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Carlo Magno

1. La vita

Figlio di Pipino III, detto il Breve, e di Bertrada, figlia di Cariberto, conte di Laon, salì al trono
insieme con il fratello Carlomanno alla morte del padre (768). Rimase unico re dei franchi tre
anni più tardi, dopo la scomparsa del fratello appena ventenne (771). Il suo regno si caratterizzò
subito come un regno guerriero. Nel 772 cominciarono le operazioni di guerra contro i sassoni,
destinate a durare, con poche interruzioni, fino all’804. Nel 773, chiamato dal papa, scese in
Italia, sconfisse i longobardi alle Chiuse della Valle di Susa, presso Torino, e nel 774 espugnò
Pavia, la capitale longobarda, conquistando così quasi tutta l’Italia e assumendo il titolo di “re dei
longobardi”. Meno fortunata fu la spedizione in Spagna, nel 778, contro i musulmani: costretto a
desistere dall’assedio di Saragozza, durante la ritirata la sua retroguardia fu attaccata a
Roncisvalle, sui Pirenei, da bande di montanari baschi e fu annientata. Fra gli altri morì anche
Rolando, il prefetto della marca di Bretagna, il leggendario eroe di tanti poemi cavallereschi
posteriori. Dopo aver sottomesso la Baviera, nel 796 conquistò anche il regno degli avari, un
popolo di origine asiatica stanziato in Pannonia. Alla fine dell’VIII secolo la maggior parte
dell’Occidente cristiano era ormai unificata: un impero così vasto e un sovrano così potente non
si erano più visti in Europa dopo la caduta dell’impero romano. I colti chierici delle corti franca e
pontificia, sensibili alla tradizione di Roma, pensarono di attribuire un significato universale al
potere di Carlo, in concorrenza con l’impero bizantino. Così prepararono l’innalzamento del re
alla dignità imperiale. La notte di Natale dell’800, con una cerimonia solenne svoltasi nella
basilica di S. Pietro, a Roma, il papa Leone III gli impose la corona imperiale, mentre la folla dei
romani lo acclamava come “Carlo Augusto, incoronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei
romani”. L’impero si caratterizzò come franco e cattolico: cattolico poiché la Chiesa di Roma ne
era un caposaldo e lo stesso imperatore si presentava come difensore della Chiesa e della
cristianità e come evangelizzatore dei popoli pagani; franco, sia perché creato dai franchi, sia
perché il suo centro non era più, come nell’impero romano, il Mediterraneo, bensì la regione
compresa tra la Loira e il Reno, con capitale Aquisgrana, la città imperiale pensata e costruita da
Carlo. Anche se egli si presentava come erede della tradizione imperiale romana, in realtà il suo
riferimento non erano gli antichi imperatori pagani, bensì quelli cristiani, soprattutto Costantino il
Grande. Nell’806 Carlo Magno regolò la sua successione e divise l’impero fra i suoi tre figli
maschi: Carlo, Pipino e Ludovico. Ma la morte dei primi due semplificò la situazione, così
nell’813 Ludovico, il re d’Aquitania e il futuro Ludovico I il Pio, fu associato dal padre all’impero
con una solenne cerimonia svoltasi ad Aquisgrana. Pochi mesi dopo, il 28 gennaio 814, Carlo
Magno morì.

2. Carlo Magno e i caratteri del suo governo

Era certo difficile governare un organismo politico così vasto e con differenze così grandi di
carattere economico, culturale, giuridico e linguistico; in più mancava una classe dirigente
responsabile e culturalmente in grado di reggere uno stato. Carlo Magno cercò di intervenire per
mezzo di leggi (chiamate “capitolari” perché suddivise in capitoli) emanate nel corso di
assemblee generali del regno, ed estese ai paesi conquistati la suddivisione amministrativa per
comitati e per marche. Nel comitato il conte amministrava la giustizia in nome del re, raccoglieva
i tributi e arruolava le truppe; nella sua azione il conte era affiancato, e spesso controllato, dai
vescovi, con tutto il loro prestigio e la loro forza economica; questa fu la grande novità dell’età
carolingia: la compenetrazione fra la struttura pubblica e quella sacerdotale. Carlo domandava
alla Chiesa di essere un elemento potente di stabilità dello stato, assegnando in cambio alle
chiese la riscossione delle decime, la decima parte dei prodotti, dovuta da tutti i proprietari
terrieri. Le marche erano un raggruppamento di comitati, costituite nelle zone di confine più
pericolose e affidate a un marchese, che deteneva il comando militare per rispondere il più
velocemente possibile alle minacce di invasione. Le marche più importanti furono quelle di
Bretagna, di Spagna, del Nord e dell’Est. Carlo istituì infine i messaggeri reali (​missi dominici​),
incaricati di visitare le varie zone dell’impero per verificare che nelle regioni loro assegnate (i
missatica)​ la legge fosse rispettata; nello svolgimento del loro ufficio essi si spostavano almeno
in coppia, un conte e un vescovo. Ma la fragilità delle strutture amministrative non garantiva il
rispetto della volontà imperiale in tutti i domini. Per assicurare maggiore saldezza allo stato,
Carlo usò come funzionari pubblici, conti e marchesi quei capi militari che erano suoi vassalli,
che gli avevano cioè giurato fedeltà vassallatica. In tal modo il vassallaggio non fu un elemento
di decomposizione, bensì di coesione del regno. Nel tentativo di costituire un ceto dirigente di
valore, Carlo Magno chiamò alla sua corte i più illustri studiosi del tempo: l’inglese Alcuino di
York, il longobardo Paolo Diacono, originario del Friuli, il teologo Paolino, poi patriarca di
Aquileia, e lo spagnolo Teodulfo, fatto dal re vescovo di Orléans; sorse così la “Scuola palatina”,
chiamata in tal modo perché aveva sede nel palazzo reale. Inoltre riorganizzò e istituì nuove
scuole e biblioteche presso i monasteri e le sedi vescovili, prescrivendo che vi si insegnassero,
non soltanto ai giovani destinati al sacerdozio, ma anche ai figli dei nobili, il canto e i salmi, le
note (cioè la stenografia), i calcoli matematici e la grammatica (cioè il latino). Questo movimento
è stato definito “rinascita carolingia”, e fu aiutato da un grande sforzo per moltiplicare le copie dei
libri. I manoscritti, ricopiati nelle sale di scrittura dei monasteri, cominciarono a essere scritti in
una grafia più chiara e gradevole, perfezionata dai monaci dell’abbazia di Corbie presso Amiens,
verso la fine dell’VIII secolo: la minuscola carolina. Sul piano economico, per favorire gli scambi
commerciali e per eliminare le frodi, Carlo operò una riforma monetaria: alle monete d’oro,
ancora coniate dalle zecche arabe e bizantine, egli sostituì il denaro d’argento, che pesava un
po’ meno di due grammi: dodici di queste monetine formavano un soldo e venti soldi costituivano
una lira. Questo sistema monetario si diffuse in ogni regione d’Europa e fu usato per tutti i secoli
del medioevo. Egli si preoccupò di disporre la corretta amministrazione del suo patrimonio
fondiario: nel ​Capitulare de villis (800) si indicavano le varie colture, i tempi della vita agricola
(aratura, semina, mietitura, vendemmia), la riproduzione degli animali, le condizioni di vita dei
contadini, l’attività dei laboratori tessili annessi alle tenute. Carlo Magno rappresentò il momento
di sintesi fra il patrimonio culturale di origine mediterranea, personificato dall’aristocrazia romana
insediatasi in Gallia, e le esigenze dei franchi e degli altri popoli germanici federati con loro.
Quando morì, egli era già un mito. Ma oltre alla leggenda dell’imperatore santo qualcosa di più
efficace permase nei secoli successivi al X: la società aristocratica dei secoli centrali del
medioevo espresse poteri che imitavano quelli dei conti carolingi nelle riscossioni, nell’esercizio
della giustizia, nelle convocazioni militari. Qualunque dominio signorile fosse in grado di farlo
definiva “contea” o “marchesato” il proprio ambito territoriale, proprio perché avvertiva la forza
legittimante di quelle definizioni. Ancor più del mito culturale, dunque, fu operante sul piano
concreto per tutto il medioevo l’idea stessa di potere pubblico carolingio, il modello delle
istituzioni e degli ordinamenti da Carlo Magno costruiti o perfezionati. [​Giuseppe Banchio]​

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