id., Aezio cit., pp. 241 ss.; L.
Cracco Ruggini, Nobilta`romana e potere nell’eta`di Boezio, in Roda (a c. di), La parte migliore cit., pp. 105-140
(già in Atti del Congresso internazionale di studi boeziani. Pavia, 5-8 ottobre 1980, Roma 1981, pp. 73-96);
Ead., Il senato fra due crisi (III-VI secolo), in Aa.Vv., Il Senato nella storia, I. Il Senato nell’eta` romana, Roma
1998, pp. 223-375, spec. 341 ss.; Elia, Valentiniano III cit., pp. 91 ss. Sulla storia della gens Anicia cf. spec.
D.M. Novak, The Early History of the Anician Family, in C. Deroux (a c. di), Studies in Latin Literature and
Roman History I, Bruxelles 1979, pp. 119-161.
— 552 —

quelle norme furono concepite e promosse senza l’intervento del prefetto e senza
quello di Ricimero (nessuna delle novelle maiorianee, tra l’altro, muove dall’espli-
cita denuncia o richiesta di Ricimero o di Basilio, come accade invece nella No-
vella 5 con la suggestio di Ennodio, o in numerose leggi di Valentiniano 33). È al
contrario evidente che Ricimero e Basilio, il cui sodalizio avrebbe resistito ad al-
tre stagioni politiche, dovettero accogliere con estrema ostilità la loro emissione,
al punto che dopo l’insediamento di Libio Severo vollero che fosse promulgata
una legge (Nov. Sev. 1, del febbraio 463) esplicitamente finalizzata all’abrogazio-
ne di alcuni dei principali provvedimenti di Maioriano: Impp. Leo et Severus AA.
Basilio P (raefecto) P (raetori)o et patricio. Abrogatis capitibus iniustis legis divi
Maioriani A. ad locum 34.

B. I rapporti con la Gallia

I rapporti tra la Gallia e l’Italia avevano raggiunto un picco di tensione proprio


quando Maioriano e Ricimero avevano sferrato il loro attacco contro Avito, nel
456 35. I segni della profonda frattura si erano manifestati attraverso episodi di na-
tura chiaramente antiitalica promossi o comunque approvati da una parte dell’élite
galloromana: una congiura dai contorni poco chiari, la coniuratio Marcellana, fu or-
dita subito dopo la morte di Avito con lo scopo di rovesciare il nuovo ordine po-
litico voluto in Italia 36; quindi, la sede della praefectura Galliarum fu occupata, sen-

33 Su questi problemi cf. spec. G. Vidén, The Roman Chancery Tradition. Studies in the Language of
Codex Theodosianus and Cassiodorus’ Variae, Göteborg 1984, p. 130.
34 Su questa legge cf. spec. H. Wieling, Iniusta lex Maioriani, «RIDA» 38 (1991), pp. 385-420.
35 Di una responsabilità diretta di Maioriano nell’eliminazione di Avito si parla in Chron. Gall. p. 664.
Sulla dinamica degli eventi che portarono alla sua deposizione ci sono alcune discrasie tra le fonti principali,
Prisco e Idazio, che sarebbe eccessivamente lungo trattare analiticamente in questa occasione. Possiamo rias-
sumere in questo modo i fatti relativi al colpo di stato, Sulla base anche del confronto con le altre fonti dello
stesso periodo: a) al principio dell’estate del 456, mentre Avito era a Roma, i Vandali aggirarono Ricimero
(che il sovrano stesso aveva inviato in Sicilia per combatterli) e risalirono le coste dell’Italia; b) Avito, temendo
un loro attacco e al tempo stesso un ulteriore inasprimento del dissenso provocato dalla vendita dei bronzi a
cui aveva fatto ricorso per pagare le truppe visigote, lasciò Roma e si diresse verso Arles; c) nel frattempo,
Ricimero affrontò e sconfisse in Corsica i Vandali, tornò in Italia e si preparò insieme a Maioriano ad attaccare
l’imperatore, la cui autorità già in agosto non era stata più riconosciuta dal senato; d) a settembre, Ricimero e
Maioriano si diressero a Ravenna, nelle cui vicinanze (a Classis), sorpresero e uccisero un luogotenente di Avi-
to, Remisto; e) i congiurati andarono incontro al sovrano, che ad Arles aveva reclutato un piccolo esercito, e a
Piacenza lo sconfissero, il 17 ottobre; d???) nella battaglia Avito perse tutti i suoi uomini, ma fu risparmiato e
ordinato vescovo; dopo poco tempo, evidentemente temendo per la propria vita, tentò di fuggire in direzione
di Arles, ma venne presto raggiunto da Maioriano, che assediò il santuario in cui il sovrano deposto si era
rifugiato e dove dopo alcuni giorni trovò la morte.
36 Cf. Sid. Ep. 1.11. È merito di C.E. Stevens, Sidonius Apollinaris and His Age, Oxford 1933, p. 181,
aver rilevato in questo passo la validità della lectio Marcellana piuttosto che Marcelliana (Sirmond) o Marcel-
— 553 —

za alcun avallo da parte del governo, da Peonio, signifer della congiura 37; contem-
poraneamente i Lugdunesi accolsero nel territorio della città guarnigioni burgunde,
mentre i Visigoti tentarono di imporre la propria forza sull’intera costa meridionale,
avanzando dalla Spagna direttamente su Arles 38. È significativo che in un’epigrafe di
Lione del 458 non si riconoscesse Maioriano né come sovrano né come console:
dom(ino) nos(tro) Leone v(iro) c(larissimo) con(sule) 39.
Per ripristinare il controllo sulla prefettura gallica Maioriano si affidò al fede-
lissimo Egidio, che prima liberò la Lugdunese dai Burgundi e poi entrò ad Arles,
dove subı̀ l’assedio dei Visigoti; Maioriano lo raggiunse insieme a Nepoziano alla
testa dell’esercito arruolato per attaccare Genserico, ruppe l’assedio e riuscı̀ a preva-

liniana o Marcelli (Mommsen), responsabile dell’errata attribuzione della congiura a Marcellino di Dalmazia.
A lungo le osservazioni dello Stevens sono rimaste inascoltate, sia nelle edizioni di Sidonio (Anderson e
Loyen), sia negli studi che hanno affrontato questo problema (da Dill a Seeck, da Ensslin a Loyen fino ai
più recenti Max, Harries e molti altri), in cui è prevalsa una tendenza a configurare, nel periodo della depo-
sizione di Avito o in quello immediatamente successivo, un conflitto non solo tra la fazione italica e quella
gallica, ma anche tra una fazione gallica filoromana, che avrebbe cercato sostegno in Marcellino e avrebbe
ordito la congiura, e una filobarbarica, separatista, alimentata dallo stesso spirito dei partigiani di Giovino
e di Costantino III, che avrebbe prevalso sulla prima col sostegno di Teoderico e avrebbe favorito quindi l’oc-
cupazione burgunda di Lione. Soltanto al principio degli anni Ottanta l’ipotesi di Stevens è stata recuperata,
da R.W. Mathisen, Resistance and Reconciliation: Majorian and the Gallic Aristocracy after the Fall of Avitus, in
Id., Studies cit., pp. 167-197, spec. 168-173 (già in «Francia» 7 [1979], pp. 597-627), studio datato 1979 ma
stampato nel 1980, e da Zecchini, Aezio cit., pp. 295 ss.; poi anche Barnes, Late Roman Prosopography cit.,
p. 269. Ora l’edizione di H. Köhler: C. Sollius Apollinaris Sidonius, Briefe, Buch I, Einleitung - Text - Über-
setzung - Kommentar, Heidelberg 1995, p. 308, ha definitivamente corretto il testo. Della complessa vicenda
vi sono pochi elementi sicuri: a) alcuni nobili gallici avevano preparato una coniuratio, definita da Sidonio
Marcellana; b) tale congiura aveva lo scopo di conquistare il potere imperiale (de capessendo diademate);
c) Peonio si era offerto ai giovani congiurati come signifer; d) lo stesso Peonio aveva approfittato del vuoto
di potere per occupare l’ufficio del prefetto al pretorio. Tra le diverse interpretazioni che sono state date della
congiura, la più verosimile è quella di Zecchini, Aezio cit., pp. 295 ss., che la disegna come una reazione tesa a
impedire la sottomissione dell’aristocrazia gallica al sovrano che aveva ucciso Avito (per certi versi, una rico-
struzione simile era stata proposta già da L. Duval-Arnould, E´tudes d’histoire du droit romain au V e sie`cle d’a-
pre`s les lettres et les poe`mes de Sidoine Apollinaire, Paris 1888, pp. 11 ss.). Diverse le letture di Mathisen, Resi-
stance cit., pp. 168-173, e di G.E. Max, Political Intrigue during the Reigns of the Western Roman Emperors
Avitus and Majorian, «Historia» 28 (1979), pp. 225-237, spec. 225-231, che collocano l’evento prima dell’a-
scesa al trono di Maioriano, senza tuttavia spiegare in modo convincente il senso che assumerebbe l’espres-
sione sidoniana, relativa alle finalità della congiura, de capessendo diademate. B. Czúth, Coniuratio Marcelliana
oder Marcelli(ni)ana? (Sidonius Apollinaris, Ep. I. 11, 5-6), «ACD» 19 (1983), pp. 113-122, colloca la congiura
tra la morte di Avito e la fine del 457, con l’intervento di Egidio in Gallia.
37 Sid. Ep. 1.11.
38 Mar. Avent. Chron. p. 232; Addit. ad Prosp. p. 305. Sui tentativi dei Visigoti per occupare la Gallia
meridionale cf. spec. V. Burns, The Visigothic Settlement in Aquitania: Imperial Motives, «Historia» 41 (1992),
pp. 362-373.
39 CIL XIII 2363 = ILCV 2728A; cf. A. Allmer - P. Dissard, Muse´e de Lyon: Inscriptions antiques IV,
Lyon 1892, pp. 27 ss.; una possibile diversa lettura in R.S. Bagnall et al., Consuls of the Later Roman Empire,
Atlanta 1987, p. 451.
— 554 —

lere sull’esercito di Teoderico 40. Alla fine del 458, ristabilita l’autorità imperiale sul-
la Gallia meridionale, il sovrano entrò per la prima volta a Lione. In quel momento
egli rappresentava per i cittadini galloromani una forza ostile, capace prima di assas-
sinare Avito e poi di reprimere i tentativi gallici di svincolarsi dall’Italia: il panegi-
rico, composto in occasione dell’adventus a Lione, porta i segni sia dell’angoscia con
cui l’imminente arrivo di Maioriano era stato atteso (con la marcia nel gelo inver-
nale dei passi alpini, evocativa della minaccia annibalica), sia dei sentimenti di pro-
fonda diffidenza di una regione stanca per un controllo politico che non le arrecava
alcun beneficio 41.
Una volta sedati i focolai di rivolta, però, l’atteggiamento politico di Maioriano
mutò profondamente; egli avviò una politica di distensione e un processo di riavvi-
cinamento tra la Gallia e l’impero. Dinnanzi all’usurpazione della prefettura il so-
vrano non adottò alcun provvedimento repressivo, e a Peonius, che oltre ad occu-
pare il seggio prefettizio con il semplice rango di spectabilis aveva partecipato alla
coniuratio Marcellana, fu concessa la promozione alla fine del mandato (numerario-
rum more seu potius advocatorum, nota Sidonio) 42. Sidonio, che come proprietario
lugdunese aveva accolto i Burgundi e che forse aveva anche mostrato simpatie
per i congiurati (se non aveva preso parte personalmente alla cospirazione), ottenne,

40 In un primo momento si pensò che la liberazione di Lione fosse stata opera del magister epistularum
Petrus (p. es. W. Ensslin, s.v. Maiorianus 1, in RE XIV [1928], cc. 584-589, spec. 587 s.), la cui carica, però,
lo rendeva inadatto a un comando militare (p. es. L. Vassili, La strategia di Maggioriano nella spedizione gallico-
vandalica, «RFIC» 64 [1936], pp. 296-299; Loyen, Recherches historiques cit., pp. 378 ss.); probabilmente Pie-
tro si occupò dei rapporti con i Burgundi e di mediare tra Lugdunesi e sovrano; cf. Sid. Carm. 5.564-573.
Sulle operazioni militari ad Arles cf. Paul. Petric. Mart. 6.111-151 Petschenig e Greg. Tur. Mart. 1.2 Krusch;
su queste fonti cf. R. van Dam, Saints and Their Miracles in Late Antique Gaul, Princeton 1993, pp. 13 ss., 50
ss.; S. Labarre, Le manteau partage´. Deux me´tamorphoses poe´tiques de la Vie de saint Martin chez Paulin de Pe´-
rigueux (V e s.) et Venance Fortunat (VI e s.), Paris 1998, pp. 14 ss. Nepoziano si occupò di gestire le trattative
con i nemici (cf. già R. Cessi, Egidio e l’opposizione imperiale romana nelle Gallie, «AIV» 76 [1916-1917],
pp. 1117-1130, e Vassili, La figura di Nepoziano cit., p. 59), o più probabilmente intervenne di persona
per supportare gli uomini di Egidio (Mathisen, Resistance and Reconciliation cit., p. 179 nt. 51).
41 La descrizione del superamento della barriera alpina è in Sid. Carm. 5.510-552, su cui cf. T. Brolli,
Silio in Sidonio: Maggioriano e il passaggio delle Alpi, in L. Cristante - A. Tessier (a c. di), Incontri triestini di
filologia classica. 3 2003/2004, Trieste 2004, pp. 510-552; anche S. Giorcelli, La montagna violata: il sistema
alpino in eta` romana come barriera geografica e ideologica, «Bollettino storico-bibliografico subalpino» 98
(2000), pp. 425-449; nel panegirico filtra anche l’amarezza personale dell’autore per la nuova realtà politica;
cf. spec. Ph. Rousseau, Sidonius and Majorian: the Censure in Carmen V, «Historia» 49 (2000), pp. 251-257.
42 Sid. Ep. 1.11.6; Peonio rimase in carica mensibus multis e fu sostituito solo dopo un anno (anno
peracto: rimase prefetto probabilmente fino ai primi mesi del 458), pur possedendo soltanto il grado di spec-
tabilis. Mathisen, Resistance and Reconciliation cit., pp. 173 s., ha ipotizzato che il predecessore di Peonio po-
tesse essere morto a Piacenza nella battaglia tra Avito e Maioriano e Ricimero, e che Peonio potesse aver già
ricoperto altre funzioni pubbliche in Gallia prima di occupare il posto di prefetto (vicarius septem provinciarum
o altre cariche nell’ufficio del prefetto stesso). Sulla prefettura di Arles in quei giorni e su Peonio cf. ultimam.
H. Heijmans, Arles durant l’antiquite´ tardive. De la Duplex Arelas a` l’Urbs Genesii, Rome 2004, pp. 69 ss.
— 555 —

in seguito alla intercessione di Pietro, la remissione dalla tassazione di guerra impo-


sta a tutti i Lugdunesi (in un secondo tempo la tassa fu revocata per intero) 43, e
ricevette da Maioriano il titolo di comes 44; il nuovo clima di rapporti tra il poeta
e il sovrano emerge con chiarezza dai versi del carme 13 45.
Oltre a questi primi provvedimenti di clemenza a beneficio di chi aveva vio-
lentemente osteggiato la nuova leadership dell’impero, Maioriano adottò una linea
politica chiaramente votata a mantenere tra i senatori gallici la titolarità dei princi-
pali uffici regionali e soprattutto a nobilitare quella aristocrazia affidandole incarichi
più prestigiosi. Figure di spicco del mondo gallico furono ammesse nel concistoro e
onorate delle maggiori cariche dello stato: la quaestura sacrii palatii fu affidata a
Donnulo, che molto probabilmente apparteneva alla nobiltà di Lione 46; Ennodio

43 Sid. Carm. 4.9-12 (su cui cf. ora A. Franzoi, Memoria di Marziale in Sidonio (carm. 3 e 4), in In-
contri triestini di filologia classica 7. 2007-2008. Atti del III convegno: Il calamo della memoria. Riuso di testi e
mestiere letterario nella tarda antichita`. Trieste 26-28 aprile 2006, Trieste 2006, pp. 321-327); 5.596-599.
44 Sidonio in precedenza era tribunus et notarius; cf. Sid. Ep. 1.11.13. Sulla base di di questa stessa
lettera (x 4), dove si parla della presenza di Sidonio in Alvernia, Stevens, Sidonius cit., p. 52, ha pensato
che il poeta fosse stato investito della carica di comes Arvernorum; secondo Loyen (ad l.), J.D. Harries, Sidonius
Apollinaris and the Fall of Rome. AD 407-485, Oxford 1994, p. 91, e ultimam. D. Henning, Periclitans res
publica: Kaisertum und Eliten in der Krise des westro¨mischen Reiches 454/5 - 493 n. Chr., Stuttgart 1999,
p. 83, si trattava semplicemente di una carica onorifica. Il cursus honorum di Sidonio in quegli anni è piuttosto
incerto; probabilmente egli aveva ricevuto già sotto il regno di Avito la carica di tribunus et notarius (cosı̀ K.
Stroheker, Der senatorische Adel im spa¨tantiken Gallien, Reutingen 1948, pp. 217 ss., e Barnes, Late Roman
Prosopography cit., p. 265) per ricevere quella di comes da Maioriano alla fine del 458 (Mathisen, Resistance
and Reconciliation cit., p. 181 nt. 58). Diversam. M. Heinzelmann, Gallische Prosopographie (260-527), «Fran-
cia» 10 (1982), pp. 531-718, spec. 556, che colloca nel 458 la carica di tribunus et notarius e nel 461 quella di
comes. Sulla carica di tribunus et notarius nel quinto secolo cf. H.C. Teitler, Notarii and exceptores. An Inquiry
into Role and Significance of Shorthand Writers in Imperial and Ecclesiastical Bureaucracy of the Roman Empire
(from the Early Principate to c. 450 A.D.), Amsterdam 1985, pp. 16 ss.
45 Cf. ora S. Santelia, Maioriano-Ercole e Sidonio supplex famulus (Sidon. carm. 13), «AFLB» 48
(2005), pp. 189-208.
46 Probabilmente va identificato sia con Rusticius Helpidius Domnulus, sia con Rusticius Helpidius;
cf. già J. Sundwall, Westro¨mische Studien, Berlin 1915, pp. 69 s.; Stroheker, Der senatorische Adel cit., p. 164;
S. Cavallin, Le poe`te Domnulus. E´tude prosopographique, «SEJG» 7 (1955), pp. 49-66; più recentemente Ma-
thisen, Resistance and Reconciliation cit., pp. 183 s.; ultimam. Henning, Periclitans res publica cit., p. 82; stesso
orientamento in s.v. Domnulus 1, in PLRE II, p. 374 (anche se le tre voci sono mantenute distinte). L’iden-
tificazione di questi tre individui ha permesso di ricondurre a un’unica figura la ricca attività letteraria che era
attestata per ciascuna di esse (Sid. Ep. 9.13.4; 9.15.1 carm. 38; Carm. 14 ep. 2); cf. s.v. Fl. Rusticius Helpidius
Domnulus 2 e Rusticius Helpidius 7, in PLRE II, pp. 374 s., 537; Mathisen, Resistance and Reconciliation cit.,
p. 183; F.-M. Kaufmann, Studien zu Sidonius Apollinaris, Frankfurt a.M - Berlin - Bern - New York - Paris -
Wien 1995, pp. 296 s. La sua origine è dubbia (cf. Sid. Ep. 9.15.1 carm. 37-40: Severianus ista rhetor altius, |
Afer vaferque Domnulus politius | scholasticusque sub rotundoribus | Petrus Camenis dictitasset acrius; la punteg-
giatura di Loyen implica che l’aggettivo Afer sia riferito a Donnulo; è possibile però, come ha sostenuto p. es.
Cavallin, Le poe`te Domnulus cit., pp. 52 s., che Afer debba essere attribuito a Severiano); comunque sia, egli era
legato alla città di Lione di cui, al principio del VI secolo, sarebbe divenuto vescovo (Mathisen, Resistance and
Reconciliation cit., p. 183, ha ipotizzato che i legami con la nobiltà lugdunese possano indicare sia una parte-
— 556 —

fu insignito della carica di comes rerum privatarum 47, mentre Magno, nominato pre-
fetto della Gallia dopo Peonio (e prima di suo nipote Camillo 48), ricevette il con-
solato del 460 49: se si eccettua il caso di Avito, che prese i fasci insieme allo scettro,
si tratta dell’unico console galloromano dopo quasi quarant’anni, segno evidente sia
della fiducia che questo nobile narbonese seppe gradualmente conquistare presso
Maioriano, sia dello sforzo compiuto da sovrano per fare breccia tra la nobiltà gal-
lica, di cui i Magni erano una delle famiglie più rappresentative e potenti, al centro
di un’estesa rete di relazioni non soltanto in Gallia (noti ad esempio i rapporti stretti
con Avito), ma anche con settori della nobiltà italica 50. La duttilità dei Magni ri-

cipazione attiva di Donnulo al concistoro di Avito, sia la sua presenza a Ravenna o a Piacenza quando costui fu
sconfitto; diversam. Henning, Periclitans res publica cit., p. 82). È stato ipotizzato anche che Donnulo avesse
legami di parentela con l’omonimo Rusticio di Milano, ricordato da Ennodio (Mathisen, Resistance and Re-
conciliation cit., p. 183 nt. 68). Questo confermerebbe l’ipotesi di una propensione di Maioriano verso una
parte della nobiltà gallica vicina all’aristocrazia italica.
47 Cf. s.v. Ennodius 1, in PLRE II, pp. 392 s., 1320 (stemma); è stato ipotizzato che fosse fratello di
Magno e zio di Camillo, e che tutti e tre fossero legati da un vincolo di parentela con Magno Felice Ennodio;
cf. Mathisen, Resistance and Reconciliation cit., pp. 188-190, 196 (stemma); Id., Epistolography, Literary Circles
and Family Ties in Late Roman Gaul, in Id., Studies cit., pp. 13-27, spec. 15-22 (già in «TAPhA» 111 [1981],
pp. 95-109); Henning, Periclitans res publica cit., pp. 82 s.; più in generale, sulla famiglia di Ennodio, cf. p. es.
s.v. Ennodius, in PChBE II, pp. 620-632, spec. 620 s.; S.A.H. Kennell, Magnus Felix Ennodius. A Gentleman
of the Church, Ann Arbor 2000, pp. 129 s.
48 Cf. s.v. Camillus, in PLRE II, p. 255.
49 Sebbene avesse ottenuto gran parte del proprio successo politico durante il regno di Maioriano, Ma-
gno aveva raggiunto una posizione di riguardo già con Avito: durante il suo governo, nel 456, aveva accom-
pagnato i Visigoti in Spagna in veste di magister officiorum (la carica è attestata in Sid. Carm. 15.150-153); cf.
Stevens, Sidonius cit., p. 44 nt. 2; Stroheker, Der senatorische Adel cit., pp. 63 s., 190; più recentemente Max,
Majorian cit., p. 137; Mathisen, Resistance and Reconciliation cit., p. 189 nt. 84; ultimam. Henning, Periclitans
res publica cit., p. 76. Altri propendono per una data posteriore ad Avito: Sundwall, Westro¨mische Studien cit.,
p. 98; Loyen, Sidoine Apollinaire et l’esprit pre´cieux cit., p. 83; M. Clauss, Der magister officiorum in der Spa¨-
tantike (4.-6. Jahrhundert). Das Amt und sein Einfluss auf die kaiserliche Politik, München 1980, p. 167; s.v.
Magnus 2, in PLRE II, pp. 700 s. La vicinanza di Magno agli ambienti legati ad Avito si percepisce anche dalle
relazioni esistenti tra la sua famiglia e quella di Sidonio; per un quadro genealogico della famiglia di Magno cf.
Mathisen, Resistance and Reconciliation cit., pp. 188-190, 196 (stemma); Id., Epistolography, Literary Circles
cit., pp. 15-22, 27 (stemma); T.S. Mommaerts - D.H. Kelley, The Anicii of Gaul and Rome, in J. Drinkwater
- H. Elton (a c. di), Fifth-Century Gaul: a Crisis of Identity?, Cambridge 1992, pp. 111-121; C. Settipani,
Continuite´ gentilice et continuite´ familiale dans les familles se´natoriales romaines a` l’e´poque impe´riale, Oxford
2000, pp. 163 s.; S. Orlandi, Le iscrizioni del Colosseo come base documentaria per lo studio del senato tardoan-
tico, in R. Lizzi Testa (a c. di), Le trasformazioni delle ´elites in eta`tardoantica. Atti del Convegno Internazionale.
Perugia 15-16 marzo 2004, pp. 311-324, spec. 321 ss.
50 Zecchini, Aezio cit., pp. 236 s. (il quale però ritiene che la carriera di Magno fosse legata esclusiva-
mente al regno di Maioriano e lo considera il principale rappresentante degli interessi dinastici in Gallia); Ma-
thisen, Resistance and Reconciliation cit., pp. 191 s.; S.J.B. Barnish, Transformation and Survival in the Western
Senatorial Aristocracy, c. A.D. 400-700, «PBSR» 56 (1988), pp. 120-155, spec. 134-138; è da notare che pro-
babilmente Magno si trasferı̀ a Roma dopo la caduta di Narbona; cf. I. Tantillo, Un senatore gallico del V secolo
d.C., «Epigraphica» 61 (1999), pp. 267-276.
— 557 —

spondeva in pieno alle esigenze di Maioriano, che intendeva recuperare un’integrità


imperiale fondata sull’unità delle due prefetture, che il colpo di stato sembrava aver
fatto definitivamente sfumare.
L’accostamento al mondo gallico, i lunghi soggiorni a Lione e ad Arles, i le-
gami personali con l’aristocrazia di quelle città (legata prevalentemente agli Anici) 51,
rendevano inevitabilmente più problematico il rapporto con le fazioni più potenti
del mondo italico, le stesse che avevano sotenuto Maioriano contro Avito. Già ali-
mentato da una legislazione fortemente contraria alla tradizione normativa dei Deci,
il dissidio con Ricimero e con Basilio sarebbe stato irreparabile: una volta partito,
alla fine del 458, Maioriano non tornò mai in Italia, se non quando, dopo il falli-
mento della spedizione vandalica, fu raggiunto e assassinato da Ricimero; e in Gallia
le forze di Ricimero avrebbero a lungo combattuto contro un luogotenente di
Maioriano, Egidio, che si rifiutò di riconoscere il nuovo assetto politico sorto nel
461 52.

C. L’esercito

Quando Maioriano salı̀ al trono era lucidamente consapevole che il più urgen-
te compito di cui doveva farsi carico era di debellare una volta per tutte la forza di
Genserico, diventato per le coste dell’Italia un pericolo costante. I Vandali, dopo il
sacco di Roma, avevano infatti continuato a veleggiare nelle acque del Tirreno e la
loro presenza, nel 456, era reputata da Sidonio una priorità ineludibile per la poli-
tica romana 53. Anche quando l’impero riusciva ad attrezzare forze in grado di re-
spingere i nemici, le perdite loro inflitte non si rivelavano mai particolarmente pe-
santi: dopo aver subito una grave sconfitta in Corsica per mano di Ricimero, nel
456 54, nel 458 i Vandali insieme ai Mauri attaccarono le coste campane, dove fu-
rono vinti da Maioriano 55; nonostante l’enfatica celebrazione di quell’impresa (Si-
donio evoca Dentato e Pirro), lo stesso Maioriano fu costretto a promulgare di lı̀ a
poco una legge dal titolo De reddito iure armorum, che affidava ai civili il compito di
proteggere le coste dagli attacchi che venivano dal mare 56.
Sin dal principio del suo regno, dunque, Maioriano cominciò a organizzare

51 Sid. Ep. 1.11.10; 9.13.4.


52 Infra, nt. 59.
53 Sid. Carm. 7.588-591.
54 Hyd. Chron. p. 29.
55 Sid. Carm. 5.385-440. I Mauri, evidentemente sottomessi ai Vandali, compaiono insieme a Gen-
serico nel sacco del 455 e nelle incursioni in Sicilia e in Italia, subito dopo la morte di Maioriano; cf. ultimam.
Y. Modéran, Les Maures et l’Afrique romaine (IV e-VII e sie`cle), Rome 2003, pp. 241 ss.
56 Nov. Maior. 8, emessa tra il 6 novembre 458 e il 17 aprile 459; il testo è andato perduto ma il
contenuto della legge è desumibile sulla base dell’omonima Nov. Valent. 9, del 440.
— 558 —

una forza militare che fosse capace di colpire Genserico direttamente in Africa e di
annientarne definitivamente il regno: come si è detto, allestı̀ una flotta divisa tra
Miseno e Ravenna, arruolò un esercito reclutando uomini delle più diverse nazioni,
e strinse un’alleanza con Marcellino di Dalmazia 57. Parte di questo apparato mili-
tare fu utilizzato già tra la fine del 458 e la primavera del 459 per restituire la Gallia
al controllo imperiale.
Per questa ampia attività militare, prima in Gallia e poi in Spagna e in Africa,
Maioriano disponeva di tre magistri militum: Ricimero, magister militum e patricius
già dal 457; Nepoziano, che probabilmente occupava il secondo magisterium mili-
tum praesentale fin dall’inizio del regno 58; Egidio, che era stato nominato magister

57 La presenza di Marcellino in Sicilia all’indomani della morte di Maioriano (Prisc. fr. 38) si spiega
nell’ambito della mobilitazione del 460 per la riconquista dell’Africa, che prevedeva evidentemente la coper-
tura navale del Canale di Sicilia (cf. supra, nt. 3); analogamente, nel 468, la strategia di Basilisco per sconfig-
gere Genserico avrebbe comportato la dislocazione di Marcellino in Sardegna (cf. Procop. Vand. 1.6.8). Il
sostegno accordato da Marcellino a Maioriano si spiega forse alla luce di un possibile legame stretto negli anni
di Aezio (sappiamo infatti che Marcellino si ritagliò uno spazio autonomo in Dalmazia per il risentimento
nutrito verso Valentiniano a seguito dell’uccisione del generale: Procop. Vand. 1.6.7); cf. spec. M. Kulikowski,
Marcellinus ‘of Dalmatia’ and the Dissolution of the Fifth-Century Empire, «Byzantion» 72 (2002), pp. 177-191
(a cui si rimanda per un quadro generale sulla figura di Marcellino). D’altra parte, è presumibile che per con-
vincere Marcellino a partecipare alla guerra contro i Vandali fosse stato determinante il tramite di Nepoziano,
magister militum di Maioriano e cognato di Marcellino. È piuttosto difficile definire quale fosse la carica ri-
coperta da Marcellino, genericamente definito comes; è interessante che Prisco (fr. 39) parli di un suo «potere
crescente» (at\namole*mg| dtma*lex|), probabilmente in relazione al ruolo assegnatogli da Maioriano nel 460,
alla vigilia dell’attacco contro i Vandali. È possibile che proprio in quelle circostanze egli fosse stato nominato
magister militum, forse limitatamente alla Dalmazia (visto che esistevano già due magistri militum praesentales e
un magister militum per Galliam); la forma magister militum Dalmatiae è ricordata per Giulio Nepote, che
potrebbe averla ereditata dallo zio al momento della sua morte, nel 468; cf. s.v. Marcellinus 6 e Nepos 3,
in PLRE II, pp. 708-710, 777 s. Secondo A. Demandt, s.v. Magister militum, in RE, suppl. XII (1970),
cc. 553-790, spec. 684, e M. Malavolta, s.v. Magister equitum, peditum, militum, utriusque militiae, in DE
V (1993), pp. 261-288, spec. 279, Marcellino sarebbe stato nominato da Maioriano magister militum praesen-
talis et patricius nel 461.
58 Di Nepoziano sono incerti i natali: secondo Vassili, La figura di Nepoziano cit., p. 60 nt. 2, il suo
nome tradirebbe origini galloromane, mentre secondo Max, Majorian cit., p. 19, le poche notizie relative ai
suoi legami familiari porterebbero all’area danubiana (in tal caso la sua presenza potrebbe essere stata funzio-
nale al reclutamento delle truppe in vista della guerra vandalica); non è da escludere nemmeno che provenisse
dalla Spagna (la questione è stata affrontata ultimam. da Henning, Periclitans res publica cit., p. 81 nt. 52).
Probabilmente sposò la sorella di Marcellino di Dalmazia e suo figlio fu Giulio Nepote; cf. p. es. Sundwall,
Westro¨mische Studien cit., p. 109; Demandt, s.v. Magister militum cit., c. 683; s.v. Nepotianus 2, in PLRE II,
p. 778; Heinzelmann, Gallische Prosopographie cit., p. 656. Su Nepote cf. s.v. Nepos 3, in PLRE II, pp. 777 s.
Sul ruolo di Nepoziano durante il governo di Maioriano sono state fornite diverse interpretazioni: se-
condo alcuni non sarebbe stato altro che un uomo di Ricimero, posto dal generalissimo nell’entourage di
Maioriano per controllarne o addirittura sabotarne le azioni (Vassili, La figura di Nepoziano cit., che faceva
il paio con un altro lavoro, pubblicato nello stesso 1936, dal titolo Il comes Agrippino collaboratore di Ricimero;
A. Solari, Il rinnovamento dell’Impero romano, I. L’unita`di Roma, Milano-Genova-Roma-Napoli 1938, p. 410;
più recentemente, Lacam, «Ricimer» cit., p. 247); secondo altri, durante il suo servizio, egli avrebbe abbando-
— 559 —

militum per Galliam nell’ambito della campagna condotta da Maioriano in Proven-


za 59. Sebbene Ricimero fosse per grado e per prestigio il generale con maggiore
autorità, egli non fu mai impiegato dal sovrano durante i quattro anni del suo re-
gno. L’imperatore appare personalmente al comando di una parte delle truppe sia in
Gallia, sia in Spagna, e al suo fianco compaiono di volta in volta Nepoziano, Egidio,
Marcellino, ma mai Ricimero. Il dissidio con Maioriano era già esploso ed era in-

nato Maioriano e sarebbe passato dalla parte dei Visigoti (cf. già Van Hengel, Specimen historico-literarium cit.,
pp. 6 s. nt. 4; Cantarelli, L’imperatore Maioriano cit., pp. 11 s. nt. 3; ultimam. A. Gillett, Envoys and Political
Communication in the Late Antique West, 411-533, Cambridge 2003, p. 83). La prima ipotesi non si fonda su
alcuna notizia reperibile nelle fonti; la seconda si basa essenzialmente su un passo di Idazio in cui Nepoziano
appare condurre l’esercito goto assieme a Sunerico conto gli Svevi (Chron. p. 31). Idazio stesso, tuttavia, sem-
brerebbe suggerire che la presenza di Nepoziano alla guida dei Goti fosse lagata al trattato stipulato tra Teo-
derico e Maioriano, annunciato agli Svevi proprio da Sunerico e Nepoziano; è probabile quindi che quest’ul-
timo avesse il compito di preparare il terreno al passaggio di Maioriano, che era diretto verso Gibilterra, e di
evitare quindi che gli Svevi interferissero negli spostamenti delle truppe (è da notare che per controllare gli
Svevi i Romani si affidarono ancora una volta all’esercito visigoto che, come durante il regno di Avito, ne
avrebbe approfittato per consolidare la propria presenza in quelle regioni); per altro, l’immediata sostituzione
di Nepoziano con Arborio da parte di Teoderico, dopo la morte di Maioriano (Hyd. Chron. p. 32), sembre-
rebbe implicare uno stretto legame tra il magister e l’imperatore, un legame già celebrato da Sidonio (Carm.
5.553-555). Sugli Svevi in questo contesto cf. E.A. Thompson, The Suevic Kingdom of Galicia, in Id., Romans
and Barbarians. The Decline of the Western Empire, Madison 1982, pp. 161-187, spec. 172 ss. (già in «NMS»
21 [1977], pp. 3-31); su Arborio cf. Demandt, s.v. Magister militum cit., c. 684; s.v. Arborius 1, in PLRE II,
p. 129).
59 Anche Egidio, probabilmente, aveva iniziato la propria carriera insieme a Maioriano nell’esercito di
Aezio, come si può dedurre dalla testimonianza di Prisco (fr. 39), che ricorda come Maioriano ed Egidio aves-
sero militato insieme, e di Gregorio di Tours (Franc. 2.12 Arndt), in cui appare evidente che Egidio operava
prevalentemente nella Gallia settentrionale, nella zona del confine renano (dove Maioriano era stato impegna-
to insieme ad Aezio negli anni Quaranta del quinto secolo: Sid. Carm. 5.198-254). La testimonianza di Gre-
gorio indugia sulla notevole autorità guadagnata da Egidio presso i Franchi, di cui, secondo l’autore, egli sa-
rebbe stato re per otto anni, durante l’esilio di Childerico. Il testimone di Egidio sarebbe stato raccolto da suo
figlio Siagrio (Franc. 2.18, su cui cf. già G. Tamassia, Egidio e Siagrio, «RSI» 3 [1886], pp. 193-234). Sulla
base di questa notizia, Mathisen, Resistance and Reconciliation cit., pp. 177-180, ha ipotizzato l’esistenza di una
parentela tra Egidio e i Syagrii di Lione, ipotesi che confermerebbe la predilezione di Maioriano per la parte
della nobiltà galloromana più vicina ai Magni (un ostacolo a questa ricostruzione è rappresentato dall’inter-
vento di Egidio a Lione, che dalla lettura di Sidonio parrebbe essere stato condotto con una certa brutalità).
Egidio ricevette da Maioriano la carica di magister militum per Galliam nell’ambito del processo di pa-
cificazione della Gallia meridionale. Il momento esatto della nomina è incerto; in Gregorio di Tours (Franc.
2.11) la notizia è collocata nel capitolo in cui si tratta della deposizione di Avito, e per questo la nomina po-
trebbe risalire agli ultimi giorni del suo regno (ma non si può escludere una data posteriore, subito prima
dell’ingresso a Lione o tra la battaglia di Lione e quella di Arles). Comunque sia, Egidio, affiancato presumi-
bilmente da un esercito di Franchi Salii, fu il protagonista delle operazioni imperiali condotte in Gallia tra il
458 e il 459. La sua fedeltà a Maioriano fu tale che subito dopo la morte del sovrano egli rifiutò di riconoscere
l’autorità imperiale e le direttive di Ricimero: sino alla fine dei suoi giorni (morı̀ nel 464; sulla data cf. A.
Lippold, recensione a PLRE II, «Gnomon» 54 (1982), pp. 485-490; quindi Heinzelmann, Gallische Prosopo-
graphie cit., p. 544) impegnò i Visigoti in un conflitto per il controllo della Gallia settentrionale e ignorò la
— 560 —

sanabile: da un lato il sovrano intendeva conservare per sé il comando supremo del-
l’esercito romano e recuperare quella integrità dei poteri civili e militari che nel
quinto secolo era stata smarrita per l’enorme potere acquisito dai generalissimi (e
che Valentiniano uccidendo Aezio aveva invano tentato di ricostruire), dall’altro Ri-
cimero non poteva accettare il ruolo subordinato che Maioriano, forse, era disposto
a concedergli, al pari di altri ufficiali meno potenti e ambiziosi (a proposito di Ne-
poziano, Sidonio ricorda che vestrum post vos qui compulit agmen, | sed non invi-
tum 60 ! ). Ma proprio questo distacco da Maioriano favorı̀ alla fine Ricimero, che
restò in Italia lontano dal suo controllo e libero di coltivare legami che gli avrebbero
consentito di tornare a controllare l’impero.

La morte del sovrano fu il fallimento di un progetto ambizioso, attraverso il


quale Maioriano cercò, prima di ogni altra cosa, di restituire alla figura dell’impe-
ratore un’autorità da tempo avvilita e frammentata: per la prima volta dopo più
di mezzo secolo un imperatore occidentale si era fatto carico di organizzare un eser-
cito e di condurlo personalmente in battaglia. Ricimero aveva sostenuto la candida-
tura di un compagno d’armi nella convinzione che il proprio ruolo nel governo di
Roma sarebbe stato di primaria importanza; Maioriano invece infranse quasi imme-
diatamente l’alleanza che lo aveva innalzato sul trono di Ravenna, seguendo nella
legislazione, nel confronto con la Gallia, nella gestione dell’esercito, un modello
di sovranità slegato dalla tradizione teodosiana, per alcuni versi affine alle posizioni
di Aezio e in contrasto con gli orientamenti dei Deci. Egli seguı̀ una politica volta ad
attenuare le sperequazioni economiche che si ritorcevano sui curiali e sul fisco, a
rafforzare la presenza dello stato laddove a esso si erano sostituiti grandi gruppi
di potere, a recuperare l’unità delle due grandi prefetture occidentali; una politica
che oltre a scontentare le ambizioni di Ricimero si infrangeva duramente contro

destituzione dalla carica di magister utriusque militiae per Galliam, assegnata nel frattempo ad Agrippino; cf.
Prisc. fr. 39; Hyd. Chron. p. 32 s. Sul complesso problema dei rapporti tra Egidio e Agrippino, Mathisen,
Resistance and Reconciliation cit., pp. 184-188, ha offerto un’interpretazione che tende a contestualizzare il loro
conflitto nell’ambito del dissenso gallico verso l’impero all’indomani dell’uccisione di Avito, ridatando il pro-
cesso di Agrippino al 458 (in questo senso cf. già Stroheker, Der senatorische Adel cit., pp. 143 s.). L’accusa
formulata da Egidio sarebbe stata provocata dall’implicazione di Agrippino nell’espansione Burgunda succes-
siva alla deposizione di Avito; dopo essere stato condannato a morte, Agrippino avrebbe ricevuto la stessa am-
nistia di cui avevano beneficiato altri uomini implicati nella ribellione gallica (Sidonio, Peonio, ecc.). È da
considerare in gran parte superata la vecchia interpretazione di L. Vassili, Il comes Agrippino collaboratore di
Ricimero, «Athenaeum» 14 (1936), pp. 175-180, secondo la quale durante il governo di Maioriano sarebbe
esistita un’opposizione di impronta aeziana e filobarbarica, capeggiata da Ricimero con al suo fianco Nepo-
ziano e Agrippino, in contrasto con quella antibarbarica di Maioriano ed Egidio. In realtà, l’interpretazione
di Nepoziano come uomo di Ricimero è priva di fondamento, e anche la continuità tra Aezio – che fece
di tutto per conservare la Gallia all’impero – e Ricimero è un postulato non condivisibile. Sul problema
cf. anche s.v. Agrippinus, in PLRE II, pp. 37 s.
60 Sid. Carm. 5.554 s.
— 561 —

gli interessi di molta parte della nobiltà italica e della Chiesa, che alla fine preferi-
rono sostenere un uomo meglio disposto ad accoglierne le istanze come fu Ricime-
ro, un generale mezzo svevo e mezzo visigoto che fino alla sua morte avrebbe ten-
tato di esercitare il proprio dominio sull’impero d’Occidente.

Fabrizio Oppedisano
fabop@tiscali.it

Potrebbero piacerti anche