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Fonetica e fonologia

 
La fonetica è lo studio della φονή, cioè della ‘voce’, fatta di diverse combinazioni di un numero finito di
suoni di cui gli uomini si servono per comunicare nel linguaggio verbale; la fonologia o fonematica, invece, è
lo studio dei fonemi, cioè delle unità astratte delle quali i suoni sono la realizzazione concreta.
 
FONETICA
 
1 Affinchè avvenga la comunicazione verbale, sono necessari almeno un emittente che produca il
messaggio, un mezzo che lo propaghi e un ricevente che lo recepisca e che può, per esempio nei
monologhi, non esser diverso dall’emittente. A questi tre elementi corrispondono le tre branche principali
della fonetica, cioè la fonetica articolatoria, che descrive e studia il processo di produzione dei suoni
linguistici, la fonetica acustica, che descrive e studia la consistenza fisica dei suoni e la loro propagazione
attraverso un mezzo, di solito l’aria, e la fonetica uditiva, che descrive e studia i processi di percezione dei
suoni linguistici.
 
Fonetica articolatoria
2.1.1 La fonazione avviene attraverso organi che, pur costituendo nell’insieme l’apparato fonatorio, fanno
parte anche degli apparati respiratorio e/o digerente.
Essi sono:
i polmoni;
i bronchi e la trachea;
la laringe, una sorta di scatola che forma la parte superiore della trachea e che è composta di quattro
cartilagini, la tiroide, la cricoide e le due aritenoidi, due piccole piramidi che possono esser mosse mediante
un sistema di muscoli. Tutte le pareti interne della laringe sono rivestite di una mucosa, un tessuto che
forma all’interno due coppie di pieghe che costituiscono le due corde o meglio pliche vocali; la parte della
laringe che le comprende si chiama glottide;
la faringe;
la cavità orale, nella quale trovano posto:
-il velo del palato o palato molle;
-l’ugola;
-il palato duro, che si può suddividere, partendo dall’interno, in palato posteriore o prevelo, palato medio e
palato anteriore o prepalato;
-la lingua, che si può suddividere, partendo dall’interno, in radice, dorso, corona e apice (o punta);
-gli alveoli;
-i denti;
-le labbra;
le cavità nasali, che intervengono nella fonazione solo quando il velo, abbassato, permette all’aria di
penetrarvi attraverso le aperture interne dette coane.
 
2.2 Si è soliti trascrivere i suoni, le parole, e le frasi di ogni lingua in alfabeti fonetici universali come l’API
(Alphabet Phonètique International) o IPA (International Phonetic Alphabet).
 
2.4.1 L’apparato fonatorio funziona come uno strumento a fiato in quanto è costituito da:
a. una pompa, i polmoni, che spingono l’aria verso l’esterno,
b. un tubo o canale: bronchi, trachea, laringe, faringe, bocca, naso,
c. una valvola, la laringe, che può lasciar passare l’aria liberamente oppure bloccarla e poi lasciarla
passare in un ciclo ricorsivo e rapidissimo durante il quale converte in onde sonore l’aria della
respirazione,
d. una serie di risonatori, la faringe, la cavità orale, le cavità nasali, la cavità labiale.
 
2.4.2.1 Il flusso d’aria inviato dai polmoni fuoriesce liberamente nella respirazione. Nella fonazione invece
incontra ostacoli o a livello della laringe o a livello sovra-laringeo o a entrambi i livelli. Esamineremo prima
l’ostacolo laringeo e poi quello superiore.
 
2.4.2.2 Se la laringe costituisce un ostacolo, cioè se si attiva il meccanismo laringeo, vengono prodotti i
suoni. Vediamo come funzione il meccanismo laringeo.
Durante la respirazione, la glottide aperta consente il libero passaggio dell’aria, mentre la produzione della
voce avviene quando i muscoli vocali si contraggono e muovono le aritenoidi, cosicchè le pliche vocali si
tendono e si avvicinano l’una alll’altra, dando luogo al cosiddetto meccanismo laringeo. Quando i muscoli
vocali si contraggono, le pliche vocali si tendono e i loro margini liberi si toccano bloccando il passaggio
dell’aria. Il contrasto fra due forze opposte - quella dei muscoli che tengono chiuse le pliche, e quella del
flusso d’aria compressa che tende ad uscire - provoca il meccanismo laringeo: quando prevale la pressione
dell’aria, le pliche si aprono ma la pressione ridotta permette alla forza muscolare di prevalere a sua volta e
di richiuderle, cosicchè il ciclo ricomincia. Queste interruzioni della corrente d’aria proveniente dai polmoni,
dovute ai rapidissimi movimenti di apertura e chiusura della glottide e alla tensione delle corde vocali,
creano vibrazioni d’aria con la stessa frequenza fondamentale delle aperture e chiusure della glottide. La
frequenza delle corde vocali e quella del tono glottidale sono di conseguenza identiche. A questa frequenza
si ha la successione rapidissima di sbuffi d’aria, prima compressa e poi rarefatta, da cui si produce un suono:
la laringe converte in suono l’aria della respirazione.
 
2.4.2.3 L’ostacolo a livello sovralaringeo produce i rumori. L’ostacolo sovra-laringeo consiste nel fatto che il
canale attraverso cui passa l’aria può esser momentaneamente ostruito o ristretto. La presenza o l’assenza
dell’ostacolo sovra-laringeo crea la differenza fra vocali e consonanti. Si producono vocali (o vocoidi) se,
dopo l’attivazione del meccanismo laringeo, l’aria non incontra né ostruzioni né restringimenti. Le
consonanti (o contoidi) sono invece prodotte se l’aria incontra tra gli organi fonatori sovra-laringei
un’ostruzione o un restringimento; se il meccanismo laringeo non è stato attivato, le consonanti sono
sorde; sono sonore in caso contrario. Intermedie fra vocoidi e contoidi sono le approssimanti.
 
2.5.1 I parametri per la descrizione delle vocali sono:
1. la posizione della lingua lungo l’asse verticale;
2. la posizione della lingua lungo l’asse orizzontale;
3. l’atteggiamento delle labbra;
4. la posizione del velo pendulo.
Le vocali vengono definite, sulla base dei parametri precedenti:
1. alte, medio-alte, medio-basse, basse, con riferimento alla posizione della lingua lungo l’asse
verticale, oppure chiuse, semi-chiuse, semi-aperte, aperte, con riferimento all’ampiezza
dell’angolo mascellare;
2. anteriori o palatali, centrali, posteriori o velari;
3. non arrotondate ( o aprocheile o non-labializzate), arrotondate (o pro-choice o labializzate o
protruse);
4. orali, nasali;
5. miste (o turbate) quando, contrariamente alla situazione normale relativa ai parametri 2) e 3), una
vocale anteriore è articolata con arrotondamento labiale o, viceversa, una vocale posteriore è
articolata senza arrotondamento labiale.
 
2.5.3 Descriviamo ed esemplifichiamo le vocali, incominciando dalle anteriori non arrotondate:
[i] alta;
[e] medio-alta;
[ɛ] medio-bassa.
Le vocali centrali non arrotondate sono:
[a] bassa.
Le vocali posteriori arrotondate sono:
[u] alta;
[o] medio-alta;
[ɔ] medio-bassa.
 
2.5.4 Le vocali si dicono anche tese o rilassate sulla base della maggiore o minore tensione dei muscoli
facciali. Le vocali più chiuse sono, infatti, tese rispetto a quelle più aperte, che sono rilassate. Per esempio,
fra le vocali alte dell’inglese, [ɪ] di ship ‘nave’ è diversa da [i] di sheep ‘pecora’ non solo perché più breve ma
anche perché meno tesa e quindi meno chiusa e meno alta; allo stesso modo [ʊ] di full ‘pieno’ è diversa da
[u] di fool ‘sciocco’ non solo perché più breve ma anche perché meno tesa e quindi meno chiusa e meno
alta.
 
2.5.5 Una sequenza di vocali in sillabe diverse costituisce uno iato, mentre una combinazione di due vocali
all’interno della stessa sillaba e pronunciate con la stessa emissione di fiato costituisce un dittongo. Più
scientificamente, il dittongo si può definire come un suono vocalico che nel corso della sua produzione
cambia di timbro.
 
2.6.1 Le consonanti si definiscono in base ai seguenti parametri:
a. punto di articolazione (bilabiale, labio-dentale, interdentale, dentale, alveolare, palatale*, velare,
uvulare, faringale, laringale o glottidale);
*a seconda della zona del palato con cui la lingua viene a contatto, possiamo avere consonanti
prepalatali o palatali
b. modo di articolazione (occlusivo, fricativo, affricato, laterale, vibrante, nasale, approssimante);
c. sonorità opposta a sordità;
d. forma della lingua;
e. possibilità o no di continuare ad articolare fin quanto duri il flusso d’aria;
f. forza maggiore o minore della pressione del flusso d’aria (di solito sono più forti quelle consonanti
nell’articolazione delle quali il flusso d’aria non incontra l’ostacolo laringeo; in conclusione, almeno
in italiano, le sorde sono forti e le sonore sono leni).
 
2.6.3.1 Il modo di articolazione occlusivo consta di due fasi, occlusione ed esplosione. Dato che non è
possibile prolungare il momento dell’esplosione, le consonanti occlusive sono dette pure momentanee.
Questo modo di articolazione è detto anche, con riferimento alla seconda fase, esplosivo ma è meglio dire
plosivo per il motivo che chiariremo. Quando abbiamo descritto il meccanismo della fonazione, abbiamo
parlato dell’aria espiratoria che sale dai polmoni verso l’esterno, ma si possono produrre foni anche
sfruttando l’aria dell’inspirazione. Se, quindi, abbiamo un’occlusione dell’aria espiratoria e poi
un’esplosione, le consonanti occlusive sono anche esplosive, ma se invece è l’aria inspiratoria che viene
bloccata in un punto del canale e poi riesce a superare l’ostacolo, le consonanti occlusive sono dette
implosive.
[p] bilabiale sorda
[b] bilabiale sonora
[t] dentale sorda
[d] dentale sonora
[t] alveolare sorda, come in ingl. step ‘passo’;
[d] alveolare sonora, come in ingl. wide ‘ampio’;
[k] velare sorda;
[g] velare sonora;
[ʔ] laringale, che si produce quando, trattenendo il respiro, si chiudono strettamente le pliche vocali e poi si
riaprono facendo uscire bruscamente l’aria ammassatasi; si tratta del cosiddetto “colpo di glottide”, a rigore
né sordo né sonoro dato lo stretto contatto delle corde vocali. Esso si trova in tedesco davanti ad ogni
vocale iniziante di parola e di sillaba, mentre in italiano può occorrere prima di vocale iniziale di discorso o
davanti a vocale iniziale di parola, specie se preceduta da altra vocale.
 
2.6.3.2 Il modo di articolazione fricativo o costrittivo si ha quando l’ostacolo è provocato da due organi che
si accostano l’un l’altro senza toccarsi causando così un restringimento del canale attraverso cui passa l’aria.
Le consonanti fricative sono dette anche continue.
[ɸ] bilabiale sorda, che non è rappresentata nelle lingue europee più comuni ma si trova in varianti
dialettali; ad esempio, nel fiorentino, [p] Inter vocalico è realizzato come [ɸ] : la pipa;
[β] bilabiale sonora, come in sp. hube ‘ebbi’;
[f] labiodentale sorda;
[v] labiodentale sonora;
[θ] interdentale sorda, com’è la seconda consonante in ingl. bath ‘bagno’;
[δ] interdentale sonora, quale la prima consonante di ingl. that ‘quello’;
[s] dentale o alveolare solcata sorda;
[z] dentale o alveolare solcata sonora;
[ʃ] prepalatale solcata sorda;
[ʒ] prepalatale solcata sonora, come in garage;
[x] velare sorda, come in sp. hoja ‘foglia’;
[γ] velare sonora, come in sp. hago ‘faccio’;
[ʁ] uvulare sonora, come in fr. rose ‘rosa’;
[ħ] faringale sorda, come in arabo muhammad ‘Maometto’;
[h] laringale (detta anche glottidale) sorda, che si realizza con un avvicinamento delle pliche vocali che, al
passaggio dell’aria, determina un rumore di frizione; si trova, ad esempio, nel termine inglese per
‘cappello’, hat; nell’italiano regionale toscano sostituisce l’occlusiva velare sorda [k] in contesto
intervocalico, es. poco. Si tratta dunque della cosiddetta “aspirazione”, che non va confusa con le
consonanti occlusive o affricate aspirate, che si trovano nell’inglese e nel tedesco. Articolatoriamente
queste possono essere descritte come occlusive accompagnate da un leggero soffio provocato dalla frizione
dell’aria che passa tra le pliche vocali (nel caso delle sorde) o le aritenoidi leggermente discoste (nel caso
delle sonore).
 
2.6.3.3 Il modo di articolazione affricato si ha allorchè il diaframma dell’occlusione non viene aperto
completamente (come nel caso delle occlusive) perché gli organi dopo il distacco rimangono tanto vicini da
provocare, successivamente alla plosione, l’uscita dell’aria con una frizione; insomma, un’affricata comincia
in occlusiva e finisce in una fricativa omorganica, cioè una fricativa che abbia lo stesso punto di
articolazione o punto di articolazione contiguo.
[pf] labio-dentale sorda;
[ts] dentale o alveolare sorda;
[dz] dentale o alveolare sonora;
[tʃ] prepalatale sorda;
[dʒ] prepalatale sonora.
 
2.6.3.4 Il modo di articolazione vibrante si ha quando un organo mobile, producendo una leggera
occlusione intermittente contro un altro organo, vibra; se è prodotta con una sola occlusione, la
consonante è detta monovibrante; se, invece, è prodotta con più occlusioni, essa è detta polivibrante. Le
vibranti sono continue e di solito sonore.
[ɾ] monovibrante apicale, detta anche apico-dentale o apico-alveolare;
[r] polivibrante apicale, detta anche apico-dentale o apico-alveolare;
[ʀ] polivibrante uvulare, è, insieme con la fricativa uvulare e l’approssimante labiodentale sonora, una delle
realizzazioni della cosiddetta r moscia dell’italiano.
 
2.6.3.5 Il modo di articolazione laterale si ha quando l’aria, bloccata in un punto centrale del canale, passa
ugualmente dalle pareti laterali. Le consonanti laterali sono continue e di solito sono anche sonore.
[l] dentale o alveolare;
[ɫ] alveolare velarizzata, come in ingl. Bill; viene articolata come la laterale alveolare ma con un
contemporaneo innalzamento del dorso della lingua verso il velo; ciò causa quell’incupimento del suono
che fa chiamare tale consonante anche l scura in opposizione all’alveolare non velarizzata detta anche l
chiara;
[ʎ] palatale.
 
2.6.3.6 Il modo di articolazione nasale si ha quando nel canale orale si crea un ostacolo in un punto ma il
velo pendulo abbassato consente all’aria di passare attraverso le coane; le consonanti così prodotte sono
perciò occlusive con risonanza nasale. Esse sono sempre sonore.
[m] bilabiale;
[ɱ] labiodentale;
[n] dentale o alveolare;
[ɳ] prepalatale;
[ɲ] palatale;
[ŋ] velare.
 
2.6.4.1 La forma della lingua è basilare anche per un tipo di consonanti di cui non abbiamo ancora parlato,
le retroflesse, dette anche cacuminali, che si articolano flettendo leggermente in alto e all’indietro l’apice
della lingua in direzione della parte anteriore del palato, in modo che sia la zona al di sotto dell’apice a
venire a contatto col palato. Dette consonanti si trovano ad esempio in varietà regionali dell’italiano: si
confrontino le forme dell’italiano regionale di Sicilia treno, ladro, strada o ancora la forma siciliana
dialettale beddu.
 
2.6.5 Il modo approssimante si ha quando due organi si avvicinano tanto da restringere il canale ma non
tanto da far uscire l’aria producendo una consistente frizione. Si tratta, quindi, di foni intermedi fra le
vocali, caratterizzate da libero passaggio dell’aria attraverso il canale, e le consonanti fricative, prodotte dal
passaggio forzato dell’aria attraverso una strettoia del canale. Non sorprende quindi che tali suoni vengano
chiamati anche semi-consonanti o semi-vocali.
[ʋ] labio-dentale sonora;
[ɹ] alveolare sonora, come in ingl. run ‘correre’;
[j] palatale sonora;
[ɥ] palatale sonora labializzata, come in fr. nuit ‘notte’;
[ʍ] velare sorda labializzata, come in una possibile pronuncia di ingl. witch ‘strega’;
[w] velare sonora labializzata.
 
2.7.1 I contoidi avulsivi o clicks sono prodotti senza intervento della respirazione, con una fonte d’aria
ottenuta con la creazione di una diminuzione della pressione della stessa nella bocca; questa depressione si
ottiene grazie a due occlusioni nella cavità orale: una sempre fra il posdorso della lingua e il velo, l’altra in
un punto anteriore (bilabiale, dentale, alveolare, prepalatale etc.). In questo modo si viene a creare una
piccola cavità in cui l’aria contenuta viene rarefatta a causa dello spostamento all’indietro del posdorso
della lingua e del velo, che mantengono tuttavia l’occlusione. Grazie al gioco tra la minore pressione che si
determina all’interno della cavità e la pressione atmosferica esterna, quando si risolve l’occlusione
anteriore, l’aria penetra bruscamente provocando uno schiocco. Tali contoidi, che hanno punti di
articolazione diversi a seconda del luogo in cui avviene l’occlusione anteriore, sono usati in alcune lingue
dell’Africa del Sud ma, sebbene non facciano parte del nostro sistema fonologico, c’è ne serviamo anche
noi in particolari circostanze: il bacio che mandiamo da lontano non è che l’avulsivo (affricato) bilabiale
sordo; per esprimere la negazione usiamo, soprattutto nel Meridione, l’avulsivo (affricato) dentale sordo;
per avviare i cavalli i carrettieri usa(va)no l’avulsivo (affricato alveolare) laterale sordo.
 
FONOLOGIA
 
4.0 Disciplina sviluppatasi in maniera scientifica solo nel Novecento con la “scuola di Praga”, è la scienza che
studia i fonemi.
 
4.1.1 Il fonema è la minima unità distintiva non dotata di significato ed è un’entità astratta di cui i foni sono
realizzazioni concrete. Per esempio, comunque si pronunci la consonante iniziale di raggio, cioè come
vibrante apicale, vibrante uvulare, fricativa uvulare, retroflessa, in ogni caso sarà chiaro il riferimento al
significato e in ogni caso si avvertirà la differenza con saggio. Quindi /r/ è l’entità astratta, il fonema, di cui
[r] [ʀ] [ʁ] [ɽ] sono le realizzazioni concrete. I fonemi di una lingua costituiscono una classe chiusa e
numerabile e costituiscono il sistema fonologico, che è proprio di ogni lingua e può modificarsi nel tempo e
nello spazio. L’inventario dei fonemi di una lingua si ottiene attraverso il reperimento delle cosiddette
coppie minime, cioè coppie di parole di significato diverso che sono differenziate solamente da un
elemento minimo. Se esaminiamo le parole italiane mano e nano, vediamo che hanno gli elementi a-n-o in
comune ma differiscono solo per la presenza, rispettivamente, di m- e di n-, cosicchè costituiscono una
coppia minima che ci permette di assegnare /m/ e /n/ al sistema fonologico italiano. I fonemi /m/ e /n/ di
mano e nano, infatti, di per sé non hanno significato ma possono ricorrere entrambi dinanzi a -ano dando
luogo a parole di significato differente.
 
4.1.2 I foni riconducibili a un fonema sono varianti (o allofoni) del fonema stesso. Le varianti possono
essere libere o condizionate. Due o più foni che siano commutabili nello stesso contesto senza causare
differenza di significato si dicono varianti libere. Ritorniamo all’esempio da cui siamo partiti: raggio. Al
contrario, due o più foni che non siano commutabili nello stesso contesto si dicono varianti condizionate o
combinatorie (o tassofoni). Per esempio, gli aggettivi italiani impossibile, infelice, indicibile, incivile,
inconsapevole, tutti formati col prefisso in-, presentano una nasale differente ma che non può commutarsi
con un’altra perché il suo punto di articolazione è, e non può che essere, quello della consonante seguente;
in questo caso le nasali si dicono varianti condizionate. Allora, si parla di /m/ e /n/ come fonemi nella
coppia minima mano ~ nano, mentre in impossibile e indicibile si considerano [m] e [n] realizzazioni dello
stesso fonema, che si dice arcifonema.
 
4.2.1 Come è sufficiente un fonema per distinguere una parola da un’altra, così è sufficiente un unico tratto
per distinguere un fonema da un altro. Le consonanti /t/ e /d/ hanno in comune l’esser consonanti dentali
ma sono distinte dalla sonorità, assente nella prima e presente nella seconda. Ogni fonema è
contraddistinto da un pacchetto di tratti distintivi intrinseci. Di solito le opposizioni fra i tratti sono binarie
(o privative), perché due fonemi sono opposti dalla presenza o dall’assenza di uno di essi; per tale motivo
tali tratti, per i quali si adotta una notazione fra parentesi quadre, si indicano con un aggettivo preceduto
dai segni “+” o “-“. Se, invece, due o più fonemi rientrano in una serie caratterizzata non dalla presenza o
dall’assenza di un tratto ma da una gradazione di esso, l’opposizione fra i tratti non sarà privativa ma
graduale. Un esempio di opposizione graduale è fornito dalla nostra lingua che presenta tre gradi di
chiusura nelle vocali anteriori e posteriori:
chiusura massima in /u/ e /i/,
chiusura media in /o/ e /e/
chiusura minima in /ɔ/ e /ε/.
 
4.2.2 I tratti distintivi possono essere funzionali (detti anche pertinenti) o ridondanti. Dato che basta un
tratto a distinguere due fonemi, se ci sono altri tratti che li differenzino, essi sono ridondanti. Per esempio,
poiché è sufficiente il tratto [±sonoro] per opporre i fonemi /t/ e /d/, questo è funzionale, mentre i tratti
[±lene] e [±forte] sono ridondanti. Se, poi, il tratto funzionale viene meno, il tratto ridondante diventa
funzionale; così nel linguaggio bisbigliato in cui, non essendo attivato il meccanismo laringeo, viene meno il
tratto [±sonoro], l’opposizione fra /t/ e /d/ è mantenuta dai tratti [±lene] e [±forte] che diventano
funzionali.
 
4.2.3 L’elemento di un’opposizione binaria caratterizzato dalla positività di un tratto è detto marcato,
mentre non-marcato è detto quello in cui è negativo il tratto in questione.
 
4.3 Se in determinati contesti l’opposizione fra due fonemi viene meno perché non viene fatto valere
l’unico tratto che li distingue, si ha il fenomeno della neutralizzazione. Per esempio, in tedesco, /t/ e /d/
sono opposti dal tratto [±sonoro] in tutte le posizioni tranne in quella finale di parola, in cui avviene
neutralizzazione: così, mentre i genitivi Rates ‘del coniglio’ e Rades ‘della ruota’ costituiscono una coppia
minima, i nominativi Rat e Rad sono omofoni in quanto il tratto di sonorità non viene preso in
considerazione. Esito della neutralizzazione è l’arcifonema, che si definisce come l’insieme dei tratti comuni
ai due elementi dell’opposizione, tutti funzionalmente pertinenti nei confronti degli altri fonemi, e si
trascrive, ovviamente solo in trascrizione fonematica, con la maiuscola
a. del fonema non-marcato: questo è il caso più diffuso e l’abbiamo già visto a proposito della
neutralizzazione delle occlusive alveolari tedesche;
b. dell’estrema, se si tratta di vocali e una delle due è, appunto, l’estrema. Così, nel siciliano, mentre
in posizione tonica /ε/ ed /i/ sono fonemi, tale opposizione si neutralizza in posizione atona, in cui
l’esito dell’arcifonema /I/ è la vocale estrema [i];
c. del fono intermedio, se i due fonemi neutralizzabili si trovano in un’opposizione graduale. Così,
nell’italiano standard /ε/ e /e/ in posizione tonica sono opposti dal tratto [±teso], ma in posizione
atona, venendo meno il tratto [±teso], la loro opposizione si neutralizza e la realizzazione fonetica
dell’arcifonema sarà una vocale intermedia fra [ε] ed [e] che, per mancanza di un segno specifico, si
trascriverà con ‘E’;
d. di uno dei due fonemi dell’opposizione: la differenza con il caso di cui al punto a) è che la
realizzazione fonetica dell’arcifonema è condizionata esternamente dal contesto. È questa la
soluzione adottata per la neutralizzazione delle nasali anteconsonantiche in italiano.
 
4.4.1 Si ha fonologizzazione quando due allofoni condizionati si scindono e diventano fonemi. Più
precisamente si parla di scissione primaria e scissione secondaria. Si ha scissione primaria quando un
allofono si stacca da un fonema e si fonde con un altro senza che sia modificato l’inventario fonemico. Si ha
scissione secondaria quando due allofoni condizionati diventano fonemi e almeno uno costituisce un
nuovo fonema che si aggiunge all’inventario fonemico; la fonologizzazione coincide con la scissione
secondaria. Prendiamo ad esempio gli esiti francesi della consonante velare sorda latina /k/. Essi sono: [k]
davanti a vocale posteriore (côte < costam) o consonante (clef < clavem), [ʃ] davanti ad a (chanter <
cantare), [s] davanti a vocale anteriore (cent < centum). Siccome la sequenza al + Consonante diventa [o] +
Consonante, possiamo avere /ʃ/ non solo davanti ad a ma anche davanti a vocale posteriore (chaud <
cal(i)dum), /s/ non solo davanti a vocale anteriore ma anche davanti a vocale posteriore (sauter < saltare); a
sua volta /k/ si viene a trovare non solo davanti a vocale posteriore ma anche davanti a vocale anteriore
quando la labiovelare (qui < qui). Nel caso di /ʃ/ abbiamo scissione secondaria, mentre nel caso di /s/, che si
unisce al fonema /s/ (di sept < septem), abbiamo una scissione primaria.
 
4.4.2 La defonologizzazione consiste nella fusione di due fonemi in uno solo, cioè si ha quando due fonemi
perdono la possibilità di commutarsi nello stesso contesto e diventano due varianti condizionate. Per
esempio i fonemi latini /b/ e /v/ si sono fusi in spagnolo in un unico fonema /b/ con due varianti
condizionate, [b] in posizione iniziale di parola e [β] in posizione intervocalica.
 
4.4.3 La rifonologizzazione consiste nella trasformazione di un’opposizione fonologica in un’altra. Un
esempio ne è la “prima rotazione consonantica”. Alla serie indo-europea di occlusive sorde, sonore e
sonore aspirate si sostituisce la serie germanica di occlusive sorde e sonore e di fricative sorde e sonore.
 
4.5.1 I tratti prosodici (o sovrasegmentali) sono la durata, l’intensità e l’altezza.
 
4.5.2.1 L’accento serve a mettere in risalto una sillaba nella sequenza e può esser fondamentalmente di
due tipi: intensivo (o espiratorio) e musicale.
Sequenze di tre o più sillabe possono presentare, oltre all’accento principale, anche uno o più picchi
secondari d’intensità; in questo caso si parla di accento secondario, che si trascrive con un apostrofo posto
in basso prima della sillaba semitonica.
Le lingue in cui l’accento principale può collocarsi in diverse posizioni nella parola sono dette ad accento
libero; tali sono l’italiano, l’inglese, lo spagnolo e il tedesco e tale era il latino. Le lingue in cui l’accento può
trovarsi solo in una posizione, invece, sono dette ad accento fisso; tale è il francese, in cui l’accento è
collocato sempre sull’ultima sillaba della parola. Nelle lingue in cui è fisso, l’accento ha valore demarcativo,
in quanto permette di individuare il confine di parola. Nelle lingue del primo tipo, al contrario, ha valore
culminativo perché mette in rilievo una sillaba, ma può anche assumere valore fonematico, come si vede
dalla coppia italiana capi e capì. Variazioni di frequenza delle vibrazioni laringee sono responsabili
dell’intonazione della frase o dell’enunciato. In genere si osserva una tendenza ad una graduale
diminuzione dell’altezza nel corso dell’enunciato, detta declinazione naturale. Nelle lingue europee ad
accento intensivo la funzione principale dell’altezza musicale è legata all’intonazione della frase. Per
esempio, in italiano l’opposizione tra frase dichiarativa e frase interrogativa è demandata a differenti
andamenti melodici, cioè a variazioni dell’altezza nel corso della frase: mentre una frase dichiarativa come
Giovanni è vegetariano presenta una normale declinazione dell’altezza, una frase interrogativa come
Giovanni è vegetariano? presenta un forte aumento dell’altezza nella parte finale.
 
4.6 La sillaba è la minima unità di aggregazione dei foni. Dal punto di vista fonetico, fondamento della
sillaba si può considerare un picco o apice di sonorità, di solito quindi una vocale, attorno a cui possono
raggrupparsi uno o più foni dotati di minore sonorità, di conseguenza consonanti.
La sillaba è costituita da: attacco, nucleo e coda.
Parte indispensabile è il nucleo. Il nucleo può essere semplice o ramificato; è semplice quando è costituito
da una vocale breve, ramificato quando costituito da una vocale lungo o da un dittongo discendente.
L’attacco può esser costituito da un fono, come in ma-no o da più foni, come nella sillaba iniziale di tre-no.
In quest’ultimo caso, i foni si distribuiscono secondo una scala crescente di sonorità: in tre- di treno si ha
infatti sonorità crescente fino alla massima del nucleo: plosiva sorda < vibrante < vocale media.
La coda, di sonorità decrescente rispetto al nucleo, può essere costituita da un fono, come -n- nella prima
sillaba di Tren-to.
 
4.6.3 Dal punto di vista fonologico, la struttura della sillaba può variare da lingua a lingua perché si
considerano attacco possibile di sillaba solo quei gruppi consonantici che occorrono anche all’inizio di
parola. Per esempio, una scomposizione in sillabe di Trento come Tre-nto, a prescindere dalle
considerazioni di carattere fonetico già viste, sarebbe impossibile in italiano perché non esistono parole di
questa lingua inizianti per nt-.
 
ITALIANO
 
L’italiano standard possiede 31 fonemi, di cui 7 sono vocali, 2 approssimanti e 22 consonanti.
 
5.3 I dittonghi italiani si dicono ascendenti o discendenti; sono ascendenti quando, essendo l’apice sillabico
al secondo posto, si passa da una apertura minore a una maggiore, come in ieri; sono discendenti quando,
essendo l’apice sillabico al primo posto, si passa da un’apertura maggiore ad una minore, come in Eire. In
realtà, gli unici veri dittonghi, in quanto costituiti, all’interno della stessa sillaba, da una combinazione di
due vocali pronunciate con la stessa emissione di fiato, sono quelli discendenti; i dittonghi ascendenti sono
invece costituiti da una approssimante seguita da una vocale. Quando alla durata, le vocali apice sillabico
nei dittonghi ascendenti, se toniche e in sillaba libera aperta, sono lunghe, quelle dei dittonghi discendenti
se toniche sono semilunghe.

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