Sei sulla pagina 1di 8

Fonetica

e fonologia
CAPITOLO 2

2.1 Fonetica

Il significante, o mezzo fisico, primario della lingua è di carattere fonico-acustico: suoni e rumori,
onde sonore che passano attraverso l’aria. La parte della linguistica che studia come sono fatti
fisicamente i suoni di cui le lingue si servono si chiama fonetica.
La fonetica si suddistingue in tre campi principali: la fonetica articolatoria, che studia i suoni del
linguaggio in base al modo in cui vengono articolati, cioè prodotti dall’apparato fonatorio umano;
la fonetica acustica, che, applicando i princìpi dell’acustica, studia i suoni del linguaggio in base
alla loro consistenza fisica e modalità di trasmissione in quanto onde sonore che si propagano in
un mezzo; e la fonetica uditiva o percettiva, che studia i suoni del linguaggio in base al modo in cui
vengono ricevuti dall’apparato uditivo umano e decodificati dal cervello.

2.1.1 Apparato fonatorio e meccanismo di fonazione
L’apparato fonatorio è l’insieme degli organi e delle strutture anatomiche che la specie umana
utilizza per parlare.
I suoni del linguaggio vengono normalmente prodotti mediante l’espirazione, quindi con un flusso
d’aria egressivo: l’aria, muovendo dai polmoni attraverso i bronchi e la trachea, raggiunge la
laringe.
Nella laringe, dove ha inizio il “tratto vocale”, l’aria incontra le corde vocali (o “pliche laringee”).
Quest’ultime sono due pieghe della mucosa laringea che durante la normale respirazione silente
restano separate e rilassate, mentre nella fonazione (produzione dei suoni del linguaggio) possono
contrarsi e tendersi avvicinandosi o accostandosi l’una all’altra, e riducendo o bloccando il
passaggio dell’aria. Lo spazio fra le corde vocali (detto “rima vocale”), in cui passa l’aria, può quindi
risultare completamente libero, parzialmente libero o completamente ostruito. Cicli rapidissimi di
chiusure e aperture della rima vocale costituiscono le cosiddette “vibrazioni” delle corde vocali. A
tale insieme di fenomeni si dà il nome di meccanismo laringeo, che rappresenta il momento
fondamentale della produzione dei suoni del linguaggio. Il numero di cicli di chiusura e apertura
della rima vocale che caratterizza l’onda sonora emessa ne costituisce la frequenza fondamentale
(simbolo: f0), un parametro acustico misurato in Hertz (Hz).
Il flusso d’aria passa poi nella faringe, e da questa nella cavità orale. Nella parte superiore della
faringe, la parte posteriore del palato (o “velo”) può a questo punto lasciare aperto oppure
chiudere il passaggio che mette in comunicazione la faringe con la cavità nasale.
Nella cavità orale, svolgono una funzione importante alcuni organi mobili o fissi: la lingua, in cui si
distinguono una “radice” (parte posteriore della lingua), un “dorso” (parte centrale della lingua) e
un “apice” (la punta della lingua); il palato, in cui occorre considerare separatamente il velo (o
palato molle); gli alveoli (le gengive posteriori); i denti; le labbra. Anche la cavità nasale può
partecipare al meccanismo di fonazione, quando il velo e l’ugola si trovano in posizione di riposo e
permettono quindi il passaggio dell’aria attraverso il naso.
In ciascuno dei punti compresi fra la glottide e le labbra può essere assunta una particolare
configurazione degli organi coinvolti e può essere frapposto un ostacolo al passaggio dell’aria. Si
formano in tal modo suoni e rumori che costituiscono fisicamente i suoni del linguaggio.

Il luogo in cui viene articolato un suono costituisce un primo parametro fondamentale per la
classificazione e identificazione dei suoni del linguaggio; un secondo parametro fondamentale è
dato dal modo di articolazione, cioè dalla conformazione degli organi fonatori e dal
restringimento relativo che in un certo punto del percorso si frappone o no al passaggio del flusso
d’aria. Un terzo parametro, che si riconduce comunque al modo di articolazione, è dato dal
contributo della mobilità di singoli organi all’articolazione dei suoni.

In base al modo di articolazione, abbiamo una prima grande opposizione tra i suoni del linguaggio:
quella fra i suoni prodotti senza la frapposizione di ostacoli che creino perturbazioni al flusso d’aria
fra la glottide e il termine del percorso, e suoni prodotti mediante la frapposizione di un ostacolo
parziale o totale al passaggio dell’aria in qualche punto del percorso. I primi tipi di suoni
costituiscono le vocali, i secondi le consonanti. I suoni prodotti con concomitante vibrazione delle
corde vocali accostate e tese sono detti sonori, i suoni prodotti senza vibrazione delle corde vocali
discoste sono detti sordi. Le vocali sono normalmente tutte sonore, mentre le consonati possono
essere sia sonore che sorde.

2.1.2 Consonanti
Modo di articolazione
Le consonanti sono caratterizzate dal fatto che vi è frapposizione di un ostacolo al passaggio
dell’aria. A seconda che l’ostacolo sia completo o parziale, si riconoscono due grandi classi di
consonanti: rispettivamente, le occlusive e le fricative. A un livello maggiore di precisione, occorre
distinguere dalle fricative le cosiddette approssimanti, in cui l’avvicinamento degli organi
articolatori non arriva a provocare una frizione o un fruscio così sensibile come nel caso delle vere
fricative. Sono approssimanti le semiconsonanti e le semivocali.
Esistono suoni consonantici la cui articolazione inizia come un’occlusiva e termina come una
fricativa. Si tratta di consonanti “composte” che vengono chiamate affricate.
Nel modo di articolazione di alcuni tipi di consonanti intervengono altri fattori quali movimenti o
atteggiamenti della lingua, o la partecipazione anche della cavità nasale alla produzione del suono.
Abbiamo così consonanti laterali, quando l’aria passa solo ai due lati della lingua, e vibranti,
quando si hanno rapidi contatti intermittenti tra la lingua e un altro organo articolatorio. Laterali e
vibranti possono essere riunite sotto l’etichetta di “liquide”. Si hanno invece consonanti nasali
quando vi è passaggio d’aria anche attraverso la cavità nasale.
Le consonanti possono essere caratterizzate anche da altri parametri quali l’energia articolatoria
(tensione muscolare) con la quale vengono prodotte, che dà luogo a una scala che va dalle
consonanti più forti, le occlusive sorde, a quelle più “leni”, le approssimanti. Un altro parametro,
che può riguardare le occlusive e le affricate davanti a una vocale, è la presenza di “aspirazione”,
vale a dire un intervallo di tempo tra il rilascio dell’occlusione o della tenuta della consonante e
l’inizio della vibrazione delle corde vocali caratteristica delle vocali, che produce una specie di
soffio laringale; le consonanti così prodotte vengono dette aspirate.

Luogo (o punto) di articolazione
Le consonanti vengono classificate anche in base al punto dell’apparato fonatorio in cui sono
articolate. Partendo dal tratto terminale del canale, abbiamo innanzitutto le consonanti (bi)labiali,
prodotte dalle labbra o tra le labbra; abbiamo poi le consonanti labiodentali, prodotte fra l’arcata
dentaria superiore e il labbro inferiore; le consonanti dentali, prodotte a livello dei denti (che
comprendono anche le alveolari, prodotte dalla lingua contro o vicino agli alveoli); le consonanti
palatali, prodotte dalla lingua contro o vicino al palato duro; le consonanti velari, prodotte dalla
lingua contro o vicino al velo; le consonanti uvulari, prodotte dalla lingua contro o vicino all’ugola;
le consonanti faringali, prodotte fra la base della radice della lingua e la parte posteriore della
faringe; e infine le consonanti glottidali, prodotte direttamente nella glottide, a livello delle corde
vocali.
In una classificazione più precisa, si può prendere in considerazione anche la parte della lingua che
interviene nell’articolazione: avremo così consonanti coronali, prodotte dalla parte anteriore della
lingua, o apico-dentali, prodotte dall’apice della lingua contro o vicino agli alveoli, o dorso-
palatali, prodotte dal dorso della lingua contro o vicino al palato duro, o radico-velari, prodotte
dalla radice della lingua contro o vicino al velo.
Esistono in oltre delle consonanti cosiddette retroflesse, che vengono articolate flettendo
all’indietro la punta della lingua verso la parte anteriore del palato (beddu).

2.1.3 Vocali
Le vocali sono suoni prodotti senza che si frapponga alcun ostacolo al flusso dell’aria nel canale
orale. Le diverse vocali non sono quindi caratterizzate dal modo di articolazione né dagli organi
che partecipano alla loro realizzazione, ma dalle diverse conformazioni che assume la cavità orale
seconda delle posizioni che prendono gli organi mobili, in particolare la lingua. Per classificare i
suoni vocalici occorre far riferimento in primo luogo alla posizione della lingua, in particolare:
a) al suo grado di avanzamento o arretramento;
b) al suo grado di innalzamento o abbassamento.
In base ad a) le vocali possono essere anteriori (o palatali), posteriori (o velari) e centrali.
In base a b) le vocali possono essere alte, medie (con ulteriore distinzione tra medio-alte e medio-
basse) e basse.
La posizione in cui vengono articolate le vocali secondo il duplice asse orizzontale e verticale può
essere rappresentata dallo schema trapezio-vocalico.

Un altro parametro importante è la posizione delle labbra durante l’articolazione. Le labbra
possono trovarsi distese, formanti una fessura, oppure tese e protruse, cioè sporgenti in avanti
dando luogo a una specie di rotondità. Le vocali prodotte con le labbra protruse si chiamano
arrotondate; le vocali prodotte senza protrusione si chiamano “non arrotondate”.
Ancora, i suoni vocalici possono essere realizzati con o senza passaggio contemporaneo dell’aria
nella cavità nasale: nel primo caso sono ovviamente detti nasali.

2.1.4 Approssimanti
Vi sono suoni con modo di articolazione intermedio fra vocali e consonanti fricative, prodotti con
un semplice inizio di restringimento del canale orale: questi suoni sono detti approssimanti.
Fra le approssimanti vi sono suoni assai vicini alle vocali, e che vengono appunto chiamati
semivocali.

2.1.5 Trascrizione fonetica
Le grafie alfabetiche formatesi storicamente per convenzione e accumulo di abitudini grafiche
sono tutt’altro che univoche e coerenti. Non c’è rapporto biunivoco tra suoni e unità grafiche (o
grafemi: le lettere dell’alfabeto). Allo stesso singolo suono possono corrispondere nella stessa
lingua o in lingue diverse più grafemi differenti.
Per ovviare alle incongruenze delle grafie tradizionali ed avere uno strumento di rappresentazione
grafica dei suoni del linguaggio, valido per tutte le lingue, che riproduca scientificamente la realtà
fonica, i linguisti hanno elaborato sistemi di trascrizione fonetica, in cui c’è corrispondenza
biunivoca fra suoni rappresentati e segni grafici che li rappresentano. Il più diffuso e importante
dei sistemi usati è l’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA). L’IPA permette di riprodurre
qualunque suono di qualunque lingua.


2.2 Fonologia

2.2.1 Foni, fonemi, allofoni
Ogni suono producibile dall’apparato fonatorio umano rappresenta un potenziale suono del
linguaggio, che chiameremo ora fono. Un fono è la realizzazione concreta di un qualunque suono
del linguaggio; questo termine può indicare sia un singolo suono concretamente realizzato da un
certo parlante, sia la classe di suoni che condividono le stesse caratteristiche articolatorie
particolari.
Nella gamma dei foni materialmente producibili, le diverse lingue assegnano loro valore distintivo:
quando i foni hanno (in una data lingua) valore distintivo, cioè si oppongono sistematicamente ad
altri foni nel distinguere e formare le parole di quella lingua, si dice che funzionano da fonemi. I
foni sono le unità minime in fonetica. I fonemi sono le unità minime in fonologia (o fonematica),
che studia l’organizzazione e il funzionamento dei suoni nel sistema linguistico.

La parola mare è costituita da quattro foni diversi in successione; io posso pronunciare ognuno dei
foni costitutivi della parola in modi diversi, per esempio la a anteriorizzata invece che centrale, ma
la parola rimarrà sempre definita come mare. Ciascuno dei quattro foni distingue/oppone la
parola in considerazione da/a altre parole (care, male…).
La trascrizione fonematica riproduce per sua natura solo le caratteristiche pertinenti della
realizzazione fonica, trascurando le particolarità e le differenze che non hanno valore distintivo, ed
è quindi sempre trascrizione “larga”. Ciascuno dei quattro fonemi è identificato per opposizione,
mediante un procedimento di scoperta che consiste nel confrontare un’unità in cui compaia il
fono di cui vogliamo dimostrare se è no fonema con altre unità della lingua che siano uguali in
tutto tranne che nella posizione in cui sta il fono in oggetto. Tale procedimento si chiama prova di
commutazione.

Fonema è dunque l’unità minima di seconda articolazione del sistema linguistico. Più
precisamente, un fonema è una classe astratta di foni, dotata di valore distintivo, cioè tale da
opporre una parola ad un’altra in una data lingua. Foni diversi che costituiscano realizzazioni
foneticamente diverse di uno stesso fonema, ma prive di valore distintivo, si chiamano allofoni di
un fonema. Un fonema che abbia diversi allofoni si identifica con il più frequente e normale degli
allofoni.
Una coppia di parole che siano uguali in tutto tranne che per la presenza di un fonema al posto di
un altro in una certa posizione forma una coppia minima, che identifica quindi sempre due fonemi
(mare e pare formano una coppia minima e identificano i fonemi m e p).

2.2.2 Fonemi e tratti distintivi
I fonemi sono unità minime di seconda articolazione; non sono dunque ulteriormente
scomponibili in segmenti più piccoli.
I fonemi si possono però analizzare sulla base delle caratteristiche articolatorie che li
contrassegnano: potremmo identificare t come “occlusiva dentale sorda”, d come “occlusiva
dentale sonora”, eccetera. Un fonema, da questo punto di vista, si può quindi ulteriormente
definire come costituito da un fascio di proprietà articolatorie che si realizzano in simultaneità. Le
caratteristiche articolatorie diventano allora, sul piano della fonologia, proprietà che permettono
di analizzare, definire e rappresentare i fonemi in termini di diverse combinazioni possibili di tratti
facenti parte di un inventario comune.
Due fonemi sono differenziati da almeno un tratto fonetico pertinente binario (= a due valori, +,
“sì; presenza”, e -, “no; assenza”): t e d sono distinti in maniera necessaria e sufficiente dal valore
del tratto /+sonoro/ (lo stesso: /-sordo/; e un solo tratto basta a differenziarli pertinentemente. La
“correlazione” di sonorità, o “sordità”, è molto importante, perché in molte lingue interviene a
differenziare parecchie copie di fonemi uguali per gli altri tratti.
Partendo da queste considerazioni, è stata sviluppata in fonologia la teoria dei tratti distintivi, che
consente di rappresentare economicamente tutti i fonemi come un fascio di alcuni tratti distintivi
con un determinato valore + o – grazie anche all’utilizzazione di proprietà acustiche anziché
soltanto articolatorie.
Tratti che differenziano e oppongono ampie classi di foni e fonemi, molto utilizzati dalla recente
teoria fonologica, sono +/-coronale, +/-sonorante, +/-sillabico, +/-ATR.
Coronali sono foni prodotti con la corona, cioè la parte anteriore della lingua sollevata rispetto alla
posizione di riposo. Sonoranti sono foni prodotti a canale vocale aperto e libero, come le vocali, le
approssimanti e le consonanti liquide; foni non sonoranti sono detti “ostruenti”. Sillabici sono foni
che possano costituire nucleo di sillaba. Il tratto ATR (Advanced Tongue Root) contraddistingue i
foni prodotti con la radice della lingua spostata in avanti, come i, e, u, o.
Dal punto di vista fonetico, i tratti distintivi binari rappresentano in fondo dei movimenti e
atteggiamenti muscolari degli organi preposti alla fonazione. Dal punto di vista fonologico si tratta
di proprietà astratte realizzantisi in simultaneità nei singoli segmenti fonematici; in teoria, si
potrebbe anzi addirittura fare a meno del livello descrittivo dei fonemi, ed esprimere tutto con i
tratti, a un livello più alto di astrazione. Cara e gara in questa prospettiva risultano distinti non
dall’opposizione dei fonemi k e g, ma semplicemente perché sono opposti per sonorità.

2.2.3 I fonemi dell’italiano
Non tutte le lingue hanno gli stessi fonemi: gli inventari fonematici delle diverse lingue del mondo
sono costituiti in genere da alcune decine di fonemi. L’italiano standard ha 30 fonemi, o 28
secondo alcuni autori, che non considerano fonemi a sé le approssimanti; si arriva peraltro a 45 se
calcoliamo come fonemi a sé le consonanti lunghe.
Ovviamente, per trascrivere foneticamente occorre basarsi sul modo in cui una parola è
pronunciata, e non sul modo in cui è scritta; sulla fonia, e non sulla grafia. La grafia può essere
spesso fuorviante, anche in italiano. Si noti anche che uno stesso simbolo può indicare due cose
ben diverse nell’alfabeto italiano e in IPA.

2.2.4 Sillabe e fatti fonotattici
Un ruolo importante nella strutturazione della catena parlata è svolto dalle proprietà fonotattiche
dei foni e dalle combinazioni contestuali in cui i singoli foni possono occorrere. Il contesto
precedente o seguente può condizionare in modo decisivo la possibilità di comparsa di un fono in
una certa posizione o determinare modificazioni di vario genere nella sua realizzazione.
Un ruolo decisivo nella costituzione delle parole di una lingua hanno le minime combinazioni di
fonemi che funzionino come unità pronunciabili e possano quindi essere utilizzate come “mattoni
preconfezionati” per costruire la forma fonica delle parole: le sillabe. In italiano e nella gran
maggioranza delle lingue una sillaba è sempre costruita attorno a una vocale, il nucleo fonico che
costituisce il picco sonoro, detto “perno”, “apice”, “testa”, o “nucleo” della sillaba.
La struttura fonica della parola è data da un’alternanza continua tra foni più tesi e “chiusi”, con
minore sonorità (le consonanti) e foni più rilassati e “aperti”, con maggiore sonorità (le vocali).
Ogni sillaba è formata da una, e non più di una, vocale e da un certo numero di consonanti (o
approssimanti). Una vocale da sola può pertanto costituire sillaba.

Con terminologia tecnica, in una sillaba la parte che eventualmente precede la vocale è detta
attacco (o “inizio”, “onset”, “testa”, “incipit”), la vocale stessa è il nucleo e la parte che
eventualmente segue la vocale è la coda. Sillabe con coda si chiamano “chiuse” (o implicate),
sillabe senza coda si chiamano “aperte” (o libere). Correnti di analisi fonologica recentemente
sviluppate (come la fonologia prosodica, la fonologia metrica, la fonologia “autosegmentale”)
danno molta importanza alla sillaba come unità fondamentale al cui livello trattare i fenomeni
fonologici e sulla cui base descrivere il ritmo dell’enunciato. In recenti teorie fonologiche basate
sulla sillaba, nucleo e coda insieme costituiscono quella che viene definita rima. In questa
prospettiva, alla sillaba viene assegnata una struttura gerarchica a due livelli:



σ


Attacco Rima



Nucleo Coda


La rima, cioè l’insieme del nucleo e della coda, determina il “peso” di una sillaba. È detta
“pesante” una sillaba che abbia una coda o che abbia come nucleo una vocale lunga; negli altri casi
(cioè quando sono senza coda e la vocale del nucleo è breve) le sillabe sono dette “leggere”.

Una combinazione interessante di fonemi, che può sia fungere da sillaba a sé stante, sia far parte
di una sillaba più ampia, è il dittongo. Un dittongo è la combinazione di una approssimante e una
vocale; la vocale costituisce sempre l’apice sillabico: [‘awto] = [aw]+[to].
Si possono anche dare combinazioni di due semivocali e una vocale: si avrà allora un trittongo,
come per esempio in [a’jwo:la] = [a]+[jwo]+[la].


2.3 Fatti prosodici (o soprasegmentali)

Vi è una serie di fenomeni fonetici e fonologici rilevanti che riguardano non i singoli segmenti,
bensì la catena nella sua successione lineare, i rapporti tra foni che si susseguono, ed hanno
dunque la sillaba e la successione di sillabe come contesto basilare di azione. All’insieme di tali
fenomeni si dà il nome di fatti, o tratti, soprasegmentali o prosodici. I fondamentali tra di essi
sono l’accento, il tono e l’intonazione, e la lunghezza o durata relativa.
Nella lingua parlata quotidiana non formale la velocità più alta dell’eloquio e la bassa attenzione
posta al pronunciare le parole fanno sì che la catena fonica risulti spesso “ipoarticolata” rispetto
alla forma standard.

2.3.1 Accento
L’accento è la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba (e in primo luogo della vocale
che fa da apice sillabico) relativamente ad altre sillabe, che fa sì che tendenzialmente in ogni
parola plurisillabica, o in ogni gruppo di parole prodotto come un’unica emissione di voce (gruppo
tonale), una sillaba (detta sillaba tonica) presenti una prominenza fonica rispetto alle altre (dette
sillabe atone).
In italiano l’accento è fondamentalmente dinamico o intensivo, dipendente dalla forza con cui
sono pronunciate le sillabe: la sillaba tonica è tale grazie soprattutto a un aumento del volume
della voce.
L’accento come fondamentale tratto prosodico non va confuso con l’accento grafico, un simbolo
diacritico che in italiano è impiegato per indicare nella grafia la posizione dell’accento fonico nelle
parole ossitone (nelle quali l’ortografia italiana prevede che l’accento sia sempre segnato), e anche
per altri scopi.
La posizione dell’accento può essere libera o fissa. In italiano l’accento è tipicamente libero, e può
trovarsi sull’ultima sillaba (qualità: tronca o ossitona); sulla penultima (piacere: piana o
parossitona); sulla terzultima (camera: sdrucciola o proparossitona); sulla quartultima (càpitano:
bisdrucciola o anteproparossitona); o addirittura sulla quintultima – questo si ha però soltanto in
parole composte con pronomi clitici (es. fàbbricamelo, con accento secondario su lo).

L’accento è anche un elemento centrale nella strutturazione prosodica dell’enunciato. La
successione nella catena parlata di sillabe atone e sillabe toniche, cioè il susseguirsi alternato di
elementi forti e deboli, connesso con fenomeni di durata, dà luogo al ritmo. Ogni lingua ha un
proprio ritmo particolare. L’italiano è una lingua fondamentalmente a isocronismo sillabico, vale a
dire che in una parola viene assegnata durata analoga alle sillabe atone; mentre l’inglese è una
lingua fondamentalmente a isocronismo accentuale, vale a dire che, per mantenere la distanza tra
gli accenti, viene assegnata durata via via minore alle sillabe atone quanto più queste sono
numerose. Questo provoca spesso fenomeni di riduzione o cancellazione delle vocali delle sillabe
atone.
Dal punto di vista fonologico, viene riconosciuta come unità ritmica di base il cosiddetto piede,
ossia l’associazione di una sillaba tonica e una sillaba atona. A seconda dell’ordine in cui i due
componenti del piede si pongono, si hanno due tipi fondamentali di ritmi: quando la sillaba forte
precede quella debole si ha un ritmo “trocaico”; al contrario si ha un ritmo “giambico”.

2.3.2 Tono e intonazione
I fenomeni di tonalità e intonazione riguardano l’altezza musicale (pitch) con cui le sillabe sono
pronunciate e la curva melodica a cui la loro successione dà luogo. Tono è precisamente l’altezza
relativa di pronuncia di una sillaba, dipendente fondamentalmente dalla tensione delle corde
vocali e della laringe, e quindi dalla velocità e frequenza delle vibrazione delle corde vocali; queste
determinano la “frequenza fondamentale”, che è il principale parametro dei fenomeni di tonalità.
L’intonazione è invece l’andamento melodico con cui è pronunciato un gruppo tonale o gruppo
ritmico, o un intero enunciato. L’intonazione è in sostanza una sequenza di toni che conferisce
all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica.

2.3.3 Lunghezza
La lunghezza riguarda l’estensione temporale relativa con cui i foni e le sillabe sono prodotti. Ogni
fono può essere breve o lungo, cioè durare nella realizzazione per un tempo più o meno rapido.
L’articolazione delle vocali e delle consonanti fricative per la loro natura fonica può essere tenuta
per un tempo teoricamente indeterminato, mentre l’articolazione delle consonanti occlusive non
può essere tenuta più che momentaneamente. Brevità o lunghezza sono peraltro nozioni relative,
definite in termini del confronto fra segmenti nella catena parlata: sarebbe più appropriato infatti
parlare di foni più o meno lunghi, invece che lunghi o brevi in assoluto.
Per le vocali, la durata in italiano non è pertinente. Una parola pronunciata con una vocale
decisamente lunga individua un’accentuazione enfatica della stessa parola, ma non un’altra
parola. Nella fonetica sperimentale su base acustica, appositi apparecchi e programmi di analisi
del suono consentono di fornire rappresentazioni i termini di tracciati dei caratteri fisici della
catena parlata prodotta, in quanto segnale acustico. I diagrammi ottenuti mediante la
scomposizione del segnale nelle proprietà ed elementi che lo formano sono detti spettrogrammi:
in essi, sull’asse delle ascisse viene rappresentato il tempo (durata), sull’asse delle ordinate le
frequenze, mentre l’intensità del suono è rappresentata dal grado di annerimento del tracciato.

Potrebbero piacerti anche