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GLOSSARIO

Accordo (polifonia di accordi): si caratterizza per una simultaneità di 3 o più suoni la cui
organizzazione implica un controllo degli intervalli sovrapposti.

Ambito: distanza fra il suono più grave e il più acuto di un pezzo musicale.

Ancia: secondo la definizione dell’acustico H. Bouasse, un’ancia si definisce come “ogni apparato
la cui vibrazione è mantenuta da una corrente gassosa e che reciprocamente determina una
periodicità di forma o di portata di questa corrente”. Nel caso dell’apparato fonatorio le corde vocali
possono essere assimilate a delle ance messe in vibrazione dalla colonna d’aria sotto la glottide che
esse spezzettano in soffi successivi per creare un suono.

Antifonia: si riferisce a due gruppi vocali differenti che si alternano e si rispondono. Non si tratta,
ad essere rigorosi, di polifonia in senso proprio, perché non c’è necessariamente sovrapposizione,
ma l’intenzione, per così dire, è già plurale nella misura in cui nessuno dei due cori incarna da solo
la totalità musicale.

Fasce ventricolari: l’insieme della laringe – comprese le corde vocali – è rivestito di una fine
mucosa le cui due pieghe, al di sopra del piano della glottide, costituiscono le fasce ventricolari, o
false corde vocali, che delimitano così due piccole cavità chiamate ventricoli di Morgagni.

Bordone: una polifonia con bordone si differenzia dalla diafonia – e in particolare dal movimento
obliquo – per il fatto che una delle parti si evolve attraverso lunghi tenuti (note tenute) su una sola
nota, generalmente grave. Il bordone, che può essere semplice o multiplo, procura una base alle
altre voci, come l’ison dell’ufficio bizantino. Nella musica classica indiana fornisce un riferimento
armonico costante prendendo una funzione di tonica.

Canone: forma di contrappunto che si caratterizza per uno sfasamento temporale costante fra due
voci identiche o apparentate.

Contrappunto: include tutti i casi di sovrapposizione di linee melodiche differenziate se non


autonome.

Corde vocali: insieme complesso costituito di muscoli e di legamenti ricoperto dalla mucosa
laringea. Le corde vocali sono due, una sinistra e una destra, e si possono contrarre, aumentare la
loro rigidità, essere allungate passivamente dai muscoli crico-tiroidei o anche essere premute l’una
contro l’altra per otturare la glottide.

Colpo di glottide: l’attacco preciso di un suono vocale presuppone una stretta coordinazione non
solo fra diversi gruppi di muscoli della laringe (in particolare interaritenoidei e crico-aritenoidei),
ma anche con le forze espiratorie. Il colpo indica un attacco risultante da una desincronizzazione,
che provoca un’uscita d’aria prematura o una brusca variazione di altezza.

Diafonia: consiste nel sovrapporre più voci omoritmiche separate da un intervallo qualunque
(spesso terze, quarte o quinte). Le parti possono restare parallele (diafonia vera), muoversi in
movimenti contrari (il discanto della musica medievale occidentale) o in movimenti obliqui (una
voce che resta fissa quando l’altra si sposta).

Dinamica: indica, in un segnale sonoro, il rapporto (esprimibile in decibel) fra le intensità più deboli
e le intensità più forti. La dinamica è cosa diversa dal livello (o intensità) e non va confusa con
questo: così, due musiche di carattere molto diverso, per esempio una ninna nanna e dei gridi
fortemente modulati possono avere la stessa dinamica dal momento che le loro sfumature variano
poco.

Estensione: insieme dei suoni, dal più grave al più acuto, che una voce è capace di emettere.

Formante (femminile): zona di energia rinforzata in uno spettro, il più delle volte per risonanza.
Certe componenti vengono amplificate a detrimento di altre, con per conseguenza una modifica del
timbro iniziale: una vocale, per esempio, è il prodotto di due formanti, una di origine boccale e
l’altra di origine faringea; il rapporto fra le due formanti determina la natura della vocale. In
maniera generale, il timbro vocale non è altro che una distorsione in un senso voluto della fornitura
laringea primaria.

“Fry” = indica un tipo di emissione vocale rauca e ruvida, caratterizzata da una vibrazione a
bassissima frequenza dell’epiglottide, dell’ugola e e delle fasce ventricolari, che modulano in
qualche modo la frequenza principale. A titolo di esempio, Ida Cox e soprattutto louis Armstrong
utilizzarono largamente la voce “fry”.

Glottide: spazio o fessura più o meno ovale delimitato dai bordi interni delle corde vocali che
vengono ad accostarsi l’una contro l’altra. La forma e le dimensioni di questa apertura variano in
funzione del comportamento vibratorio delle corde vocali, cioè principalmente dell’altezza, del
registro e dell’intensità.

Armoniche: v. Spettro sonoro.

Hertz: unità acustica di frequenza (abbreviazione Hz) che misura il numero di cicli per secondo: per
cantare un la a 440 Hz, le corde vocali devono aprirsi e chiudersi 440 volte al secondo.

Eterofonia: forma elementare di polifonia che nasce dalla sovrapposizione di linee melodico-
ritmiche poco differenziate. L’eterofonia procede per arricchimento di una linea unica in cui la
stessa voce appare sotto diverse forme. L’eterofonia può derivare dall’approssimazione
dell’esecuzione (eterofonia “involontaria”) o al contrario essere il frutto di una ricerca estetica.

Omofonia: Procedimento di canto collettivo in cui gli esecutori cantano all’unisono (o all’ottava in
caso di voci miste). Talvolta il termine è utilizzato quando altri intervalli simultanei vengono
eseguiti secondo uno stesso ritmo, ma in questo caso è preferibile impiegare il termine omoritmia.

Omoritmia: procedimento polifonico nel quale tutte le parti cantano sullo stesso ritmo.

Singhiozzo: procedimento polifonico nel quale dei silenzi ripartiti in una parte musicale sono
colmati dai suoni di un’altra parte e viceversa. Il singhiozzo concerne come minimo due voci, ma
può interessare tutto un insieme vocale o orchestrale come in certe musiche africane.

Isoritmia: ripetizione di una figura ritmica, indipendente dalla melodia, in una o più parti della
polifonia.

Laringe: elemento vibratore del sistema fonatorio, la sua funzione consiste nel creare una
discontinuità nella colonna d’aria espiratoria al fine di generare un’onda sonora. Situata all’ingresso
della cavità faringea, la laringe costituisce l’estremità superiore della trachea. E’ un insieme di
cartilagini articolate, unite fra loro da legamenti e da muscoli (fra cui le corde vocali) e l’insieme è
ricoperto da una fine mucosa. I suoi legami muscolari, con la parte superiore del torace da un lato e
la base del cranio e il mascellare inferiore dall’altro, le assicurano una grande mobilità, soprattutto
verticale.

Melisma (maschile): ornamentazione melodica emessa al di fuori dell’appoggio della sillaba.


L’aggettivo melismatico si oppone a sillabico, che implica una sola nota per sillaba.

Faringe: cavità verticale situata fra la laringe e la bocca, sotto l’epiglottide, la cui forma assomiglia
ad un imbuto. La faringe, o retrogola, si divide dal basso in alto in 3 piani, l’ipofaringe, l’orofaringe
e la rinofaringe. L’ipofaringe contiene il dispositivo laringeo e comunica con l’esofago: è l’incorcio
delle vie respiratoria e digestiva. L’orofaringe parte dalla sommità dell’epiglottide e si estende fino
al velo pendulo; essa comprende le colonne (piliers), da una parte e dall’altra della base della
lingua, che si ricongiungono alla loro sommità in un’arcata da cui pende una piccola appendice
carnosa, l’ugola. La rinofaringe (o naso-faringe) è situata dietro il velo pendulo e comunica con le
fosse nasali. Le pareti della faringe sono di natura muscolare, ciò che permette contrazioni,
restringimenti o allungamenti, suscettibili di modificare il volume della cavità e di conseguenza la
sua frequenza e il timbro dei suoni.

Ostinato: breve formula melodico-ritmica sistematicamente ripetuta. L’ostinato si può combinare


con altre tecniche polifoniche.

Polifonia: insieme di procedimenti che consistono nel mettere in opera parecchie voci
simultaneamente. Le tecniche utilizzate si possono ricondurre ad alcuni principi di bas (v. accordi,
bordone, canone, contrappunto, diafonia, omoritmia, ostinato, sovrapposizione).

Registro: insieme dei suoni emessi in una stessa configurazione della laringe. Allo scopo di togliere
ogni ambiguità terminologica, è preferibile parlare di meccanismo. Il meccanismo 1 corrisponde
alla voce di petto, il meccanismo 2 ai fenomeni del falsetto in generale. Gli altri meccanismi,
talvolta chiamati 0 e 3, sono più rari e corrispondono alla voce di Strohbass e a quella di fischio.

Risonatore: la frequenza propria di un risonatore, cioè quella che emette spontaneamente quando
viene eccitato, è direttamente proporzionale alla sua superficie di apertura, e inversamente
proporzionale alla sua lunghezza e al suo volume. Nel caso dell’apparato fonatorio, le cavità
faringo-boccali costituiscono un insieme di risonatori aperti ad ogni estremità – superficie della
bocca e ipofaringe – di lunghezza variabile essenzialmente in funzione della posizione della laringe
e il cui volume varia in proporzioni importanti soprattutto per l’azione della lingua.

Fischio laringeo: all’opposto dello Strohbass, il fischio laringeo per mette l’emissione di suoni
super acuti e stridenti. L’onda sonora non viene prodotta dal movimento delle corde vocali: la
chiusura della glottide è realizzata in modo imperfetto, lasciando una stretta fessura attraverso la
quale passa dell’aria, fischiando come in un taglio obliquo. I bambini emettono facilmente i suoni di
fischio, come certi adulti. L’altezza di tali suoni è difficilmente controllabile. Il fischio laringeo non
deve essere confuso con l’acuto del secondo meccanismo, chiamato talvolta “registro di flautino”.

Suono laringeo primario: chiamato anche “voce-sorgente” o “fornitura laringea”, è il suono


prodotto direttamente dalle corde vocali, prima del suo passaggio nelle cavità di risonanza. Esso è
interamente determinato nella frequenza, ricco di armoniche, di timbro ruvido e d’intensità più
importante del suono che risulta esteriorizzato; soprattutto, è sprovvisto di colore vocalico, cioè di
timbro di vocale.

Sonogramma: prodotto dai Sona Graph, è una rappresentazione grafica del suono sul piano
spettrale (nel senso di Fourier). Il tempo (in secondi) è nelle ascisse e la frequenza (in Hertz) nelle
ordinate. La graduazione degli assi varia in funzione della risoluzione dell’analisi. Il sonogramma,
fornendo una vera radiografia del suono, apporta un aiuto efficace tanto alla psicoacustica quanto
all’analisi musicale.

Spettro sonoro: insieme delle componenti di un suono, la cui natura determina in gran parte il
timbro risultante. Un movimento periodico complesso, cioè un suono musicale sostenuto (per
esempio le vocali), si compone di movimenti semplici, le armoniche, le cui frequenze sono multipli
interi della più piccola fra queste, chiamata fondamentale. Le armoniche costituiscono una serie
costante di intervalli, ben conosciuta dalla teoria musicale e la cui incidenza sullo sviluppo dei
diversi linguaggi musicali è ancora poco delucidata. Se il movimento non è periodico, la
composizione non ubbidisce più a regole strette, e le componenti, dette allora parziali, presentano
una ripartizione qualsiasi. Uno spettro di rumore (per esempio le consonanti occlusive) contiene
tutte le frequenze in modo aleatorio; in un rumore bianco (suoni sc [in francese ch] o ss) le
componenti possiedono teoricamente un’intensità uguale.

Strohbass = chiamata talvolta “registro di cannello”, questa configurazione produce un timbro


estremamente grave, e perfino uvulare, su una tonalità inferiore a quella della voce parlata.
Fisiologicamente, corrisponde ad una occlusione incompleta della glottide, eventualmente
accompagnata da un rumore di fiato udibile. Quando queste vibrazioni di bassa frequenza
riguardano le fasce ventricolari o addirittura l’ugola, producono un timbro del tutto particolare.

Tessitura: insieme dei suoni appropriati ad una determinata voce. La tessitura è un sotto insieme
dell’estensione. Per estensione, questo termine indica categorie vocali che risultano da
classificazioni (tessitura di tenore) o anche da sotto categorie (tessitura da tenore leggero).

Transitori: le parti più evolutive di un suono, determinanti per il timbro, situate all’inizio
(transitorio di attacco) e alla fine (transitorio di estinzione). Per la voce, la forma e la durata dei
transitori sono funzione dell’articolazione, principalmente delle consonanti.

Tremolo: talvolta confuso con il trillo, è la ripetizione rapida di una nota sopra una stessa altezza,
generalmente utilizzata a fini ornamentali.

Trillo/tremolio: fluttuazione sistematica fra due gradi, e non su uno solo come nel vibrato. Il
tremolio (oscillazione) della laringe provoca un trillo di forte ampiezza melodica.

Sovrapposizione (polifonia con sovrapposizione): deriva da una conseguenza naturale


dell’antifonia: quando una sequenza B comincia prima che la sequenza A che l’ha preceduta sia
arrivata al termine. Questi elementi sovrapposti possono essere prodotti da due cori di tipo
responsoriale, un solista e un coro o parecchi solisti. L’incipit e la conclusione che vengono a
contatto non sono necessariamente apparentati e l’effetto polifonico viene tanto più affermato
quanto la sovrapposizione è larga.

Vibrato: fluttuazione sistematica dell’altezza e/o dell’intensità su un solo grado. La frequenza della
fluttuazione è la velocità del vibrato (fra 5 e 8 fluttuazioni al secondo) e la scala di altezza percorsa
ne determina la profondità. Se la velocità è troppo elevata, il vibrato si trasforma in tremolio della
voce. Nella musica classica occidentale, la profondità del vibrato è generalmente inferiore al mezzo
tono, ma può raggiungere valori considerevoli in certi stili di canto (vicino ad una quinta nel teatro
No). Una voce totalmente priva di vibrato è detta retta.

Velo pendulo (o del palato): prolungamento membranoso del palato duro o osseo. Grazie al suo
abbassamento sotto l’azione dei muscoli faringo-stafilini, esso mette in comunicazione le vie
respiratorie e le fosse nasali: i suoni emessi sono allora “nasalizzati” (per esempio, o, a, i, diventano
on, an, in); quando il velo si alza, sotto l’azione dei muscoli peristafilini interni, il condotto
faringo-nasale è chiuso e l’aria espirata passa solo per la bocca.

Voce naturale: una voce cantata è detta “naturale” quando il suo timbro è molto vicino a quello
della voce parlata. Nella misura in cui le stesse voci parlate sono sottomesse a forti variazioni
culturali (in particolare in rapporto alla lingua), la nozione di “voce naturale” ha un valore
rigorosamente relativo.

DEDICA
Saltata

INTRODUZIONE
Facendo seguito al disco “Strumenti musicali del mondo”, questa antologia offre, per la prima volta,
un largo ventaglio di espressioni vocali che coprono un grande numero di culture musicali di
tradizione orale. I due primi dischi presentano diversi tipi di voci nel mondo, il terzo è consacrato
alla polifonia.
L’organizzazione di un materiale tanto vasto solleva questioni difficili. La ricchezza delle
espressioni musicali, di cui il Museo dell’Uomo conserva preziose testimonianze nei suoi archivi
sotto forma di nastri originali e di dischi pubblicati, offre numerose prospettive di classificazione:
per continenti, per paesi (v. l’indice geografico alla fine del volume), per etnie, o ancora per
funzioni (canti di festa, canti di lavoro, canti da ballo ecc.). questi sistemi non sono stati presi in
considerazione, perché ci avrebbero allontanato da una realtà musicale e acustica di cui era
opportuno tenere conto; ci siamo dunque orientati verso altri criteri, relativi alla materia sonora in
quanto tale.
Restavano tuttavia da regolare problemi di tipologia.infatti, se a partire dai lavori di Sachs e
Hornbostel, esiste certamente una classificazione degli strumenti musicali, manca ancora una
tipologia della voce umana cantata; la sua realizzazione solleva in ogni caso numerosi problemi che
gli etnomusicologi sono lontani dal saper risolvere completamente. Da una parte, i metodi e le
tecniche di canto sono descritti in modo insufficiente e il loro inventario non è chiuso; d’altra parte,
il lavoro è complicato dal fatto che il vocabolario acustico e gli strumenti musicologici sono spesso
poco consensuali, largamente metaforici e, in fin dei conti, molto approssimativi.
Consapevoli di queste difficoltà, abbiamo tuttavia deciso di raggruppare gli esempi musicali in
funzione delle loro parentele articolatorie o acustiche. Qui si troverà dunque l’abbozzo di una
tipologia stabilita a partire dal funzionamento dell’apparato fonatorio e dall’immagine del suono
prodotto, in due dischi “tecnici” organizzati nel modo seguente:
CD1: 1) richiami, gridi e clamori; 2) voce e fiato; 3) parlato, declamato, cantato; 4) ambito e
registro:
CD2: 5) colori e timbri; 6) voci travestite; 7) ornamentazione; 8) voci e strumenti musicali; 9) gioco
sulle armoniche.
Il CD3, da parte sua, mette l’accento sulla varietà dei processi polifonici; gli esempi vi sono
raggruppati secondo la disposizione delle parti musicali: 1) eterofonie; 2) eco e sovrapposizione; 3)
bordone e ostinato; 4) organizzazione parallela, obliqua o contraria di due voci; 5) accordi; 6)
contrappunti e tecniche combinate.

CD1 – TECNICHE
Richiami, gridi e clamori
In questa categoria figurano manifestazioni vocali che utilizzano la voce emessa con intensità e in
qualche modo “proiettata” verso un uditorio. Il grido rimane un’espressione soprattutto individuale
che traduce il dolore, la gioia o lo stupore. Gli youyou del mondo arabo-berbero sono in generale
dei gridi di gioia legati spesso alla festa; al contrario, i gridi di tristezza circondano i lutti. Quanto
allo stupore, esso si esprime attraverso i celebri olé del flamenco o anche attraverso i tasabib del
mondo arabo. Cantato dal muezzin dall’alto del minareto, il grido prende la forma di
un’esclamazione, che afferma il dogma di un Dio unico, e le sue parole esprimono la meraviglia del
credente davanti alla bellezza della creazione.
Il grido diventa clamore quando viene emesso collettivamente. Il richiamo da parte sua si rivolge ad
un destinatario (divinità, uomo, animale). I richiami, i gridi e i clamori possono veicolare un testo
comprensibile (v. il richiamo al bestiame, 1.3, e i lamenti funebri, 1.6), o fare completamente a
meno di parole (v. il grido di una donna sopra il suono di una sanza africana, 1.4, o le esclamazioni
dei suonatori di tamburello del teatro No giapponese, 1.8).
Se i richiami a carattere utilitaristico, come quelli al bestiame, sono largamente diffusi nel mondo
(v. il richiamo per l’aratura vandeano, 1.2), altri appartengono al dominio religioso (v. il richiamo
alla preghiera dei musulmani già citato, e anche il sorprendente esempio paraguaiano, proprio
all’inizio del disco, 1.1).
Si noterà che all’interno di questa vasta categoria, l’aspetto musicale è più o meno sviluppato. Il
grido può tendere verso il segnale puro e semplice (v. i gridi di caccia dei pigmei, 1.9), o al
contrario costituire il tessuto musicale stesso (v. il kecak di Bali, che riproduce polifonicamente i
segnali vocali stilizzati della scimmia, 1.10). da questo punto di vista, l’esempio svizzero (1.3)
occupa una posizione intermedia: dei segnali puri, in trilli discendenti, si alternano con dei passaggi
di iodle.
Voce e fiato
Il fiato può essere sfruttato a fini estetici e il suo uso ubbidisce ad una ricerca di timbro (v. la voce
sussurrata del citarista del Burundi, 1.11), ma può essere anche una componente ritmica del
linguaggio musicale (v. il canto tuareg, 1.13, o quello dei pescatori di perle del Bahrein, 1.14). i
suoni di gola eschimesi (1.12) combinano questi due mezzi. Infine, il fiato può essere utilizzato
volontariamente a scopi di iperventilazione per consentire l’accesso al trance (stato ipnotico) (v. il
canto di guarigione malgascio, 1.15, e, in Kenia, la lode di Allah, 1.16).
Parlato, declamato, cantato
Fra il parlato e il cantato, le diverse tradizioni utilizzano tutte le possibilità del continuum sonoro. In
una cornice solenne – discorso pubblico, preghiera, incantesimo – il locutore si accontenta
raramente dell’intonazione quotidiana; altera la sua parola per renderla musicale. E’ così che in un
contesto religioso, la recitazione può utilizzare soltanto un alto – recto tono – (recitazione del
Corano, 1.17). in altri casi, essa si sviluppa in un debole ambito e su alcuni gradi congiunti, sotto
forma di salmodia (canto buddista del Ladakh; 1.18; Rig Veda indiano, 1.19). i canti di gioco e di
danza polinesiani di Tuvalu (1.20) utilizzano tanto il recto tono stretto che il parlato-cantato di
altezza indeterminata.
Il modo di esprimersi può restare vicino alla lingua parlata come nel discorso rituale kanak (della
nuova Caledonia) (1.21) e come nell’intensa esortazione di Audrey Bronson (1.25), pastore battista
a Filadelfia. Questa predica, appena cantata, si appoggia tuttavia su un’altezza preferenziale
sostenuta dagli accordi dell’organo Hammond. Subendo una regolazione ritmica, il testo può essere
anche sottoposto a una scansione, come nella recitazione selknam della Terra del Fuoco (1.22) e nel
redoblado delle Baleari (1.23).
Mentre gli esempi precedenti sfruttano in modo limitato le risorse del continuum parlato-cantato, la
ballata rumena (1.24) gioca su 3 possibilità espressive complementari: il canto propriamente detto,
il recto tono e il parlato-scandito.
Ambito e registro
Nel dominio della voce, il termine “registro” ricopre significati molto diversi. Con gli studiosi di
acustica e i fisiologi, distingueremo due registri principali che sollecitano diversi meccanismi
fonatori (v. più avanti “La fonazione”). Il primo corrisponde alla “voce di petto”; il secondo alla
“voce di testa” o di “falsetto”. E’ quasi unanimemente riconosciuto che queste due ultime
espressioni indicano una sola e identica cosa, anche se l’uso riserva abitualmente l’espressione
“voce di testa” alle donne e “voce di falsetto” agli uomini. Segnaliamo che esistono anche altre due
configurazioni laringee, di uso più raro: lo “strohbass” (detto anche meccanismo 0) e il “fischio”
(meccanismo 3). La nozione di registro, come si vede, non coincide dunque con quella di altezza.
Ciò non toglie che il primo registro permette di accedere ad una tessitura grave e il secondo ad una
tessitura acuta.
Questo rapporto fra registro e tessitura è illustrato da molteplici esempi.e’ così che i monaci
buddisti del monastero di Giuto (1.26) cantano nel registro di petto e nell’estrema grave;quelli della
Corea (1.27) percorrono una larga estensione nel primo registro con brevi incursioni melodiche
nella voce di falsetto. A questa tecnica ha ricorso anche Kinshi Tsuruta, celebre cantante (donna)
giapponese dalla voce particolarmente grave (1.31): lei canta in un registro di petto e passa alla
voce di testa per realizzare degli ornamenti. La voce di un uomo abelam di Papua-Nuova Guinea
(1.28) è ancora più grave e utilizza il registro di “strohbass”, mentre, procedendo da una tecnica
opposta e obbedendo ad un’estetica completamente differente, quella degli indiani yawalapiti del
Brasile (1.29) e delle donne degli alti piani boliviani (1.30) viene spinta nell’estremo acuto del
secondo registro.
Si noterà che, di fronte a queste norme culturali, i cantanti molto spesso devono farsi violenza per
coprire una tessitura che per loro non è naturale. E’ il caso degli uomini dell’Alto Atlante del
Marocco, per esempio, che devono forzare per cantare alla stessa atezza delle donne, o dei contadini
dell’Oach in Romania che consacrano un vero culto all’acuto e per i quali cantare equivale a
spezzarsi la voce.
L’alternanza dei due registri principali può costituire in certi casi l’essenza stessa del materiale
musicale. E’ il caso dello yodel che si caratterizza per il passaggio rapido da un meccanismo
all’altro. Lo yodel spesso abbraccia larghi intervalli (seste e settime) e utilizza delle sillabe
specifiche ad ogni registro. Qui, la rottura fra la voce di petto e di falsetto non è mascherata come
nei contralti dell’arte barocca; al contrario, essa viene ricercata quanto l’opposizione di timbro che
ne risulta.
Contrariamente ad un’opinione molto accreditata, lo yodel non è confinato nelle Alpi germaniche
(v. i due esempi svizzeri, 1.3 e 1.35). la musicologia ha utilizzato la parola tedesca per indicare una
tecnica conosciuta anche altrove nell’Europa orientale, in Oceania (1.34) o in Africa, in particolare
nel Malawi (1.33), presso i Boscimani del Kalahari (1.32) e i Pigmei della foresta equatoriale
(III.26). Ma, senza avere tutte le caratteristiche dello yodel, certi stili sfruttano i cambiamenti di
registro in modo incidentale (v. i richiami di caccia dei pigmei, 1.9) e più spesso a scopi
ornamentali (v. i canti della Iacuzia [in Russia], II.5; persiano, II.18; libanese, II.19; e albanese,
III.8).

CD II – TECNICHE (seguito)
Colori e timbri
Non si può affrontare questo capitolo senza sottolineare la grande povertà del vocabolario
descrittivo di cui dispone la musicologia per parlare della ricchissima gamma di timbri vocali che
esistono nel mondo.
Eppure, niente è più caratteristico di uno stile musicale che il timbro della voce poiché spesso
bastano pochi secondi per identificare l’origine di un canto. Ma rendere conto di questo processo di
identificazione apparentemente elementare e definire i criteri sui quali si fonda non è un’impresa
facile. Si può dire, per esempio, della voce vietnamita (II.3) che possiede pochi suoni gravi, poca
potenza, che è ricca en armoniche e senza formanti caratterizzate e si misura in questo modo a che
punto essa differisce da una voce di tenore lirico; questi criteri riposano su dati acustici. Anche se
sono necessari, essi sono assolutamente insufficienti per rendere conto di ciò che l’orecchio
percepisce istantaneamente. A titolo indicativo, si potrebbe qualificare questa voce di “sottile”, ma
questo termine non ha un contenuto tecnico ben preciso.
Altri esempi: la “voce flamenca” (II.7) è sicuramente “gutturale”: ma che significa esattamente
questo termine e quale realtà fisiologica ricopre? La voce xhosa (popolazione del Sud Africa)
(II.36), benché molto diversa dal canto andaluso, non è anch’essa gutturale? Ognuno sa che cos’è
una voce nasale (emissione con il velo pendulo abbassato), ma che rapporto c’è fra la voce bretone
illustrata dall’esempio II.8 e quella del paese di Sunda (Giava), II.4, tutte e due nasali? E’ facile
contrapporre la voce ampiamente proiettata di Koundé Kouyaté (II.1) a quella, molto intimista,
delle ragazze di Banda [Repubblica Centroafricana] (II.2), ma su che cosa si basano di preciso le
loro differenze? Nel primo caso, il sostegno del respiro proviene da un potente lavoro addominale;
nel secondo, il respiro è in qualche modo “sopra la voce” e in definitiva prevale un’impressione di
fragilità. In questo gioco d’identificazione, certe indizi ci mettono sulla pista (la lingua o lo stile
musicale in particolare), ma nessun tratto acustico saliente permette di qualificare a colpo sicuro la
voce di una Aicha Redouane (II.6) il cui “carattere arabo” è tuttavia molto evidente.
Voci travestite
In un certo modo, si potrebbe dire che ogni tecnica vocale cantata non è altro che un travestimento,
non fosse che in rapporto alla voce parlata. Ma la parola “travestimento” qui rimanda ad una
modifica particolare della voce per scopi simbolici, in modo che all’interno stesso di una cultura,
questa voce appare singolare e distante dal suo uso corrente.
Esistono parecchie tecniche di travestimento, a seconda che il cantante si serva, o no, di un
dispositivo materiale per ottenerlo. Nell’opera di Pechino (II.9), per esempio, l’uomo attore canta
con voce di falsetto per incarnare un personaggio femminile. Qui il falsetto è per la voce ciò che la
musica è per il corpo.
Travestita, la voce dan (Costa d’Avorio) (II.13) è quella di un essere soprannaturale. Alla stessa
maniera, quella dei Mitsogho (Gabon) (II.10); se non che, per mascherare la loro voce (o più
esattamente per incarnare quella di un altro), questi ultimi assorbono una sostanza vegetale che ha
per effetto di modificare il funzionamento delle corde vocali. Ma in numerose tradizioni – in
particolare quella del carnevale – può anche accadere che la maschera sia fisicamente presente,
nella forma di un oggetto reale: fissata davanti al viso e alla bocca, essa gioca un ruolo determinante
modificando la voce di chi la porta.
La voce può essere deformata anche da attrezzi disposti davanti alla bocca, che assumono allora la
funzione di risonatore: così il didjeridu degli Aborigeni di Australia (II.21), le canne di bambù degli
Iatmul di Papua-Nuova Guinea (II.20), o anche i vasi di terracotta, nei quali si canta, nel Rajastan
(India) o in Costa d’Avorio (II.13).
Lo zufolo, largamente diffuso, rappresenta un caso a parte (è il kazoo il pettine ricoperto di carta di
seta dei bambini europei); esso produce un suono in cui la voce è al tempo stesso presente e
deformata. Costituito da una membrana agevolmente messa in vibrazione, lo zufolo è un dispositivo
acustico che ha la proprietà di essere esso stesso messo in vibrazione dall’onda sonora che lui
modifica (v. gli esempi dell’Honduras, II.11; e della Costa d’Avorio, II.12).
Ornamentazione
Il termine “ornamentazione”, utilizzato convenzionalmente, presuppone la presenza di elementi
musicali secondari a carattere decorativo che si aggiungono ad una linea melodica principale. Ora,
in numerose tradizioni, l’ornamentazione è inerente alla struttura musicale stessa e definisce
pienamente uno stile.
L’ornamentazione s’inscrive in continuum. Essa ha per grado zero un’emissione stabile, retta. In
rapporto a questo suono, ogni rottura di continuità può apparire come ornamentale. Il vibrato,
anc’esso caratteristica obbligata del canto lirico occidentale, corrisponde ad una forma di
ornamentazione minimale, anche se, per la sua onnipresenza, non è più considerato come tale
nell’insegnamento dei conservatori occidentali. L’esempio sioux (II.14) si caratterizza per l’impiego
di un vibrato forzato e concentrato nel registro acuto. Nel canto orientale (II.6, II.17 e II.18), esso è
controllato a fini espressivi e orna certi gradi all’interno della frase. Nell’esempio mongolo (II.16),
questo vibrato si alterna con dei trilli su due gradi. Altre forme di vibrato, quello della musica
indiana (II.15), in cui la lingua o la glottide servono ad interrompere il suono emesso su istanti
molto brevi. Il cantante libanese (II.19) sembra, da parte sua, disporre di un ampio ventaglio di
procedimenti ornamentali con i quali gioca liberamente: vibrati e trilli, larghi melismi (formule
melodico-ritmiche che appaiono sopra una stessa sillaba) ecc.
Voci e strumenti musicali
Numerose tecniche musicali associano la voce al suono di uno strumento a fiato. Il fiato espirato
adempie simultaneamente ad una doppia funzione: mettere in vibrazione le corde vocali e far
suonare lo strumento stesso – v. i flauti delle Isole Salomon (II.22) o del Rajastan (II.23). E’ un
flauto anche quello che viene imitato dalla donna del Laos (II.24), la quale intreccia i suoni vocali e
strumentali ad un punto tale che è difficile distinguerli. Questa alternanza è ancora più sistematica
negli esempi dei Pigmei dell’Africa centrale (II.28) e dei Melanesiani della Nuova Guinea (II.29a);
il timbro della voce si accorda con quello dello strumento, ma questa volta senza mescolanza delle
due sorgenti. L’imitazione dello strumento è presente anche negli esempi mongoli (II.25), tuareg
(II.26) e, in forma stilizzata, nelle “turlutes” (ritornelli) di Mary Travers, nel Quebec, dove, secondo
una tecnica del jazz di cui i cantanti di “scat” hanno fatto una specialità, la voce si sostituisce
puramente e semplicemente allo strumento (II.27).
Il flauto, tuttavia, non è l’unico strumento che la voce prende a modello: la viella, il corno o il
tamburo si prestano ugualmente ad un gioco di imitazione, nel Tibesti (Ciad) (II.30), nell’Africa
centrale (III.27), nel Benin (II.31) e nel sud dell’India (II.32). nel caso del flauto o della viella,
l’imitazione è soprattutto a base di vocali, ovvero il cantante lavora il suono – e lo mantiene – come
per l’enunciazione di vocali. Nel caso dei tamburi, il suono è nettamente articolato: la bocca emette
delle consonanti e produce un segnale non periodico, mentre i diversi colori vocalici indicano le
altezze e i timbri dello strumento.
Gioco sulle armoniche
Come si sa, un suono musicale periodico è costituito da un fondamentale (detto anche armonica 1) e
da una serie di armoniche. Ora certe di queste armoniche possono essere utilizzate a scopi melodici
da una tecnica che consiste nel modificare il volume della bocca giocando sullo spessore o la
posizione della lingua; le armoniche così selezionate vengono allora percepite come altezze
autonome.
L’eccitatore può essere sia esterno, sia interno. Il primo caso – di gran lunga il più conosciuto nel
mondo – presuppone l’esistenza di un dispositivo vibrante esterno, situato all’ingresso della bocca;
ciò può essere una linguetta (scacciapensieri, II.34), una corda (arco musicale,II.35), o anche un
grosso insetto le cui ali producono una vibrazione periodica (esempio di Papua-Nuova Guinea,
II.33).
Il secondo caso è più raro. È il canto difonico, in cui l’eccitatore è interno, perché costituito dalle
stesse corde vocali. Ma il principio di selezione delle armoniche resta lo stesso e si può d’altronde
osservare che il canto difonico esiste soltanto nelle regioni in cui si conoscono anche lo
scacciapensieri e l’arco in bocca; si tratta essenzialmente della Mongolia (II.38) e della Siberia del
Sud (II.37), ma anche di una regione del Sud Africa apparentemente ben delimitata , presso gli
Xhosa (II.36).
CD III – POLIFONIE
La musicologia classica insegnò a lungo che la polifonia era (con la notazione) una delle maggiori
acquisizioni della musica colta occidentale. Senza dubbio a torto, perché ciò vorrebbe dire che al di
fuori di un mondo occidentale chiaramente circoscritto, prevale il regno uniforme della monodia.
Invece, ormai sappiamo che, sotto l’una o l’altra forma, les polifonie di tradizione orale sono
largamente rappresentate in numerose regioni del mondo. esse hanno come centri principali, oltre
all’Europa, l’Africa subsahariana, l’Oceania e diverse zone dell’Asia abitate particolarmente dalle
minoranze.
La presentazione delle registrazioni di questo terzo disco segue una logica comunemente ammessa;
essa riposa su criteri formali e prende in considerazione l’organizzazione interna delle parti musicali
secondo un ordine che va dal semplice al complesso. Ma qui si tratta di un ordine logico e non
cronologico e ci siamo accontentati di abbozzare parentele fra forme senza pretendere di stabilire
delle relazioni o filiazioni storiche (v. fig. 18)
L’eterofonia, nel senso più corrente, indica un comportamento musicale in cui parecchi esecutori
cantano in una specie di unisono: essa non si compone di parti distinte debitamente indicate dagli
stessi cantanti come nella polifonia propriamente dettaa, ma riposa su sfasamenti melodici o ritmici
più o meno importanti che hanno per effetto di dare un certo spessore alla melodia principale. In
certi casi, questi sfasamenti sono strettamente accidentali e è l’intenzione effettiva è proprio quella
di produrre l’unisono (si pensi, per esempio, alla messa domenicale cantata dall’assemblea dei
fedeli). In altri casi, tuttavia, la sovrapposizione più o meno coordinata di linee melodiche è
pienamente intenzionale e ogni partecipante cerca di arricchire la melodia di base con il proprio
contributo. È così che, per essere bello, un ahidus berbero (III.1) non soltanto richiede numerosi
partecipanti, uomini e donne, ma implica che si sentano la diversità delle persone presenti, i
differenti timbri e registri di voce e che, in definitiva, sia coperto un largo spettro sonoro. Anche le
lamentazioni rumene (I.6) fanno ricorso ad una forma di eterofonia, ma questa deriva da
un’intenzione diversa che sfocia, d’altronde, in un risultato sonoro di un’altra natura: parecchie
prefiche sono presenti intorno al morto e, contrariamente al canto berbero, ciascuna canta il suo
lamento in qualche modo per sé stessa, cosa che ha l’effetto di produrre degli sfasamenti temporali
variabili. Anche il canto jivaro dell’Ecuador è caratterizzato da sfasamenti temporali che evocano i
procedimenti di eco.
Questi sfasamenti sono ben controllati nella pratica dell’eco e della sovrapposizione. In Papua-
Nuova Guinea, due donne kaluli cantano in eco, con la seconda che duplica la frase della prima
(III.3). la sovrapposizione, da parte sua, è illustrata dagli esempi del Senegal (III.4) e di Timor
(III.5): si alternano due cori, ma il secondo ricopre l’ultima nota o l’ultima sezione melodica del
primo, da cui l’espressione figurata di “tuilage” (alla lettera “spianatura”). Unico nel suo genere, il
pasi but but degli aborigeni di Taiwan (III.6) si distingue per il cromatismo ascendente continuo
della prima voce, sotto la quale si articolano i segmenti più corti delle altre tre voci.
Con il bordone, la copertura è continua: restando su una stessa altezza, una delle voci serve allora
da base alla melodia, come nel canto toraja dell’Indonesia (III.7) e in quello dell’Albania (III.8).
D’altronde questo bordone può, alla fine della frase, arricchirsi di una formula discendente, come
presso i Peuls Bororo del Niger (III.9).
L’ostinato prende in prestito dal bordone il suo carattere permanente e ripetuto. In effetti, può
essere visto come un bordone melodico intermittente: si compone si compone di brevi frasi
rigorosamente ricorrenti, sulle quali s’innesta, o si fissa, la melodia principale (v. III.10 e III.11).
Due voci possono sovrapporsi in movimenti paralleli sopra un intervallo qualunque: quinta (III.12),
quarta (III.14), terza (II.12 e III.13) o seconda (III.15 e III.16). questo parallelismo, tuttavia, non è
sempre stretto e può combinarsi con diversi movimenti obliqui o contrari.
A questa polifonia in qualche modo “orizzontale”, caratterizzata dalla sovrapposizione di linee
musicali, si oppone quella che privilegia le relazioni di simultaneità, e dove le differenti parti,
“verticali”, possono essere analizzate in termini di accordi. Talvolta un solo e medesimo accordo è
richiesto durante tutto lo svolgimento del pezzo e può essere trasportato nel corso dell’esecuzione
su una inflessione volontaria del solista (v. il canto a tenore sardo, III.17). talvolta diversi accordi
sono incatenati in modo sistematico, come nella paghjella corsa (III:19) basata sull’alternanza di
due accordi, l’uno, sopra il quinto grado, di valore sospensivo, l’altro, sopra il primo grado, di
valore conclusivo. La polifonia religiosa della Sardegna (III.18) si caratterizza anche per la
successione armonica di accordi perfetti. Essa utilizza una tecnica nota sotto il nome di
falsobordone nella quale le diverse parti doppiano la voce principale alla quinta, alla quarta e alla
terza e sono saldamente legate fra loro da regole di consonanza. Il canto funebre a 3 voci della
Svanezia (Georgia) (III.20) si distingue per accordi fluttuanti, essenzialmente di quarta e quinta, di
terza e quinta, e di quinta e settima, dove la distinzione fra consonanza e dissonanza non sembra
pertinente.
Nel contrappunto, al contrario, le parti sono singolari e nettamente differenziate sul piano
melodico e ritmico. Esse assumono il loro valore le une in rapporto alle altre e, per la loro stessa
presenza, saldano la costruzione musicale. La polifonia ‘aré ‘aré delle Isole Salomon (III.21) - a
due voci –segue questo procedimento. Quella della minoranza Amis di Taiwan (III.22) e di Gourie
in Georgia (III.23) è a 3 voci. Quest’ultima si caratterizza, inoltre, per il suo carattere largamente
improvvisato; le voci vi sono così libere che ogni parte può essere cantata da un solo esecutore, ciò
che non succede per i cori folclorizzati in cui le parti (debitamente imparate a memoria, che
lasciano poco spazio all’improvvisazione) posso essere doppiati come nel canto corale.
Certe polifonie complesse fanno ricorso a tecniche combinate e pertanto non si lasciano ridurre ad
un solo tipo. Così il canto albanese (III.25) combina un bordone, degli ostinati e degli accordi
alternativamente dissonanti e consonanti.
I Banda della Repubblica Centroafricana (III.27) e i Dorzé dell’Etiopia (III:28) utilizzano un
ostinato con vibrazioni e privilegiano soprattutto il singhiozzo in cui una linea melodica si divide
fra più voci, ciò che implica che una taccia mentre le altre cantano. Influenzato tanto dal “bel canto”
italiano quanto dalle fanfare militari, il trallallero genovese (III.24) riposa su un armonia tonale e
gerarchizza rigorosamente le sue diverse parti (fino a 7).
Nelle musiche polifoniche la regola più comune è che ogni cantante tenga una sola parte, sempre la
stessa. Da questo punto di vista i Pigmei costituiscono un’eccezione (III.26): i cantanti e le cantanti
cambiano liberamente la parte nel corso dell’esecuzione e il contrappunto in quattro parti si articola
su una linea melodica principale che non è realizzata necessariamente per intero. Nei suahongi di
Bellona (Polinesia periferica), questa reciproca libertà delle voci è spinta all’estremo, al punto di
creare strane sovrapposizioni di forma (III.29). nel caso specifico, le due parti sovrapposte non
utilizzano né lo stesso testo, né la stessa scala, né lo stesso ritmo, né lo stesso tempo, e la
coordinazione temporale ha luogo solo alla fine del ciclo.
L’ultima facciata del disco ricorda che l’aleatorio può essere anche una componente – involontaria
o deliberata – delle forme musicali. È così che i canti e le formule ripetute di due ragazzine eipo
della Nuova Guinea occidentale (III.30) si sovrappongono senza coordinarsi, abbozzando, come per
gioco, quella che si potrebbe chiamare una “polimusica” che, progressivamente, si stabilizza intorno
ad una serie di brevi ostinati.

LE REGISTRAZIONI
Poiché i criteri di selezione sono stati in primo luogo d’ordine musicale, certe registrazioni sono
state prese in considerazione quando si ignorava quasi tutto al loro soggetto, così che la
presentazione di ogni documento è, secondo i casi, più o meno lunga e dettagliata. Quando era
possibile, le note introduttive sono state scritte dagli autori delle registrazioni; quando non era
possibile, sono state scritte da un etnomusicologo specialista della regione, e a partire dalle fonti
disponibili. Così, ogni nota è siglata (i nomi completi corrispondenti alle iniziali sono indicati a pag.
85).
Le informazioni vi figurano nel seguente ordine: numero della fa nome del paese, seguito dal nome
di una grande regione o, all’occorrenza, dal nome dell’etnia fra parentesi quadra. Sotto: luogo della
registrazione, e eventualmente altre indicazioni geografiche o amministrative. Seguono poi diverse
rubriche, contraddistinte dal un trattino:
- titolo della traccia. All’occorrenza, nome del genere vocale, nome degli interpreti, titolo del
pezzo.
- Modalità di esecuzione (numero, sesso); caratteristiche della struttura musicale e della voce (o
della polifonia CD III); terminologia vernacolare.
- Circostanze bituali.
- Testo del canto (iassunto).
- Riferimenti della registrazione (nome del ricercatore, anno) o del disco da cui il pezzo è tratto;
nel caso di una registrazione indetita, numero d’archivio del Museo dell’Uomo (BM=nasto
magnetico) ed eventualmente riferimento ad altre registrazioni dello stesso tipo già pubblicate.
Occasionalmente, segue un complemento bibliografico. Infine, iniziali del redattore della nota
introduttiva.
CD I – TECNICHE
Richiami, gridi e clamori
1. Paraguay [Tomarahò]
Famiglia linguistica zamuco
- Introduzione al rituale delle origini del mondo, anabsoro
- Insieme di gridi ritualizzati d’uomini, il cui sistema resta da caratterizzare, ma che sembra
appoggiarsi sulla serie di opposizioni: assolo/gruppo/duo; tessitura acuta/tessitura media;
emissioni brevi/sostenute/molto lunghe; con vibrato/senza vibrato; senza parole/con parole.
Dopo una presentazione delle diverse componenti, l’insieme si stabilizza su un basamento
ritmico effettuato da sonagli e da un flauto di Pan a due canne. V. sonogramma. fig.1.
- Registrazione di Guillermo Sequera (1988). N. d’archivio BM 993.005.
(J-M.B.)
2. Francia, Poitou
Saint Vincent-Puymaufray, dipartimento della Vandea
- Richiami di lavoro, o “raudage”, di Fernand Bordage, agricoltore, che conduce due coppie di
buoi attaccati ad un tombarello (tipo di carro) e si reca nei campi.
- Successione improvvisata di esclamazioni in glissandi che si alternano con dei richiami o degli
ordini )esempio: “In piedi, laggiù!”) e conclusa da una breve aria fischiettata. I nomi dei buoi,
raggruppati a coppie, sono in parte immaginari: “Compagno”, “Libertino”, “Primavera”, “Calze
bianche”, “Vieni qui”, “Trincare”, “Saltimbanco”, “Concorrente”. La loro molteplicità mira a
suggerire un attacco di parecchie paia di buoi.
- La voce è limpida e sonora: essa si diffonde in uno spazio aperto. Ogni sequenza utilizza un
ambito ristretto, ma l’emissione vocale cambia costantemente, avendo qualcosa, nello stesso
tempo, del grido e del canto, e suggerendo in certi passaggi il muggito degli animali.
- Registrazione di Michel de Lannoy, corso di formazione Musicoral (Arcup/Università di Tours),
1986. Archivi UPCP/Casa delle Culture di paese, Parthenay.
(M.de L.)

3. Svizzera, Muotatal
Alpeggio di Gummen, cantone di Schwyz
- Richiamo del bestiame, Chueraiheli (piccola ranz delle mucche [ranz è parola tedesca che
significa “canzone pastorale”] ) , di Alois Schmidig.
- Due corti pezzi yodel si alternano con richiami parlati e con gridi che comportano trilli
discendenti.
- Eseguito per chiamare le mucche alla mungitura o sul sentiero dell’alpeggio.
- Le parti yodel di questo richiamo comportano le sillabe senza significato [yo] e [o] in voce di
petto, [u] in voce di falsetto. La parte parlata comprende la formula esclamativa “sa sa” e parole
nel dialetto svizzero tedesco del Muotatal “Vieni, mucchettina, vieni”.
- Registrazione di Sylvie Bolle Zemp (1984). Tratto dal film Youtser e yodler di Hugo Zemp;
Production:CNRS Audiovisuel, Meudon. Per altri richiami del bestiame, v. il CD Juuzli del
Muotatal.
(H.Z.).

4. Repubblica Centroafricana, [Gbaya]


Ndonghé, provincia di Bouar
- Gridi modulati e suono di sanza, in un “canto da pensare”, gima tamo, di Etienne Doko (sanza)
e Martine Sènwan. Titolo: Sèam ko mè, “Ti amo”.
- Abitualmente, una parte vocale è improvvisata dal suonatore di sanza e da altri cantanti. La
partecipazione femminile si limita a delle approvazioni sotto forma di gridi modulati. Secondo i
musicisti, la regolarità di questi gridi impedisce qui di cantare, mentre il pezzo fa parte di un
repertorio di canti.
- Registrazione di Vincent Dehou (1977). Tratto dal CD Musiche per sanza nel paese gbaya.
(D.H.)
5. Paraguay [Tomarahò]
Famiglia linguistica zamuco
- Canto oubla teichu, per il rituale dei morti, di Dohoxowohorla e Nerke.
- Duetto alternante di donne. La voce gridata, quasi forzata, si situa nell’alto medium. La
respirazione sonora, molto presente, appare proprio come una componente fondamentale di
questa estetica vocale. V. sonogramma, figura 2.
- Registrazione di Guillermo Sequera (1988).
(J.-M. B.)

6. Romania
Bixad, Paese dell’Oach
- Lamenti funebri, bocete, designati più volentieri nel Paese dell’Oach col nome di vaiete, cantati
dalle donne della famiglia del defunto.
- Gtuppo di donne che cantano, ma ciascuna per sé, su una melodia discendente (cosa molto
frequente nei lamenti funebri)
- Eseguiti nella casa del morto e intorno alla bara aperta, i vaiete sono annunciati dai grandi corni
trimbita (o trombe?) e devono terminare quando i corni ricominciano a suonare. Si cantano
anche individualmente al cimitero sulla tomba del defunto.
- Inframmezzate da singhiozzi, le parole evocano la vita del defunto.
- Registrazione di Jacques Bouet, Bernard Lortat-Jacob e Speranta Radulescu (!991), durante un
funerale.
(B.L.-J.)

7. Albania [Guegues]
Albania del Nord
- Canto funebre di una decina di uomini.
- Clamore collettivo organizzato secondo una struttura rigorosamente strofica: alternanza regolare
del clamore propriamente detto – omofono – e della sua “messa in eco” dalle voci del coro. V.
sonogramma, fig. 3.
- Testo sillabato, senza parole.
- Registrazione dell’Istituto di Cultura Popolare di Tirana, conservata al Museo dell’Uomo.
(B.L.-J.)

8. Giappone
Tokio
- Esclamazioni vocali, kakegoe, emesse dai suonatori di tamburo prima e dopo il colpo sui loro
strumenti nel teatro no. Tamburi in forma di clessidra colpiti con le dita, o-tsuzumi di S.
Kawamura e ko-tsuzumi di A. Kò. Tamburo a mazze taiko di T. Obe; flauto no-kan di Y. Isso.
- Questi gridi hanno due funzioni: una corrisponde ad una punteggiatura temporale, l’altra serve a
creare l’atmosfera del pezzo. Questi gridi differiscono secondo la categoria del pezzo; essi
costituiscono un materiale sonoro e sono utilizzati allo stesso titolo dei colpi di tamburo per
comporre diverse cellule ritmiche.
- Questo passaggio è tratto dal pezzo Shakkyò (il Ponte di pietre) scritto da Motomasa (1394-
1432), figlio di Zeami il cui ruolo fu molto importante nella codificazione del teatro no.
- Registrato a Radio France sotto la direzione artistica di Akira Tamba (1983). Tratto da l CD
Giappone. Musica del No.
(T.Q.H., da A. Tamba)

9. Repubblica Centroafricana [Pigmei Aka]


Sottoprefettura di Mongumba, prefettura di la Lobaye
- Richiamo di caccia mongombi.
- 5 uomini cantano in voce di falsetto delle formule melodiche senza misure, costituite da
intervalli disgiunti. Altre rispondono con gridi gravi.
- Con questi richiami modulati, gli uomini comunicano fra loro durante la posa delle reti nella
foresta e la battuta alla selvaggina. Non avendo misure, questi richiami non sono considerati
dagli Aka come della musica; essi rientrato nel campo della tecnica di caccia.
- Registrazione di Simha Arom (1971). Tratto dal CD Centrafrica. Antologia della musica dei
Pigmei Aka.
(S.F., da S. Arom)

10. Indonesia, Bali


Ubud
- Coro kecak. Apparso sotto la sua forma attuale all’inizio degli anni 1930, questo genere s’ispira
a modelli più antichi, come certe danze di trance praticate nei templi.
- Un coro di uomini, composto di una quarantina di esecutori, è disposto in cerchi concentrici al
centro dei quali si svolge una scena del Ramayana il cui testo viene declamato dagli attori. Il
coro canta una polifonia composta unicamente di gridi diversi e di onmatopee, le cui sillabe ke e
cak (pronuncia “cia”) che stilizzano il grido della scimmia: ne risulta un contrappunto ritmico
variato che utilizza principalmente i procedimenti del singhiozzo, dell’ostinato e del
controtempo. La rigorosa sincronizzazione fra le diverse parti è assicurata da uno dei membri
del gruppo, un “conduttore” del quale si individuano chiaramente gli interventi a carattere
segnaletico. Non c’è posto per l’improvvisazione: tutte le parti, il cui numero varia nel corso
dell’esecuzione, vengono imparate a memoria.
- Registrazione di Gilles Léothaud (1978).
(G.L.)

Voce e fiato

11. Burundi
Regione di Bujumbura
- Canto sussurrato accompognato dalla cetra-sopra-il catino inanga.
- Voce d’uomo. La pronuncia delle parole, nelle quali è molto presente il fiato, è sincronizzata
perfettamente col pizzicamento della cetra. Mentre emette soltanto una leggera vibrazione di
altezza difficilmente determinabile, il “cantante” produce tuttavia l’illusione di un movimento
melodico vocale. Questa maniera di cantare offre un equilibrio per complementarità, poiché lo
spettro è largamente coperto dalle componenti vocali e strumentali.
- Eseguito dagli uomini, il canto sussurrato serve a divertire il musicista stesso o un piccolo
uditorio, come l’antica corte del re. Gli argomenti spesso storici riportano temi bucolici in modo
epico, moralizzatore o umoristico.
- Canto di lode ad un benefattore.
- Registazione di Michel Vuylsteke (1967). Tratto dal disco Burundi. Musiche tradizionali.
(S.F.)

12. Canada [Eschimese]


a e b) Cape Dorset; c) Sanikiluaq
- 3 pezzi di suono di gola katajjaq, a) di Elijah Podloo Mageeta e Napache Samaejuk
Pooroogook; b) di Temegeak Pitaulassie e Alla Braun; c) di Soria Eyituk e Lusi Kuni.
- Il katajjaq è una tecnica vocale singolare caratterizzata dall’alternanza di inspirazione e
espirazione udibili, da una emissione vocale gutturale e nasale, e da suoni prodotti senza
un’altezza determinata. Esso è costruito su dei motivi ripetitivi.
- Giostra vocale di donne. Le due cantanti si mettono una di fronte all’altra, quasi bocca a bocca.
L’obiettivo è di stancare l’avversaria e di destabilizzarla ritmicamente. Il pezzo si arresta
quando una delle donne è esausta e ride.
- Il testo è formato da sillabe senza significato.
- Registrazione (1974-76) di Nicole Beaudry (a e b) e Claude Charron ( c ). Tratto dal CD
Canada, Canti e suoni degli Eschimesi.
(T.Q.H., da J.-J. Nuttiez)

13. Mali [Tuareg Kel Ansar]


Distretto di Gargando
- Canto ihamama (onomatopea) dei Bella, ex schiavi. Conosciuto anche dai Tuareg dell’Hoggar
con il termine tazenqqarat.
- Canto ansimante, accompagnato dal battere di mani, eseguito da un coro di una quindicina
d’uomini durante la dansa.
- Feste di accampamento.
- Sillabe senza significato.
- Registrazione di Bernard Lortat-Jacob (1988).
(B.L.-J.)

14. Bahrein
Muharraq
- canto per remare appartenente al repertorio detto nahhami che accompagna le differenti fasi del
lavoro legato alla pesca delle perle.
- Cantato da due o tre solisti, poeti-cantanti professionisti detti nahham, e da un coro di uomini,
costituito da sommozzatori e dai loro assistenti. I solisti intervengono uno dopo l’altro in uno
stile molto melismatico. Le qualità vocali richieste sono quelle di una voce acuta, morbida e
“dolce come il miele”. Il coro emette il bordone nell’estremo grave (winna, secondo Jargy, nella
nota esplicativa del disco) circa due ottave al di sotto della nota fondamentale dei solisti. Nella
seconda parte dell’estratto, questo bordone evolve in forti espirazioni dette hamhama
considerate dai cantanti come un elemento essenziale.
- Ad ogni fase del lavoro corrisponde un ciclo di canti: per la partenza, al levare dell’ancora, per
remare, per issare le vele, per immergersi alla ricerca delle ostriche, per aprire le ostriche, alla
fine del lavoro e al ritorno.
- Si colgono le seguenti parole: “O voi che avete buone intenzioni, andate verso la vostra
fortuna”. La formula ya mal (“o fortuna”), che serve da ritornello a certe forme poetico-
musicali, è una incocazione indiretta, poiché solo Dio è padrone del destino e della ricchezza.
- Registrazione di Poul Rovsing Olsen (1962). Tratto dal disco Pescatori di perle e musicisti del
Golfo Persico, Radio France.
(J.L. e M.R.O.)

15. Madacascar [Antandroy]


Ambovombé
- Musica di un rituale di guarigione che invoca la presenza di una forza soprannaturale, il
kokolampo.
- La parte di cerimonia corrispondente alla traccia del discoè stata registrata prima della
possessione di un partecipante da parte del kokolampo. Una frase musicale lanciata da un
cantante viene ripresa parecchie volte da un coro misto. In seguito, una voce di donna, più
gridata che cantata, si alza nell’acuto, mentre il coro, cessando di cantare, l’accompagna con una
specie di ronzio ritmato prodotto da degli ansiti sonori. Questo supporto ritmico è completato
dal battere delle mani contro le cosce degli esecutori.
- Un guaritore è presente durante tutta la cerimonia (che dura talvolta parecchi giorni). E’ lui che
interpreterà le parole senza senso pronunciate sotto il dominio della possessione, indicando
come curare il malato.
- Registrazione di Charles Duvelle (1963). Tratto dal disco Musica malgascia, Radio France.
(M.B.)

16. Kenya
Distretto di Malindi
- Lode ad Allah, di Sheik Mohamed Bin Isa, accompagnato da alcuni bambini.
- Solista e coro cantano in modo omoritmico una stessa cellula melodica punteggiata da una
scansione regolare di suoni gutturali ansimanti che si fanno sempre più presenti a seconda dello
svolgimento del pezzo. Sotto il termine generico di dhikr, questa forma vocale si ritrova in altre
regioni del mondo islamico.
- Il testo del canto è basato essenzialmente sulla ripetizione del nome di Allah.
- Registrazione sotto la direzione di Hugh Tracey. Tratto dal disco Sound of Africa Series, Library
of African Music, Repubblica Sudafricana.
(V.D.)

Parlato, declamato, cantato

17. Marocco, Alto Atlante occidentale [Berberi Ida Oumahmoud]


- Cantillazione del Corano, tahzzabt, di un coro di ttlba, “letterati” o “maestri di scuola coranica”.
- Il coro canta recto tono con dei cambiamenti di gradi. La declamazione è segnata da una
segmentazione dei versetti in periodi di lunghezza differente che finiscono o con suoni
prolungati o con sottolineature gridate.
- Sslukt, cerimonia per la cantillazione del Corano nella sua integralità. Essa ha luogo in
particolare in occasione di una morte, di un matrimonio, di un pellegrinaggio alla Mecca e del
27° giorno del Rmadan.
- Versetti 11, 12 e 13 della Sura LVIII “La Protestataria”.
- Registrazione di Miriam Rovsing Olsen (1977).
(M.R.-O.)

18. India Ladakh


Monastero di Phyang
- Salmodia buddista dei monaci del monastero “Bri-gung bka’-brgyud-pa. Tratto da
un’invocazione alla dea Aphyi, protettrice di quel monastero.
- Il passaggio registrato illustra lo stile di canto indicato in tibetano dal termine dbyangs (alla
lettera “vocali”) e si caratterizza per una solennizzazione del testo del testo enunciato, ottenuta
con l’interpolazione fra le parole di sillabe senza significato. La coesione dell’insieme è
assicurata dal maestro di canto (dbumdzad) che picchia su un grande tamburo con telaio (rnga)
e la cui potente voce fa da riferimento agli altri partecipanti.
- Registrazione di Mireille Helffer (1976). Tratto dal CD Ladakh, musica di monastero e di
villaggio.
(M.H.)

19. India, Kerala


Tricur
- Recitazione del Rig Veda da parte di un gruppo di 10 brahmani Nambudiri.
- In linea generale, la recitazione dei Veda ubbidisce a regole molto precise. I testi, in sanscrito,
sono composti di sillabe di 3 lunghezze diverse (breve, media e lunga). Inoltre, queste sillabe
supportano un sistema di 4 accenti, resi nella recitazione da gradi melodici svara distinti. Nella
tradizione dei bramani Nambudiri gli accenti udatta e pracaya sono recitati su un grado medio
stabile, l’accento anudatta su un grado più alto, lo svarita su un grado più basso o un
movimento composto medio poi alto secondo il contesto accentuale della sillaba. I 3 gradi
stabili sono do# – mi - fa#, intorno ai quali i recitanti eseguono delle oscillazioni, kampa.
- Il testo è un passaggio di un inno (riferimento RV1/25), composto nel metro gayatri, che si
rivolge al dio Varuna.
- Registrazione di Privislav Pitoeff (1983). Tratto dal CD India del Sud. Musiche rituali e teatro
del Kerala.
(P.P.)

20. Tuvalu, Niutau


Polinesia occidentale
- 2 pezzi: a) Canto di gioco tafaonga sukisuki, titolo: O mamai, o mamai; b) Canto di danza onga,
titolo: Fakatu ake fasi kumete.
- Il coro di 6 uomini si accompagna con un tamburo con fenditura pate e col battere delle mani.
A) Parti in tecto tono (una sola altezza di nota) e in sprechgesang (recitazione senza altezze
fisseI; b) Sprechgesang. Nel secondo pezzo i cantanti accelerano il tempo.
- Il testo concerne a) una disputa fra gli dei sull’appartenenza dell’isola di Niutao; un concorso di
fabbricazione di piatti scolpiti in legno.
- Registrazione di Gerd Koch (1963). Tratto dal disco allegato al libro di Dieter Christensen e
Gerd Koch Die Musik der Ellice-Inseln.
( H.Z. da D. Christensen)

21. Nuova Caledonia [Kanak]


Kanala, area linguistica xaracùù
- Discorso rituale, xwaaxa, di Arthur Maramin.
- Dopo un introduzione di un “strillone”, lo specialista autorizzato declama, in recto tono e su un
tempo veloce, una serie di quadri che condensano la storia delle alleanze locali. Momenti nello
stesso tempo esaltati e formalizzati della cerimonia, questi discorsi ritmati possono fino a
mezzora secondo l’oratore e la circostanza. L’oratore è circondato dagli uomini del suo gruppo
di residenza che lo sostengono con gridi fricativo-palatali ritmati, punteggiano di gridi i suoi
enunciati e lo incoraggiano e lo incoraggiano con delle formule codificate, i mulu.
- Declamato durante le cerimonie di fine del periodo deò lutto che si organizzano
schematicamente in un vasto scambio fra due stirpi, questo tipo di discorso introduce il dono
della stirpe detta paterna. Si noterà la voce dell’oratore amplificata da una sonorizzazione.
- Registrazione di Jean-Michel Beaudet (1984).
(J.-M.B.)

22. Argentina [Selk’nam]


Terra del Fuoco
- Canto di sciamana di Lola Kiepja, una delle ultime sopravvissute del gruppo Selk’nam.
- Assolo di donna. Le forme vocali selk’nam alternano generalmente parti parlate le cui parole
hanno un senso e parti parlate-cantate (sprechgesang) costruite su sillabe senza significato. Qui
lo stile vocale si caratterizza, fra l’altro, per l’importanza degli accenti amplificati
dall’espirazione, per la presenza di una pulsazione, per l’uniformità della durata delle sillabe, e
soprattutto per il timbro. Il sistema sonoro mette in corrispondenza i diversi gradi della melodia
con sonorità specifiche legate all’emissione di certe vocali.
- Registrazione di Anne Chapman (1966). Tratto dal disco Selk’nam chants of Tierra del Fuego,
Argentina.
(R.M. da G. Rouget)
23. Spagna, Baleari
Isola di Formentera
- Chant redoblado (“raddoppiato”), eseguito da un uomo che si accompagna col tamburo.
- È caratterizzato da una scansione sillabica; ogni distico si conclude con un tremolio della
laringe; l’espressione redoblada rimanda precisamente a questa parte ornamentale del canto.
- Feste di villaggio, veglie.
- Contenuto narrativo, ma questo tipo di canto può essere anche improvvisato da parecchi cantanti
(uomini o donne) sotto forma di giostra (redobladas de porfedi).
- Registrazione di Bernard Lortat-Jacob.
(B.L.-J.)

24. Romania, Valachia


Blejesti, Dipartimento di Teleorman
- Cintece batrinesti: canto di altri tempi (alla lettera “canto dei vecchi”), abitualmente tradotto
con la generica parola “ballata”. Eseguito da musicisti professionisti (lautari): Constantin
Staicu, canto e violino; Georghe Staicu, zimbalon (strumento ungherese); Alec Staicu,
fisarmonica.
- Lo stile epico-lirico è fortemente espressivo e comunicativo; si tratta, nello stesso tempo, di
commuovere e di edificare l’autitorio. Secondo i momenti più o meno drammatici del racconto,
dei passaggi cantati su frasi discendenti o in recto tono si alternano con passaggi parlati il cui
verso è scandito con enfasi.
- Matrimoni. Eseguito su richiesta degli invitati al momento del banchetto.
- In questa ballata detta sarpele (“il serpente”), l’eroe affronta un mostro mitico in un
combattimento da cui alla fine esce indenne.
- Registrazione di Jacques Bouet e Bernard Lortat-Jacob (1981). Tratto dai dischi Ballades e fetes
en Roumanie.
(B.L.-J.)

25. Stati Uniti, Filadelfia


Pensylvania
- Sermone dela Reverenda Audrey F. Bronson, pastore della Church of the Open Door.
Accompagnamento all’organo Hammond.
- Estratto di un lungo sermone, cantato-parlato-gridato, di un pastore donna (mentre la maggior
parte delle registrazioni effettuate nelle chiese protestanti degli Stati Uniti presentano sermoni di
pastori uomini). I membri della congregazione approvano con delle esclamazioni. L’organo
punteggia ispirate della Bibbia.
- Servizio religioso domenicale di una comunità di Neri della “middle class”, in un quartiere
periferico di Filadelfia. La profonda religiosità dei membri della congregazione, unitamente alle
esortazioni del pastore, fanno sì che alcuni di loro entrano in trance, immediatamente circondati
e sostenuti dai loro vicini.
- Registrazione di Jean Swarz (1978).
(H.Z.)

Ambito e registro

26. Tibet (in esilio in India)


- Salmodia buddista di una dozzina di monaci del collegio tantrico di Gyuto. Titolo: Rdo-rje jigs-
byed dbang,”Iniziazione relativa a Vajrabhairava”, una forma selvaggia del bodhisattva
Avolokiteshvara.
- Insieme di voci di uomini che fanno alternare la recitazione sillabica e l’uso di una tecnica
vocale specifica detta “voce ruggente del dio della morte” (Gshin-rie’i ngar-skad) o, più
comunemente, “voce di mdzo” (mzdo-skad), essendo il mzdo un animale ibrido che risulta
dall’incrocio del bufalo e della vacca.la voce molto grave favorisce l’emergere dell’armonica 10
(una terza, tre ottave sopra il fondamentale), effetto sistematicamente ricercato dai monaci e in
particolare dal “maestro di canto” (dbu-mdzad), doprattutto nei monasteri della scuola Dge-
lugs-pa di cui fa parte il collegio tantrico di Gyuto. V. sonogramma, fig. 4.
- Registrazione di J. Schwarz durante il passaggio dei monaci a Parigi (1975).
(M.H.)

27. Corea del Sud


Seul
- Salmodia buddista (pompa’e), stile hossori, dei monaci dell’ordine Tae Ch’o Sung. Titolo:
Koryong san, “Il picco degli avvoltoi”.
- Coro di voci maschili. Dopo il richiamo dei gong, i diversi membri del coro iniziano
liberamente la loro parte, nelle loro rispettive tessiture; i loro interventi, lenti e in qualche modo
“stirati”, di volta in volta aerei e violentemente contrastati, marcando delle ascensioni
progressive, si succedono traducendo la profonda emozione provata dagli esecutori, alcuni dei
quali sembrano pervenire ad una vera estasi. V. sonogramma, fig. 5.
- Tratto di un rituale eseguito il 49° e il 100° giorno dopo la morte per preparare l’anima del
defunto al suo ingresso in paradiso.
- Registrazione di John Levy (1964), realizzata nel monastero di Sone Chol (“Il Nuovo Tempio”).
Tratto dal disco Musica buddista di Corea.
(M.H.)

28. Papua-Nuova Guinea [Abelam]


Kalabu, East Sepik Province
- Canto dshambukware di Ndukabre (dshambu è il nome dell’emblema totemico, in forma di
uccello, di un clan).
- Questo canto di uomini è caratterizzato da una voce di “Strohbass” (v. glossario) nell’estrema
grave.
- Ogni clan possiede un canto dshambukware particolare. Questo è eseguito in onore
dell’antenato del clan Tipmanggero.
- Formato esclusivamente di vocali, questo canto non comporta parole.
- Registrazione di Brigitta Hauser-Schaublin (1979). Tratto dal disco Music of the Abelam, Papua
Niugini.
(H.Z. da B. Hauser-Schaublin)

29. Brasile, Alto Xingu [Yawalapiti]


- Canto di danza kozi-kozi, la danza delle scimmie urlanti.
- 3 uomini mascherati si dondolano nella piazza del villaggio e cantano in alternanza, in voce di
falsetto, secondo dei disegni melodici discendenti, per gradi. All’inizio lanciano un breve grido
collettivo in glissando, anch’esso discendente. Ciascuna di queste successioni è introdotta e
chiusa da un grido collettivo, in breve glissando discendente.
- Eseguita la notte in cui un uomo ha incontrato nella foresta delle scimmie urlanti che si sono
impadronite della sua ombra, questa cerimonia curativa si conclude con un pasto a base di pesce
e di pappa di manioca che il paziente offre ai cantanti.
- Registrazione di Simone Dreyfus (1955). Tratto dal disco Musique indienne du Brésil.
(J.-M.B. da Simone Dreyfus)

30. Bolivia [Llamero]


Comunità Soicoco, Poroma
- Canto di Carnevale, poujllay wayno, di Sofia Canaviri e Angela Condori.
- Duo e orchestra di flauti a condotto d’aria pinkillo di 4 dimensioni differenti, suonati da degli
uomini in ottave parallele.i musicisti e le cantanti ballano girando. Una delle qualità principali
della voce deve essere la “forza” (in spagnolo “fuerza”), cioè la capacità di trasmettere con il
fiato (in lingua quechua “samay”) l’energia assimilata. L’emissione della voce femminile
corrisponde ad un’estetica del suono pan-andino che mostra una preferenza marcata per l’acuto.
I suoni acuti sono qualificati di “potenti” (sinch’i); sono anche detti “chiari”, “trasparenti” o
“liquidi”(ch’uya) come l’acqua. La “limpidezza” dei suoni è associata all’idea di “evidenza”
(sut’i) e quando le donne cantano nel registro sopracuto, si dice che le loro voci “diventano
visibili”.
- Musica eseguita durante la stagione (da novembre a febbraio) e soprattutto durante il rituale del
carnevale.
- Le parole sono tratte da un corpus di strofe, concatenate liberamente.
- Registrazione di Bruno Fléry e Rosalia Martinez (1990).
(R.M.)

31. Giappone
- Recitazione epica del genere Satsuma-Biwa, interpretata da Kinshi Tsuruta che si accompagna
lei stessa al liuto.
- La recitazione di un epopea, nella sua forma attuale, risale al XVII° sec. e deve il suo nome alla
provincia di Satsuma (Giappone meridionale) ed anche al liuto piriforme a 4 corde, biwa,
suonato con un grande plettro. K. Tsuruta ne è attualmente la più celebre rappresentante. Un
tempo divertimento per soldati, oggi si tratta di un genere austero la cui sobrietà non esclude
l’espressività resa dalla tecnica vocale dell’interprete: ornamentazione ricca ma discreta e sottile
e, soprattutto, un’emissione in registro di petto che si addice all’arogmento marziale del
racconto, con solo brevi passaggi a carattere ornamentale in voce di testa.
- Questo estratto racconta uno dei numerosi episodi della battaglia che oppose i clan Heike e
Genji nel corso del XII° sec.
- Registrato a Parigi (1973). Tratto dal disco Japon, Biwa et Shakuhachi. Musique millénaire, K.
Tsuruta.
(G.L.)

32. Namibia [Bochiman Ju/’hoansi]


//Xa/oba, area di Nyae Nyae
- “Canto di guarigione”, n/om tzìsì, eseguito da un coro femminile; pezzo senza titolo
appartenente al repertorio detto ≠oah tzìsì, “Canti di giraffa”.
- Una decina di donne accompagnano il canto con due tipi di battimani: uno materializza la
pulsazione, l’altro una formula titmica. Si tratta di una polifonia contrappuntistica senza parole
(successione di vocali). L’impressione sonora che si sprigiona è quella di un complesso
intreccio di voci da cui emerge il procedimento di yodel.
- Cantato principalmente in rituali di guarigione individuale o collettiva, ma anche per divertirsi e
per cullare i bambini.
- Registrazione di Emanuelle Olivier (1993).
(E.O.)

33. Malawi [Mang’anja]


Distretto di Nsange
- Canto con tecnica yodel, chigolingo, di Fainesi.
- Sincronizzando la sua respirazione con i colpi regolari in un mortaio, la cantante utilizza
diverse tecniche vocali. Canta sillabe senza significato alternando voce di petto e voce di testa
secondo la tecnica dello yodel (chigolingo); emette dei suoni sia espirando che inspirando;
produce cambiamenti di timbro piegando i bordi della lingua a forma di u per ottenere dei suoni
“flautati”. Sebbene appartenga al gruppo dei Mang’anja, la cantante esegue un canto nello stile
mangolongozi dei Sena.
- Eseguito qui triturando del mais, questo canto non è necessariamente legato a questa attività.
- Canto senza parole.
- Registrazione di Gerhard Kubik (1967). Tratto dal disco Opeka nyimbo. Musiker-Komponisten
aus dem sudichen Malawi.
(H.Z. da G. Kubik)

34. Isole Salomon, Guadalcanal [Nginia]


Kakabona
- Canto del repertorio femminile rope, di Sylvia Saghorekao e Sabina Seso, e un coro di una
decina di donne. Titolo: Ratsi rope, “Cominciare il rope”.
- Le due voci soliste, emesse con una grande energia e sprovviste di vibrato, sono caratterizzate
da uno sganciamento periodico in voce di testa, secondo il principio dello yodel. Esse fanno un
contrappunto su un bordone eseguito dal coro. La prima voce “apre” (hihinda) il canto, la
seconda “segue” (tumuri), mentre il bordone “grugnisce” (ngungulu).
- Cantato in occasione di feste organizzate dai capi tradizionali, durante funerali commemorativi,
durante il lavoro collettivo nei giardini, o la sera al villaggio.
- Mentre certi canti del repertorio rope comportano delle parole, questo utilizza solo le vocali [e]
e [ä]. Come molti pezzi strumentali degli insiemi di flauti di Pan, questi canti sono ispirati dai
suoni e dai rumori prodotti dall’uomo o dalla natura.
- Registrazione di Hugo Zemp (1974). Tratto dal CD Polyphonies del Iles Salomon (Guadalcanal
e Savo).
(H.Z.)

35. Svizzera, Appenzell


Alpeggio Potersalp, cantone d’Appenzell
Rhodes esterni
- Yodel, Zauer o Zäuerli, di Ernst Pfändler, Jakob Dietrich, Ernst Frick e Konrad Ortle.
- Polifonia in 3 parti: solo il solista (Vorzaurer) canta in yodel. Gli altri cantanti, che restano nel
registro di petto, “tirano dritto” (gradhabe); il lungo tenuto degli accordi fa pensare ad un
bordone. Nella sua forma attuale, la polifonia si conforma alla tonalità, con alternanza
tonica/dominante. Due dei cantanti scuotono ritmicamente 3 grandi campane cerimoniali
(Schelle schotte) che, alla partenza dalla valle, erano attaccate al collo delle vacche davanti al
gruppo.
- Al momento dell’arrivo all’alpeggio, i contadini e i mandriani cantano parecchi Zäuerli prima
di appendere queste 3 campane allo chalet fino al ritorno.
- Canto senza parole che comprende delle sillabe di yodel scelte in funzione del registro,
essenzialmente con le vocali [a] e [o] in voce di petto, [u] in voce di falsetto, e in via accessoria
la vocale [i] nei due registri.
- Registrazione di Hugo Zemp (1979) il giorno della salita all’alpeggio. Tratto dal CD Suisse,
Yodel d’Appenzell.
(H.Z.)

CD II – TECNICHE (seguito)
Colori e timbri

1. Guinea [Malinké]
Kankan
- Canto di lodi di Kondé Kouyaté, accompagnata da una kora, arpa-liuto a 21 corde, munita di un
bruiteur (rumorista?).
- La voce senza rumore di fiato è proiettata con grande potenza, com’è opportuno quando ci si
rivolge ad un auditorio all’aperto. Prevale lo stile sillabico e l’ornamentazione è relativamente
ridotta. V. sonogramma. Fig.
- La cantante fa parte del clan dei Kouyaté, dedito esclusivamente all’attività di musicisti
professionisti appartenenti alla casta dei cantastorie dyeli in malinké.
- Questo canto di lodi è composto da una sequenza di strofe dove si alternano, in formule
stereotipate, delle massime: “un uomo perbene non è come gli altri”, dei versetti coranici La
illah ila Allah “non c’è altro dio all’infuori di Dio”, e delle formule di benedizione. Kondé
Kouyaté nomina di volta in volta, per glorificarli, un certo numero di personaggi.
- Registrazione di Gilbert Rouget (1952). Tratto dal disco Musique Malinké, Guinee.
(V.D. da G. Rouget)

2. Repubblica Centroafricana [Banda Ngao]


Regione di Bambari
- Canto di iniziazione. Titolo: Ganza, ganza, “Chi dà la forza”, “Iniziazione”.
- Duo di ragazze. Cantato con voci mantenute in una tessitura molto acuta. Canto responsoriale:
le parole sono cantate dalla voce principale, mentre la risposta comporta sillabe prive di
significato. Nella formula cadenzata di ogni strofa, le cantanti si raggiungono all’unisono. V.
sonogramma, fig. 7.
- Appartiene al repertorio dei canti legati all’iniziazione delle ragazze, nel corso della quale viene
praticata l’eccisione.
- “Ganza, ganza, dài la pulizia. Non piangiamo, siamo coraggiose. Ganza, non piangiamo,
manteniamo il cuore freddo”.
- Registrazione di Simha Arom e Geneviève Dournon-Taurelle (1964-67). Tratto dal disco
Musiques Banda, Répubblique Centrafricaine.
(S.F. da S. Arom)

3. Vietnam
Hanoi

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