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AKATHISTOS
INNO ALLA MADRE DI DIO
COMMENTO AL TESTO
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Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa»
Via del Corso 306 – 00186 Roma
E-mail: centro@culturamariana.com
ISBN 88-7917-147-X
Edizione metrica-parte prima copia.10-05-2017.qxp_M0-00 base 2005 28/05/17 11:20 Pagina 1
AKATHISTOS
INNO ALLA MADRE DI DIO
Edizione metrica *
1 Cito in primo luogo il volume dove ho raccolto e pubblicato sei saggi, ai quali riman-
do per una più ampia bibliografia: E.M. TONIOLO, Akathistos. Saggi di critica e di teologia,
Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2000, 266 p. I saggi ivi editi sono:
E.M. TONIOLO, L’inno Acatisto, monumento di teologia e di culto mariano nella Chiesa
bizantina, in PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, De cultu mariano saeculis
VI-XI, vol. IV, Romae 1972, p. 1-39; ID., Numeri e simboli nell’«Inno Akathistos alla
Madre di Dio», in Ephemerides Liturgicae, 101 (1987) 267-288; ID., La genesi dei testi
liturgico-mariani in rapporto ai Padri, in UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI LITURGICHE DEL
SOMMO PONTEFICE, Liturgie dell’Oriente cristiano a Roma nell’Anno Mariano 1987-1988.
Studi e Testi, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1990, p. 945-983; ID., La teolo-
gia dell’inno «Akathistos», in S. FELICI (a cura di), La mariologia nella catechesi dei Padri
(età postnicena), LAS, Roma 1991, 265-283; ID., L’Akathistos nella «Vita di Maria» di
Massimo il Confessore, in IGNAZIO M. CALABUIG (a cura di), Virgo Liber Verbi, Edizioni
«Marianum», Roma 1991, p. 209-228; ID., L’inno «Akathistos» alla Madre di Dio.
Presentazione letteraria e teologica, in Ephemerides Mariologicae, 44 (1994) 313-353.
Cito inoltre: E.M. TONIOLO, Akáthistos, in S. DE FIORES e S. MEO (ed.), Nuovo Dizionario
di Mariologia, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1986 (e seguenti edizioni), p. 16-
25; ID., Akathistos: temi e problemi, in Theotokos 15 (2007) 77-102. Potrà servire all’argo-
mento che svolgo: M.D. SPADARO, Sulla liturgia dell’Inno «Akathistos»: «quaestiones
chronologicae», in S. FELICI (a cura di), La mariologia nella catechesi dei Padri (età postni-
cena), LAS, Roma 1991, p. 247-264. Conserva ancora un posto di primaria importanza lo
studio di P. DE MEESTER, L’Inno Acatisto (∆Akavqisto" ”Umno"), in Bessarione, anno VIII,
serie II, vol. VI, 2° semestre (gennaio-giugno 1904), 9-16, 159-165, 252-257; anno IX,
serie II, vol. VII, 1° semestre (luglio-dicembre 1904), 36-40, 134-142, 213-224.
2 ERMANNO M. TONIOLO
***
2 ALDO MANUZIO, Poetae christiani veteres, vol. II, Venezia 1501/1502 (senza
4 ERMANNO M. TONIOLO
È strano però che, mentre per i testi poetici sia latini che greci Aldo
Manuzio alterna tra loro i versi a due a due con un consueto capoverso, in
questa stampa dell’Inno Akathistos egli proceda come se il testo fosse di
semplice prosa, distinguendo solo tra loro i singoli stichi o emistichi con
virgole o con un punto medio o con un punto fermo: punteggiatura che lui
stesso ha inventato e che noi abbiamo ereditato da lui. Le stanze poi non
sono numerate, ma solo separate tra loro con un capoverso. Offro una tra-
scrizione fedele della prima stanza:
sinistra col testo greco, quella destra con la traduzione latina. A fine della pagina, il
richiamo della parola che segue nella pagina corrispondente, con l’indicazione a cen-
tro dell’ultima riga: zhvtei to; loipo;n ejn tw``/ mevsw/ tou`` eJxh``~ tetradivou (Quaere reli-
quum in medio sequentis quaternionis). Nessuna scheda di catalogazione bibliografi-
ca, di quelle che ho consultato, segnala questa prima edizione dell’Akathistos. A.A.
RENOUARD, Annali delle edizioni aldine, cit., p. 25, così descrive i cinque quaderni:
«L’ouvrage intitulé Homerocentra, avec l’opuscule grec et latin sur l’Annonciation, qui
occupe le milieu de chaque cahier, finissent le volume par cinq cahiers grecs, cotés des
cinq premières lettres grecques doublées de 8 feuillets chacun, hors le cinquième, qui
n’en a que quatre, dont le dernier est blanc; et par cinq cahiers latins, cotés aaaa,
jusques à eeee, le premier et le troisième, de 8 feuillets, le deuxième et le quatrième,
de 10, et le cinquième de 4: en tout 76 feuillets, dont un blanc. Ces dix cahiers sont
disposés de manière que le grec est en face du latin, mais qu’on peut les séparer entiè-
rement l’un de l’autre».
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2. Le edizioni liturgiche
4
Si veda lo studio in merito di M.D. SPADARO, Sulla liturgia dell’Inno
«Akathistos»: «quaestiones chronologicae», in S. FELICI (a cura di), La mariologia nella
catechesi dei Padri (età postnicena), LAS, Roma 1991, p. 247-264.
5
Triwvd/ ion su;n Qew`/` aJgivw/ perievcon th;n a{pasan ajkolouqivan, Venezia 1599, 247
fol., in 4, scritto a 2 colonne, numerato con numeri greci foglio per foglio, rubricato.
L’ufficiatura del quinto sabato di quaresima con l’Akathistos dal foglio 145v al foglio
148v. Le iniziali dei tropari, comprese le stanze dell’Akathistos, in lettere capitali più
grandi, in rosso, fuori colonna. I due efimni dell’Akathistos ugualmente in rosso, con
lettere minuscole, al centro o a lato destro della rispettiva colonna.
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6
Triwvd/ ion katanuktikovn, perievcon a{pasan th;n ajnhvkousan aujtw/` ajkolouqivan
th`~
` ÔAgiva~ kai; Megavlh~ Tessarakosth`~ ` , ∆Aqh`n` ai, ∆Apostolikh;; Diakoniva th`~
`
∆Ekklhsiva~ th`~ ` ÔEllavdou, ejn ∆Aqhvnai~ 1960, p. 296-302 (riedito ad Atene nell’anno
2001).
7
ÔWrolovgion to; mevga, ∆Apostolikh;; Diakoniva th``~ ∆Ekklhsiva~ th``~ ÔEllavdou,
ejn ∆Aqhvnai~ 1963, p. 512-532.
8
Triwvd/ ion katanuktikovn, perievcon a{pasan th;n ajnhvkousan aujtw/` ajkolouqivan
th`~
` aJgiva~ kai; megavlh~ Tessarakosth`~ ` . “Ekdosi~ prwvth. ∆En ÔRwvmh/ 1879, p. 506-
516.
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9
∆Akolouqiva tou`` ∆Akaqivstou u{mnou eij~ th;n uJperagivan Qeotovkon, in
∆Anqolovgion tou`` o{lou ejniautou``, II, ejn ÔRwvmh/ 1974, p. 1577-1606.
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8 ERMANNO M. TONIOLO
Quarta osservazione: il problema della serie centrale (vv. 5-8) delle salu-
tazioni (cairetismoiv). Le edizioni liturgiche romane (non quelle ateniesi),
seguite in questo anche dalle edizioni metriche, suddividono giustamente
ciascuno di questi versi, pur se di fattura diversa, in due emistichi. Cito ad
esempio:
Cai``re, u{yo" dusanavbaton * ajnqrwpivnoi" logismoi``"∑
cai``re, o{ti bastavzei" * to;n bastavzonta pavnta.
In tal modo il cai``re (= godi, gioisci), ripetuto 156 volte nel fluire
armonioso dell’Inno, acquista quel risalto che l’autore intendeva, come
documentano i primi due versi della prima stanza:
“Aggelo" prwtostavth" ⁄ oujranovqen ejpevmfqh
eijpei``n th`/` Qeotovkw/ to; Cai``re.
Il primo degli angeli fu mandato dal cielo
per dire il “godi” alla Madre di Dio.
10
E.M. TONIOLO, Akathistos. Saggi di critica e di teologia, Centro di Cultura
Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2000, p. 23-24, 126-131.
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12 ERMANNO M. TONIOLO
11
W. CHRIST et M. PARANIKAS, Anthologia graeca carminum christianorum, Lipsiae
1871 (riedizione: Hildesheim 1963), p. 140-147.
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12
M. PARANIKAS, ÔO ∆Akavqisto~ ”Umno~, in ∆Ekklhsiastikh; ∆Alhvqeia, 13 (1894)
44-48: edizione preparata dallo stesso professore e filologo Matteo Paranikas, ma molto
meno accurata di quella di Lipsia, con diverso computo dei versi e con una non esatta
distribuzione degli emistichi nelle salutazioni. Crea dunque problemi: di essa dunque
non tengo conto, se non per l’apparato critico.
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J.B. PITRA, Analecta sacra spicilegio solesmensi parata, I/2, Parisiis 1876, p. 251
in nota.
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È dunque più esatto porre nel quinto verso, di volta in volta, un segno
quasi di respiro tonico, come nella musica, più che suddividerlo in emisti-
chi metrici.
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J.B. PITRA, Analecta sacra spicilegio solesmensi parata, I/2, Parisiis 1876, p. 250-262.
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J.B. Pitra trascrive in forma poetica il testo dei codici che le edizioni roma-
ne avevano asteriscato. Include tuttavia nel computo delle stanze
dell’Akathistos il proemio, ossia la dedica Th`/` uJpermavcw/ strathgw`,` quasi fos-
se la prima stanza: infatti contraddistingue il proemio col numero 1 (in greco:
a )v , la prima stanza dell’Inno col numero 2 (in greco: b )v , e così di seguito, fino
all’ultima stanza che in luogo del numero 24 porta il numero 25 (in greco:
keV). Singolare numerazione! Ogni stanza, nella parte propositiva, inizia col
primo verso a margine, gli altri allineati sul primo capoverso, ponendo rien-
trato, come ulteriore capoverso il verso dattilo e – nelle stanze pari – l’efimnio:
ajllhlouviv a> . Trascrivo come esempio la seconda stanza dell’Inno:
gV. Blevpousa hJ aJgiva
eJauth;n ejn aJgneiva/,
fhsi; tw``/ Gabrih;l qarsalevw":
To; paravdoxovn sou th`"` fwnh`"
`
dusparavdektovn mou th`/` yuch`/`
faivnetai:
ajspovrou ga;r sullhvyew"
th;n kuvhsin pw``~ levgei", kravzwn:
∆Allhlouvi>a.
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Grhgovrio~ oJ Palama`~, 1 (1917) 820-832.
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l’Inno col titolo ÔO Oi\ko": oi\ko", cioè, nel quale, pone a margine sinistro
l’alternanza dei primi versi della prima stanza e allineati ugualmente a mar-
gine sinistro i 12 cai`r` e delle salutazioni, ad eccezione dell’efimnio, che egli
neppur computa come verso; dispone invece con spazi rientrati tutti i versi
delle altre 23 stanze: solo i 12 cai`r` e delle stanze dispari vengono allineati
al margine sinistro. Si esamini lo specimen che ho riprodotto.
Inoltre, Eustratiadis pone a lato destro del testo una numerazione dei
versi che non si riesce a comprendere: computa cioè 7 i versi propositivi
delle stanze e – strano a dirsi – omette dal computo metrico tutti gli efim-
ni. Inoltre, come W. Christ-M. Paranikas, congiunge senz’alcun segno di
separazione il verso trisillabo o dattilo al precedente emistichio di ogni
stanza. Così, secondo la sua numerazione, l’inno intero consterebbe di 312
versi, esclusi i 24 efimni.
Ancora: manca ogni segno di cesura fra gli emistichi nelle salutazioni
5-8; ed è proprio inaccettabile che nel quinto verso della parte espositiva,
in alcune stanze, venga spezzato con capoverso non lo stico, ma la parola.
Cito un solo esempio, dalla stanza VII:
ejn th/` gastri; Mariva" bo-
skhqevnta h}n uJmnou``nte" ei\pon...
16
CARLO DEL GRANDE, L’inno acatisto in onore della Madre di Dio, Fussi Editore,
Firenze 1948, 116 p., formato cm. 12x17. Il testo dell’Inno alle pagine 36-97. L’edizione fu
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poi ristampata nel volume Filologia Minore, Ricciardi, Milano 1956, p. 265-282. Egli pro-
pone e sostiene un’ipotesi talmente gratuita, che rasenta l’assurdo: che cioè il primo proe-
mio non solo sia originale, sgorgato dalla penna di Romano (così egli pensa), ma che in
conseguenza del proemio – che egli pure avverte essere di altra mano da quella dell’Inno
(p. 276-277) – siano stati manipolati, «con dizione raccorciata e trivializzata», i versi 1-7
della prima stanza! Si avrebbe dunque, secondo lui, un proemio autentico e una prima
stanza spuria: opinione che non trova suffragio nei manoscritti o nelle edizioni del testo!
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C. Del Grande riproduce, tanto per i due proemi quanto per le stanze
dell’Akathistos, l’edizione classica dell’Anthologia graeca carminum chri-
stianorum di W. Christ e M. Paranikas, Lipsia 1871. Computa come singoli
versi anche gli emistichi; conteggia in modo personale i versi dell’Inno,
cominciando dal primo dei due proemi. Così il numero totale dei versi
dell’Akathistos risulta di 401: alle stanze dispari egli assegna tra parentesi
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17
R. CANTARELLA, Poeti bizantini, I, Società editrice “Vita e Pensiero”, Milano
1948, p. 86-93.
18
R. CANTARELLA, Poeti bizantini (a cura di Fabrizio Conca), I, Rizzoli, Milano
1992, p. 440-465.
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19
EGON WELLESZ, The Akathistos Hymn, Ejnar Munksgaard, Copenhague 1957.
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20
G.G. MEERSSEMAN, Der Hymnos Akathistos im Abendland, 2 voll., Universitäts-
verlag, Freibourg 1958-1960.
21
Cito l’edizione francese: G.G. MEERSSEMAN, L’hymne Akathiste en l’honneur de la
Mère de Dieu, Éditions Universitaires, Fribourg 1958. Il testo dell’Inno alle pagine 26-79.
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22
C.A. TRYPANIS, La poesia bizantina: dalla fondazione di Costantinopoli alla fine
della Turcocrazia, Guerini e Associati, Milano 1990.
23
C.A. TRYPANIS, Fourteen Early Byzantine Cantica, in Wiener Byzantinische
Studien – Band V, Wien 1968, p. 17-39. Il testo dell’Inno: p. 29-39.
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32 ERMANNO M. TONIOLO
edizione così importante il Trypanis abbia preposto all’Inno non due, ma tre
proemi. Tanto più, che ha posto come primo proemio (e tale lo ha definito)
il troparion To; prostacqe;n mustikw`~ ` , seguito tra parentesi quadre – e
quindi come di minor valore – dal kontakion Th`/` uJpermavcw/ strathgw`,/` e –
pure tra parentesi quadre – da un terzo proemio: Ouj pauovmeqa: proemio
che la filologa e studiosa degli inni della Chiesa bizantina, Enrica Follieri,
nella sua monumentale edizione degli Initia Hymnorum Ecclesiae Graecae24
non ha trovato in nessun libro liturgico. Non è dunque corretto porlo come
terzo proemio dell’Akathistos.
Riguardo al primo troparion To; prostacqe;n mustikw`~ ` , che ha invece
molti riscontri nei libri liturgici, come ha dettagliatamente analizzato la stes-
sa Enrica Follieri25, rilevo che è piuttosto un troparion di apertura dell’uffi-
ciatura liturgica del quinto sabato di quaresima, come di altre celebrazioni,
non dunque propriamente congiunto all’Akathistos, come lo è invece il kon-
takion Th`/` uJpermavcw/ strathgw`,/` che viene cantato e ripetuto in ognuna del-
le sezioni dell’Inno. Infatti, il canto del troparion To; prostacqe;n
mustikw`~ ` , nelle antiche edizioni liturgiche, è preceduto da un “exapsal-
mos” e seguito dal kathisma del Salterio, dopo il quale – preceduto dal kon-
takion Th`/` uJpermavcw/ strathgw`/` – segue la proclamazione o il canto delle
stanze dell’Inno.26 Nelle più recenti edizioni, dove l’Akathistos è diviso in
quattro sezioni distinte, nel sabato dell’Akathistos – forse per organicità di
celebrazione – dopo le preghiere iniziali viene cantato il troparion To; pro-
stacqe;n mustikw`~ ` , seguito dalla proclamazione delle prime sei stanze
dell’Akathistos, poi dalle prime 3 strofe del Canone di Giuseppe l’In-
nografo. Dopo si canta per quattro volte il kontakion Th`/` uJpermavcw/
strathgw`,/` secondo le quattro sezioni dell’Inno. Il troparion non può essere
dunque ritenuto un proemio; tanto meno il primo di tre proemi. Neppure
24
E. FOLLIERI, Initia Hymnorum Ecclesiae Graecae, vol. III, Città del Vaticano
1962 [Studi e Testi, 213], p. 225. Quanto a questo terzo proemio – se sia o no un vero
proemio e come mai sia capitato unito all’Inno Akathistos –, se ne veda una compen-
diosa discussione presso J. GROSDIDIER DE MATONS, Romanos le Mélode. Hymnes, I,
Cerf, Paris 1964 [Sources Chrétiennes, 99], p. 252-255.
25
E. FOLLIERI, Initia Hymnorum Ecclesiae Graecae, vol. IV, Città del Vaticano
1963 [Studi e Testi, 214], p. 254-255.
26
Cito il Triodion nella prima edizione romana: Triwvd/ ion katanuktikovn, perievcon
a{pasan th;n ajnhvkousan aujtw/` ajkolouqivan th`~
` aJgiva~ kai; megavlh~ Tessarakosth`~` .
“Ekdosi~ prwvth. ∆En ÔRwvmh/ 1879, p. 506.
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27
E.M. TONIOLO, Akathistos. Saggi di critica e di teologia, cit., p. 23-25.126-131.
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34 ERMANNO M. TONIOLO
28
N.B. TOMADAKIS, ∆Akavqisto" ”Umno", in Qrhskeutikh; kai; ∆Hqikh; ∆Egku-
klopaideiva, Martinos A., Atene 1962, col. 1155-1156.
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1.1. L’isosillabia
36 ERMANNO M. TONIOLO
1.2. L’isotonia
1.3. L’omofonia
Sumew`n` o" tou`` parovnto" aijwn` o" meqivstasqai tou`` ajpatew`n` o"... Questi
artifizi farebbero pensare a un manierismo, che soffochi l’ispirazione poeti-
ca. L’autore però se ne sa servire con tale naturalezza, che il pensiero fluisce
limpido e non oppresso dalla veste letteraria.
1
Sintetizzo in breve quanto ho diffusamente mostrato nel mio articolo: E.M.
TONIOLO, Numeri e simboli nell’«Inno Akathistos alla Madre di Dio», in Ephemerides
Liturgicae, 101 (1987) 267-288; articolo ripreso nel volume: E.M. TONIOLO, Akathistos.
Saggi di critica e di teologia, Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma
2000, p. 67-97.
2
Cito il testo della definizione del Concilio di Calcedonia: «Seguendo i santi
padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore
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38 ERMANNO M. TONIOLO
nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio
e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la
divinità, e consostanziale a noi per l’umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato,
generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per
noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l’umanità, unico
e medesimo Cristo Signore unigenito, da riconoscersi in due nature, senza confusione,
immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature
a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascu-
na natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi (kai; eij~ e}n provswpon
kai; mivan uJpovstasin suntrecouvsh~); egli non è diviso o separato in due persone, ma
è un unico e medesimo figlio, unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo»
(Denzinger-Hünermann, 301-302).
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Le stanze. Tutte le stanze hanno una identica fattura metrica nella par-
te propositiva, cioè nei cinque primi versi di ciascuna stanza, completati
dal sesto verso, l’efimnio: il quale nelle stanze dispari è mariocentrico, in
quelle pari cristocentrico. Quindi, abbiamo due efimni diversi ma “con-
vergenti”: quello mariologico a quello cristologico, Maria a Cristo.
Le stanze dispari si diversificano per l’inserzione – tra il quinto verso
espositivo e l’efimnio mariologico – di dodici salutazioni mariane, che svi-
luppano il tema proposto nella parte introduttiva.
Le stanze poi procedono a “unità binaria”: cioè la stanza dispari fa
corpo metrico e spesso concettuale con quella pari, di modo che la somma
dei versi di ambedue le stanze, la dispari e la pari (= 18+6 versi) riconduce
all’unità primaria dell’Inno, il numero 24.
Questa “unità binaria” non è stata finora posta in luce da nessuna edi-
zione: tutti gli editori infatti o si limitano a numerare, ciascuno a modo
suo, i versi dell’Inno in progressione numerica, o numerano le stanze ad
una ad una, in maniera separata l’una dall’altra, pur variando tra loro nel
computo dei versi di ciascuna stanza.
Per una più immediata comprensione, presento un grafico di tutte le
stanze dell’Akathistos:
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3. La struttura tonica
3
ACO I, 1, 2, p. 104; PG 77, col. 996.
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puto delle sillabe dell’Akathistos sia un multiplo perfetto del 12 e del 24.
Perciò ritengo che l’Inno avesse un titolo originale di 12 sillabe: cosa che
non si riscontra in nessuna edizione.
Stanza I
Stanza II
Stanza III
v. 27: ejk lagovnwn aJgnw``n uiJovn. Così riporta la maggior parte delle edi-
zioni. Ma stando al criterio isosillabico, questo verso è carente di una sil-
laba. Il Pitra perciò – seguito dalle edizioni liturgiche romane – ha aggiun-
to l’enclitica pronominale: mou. Credo giusta l’aggiunta, anche perché la
Vergine non interroga sulla possibilità astratta di una concezione vergina-
le, ma se da lei, al concreto, dal suo grembo verginale, possa nascere un
figlio. Dunque: ejk lagovnwn aJgnw``n mou uiJovn. Per ovviare alla difficoltà
metrica Trypanis ha portato a tre sillabe il bisillabo uiJovn, in questo modo:
uJi>ovn. Ma ritengo attendibile solo la versione di Pitra.
v. 29: e[fhsen ejn fovbw, plh;n kraugavzwn ou{tw: così quasi tutte le edi-
zioni. Non è dunque accettabile la lezione di Pitra: e[fhsen, wJ~ e[fqase,
kraugavzwn ou{tw: né la variante di Trypanis, che in luogo di plhvn trascri-
ve privn: non è infatti un prima o un poi, di cui si tratta, ma un atteggia-
mento riverente di Gabriele verso la Vergine di Nazaret.
v. 34: di∆ h|" katevbh oJ qeov". Questo verso è la crux degli editori, perché
eccede di una sillaba, proprio col di∆ h|", sulla perfetta isosillabia col suo
analogo verso che segue. Ora, tutti i manoscritti e le edizioni lo riproducono
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Stanza IV
Stanza V
Stanza VI
v. 69: pro;~ th;n a[gamovn se qewrw`n: così codici ed editori; Pitra cor-
regge, ma forse non a ragione: prwvhn a[gamovn se qewrw`n.
Stanza VII
v. 75: wJ~ pro;~ poimevna: così i codici e le edizioni. A Pitra parve giu-
stamente che questa frase ledesse il ritmo tonico; perciò la sostituì con
quest’altra, che indubbiamente meglio rispetta l’isotonia: poimevna oJra``n:
lezione ripresa dall’edizione romana dell’Horologion e dell’Anthologion:
kai; dramovnte" poimevna oJra``n. Tale lezione l’ho riprodotta anch’io nell’e-
dizione metrica.
v. 80: ajoravtwn qhrw``n: così Manuzio e qualche edizione; la maggior
parte di esse ha: ajoravtwn ejcqrw``n. Ma ritengo più esatta la lezione qhrw``n,
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per omofonia col verso seguente che finisce con qurw``n, ma perchè il con-
testo dell’ovile delle pecore richiama l’incursione di fiere rapaci, se la por-
ta non è sprangata.
Stanza VIII
Nessuna variante
Stanza IX
Stanza X
Stanza XI
v. 125: ajnebovwn: così una parte degli editori; altri invece: ejbovwn.
Tuttavia quest’ultima variante infrange l’isosillabia e l’isotonia del verso:
non è quindi accettabile.
v. 128: due lezioni si competono nelle edizioni: hJ th`" ` ajpavth" th;n
plavnhn pathvsasa, ed è la lezione più seguita, oppure: hJ th`" ` plavnh" to;
kravto" pathvsasa. A quest’ultima inclina Pitra seguito dalle edizioni
liturgiche romane.
v. 136: hJ gh`` hJ th``" ejpaggeliva": così soltanto A. Manuzio. Tutte le
edizioni, comprese quelle più critiche di W. Christ-M. Paranikas, S.
Eustratiadis e A. Trypanis, hanno: hJ gh`` th``" ejpaggeliva", con una sillaba
in meno nel verso: contro la norma dell’isosillabia e dell’isotonia. È dun-
que nel vero il Manuzio.
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Stanza XII
Stanza XIII
v. 147: kai; fulavxa" taujth;n, w{sper h\n: solo A. Manuzio ha questa lezio-
ne, che credo unica esatta secondo l’isotonia del verso: tutte le altre edi-
zioni invece riportano: kai; fulavxa" tauvthn, w{sper h\n. Non varia tuttavia
il contenuto.
v. 151: to; stevfo" th``" ejgkrateiva": così la maggior parte delle edi-
zioni; to; stevmma th``" ejgkrateiva": Eustratiadis e Trypanis. Ma il concet-
to è identico.
vv. 156-157: i versi sono intercambiati nell’edizione di Pitra. Eustratiadis
e Trypanis invece scambiano il verbo: kuoforou`s ` a lutrwth;n aijcmalwvtoi"
- ajpogennw`s ` a oJdhgo;n planwmevnoi". Non varia il contenuto.
v. 159: pollw`n` ptaiovntwn sugcwvrhsi" le edizioni: lezione indubbia-
mente da preferire, trattandosi di “soggetti” non di “oggetti”; invece Pitra,
Eustratiadis e Trypanis leggono: pollw`n` ptaismavtwn sugcwvrhsi".
Stanza XIV
v. 165: dia; tou``to ga;r oJ uJyhlov": così la maggior parte delle edizioni;
è infatti contro la norma dell’isosillabia aggiungere qeov", trascrivere cioè:
dia; tou``to ga;r oJ uJyhlo;" qeov", come fanno Querci, il Triodion ateniese
del 1960 e l’Horologion ateniese del 1963. Giustamente Christ-Paranikas,
rilevando la discordanza, annota: «duabus syllabis versus abundat».
Stanza XV
v. 173: kai; tovko" ejk parqevnou: così la maggior parte delle edizioni;
Pitra invece, seguito dalle edizioni romane dell’Horologion (1876) e dell’An-
thologion (1974), trascrive: oJ tovko" ejk parqevnou: si avrebbe allora un solo
movimento di condiscendenza divina, cioè il parto dalla Vergine. Io penso
che abbiano ragione le altre edizioni, nelle quali il duplice movimento – la
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Stanza XVI
v. 191: ajkouvonta de; para; pavntwn: così, e giustamente, la più parte del-
le edizioni; infatti l’aggiunta di ou{tw~ (para; pavntwn ou{tw~) di alcune edi-
zioni – Querci, Triodion ateniese (1960), Horologion atenesiese (1963) e
Anthologion romano (1974) – aumenta di due sillabe il verso. A ragione
dunque Christ-Paranikas lo espunge: così dev’essere.
Stanza XVII
Stanza XVIII
vv. 213-214: di∆ hJma``" ejfavnh kaq∆ hJma``" a[nqrwpo": così le migliori
edizioni; invece Pitra propone: di∆ hJma``" ejfavnh kaq∆ hJma``" provbaton e
Trypanis: di∆ hJma``" ejfavnh kaq∆ hJma``" o{moio~. Mentre sarebbe anche
accettabile e forse preferibile la lezione di Pitra, appunto per il sotteso
parallelismo tra poimhvn del testo, cioè pastore, e provbaton, cioè pecora,
che egli propone in sostituzione di a[nqrwpo", cioè uomo, delle altre edi-
zioni, non si può certo accettare la proposta di Trypanis, di porre o{moio~,
cioè simile, al posto di a[nqrwpo". È vero che il Verbo di Dio, che è Dio,
facendosi uomo si è fatto in tutto simile (= o{moio~) a noi, ma il contesto
della stanza non consente questa sostituzione di a[nqrwpo" con o{moio~. in
questo verso: tanto più che della somiglianza si parla nel verso seguente
215, dove Cristo Pastore viene a chiamare in veste di pecora la pecorella
(cioè la stirpe umana). Io propendo per la sostituzione proposta da Pitra,
anche per un altro motivo: nel contesto calcedonese, è forte il rilievo dato
al binomio qeov"-a[nqrwpo" (Dio-uomo), e la precedente stanza XVI l’ave-
va posto in luce: to;n ajprovs iton ga;r wJ" qeovn, ejqewvrei pa``s i prosito;n
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a[nqrwpon: sembra dunque più nel giusto in questa stanza XVIII il secon-
do binomio: Pastore-agnello (poimhvn-provbaton), già indicato con termini
simili nella stanza VII: dramovnte" poimevna oJra``n, qewrou``s i tou``ton wJ"
ajmno;n a[mwmon... Cai``re, ajmnou` kai; poimevno" mh``ter, cai``re, aujlh;
logikw``n probavtwn: i testi di queste due stanze (VII e XVIII) riecheggiano
concetti e termini del celebre inno a Cristo di Clemente Alessandrino
(Pedagogo, libro III).
Stanza XIX
Nei primi versi della stanza si notano nelle edizioni alcune varianti ter-
minologiche, non di contenuto: nel v. 218: prosfeugovntwn in luogo di
prostrecovntwn; nel v. 221: oijkh``sai in luogo di oijkhvsa~.
v. 221: soi; pavnta" prosfwnei`n` didavxa": così Pitra e altre edizioni; kai;
pavnta": Manuzio; kai; pavnta" soi: Querci, Christ-Paranikas, Triodion
romano 1879, Triodion ateniese 1960, Horologion ateniese 1963: questa
lezione però aumenta il verso di una sillaba (soi), perciò non è accettabile.
Eustratiadis e Trypanis propongono un’altra lezione: kai; deivxa" prosfw-
nei`n` soi; pavnta", che potrebbe essere accettabile, come sillabe, ma è diver-
sa come contenuto: qui infatti il Creatore “mostra”, là invece “insegna” ad
acclamare la madre sua.
vv. 226-227: sono invertiti nell’ordine da Pitra e da Eustratiadis.
Stanza XX
Stanza XXI
Stanza XXII
Stanza XXIII
Stanza XXIV
52 ERMANNO M. TONIOLO
5. Il kontakion dell’Akathistos
Kontavkion
54 ERMANNO M. TONIOLO
3. Edizione metrica corrente
Oi\ko" a v [Stanza I]
1 1. “Aggelo" prwtostavth" ı oujranovqen ejpevmfqh
2. eijpei``n th`/` Qeotovkw/ to; “Cai``re”:
3. kai; su;n th``/ ajswmavtw/ fwnh``/ ı swmatouvmenovn se qewrw``n,
4. Kuvrie,
5 5. ejxivstato kai; i{stato, ∆ kraugavzwn pro;" aujth;n toiau``ta:
56 ERMANNO M. TONIOLO
Oi\ko" e v [Stanza V]
1. “Ecousa qeodovcon ı hJ Parqevno" th;n mhvtran
50 2. ajnevdrame pro;" th;n ∆Elisavbet:
3. to; de; brevfo" ejkeivnh" eujquv", ı ejpigno;n to;n tauvth" ajspasmovn
4. e[caire:
5. kai; a{lmasin wJ" a[/smasin ∆ ejbova pro;" th;n Qeotovkon:
STANZA VII: v. 75: wJ~ pro;~ poimevna (alii), poimevna oJra``n Hor(1876)AntPi (qui
adnotat: wJ~ pro;~ poimevna edd. et plerique codd. laesa melodia, quam duce Lascharis
restituimus)To. || v. 78: mh``ter Td(1879) Hor(1876)AntPiEuTo, mhvthr (alii). || v.
80: qhrw``n MaTd(1879)EuTrTo, ejcqrw``n Td(1960)Hor(1876,1963)AntQuChPi. || v.
82: sunagavlletai (alii), sunagavllontai EuTr. || v. 83: sugcoreuvei oujranoi``" (alii),
sugcoreuvousi pistoi``~ EuTr.
STANZA VIII: nessuna lezione variante.
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Oi\ko" i v [Stanza X]
115 19. Khvruke" qeofovroi ı gegonovte" oiJ mavgoi,
20. uJpevstreyan eij" th;n Babulw``na:
21. ejktelevsantev" sou to;n crhsmovn, ı kai; khruvxantev" se to;n Cristovn
22. a{pasin,
23. ajfevnte" to;n ÔHrwvdhn wJ" lhrwvdh, ∆ mh; eijdovta yavllein:
120 24. ∆Allhlouvi>a.
STANZA IX: v. 98: ceiriv (alii), ceirsiv Td(1879)Eu. || v. 102: mh`t ` er Td(1879)
Hor(1876)AntPiTo, mhvthr Td(1960)Hor(1963)QuChEuTr. || v. 104: sbevsasa (alii),
pauvsasa Tr. || v. 110: pauvsasa (alii), sbevsasa Tr. || v. 112: pistw`n` oJdhge; swfro-
suvnh" (alii), pistw`n` oJdhge; swfrosuvnh Ma, Persw`n` oJdhge; swfrosuvnh" EuTr.
STANZA X: nessuna lezione variante, se non di segni tipografici.
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STANZA XI: v. 123: ejnevgkanta (alii), ejnegkovnta Ma. || v. 124: pevptwken (alii),
pevptwkan Tr. || v. 125: ajnebovwn Td(1569,1738,1879)Hor(1876)AntPiTrTo. ejbovwn
Td(1960)Hor(1963)QuChEu, nu``n bow``s i Ma. || v. 128: th`" ` plavnh" to; kravto" pathv-
sasa (alii), th`"
` ajpavth" th;n plavnhn pathvsasa Td(1960)Hor(1963)QuChTr. || v.
135: trufh``" aJgiva" diavkone (alii), trofh``" aJgiva" diavkone Ant. || v. 136: hJ gh`` hJ th``"
ejpaggeliva" MaPiTrTo, hJ gh`` th``" ejpaggeliva" (alii).
STANZA XII: v. 143: a[rjrJhton (alii), a[peiron Ch. - Si nota nelle edizioni qualche
errore tipografico o diversa accentazione.
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STANZA XIII: v. 151: to; stevfo" (alii), to; stevmma Td(1569)EuTr. || v. 152: ajna-
stavsew" (alii), th`~ ajnastavsew" Td(1879)Qu. || v. 156-157: kuoforou``sa oJdhgo;n
planwmevnoi", ajpogennw``sa lutrwth;n aijcmalwvtoi" Pi ordine inverso, kuoforou``sa
lutrwth;n aijcmalwvtoi" Tr, ajpogennw``sa oJdhgo;n planwmevnoi" Tr. || v. 159: pollw``n
ptaiovntwn (alii), pollw``n ptaismavtwn PiEuTr.
STANZA XIV: v. 164: oujranovn (alii), oujranouv~ Td(1879)QuEuTr. || v. 159: oJ
uJyhlo;" (alii), oJ uJyhlo;" add. qeov~ Td(1960)Hor(1963)QuCh., qui recte adnotat: “dua-
bus syllabis versus abundat”. || v. 167: pro;" to; u{yo" (alii), pro;" u{yo" Ma.
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STANZA XV: v. 169: oujd∆ o{lw" vel oujdovlw" edd. || v. 173: kai; tovko"
MaTd(1879,1960)Hor(1963)QuChEuTrTo, oJ tovko" Hor(1876)AntPi. || v. 177: ajnam-
fivbolon kauvchma (alii), ajnamfivbolon lavlhma Ma. || v. 180: eij" taujtov (alii), eij"
taujtovn Ma. || v. 181: loceivan (alii), goneivan Ant. || v. 183: hjnoivcqh (alii), hjnoivgei
Td(1569).
STANZA XVI: v. 189: ejqewvrei (alii), ejqewvroun Eu. || v. 191: para; pavntwn (alii),
para; pavntwn à ou{tw~ Td(1960)Hor(1963)AntQu Ch expungit.
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62 ERMANNO M. TONIOLO
64 ERMANNO M. TONIOLO
66 ERMANNO M. TONIOLO
4. Edizione metrica con segni tonici
Oi\ko" a v [Stanza I]
´ ˘ ˘ prwtostav
1. “Aggelo" ´ ˘ ´ th"
˘ ı ouj˘ ranov
˘ ´qen
˘ ej˘pev´ mfqh˘
1
2 2. eij˘pei`´ `n th`˘ /` Qeotov
˘ ˘ ´ kw/˘ to;˘ ÆCai`´ `r˘eÆ:
4 4. Kuv´ rie,
˘˘
˘ xiv´stato
5. ej ˘ ˘ kai;
˘ i{´stato
˘ ˘ ∆ kraugav
˘ ´ zwn
˘ pro;˘ " auj˘ th;´ n toiau`
˘ ´ `ta:
˘
5
6 [1] Cai`´`re,∆
˘ di∆˘ h|´" hJ˘ cara;˘ ´ ej˘ klav´ myei:
˘
10 [5] Cai`´`re,∆
˘ u{´yo"˘ dusanav
˘ ˘ ´ baton
˘ ˘ ı aj˘ nqrwpiv
˘ ´ noi" ˘ logismoi`
˘ ˘ ´`":
12 [7] Cai`´`re,∆
˘ o{´ti˘ uJ˘pav´ rcei"
˘ ı Basilev
˘ ˘ ´ w˘ " kaqev
˘ ´dra: ˘
14 [9] Cai`´`re,∆
˘ aj˘ sth;
´ r ej˘mfaiv´ nwn˘ to;
˘ n ”Hlion:
´ ˘˘
16 [11] Cai`´`re,∆
˘ di∆
˘ h|´" neourgei`
˘ ˘ ´ `tai˘ hJ˘ ktiv´ s i":
˘
´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘
[12] cai``re,∆ di∆ h|" brefourgei``tai oJ Ktivsth".
´ ˘
17
´ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘
18 6. Cai``re,∆ Nuvmfh ajnuvmfeute.
Oi\ko" b v [Stanza II]
19 1. Blev´pousa
˘ ˘ hJ´ ÔAˇ giv´a˘ ı eJ˘ auth;
˘ ´ n ej˘n aJ˘gneiv´a˘/,
˘ ´ tw`
20 2. fhsi; ˘ `/ Gabrih;
˘ ˘ ´l qarsalev
˘ ˘ ´ w˘":
˘ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ` fwnh`
˘ ´" ˘ ˘ ´ d˘ektov˘ n mou´ th`˘ /` yuch`
` ı dusparav ˘ ´ /`
21 3. To paravdoxovn sou th`"
´ ˘ ˘
22 4. faivnetai:
˘ ´ ˘ ´ ˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´˘ ˘ ˘ ´ ˘ ´ ˘
23 5. ajspovrou ga;r sullhvyew" ∆ th;n kuvhsin prolevgei", kravzwn:
˘ llhlouv
24 6. ∆A ˘ ´ i˘>a˘.
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27 3. ∆Ek˘ lagov ˘ ´nwn˘ aJ˘ gnw`´ `n mou˘ UiJ˘o´vn ı pw` ˘ `" ej˘sti´ tecqh`
˘ ´ `nai˘ dunatov
˘ n´ …
´ ˘ ˘
28 4. levxon moi.
˘ ´ ˘ ´ ˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´ ˘ ´ ˘
29 5. Pro;" h}n ejkei``no" e[fhsen ejn fovbw/, ∆ plh;n kraugavzwn ou{tw:
30 [1] Cai`´`re,∆
˘ boulh`
˘ ´`" aj˘p˘orjrJh´vtou˘ muv´ sti":
˘
31 [2] cai`´`re,∆
˘ sigh`
˘ ´ `" deomev
˘ ˘ ´ nwn ˘ piv´ sti".
˘
34 [5] Cai`´`re,∆
˘ kli`´`max
˘ ej˘pourav
˘ ´n˘ie,˘ ı di˘ h|~ katev
˘ ´bh˘ oJ˘ Qeov ˘ ´":
36 [7] Cai`´`re,∆
˘ to;
´ tw`˘`n ∆A
˘ ggev´ lwn
˘ ı poluqruv
˘ ˘ ´lhton ˘ ˘ qau`´`m˘a:
37 [8] cai`´`re,∆
˘ to;´ tw`˘ `n daimov
˘ ´ nwn
˘ ı poluqrhv
˘ ˘ ´ nhton
˘ ˘ trau`´ `ma.
˘
38 [9] Cai`´`re,∆
˘ to;
˘ fw`´ `" aj˘ rjrJh´vtw"
˘ gennhv
˘ ´ sasa:
˘ ˘
39 [10] cai`´`re,∆
˘ to;˘ Æpw`´ `"Æ mhdev
˘ ´na˘ didav
˘ ´xasa.
˘ ˘
40 [11] Cai`´`re,∆
˘ sofw`
˘ ´`n uJ˘perbaiv
˘ ´ nousa
˘ ˘ gnw`´ `s˘in:
´ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘
42 6. Cai``re,∆ Nuvmfh ajnuvmfeute.
Oi\ko" d v [Stanza IV]
43 1. Duv´nami"
˘ ˘ tou` ´ ÔUyiv
˘ ´stou˘ ı ej̆ peskiv
̆ ´ase˘ tov´ t˘e
44 2. pro;˘" suv´llhyin
˘ ˘ th`̆ `/ ∆A
´ peirogav
˘ ˘ ´mw/˘:
˘ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´
45 3. kai; th;n e[gkarpon tauvth" nhduvn ı wJ" ajgro;n uJpevdeixen hJduvn
´ ˘ ˘
46 4. a{pasi:
˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´˘ ˘ ˘ ´ ˘ ´ ˘
47 5. toi``" qevlousi qerivzein swthrivan, ∆ ejn tw``/ yavllein ou{tw":
̆ ˘ ´˘ ˘
48 6. ∆Allhlouvi>a.
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68 ERMANNO M. TONIOLO
Oi\ko" e v [Stanza V]
´ ˘ ˘ qeodov
49 1. “Ecousa ´ ˘ ´con˘ ı hJ˘ Parqev
˘ ´no"˘ th;˘ n mhv´ tran
˘
50 2. aj˘ nev´drame
˘ ˘ pro;˘" th;
´ n ∆Elisav
˘ ˘ ´bet:
˘
58 [5] Cai`´`re,∆
˘ a[´ roura
˘ ˘ blastav
˘ ´nousa
˘ ˘ ı euj ˘ foriv
˘ ´ a˘n oij˘ktirmw`
˘ ´`n:
62 [9] Cai`´`re,∆
˘ dekto;
˘ ´n presbeiv
˘ ´ a˘ " qumiv
˘ ´a˘ma:˘
64 [11] Cai`´`re,∆
˘ Qeou`
˘ ´` pro;˘" qnhtou;
˘ ´ " euj˘dokiv˘ ´ a˘ :
´ ˘ ´ ˘ ˘ ´ ˘ ˘
66 6. Cai``re,∆ Nuvmfh ajnuvmfeute.
Oi\ko" ı v [Stanza VI]
67 1. Zav´lhn ˘ e[´ndoqen
˘ ˘ e[´cwn ̆ ı logismw`
̆ ˘ ´ n aj˘ mfibov
̆ ´ lwn
˘
72 6. ∆Ă llhlouv
˘ ´˘i>a˘.
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74 2. th;˘ n e[´nsarkon
˘ ˘ Cristou`
˘ ´ parousiv
˘ ˘ ´a˘n:
75 3. kai;˘ dramov
˘ ´nte"
˘ Poimev
˘ ´nă oJ̆ra`
´ `n, ı qewrou`
˘ ̆ ´ `s˘i tou`´ `t˘on wJ˘" aj˘ mnov´n
´ ˘ ˘
76 4. a[mwmon,
˘ ´ ˘ ´ ˘ ´˘ ˘ ˘ ´ ˘ ˘ ˘ ´ ˘ ´ ˘
77 5. ejn th/` gastri; Mariva" boskhqevnta, ∆ h}n uJmnou``nte" ei\pon:
78 [1] Cai`´`re,∆
˘ aj˘ mnou`´ kai;˘ poimev
˘ ´no" Mh` ´ `ter:
˘
86 [9] Cai`´`re,∆
˘ sterj
˘ rJo´;n th`˘`" piv´ stew"
˘ ˘ e[´reisma:
˘ ˘
88 [11] Cai`´`re,∆
˘ di∆
˘ h|´ " ej˘g˘umnwv´ q˘h ˘oJ ”A/
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˘
90 6. Cai`´ `re,∆
˘ Nuv´ mfh˘ aj˘ nuv´mfeute.
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91 1. Qeodrov ˘ aj˘stev´ra ̆ ı qewrhv
̆ ˘ ´ sante"
˘ ̆ mav´ goi,
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70 ERMANNO M. TONIOLO
98 2. to;˘ n plav´santa
˘ ˘ ceiri;
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99 3. kai;˘ Despov
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˘ ´ n` te"
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˘ e[´labe
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´ ˘ ˘
100 4. e[speusan
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101 5. toi``" dwvroi" qerapeu``sai, ∆ kai; boh``sai th/` Eujloghmevnh/:
115 1. Khv´ruke"
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˘
128 [3] Cai`´r` e,∆˘ hJ˘ th`˘"` plav´ nh" ˘ to;˘ krav´to"
˘ pathv ˘ ´sasa:
˘ ˘
139 1. Mev´llonto"
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141 3. ejpedovqh" wJ" brevfo" aujtw/`, ı ajll∆ ejgnwsvqh" touvtw/ kai; Qeov"
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142 4. tevleio":
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143 5. diovper ejxeplavgh sou`` ∆ th;n a[rjrJhton sofivan, kravzwn:
̆ ˘ ´˘ ˘
144 6. ∆Allhlouvi>a.
Edizione metrica-parte terza.30-04-2017.qxp_M0-00 base 2005 01/05/17 16:02 Pagina 20
72 ERMANNO M. TONIOLO
74 ERMANNO M. TONIOLO
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Oi\ko" k v [Stanza XX]
´ ˘ a{´pa"
235 1. ”Umno" ˘ hJ̆tta`´ tai
̆ ı sunekteiv
˘ ˘ ´ nesqai
̆ ˘ speuv´dwn
˘
76 ERMANNO M. TONIOLO
78 ERMANNO M. TONIOLO
Conclusione
AKATHISTOS
INNO ALLA MADRE DI DIO
Mistagogia dell’Akathistos
1 L’edizione metrica, col titolo: Inno Akathistos alla Madre di Dio. Edizione metrica,
è stata pubblicata sulla rivista Marianum 77 (2015) 133-210. Ripropongo come biblio-
grafia essenziale in primo luogo il volume E.M. TONIOLO, Akathistos. Saggi di critica e
di teologia, Centro di Cultura Mariana «Madre della Chiesa», Roma 2000, 266 pp., dove
ho raccolto e pubblicato sei saggi, ai quali rimando per una piu ampia bibliografia. Essi
sono: E.M. TONIOLO, L’inno Acatisto, monumento di teologia e di culto mariano nella
Chiesa bizantina, in PONTIFICIA ACADEMIA MARIANA INTERNATIONALIS, De cultu maria-
no saeculis VI-XI, vol. IV, Romae 1972, pp. 1-39; ID., Numeri e simboli nell’«Inno
Akathistos alla Madre di Dio», in Ephemerides Liturgicae, 101 (1987) 267-288; ID., La
genesi dei testi liturgico-mariani in rapporto ai Padri, in UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI
LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE, Liturgie dell’Oriente cristiano a Roma nell’Anno
Mariano 1987-1988. Studi e Testi, Libreria Editrice Vaticana, Citta del Vaticano 1990,
pp. 945-983; ID., La teologia dell’Inno «Akathistos», in S. FELICI (a cura di), La mario-
logia nella catechesi dei Padri (età postnicena), LAS, Roma 1991, pp. 265-283; ID.,
L’Akathistos nella «Vita di Maria» di Massimo il Confessore, in IGNAZIO M. CALABUIG (a
cura di), Virgo Liber Verbi, Edizioni «Marianum», Roma 1991, pp. 209-228; ID., L’Inno
«Akathistos» alla Madre di Dio. Presentazione letteraria e teologica, in Ephemerides
Mariologicae 44 (1994) 313-353. Cito inoltre: E.M. TONIOLO, Akathistos, in S. DE
FIORES e S. MEO (ed.), Nuovo Dizionario di Mariologia, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo (MI) 1986 (e seguenti edizioni), pp. 16-25; ID., Akathistos: temi e problemi, in
Theotokos 15 (2007) 77-102. Potrà servire all’argomento lo studio di P. DE MEESTER,
L’Inno Acatisto (∆Akavqisto" ”Umno"), in Bessarione, anno VIII, serie II, vol. VI, 2°
semestre (gennaio-giugno 1904), pp. 9-16, 159-165, 252-257; anno IX, serie II, vol. VII,
1° semestre (luglio-dicembre 1904), pp. 36-40, 134-142, 213-224. Per un elenco biblio-
grafico più ampio, vedi E.M. TONIOLO, Akathistos: temi e problemi, in Theotokos 15
(2007) 77-78. MARIANUM
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80 ERMANNO M. TONIOLO
INDICAZIONI PRELIMINARI
1. L’AUTORE DELL’AKATHISTOS
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 81
3 J.-B. PITRA, Analecta sacra spicilegio solesmensi parata, t. I, Paris 1876, pp. LX-LXI.
4 P. DE MEESTER, L’Inno Acatisto, in Bessarione 8 (1904) 160-161.
5 J. GROSDIDIER DE MATONS, Romanos le Mélode. Hymnes, I, Paris 1964 [Sources
Chrétiennes, 99], p. 248.
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82 ERMANNO M. TONIOLO
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 83
Tiberiade (Gv 21, 1-14). Ora, nell’ottica della stanza XVII dell’Akathistos, che velata-
mente accosta la nascita del Signore dal grembo intatto della Madre col suo manife-
starsi a porte chiuse nel cenacolo, la virginitas in partu appartiene a una precisa volontà
e operazione divina, che l’umana ragione non può spiegare, ma solo la fede sa gioiosa-
mente credere. Tanto più vale questa mia affermazione, in quanto proprio la virginitas
in partu fu addotta dai Padri di Efeso come prova dell’unica ipostasi di Cristo, che nac-
que veramente come uomo da Maria, ma come Dio conservò verginalmente intatto il
grembo della Madre. Su questo tema si può agevolmente consultare J.A. DE ALDAMA,
Virgo mater. Estudios de teología patrística, Facultad de teología, Granada 1963; e, per
una sintesi del periodo efesino e post-efesino, G. SÖLL, Storia dei dogmi mariani, LAS,
Roma 1981, spec. pp. 129-170.
Qualche altro autore, che il Trypanis ricorda (C.A. TRYPANIS, cit., p. 23-24), col-
loca la composizione dell’Akathistos dopo le vittorie di Eraclio su Cosroe II re dei
Persiani, quindi dopo l’anno 626, basandosi sulle salutazioni della stanza IX dell’Inno:
Cai``re, tuvrannon ajpavnqrwpon ejkbalou``sa th``" ajrch``"... Cai``re, puro;" proskuvnh-
sin pauvsasa (Ave, l’odioso tiranno sbalzasti dal trono... Ave, Tu il culto distruggi del
fuoco), individuando nel “tiranno nemico dell’uomo” il nemico dichiarato dell’impero
bizantino, Cosroe II. Tesi gratuita, perché la stanza IX dell’Akathistos commenta non
vittorie belliche, ma le rinunce battesimali del catecumeno al vero nemico dell’uomo,
che è Satana: lo vedremo meglio più avanti, nel commento mistagogico alla stanza IX
dell’Inno.
11 N.B. TOMADAKIS, Romano il Melode non è l’autore dell’Inno Acatisto, in Studi
in onore di Vittorio De Falco, Napoli 1971, pp. 499-519.
12 Cf. S.A. SOPHRONIOU, Lexicostatistical Contribution to the Authorship of the
Akathistos Hymnos, in ∆Epethri;~ ÔEtaireiva~ Buzantinw``n Spoudw``n 35 (1966-1967)
126-127.
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84 ERMANNO M. TONIOLO
quando l’Annunciazione non era ancora festa autonoma distinta dal ciclo
natalizio.13
– argomenti teologici e sacramentali: è completamente diverso il meto-
do di Romano di proporre ai fedeli le verità della fede, attraverso personi-
ficazioni, dialoghi e scenografie, dal metodo incisivo e mistagogico
dell’Akathistos, metodo eminentemente liturgico-sacramentale. È ciò che
meglio constateremo nel percorso di questa mia ricerca.
2. LA CELEBRAZIONE DELL’AKATHISTOS
13 Cf. R.A. FLETCHER, Three Early Byzantine Hymns and their Place in the Liturgy
of the Church of Constantinople, in Byzantinische Zeitschrift 51 (1958) 53-65.
14 Rinvio per una più sicura conoscenza dell’argomento a M.D. SPADARO, Sulla
liturgia dell’Inno «Akathistos»: «quaestiones chronologicae», in S. FELICI (a cura di), La
mariologia nella catechesi dei Padri (età postnicena), LAS, Roma 1991, pp. 247-264.
Anche Maria Dora Spadaro concorda che l’Akathistos fu certamente composto e
cantato per una celebrazione liturgica della Madre di Dio: ne fa fede il testo e l’uso
costante della Chiesa bizantina, almeno a partire dal secolo VI: Romano il Melode
infatti – come ho già rilevato – compose il suo kontakion sulla tentazione di Giuseppe
sul ritmo e sul tono dell’Akathistos.
Rimane aperto il problema della collocazione della “festa” specifica
dell’Akathistos: quando sia stata istituita e perché sia stata collocata al quinto sabato
di quaresima, all’interno del ciclo pasquale legato al calendario lunare, e non in una
data del calendario solare, come il Natale (25 dicembre), l’Ipapante (2 febbraio)
l’Annunciazione (25 marzo). Quasi tutti gli studiosi che ho consultato ritengono che
questa collocazione anomala sia dovuta a una prossimità ideale con la solennità
dell’Annunciazione, che cade ordinariamente in quaresima: ma non ci sono prove con-
vincenti a suffragio di tale ipotesi. Si tratta, ripeto, non dell’Akathistos in sé, né dell’uso
liturgico che ne ha fatto anticamente la Chiesa bizantina, ma della festa dell’Akathistos:
e mi pare giusta la conclusione di Maria Dora Spadaro: «Parlare di una festività
dell’Acatisto prima del IX secolo è del tutto improprio e destituito di serio fondamen-
to» (M.D. SPADARO, cit., p. 264).
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MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 85
86 ERMANNO M. TONIOLO
«distinguere una domenica con accento mariano da una vera e propria festa della
Madre di Dio». Fra gli studi più importanti sull’argomento, ricordo M. JUGIE, La pre-
mière fête mariale en Orient et en Occident. L’Avent primitif, in Echos d’Orient 26
(1927) 129-152.
Forse, più che l’omiletica del IV e V secolo alla quale gli studiosi fanno unicamen-
te ricorso, è più significante proprio la trama liturgica seguita dall’Akathistos, che svi-
luppa in progressione: l’annuncio a Maria, la visitazione, la rivelazione a Giuseppe, il
Natale (pastori e magi), la fuga in Egitto, l’Incontro con Simeone o Presentazione al
tempio. Da ciò si rileva che, almeno a Costantinopoli, il ciclo del Natale comportava
una vera preparazione o avvento, non ristretto soltanto all’annunciazione, ma prolun-
gato nella visitazione e nella rivelazione a Giuseppe, per poi accentrarsi sul Natale e
quindi sul dopo-Natale fino all’Ipapante. Questo rilievo aiuterebbe non poco gli eru-
diti a ridimensionare le proprie ipotesi. Del resto, il calendario della chiesa di Siria
segue sostanzialmente quest’ordine nell’ordinamento del suo avvento o Suborro,
cadenzato sulle quattro (o sei) domeniche di avvento. Mentre, nell’ambito costantino-
politano, non credo siano state implicate le domeniche per la preparazione al Natale,
ma più verosimilmente una sequenza di giorni infrasettimanali. E mi pare allora diversa
la posizione tra Costantinopoli, Milano e Roma: a Costantinopoli non ritengo infatti
che si possa parlare di una “domenica mariana” o “memoria mariana” prenatalizia,
dato che l’Akathistos segue una sequenza ravvicinata di eventi non riconducibili alla
sola Annunciazione. Infatti, anche nel rito romano attuale la IV domenica mariana di
Avvento alterna nel ciclo di tre anni ora il vangelo dell’Annunciazione, ora quello della
rivelazione a Giuseppe, ora quello della visitazione di Maria ad Elisabetta. La prepara-
zione diretta al Natale, come in altre chiese, anche nell’attuale ordinamento liturgico
bizantino parte effettivamente dal 18 dicembre, quindi otto giorni prima della solen-
nità natalizia, cui segue la “sinassi” della Theotokos, secondo il criterio che dopo aver
celebrato la festa di un altissimo personaggio, l’indomani si celebri colui, colei o coloro
che ne furono strumento primario: così dopo l’Annunciazione del 25 marzo, il 26 mar-
zo si commemora l’arcangelo Gabriele; dopo la Natività di Maria l’8 settembre, il 9 set-
tembre si ricordano i suoi genitori Gioacchino ed Anna; e dopo la natività di Giovanni
Battista il 24 giugno, il 25 sono liturgicamente commemorati Zaccaria ed Elisabetta...
17 La chiesa di Santa Maria di Blacherne fu costruita nel 450 dall’imperatrice
Pulcheria, completata dall’imperatore Marciano nel 453 e ampliata dall’imperatore
Leone I con il sacello che custodiva il “reliquiario sacro”, cioè le vesti (maphorion) del-
la Vergine asportate dalla Palestina. Il segno tangibile della protezione della Madre di
Dio su Costantinopoli e l’impero bizantino furono le vittorie insperatamente ottenute
proprio con la protezione della Vergine di Blacherne nell’anno 626 contro i Persiani e
gli Avari sotto il patriarca Sergio e contro i Saraceni negli anni 677-678 sotto l’impera-
tore Costantino Pogonato e negli anni 717-718 sotto l’imperatore Leone Isaurico e il
patriarca Germano di Costantinopoli: per le quali vittorie – conclude il Sinassario
dell’Akathistos – per tutta la notte si cantarono inni di ringraziamento, in piedi, alla
Madre di Dio.
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MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 87
18 Gli studi sull’Annunciazione sono ancora lontani dall’aver raggiunto una indu-
bitata sicurezza. Il volume fondamentale di C. MAGGIONI, Annunciazione. Storia, euco-
logia, teologia liturgica, Edizioni Liturgiche, Roma 1991, espone dettagliatamente il
contesto storico e l’ambiente geografico nel quale ebbe luogo la prima commemora-
zione dell’annuncio a Maria (inclusa nel ciclo natalizio) fino alla sua collocazione fissa
al 25 marzo e alla sua diffusione in Oriente e in Occidente. Sembra ormai assodato che
l’istituzione della festa, disgiunta dal ciclo natalizio e collocata al 25 marzo, a nove
mesi cioè dal Natale, sia dovuta all’imperatore Giustiniano. La data dell’istituzione è
indicata dagli studiosi tra il 530 e il 550.
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88 ERMANNO M. TONIOLO
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 89
90 ERMANNO M. TONIOLO
23 Giuseppe è il più celebre innografo bizantino del secolo IX. Nato a Siracusa intor-
no all’anno 820, visse la maggior parte della vita a Costantinopoli, dove morì († 886). Fu
stimato da tutti. Il patriarca Fozio lo venerava come “uomo di Dio”. Nel suo monastero
di Costantinopoli svolse un’intensa attività letteraria e liturgica. È soprannominato per
antonomasia “l’innografo”. Compose tropari, kontakia e specialmente “canoni” per le
feste, i quali trovarono un posto di privilegio nei libri liturgici greci. Il più celebre e cono-
sciuto fra essi è il canone per la festa dell’Akathistos: lo si canta ancor oggi al mattutino,
intrecciato con le stanze dell’Inno. Consta di otto “Odi”, ciascuna delle quali è composta
di quattro o – più frequentemente – cinque tropari, oltre agli “irmi”, cioè alle strofe-
modello sulle quali sono composti gli altri tropari.
Nei suoi canoni si ispira e dipende, spesso anche verbalmente, dai grandi autori pre-
cedenti: Romano il Melode, Andrea di Creta, Germano di Costantinopoli, Giovanni
Damasceno, Teodoro e Giuseppe Studiti, Cosma di Maiuma, Teofane Grapto e altri. Per
quanto riguarda il canone per l’Akathistos, col quale Giuseppe ha voluto contestualizzare
all’interno dell’ufficiatura del Mattutino il celebre Inno, egli si ispira in modo manifesto
non solo alle Odi bibliche, ma anche alle diverse stanze mariane dell’Akathistos.
Il canone di Giuseppe mostra una nuova ottica nei confronti della Madre di Dio:
innanzitutto una vastissima attribuzione di immagini e figure bibliche veterotestamenta-
rie, ormai liturgicamente codificate dai grandi Padri del secolo VIII: i tropari del canone
sono spesso un coacervo di epiteti mariani, di titoli laudativi, una specie di sequenza lita-
nica. E predomina un atteggiamento supplice verso Maria, atteggiamento che divenne
dominante nella Chiesa bizantina a partire soprattutto dal secolo VI.
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MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 91
3. L’OGGETTO DELL’AKATHISTOS
24 Per quanto riguarda l’anno liturgico, la sua evoluzione e la sua teologia, si con-
sulti: Anámnesis. Introduzione storico-teologica alla Liturgia, a cura dei professori del
Pontificio Istituto Liturgico S. Anselmo di Roma, direzione di Anscar J. Chupungco,
vol. 6: L’Anno liturgico. Storia, teologia e celebrazione, Casa Editrice Marietti, Genova
2
1989, con i contributi di Matias Augé, Adrien Nocent, Marcel Rooney, Ildebrando
Scicolone, Anscar J. Chupungco, Achille M. Triacca. Merita un particolare ricordo il
volume di J. CASTELLANO CERVERA, L’anno liturgico. Memoriale di Cristo e mistagogia
della Chiesa con Maria Madre di Gesù. Corso di spiritualità liturgica, Centro di Cultura
Mariana «Madre della Chiesa», Roma 1987.
25 Cf. Anámnesis, vol. 6, cit., nei contributi di A. NOCENT, Il tempo della manife-
stazione, ivi, pp. 175-205, dove il noto autore presenta Natale e Epifania, L’Avvento e
il 2 febbraio: Presentazione del Signore; e di M. AUGÉ, Le feste del Signore, della Madre
di Dio e dei Santi, ivi, pp. 221-259. Per un contesto più vicino alla mia attuale ricerca,
credo sufficiente accedere al volume di C. MAGGIONI, Benedetto il frutto del tuo grem-
bo, cit., specialmente alle pp. 17-60 (La Vergine Madre nelle festività natalizie. I secoli
IV e V) e alle pp. 61-101 (Le feste della Madre di Dio. Dal secolo VI al secolo X).
Ricordo, tra i diversi articoli scritti sull’argomento, J. CASTELLANO CERVERA, Memorie
di Maria: il mutuo scambio tra Oriente e Occidente, in UFFICIO DELLE CELEBRAZIONI
LITURGICHE DEL SOMMO PONTEFICE, Liturgie dell’Oriente cristiano a Roma nell’Anno
Mariano 1987-88, Libreria Editrice Vaticana 1990, pp. 1127-1145.
26 Cf. C. MAGGIONI, Benedetto il frutto del tuo grembo, cit., pp. 20-46.
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92 ERMANNO M. TONIOLO
Il ciclo natalizio, già a partire dal secolo IV, si conclude al 40° giorno
dal Natale con la festa della Presentazione di Gesù al tempio o Ipapante
(Incontro), attestata da omelie del secolo IV e dal Diario di Egeria, pelle-
grina ai luoghi santi verso la fine del secolo IV.27 Per la festa dell’Ipapante
Romano il Melode compose un kontakion.
Dunque, nel secolo V due feste caratterizzano il ciclo natalizio: il
Natale e l’Ipapante; e due memorie mariane, anche se diversamente cele-
brate: la memoria mariana pre-natalizia e la sinassi post-natalizia della
Madre di Dio.
Agli inizi del secolo VI, come ho rilevato più sopra, venne istituita, forse
a Costantinopoli, e collocata al 25 marzo del calendario solare, la festa solenne
dell’Annunciazione, che rapidamente si diffuse a tutto l’impero bizantino.28
Nel secolo VI sorsero a Gerusalemme, luoghi santificati da Maria, tre
feste commemorative degli eventi principali della sua vita: la Dormizione,
testimoniata dall’omiletica greca e anche siriaca del secolo VI, e ufficializzata
dalla costruzione di una basilica edificata dall’imperatrice Eudossia sulla
presunta tomba della Madre di Dio al Getsemani; la Natività di Maria, in
concomitanza con la dedicazione di una Chiesa costruita nelle vicinanze del-
la piscina probatica, dove si credeva che lei fosse nata; la Presentazione o
Ingresso al tempio della Vergine, resa solenne anche dalla splendida basilica
costruita dall’imperatore Giustiniano (527-565) nei pressi delle rovine del
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 93
29 Per queste feste, che esulano dal mio discorso, si veda la sintesi sicura e docu-
mentata di C. MAGGIONI, Benedetto il frutto del tuo grembo, cit., pp. 86-96.
30 Ricordo ORIGENE, Commento a Matteo, X, 17: PG 13, 876-877; EPIFANIO,
Ancoratus, 60: PG 43,121-124, che scrive: «Accadeva che i figli primogeniti di ambe-
due i sessi venissero allevati nel tempio e consacrati a Dio e che i vedovi e i celibi venis-
sero sorteggiati per prendere come spose le vergini educate nel tempio, secondo il cri-
terio dell’appartenenza alla medesima tribù»; e specialmente GREGORIO NISSENO,
Omelia sul Natale, PG 46, col. 1140, afferma: «... Essendo la bambina cresciuta e non
avendo più bisogno di essere allattata, si affrettarono a portarla al tempio per offrirla
a Dio e adempiere così le promesse fatte. I sacerdoti dapprima educarono la bambina
nel santuario, allo stesso modo in cui era stato educato Samuele; poi quando divenne
adolescente, tennero consiglio per decidere che cosa fare di quel corpo santo senza
offendere il Signore».
L’Akathistos non segue nessun racconto apocrifo, come invece fa Romano il
Melode nel kontakion sulla Natività di Maria; eppure io ritengo che proprio a questa
“dimora” di Maria nel santo dei santi, cioè nei penetrali del tempio, alluda l’Inno
Akathistos nella stanza V, dove – interpretando il santuario come è descritto nella let-
tera agli Ebrei (9, 1 ss.) – afferma di Maria: «Ave, di suppliche incenso gradito; ave,
propiziatorio del mondo. Ave, clemenza di Dio verso l’uomo; ave, fiducia (parjrJhsiva)
dell’uomo verso Dio».
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94 ERMANNO M. TONIOLO
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 95
96 ERMANNO M. TONIOLO
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 97
Dio, muta la sorte di Eva dona al mondo la pace», in una lettura storico-salvifica, che
ricongiunge anche nell’ottica latina il saluto dell’angelo alla persona di Eva, e insieme al
fondamentale annuncio di pace, che compone il saluto ebraico/siriaco.
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98 ERMANNO M. TONIOLO
una gioia che annulla ogni tristezza, ripercorrendo a ritroso tutta la storia
umana e dilatandosi in proiezione fino all’ultimo giorno della terra, dopo il
quale sarà definitivamente debellato il dolore e la morte, e sola regnerà la
gioia senza fine.
Per questo il cai`r` e diventa la filigrana sulla quale si intesse non un inno,
ma una storia di salvezza, radicata nella gioia, proiettata alla gioia: anche e
soprattutto perché in contemporanea col cai`r` e dell’angelo Gabriele, nella
visuale dell’Inno e di molti Padri, il Verbo si è incarnato in lei. Se la Vergine
è la prima e principale destinataria della gioia, per mezzo suo, attraverso un
insieme di tappe, di situazioni, di modalità, questa gioia si espanderà a tutti,
fino a diventare possesso definitivo dell’umanità riconciliata con Dio nel
Verbo fatto uomo.
Per questo il cai`r` e non è usato dall’Akathistos per una sequenza litanica
di titoli a Maria,34 ma per un dipanarsi – attorno a fulcri salvifici – di tutto il
mistero della salvezza umana. Per 156 volte (144+12) dunque questo “gioi-
sci” diventa l’impulso d’onda sul quale scorrono, modulati come in una
immensa sinfonia, i motivi per i quali la Vergine-Madre è e resterà alla radice
e nel cuore del mistero del Figlio Dio, Salvatore del mondo, e nel cuore della
Chiesa che da lui riceve la vita.
Mi soffermo ancora sull’argomento, essendo questo un tema di grande
attualità anche per noi, specialmente dopo l’Esortazione apostolica sulla gioia
di Paolo VI, Gaudete in Domino, e dopo i ripetuti richiami alla gioia di papa
Francesco.35
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS 99
Ora, il tema della gioia, tanto caro alla cultura greca classica, percorre
l’omiletica e l’innografia bizantina, attingendo però non a fonti profane, ma
all’Antico e al Nuovo Testamento. Il contrappunto antitetico tra Cristo e
Adamo, e parallelamente tra Maria ed Eva, già indicato nel II secolo da
Giustino († c. 165) e sviluppato da Ireneo († c. 200), che mostrano Eva
come causa di morte e Maria come causa di vita e di gioia per tutto il genere
umano,36 nel periodo pre-efesino ed efesino diede impulso a sviluppi omi-
letici ed innografici mai interrotti fino ad oggi, che si possono vedere quasi
sintetizzati nei cairetismoiv dell’omelia di Sofronio di Gerusalemme (†
638) sull’annunciazione, modulati sul cai`r` e, ingentilito nella forma verba-
le ottativa: caivroi~.37
Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore... D’ora in poi tutte le generazioni mi
chiameranno beata” (Lc 1,46-48)... Non che le sofferenze le siano state risparmiate: essa sta
in piedi accanto alla croce, associata in modo eminente al sacrificio del Servo innocente, Lei
ch’è madre dei dolori. Ma essa è anche aperta senza alcun limite alla gioia della
Risurrezione; ed essa è anche elevata, corpo e anima, alla gloria del Cielo. Prima creatura
redenta, Immacolata fin dalla concezione, dimora incomparabile dello Spirito, abitacolo
purissimo del Redentore degli uomini, essa è al tempo stesso la Figlia prediletta di Dio e,
nel Cristo, la Madre universale. Essa è il tipo perfetto della Chiesa terrena e glorificata... e
giustamente i suoi figli qui in terra, volgendosi verso colei che è madre della speranza e
madre della grazia, la invocano come la causa della loro gioia: Causa nostrae laetitiae»
(Insegnamenti di Paolo VI, XIII [1975], p. 462).
Papa Francesco ha intitolato alla gioia del Vangelo la sua prima Esortazione apostoli-
ca: Evangelii gaudium (24 novembre 2013).
36 Ricordo che san Giustino per primo interpretò l’annuncio di Gabriele come
annuncio di gioia che Maria accolse, quale antidoto alla tristezza causata da Eva: «Eva
infatti, quand’era ancor vergine e incorrotta, concepì la parola del serpente e partorì disob-
bedienza e morte. Invece Maria, la Vergine, accolse fede e gioia, quando l’angelo Gabriele
le recò il lieto annuncio che lo Spirito del Signore sarebbe venuto su di lei e che la Virtù
dell’Altissimo l’avrebbe adombrata, e che per questo motivo il Santo nato da lei sarebbe
Figlio di Dio; e rispose: “Mi avvenga secondo la tua parola” (Lc 1, 38). Da lei è nato costui,
del quale parlano tante Scritture, come abbiamo mostrato: per mezzo di lui Dio annienta
tanto il serpente, quanto gli angeli e gli uomini che gli sono somiglianti, e opera la libera-
zione dalla morte per coloro che si convertono dalle loro opere malvagie e credono in lui»
(GIUSTINO, Dialogo con Trifone, n. 100: PG 6, 709-712). Il tema di Maria-Eva, ulterior-
mente approfondito da Ireneo in più luoghi delle sue opere, percorse tutta la tradizione
orientale e occidentale, fino al Concilio Vaticano II (cf. Lumen gentium, n. 56).
37 «Gioisci, o madre della gioia soprannaturale! Gioisci, o nutrice dell’eccelsa
gioia! Gioisci, o metropoli della gioia della salvezza! Gioisci, o causa della gioia immor-
tale! Gioisci, o mistica dimora dell’ineffabile gioia! Gioisci, o beatissima fonte dell’ine-
sauribile gioia! Gioisci, o tesoro di gioia eterna che porti Dio! Gioisci, o rigogliosissi-
mo albero della gioia vivificatrice!» (SOFRONIO DI GERUSALEMME, Omelia sull’annun-
ciazione, 18: PG 87, 3237).
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Sul tema specifico della gioia nei testi innografici bizantini il gesuita
Carmelo Capizzi pubblicò un interessante articolo,38 dove giustamente
mostra che se Cristo è la gioia dell’universo, in forma dipendente ciò si
può dire di Maria, che di Cristo-gioia è la madre, e quindi causa della
nostra gioia. Cito:
«Il fatto che Cristo sia “la gioia del mondo” suppone tutto il complesso degli
attributi che gli competono come Logos/Creatore e Redentore: via, verità, vita,
risurrezione, luce del mondo, ecc. La carav è, per così dire, l’ultima tappa del suo
essere ed operare teandrico. In tale prospettiva, Cristo non è soltanto la causa
(efficiente) della gioia del mondo, ma anche l’oggetto di essa, il termine ultimo
verso cui la gioia autentica orienta il mondo.
Trattandosi di Maria, l’innografia bizantina permette una visione analoga.
Cristo è causa e termine della carav in virtù del suo essere e operare teandrico.
Maria è causa e termine della gioia in virtù del suo essere ed operare di
Theotokos, specificato dalla missione sublime implicita in questo nome. Investita
della missione della maternità divina nel contesto della redenzione, Maria per il
poeta bizantino è, analogamente e subordinatamente a Cristo, causa ed oggetto
della “gioia del mondo”. Infatti, generando e partorendo Cristo, essa genera e
partorisce Colui che è hJ tw`n` pavntwn carav e quindi contribuisce positivamente
all’avvento di tale carav nel mondo; ma nel contempo, in connessione a tale
maternità e alla missione implicita in essa, Maria viene arricchita da Dio di tante
e tali attribuzioni – soprattutto rispetto a noi uomini – da costituire, dopo Cristo,
l’oggetto centrale della gioia cosmica».39
L’Inno Akathistos apre, per così dire, la strada alla successiva omiletica e
innografia, collocandosi in uno stadio non iniziale – perché preceduto da
un’omiletica mariana abbastanza sviluppata – ma certo primordiale sotto l’a-
spetto innografico.
Ritengo allora opportuno considerare attentamente il modo con cui l’au-
tore raccorda tecnicamente al saluto iniziale cai`r` e le modulazioni laudative
che compongono sostanzialmente la struttura dell’Inno e la sua teologia.
Infatti, le 144 salutazioni mariane (cairetismoiv) delle stanze dispari
dell’Akathistos, più le dodici acclamazioni degli efimni (cai`r` e, nuvmfh
38 C. CAPIZZI, Sul motivo della “Gioia” riferito alla Vergine nei testi innografici
bizantini, in Rivista di Studi Bizantini e Neoellenici, n.s. 2-3 (XII-XIII), pp. 145-166.
39 Ivi, p. 155. Ovviamente, il panorama che Carmelo Capizzi offre e sul quale inne-
sta le sue deduzioni è molto ampio: va dal secolo IV al secolo IX, e oltre.
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40 Nella omiletica greca, sia anteriore che posteriore all’Akathistos, il cai`r` e talvolta
assume una forma quasi ingentilita, usando l’ottativo del tempo presente attivo caivroi~
(“che tu goda”) in luogo dell’imperativo cai`r` e (“godi”). Questo modo gentile di rivol-
gersi a Maria lo troviamo già nell’omelia IV di Cirillo di Alessandria tenuta ad Efeso, dal-
la quale sicuramente dipende l’Akathistos (e anche nell’omelia XI, di dubbia autenticità,
che ne è un ampliamento). Un’alternanza tra cai`r` e e caivroi~ la riscontriamo pure nel
rinomato autore di Efeso, Teodoto di Ancira nell’omelia sull’Ipapante. Invece Basilio di
Seleucia, probabile autore dell’Akathistos, nell’omelia sulla Madre di Dio usa solo il
cai`r` e. Per uno sguardo panoramico, si consulti D.M. MONTAGNA, La lode alla
Theotokos nei testi greci dei secoli IV-VII, Edizioni Marianum, Roma 1963 (i testi greci ivi
riprodotti sono alle pagine 61-96). Il repertorio trascrive l’edizione apparsa sulla rivista
Marianum, 24 (1962) 119-128.
41 Non è fuori luogo ricordare che il termine Qeotovko~ è stato inserito di propo-
sito nella definizione cristologica di Calcedonia ed è anche il centro portante dell’ome-
lia di Basilio di Seleucia sulla Madre di Dio: ulteriore indizio, questo, per l’attribuzione
dell’Akathistos a Basilio, persona influente del Concilio, cara agli imperatori, del quale
era nota la preparazione teologica e retorica: tanto che ai tempi di Fozio (sec. IX) alcu-
ne delle sue omelie costituivano testo scolastico.
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1. cai``re+ vocativo
2. cai``re+ nominativo, con articolo
3. cai``re+ participio sostantivato, presente o aoristo
4. cai``re+ pronome personale, unito a gavr (infatti): su; gavr
5. cai``re+ preposizione causale diav e il pronome relativo al genitivo: di∆ h|~
6. cai``re+ congiunzione causale o{ti, seguito da motivazioni.
presenza attiva di Maria, la sua funzione nel quadro della salvezza umana.
Traducendo, bisogna esplicitare con un pronome relativo: “tu che...”.
Ecco gli esempi:
“Cai``re, di∆ h|" hJ cara; ejklavmyei”...: “per te splenderà la gioia”, “per te s’e-
stinguerà la maledizione”, “per te si rinnova il creato”, “per te si fa bambino
il creatore” [stanza I];
“per te fu spogliato l’inferno”, “per te fummo vestiti di gloria” [stanza VII];
“per te fu rimessa la colpa”, “per te il paradiso fu aperto” [stanza XV];
“per te s’innalzano trofei”, “per te cadono a terra i nemici” [stanza XXIII].
Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa. Così si apre l’esposizione
conciliare:
Dio, oggetto centrale della historia salutis. Però, appunto perché è “storia
della salvezza”, il suo evidente inizio è a partire dalla caduta di Adamo ed
Eva dall’innocenza originaria, con il peccato che li denudò della grazia
divina, e con le conseguenze tristi che il castigo di Dio inflisse a loro e a
tutta la loro discendenza, esiliandoli dal paradiso e sottoponendoli inelut-
tabilmente ai dolori e alla morte. Eppure proprio da lì, da questa miseran-
da situazione umana, la misericordia di Dio riparte a tessere una nuova
storia per rifare a nuovo quello che il peccato aveva corrotto e ristabilire
nella primigenia bellezza le creature umane, anzi, innalzarle al di sopra
delle prime origini, fino al regno eterno mediante non il ministero di angeli
o di altre eminenti creature, ma con l’incarnazione e l’opera redentrice del
suo unico Figlio, l’eterno Verbo del Padre, per mezzo del quale tutto,
cosmo e uomini, erano stati creati.44
Per questo tutta la storia converge a Cristo: creazione e caduta, profe-
zie e prefigurazioni dell’AT, conducono necessariamente a Cristo redento-
re e alla Chiesa dei salvati. Anzi, la metodologia dell’Inno è quella di una
sapiente lettura degli eventi: non parte da Adamo per giungere a Cristo,
né dall’antico popolo di Dio per giungere alla Chiesa: perché Cristo è rica-
pitolazione di Adamo e la Chiesa ricapitola Israele. Il cuore pertanto della
historia salutis, che tutto e tutti compendia, è Cristo e la sua Chiesa: evento
tuttavia non già chiuso, ma aperto al compimento fino all’ultimo giorno
della storia umana. È sintomatico notare come la prima stanza
dell’Akathistos si apra con l’annuncio dell’angelo, l’ultima si chiuda con
LETTURA MISTAGOGICA
C’è di più. La concatenazione delle stanze procede a due a due, tanto sot-
to l’aspetto metrico, quanto e più ancora sotto l’aspetto tematico, cosicché la
stanza dispari con la stanza pari seguente forma una unità metrica e concet-
tuale, una “unità binaria”, anche nel computo dei versi: infatti, i 18 versi di
una stanza dispari sommati ai 6 versi di una stanza pari danno 24. Il numero
«24» dunque si rivela ancora una volta “numero di convergenza” e di unità
di due blocchi distinti, tra loro numericamente diversi.
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Tutto l’Inno è scandito da cima a fondo dal numero «2». I versi procedo-
no a due a due, tanto nelle parti espositive, come nelle salutazioni mariane.
a) Il numero «2» nelle parti espositive. Bisogna ricordare che tutte le stan-
ze, indistintamente, sia dispari che pari, si aprono con 5 versi espositivi, i qua-
li introducono il tema: storico-liturgico nella prima parte, dogmatico nella
seconda. Naturalmente, i 5 versi tanto delle stanze dispari come di quelle pari
si concludono col loro efimnio: le dispari, come ho detto, con l’efimnio
mariano cai`r` e, nuvmfh ajnuvmfeute, quelle pari con l’efimnio cristologico ajl-
lhlouvia> .
All’interno delle stanze dispari, tra i 5 versi espositivi e l’efimnio, l’autore
ha introdotto 12 acclamazioni (cairetismoiv), che appaiono come una inser-
zione e insieme uno sviluppo dogmatico-simbolico del tema proposto da cia-
scuna stanza dispari. Ricordo che, strutturalmente parlando e in somiglianza
perfetta con le stanze pari, l’efimnio mariano cai`r` e, nuvmfh ajnuvmfeute, for-
ma corpo non con le 12 salutazioni mariane inserite, ma con i 5 versi esposi-
tivi di ogni stanza dispari. Avremo così 6 versi espositivi (incluso l’efimnio)
nelle stanze pari, e 6 versi espositivi (incluso l’efimnio) nelle stanze dispari.
Ora, anche i versi espositivi, che potremmo quasi chiamare prosa poetica,
procedono regolarmente a due a due, con l’identico metro, nel corrispondersi
di tutte le stanze dalla prima all’ultima. Riproduco allo scopo la stanza II:
È chiaro che tanto il primo verso come il terzo verso sono suddivisi in
due emistichi, mentre il quinto (più lungo) permette all’interno una cesura
più libera, a seconda del contenuto che propone. Dunque, riscontriamo una
metrica uguale nei versi espositivi tanto delle stanze pari come di quelle
dispari, dove il sesto verso che conclude queste ultime è ovviamente l’efimnio
mariano: cai`r` e, nuvmfh ajnuvmfeute.
La cadenza binaria della parte espositiva delle stanze – l’ho volutamente
indicato – postula nella recita o nel canto una pausa di respiro.
b) Il numero «2» nelle salutazioni. Le 12 salutazioni mariane inserite in
ciascuna stanza dispari procedono rigidamente in forma binaria, con omosil-
labia perfetta (spesso anche omofonia) nel corrispondersi dei versi a due a
due. Notiamo però che non sono tutte metricamente identiche: a due a due
infatti hanno un proprio metro e una propria accentazione. Inoltre, l’autore
dell’Inno le ha raggruppate in tre unità distinte e diverse, di quattro versi cia-
scuna: la prima unità è formata da un solo stico, anche se diverso è il metro
e l’accento tra i versi 1-2 e 3-4, che tra loro sono identici; la seconda unità
invece – pur nella diversità di metro e di accenti fra i versi 5-6 e 7-8 – è com-
posta da stichi suddivisi in due emistichi; la terza unità ritorna al modello ini-
ziale di un solo stico, ma naturalmente con metro e accenti diversi. Si riveda
il testo greco della stanza I, riportato più sopra.
Rigido dunque è il susseguirsi a due a due – identiche per metro e accen-
ti – delle 12 salutazioni mariane.
Rimane in tal modo evidente che tutti i versi dell’Inno procedono
impeccabilmente a due a due, in modo evidentissimo però nelle salutazio-
ni mariane.
Questa constatazione – ripeto – che mai prima era stata fatta in passato,
ci porta nel cuore stesso dell’interpretazione mistagogica.
Richiamo, per similarità di impostazione, il titolo che il Concilio
Vaticano II ha preposto al capitolo VIII della Costituzione dogmatica
Lumen gentium, dedicato a Maria: «La beata Maria Vergine Madre di Dio
nel mistero di Cristo e della Chiesa». Il termine “mistero” al singolare (non
“misteri”) è stato intenzionalmente assunto dalla Commissione Dottrinale
del Concilio e precisato accuratamente in aula conciliare, per sottolineare
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già col titolo stesso che Cristo e Chiesa, Capo e Corpo, formano non due
misteri, ma “un solo mistero”.47
Anche sotto l’aspetto dei contenuti l’Inno si divide in due quadri, dipen-
denti e congiunti: il mistero di Cristo – il mistero della Chiesa, nel quale
mistero è sempre presente e operante Maria.
Ma anche qui ci troviamo davanti alle due parti dell’Inno, distinte e
congiunte (stanze 1-12 e stanze 13-24): la prima che segue il dettato bibli-
co-liturgico del ciclo natalizio, la seconda un coordinamento dogmatico.
Ma non va dimenticato che secondo l’esegesi di tipo alessandrino, non
solo le divine Scritture, ma anche i dogmi sono oggetto di interpretazione
spirituale. Ora, la prima parte dell’Inno, che segue il tessuto dei Vangeli
dell’infanzia (i quali sono alla base delle feste liturgiche del ciclo natalizio),
presenta quasi la corporeità, la visibilità dell’evento salvifico di Cristo; la
seconda, attraverso la sequenza dei dogmi creduti e professati dalla
Chiesa, ne presenta l’invisibile realtà. Cosicché potremmo dire che l’Inno
propone alla contemplazione dell’orante nella prima parte il Cristo della
storia, con i precisi riferimenti biblici; nella seconda, il Cristo della fede,
quale scoperto, proposto, creduto. In ambedue le parti, è presente la
Vergine Theotokos: la Vergine della storia, come appare dai Vangeli del-
l’infanzia e la Vergine della fede, come creduta dalla Chiesa.
E in ambedue le parti dell’Inno, una sottile cerniera congiunge Cristo e
la Chiesa, lo Sposo e la Sposa, in maniera però non identica, ma progressiva.
Nella prima parte, infatti, le stanze 1-6 presentano la epifania del Verbo,
il suo primo manifestarsi nella carne assunta da Maria: manifestazione alla
stessa Madre Vergine, poi a Giovanni nel grembo materno, poi a Giuseppe;
nelle stanze 7-12, sempre della prima parte, accentrate sul Natale di Cristo,
l’Inno contempla col Natale di Cristo anche il nascere della Chiesa nelle sue
primizie: pastori, magi, esodo pasquale dall’Egitto, Simeone. Vale il detto di
Leone Magno: il Natale del Capo è il Natale del Corpo.
Nella seconda parte, invece, quasi in progressione tematica, le stanze 13-
18 presentano il mistero del Verbo incarnato, ma risorto, vivente e operante
nella storia, che egli riempie di sé da Adamo fino al compimento del regno
dei cieli: Cristo predicato, accolto o rifiutato; e contemporaneamente, in
modo continuativo ma subordinato, contempla la Chiesa vivente e operante
nella storia, nella sua compagine concreta, nei suoi sacramenti, nella sua
incardinazione anche sociale e politica nel mondo.
Cosicché l’Inno, chiaramente diviso in due parti, si mostra in ambedue le
parti sezionato in due quadri, il primo cristocentrico, il secondo ecclesiocen-
trico. Mi permetto di offrirne un grafico esplicativo, lo stesso che ho già intro-
dotto nell’Edizione metrica dell’Inno Akathistos:48
48 Vedi: E.M. TONIOLO, Inno Akathistos alla Madre di Dio. Edizione metrica, in
Marianum 77 (2015) 271.
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12x12), 144 i versi della seconda parte dell’Inno (= 12x12): tutto l’Inno è di
288 versi, cioè 12x24.
e) Il numero «12» nei temi dell’Inno. Non ritorno su quanto più sopra
ho esposto. Ricordo solo che 6 sono le stanze cristocentriche della prima par-
te e altrettante della seconda parte, cioè 12; così pure 6 sono le stanze eccle-
siocentriche della prima parte, altrettante della seconda parte, cioè 12.
Non dimentichiamo quanto più sopra ho mostrato: che cioè l’Inno aveva
un titolo, ora perduto, di 12 sillabe, che facevano corpo con l’insieme sillabico.
a) Le sillabe di una “unità binaria”. Le sillabe di una “unità binaria” di
stanze (dispari+pari) sono 288 = 12x24, sul modello dei versi dell’Inno della
prima e della seconda parte i quali, sommati, sono 144+144 = 288.
b) Le sillabe di tutto l’Inno. Le sillabe dell’Akathistos – tenendo conto
dell’annotazione appena ricordata – sono 3456: cioè, 1728 sillabe per la pri-
ma parte dell’Inno (quindi: 12x12 = 144x12 = 1728); ugualmente sono 1728
sillabe per la seconda parte (cioè: 12x12 = 144x12 = 1728): mentre il numero
144 (numero totale anche dei versi, sia della prima che della seconda parte
dell’Inno) è il quadrato del 12 (12x12 = 144), che moltiplicato per 12 dà la
somma di 3456 sillabe.
Siamo di fronte a un congegno di numeri, o piuttosto restiamo stupiti
davanti a una trama di numeri così sapientemente scelti e disposti, ma in
modo quasi da scomparire nel telaio dell’Inno.
Capisco la difficoltà di tutti – anche mia – per scoprire questo ordito di
sillabe, che compongono l’Akathistos. Nel precedente articolo apparso sulla
rivista Marianum ho proposto intenzionalmente un grafico illustrativo della
struttura tonica – qui aggiungo anche sillabica – dell’Akathistos: ad esso
rimando chiunque voglia documentarsi sulla trama-base dell’Inno.49
49 Vedi: E.M. TONIOLO, Inno Akathistos alla Madre di Dio, cit., in Marianum 77
(2015) 174-175.
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Per una visione sicura, breve e documentata della questione pre-calcedonese e cal-
cedonese, suggerisco di leggere l’esposizione di A. AMATO, Gesù il Signore. Saggio di
cristologia, Edizioni Dehoniane, Bologna 1988, pp. 211-233.
51 Edizione critica della definizione dogmatica di Calcedonia in Acta Conciliorum
Oecumenicorum (ACO), II, I/2, pp. 129-130.
La mistagogia dell'Akathistos.12-05-2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 15:52 Pagina 45
8. oujdamou`` th``" tw``n fuvsewn diafo- 8. che, non essendo stata eliminata la
ra`" ajnh/rhmevnh" dia; th;n e{nwsin, differenza delle nature per l’unio-
swzomevnh" de; ma`l` lon th`"` ijdiovth- ne, ma piuttosto essendo stato sal-
to" eJkatevra" fuvsew" vaguardato ciò che è proprio di
entrambe le nature,
“Crediamo... in un solo Signore, Gesù Cristo (pisteuvomen ... eij~ e{na kuvrion
∆Ihsou`n` Cristovn), l’Unigenito Figlio di Dio, generato dal Padre prima di tutti i
secoli, Dio da Dio, Luce da Luce”.
l’incarnazione, è e dev’essere confessato «in due nature, [sì, ma] senza confu-
sione, senza mutazione, senza divisione, senza separazione» (ejn duvo fuvsesin
ajsugcuvtw", ajtrevptw", ajdiairevtw", ajcwrivstw" gnwrizovmenon).
Viene così ribadita la diversità delle due nature, quella divina e quella
umana, le quali però si uniscono nell’unica persona di Cristo, ma non si
confondono e non si mescolano (come il sale nell’acqua), non cambiano
natura, quasi che l’umano diventi divino e il divino umano (contro la miva fuv-
si~, “una sola natura” affermata da Eutiche); ma neppure sono tra loro divi-
se (come sosteneva Nestorio): sono e saranno sempre inseparabilmente unite:
unite ma distinte, mantenendo integre le perfezioni e proprietà di ciascuna.
Il vincolo di unione è la persona, che Calcedonia – seguendo la cristologia
di Leone Magno – qualifica con due sostantivi che ritiene sostanzialmente
sinonimi: quello di “persona” (e{n provswpon) e quello di “ipostasi” (mivan
uJpovstasin), superando in tal modo le prolungate e serrate polemiche orien-
tali sui termini in causa: fuvsi~, provswpon, uJpovstasi~. Non è mio compito
attardarmi sull’argomento. Scrive Angelo Amato:
«Qui si raggiunge l’apice del mistero dell’ontologia di Cristo: l’affermazione del
fatto dell’integrità delle due nature e la loro unione in un’unica persona e sussi-
stenza».52
mente dagli altri due gruppi – consta di due “unità binarie” suddivise ciascu-
na in due emistichi. Porto ancora l’esempio della stanza XIII:
5. Cai`r` e,∆ devndron ajglaovkarpon ⁄ ejx ou| trevfontai pistoiv:
6. cai``re,∆ xuvlon eujskiovfullon ⁄ uJf∆ ou| skevpontai polloiv.
7. Cai``re,∆ kuoforou``sa ⁄ oJdhgo;n planwmevnoi":
8. cai``re,∆ ajpogennw``sa ⁄ lutrwth;n aijcmalwvtoi".
Ave, magnifica pianta | che nutri i fedeli;
ave, bell’albero ombroso | che tutti ripari.
Ave, Tu in grembo portasti | la guida agli erranti;
ave, Tu desti alla luce | chi affranca gli schiavi.
tempi secondo la divinità, e negli ultimi giorni egli stesso per noi e per la nostra salvez-
za nato da Maria vergine secondo l’umanità, consustanziale al Padre secondo la divi-
nità e consustanziale (homooúsios) con noi secondo l’umanità.
Infatti è avvenuta l’unione (hénosis) di due nature. Perciò professiamo un solo
Cristo, un solo Figlio, un solo Signore.
Secondo questo concetto dell’unione senza confusione, professiamo la santa
Vergine Madre di Dio (theotókos), perché il Dio Logos si è incarnato e si è fatto uomo
e per questo concepimento ha unito a sé il tempio che ha assunto da lei.
Quanto alle espressioni che gli evangelisti e gli apostoli riferiscono al Signore, sap-
piamo che quegli uomini che parlavano di Dio alcune le hanno considerate in comune,
riferendole all’unico prósopon, altre invece le hanno divise, riferendole alle due nature,
e ci hanno trasmesso quelle degne di Dio secondo la divinità di Cristo e quelle umili
secondo la sua umanità».
54 Figura tra le Omelie di Cirillo (homilia IV Ephesi habita. De Maria Deipara in
Nestorium). Edizione: PG 77, 992-996; ACO I, 1, 2, 102-104. Si conserva anche nella ver-
sione armena e georgiana (cf. Corpus Patrum Graecorum [= CPG], n. 5248). Si è recen-
temente dubitato dell’autenticità dell’omelia. Per l’autenticità militano i codici greci e i
maggiori studiosi. Sullo stato della questione, si vedano soprattutto R. CARO, La
Homilética mariana griega en el siglo V, II, Dayton (Ohio) 1972, pp. 269-283, dove l’au-
tore pondera e cerca di risolvere le difficoltà e presenta una breve sintesi della dottrina
mariana dell’omelia. Si veda anche M. SANTER, The Autorship and Occasion of Cyril of
Alexandria’s Sermon on the Virgin, in Studia Patristica XII (TU 115), Berlin 1975, pp.
144-150: egli giunge alle stesse conclusioni di R. Caro, anche se mostra di non conoscer-
lo. A una attenta analisi, l’omelia IV di Cirillo mostra evidenti lacune e accostamenti di
brani; nulla tuttavia ci autorizza a scartare l’autenticità integrale del testo e di ciascuna
delle sue parti.
55 Rinvio a D.M. MONTAGNA, La lode alla Theotokos nei testi greci dei secoli IV-VII,
Edizioni Marianum, Roma 1963. Tra gli omileti che esaltano con lodi la Vergine Madre
ricordo segnatamente Proclo, Teodoto di Ancira, Esichio di Gerusalemme, Crisippo,
Antipatro di Bostra e lo stesso Basilio di Seleucia, probabile autore dell’Akathistos.
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l’ampio orizzonte che egli delinea nell’Omelia IV sono certamente alla base
dell’Inno. Cito dell’omelia IV di Cirillo ciò che più ci interessa:
Caivroi" par∆ hJmw`n` , Mariva Qeotovke, Gioisci da parte nostra, Maria Madre di
to; semno;n keimhvlion aJpavsh" th`" ` Dio, augusto tesoro di tutta la terra abi-
oijkoumevnh", hJ lampa;" hJ a{sbesto", oJ tata, lampada inestinguibile, corona del-
stevfano" th`" ` parqeniva", to; skhvp- la verginità , scettro dell’ortodossia, tem-
tron th`"` ojrqodoxiva", oJ nao;" oJ ajkatav- pio indissolubile, ricettacolo dell’Incon-
luto", to; cwrivon tou`` ajcwrhvtou, hJ tenibile, Madre e Vergine...
mhvthr kai; parqevno"...
caivroi" hJ to;n ajcwvrhton cwrhvsasa Gioisci, tu che hai contenuto nel santo
ejn mhvtra/ aJgiva/ parqenikh`:/` grembo verginale l’Incon-
tenibile:
di∆ h|" tria;" aJgiva doxavzetai kai; per te la santa Trinità è glorificata e
proskunei``tai eij" pa``san th;n adorata su tutta la terra;
oijkoumenvhn,
di∆ h|" oujrano;" ajgavlletai, per te si rallegra il cielo;
di∆ h|" a[ggeloi kai; ajrcavggeloi euj- per te gli angeli e gli arcangeli esulta-
fraivnontai, no;
di∆ h|" daivmone" fugadeuvontai, per te i demoni sono messi in fuga;
di∆ h|" diavbolo" peiravzwn e[pesen ejx per te il diavolo tentatore cadde dal
oujranou`,` cielo;
di∆ h|" to; ejkpeso;n plavsma eij" ouj- per te la creatura decaduta è ricondotta
ranou;" ajnalambanvetai, ai cieli;
di∆ h|" pa`s` a hJ ktivsi" eijdwlomaniva/ per te tutto il creato prigioniero del
katecomevnh eij" ejpivgnwsin culto degli idoli è ritornato alla
ajlhqeiva" ejlhvluqe, conoscenza della verità ;
di∆ h|" bavptisma a{gion givnetai toi`" ` per te il santo battesimo è donato ai
pisteuvousi, credenti;
di∆ h|" e[laion ajgalliavsew", per te vi è l’olio di esultanza;
di∆ h|" eij" pa`s ` an th;n oijkoumevnhn per te le chiese sono fondate su tutta la
ejkklhsivai teqemelivwntai, terra;
di∆ h|" e{qnh a[gontai eij" metavnoian, per te i popoli vengono a conversione;
kaiv, tiv polla; levgw…... ma perché mi dilungo?...
C’è però un comma singolare, che chiude l’omelia IV di Cirillo: una qua-
si-definizione della Theotokos. Cito:
Gevnoito de; hJma`"` trevmein kai; proskunei`n` Voglia il cielo che noi veneriamo e adoria-
th;n eJnovthta kai; basilei`` qeofilestavtw/ mo l’Unità , obbediamo all’imperatore
uJphkovou" givnesqai kai; ajrcai`"` kai; exjou- carissimo a Dio e siamo sottomessi ai
sivai" uJpotavssesqai, kai; trevmein kai; principati e alle potestà, e veneriamo e ren-
sevbein th;n ajdiavstaton triavda, diamo culto all’indivisa Trinità,
uJmnou`n` ta" th;n ajeiparqevnon Marivan, inneggiando la semprevergine Maria,
dhlonovti th;n aJgivan ejkklhsivan kai; to;n ossia la santa Chiesa, e il Figlio suo e
tauvth" uiJon; kai; numfivon a{spilon, o{ti Sposo immacolato, al quale appartiene la
aujtw/` hJ dovxa eij" tou;" aijwn` a" tw`n` gloria per i secoli dei secoli. Amen.
aijwnv wn. ∆Amhvn.
«...gennhqevnta... ejp∆ ejscavtwn de; «... generato... negli ultimi giorni egli
tw``n hJmerw``n to;n aujto;n di∆ hJma``" kai; stesso per noi e per la nostra salvezza
dia; th;n hJmetevran swthrivan ejk da Maria la Vergine, la Madre di Dio,
Mariva" th``" parqevnou th``" qeotovkou secondo l’umanità...».
kata; th;n ajnqrwpovthta...».
riconducendo il significato della frase non alla Chiesa, ma al rapporto di Maria col
Verbo incarnato, di cui è diventata certamente il tempio: a questa lettura soggiace l’in-
terpretazione di “chiesa” come edificio, cioè come “tempio”. Ma non si può allora
spiegare perché Cristo sia detto non soltanto «Figlio suo», ma anche suo «Sposo imma-
colato». Tale difficoltà interpretativa ha indotto lo stesso editore critico E. SCHWARTZ
(ACO, I, 1, 2,104, in apparato) a ritenere la frase «ab hoc loco aliena» e ad affermare:
«praeterea a{spilon non Christo, sed ecclesiae attribuendum erat». Sulla sua linea pro-
segue anche A. MÜLLER, Ecclesia-Maria. Die Einheit Marias und der Kirche, Freiburg
1951, pp. 153-157. Su pista diversa, a favore della lezione tramandata, si muove R.
CARO, La homilética mariana griega en el siglo V, cit., pp. 280-283. Il rapporto Maria-
Chiesa trova conferma nel conosciuto testo di Clemente alessandrino (Stromata VII, 16:
O. STAEHLIN, Clemens Alexandrinus, GCS III, 66), e una identificazione concettuale e ter-
minologica in un’opera del IV secolo, gli Acta Archelai di Egemonio (GCS 16, 80-81),
dove Maria è chiamata «virgo castissima, inmaculata ecclesia».
Il rapporto sponsale della Chiesa con Cristo viene ugualmente esteso a Maria, e
talvolta, in alcuni testi orientali e occidentali, anche alle vergini, sulla linea della teolo-
gia paolina e dell’interpretazione non collettiva ma soggettiva della “sposa” del
Cantico dei Cantici. Il Cod. Oxon. Bodl. Barocc. 199, che si ispira a questa omelia di
Cirillo, saluta la Vergine come “sposa”: «Ave, sposa illibata: dal tuo talamo infatti fu
generato lo Sposo, Cristo; Ave, sposa incontaminata: dal tuo talamo infatti si fece uomo
il re dei secoli» (f. IV).
Ritengo dunque che il testo di Cirillo sia autentico, nonostante la nostra difficoltà
occidentale di interpretarlo.
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3. Originalità dell’Akathistos:
Maria, Sposa di Cristo e celeste Gerusalemme
L’ultimo comma dell’Omelia di Cirillo era solo un input, uno stimolo per
trovare la radice della “sponsalità” di Maria col Verbo suo Figlio incarnato.
La radice, anzi la fonte, è il libro dell’Apocalisse.
1E
Kai; ei\don oujrano;n kaino;n kai; gh``n vidi un cielo nuovo e una terra nuo-
kainhvn∑ oJ ga;r prw``to~ oujrano;~ kai; hJ va: il cielo e la terra di prima infatti era-
qavlassa oujk e[stin e[ti. kai; th;n pov- no scomparsi e il mare non c'era più.
2E
lin th;n aJgivan ÔIhrousalh;m kainh;n vidi anche la città santa, la nuova
ei\don katabaivnousan ejk tou`` oujra- Gerusalemme, scendere dal cielo, da
nou`` ajpo; tou`` Qeou``, hJtoimasmevnhn Dio, pronta come una sposa adorna per
wJ~ nuvmfhn kekosmhmevnhn tw``/ ajndri; il suo sposo. 3Udii allora una voce
aujth``~. kai; h[kousa fwnh``~ megavlh~ potente, che veniva dal trono e diceva:
ejk tou`` qrovnou legouvsh~∑
∆Idou; hJ skhnh; tou`` Qeou`` meta; tw``n «Ecco la tenda di Dio con gli uomini!
ajnqrwvpwn, kai; skhnwvsei met∆ Egli abiterà con loro ed essi saranno
aujtw``n, kai; aujtoi; lao;~ aujtou`` e[son- suo popolo ed egli stesso sarà il Dio
tai, kai; aujto;~ oJ Qeo;~ met∆ autw``n con loro. 4E asciugherà ogni lacrima
e[stai, kai; ejxaleivyei pa``n davkruon dai loro occhi e non vi sarà più la mor-
ejk tw``n ojfqalmw``n aujtw``n, kai; oJ qavna- te né lutto né lamento né affanno, per-
to~ oujk e[stai e[ti, ou[te pevnqo~ ché le cose di prima sono passate».
5E Colui che sedeva sul trono disse:
ou[te kraugh; ou[te povno~ oujk e[stai
e[ti∑ o{ti ta; prw``ta ajph``lqon. Kai; «Ecco, io faccio nuove tutte le cose».
ei\pen oJ kaqhvmeno~ ejpi; tw``/ qrovnw/∑
ijdou; kaina; poiw`` pavnta.
L’efimnio, cioè il ritornello che chiude le stanze o le strofe degli inni e che
tutto il coro canta insieme con l’assemblea, è indubbiamente l’espressione
più pensata e meditata da qualunque innografo: ne abbiamo esempi classici
in Romano il Melode. Ora l’autore dell’Akathistos non ha introdotto nell’e-
fimnio mariologico né “Madre”, né “Vergine”, e neppure Qeotovko" – titoli
che sono certo fondamentali per Maria e ricorrono costanti all’interno
dell’Inno – ma: Nuvmfh, “Sposa”, quasi fosse questo il suo vero nome.
Vediamone brevemente le radici bibliche e patristiche.59
b) Nuvmfh
ricorre sulle labbra di Giovanni Battista a riguardo di Gesù e della sua comu-
nità-chiesa;60 più esplicitamente nelle lettere di Paolo61 e nell’Apocalisse 19 e
21, che ho citato.
È questo indubbiamente il contesto da cui il nostro autore ha desunto il
termine, applicandolo non a una comunità-sposa, ma alla Madrevergine-
Sposa dell’Agnello. Infatti, la Vergine Theotokos, l’immacolata Madre, nell’o-
melia di Cirillo più sopra riportata e in altri testi della tradizione bizantina,
come pure in quest’Inno, è identificata con la Chiesa, sposa dell’Agnello.62
c) ∆Anuvmfeute
∆Anuvmfeute – “non-sposata”. Quest’aggettivo privativo vuole negare un
qualunque rapporto nuziale della Vergine Theotokos con un uomo, pratica-
mente con Giuseppe suo sposo. Sarà utile riprodurre un brano del commen-
to a Lc 1, 26 della più antica e diffusa omelia mariana di fine IV secolo, di
attribuzione pseudo-crisostomica, ma sicuramente di origine cappadoce, che
l’autore dell’Akathistos ben conosceva e dalla quale ha desunto l’impostazio-
ne delle prime stanze dell’Inno. Incipit: Th/` protevra/ kuriakh/.` Cito:
«Va’ – disse il Verbo all’angelo Gabriele – va’ a Nazaret, la città della Galilea, dal-
la vergine Maria sposata all’artigiano Giuseppe: poiché per la salvezza degli
uomini io sposerò questa Vergine, io l’artefice di tutta la creazione...».63
60 Gv 3,29: «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l'amico dello sposo, che
è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena». Sono
le parole di Giovanni Battista, riferite dall’evangelista.
61 2Cor 11,2: «Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi
infatti a un unico sposo, per presentarvi a Cristo come vergine casta»; e spec. Ef 5,25-27: «E
voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso
per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la parola, e per
presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile,
ma santa e immacolata».
62 L’abbiamo già evidenziato analizzando l’Omelia IV di Cirillo ad Efeso. Non si
deve però confondere “nuvmfh ajnuvmfeute” dell’Akathistos col termine sinonimo, ma
non identico, tanto usato anche oggi nella liturgia bizantina: cioè qeonuvmfh (sposa di
Dio). “Sposa di Dio” infatti viene attribuito dalla liturgia e dall’innografia bizantina
prevalentemente al Padre. Siamo in ottica trinitaria: infatti il mistero dell’incarnazione
del Verbo da Maria, “sposa di Dio”, è opera del Padre mediante lo Spirito Santo. Nel
nostro caso invece siamo davanti a un epiteto eminentemente ecclesiale: “Sposa di
Cristo”. Tale è ed è chiamata la Chiesa; tale è Maria che la impersona.
63 PSEUDO-CRISOSTOMO, Omelia sull’annunciazione e contro l’empio Ario: PG 62,
col. 765.
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d) ∆Allhlouvia
>
Nel linguaggio biblico “alleluia” significa lodare Dio in forma intensiva.
Nell’Antico Testamento ricorre nel titolo dei cosiddetti “salmi alleluiatici”;
anzi, il salterio termina con l’ “alleluia”.
Nel Nuovo Testamento, l’ “alleluia” ricorre quattro volte soltanto, e solo in
Ap 19, 1-8 per cantare la lode a Dio per i suoi giudizi e per le nozze dell’Agnello.
Nell’uso liturgico delle Chiese antiche l’ “alleluia” è prevalentemente
rivolto a Gesù, il Signore glorificato, ed è cantato in modo particolare nei
tempi di gioia pasquale in occidente, anche in quaresima nel rito bizantino:
appunto perché l’itinerario di Gesù verso la passione è il cammino dello
Sposo per unire a sé, come Sposa, nei riti pasquali, la Chiesa lavata nel suo
sangue dai peccati.
64 Si veda G.W.H. LAMPE, cit., p. 162, il quale ricorda Metodio di Olimpo e qual-
che altro autore antico, come Proclo..
65 ESICHIO DI GERUSALEMME, Omelia V, sulla Madre di Dio, 1: PG 93, col. 1461.
Si consulti l’edizione critica delle Omelie di Esichio sulla Madre di Dio e l’introduzio-
ne storico-ambientale di M. AUBINEAU, Les Homélies festales d’Hésychius de Jérusalem.
Vol. I: Les Homélies I-XV, Société des Bollandistes, Bruxelles 1978, pp.118-205.
66 BASILIO DI SELEUCIA, Omelia sulla Madre di Dio, 5: «Quale discorso potrebbe
addentrarsi nell’inaccessibile pelago di un parto senza nozze (th`~
` ajnumfeuvtou loceiva
v ~
pevlago~)? (PG 85, col. 445); e nell’Omelia III, su Adamo, più specificamente scrive:
«L’Unigenito... contrappose ad Eva una Vergine che partorisse immune da maledizione, e
un parto verginale libero dal dolore antico e una giovane non sposata che generasse lo
Sposo immortale (kovrhn ajnuvmfeuton ajqavnaton numfivon gennhvsasan): PG 85, col. 61.
Non troviamo nella letteratura patristica greca antica un’espressione simile a que-
sta. Si può allora ragionevolmente supporre che sia Basilio di Seleucia colui che ha
coniato il celebre efimnio dell’Akathistos: cai``re, nuvmfh ajnuvmfeute.
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Ap 21, 9-27
«9Poi venne uno dei sette angeli, che hanno le sette coppe piene degli ultimi
sette flagelli, e mi parlò: “Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa
dell'Agnello” (deivxw soi th;n nuvmfhn, th;n gunai``ka tou`` aJrnivou). 10L’angelo
mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa,
Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio
(kai; e[deixevn moi th;n povlin th;n aJgivan ÔIerousalh;m katabaivnousan ejk
tou`` oujranou`` ajpo; tou`` Qeou``, e[cousan th;n dovxan tou`` Qeou``). 11Il suo splen-
dore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cri-
stallino.
12È cinta da un grande e alto muro con 12 porte: e sopra queste porte stanno
12 angeli e nomi scritti, i nomi delle 12 tribù dei figli di Israele. 13A oriente 3
porte, a settentrione 3 porte, a mezzogiorno 3 porte e a occidente 3 porte. 14Le
mura della città poggiano su 12 basamenti, sopra i quali sono i 12 nomi dei 12
apostoli dell’Agnello.
15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d’oro, per misurare la
città, le sue porte, le sue mura. 16La città è a forma di quadrato: la sua lun-
ghezza è uguale alla larghezza. L’angelo misurò la città con la canna: misura
12.000 stadi; la lunghezza, la larghezza e l’altezza sono uguali. 17Ne misurò
anche le mura: sono alte 144 braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini
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adoperata dall’angelo ... 21E le 12 porte sono 12 perle: ciascuna porta formata
da 1 sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello
sono il suo tempio. 23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce
della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
24Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra a lei porteranno il
loro splendore. 25Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, per-
ché non vi sarà più notte. 26E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni.
27Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette orrori o falsità, ma solo
CONCLUSIONE
AKATHISTOS
INNO ALLA MADRE DI DIO
Commento al testo
STANZA I (Oi\ko" a v)
Il saluto dell’angelo a Maria
I.– PROLOGO
documento mariano di fine secolo IV, di matrice cappadoce, con tutta probabilità di
Gregorio di Nissa, autore al quale l’Akathistos fa continuo riferimento. È la prima omelia
mariana greca. Una breve analisi dell’omelia in R. CARO, La Homilética Mariana Griega en
el Siglo V, in Marian Library Studies, New Series, vol. 4, University of Dayton 1972, p. 538-
545.
2 Ivi: PG 62, 765.
3 Questa interpretazione è condivisa anche dalla scuola antiochena. È celebre in
tal senso l’esegesi di Giovanni Crisostomo, il quale si chiede perché l’angelo apparve a
Giuseppe solo dopo il concepimento e a Maria prima di esso; e risponde: «Perché la
Vergine non si turbasse e si sconcertasse ancora di più. Ed era verosimile che, non
conoscendo la verità delle cose, avrebbe escogitato per sé qualcosa di assurdo: non riu-
scendo a sopportare il disonore, si sarebbe impiccata o uccisa con la spada...»
(IOANNES CHRYSOSTOMUS, Commentarius in Matthaei evangelium, 4,5: PG 57, 45).
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 24/05/17 23:08 Pagina 6
sole di giustizia»), cioè – secondo l’interpretazione dei Padri – dal Verbo del
Padre che si farà carne dalla Vergine Maria per la salvezza degli uomini.
2. eijpei``n th`/` Qeotovkw/ to; Cai``re: “per dire il ‘Gioisci’ alla Madre
di Dio”. L’angelo mandato da Dio porta non solo un saluto, ma un dono
singolare congiunto al saluto: la gioia: “Gioisci, o piena di grazia!”. La
gioia vera, la felicità autentica e duratura, è il sogno e l’aspirazione dell’uo-
mo, e caratterizza in particolare tutta la cultura greca. Qui però si tratta
non più e soltanto di gioia offerta da una creatura a un’altra creatura, ma
della stessa fonte della gioia, Dio che si fa creatura: inizia così “l’evangelo”,
il “lieto annunzio”, che riempirà di gioia tutta la storia umana e si proten-
derà senza fine nell’eterna beatitudine. Maria è la destinataria e insieme lo
spazio umano privilegiato, da cui sgorgherà perenne questa “gioia” divina.
Perciò tutto l’inno Akathistos, seguendo una tradizione già in uso in cam-
po omiletico,4 fa proprio il saluto dell’angelo e per 156 volte ripete alla
Madre di Dio: cai``re, “gioisci!”.
Dopo Efeso e Calcedonia, la Vergine Maria è ormai chiamata Qeotovko~
in maniera costante e in senso vero e proprio, anche senza aggiungere a
Qeotovko~ il nome anagrafico di Maria o quello biblico di vergine. Nell’Aka-
thistos i titoli dati a Maria sono molto sobri.
3. kai; su;n th``/ ajswmavtw/ fwnh``/ | swmatouvmenovn se qewrw``n,
4. Kuvrie.
[e insieme alla sua voce incorporea contemplandoti incorporato, o Signore,]
kai; su;n th``/ ajswmavtw/ fwnh/` : “al suo incorporeo saluto”. Quale salu-
to? Il testo lo sottintende. Gabriele infatti, secondo il Vangelo di Luca,
saluta la Vergine di Nazaret con le parole: oJ kuvrio~ meta; sou``, «il Signore
è con te!» (Lc 1,28). L’autore dell’inno interpreta quest’espressione lucana
non come un augurio per un tempo e un’azione futura, ma come la dichia-
razione di un fatto compiuto, di un evento divino già attuato in Maria, e
proprio alla sua “voce incorporea”. Infatti il “Signore” (oJ kuvrio~) di cui
parla l’angelo non è Dio Padre, ma il Verbo che contemporaneamente
scende assumendo carne dalla Vergine.
4 Vedi: DAVIDE M. MONTAGNA, La lode alla Theotokos nei testi greci dei secoli IV-
VII, Edizioni Marianum, Roma 1963. Il repertorio dei testi greci ivi riprodotti alle
pagine 61-96 trascrive l’edizione apparsa sulla rivista Marianum, 24 (1962) 119-128.
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 18:13 Pagina 7
II.– Le 12 SALUTAZIONI
Santo», scrive: «Da ciò appare manifesto che la formazione del corpo del Signore non
avvenne secondo la comune generazione della carne. Subito infatti il feto raggiunse la
perfezione e non fu formato attraverso progressive plasmazioni. Lo indicano le parole del
vangelo. Effettivamente non è detto: “Quel che è stato creato”, ma: “Quello che è stato
generato”. Dunque la carne, plasamata nella santificazione, fu degna di essere unita alla
divinità dell’Unigenito» (BASILIUS, Homilia in sanctam Christi generationem, 2: PG 31,
1460). Per Basilio dunque la discesa dello Spirito Santo in Maria santifica o pre-santifica
la carne che il Verbo unisce immediatamente alla sua divinità, qualunque sia il momento
dell’infusione dell’anima umana nel feto.
A monte di questa distinzione tra “incarnazione” e “umanazione” del Figlio di
Dio sta forse l’esegesi di Origene sulla preesistenza dell’anima di Cristo, eternamente
e inseparabilmente unita al Verbo divino e a Lui fusa come il ferro nel fuoco, anima
con la quale egli, adombrando la Vergine, si unisce al vero corpo assunto da Maria (cfr.
ORIGENES, De principiis, II, 6, 1-7: PG 11, 209-215).
Anche nei simboli apostolici di provenienza palestinese sembra che ambedue i
momenti dell’Incarnazione siano accennati, non sempre con le stesse parole; e il
Simbolo di Nicea, che ad essi si appoggia, afferma dell’unico Figlio di Dio: «per noi gli
uomini e per la nostra salvezza discese e si fece carne, si fece uomo... (katelqovnta kai;
sarkwqevnta, ejnanqrwphvsanta...)», distinguendo ma congiungendo in uno l’incarna-
zione e l’umanazione del Verbo di Dio.
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 18/05/17 10:22 Pagina 9
7 Leggiamo in Gen 3,6: «Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare,
gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne man-
giò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò». E in Gen 3,16-
24 leggiamo: «Alla donna [Dio] disse: “Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze,
con dolore partorirai figli”... All’uomo disse: “Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie
e hai mangiato dell’albero, di cui ti avevo comandato: Non ne devi mangiare, maledetto
sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.
Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba campestre. Con il sudore del tuo volto
mangerai il pane; finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei
e in polvere tornerai!”... Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 25/05/17 17:54 Pagina 10
lavorasse il suolo da dove era stato tratto. Scacciò l’uomo e pose ad oriente del giardino
di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all’albero del-
la vita».
8 Giustino nel Dialogo con Trifone giudeo afferma: «... Si fece uomo dalla Vergine,
affinché per quella stessa via per la quale – cagionata dal serpente – ebbe principio la
disobbedienza, per la medesima via venisse similmente distrutta. Eva infatti, essendo
vergine e incorrotta, dopo aver concepito la parola del serpente, partorì disobbedienza
e morte. Invece la Vergine (Mariva hJ parqevno~), dopo aver accolto fede e gioia –
recandole l’angelo Gabriele il lieto annunzio che lo Spirito del Signore verrebbe sopra
di lei e l’adombrerebbe la Virtù dell’Altissimo e che perciò il nato da lei santo sarebbe
Figlio di Dio – rispose: “Mi avvenga secondo la tua parola” (Lc 1,38). E da lei è nato
Costui, del quale abbiamo mostrato che tante Scritture parlano: per mezzo di lui Dio
annienta sia il serpente che gli angeli e gli uomini a lui simili, ma opera la liberazione
dalla morte in coloro che si pentono delle opere malvagie e credono in lui» (IUSTINUS,
Dialogus cum Tryphone iudaeo, 100. PG 6, 709-712).
Di Ireneo possediamo diversi testi che instaurano il parallelo tra Maria ed Eva. Cito
solo qualche brano, tra i più conosciuti e celebri: «... Come Eva, disobbedendo, divenne
causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria... obbedendo divenne causa
di salvezza per sé e per tutto il genere umano... Così dunque il nodo della disobbedienza
di Eva trovò soluzione grazie all’obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato per la
sua incredulità, Maria l’ha sciolto per la sua fede» (IRENAEUS, Adversus haereses, III, 22,
4: PG 7, 958-960); e più avanti: «... Come quella [Eva] si lasciò sedurre in modo da
disobbedire a Dio, così questa [Maria[ si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio,
affinché la Vergine Maria divenisse avvocata della vergine Eva; e come il genere umano
fu legato alla morte per mezzo di una vergine, così ne fu liberato per mezzo di una ver-
gine, perché la disobbedienza di una vergine fu controbilanciata dall’obbedienza di una
vergine» (ibid., V, 19: PG 7, 1175-1176).
Notiamo tuttavia che tanto Giustino quanto Ireneo pongono in parallelo antiteti-
co l’obbedienza di Maria con la disobbedienza di Eva, e le conseguenze di peccato e
di morte da quest’ultima introdotte nel genere umano con la Vita che Maria dona al
mondo generando Cristo. Non si fa parola di condanna o di dolore in contrappunto
con la gioia annunciata dall’angelo Gabriele a Maria, a meno che non leggiamo in que-
sta linea l’espressione di Giustino: “accogliendo fede e gioia”.
9 Il contrappunto tra la condanna al dolore inflitta da Dio a Eva e la gioia annun-
ciata da Gabriele a Maria appare specialmente nell’omiletica greca del IV e V secolo.
Già la prima omelia greca di matrice cappadoce più sopra ricordata scrive:
«Rallegrati, piena di grazia! Eva tua progenitrice, per aver trasgredito la legge, ebbe la
condanna di partorire i figli nel dolore: a te s'addice il godere!... Rallegrati, o piena di
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11 Cito, come esempio, l’inno II sul Natale di Romano il Melode, con la scenogra-
fia di Adamo e di Eva che accorrono alla grotta dove Gesù è nato, e invocano la pero-
razione della Vergine Madre al Figlio perché li sciolga dalla condanna e dal dolore.
Edizione critica a cura di J. GROSDIDIER DE MATONS, Romanos le Mélode. Hymnes: SC
110, pp. 88-110.
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12 Ecco il testo di Is 7,10-14, secondo la versione greca dei LXX: «Il Signore parlò
ancora ad Acaz: “Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppu-
re lassù in alto (ai[thsai seautw``/ shmei`on para; kurivou qeou` sou eij~ bavqo~ h] eij~
u{yo~)”. Ma Acaz rispose: “Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore”. Allora Isaia
disse: “Ascoltate, casa di Davide! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, per-
ché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un
segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (dia;
tou`t` o dwvsei kuvrio~ aujto;~ uJmi`n shmei`on: ijdou; hJ parqevno~ ejn gastri; e{xei kai; tevxe-
tai uiJon; kai; kalevsei to; o[noma aujtou`` ∆Emmanouhvl)”».
Ireneo commenta in più luoghi il brano di Isaia. Cito il testo più conosciuto:
«Perciò il Signore stesso ci diede un segno, nel profondo e su nelle altezze (in profun-
dum, in altitudinem sursum), segno che l’uomo non domandò, poiché non si sarebbe
mai aspettato che una vergine potesse diventare gravida, lei che era vergine, e partoris-
se un figlio e che il frutto di questo parto fosse il “Dio con noi”, e che egli discendesse
nelle profondità della terra a cercare la pecora che era perduta, cioè la sua propria
creatura, e salisse in alto ad offrire e presentare al Padre l’uomo che era stato ritrova-
to...» (IRENAEUS, Adversus haereses, III, 19,3: PG 7, 941).
Nel contesto delle discussioni trinitarie e cristologiche dei secoli IV e V l’attenzio-
ne si spostò dall’importanza soteriologica di Is. 7,14 (assunto anche da Mt 1,22-23) alla
incomprensibilità dei misteri divini, di fronte ai troppi “indagatori dei misteri”. Anche
l’incarnazione del Verbo è mistero incomprensibile ad ogni creatura, tanto agli uomini
quanto agli angeli. Due immagini plastiche dell’inno lo connotano: altezza impervia,
profondità insondabile.
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invece la lettera agli Ebrei 1,3: «Egli sostiene tutto con la potenza della sua
parola» (fevrwn te ta; pavnta tw``/ rJhvmati th``~ dunavmew~ aujtou``).
14 A chi legge le attuali versioni della Bibbia non è facile risalire all’antica esegesi
proto-patristica dal Salmo 109/110,3. Oggi infatti leggiamo: «A te il principato nel
giorno della tua potenza tra santi splendori; dal seno dell'aurora, come rugiada, io ti
ho generato». Molto diversamente suonava la traduzione greca dei Settanta e anche
l’antica versione latina: «ejn tai`~ lamprovthsin tw``n aJgivwn ejk gastro;~ pro;
eJwsfovrou ejxegevnnhsav se – in splendoribus sanctorum ex utero ante luciferum genui
te – negli splendori dei santi dal grembo prima della stella del mattino ti ho generato».
Il primo commentatore cristiano, san Giustino martire, in dialogo apologetico col
giudeo Trifone, affermava: «E le parole di David: “Negli splendori dei tuoi santi, dal
ventre, prima della stella del mattino io ti ho generato (Sal 109,3) ”, non vi indicano
che fin dal principio il Dio e Padre di tutti l’avrebbe fatto nascere anche da ventre uma-
no?» (IUSTINUS, Dialogus cum Tryphone iudaeo, 63: PG 6, 620-621).
Più vicino all’Akathistos, e certo conosciuto dal suo autore, è il commento ai Salmi
di Eusebio di Cesarea, discepolo di Origene, il quale mette a confronto con la versione
dei Settanta altre versioni giudaiche dell’Antico Testamento, già conosciute e utilizzate
da Origene. Scrive: «A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori:
dal seno dell’aurora come rugiada ti ho generato» (Sal 109, 3). Aquila dice: “Dal seno
suscitato di buon mattino per te la rugiada della tua fanciullezza”. Mentre Simmaco:
“Come rugiada di buon mattino per te la tua giovinezza”. Vi è ancora una quinta ver-
sione: “Dall’utero, di buon mattino per te la rugiada della tua giovinezza”. Con tali
espressioni egli sembra significare il modo della sua generazione carnale. Dall’utero,
infatti, dice, sarà la rugiada mattutina della tua fanciullezza oppure dall’utero diverrà
per te la tua rugiada mattutina nella tua giovinezza. Con ciò credo che venga dichiarato
che la sua generazione carnale è costituita non dal seme di un uomo, ma dallo Spirito
Santo. Infatti, come rugiada che defluisce dall’alto del cielo, così nell’utero gravido di
sua madre fu fatta la costituzione della carne nella sua fanciullezza. Ma, al posto di “dal
ventre” o dall’ ”utero”, l’ebraico usa “Mariam”. A tal proposito, stando all’ascolto di
un altro, so che il termine ebraico qui sta ad indicare il nome di Maria; sicché con essi
Maria viene menzionata per nome» (EUSEBIUS CAESARIENSIS, Commentaria in Psalmos,
Ps. 109.4: PG 23, 1341).
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 18:18 Pagina 16
Queste due ultime salutazioni [vv. 11-12] chiudono, per così dire, la
linea delle promesse dell’Antico Testamento, e allargano lo sguardo da
Israele a tutto il creato. Due punti vengono focalizzati: chi è Colui che vie-
ne nella storia umana? e in qual modo si farà uomo?
Ad ambedue i quesiti aveva già indirettamente risposto il profeta Isaia
nei capitoli sull’Emmanuele. Nel capitolo 7,1-14 aveva indicato la vergine
che lo avrebbe portato in grembo e partorito; nel capitolo 9,5-6 aveva più
esplicitamente parlato della sua identità divina. Cito:
«Un bambino è nato per noi (paidivon ejgennhvqh hJmi``n),
ci è stato dato un figlio (uiJo;~ kai; ejdovqh hJmi``n).
Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà:
Consigliere mirabile, Dio potente,
Padre per sempre, Principe della pace...».
STANZA II (Oi\ko" b v)
Il turbamento riflessivo della Vergine
1. Blevpousa hJ ÔAgiva | eJauth;n ejn aJgneiva/,
2. fhsi; tw``/ Gabrih;l qarsalevw":
3. To; paravdoxovn sou th`" ` | dusparavdektovn mou th`/` yuch`/`
` fwnh`"
4. faivnetai:
5. ajspovrou ga;r sullhvyew" ∆ th;n kuvhsin prolevgei", kravzwn:
6. ∆Allhlouvi>a.
Basilio Akathistos
To paravdoxovn sou th`"
` fwnh`"` To; paravdoxon th``~ sh``~ ejpaggeliva~
dusparavdektovn mou th`/` yuch`/` dusparavdekton e[cei plhroforivan.
f
/ aivnetai.
I.– PROLOGO
20 Nel secolo IV il problema del rapporto tra fede e ragione, tra mistero indagato con
la mente o semplicemente accolto per fede, si acutizzò al punto da dividere per secoli
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 19:06 Pagina 22
Alla base della stanza sta l’espressione di Luca 1,34: «Come avverrà
questo? perché non conosco uomo – pw``" e[stai tou``to, ejpei; a[ndra ouj
ginwvskw…». L’Inno si ferma su questo “come” (pw`~), e lo interpreta quasi
domanda di conoscere un mistero inconoscibile, del quale la Vergine cer-
cava (zhtou``sa) la spiegazione.
la Chiesa e l’Impero romano. Ario (256-336), prete di Alessandria imbevuto di filosofie pla-
toniche, applicò al dogma trinitario i paradigmi neoplatonici, affermando categoricamente
che il Verbo creante non era eternamente generato dal Padre, ma era stato lui stesso “creato”
per essere strumento della creazione dell’universo: la clausola ariana: “vi fu quando non
era”, scatenò la reazione dell’ortodossia, che prevalse nel primo Concilio ecumenico di
Nicea, il quale compose la formula di fede nicena. Ma le vicende si alternarono tra le due
posizioni, con scomuniche ed esili. Si aggiunse a metà secolo IV anche l’eresia “pneumato-
maca”, originata forse dal Vescovo di Costantinopoli Macedonio: negava la divinità dello
Spirito Santo e la sua eterna processione dal Padre.
Contemporaneamente la discussione e la polemica si spostò dal campo trinitario a quel-
lo cristologico, sul modo cioè di intendere l’unione delle due nature in Cristo. Qui il vescovo
di Laodicea Apollinare (310-390), di fede nicena, per salvaguardare nel Cristo l’impassibi-
lità e l’impeccabilità, sostenne che incarnandosi il Verbo assunse la corporeità umana, ma
senza anima razionale.
Tale posizione, contestata in modo ortodosso dai Cappadoci e da altri Padri latini e
orientali, diede origine alla opposta posizione antiochena: che in Cristo ci fossero – unite
solo “esistenzialmente”, ma non “ipostaticamente” – due nature perfette e due persone.
Questa dottrina trovò il suo fautore nel secolo V nel vescovo di Costantinopoli Nestorio
(381-451), e provocò il Concilio di Efeso (431), che dichiarò vera Theotokos la Vergine
Maria, perché aveva generato non un uomo con persona umana, ma lo stesso Verbo di Dio,
“secondo la carne” che da lei assunse. Le controversie cristologiche però si prolungarono
fino e oltre il Concilio di Calcedonia (451).
Per una visione più approfondita della cristologia dei secoli IV e V, rinvio al trattato cri-
stologico di A. AMATO, Gesù il Signore. Saggio di cristologia, Edizioni Dehoniane di
Bologna 1988 [Corso di teologia sistematica, 4], spec. pp. 161-233.
Questo è il contesto dottrinale immediato, dal quale fiorisce l’Akathistos
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 16:42 Pagina 23
∆Ek lagovnwn aJgnw``n mou UiJovn. Dal punto di vista metrico, rilevo
innanzitutto che la maggior parte delle edizioni, anche liturgiche, omette
il pronome mou, privando di una sillaba il verso, contro la legge dell’isosil-
labia seguita rigidamente dall’Inno. Per cui la domanda di Maria sarebbe
allora solo su una possibilità ipotetica di un parto verginale. La Vergine di
Nazaret invece domanda, in concreto, come possa dal “suo“ seno vergina-
le nascere un figlio.
Il testo biblico che l’Akathistos segue, testimoniato da parecchi codici
greci, ed è comune all’omiletica greca del tempo, legge così Lc 1,34: «pw``"
e[stai moi tou`to, ejpei; a[ndra ouj ginwvskw… come mi avverrà questo? poi-
ché non conosco uomo».
La domanda della Vergine e la seguente risposta di Gabriele vengono
attentamente commentati dagli omileti greci. Così, ad esempio, l’omelia gre-
ca cappadoce Th`/ protevra/ kuriakh`/ che è la fonte indubbia dell’Akathistos,
commenta il “come mi avverrà questo?” di Maria:
«Rispose Maria all’angelo: “Come (pw``") mi avverrà questo, dato che non
conosco uomo?” (Lc 1,34). Giuseppe è mio sposo, non mio marito: questo è
il patto nuziale che precedette il pegno sponsale. Come dunque potrò conce-
pire senza nozze? Come germoglierò un frutto senza il coltivatore? In me per
prima si muta il corso della natura? In me per prima si cambia la legge del par-
torire? Solo in me si troverà un modo insolito di procreare i figli? Solo in me
sarà rinnovato l’antico uso di generare? Istruiscimi chiaramente, o angelo, sul-
l’enigma del tuo dire, spiegami il senso delle tue parole, interpretami l’effica-
cia del tuo bell’annunzio, guidami a questo parto insolito, affinché in breve
apprenda il mistero che sto per partorire, conosca come le cose impossibili
diventino possibili, comprenda come le cose impervie si facciano praticabili,
intenda come le inaccessibili possano trovare un accesso, oda come la grazia
rinnovi in meglio la natura, o come la natura serva alla grazia.
Rispondendo, l’angelo le disse: “Lo Spirito Santo verrà su di te” (Lc 1,
35). Hai inteso l’artefice, non investigare il modo; hai inteso il plasmatore, non
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indagare l’opera: lascia dunque il lavoro allo Spirito! “Lo Spirito Santo verrà
su di te, e la virtù dell’Altissimo ti adombrerà” (Lc 1,35). Ebbi ordine di dirti
solo questo, che partorirai un figlio; ma come lo partorirai, te lo insegnerà
manifestamente colui stesso che da te nascerà. Io t’ho recato l’annuncio come
servo: il Signore stesso continuerà l’opera, lui che ne sa il modo. Io sono mini-
stro degli ordini regali, non interprete dei divini voleri. Non oso insegnarti ciò
che non appresi, non oso spiegare le cose che non conobbi, non oso notificare
la misteriosità del fatto, non sono in grado di chiarire l’annunzio. Proclamo il
prodigio, ma sono incapace a dirne il modo: non indago ciò che supera ogni
indagine, non perseguo cose irraggiungibili, non m’ingerisco inopportunamen-
te in quel che eccede le mie forze, non chiamo a rendiconto la grazia che supe-
ra ogni dire, non discuto sull’inspiegabile generazione».21
tar madre richiede l’unione con l’uomo: perciò domanda spiegazione sul
“come” possano conciliarsi in lei verginità e maternità: la sua verginità con-
sacrata a Dio e questa maternità annunciatale da Dio stesso per bocca di un
angelo. È con tutto il suo essere che ella si pone in ascolto di un annunzio
inaudito, e chiede con ansia d’amore di essere introdotta nel “mistero” di
cui Lei stessa sarà portatrice. Ma nessuno, neppure un angelo può introdur-
re una creatura umana nel mistero divino, se Dio stesso non si fa Guida e
Via al mistero rivelato, e Dono di comunione per un mistero amorosamente
partecipato.
Così hanno interpretato la domanda di Maria anche gli altri omileti del
IV e V secolo: i quali, pur restando fermi sulla posizione di non chiedere mai
a Dio il “come”, inclinano giustamente all’indulgenza verso la Vergine, con-
fermando che ha saggiamente domandato, e perciò non può essere rimpro-
verata.22
L’immagine della Theotokos che emerge da questi testi è quella della
vergine prudente e sapiente, che non accetta supinamente neppure l’annun-
L’angelo, col timore dovuto verso Colei che già vede portare in seno il
suo Signore, le parla con riverenza, limitandosi solo ad acclamarla.
II.– LE 12 SALUTAZIONI
23 Proclo di Costantinopoli, nella Omelia I sulla Madre di Dio, letta ad Efeso, scrive:
«Ci ha dunque qui convocati la santa Madre di Dio, la Vergine Maria, l’incontaminato cime-
lio della verginità, il razionale paradiso del secondo Adamo, l’officina delle nature di Cristo,
il mercato del commercio salvifico, il talamo nel quale il Verbo sposò la carne, l’umano ani-
mato roveto che il fuoco di un parto divino non consunse (cf. Es 3, 2); la nube
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 24/05/17 18:27 Pagina 29
Per capire invece come i demoni deplorino la loro disfatta per mezzo
di colui che da Maria è nato, ricordo Origene nella apologia contro Celso,
dove egli interpreta la venuta dei magi dall’Oriente come segno manifesto
della loro sconfitta. Infatti, mentre gli angeli scendono esultanti cantando
gloria a Dio sul Cristo neonato, i demoni sono spodestati dal loro potere
proprio in virtù di colui che nasce Bambino da Maria a Betlemme, in
quanto la predicazione del vangelo e la venuta alla fede dei popoli li priva
del loro incontestato dominio.25
veramente leggera che portò unito a un corpo colui che siede sopra i cherubini (cf. Is 19,1);
il purissimo vello della pioggia celeste (cf. Gdc 6, 37), col quale il pastore si rivestì della
pecorella: Maria, ancella e madre, vergine e cielo, l’unico ponte (gevfura) di Dio verso gli
uomini...» (PROCLUS CONSTANTINOPOLITANUS, Homilia I: PG 65, 680).
24 CYRILLUS ALEXANDRINUS, Homilia IV Ephesi habita: PG 77, 992.
25
Origene scrive: «Rivolgendomi ai Greci, io dirò che i maghi, i quali sono in contat-
to con i demoni, e con le loro formule li evocano, riescono a fare quel che vogliono
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 19:10 Pagina 30
secondo l’arte che hanno imparato, dacché nulla di più divino e di più potente dei demoni
e della formula che li invoca appare mai o vien pronunziato; ma se qualche potenza più
divina si mostra, i poteri dei demoni vengono annullati, non potendo essi resistere alla
vista del fulgore della divinità. Appare dunque naturale che anche alla nascita di Gesù,
quando “uno stuolo della milizia celeste”, come scrisse Luca (Lc 2,13) ed io credo ferma-
mente, lodò Dio e disse: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di
buona volontà”, la conseguenza di questo fu che i demoni perdettero il loro potere e la
loro forza, dacché il loro incantesimo fu rotto e distrutta la loro potenza; essi non furono
distrutti soltanto dagli angeli che scesero sulle regioni terrene per la nascita di Gesù, ma
anche dallo stesso spirito di Gesù e dalla divinità che era in lui” (ORIGENES, Contra
Celsum, I, 60: PG 11, 769-772).
26 «Quali parole il nemico del genere umano va verosimilmente dicendo tra sé e sé,
mentre vede che, per mezzo della donna, noi siamo stati ripristinati nella primitiva ado-
zione di figli? Non si domanderà forse ripetutamente: Come è successo che quello stru-
mento che all’inizio aveva collaborato con me, ora mi si è messo contro? La donna, che
mi ha aiutato a conseguire la tirannia sul genere umano, questa volta mi ha deposto dal
mio potere tirannico. L’antica Eva mi ha innalzato; la nuova mi ha sprofondato... Ma qual
è la causa di tutte queste cose che mi sono capitate? Chi mai se non colei che generò l’au-
tore di questi prodigi? Certamente sarebbe stato meglio per me se non avessi tratto in
inganno l’antica Eva; meglio sarebbe stato se non l’avessi sedotta tramite il serpente. Che
vantaggio infatti mi è venuto dalla tentazione, se coloro che avevo ridotto in servitù li vedo
ora ricuperare la primitiva libertà e diventare eredi dello stesso regno dei cieli?»
(CHRYSIPPUS HIEROSOLYMITANUS, Oratio in sancta Mariam Deiparam, 3-4: PO 19, 336-
343).
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 16:44 Pagina 31
Maria ha generato fatta carne dalle sue carni verginali la Luce: quella Luce
che il Padre eternamente ha generato a sé consostanziale, come afferma il sim-
bolo niceno: «... Figlio di Dio, generato dal Padre unigenito, cioè dalla sostan-
za del Padre, Dio da Dio, Luce da Luce...». Ora, se la generazione del Figlio
dal Padre prima di tutti i secoli è realtà assolutamente incomprensibile e inef-
fabile a creatura angelica e umana, altrettanto lo è la sua verginale generazione
dalla Madre nel tempo: ambedue infatti appartengono a Dio.
To; pw`"
` ... : “a nessuno hai insegnato ‘il come’”. A monte di questa affer-
mazione sta forse la posizione di Origene, come afferma Henri Crouzel:
«La conoscenza che riceve il mistico è per essenza inesprimibile: è un contatto
diretto tra lo Spirito divino e lo spirito umano, almeno in una certa misura, al
di là di ogni mediazione di concetto, segno e parola».27
STANZA IV (Oi\ko" d v)
Il concepimento verginale e divino
ricevuti mediante la fede, rimangono avvolti nel velo della fede e quasi avviluppati in una
caligine, fino a quando, in questa vita mortale,“siamo in esilio lontani dal Signore, cammi-
niamo nella fede e non ancora in visione” (2Cor 5,6s.)» (DENZINGER-HÜNERMANN,
Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum de rebus fidei et morum, Edizione
bilingue, Edizioni Dehoniane, Bologna 2003, n. 3616)
29 «Io credo infatti che chi ben riflette debba sapere ciò che si può indagare di Dio,
e ciò che si deve credere. Le cose che opera secondo la nostra natura, si può tentare di
indagarle col pensiero; ma le cose che prodigiosamente opera al di sopra del nostro pen-
siero e della natura, dobbiamo ritenerle per fede, non scrutarle con la ragione»
(THEODOTUS ANCYRANUS, Expositio symboli nicaeni, 4: PG 77, 1320).
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 19:15 Pagina 33
30 «Che risponde dunque, dopo queste parole, la santa Maria, la vergine di corpo e
di anima, la pia e timorata ed ossequiente, l’ambizione dell’umana natura, la porta della
nostra vita, la procuratrice della nostra salvezza? Favorevolmente accogliendo la voce
dell’angelo, risponde: “Ecco la serva del Signore, mi avvenga secondo la tua parola” (Lc
1,38). Come serva mi sottometto al cenno del Padrone; come argilla sto nelle mani del
vasaio: poiché vuole con autorità il Plasmatore, compia in me il suo volere; poiché egli lo
vuole con amore per gli uomini, operi prodigiosamente in me la straordinaria generazione.
Mi avvenga secondo la tua parola; si compiano in me queste tue parole, e la cosa sia mani-
festissima e vera.
“E l’angelo partìda lei” (Lc 1,38), lui ch’era venuto dal cielo, aveva istruito e prepa-
rato la Vergine, l’aveva ammaestrata, per quanto capiva: udì da lei quel che anch’egli desi-
derava di apprendere; e di nuovo salì dond’era disceso, lasciando quaggiù colui che l’ave-
va mandato, e ritrovandolo pure lassù, nei cieli, adorato da tutte le schiere degli angeli»
(PSEUDO-CHRYSOSTOMUS, Homilia in annuntiationem Deiparae et contra impium Arium:
PG 62, 767-768).
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 19:15 Pagina 34
elementi di cui consta la natura umana, intendo dire l’anima e il corpo, unendosi ugual-
mente all’una e all’altro»; Epistula III: PG 46, 1021; In Canticum Canticorum, 13: PG 44,
1052-1053: «La sua concezione non è avvenuta tramite il commercio sessuale; il suo parto
non rimase per nulla inquinato; la sua nascita non ha conosciuto il dolore; il suo talamo è
stata la potenza dell’Altissimo, la quale ha ricoperto quasi come una nube la verginità stes-
sa; fiaccola nuziale era lo splendore dello Spirito Santo».
32 L’immagine dell’“ombra” dell’Altissimo che copre la Vergine era stata più volte
adoperata da Origene per significare il concepimento del Verbo, mediante la discesa del-
l’anima preesistente nella carne che si formava da Maria. Cf. H. CROUZEL, Origène.
Homélies sur Luc. Introduction: La Theéologie mariale d’Origène: SC 87, pp. 11-22.
33 PROCLUS CONSTANTINOPOLITANUS, Homilia I in santam Dei Genitricem, 3: PG 65,
684.
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 15/05/17 19:16 Pagina 36
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in
eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo (Gv 6,51)».
STANZA V (Oi\ko" e v)
La Visitazione
I.– PROLOGO
34 Il termine qeodovco", che letteralmente significa “chi accoglie Dio”, sia uomo che
donna, non è così importante come qeotovko". È usato come aggettivo o come sostantivo;
viene attribuito tanto a Gesù quanto alla Vergine Maria, e anche – più raramente – ad
alcuni santi o altre creature in rapporto con Dio, come mostra G.W.H. LAMPE, A Patristic
Greek Lexicon, Oxford 1961 (ristampa 1968), p. 625.
Mario Mercatore ci ha conservato un brano del secondo discorso di Nestorio (anno
429), letto e oppugnato a Efeso: «Dominicae itaque humanitatis susceptionem colamus,
incarnationis sacramentum hymnis incessabilibus extollamus, susceptricem dei virginem,
cum de deo ratiocinamur, cum deo ad divina non elevemus (th;n qeodovcon tw`/` qew`/` sun-
qeologw`m` en morfhvn, th;n qeodovcon tw`/` qew`/` mh; sunqeologw`m
` en parqevnon). Theodochon
(qeodovcon) dico, non theotocon (qeotovkon), ch [c] litteram, non cappa [vk] exprimi
volens» (E. SCHWARTZ, ACO, I, 5, p. 37).
Per Nestorio dunque il termine qeotovko" non può essere attribuito in modo proprio
e diretto alla Vergine, perché non da lei e dalla sua sostanza ha origine la natura divina del
Verbo, Figlio di Dio, ma solo quella umana.
La risposta di Cirillo è nella lettera 10, ai suoi chierici, dopo il concilio di Efeso, nella
quale contesta il qeodovco~ proposto da Nestorio (PG 77, 64-68).
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kai; a{lmasin wJ" a[/smasin – “e con salti quasi fossero canti” –. L’Inno
interpreta questa esultanza, questi sussulti di gioia del bimbo racchiuso
nel grembo di Elisabetta davanti alla Madre di Dio. Non interpreta invece
la risposta benedicente di Elisabetta al saluto di Maria, pur tenendola pre-
sente nelle 12 salutazioni.
II.– LE 12 SALUTAZIONI
Il terzo quadro ci introduce nel santuario, anzi nel luogo più sacro del
tempio di Gerusalemme, il “santo dei santi”, dove Maria – secondo un’an-
tica tradizione apocrifa – visse la sua infanzia, interamente consacrata al
Signore come oblazione verginale per l’umanità intera. L’Akathistos pren-
de lo spunto dal vangelo di Luca, che narra come la Vergine gravida sia
corsa da Elisabetta e sia entrata “nella casa di Zaccaria” (Lc 1,40). La figu-
ra del sacerdote Zaccaria impronta le salutazioni, perché
«avvenne che, mentre Zaccaria svolgeva le sue funzioni sacerdotali davanti al
Signore durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l’usanza
del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta
dell’incenso. Fuori, tutta l’assemblea del popolo stava pregando nell’ora del-
l’incenso (Lc 1,8-10) ...».
La Lettera agli Ebrei ricorda che l’altare d’oro per l’incenso era collo-
cato nel “Santo dei Santi”, là dove era pure l’arca dell’alleanza tutta rive-
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stita d’oro (cf. Eb 9,4-5), coperta dal propiziatorio, sul quale il sommo
sacerdote, una volta all’anno, compiva il rito dell’espiazione (cf. Eb 9,7).
La descrizione si raccorda con quanto si legge in Es 35-39, e specialmente
in Es 40,5: «Metterai l’altare d’oro per l’incenso davanti all’arca della
Testimonianza». L’Akathistos dunque sembra contemplare Maria nel
“Santo dei Santi”, come poco dopo farà la liturgia bizantina istituendo la
festa della Presentazione della Vergine al tempio (ei[sodo~ eij~ ta; a{gia),
il 21 novembre. Sarebbe, questo, l’unico accenno dell’Akathistos a una
tradizione apocrifa, ma comunque attestata da Padri greci. In particolare,
l’Inno dipende dall’Omelia sul Natale di Gregorio di Nissa, il quale scrive:
«Essendo la bambina cresciuta e non avendo più bisogno di essere allattata,
[i genitori] si affrettarono a portarla al tempio per offrirla a Dio e adempiere
così le promesse fatte. I sacerdoti dapprima educarono la bambina nel santua-
rio, allo stesso modo in cui era stato educato Samuele (1Sam 1,24ss.); poi
quando divenne adolescente, tennero consiglio per decidere che cosa fare di
quel corpo santo senza offendere il Signore...».39
momento anche l’uomo, prima oppresso dal terrore di Dio, può rivolgersi
e accostarsi a lui con timore e amore filiale. La divina maternità è infatti
vincolo perenne di comunione fra Dio e i mortali.
STANZA VI (Oi\ko" ı v)
La rivelazione del mistero a Giuseppe
«Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo pro-
messa sposa (mnhsteuqeivsh~) di Giuseppe, prima che andassero a vivere
insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe, suo sposo (oJ
ajnh;r aujth``~), che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in
segreto. Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in
sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria, tua sposa (th;n gunai``kav sou), perché quel
che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”... Destatosi dal sonno,
Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la
sua sposa (th;n gunai``ka aujtou``)».
I.– PROLOGO
42 Il rapporto simbolico tra la grotta di Betlemme e l’azione sacra della Chiesa era
posta in evidenza dagli autori efesini e calcedonesi. Così la scena si allarga e si prolunga
nei secoli. Secondo la mistagogia di Teodoto di Ancira, di Esichio di Gerusalemme e
secondo l’esegesi tipologica alessandrina, il presepio di ieri prefigura la mensa eucaristica
di oggi. Scrive Teodoto di Ancira, nell’omelia letta ad Efeso: «Viene il Signore di tutti in
forma di servo, rivestito di povertà, per non atterrire la sua preda; nasce in un oscuro vil-
laggio, avendo scelto per la nascita un luogo nascosto; nasce da una vergine povera, e assu-
me in sé tutte cose povere, per fare una silenziosa, salutare caccia dell’uomo... Ma quel
presepio diede principio a questa splendida mensa, e la Vergine germogliò questi cori di
vergini...» (Omelia I sul Natale del Signore, 8.11: PG 77, 1349-1370). Ed Esichio di
Gerusalemme similmente scrive: «Spontaneamente egli prende da te la forma di un men-
dico, per frenare i ricchi e diventare motivo di pazienza e maestro di rendimento di grazie
per i poveri. Spontaneamente vien posto nella greppia, perché gli uomini accorsi come
bruti trovino giacente nel presepio il Verbo, per assumere da lui la dignità razionale, per
trovare il frumento, essi che s’aspettano paglia, e perché, giunti come animali per cercar
manipoli d’orzo nella mangiatoia, gustino invece il pane vero, l’alimento della vita, il ban-
chetto della luce, il cibo della gioia, il dolce sapore dell’incorruzione, da cui proviene la
conoscenza del regno, il pegno della filiazione, l’eredità dei cieli, la comunione col Padre,
col Figlio e con lo Spirito Santo. A lui la gloria per i secoli dei secoli. Amen» (HESYCHIUS
HIEROSOLYMITANUS, In Mariam Deiparam homilia V: PG 93, 1453).
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cercano come loro Pastore, si mostra loro (lo contemplano: qewrou`s ` i) “come
agnello”: è la forma che ha assunto e con la quale si fa visibile il grande, l’eter-
no Pastore del gregge, diventando “come agnello”: bambino nutrito dal seno
di Maria, ieri; agnello che oggi la Chiesa offre a nutrimento dei fedeli.43
ajmno;n a[mwmon – “agnello senza macchia”. L’immagine ricorda l’agnello
pasquale prescritto da Mosè (cf. Es 12,5) e l’agnello del sacrificio ebraico (Lv
12,6; Nm 6,14; Ez 46,13: ajmno;n ejniauvsion a[mwmon); inoltre, richiama il ser-
vo del Signore descritto da Isaia (Is 53,7) e paragonato a un agnello: «era
come agnello condotto al macello»; e soprattutto si rifà alla prima lettera di
Pietro (1Pt 1,19), che parla esplicitamente di Cristo immolato «come agnello
senza difetti e senza macchia» (wJ~ ajmnou`` ajmwvmou kai; ajspivlou).
II.– LE 12 SALUTAZIONI
ª1.º Cai``re, ajmnou` kai; poimevno" mh``ter:
ª2.º cai``re, aujlh; logikw``n probavtwn.
ª3.º Cai`r` e, ajoravtwn ejcqrw``n ajmunthvrion:
ª4.º cai`r` e, paradeivsou qurw``n ajnoikthvrion.
[Ave, madre dell’Agnello e del Pastore;
ave, recinto di pecorelle razionali.
l’Akathistos riprenderà nella stanza XVIII: “Qual Dio era nostro Pastore,
ma volle apparire tra noi come agnello [opp.: come uomo]”. Maria, la
Theotokos, è madre dell’agnello-Pastore, cioè dell’uomo-Dio.
Però nel contesto liturgico-celebrativo della stanza VII Cristo
“Agnello-Pastore” assume un preciso significato: egli è Pastore, perché
conduce i fedeli ai pascoli della divina Parola; egli è agnello, perché li
nutre col suo sacrificio. Maria allora è la Madre del Pastore docente e
dell’Agnello immolato. Rilevo ancora una volta, in lettura mistagogica,
che l’Inno nella figura dei pastori di Betlemme vede i pastori della Chiesa,
cioè gli Apostoli e i Vescovi preposti al gregge per pascerlo.45
aujlh; logikw``n probavtwn – “recinto di pecorelle razionali”. Maria è
paragonata all’ovile o recinto nel quale si raccolgono e si riparano “peco-
relle razionali”. L’Akathistos si ricollega indubbiamente a Gv 10,1-16:
«Chi non entra nel recinto delle pecore (eij~ th;n aujlh;n tw``n probavtwn) attra-
verso la porta (dia; th``~ quvra~), ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un
brigante... Io sono la porta (hJ quvra) delle pecore...: se uno entra attraverso di
me, sarà salvo: entrerà e uscirà e troverà pascolo».
corpo della nostra natura. Apparve agnello, ma rimase pastore; fu stimato un servo, ma
non perse la dignità di Figlio; era portato da Maria, ed era rivestito dal Padre suo; calcava
la terra e riempiva il cielo...».
45 In questo senso Origene scrive: «Ascoltate, pastori delle Chiese, pastori di Dio: che
sempre il suo angelo discenda dal cielo e vi arrechi l’annunzio che “vi è nato oggi un
Salvatore, che è Cristo Signore”. I pastori delle Chiese infatti, se quel Pastore non fosse
venuto, non sarebbero riusciti a salvare il gregge: incerta è la loro custodia, se non è Cristo
a far pascolare il gregge e a custodirlo insieme con loro» (ORIGENES, Homiliae in Lucam,
12, 1-2: PG 13, 1828-1829).
46 CLEMENS ALEXANDRINUS, Paedagogus: SC 158, p. 198. È questa la frase che
l’Akathistos assume dall’inno a Gesù Salvatore di Clemente alessandrino: probavtwn
logikw`n` poimh;n a{gie, egli scrive: dove tuttavia i commentatori sono incerti sul significato
dell’aggettivo logikw`n` : potrebbe infatti indicare pecorelle dotate di umana ragione, quin-
di “razionali”, oppure – e questo si presume dal contesto del Pedagogo di Clemente –
“pecorelle del Verbo”, cioè di Cristo, pecorelle – diremmo noi – “spirituali”, nutrite dal
latte spirituale, che è lo stesso Verbo, come indica lo stesso Inno di Clemente (vv. 42-45):
“Cristo Gesù, latte celeste dai dolci seni di colei che è la sposa delle grazie (= la Chiesa)...”.
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“Porte del paradiso” dunque, per le quali si accede al Santo dei Santi,
dove è celebrata la liturgia celeste, porte per le quali è entrato nel mondo
Cristo Sommo Sacerdote e per le quali in figura Christi entrano ed escono
soltanto i celebranti e soltanto in alcuni momenti, quando la liturgia lo
richiede. La visione di Ezechiele citata spesso dai Padri della Chiesa sia di
oriente che di occidente a prova della verginità di Maria nel parto sta alla
base del simbolismo:
“Mi condusse poi alla porta esterna del santuario rivolta a oriente; essa era
chiusa. Il Signore mi disse: Questa porta rimarrà chiusa: non verrà aperta,
nessuno vi passerà, perché c’è passato il Signore, Dio d’Israele. Perciò resterà
chiusa” (Ez 44.1-2).
Verbo che discende dai cieli: lo accompagnano gli angeli esultanti, col can-
to dell’inno trisagio, al quale si associano in festa gli uomini.
Maria è il punto d’incontro della gioia universale, perché nel suo cuore
e nel suo grembo il Verbo è disceso e si è manifestato (v. [5]-[6]). La litur-
gia bizantina rende solenne questo momento celebrativo, cantando:
“Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi”.
«Nella tomba fosti con il tuo corpo, negli inferi con la tua anima come Dio,
in paradiso con il ladrone e sul trono sei assiso, o Cristo, con il Padre e lo
Spirito, tutto riempiendo, tu che sei non circoscritto».50
Deposto nel sepolcro col suo corpo trafitto, Cristo discese con l’anima
agli inferi, scardinando le potenze dell’inferno, liberandone i prigionieri, a
cominciare da Adamo ed Eva – come ricordano gli autori più antichi, tra i
quali Giustino, Ireneo, Melitone – per risalirne immortale con la sua glorio-
sa risurrezione, vestendo della sua gloria i redenti figli di Adamo. È questa
l’immagine conduttrice della Risurrezione, nell’omiletica e nella iconografia
della chiesa bizantina, dove il Signore vien visto scendere attraverso il legno
della Croce nel profondo dell’Ade per liberare dalla prigionia di satana e
richiamare a vita immortale Adamo e gli antichi padri. La discesa agli inferi
è ricordata nella prima lettera di Pietro (1 Pt 3,19-20), nelle omelie antiche
sulla sepoltura di Cristo e nell’innografia greca, specialmente negli inni di
Romano il Melode. Nei simboli di fede la discesa agli inferi è proclamata
soprattutto nelle formulazioni dei simboli occidentali, dal sec. IV in poi (ad
es., nel simbolo romano e in quello cosiddetto atanasiano). È ricordata nel-
l’anamnesi liturgica di diverse liturgie orientali e occidentali. È ciò che
mistagogicamente proclama l’Akathistos: “Per te fu spogliato l’inferno”.
di∆ h|" ejneduvqhmen dovxan. – “per te ci vestimmo di gloria”. Maria, la
Theotokos, la Vergine Madre, è dunque considerata “causa” di tale peren-
ne vittoria: di∆ h|", ”per mezzo tuo”. La sua divina e responsabile mater-
nità è alla base del sacrificio dell’Agnello immolato e risorto, e perdura
misticamente in ogni divina liturgia.
Così l’Inno ci mostra come la Madre di Dio, che negli splendori vergi-
nali ha generato il Salvatore a Betlemme, è sempre invisibilmente presente
50 La divina Liturgia del santo nostro padre Giovanni Crisostomo, cit., p. 41.
51 Ibidem, p. 91.
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nella comunità che celebra con fede ed esultanza i divini misteri: è presente
in tutti i momenti della celebrazione, come madre del Pastore che è Maestro
e dell’Agnello immolato che si fa sacrificio e banchetto. La luce che avvolse
i pastori di Betlemme (cf. Lc 2,9) ora si effonde e avvolge di gloria tutta la
Chiesa.
sapienti, gli incantatori e i maghi convocati dal faraone, che con le loro
magie operarono prodigi simili a quelli di Mosè (cf. Es 7,11.22; 8,3); o
come i maghi, indovini e astrologi famosi nel regno di Babilonia al tempo
di Nabucodonosor II e dei suoi successori (cf. Dn 1,20; 2,2.27; 4,4.6; 5,11,
ecc.), contro i quali tuonavano i profeti (cf. Is 2,6; 44,25; Ger 29,8; 50,36;
ecc.). Sono certamente “figli dei Caldei”, come li chiama l’Akathistos, ma
non in senso peggiorativo: in quanto essi provenivano dalla Caldea, la cui
gemma era Babilonia; e perché erano edotti nelle scienze astronomiche,
tanto accreditate presso i Caldei.
Con la conquista di Ciro (539 a.C.), Babilonia e l’intera Mesopotamia
divennero provincia della Persia. Ora, nella Persia dove si estese per secoli
il zoroastrismo (dal suo iniziatore il profeta iranico Zoroastro – ca. 600
a.C.), “magi” erano chiamati i sacerdoti sacri di quel culto, nel quale aveva
importanza capitale il “fuoco sacro”. È opinione comune che i tre saggi
che vennero dall’Impero persiano per portare doni a Gesù Cristo fossero
magi zoroastriani. Ora, al tempo della composizione dell’Akathistos, cioè
nel secolo V, il zoroastrismo era l’unica religione ufficiale dell’impero per-
siano dei Sassanidi, nemici acerrimi dell’impero bizantino.
Ci si domanda allora perché tanta importanza rivestano i magi nell’in-
segnamento patristico e nella celebrazione liturgica. Ricordo infatti che se
nel rito latino i magi sono commemorati il giorno dell’Epifania, il 6 gen-
naio, nel rito greco essi sono al centro del Natale del Signore, il 25 dicem-
bre, accanto ai pastori: pastori e magi infatti compongono l’accoglienza e
l’adorazione del “Salvatore”, del “Sovrano” che è disceso dai cieli ed è
nato dalla Vergine nella grotta di Betlemme. I pastori, anche nella nostra
esegesi occidentale fino ad oggi, raffigurano “i vicini”, cioè quel resto di
Israele che accolse Gesù come Messia; i magi rappresentano “i lontani”,
cioè tutti i popoli ancora idolatri o di altre credenze religiose che, toccati
dalla grazia, vengono alla fede ed entrano nella Chiesa, accogliendo Gesù
come Signore. Ora, che i gentili fossero anch’essi predestinati a diventare
eredi del Regno e figli di Dio, alla pari degli ebrei e senza distinzione da
essi, è il mistero che san Paolo chiama «nascosto da tutti i secoli e per tutte
le generazioni» (Col 1,26).
I magi dunque sono le primizie dei gentili che vengono alla vera fede,
i rappresentanti dell’umanità chiamata a diventare Chiesa di Cristo, il sim-
bolo stupendo dei cercatori di Dio.
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3. kai; wJ" luvcnon kratou`n` te" aujtovn ⁄ di∆ aujtou`` hjreuvnwn krataiovn
4. “Anakta:
5. kai; fqavsante" to;n a[fqaston, ∆ ejcavrhsan aujtw/` bow``nte":
6. ∆Allhlouvi>a.
[e tenendola come lucerna, per mezzo di essa ricercavano il potente
Sovrano: e avendo raggiunto l’Irraggiungibile, gioirono, gridandogli:
Alleluia!].
STANZA IX (Oi\ko" q v)
L’adorazione dei magi
I.– PROLOGO
«Entrati nella casa, [i magi] videro il bambino con Maria sua madre, si pro-
strarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro,
incenso e mirra».
«Mentre [la Madre] diceva fra sé queste parole e pregava colui che conosce i
segreti, udì i magi che chiedevano del fanciullo. La Vergine si rivolge a loro:
Chi siete voi?. Chi sei tu – risposero – chi sei tu, che hai messo al mondo un
simile bambino? Chi è tuo padre, chi è tua madre, chi tu, che sei Madre e
nutrice di un Figlio senza padre? Quando abbiamo veduto l’astro (cf. Mt 2,2)
capimmo che era apparso, nuovo Bambino, il Dio prima dei secoli:
È esatto il senso degli oracoli svelato da Balaam, quando disse che sarebbe
sorto un astro, il quale avrebbe spento gli altri oracoli e sortilegi (cf. Nm
23,23), astro che avrebbe sciolto le parabole dei sapienti, le sentenze loro e i
loro enigmi, astro più risplendente di quello che i nostri occhi possono vede-
re, poiché egli è il Creatore di tutti gli astri e del quale fu predetto: “Da
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3. kai; Despovthn noou`n` te" aujtovn, ⁄ eij kai; douvlou e[labe morfhvn,
[e considerando che egli era il Signore, benché avesse assunto forma di ser-
vo,]
Il passaggio è logico: da iJdovnte~ a noou``nte": dal “vedere” corporale
al “vedere” spirituale, con la mente e con l’anima. Vedono un bambino: lo
riconoscono “Sovrano”, Padrone assoluto del mondo, nonostante le ester-
ne apparenze. Qui l’Akathistos si richiama direttamente alla lettera di san
Paolo ai Filippesi (Fil 2,6-7):
«pur essendo nella condizione di Dio (ejn morfh``/ qeou`` uJpavrcwn), non ritenne
un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizio-
ne di servo (morfh;n douvlou labwvn), divenendo simile agli uomini e dall’a-
spetto riconosciuto come uomo (kai; schvmati euJreqei;~ wJ~ a[nqrwpo~)...».
II.– LE 12 SALUTAZIONI
ª1.º Cai``re, ajstevro" ajduvtou mh``ter:
ª2.º cai``re, aujgh; mustikh``" hJmevra".
ª3.º Cai`r` e, th``" ajpavth" th;n kavminon sbevsasa:
ª4.º cai`r` e, th`"
` Triavdo" tou;" muvsta" fwtivzousa.
[Ave, Madre dell’intramontabile Astro;
ave, aurora del mistico Giorno.
Ave, Tu hai spento la fornace dell’inganno;
ave, Tu illumini gli iniziati della Trinità].
ª5.º Cai``re, tuvrannon ajpavnqrwpon | ejkbalou``sa th``" ajrch``":
ª6.º cai``re, kuvrion filavnqrwpon | ejpideivxasa Cristovn.
ª7.º Cai``re, hJ th``" barbavrou | lutroumevnh qrhskeiva":
ª8.º cai``re, hJ tou`` borbovrou | rJuomevnh tw``n e[rgwn.
[Ave, Tu hai scacciato dal potere il tiranno misantropo;
ave, Tu hai mostrato il Cristo quale Signore filantropo.
Ave, sei Tu che riscatti da barbara superstizione;
ave, sei Tu che liberi dalle opere del fango].
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 16:59 Pagina 69
56 Cf. J.
GOAR, Euchologion sive Rituale Graecorum, Editio seconda expurgata, & accu-
ratior, Venetiis 1730 (riproduzione fotostatica: Akademische Druck-U. Verlagsanstalt,
Graz 1960), p. 279-286. Per il rito delle rinunce (testo e rubriche), p. 279-281. J. Goar
riproduce in queste pagine, in due colonne, cioè testo greco con traduzione latina, l’euco-
logio dell’antico manoscritto greco del secolo VIII, cod. Barberinianus graecus 336, ora
conservato nella Biblioteca Vaticana.
Di questo celebre manoscritto è stata recentemente curata una edizione critica del
solo testo greco da Stefano PARENTI ed Elena VELKOVSKA, L’eucologio Barberini gr. 336,
C.L.V. Edizioni liturgiche, Roma 1995: il testo dei riti pre-battesimali di rinuncia-adesione
(p. 143-152) è sostanzialmente identico nelle due edizioni.
Per una visione sintetica dei vari riti orientali sulle rinunce pre-battesimali: A. RAES,
Introductio in liturgiam orientalem. Romae, Pontificium Institutum Studiorum
Orientalium, 1947, p. 125-131. Dal prospetto che A. Raes propone (p. 130-131) risulta
comune a tutti i riti orientali antichi (bizantino, armeno, siriaco, maronita, caldeo, copto
ed etiopico) la rinuncia a satana, con la faccia rivolta ad occidente e le mani alzate; il vol-
tarsi poi verso oriente, con le mani abbassate, per l’adesione a Cristo e la professione di
fede costantinopolitana. Il catecumeno, rivolto ad occidente, dopo aver risposto afferma-
tivamente per tre volte di rinunciare a satana, alle sue opere, ai suoi culti, è invitato a spu-
tare contro di lui; quindi, rivolto verso oriente, dopo la triplice affermazione di “credo” e
la recita del Credo costantinopolitano, è invitato ad adorare il Cristo. La formula che pro-
nuncia è: “Adoro il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, Trinità consostanziale e indivisibile”:
è una professione di fede “trinitaria”. Questi gesti e parole sono rimasti in uso fino ad
oggi, adattandoli ovviamente al battesimo dei bambini.
Poiché sembra cosa tanto singolare a noi questa forma della rinuncia a satana e della
professione di fede dei catecumeni (o dei bambini) nel rito bizantino, mi permetto di tra-
durre la formula delle rinunce battesimali dall’opera di Euthyme MERCÉNIER,
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 17/05/17 17:20 Pagina 70
Sole divino che sorge a illuminare il mondo: egli infatti è «la Luce vera
che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Il suo Natale è dunque il Natale del Sole.
Si sa che al sole erano dedicati molti culti antichi, specialmente in Egitto e
in Babilonia, e molte divinità di tutti i luoghi della terra venivano identificate
col sole. Il primo giorno della settimana nell’impero romano era il “dies
solis”: solo nel 383, per decreto dell’imperatore Teodosio, il “dies solis” fu
ufficialmente rinominato “dies dominica”, per commemorare la risurrezio-
ne di Cristo. Così Cristo che nasce e Cristo che risorge glorioso viene sim-
boleggiato con l’immagine del sole.
Il mistero del Natale come i misteri pasquali – tanto del Capo come dei
battezzati a Pasqua nel suo nome – sono pertanto illuminati dal Sole divino.
Maria è la vera “Madre” di Cristo, ella è pertanto la sorgente umana
della Luce divina [v. 1], dell’“Astro che non tramonta”, l’aurora del Sole
che sorge dall’alto, il «sole che sorge dall’alto (ajnatolh; eJx u{you~) per
risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte» (Lc
1,78-79).
aujgh; mustikh`"
` hJmevra" – “alba del mistico Giorno”. Cristo è anche “il
Giorno”: già Giustino, interpretando il Sal 117 (118),24: «Questo è il giorno
th``" ajpavth" th;n kavminon sbevsasa – “Tu hai spento la fornace del-
l’inganno”. La “fornace” ci ricorda soprattutto il libro di Daniele e i tre fan-
ciulli gettati da Nabucodonosor nella “fornace di fuoco” (th;n kavminon tou``
purov~) per non aver rinnegato il loro Dio: Dio che alla fine del racconto
Nabucodonosor riconosce come il solo Dio che possa operare ciò egli ha fat-
to per loro (cf. Dn 3,6-96).
In luogo di kavminon tou`` purov~ l’Akathistos usa th``" ajpavth" th;n kav-
minon – “la fornace dell’inganno”, cioè il divampare di una idolatria vana e
fallace. Babilonia infatti contava innumerevoli divinità di invenzione assiro-
babilonese, cui veniva tributato culto idolatrico, con templi fastosi e riti
solenni. Da quell’ambiente provengono i magi. Ora la Theotokos, donando
al mondo il vero Dio e la sua conoscenza, ha spento queste fiamme idolatri-
che e ingannevoli.
th`"
` Triavdo" tou;" muvsta" fwtivzousa – “Tu illumini gli iniziati della
Trinità”. fwtivzousa: il battesimo fin dai tempi apostolici veniva definito
“illuminazione” (fwtismov~) e i neofiti erano detti “illuminati” (cf. Eb 6,4).
Generando la Luce vera, con ciò stesso la Vergine dimostra falsa l’idolatria e
spegne la fucina degli errori menzogneri dei culti pagani – culti primariamen-
te degli astri e del fuoco presso gli assiri e i babilonesi –, mentre, come stella,
guida i magi e gli iniziati (tou;" muvsta"), cioè i catecumeni, alla conoscenza
del vero Dio, uno nell’essenza, trino nelle persone, irradiando luce sul loro
cammino. Al fonte battesimale infatti, prima di essere immersi nell’acqua, ai
catecumeni per tre volte viene chiesto di professare solennemente la fede nel
Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.59
L’accenno alla Theotokos come guida al mistero della Trinità è già
accennato nell’omelia IV di Cirillo di Alessandria, pronunciata durante il
Concilio di Efeso: “per te è glorificata e santificata la Trinità”.60 Infatti, la
manifestazione della Trinità è avvenuta proprio all’Annunciazione, con l’in-
carnazione del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo: la Vergine Madre
di Dio è la prova tangibile dell’azione della santissima Trinità: Padre, Figlio
incarnato e Spirito Santo.
ª5.º Cai``re, tuvrannon ajpavnqrwpon | ejkbalou``sa th``" ajrch``":
ª6.º cai``re, kuvrion filavnqrwpon | ejpideivxasa Cristovn.
[Ave, Tu hai scacciato dal potere il tiranno misantropo;
ave, Tu hai mostrato il Cristo quale Signore filantropo].
dalla sua tirannica dominazione. Satana infatti è il tiranno che, per odio
dell’uomo, già con Adamo ed Eva si è subdolamente assoggettato la
stirpe umana, rendendola schiava dei vizi e delle idolatrie, nelle forme
più svariate e nocive. Si è insediato come su un trono, in luogo di Dio.
Rinunciare dunque sinceramente a lui e a tutte le sue forme di dominio
è come sbalzarlo dal suo tirannico potere.
Causa di questa rovina di Satana è la Madre di Dio, che ci ha dona-
to il Redentore. Cirillo di Alessandria, nell’omelia IV pronunciata ad
Efeso, affermava della Vergine Theotokos:
di jh|" daivmone" fugadeuvontai,
di hj "
| diavbolo" peiravzwn e[pesen ejx oujranou`,`
di hj "
| to; ejkpeson; plavsma eij" oujranou;" ajnalambavnetai,
di hj "
| pa`s` a hJ ktivsi" eijdwlomaniva/ katecomevnh
eij" ejpivgnwsin ajlhqeiva" ejlhvluqe...
[per te i demoni sono messi in fuga;
per te il diavolo tentatore cadde dal cielo;
per te la creatura decaduta è ricondotta ai cieli;
per te tutto il creato prigioniero del culto degli idoli
è ritornato alla conoscenza della verità]...61
61 Ibidem.
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 18:55 Pagina 75
STANZA X (Oi\ko" i v)
Il cammino di ritorno dei magi
Il cuore della stanza X è “l’altra via” che presero i magi per ritornare
al loro paese, come racconta il vangelo di Matteo:
«Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno
al loro paese: di∆a[llh~ oJdou`` ajnecwvrhsan eij~ th;n cwvran aujtw`n` » (Mt 2,12).
L’ignoranza del re Erode però si associa alla sua astuzia, per tutt’altro
fine che di adorare il neonato Re dei giudei. Racconta il vangelo:
«Allora Erode, chiamati segretamente i magi, si fece dire da loro con esattezza il
tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: Andate e infor-
matevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere,
perché anch’io venga ad adorarlo. Udito il re, essi partirono» (Mt 2,7-9).
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 24/05/17 19:15 Pagina 79
Ugualmente i magi, guidati dalla stella del “nato Re dei Giudei”, venne-
ro verso la città di Davide non istruiti da un angelo, ma da un’antica profezia
che certo conoscevano, la profezia di Balaam riferita nel libro dei Numeri
(cap. 22-24), specialmente in Nm 24,17:
«Io lo vedo, ma non ora,
io lo contemplo, ma non da vicino:
una stella spunta da Giacobbe (ajnatelei`` a[stron ejx ∆Iakwvb)
e uno scettro sorge da Israele (kai; ajnasthvsetai a[nj qrwpo~ ejx ∆Israhvl)».
Balaam, figlio di Beor, proveniva dalla terra di Aram, “da Petor (LXX:
Faqouvra), che sta sul fiume” (Nm 22,5; cf. Dt 23,5), cioè sul fiume Eufrate.
Gli aramei infatti, popolo nomade semitico, abitavano nelle zone medio-
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 18:58 Pagina 81
Erode dunque è l’antitesi del vero sapiente, e quindi anche dei sapienti
venuti da Babilonia alla ricerca del vero Dio: conosciuta la verità, essi lascia-
no da parte la strada che porta sulla direzione di Erode, e “per un’altra via”
fanno ritorno a Babilonia.
Così i catecumeni, dopo aver professato per tre volte la loro fede in
Cristo, diventano i suoi araldi, nella nuova via che li impegna in una vita
nuova.
STANZA XI (Oi\ko" ia v)
Ingresso ed esodo dall’Egitto
I.– PROLOGO
4. pevptwken:
5. oiJ touvtwn de; rJusqevnte" ∆ ajnebovwn pro;" th;n Qeotovkon:
[Avendo fatto risplendere in Egitto lo splendore della verità, fugasti la
tenebra dell’errore: infatti i suoi idoli, o Salvatore, non sostenendo la
tua potenza, caddero; mentre gli affrancati da loro acclamavano alla
Madre di Dio:]
6. Cai``re, Nuvmfh ajnuvmfeute.
Con la stanza XI, sotto il profilo mistagogico, siamo ricondotti alla più
antica simbologia pasquale e battesimale, comune a tutti i Padri della
Chiesa, orientali e occidentali: la schiavitù ebraica in Egitto e la prodigiosa
liberazione dalle mani del faraone, attraverso il Mar Rosso, nel cammino
esultante verso la terra promessa.
Il testo biblico che fa da sfondo è il racconto del vangelo di Matteo,
che narra come dopo il ritorno dei magi al loro paese, ebbe luogo l’eccidio
dei bambini di Betlemme e la fuga notturna della sacra Famiglia in Egitto,
dove rimasero fino alla morte del re Erode; e ricorda il loro ritorno alla ter-
ra natale. Così infatti riferisce Matteo:
«Essi [i magi] erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in
sogno a Giuseppe e gli disse: Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre,
fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il
bambino per ucciderlo. Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre
e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse
ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: Dall’Egitto ho chia-
mato mio figlio» (Mt 2,13-15).
«Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in
Egitto e gli disse: Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra
d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino. Egli si
alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma quando
venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode,
ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea
e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era
stato detto per mezzo dei profeti: Sarà chiamato Nazareno» (Mt 2,19-23).
«Oracolo sull’Egitto.
Ecco, il Signore cavalca una nube leggera ed entra in Egitto.
Crollano gli idoli dell’Egitto davanti a lui
e agli Egiziani viene meno il cuore nel petto...
Dove sono, dunque, i tuoi saggi? Ti rivelino e manifestino
quanto ha deciso il Signore degli eserciti a proposito dell’Egitto.
Stolti sono i principi di Tanis; si ingannano i principi di Menfi.
Hanno fatto traviare l’Egitto i capi delle sue tribù...
In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di
Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città
del Sole. In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla ter-
ra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: sarà un
segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto.
Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà
loro un salvatore che li difenderà e li libererà. Il Signore si farà conoscere agli
Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno
con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno» (Is 19,1-21).
«Allora il Signore disse a Mosè: “Stendi la mano verso il cielo: vengano sulla
terra d’Egitto tenebre (skovto"), tali da potersi palpare!”... Ma per tutti gli
Israeliti c’era luce (fw``~ ) là dove abitavano» (Es 10,21-23).
3. ta; ga;r ei[dwla tauvth", Swthvr, | mh; ejnevgkantav sou th;n ijscuvn,
4. pevptwken:
[I suoi idoli infatti, o Salvatore, non sostenendo la tua potenza,
caddero].
Quindi, prosciolti dal potere del temibile nemico – “il forte” che è sata-
na –, i neofiti possono acclamare la Madre di Dio, come colei che ha loro
portato la liberazione. Il vaticinio di Isaia, al quale l’Akathistos si ispira, par-
la di una “nube leggera” che il Signore cavalca per entrare in Egitto (ejpi;
nefevlh~ kouvfh~). Il titolo di “nube” o di “nube leggera” viene sovente
applicato a Maria nell’omiletica del V secolo. Cito soltanto Proclo, nel ser-
mone I sul Natale, pronunciato nel Natale 428 alla presenza di Nestorio e
incluso negli Atti del Concilio di Efeso:
«Ci ha dunque qui convocati la santa Madre di Dio, la Vergine Maria, l’incon-
taminato cimelio della verginità, il razionale paradiso del secondo Adamo,
l’officina delle nature di Cristo, il mercato del commercio salvifico, il talamo
nel quale il Verbo sposò la carne, l’umano animato roveto che il fuoco di un
parto divino non consunse (cf. Es 3,2); la nube veramente leggera (hJ o[ntw~
kouvfh nefevlh) che portò unito a un corpo colui che siede sopra i cherubini
(cf. Is 19,1)».63
II.– LE 12 SALUTAZIONI
alla terra promessa, con i prodigi che l’accompagnarono: Dio infatti mar-
ciava alla loro testa (Es 13,21) e li guidava. I fatti sono narrati in Es 13-17,
e altrove. L’esegesi origeniana a commento dell’Esodo, dei Numeri e di
Giosuè, aveva poi fortemente orientato in chiave battesimale la lettura dei
prodigi antichi e del cammino del popolo ebraico nel deserto.
La lettura tipologica di questi eventi nelle celebrazioni pasquali di tut-
te le Chiese cristiane, fino ad oggi, risale agli apostoli. L’Inno si ispira
soprattutto al testo e contesto chiaramente battesimale della prima lettera
ai Corinzi di san Paolo:
«Non voglio infatti che ignoriate che i nostri padri furono tutti sotto la nube,
tutti attraversarono il mare, tutti furono battezzati in rapporto a Mosé nella
nube e nel mare, tutti mangiarono lo stesso cibo spirituale, tutti bevvero la
stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li
accompagnava, e quella roccia era il Cristo... Tutte queste cose però accadde-
ro a loro come esempio, e sono state scritte per nostro ammonimento, di noi
per i quali è arrivata la fine dei tempi» (1Cor 10,1-11).
della vera Vita. Cristo infatti è l’Acqua viva che mai si esaurisce e sempre
disseta, come disse alla donna samaritana:
«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu
stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4,10).
«Il Signore marciava (hJgei``to) alla loro testa di giorno con una colonna di
nube (ejn stuvlw/ nefevlh~), per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con
una colonna di fuoco (ejn stuvlw/ purov~), per far loro luce, così che potessero
viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla
vista del popolo, né la colonna di fuoco durante la notte» (Es 13,21-22).
«Per tutto il tempo del loro viaggio, quando la nube s’innalzava e lasciava la
Dimora, gli Israeliti levavano le tende. Se la nube non si innalzava, essi non
partivano, finché non si fosse innalzata. Perché la nube del Signore, durante
il giorno, rimaneva sulla Dimora e, durante la notte, vi era in essa un fuoco,
visibile a tutta la casa d’Israele, per tutto il tempo del loro viaggio» (Es
36,36-38).
«Allora il Signore disse a Mosè: “Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per
voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché
io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge”... Al
mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato
di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulo-
sa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’al-
tro: “Che cos’è?”, perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: “È il
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 19:05 Pagina 93
pane che il Signore vi ha dato in cibo”... Gli Israeliti mangiarono la manna per
quarant’anni, fino al loro arrivo in una terra abitata: mangiarono la manna fin-
ché non furono arrivati ai confini della terra di Canaan» (Es 16,4.13-15.35).
Ora, la manna, che scendeva nel deserto la notte, era considerata come
“pane dal cielo” che Dio elargiva giorno per giorno al suo popolo:
«Fece piovere su di loro la manna per cibo
e diede loro pane del cielo:
l’uomo mangiò il pane dei forti;
diede loro cibo in abbondanza» (Sal 78,24-25).
E il libro della Sapienza chiama la manna “cibo degli angeli”, che mani-
festava la dolcezza di Dio, perché si adattava al gusto di chi ne mangiava:
«Hai sfamato il tuo popolo con il cibo degli angeli,
dal cielo hai offerto loro un pane pronto senza fatica,
capace di procurare ogni delizia e soddisfare ogni gusto» (Sap 16,20).
Gesù applica a sé l’evento antico, nella novità del significato: egli infat-
ti è la vera manna, il Pane dal cielo, che Dio Padre ha donato al mondo
perché chi ne mangia non muoia, ma abbia la vita:
«In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo (to;n
a[rton ejk tou`` oujranou``), ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello
vero... Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel
deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne
mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di
questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo» (Gv 6,32.48-51).
Gesù stesso dunque interpreta la manna che Dio Padre, non Mosè,
fece piovere dal cielo sugli israeliti nel deserto, e la dice “tipo e figura” del
pane vero che egli è e che egli dà da mangiare ai credenti con la sua carne
e il suo sangue: col sacramento dell’Eucaristia.
Ma poiché incarnandosi il Verbo ha assunto da Maria la carne e il san-
gue che dona in cibo e bevanda ai suoi, giustamente si può dire che è
anche Maria che lo dona loro, “in sostituzione del cibo della manna”.
A questo punto però sorge una non piccola difficoltà testuale, un vero
“scoglio” esegetico, un “rebus” da risolvere. Io rimetto la soluzione defi-
nitiva ai grecisti più esperti. Da parte mia, propongo una ipotesi che credo
accettabile da tutti.
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 19:05 Pagina 94
«Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito
il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono
sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso
una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele (eij~ gh``n
rJevousan gavla kai; mevli)...”» (Es 3,7-8).
in “mevli kai; gavla”, eccetto un passo del Cantico dei Cantici (Ct 4,11),
che però non parla di terra promessa, ma delle labbra della Sposa.
Nel Nuovo Testamento mai si parla di terra che scorre latte e miele; il
tema invece è ripreso dalla tradizione patristica antica, come la Lettera di
Barnaba, Eusebio, Epifanio, Origene, Atanasio, Cappadoci, Crisostomo,
ecc.
Perché allora l’Akathistos ha intenzionalmente invertito i termini gav-
la kai; mevli consacrati dalla tradizione biblica, e ha preferito mevli kai;
gavla? Non certo per esigenze sillabiche, ma forse per insinuare che il
Cristo, che scorre da Maria, è insieme dolcezza come il miele e nutrimento
come il latte.
Percorrendo gli antichi scritti patristici, specialmente catechetici, mi
sono convinto del perché di questa trasposizione. Clemente alessandrino,
nell’opera “Il Pedagogo” (dalla quale l’Akathistos ha assunto un’espressio-
ne letterale nella stanza VII), tratta lungamente dell’illuminazione battesi-
male, con la quale, rivestiti di Cristo, e deposto l’uomo vecchio, siamo
diventati come “bambini” neonati di Dio, nutriti dal “latte” del Logos,
che è Cristo.66
In quest’opera è a tutti nota l’immagine di Maria, e insieme della
Chiesa, che nutre i suoi bambini col latte celeste:
«Tutte le donne pregnanti, divenute madri, danno il latte. Ma Cristo Signore,
frutto della Vergine, non ritenne beate le mammelle di donna né le giudicò
capaci di nutrire; ma dopo che il Padre amoroso e benigno piovve dal cielo il
Verbo, egli stesso divenne ormai il nutrimento spirituale per gli uomini sapienti.
O miracolo mistico! Uno solo è il Padre dell’universo, uno solo è anche il Verbo
dell’universo, e pure uno è lo Spirito Santo ed è dappertutto. Una sola è anche
la madre-vergine: a me piace chiamarla Chiesa. Solo questa madre non ebbe lat-
te, perché unica a non essere donna: è vergine e madre insieme; intatta come
vergine, amorosa come madre. Ella chiama a sé i bambini e li nutre col latte,
cioè col Verbo fatto bambino. Perciò non ebbe latte, perché suo latte era il
Verbo, questo bambino bello e suo, il corpo di Cristo, nutrendo con il Logos la
novella progenie, che il Signore stesso concepì e partorì nel dolore della carne
e poi l’avvolse nelle fasce del suo prezioso sangue».67
68 Ibidem, p. 202.
1. Akathistos commento.def.12/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 16/05/17 19:08 Pagina 99
Il resto della pericope lucana (Lc 2,33-40), benché sia parte integrante
della celebrazione liturgica, non viene considerata dall’inno Akathistos.
71 Che Simeone lo abbia ricevuto dalle mani di Maria è sottinteso da tutto il con-
testo lucano che pone al centro appunto tanto il Figlio quanto la Madre (cf. Lc 2,34-
35). Un commento innografico dell’evento è il celebre kontakion di Romano il Melode
(490-560 c.) sull’Ipapante (SC 110, pp. 174-196). Ne cito la strofa V: «... Così fu intro-
dotto nel tempio il Signore: portato con gli olocausti, come riferisce la Scrittura (cf. Lc
2,24), ed il beato Simeone lo ricevette dalle mani della Madre (cf. Lc 2,28). Gioia e
timore si alternavano nel giusto, poiché con gli occhi dell’anima vedeva le schiere degli
arcangeli e degli angeli che, in grande timore, glorificavano Cristo. Tra sé così suppli-
cando, esclamò: “Tu custodiscimi: il fuoco della divinità non mi consumi, o unico
Amico degli uomini!”».
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 25/05/17 17:33 Pagina 102
kai; qeov" – “anche Dio”. Non si può infatti tradurre “lo riconobbe
Dio”, oppure: “lo riconobbe come Dio”; ma lo riconobbe “anche Dio”,
sottintendendo ambedue le nature, quella umana visibile nel “bambino”,
e quella “divina” celata nella carne umana. Egli dunque si manifesta
“come bambino”, ma è “anche Dio”.
tevleio" – “perfetto”. Questo aggettivo apposto al nome di Dio con-
ferma che in Simeone si tratta di una vera professione di fede calcedonese.
Infatti, non c’è alcun dubbio che Dio in quanto Dio sia in sé perfetto: ma
questo aggettivo attributivo non è comune nella tradizione patristica, che
piuttosto evidenzia altre proprietà divine: la potenza, la sapienza, l’eter-
nità, la misericordia, ecc. Il termine tevleio" – “perfetto” invece è assunto
dalla definizione di Calcedonia in contrappunto – se così si può dire – tra
la divinità e l’umanità. È umanità “perfetta” infatti la natura umana che il
Figlio di Dio unì ipostaticamente alla natura divina: umanità perfetta, cioè
corpo, anima razionale e quanto appartiene all’uomo quale Dio l’ha crea-
to, senza diminuzioni (contro l’errore apollinarista che negava la ragione e
il libero arbitrio in Cristo); ma altrettanto “perfetta” rimane la sua divinità,
senza diminuzioni o aggiunte (quasi che l’umanità assunta entri a far parte
della divinità). Da ambedue le nature e in ambedue le nature, però, uno
solo è il Figlio, unico e identico, perfetto nella divinità, perfetto nell’uma-
nità assunta. Cito due incisi di Calcedonia:
tevleion to;n aujto;n ejn qeovthti – “perfetto egli stesso in divinità”
kai; tevleion to;n aujto;n ejn ajnqrwpovthti – “e perfetto egli stesso in umanità”.72
***
i molti fratelli, cioè tra i fedeli, alla generazione e formazione dei quali essa
coopera con amore di Madre» (LG 63).
Maria Theotokos è dunque tanto nell’epifania secondo la carne del
Figlio unigenito, quanto nel suo dilatarsi alle membra attraverso la Parola
e i sacri Misteri, per farsi presente e operante nei fedeli come Capo nel
Corpo, Sposo con la Sposa immacolata.
I.– PROLOGO
74 Leggiamo in Gen 3,1-13: «Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche
fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: “È vero che Dio ha detto: Non dovete man-
giare di nessun albero del giardino?”. Rispose la donna al serpente: “Dei frutti degli albe-
ri del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giar-
dino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morire-
te”. Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi
ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene
e il male”. Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e
desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede
anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti
e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Poi
udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l’uomo con
sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore
Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”. Rispose: “Ho udito il tuo passo nel giardino:
ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto”. Riprese: “Chi ti ha fatto sapere
che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangia-
re?”. Rispose l’uomo: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io
ne ho mangiato”. Il Signore Dio disse alla donna: “Che hai fatto?”. Rispose la donna: “Il
serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”».
75 Il primo dei Padri della Chiesa che abbia istituito un parallelismo simmetrico e
antitetico tra Eva e Maria è Giustino martire († c. 165), nel Dialogo con Trifone
Giudeo. Egli scrive: «[Il Cristo] si è fatto uomo dalla Vergine, affinché per quella via
dalla quale ebbe principio la disobbedienza provocata dal serpente, per la stessa via
fosse annientata. Eva infatti, quand'era ancor vergine e incorrotta (parqevno~ ga;r
ou[sa Eu[a kai; a[fqoro~), concepì la parola del serpente e partorì disobbedienza e mor-
te. Invece Maria, la Vergine, accolse fede e gioia (pivstin de; kai; cara;n labou``sa
Mariva hJ parqevno~), quando l'angelo Gabriele le recò il lieto annuncio che lo Spirito
del Signore sarebbe venuto su di lei e che la Virtù dell'Altissimo l'avrebbe adombrata,
e che per questo motivo il Santo nato da lei sarebbe Figlio di Dio; e rispose: “Mi avven-
ga secondo la tua parola” (Lc 1,38). Da lei è nato costui, del quale parlano tante
Scritture, come abbiamo mostrato: per mezzo di lui Dio annienta tanto il serpente,
quanto gli angeli e gli uomini che gli sono somiglianti, e opera la liberazione dalla mor-
te per coloro che si convertono dalle loro opere malvage e credono in lui» (IUSTINUS
MARTYR, Dialogus cum Tryphone iudaeo, 100: PG 6, 709-712).
del peccato “era vergine” (parqevno~ ga;r ou[sa), istituendo quindi un confronto anti-
tetico tra due vergini: la prima all’inizio della storia umana e della caduta, la seconda
all’inizio, anzi essa stessa causa della restaurazione del genere umano con la sua incon-
dizionata adesione e ubbidienza a Dio.
Questa prima contrapposizione tra Maria ed Eva – contrapposizione che dura in
tutte le tradizioni ecclesiali fino ad oggi, ed è anche ripresa dal Concilio Vaticano II (LG
56 e 63) – ebbe il più alto esponente in Ireneo di Lione († c. 200), specialmente nel suo
trattato contro le eresie. Cito: «Ugualmente [in somiglianza cioè col parallelo antitetico
tra Cristo e Adamo] si trova anche la Vergine Maria obbediente quando dice: “Ecco la
tua serva, Signore, avvenga di me secondo la tua parola” (cf. Lc 1,38). Eva invece disob-
bedì, e fu disobbediente mentre era ancora vergine (adhuc cum esset virgo)... Come Eva
dunque, disobbedendo, divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così
Maria, che pur avendo lo sposo che le era stato assegnato era vergine (habens praedesti-
natum virum, et tamen virgo), obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il
genere umano... Così dunque il nodo della disobbedienza di Eva trovò soluzione grazie
all’obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato per la sua incredulità, Maria l’ha sciol-
to per la sua fede» (IRENAEUS, Adversus haereses, III, 22, 4; PG 7, 958-960).
In tal modo, scrive altrove Ireneo, «come [Eva] fu sedotta dalla parola dell’angelo
in modo da fuggire Dio trasgredendo la sua parola, così questa [Maria] ricevette il lieto
annunzio per mezzo della parola dell’angelo, in modo da portare Dio obbedendo alla
sua parola; e come quella si lasciò sedurre in modo da disobbedire a Dio, così questa
si lasciò persuadere in modo da obbedire a Dio, affinché la Vergine Maria divenisse
avvocata della vergine Eva (uti virginis Evae Maria fieret advocata); e come il genere
umano fu legato alla morte per mezzo di una vergine, così ne fu liberato per mezzo di
una vergine, perché la disobbedienza di una vergine fu controbilanciata dall’obbedien-
za di una vergine» (ibidem, IV, 19,1: PG 7, 1175-1176).
La verginità “incorrotta” di Maria è dunque al centro del parallelo antitetico di
Giustino e di Ireneo con Eva.
76 Non è fuori luogo ricordare la lettera del papa Leone Magno a Flaviano di
Costantinopoli, letta e applaudita nel Concilio di Calcedonia, che dice: «Viene dunque
in questa infima parte del mondo il Figlio di Dio, discendendo dalla sede celeste ma
senza allontanarsi dalla gloria del Padre, generato in modo nuovo e con nascita nuova
(novo ordine, nova nativitate generatus). ... È stato generato con nuova nascita, perché
la verginità inviolata (inviolata virginitas) non ha conosciuto la concupiscenza, ma ha
fornito solo la materia della carne...» (LEO MAGNUS, Epistola 28 dogmatica ad
Flavianum, 4: PL 54, 767-768).
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 21/05/17 12:49 Pagina 107
II.– LE 12 SALUTAZIONI
77 Cito nella traduzione italiana, usata dalla “Divina Liturgia del nostro Padre
Giovanni Crisostomo” (Roma 1967, p. 112-113), il più celebre dei tropari bizantini: «È
veramente giusto proclamare beata te, o Deipara, che sei beatissima, tutta pura e
Madre del nostro Dio. Noi magnifichiamo te, che sei più onorabile dei Cherubini e
incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, che in modo immacolato (ajdiafqovrw~)
partoristi il Verbo di Dio, o vera Madre di Dio».
78 CYRILLUS ALEXANDRINUS, Homilia IV Ephesi habita, 1: PG 77, 992.
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80 Scrive Ireneo: «Come Eva fu sedotta dalla parola dell’angelo in modo da fuggire
Dio trasgredendo la sua parola, così Maria ricevette il lieto annunzio per mezzo della
parola dell’angelo, in modo da portare Dio obbedendo alla sua parola; e come quella
si lasciò sedurre in modo da disobbedire a Dio, così questa si lasciò persuadere in
modo da obbedire a Dio, affinché la Vergine Maria divenisse avvocata della vergine
Eva (uti virginis Evae Maria fieret advocata); e come il genere umano fu legato alla mor-
te per mezzo di una vergine, così ne fu liberato per mezzo di una vergine, perché la
disobbedienza di una vergine fu controbilanciata dall’obbedienza di una vergine»
(IRENAEUS, Adversus haereses, IV, 19,1: PG 7, 1175-1176).
Romano il Melode, nel kontakion II per il Natale, rappresenta scenograficamente
Adamo ed Eva, che uscendo dalla loro tenebrosa prigionia, vengono al presepio, dove la
Madre vergine ninna il divin Bambino: ambedue la supplicano di intercedere liberazione
per sé e per tutta la stirpe umana: «Eccomi ai tuoi piedi, o Vergine Madre immacolata e,
mio tramite, tutta la mia stirpe ti sta davanti. Non disprezzare i tuoi genitori, poiché il
Bambino tuo ha rigenerato quanti sono nella corruzione. O figlia, abbi pietà di me invec-
chiato nell’Ade, Adamo, prima creatura... Vedi i cenci che il serpente fabbricò per vestir-
mi, difendi la mia estrema povertà presso Colui che hai messo al mondo, o Piena di gra-
zia!». «O speranza della mia anima, ascolta anche me, Eva, e allontana la vergogna di
colei che partorì nei dolori...». «Gli occhi di Maria, su Eva e su Adamo, si empirono di
lacrime... Le sue viscere furono scosse dalla compassione per i parenti, perché al
Misericordioso era Madre una Madre di tenerezza... Non vi agitate più, bandite ogni tur-
bamento: io vado da lui, io, la Piena di grazia... [e rivolta al Figlio:] Parlo liberamente a
te come a Figlio, ho la confidenza di una madre, perché tu hai dato a me, con la tua nasci-
ta, ogni gioia». E Gesù Bambino, accogliendo la supplica della Madre, le svela il modo
con cui salverà con Adamo ed Eva tutto il genere umano, cioè con la sua futura passione
(J. GROSDIDIER DE MATONS, Romanos le Mélode. Hymnes: SC 110, pp. 88-110).
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Maria dunque è “la Vergine che scioglie i nodi”, “di molti traviati”,
cioè di tutti i figli di Eva, ottenendo indulgenza e perdono per i tanti che
soccombono e cadono.
stolh; tw``n gumnw``n parjrJhsiva" – “veste agli ignudi di fiducia”. Si leg-
ge di Adamo e di Eva che dopo il peccato conobbero di essere “nudi”:
«Si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno
e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del
giardino (Gen 3,7-8)».
Non si tratta solo di una nudità corporale, ma della loro nudità “sopran-
naturale”: Adamo ed Eva si accorsero di aver perduto la grazia divina, e con
la grazia anche la confidenza, la fiducia, il coraggio di parlare con Dio.
Perciò si nascosero per paura dalla sua presenza, e risposero solo quando
furono da Lui convocati a giudizio.
82 Ricordo, fra gli altri Padri, Ippolito romano, che scrive: «Fu lui che trasse dal
più profondo dell’Ade il primo uomo formato dalla terra, caduto e tenuto nelle catene
della morte; che discese dall’alto e sollevò alle altezze l’uomo che giaceva nel basso...»
(HIPPOLYTUS, In magnum Canticum, fragm.: PG 10, 865).
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STANZA XV (Oi\ko" ie v)
La Theotokos, sede di Dio e porta del cielo
I.– PROLOGO
1. ”Olo" h\n ejn toi``" kavtw, | kai; tw``n a[nw oujd∆ o{lw"
2. ajph``n oJ ajperivgrapto" Lovgo":
3. sugkatavbasi" ga;r qei>khv, | ouj metavbasi" de; topikhv
4. gevgone
5. kai; tovko" ejk Parqevnou qeolhvptou ∆ ajkououvsh" tau``ta:
[Era tutt’intero fra quelli di quaggiù ma non interamente lontano da
quelli di lassù il Verbo incircoscrittibile: avvenne infatti una condiscen-
denza divina, non un cambiamento di luogo e il parto della Vergine
posseduta da Dio che ascoltava questi saluti:]
6. Cai``re, Nuvmfh ajnuvmfeute.
Ugualmente Melitone di Sardi († prima del 190) così chiude la sua splendida
Omelia sulla Pasqua: «Orsù dunque, voi tutte stirpi umane, voi immerse nei peccati.
Ricevete la remissione dei peccati. Sono io, infatti, la vostra remissione, sono io la
Pasqua della salvezza, io l’Agnello immolato per voi, io il vostro riscatto, io la vostra
luce, io la vostra salvezza, io la vostra risurrezione, io il vostro Re. Io vi conduco alle
sommità dei cieli, io vi mostrerò l’eterno Padre, io vi risusciterò con la mia destra» (O.
PERLER, Méliton de Sardes. Sur la Pâque et fragments, 123: SC 123, Paris 1966).
Dei Padri di Efeso basti ricordare Proclo di Costantinopoli «Venne a salvare, ma
doveva anche patire. Ma come era possibile che si realizzassero queste cose? Un semplice
uomo non era in grado di salvare, un puro Dio non poteva patire. Che dunque? Da Dio
l’Emmanuele divenne uomo: con ciò che era salvò; con ciò che divenne patì». (PROCLUS
CONSTANTINOPOLITANUS, Homilia I in sanctam Dei Genitricem, 9: PG 65, 689).
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”Olo" toi``~ kavtw ejpevsth~, kai; oujd∆ ”Olo" h\n ejn toi``" kavtw,
o{lw~ tw``n a[nw ajpevsth~ü∑ ouj ga;r kai; tw``n a[nw oujd∆ o{lw" ajph``n...
topikh; gevgonen hJ katavbasi~, ajlla; sugkatavbasi" ga;r qei>khv, ouj
qei>kh; pevpraktai sugkatavbasi~. metavbasi" de; topikh; gevgone.
II.– LE 12 SALUTAZIONI
E l’omelia cappadoce alla quale l’Akathistos si è molto ispirato per le prime stanze
dell’Inno, così conclude il racconto dell’annunciazione: «E l'angelo partì da lei (Lc
1,38), lui ch'era venuto dal cielo, aveva istruito e preparato la Vergine, l'aveva ammae-
strata, per quanto capiva: udì da lei quel che anch'egli desiderava apprendere; e di
nuovo salì dond'era disceso, lasciando quaggiù colui che l'aveva mandato, e ritrovan-
dolo pure lassù, nei cieli, adorato da tutte le schiere degli angeli» (PSEUDO-
CHRYSOSTOMUS, Homilia in annuntiationem et contra impium Arium: PG 62, 768).
Dal canto loro, i Padri di Efeso insistono, contro tutte le eresie cristologiche, che
la divinità del Verbo non si sminuisce assumendo la natura umana e non si accresce: il
Verbo rimane Dio, pur facendosi uomo. Proclo di Costantinopoli così chiude la prima
Omelia sulla Madre di Dio proclamata ad Efeso: «Era nel seno del Padre e nel ventre
della Vergine; tra le braccia della madre, e volava sulle ali dei venti; lassù dagli angeli
era adorato, e quaggiù sedeva a mensa coi pubblicani; i serafini non osavano contem-
plarlo, e Pilato lo interrogava; il servo lo schiaffeggiava, e la creazione fremeva; era con-
fitto in croce, ma non lasciava privo di sé il trono della gloria; veniva rinchiuso nel
sepolcro, e pur stendeva i cieli come un manto; era reputato fra i morti, ma spogliò l’in-
ferno; qui veniva accusato come seduttore, e lassù esaltato come santo» (PROCLUS CON-
STANTIPOLITANUS, Homilia I in sanctam Dei Genitricem, 9: PG 65, 689).
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Per poter comprendere nel loro autentico significato queste due salu-
tazioni, che riguardano il rapporto della Vergine Madre con Dio, bisogna
risalire alla loro fonte biblica. Già nella stanza III era stata assunta la figura
della scala, che Giacobbe vide in sogno (Gen 28,12-13):
«Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiunge-
va il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il
Signore gli stava davanti e disse: “Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo
padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale
sei coricato”».
La stanza III sostituì la discesa degli angeli con la discesa di Dio in per-
sona attraverso questa misteriosa scala, che l’Akathistos e tutta la tradizione
patristica ha sempre interpretato come figura della Vergine Theotokos. La
stanza XV prolunga il tema, continuando appunto nella lettura di Gen
28,16-17:
«Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e
io non lo sapevo”. Ebbe timore e disse: “Quanto è terribile questo luogo!
Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo” (wJ~ fobero;~ oJ
tovpo~ ou|to~: oujk e[stin tou``to ajll∆ h} oi\ko~ Qeou``, kai; au{th hJ puvlh tou``
oujranou``)».
Dio che i cieli stessi non possono contenere: egli infatti non è circoscritto
né circoscrivibile da alcuna creatura, è illimitato, immenso, infinito.
Questo aspetto di contrapposizione tra l’infinito Verbo e lo spazio limitato
che interamente lo contiene, qual è Maria, è diventato luogo comune
nell’omiletica e nell’innografia, orientale e occidentale. Maria è la “capien-
za” dell’Infinito, la “contenenza” dell’Incontenibile, il quale rimane in se
stesso illimitato, ma incarnandosi nel grembo della Vergine si è fatto “tut-
to” in lei, come Uomo e come Dio: si è fatto suo Figlio.
La Theotokos inoltre è la “porta” del sacro mistero dell’incarnazione
di Dio: per questa porta verginale egli è entrato nel mondo. Vi è qui un’al-
lusione esplicita al testo tanto citato dagli autori antichi, di Ezechiele 44,1-
2:84 la porta per la quale è passato soltanto il Signore e rimane chiusa, sim-
bolo tanto della reale maternità divina di Maria quanto della sua perpetua
verginità:
«Mi condusse poi alla porta esterna del santuario rivolta a oriente; essa era chiu-
84 Il testo di Ez 44,1-2 è stato assunto e molto usato dai Padri del secolo IV e V, per
comprovare soprattutto la verginità nel parto e la perpetua verginità della Madre di Dio.
Così Ambrogio in occidente. Mi limito per i Padri del periodo efesino a citare due testi
conosciutissimi: l’omelia più volte ricordata di Proclo di Costantinopoli, letta e approva-
ta al Concilio di Efeso, e l’Omelia II sulla Madre di Dio dell’esegeta Esichio di Geru-
salemme. Scrive Proclo: «O grande mistero! Ammiro i prodigi e proclamo la divinità;
vedo le passioni e non rinnego l’umanità. L’Emmanuele dunque aprì le porte della natura,
come uomo; ma come Dio non ruppe i sigilli verginali: in tal modo uscì dall’utero come per
l’udito v’era entrato; così fu partorito, come concepito; senza passione entrò, senza corruzio-
ne uscì, secondo il profeta Ezechiele che dice: “Mi fece voltare il Signore verso la porta del
santuario esterno, che guarda ad oriente: era chiusa. E mi disse il Signore: Figlio d’uomo,
questa porta starà chiusa; non si aprirà; nessuno entri per essa, ma solo il Signore Dio
d’Israele: egli entrerà ed uscirà e la porta starà chiusa” (Ez 44,1-2)» (PROCLUS CONSTAN-
TIPOLITANUS, Homilia I in sanctam Dei Genitricem, 9: PG 65, 692).
sa. Il Signore mi disse: “Questa porta rimarrà chiusa (hJ puvlh au{th keklei-
smevnh e[stai): non verrà aperta, nessuno vi passerà, perché c’è passato il
Signore, Dio d’Israele. Perciò resterà chiusa” (Ez 44,1-2)».
dopo l’incarnazione, “una sola natura” (miva fuvs i~) in Cristo. Allora il
titolo Theotokos, proclamato ad Efeso, divenne quasi una conferma della
loro posizione dottrinale, un portabandiera del monofisismo.
Il Concilio di Calcedonia, seguendo la cristologia diofisita esposta in
modo inequivocabile da Leone Magno,85 confermò definitivamente l’ap-
pellativo “Theotokos”, in quanto da Maria il Verbo assunse l’umanità, non
la divinità: “l’unico Figlio” infatti “fu generato dal Padre prima dei secoli,
secondo la divinità”, ma “negli ultimi giorni egli stesso per noi e per la
nostra salvezza fu generato da Maria, la Vergine, la Madre di Dio, secondo
l’umanità”. Maria dunque è in senso vero e proprio “Genitrice” di Dio,
non della divinità, ma della Persona del Verbo che incarnandosi unì “ipo-
staticamente” in sé la natura divina e quella umana.
Si comprende allora perché l’Akathistos, composto subito dopo
Calcedonia e che risente al vivo della controversia monofisita mai più
spenta nella Chiesa, affermi che il glorioso titolo “Theotokos” sia parola
ascoltata (a[kousma) in modo ambiguo: in modo esatto e gioioso dai fedeli
alla dottrina di Efeso e di Calcedonia, in modo equivoco dagli avversari
specialmente del Concilio di Calcedonia (tw``n ajpivstwn... tw``n pistw``n).
elevato (kaqhvmenon ejpi; qrovnou uJyhlou`` kai; ejphrmevnou... kai; serafi;n eij-
sthvkeisan kuvklw/ aujtou``); i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra
di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia,
con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro,
dicendo: “Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena
della sua gloria”» (Is 6,1-3).
87 Lo cito nella traduzione italiana, usata dalla “Divina Liturgia del nostro Padre
Giovanni Crisostomo” (Roma 1967, p. 112-113): «È veramente giusto proclamare bea-
ta te, o Deipara, che sei beatissima, tutta pura e Madre del nostro Dio. Noi magnifi-
chiamo te, che sei più onorabile dei Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei
Serafini, che in modo immacolato (ajdiafqovrw~) partoristi il Verbo di Dio, o vera
Madre di Dio».
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Con queste due salutazioni l’Inno sposta l’accento sugli effetti salvifici
della divina verginale maternità di Maria: effetti retroattivi ed effetti futuri.
ejluvqh paravbasi" - hjnoivcqh paravdeiso" – “fu sciolta la trasgressione
- fu aperto il paradiso”. L’Inno ritorna sul tema più volte cantato: il rapporto
antitetico tra la fede e l’ubbidienza di Maria all’annunciazione, e la trasgres-
sione dei progenitori nell’Eden. È “per mezzo di Maria” che la prevaricazio-
ne antica è stata sciolta, è “per mezzo di Maria” che fu riaperto il paradiso.
Su questo tema ritornano spesso i Padri di Efeso: Maria quindi è considerata
come “causa” della cancellazione del peccato dei progenitori e dell’apertura
del paradiso, chiuso per castigo divino ai prevaricatori.
Un solo testo patristico – credo – potrebbe aver ispirato questo brano di Basilio
di Seleucia: l’Omelia V sulla Madre di Dio di Proclo di Costantinopoli, che scrive:
«Benché tutte le memorie dei santi siano mirabili, nulla è tanto glorioso quanto l’odier-
na solennità. Abele infatti vien nominato a motivo del sacrificio (cf. Gn 4,4); Enoc vie-
ne ricordato perché piacque a Dio (cf. Sir 44,14); Melchisedek è predicato come imma-
gine di Cristo (cf. Eb 7,3); Abramo è encomiato per la sua fede (cf. Gal 3, 6)... Ma nulla
è tale, quale la Madre di Dio Maria. Lei infatti portò incarnato nel seno colui che costo-
ro videro in enigmi... Nulla al mondo è tale, quale la Madre di Dio Maria. Percorri
pure col pensiero la creazione, o uomo, e vedi se v’è cosa uguale o maggiore della santa
Vergine Madre di Dio. Perlustra la terra, esplora i mari, esamina attentamente l’aria,
investiga i cieli, considera tutte le invisibili Potenze, e vedi se sia possibile trovare un
altro tale prodigio in tutta la creazione... Conta dunque i portenti, ed ammira la supe-
riorità della Vergine: lei sola ineffabilmente accolse nel talamo colui che tutta la crea-
zione con timore e tremore inneggia» (PROCLUS CONSTANTINOPOLITANUS, Laudatio in
sanctam Virginem ac Dei genitricem Mariam, 2: PG 65, 718-720).
1. Akathistos commento.def.18/5/2017.qxp_M0-00 base 2005 21/05/17 12:49 Pagina 129
Paolo si limita a dire che Dio “nessuno fra gli uomini lo ha mai visto né
può vederlo”. L’Akathistos afferma, in forma assoluta, quindi comprese
anche tutte le schiere degli angeli, che Dio è “l’Inaccessibile” in quanto Dio.
Il contrappunto è proprio l’essersi fatto “accessibile a tutti”, angeli compre-
si, col mistero della sua incarnazione. Dunque l’incarnazione, grande “fatto,
opera o evento”, consente anche agli ordini degli angeli di contemplare
colui che è l’Inaccessibile in quanto Dio diventato accessibile in quanto
uomo: non solo, ma in una condizione di amichevole convivenza con noi.
hJmi``n me;n sundiavgonta – “convivente con noi”. Da parte di Dio è una
degnazione (mevn) l’intrattenersi con noi; da parte nostra (dev) è un dovere
fargli sentire il nostro grazie e rendergli gloria: alleluia!
Il testo biblico al quale l’Akathistos evidentemente si ispira è il prolo-
go di Giovanni:
«E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi (ejskhvnwsen ejn
hJmi``n); e noi abbiamo contemplato (ejqeasavmeqa) la sua gloria, gloria come
del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14).
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Il Verbo del Padre, a lui coeterno e per mezzo del quale tutto è stato
creato, “si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi” (ejskhvnwsen ejn
hJmi`n` ). L’immagine della “tenda” ci ricorda il pellegrinare del popolo di
Israele nel deserto e la “tenda del convegno” o “Dimora” eretta da Mosè,
sulla quale si posava la colonna di nube e di fuoco, e nella quale Dio parlava
con Mosè faccia a faccia (cf. Es 33, 7-11): tenda o Dimora che Dio consacrò
con la presenza della sua gloria, e che accompagnava il viaggio del popolo
verso la terra promessa:
«Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la
Dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube
sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora. Per tutto il tempo
del loro viaggio, quando la nube s’innalzava e lasciava la Dimora, gli israeliti
levavano le tende. Se la nube non si innalzava, essi non partivano, finché non
si fosse innalzata. Perché la nube del Signore, durante il giorno, rimaneva sul-
la Dimora e, durante la notte, vi era in essa un fuoco, visibile a tutta la casa
d’Israele, per tutto il tempo del loro viaggio» (Es 40,34-38).
«Egli è il nostro Dio, e nessun altro può essere confrontato con lui. Egli ha
scoperto ogni via della sapienza e l’ha data a Giacobbe, suo servo, a Israele,
suo amato. Per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini (ejpi;
th``~ gh``~ w[fqh kai; ejn toi``~ ajnqrwvpoi~ sunanestravfh)».
Il pensiero dei Padri greci pone Iddio e i suoi misteri al di sopra di tut-
te le creature, anche degli angeli, nell’ambito della sua inconoscibilità.
Perciò l’incarnazione ha aperto anche agli angeli la via della conoscenza
del vero volto di Dio e del suo agire. Scrive san Paolo:
«A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia:
annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sul-
la attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo,
affinché, per mezzo della Chiesa, sia ora manifestata ai Principati e alle Potenze
dei cieli la multiforme sapienza di Dio, secondo il progetto eterno che egli ha
attuato in Cristo Gesù nostro Signore, nel quale abbiamo la libertà di accede-
re a Dio in piena fiducia» (Ef 3,8-12).
«A loro [ai profeti] fu rivelato che, non per se stessi, ma per voi erano servitori
di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno
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portato il vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal cielo: cose nelle
quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo (eij~ a} ejpiqumou``s in a[ggeloi
parakuvyai)» (1Pt 1,12).
I.– PROLOGO
Fin dagli inizi del secolo II compare una tradizione, testimoniata dal
cosiddetto Protovangelo di Giacomo e da altri apocrifi, che afferma il par-
to verginale di Maria. Anzi, questa tradizione venne assunta con gioia da
alcune correnti gnostiche, per provare l’irrealtà della carne di Cristo: se
infatti, nascendo, il Cristo non infranse i sigilli verginali della Madre né
ella fu soggetta alle doglie comuni delle partorienti, è segno che Cristo non
ebbe una vera carne, ma fu uomo solo in apparenza. Contro questa tesi
gnostica si scagliò con forza specialmente Tertulliano († c. 230), il quale, per
salvaguardare la vera carne di Cristo, negò di conseguenza il parto verginale
di Maria.91 L’ambiente alessandrino invece, con Clemente e Origene si
mostrò incline, sia pure con riserve, a un parto verginale di Maria.
91 Cf. TERTULLIANUS, De carne Christi, 23: PL 2,789-790: «Peperit enim, quae ex sua
carne; et non peperit, quae non ex viri semine. Et virgo, quanturn a viro; non virgo
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Nella seconda metà del IV secolo, accanto alle accese dispute trinitarie
e a quelle incipienti cristologiche, insorse anche il problema della “verginità
di Maria”, che trovò fervidi difensori in Epifanio e nei Cappadoci in Orien-
te, in Ambrogio, Girolamo e Agostino in Occidente. La controversia mario-
logica sulla verginità di Maria però, mentre non intaccava il concepimento
verginale di Cristo, si poneva pro o contro la verginità perpetua di Maria
“post partum”, cioè dopo che ebbe generato il Signore.92
Molto più incerto rimaneva l’aspetto della “virginitas in partu”. La dife-
se Ambrogio in Occidente; in Oriente Gregorio di Nissa, nella sua omelia
sul Natale, dalla quale certamente dipende anche l’Akathistos, Anfilochio di
Iconio e Severiano di Gabala.93
quantum a partu... Peperit, quae peperit. Et si virgo concepit, in partu suo nupsit, ipsa
patefacti corporis lege...». Per una visione esatta sulla figura di Maria negli apocrifi e sul-
le primitive posizioni dottrinali riguardo alla verginità di Maria si consulti l’accurato e
documentato volume di G. SÖLL, Storia dei dogmi mariani, LAS, Roma 1981: pp. 51-
61 (la figura di Maria negli apocrifi); pp. 81-83 (la «virginitas Mariae ante partum»); pp.
84-86 (la «virginitas post partum»); pp. 86-88 (la «virginitas in partu»). Questo nel qua-
dro dei primi tre secoli.
92 Rinvio ancora all’erudito e sicuro lavoro di G. SÖLL, Storia dei dogmi mariani,
cit., pp. 95-128: Maria nel simbolo della Chiesa universale: Costantinopoli (381), dove
il dotto salesiano ampiamente espone il pensiero di Epifanio, di Efrem, dei Cappadoci
e di altri sulla figura di Maria.
93 Scrive il Nisseno: «Ascolta Isaia che proclama: “Un bambino è nato per noi; un
figlio ci è stato dato” (Is 9,6). Impara dallo stesso profeta come è nato il bambino; come
un figlio è stato donato. Forse in conformità con la legge della natura? Il profeta lo nega.
Il padrone della natura non ubbidisce alle leggi della natura. Ma come nacque il bambi-
no? Dimmelo. Il profeta risponde: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che
chiameranno Emmanuele” (Is 7,14) e che tradotto significa: Dio-con-noi.
O evento meraviglioso! La Vergine diventa madre e rimane vergine. Osserva que-
sta novità della natura. Tutte le altre donne, finché rimangono vergini, non diventano
madri; e quando una diventa madre, non conserva più la sua verginità. Qui invece i due
termini si addicono alla stessa persona. È la medesima donna infatti che si presenta
come madre e come vergine, giacché né la verginità ha fatto da ostacolo al suo parto,
né la maternità ha eliminato la verginità. Conveniva infatti che il Redentore, entrato
nella vita umana per rendere noi tutti incorruttibili, prendesse origine Egli stesso da
una generazione incorruttibile. Infatti, secondo la nostra consuetudine di parlare, vie-
ne detta illibata la donna che non ha avuto rapporto con l’uomo...
Come sul monte il roveto ardeva ma non si consumava, così la Vergine partorì la
luce e non si corruppe. Né ti sembri sconveniente la similitudine del roveto, che prefi-
gura il corpo della Vergine, che ha partorito Dio» (GREGORIUS NYSSENUS, In nativitate
Domini: PG 46, 1136).
Anche Anfilochio di Iconio difende la verginità nel parto della Theotokos, seguendo
e ampliando il commento di Origene alla Presentazione del Signore nel tempio. Scrive:
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«“Quando venne il tempo della loro purificazione, secondo la Legge di Mosè, portarono
il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore:
Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” (Es 13, 2) (Lc 2, 22-23)... Infatti la
natura vuole che il seno di ogni vergine venga aperto dal rapporto con l’uomo; solo a
questa condizione la donna potrà partorire. Ma per il nostro Salvatore le cose si sono
svolte diversamente: egli nacque da un seno aperto senza atto coniugale e in un modo
inspiegabile. Ecco perché le parole: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore, si
addicono soltanto al Signore...
Ma c’è qualcuno il quale sostiene che, se le parole: Ogni maschio primogenito sarà
consacrato al Signore, si riferiscono al Signore stesso, allora la Vergine non rimase
tale... Cerca piuttosto di ascoltare intelligentemente: per quello che concerne la sostan-
za della verginità, le porte verginali non furono aperte in nessun modo; e questo accad-
de per volere di colui che era stato fino allora portato nel seno di lei, secondo quanto dice
di lui la profezia: “Questa è la porta del Signore; egli vi entrerà e ne uscirà; e la porta
rimarrà chiusa” (Ez 44, 2). Perciò, per quanto riguarda la sostanza della verginità, le por-
te verginali non furono aperte in nessun modo; ma per quanto si riferisce alla potenza del
Signore che è nato, non vi è nulla che possa rimanere chiuso di fronte a lui, ma tutto è
per lui aperto ed accessibile. Nulla può essergli di impedimento o di disturbo».
(AMPHILOCHIUS ICONIENSIS, Homilia de Occursu Domini, 2-3: PG 39, 48-49).
Severiano di Gabala († dopo 408), dopo aver ricordato la condanna di Eva ai dolori
del parto, scrive: «Viene l’angelo a dire alla Vergine: “Godi, o graziata” (Lc 1, 28). Con
quel godi egli scioglie la catena del dolore. Godi: è venuto colui che scioglie il dolore.
“Godi, o graziata”, poiché fino ad ora maledetta... Poiché quella aveva subito una dop-
pia maledizione, il dolore ed il gemito che si ha nel parto, l’angelo introduce un parto-
rire che scioglie quell’altro partorire: “Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio,
e lo chiamerai per nome Gesù” (Lc 1, 31). “Egli infatti salverà il suo popolo dai loro
peccati” (Mt 1,21). Scioglie i peccati dei tuoi padri il frutto che germoglia in te».
(SEVERIANUS GABALENSIS, Homilia VI, De mundi creatione: PG 56, 497).
94 Cito soltanto qualche autore.
Proclo di Costantinopoli, nell’Omelia I sulla Madre di Dio, scrive: «Se dunque la
madre non fosse rimasta vergine, un semplice uomo sarebbe il suo nato, e non mirabile
il suo parto; ma se dopo il parto rimase vergine (eij de; kai; meta; tovkon e[meine parqev-
no~), come non sarà egli anche Dio, e indicibile il mistero? Senza corruzione nacque
colui che a porte chiuse entrò nel Cenacolo e non ne fu impedito. Nel quale Tommaso,
riconoscendo unite le due nature, esclamò e disse: “Signore mio e Dio mio” (Gv 20, 28)».
(PROCLUS CONSTANTINOPOLITANUS, Homilia I in Dei genitricem Mariam, 3: PG 65, 681).
Teodoto di Ancira in diversi luoghi parla della verginità nel parto di Maria, come pro-
va dell’unione ipostatica e della divina maternità. Cito dall’Omelia I sul Natale, letta e
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II.– LE 12 SALUTAZIONI
ro”); quindi non si prende cura delle altre realtà inferiori. Aristotele dunque
non ammette la “provvidenza”.
Lo stoicismo, introdotto ad Atene da Zenone di Cizio (336-263 a.C.)
intorno all’anno 300 a.C. e molto seguito da filosofi greci e da imperatori e
scrittori romani, è di stampo etico individuale: nell’ideale stoico è il dominio
sulle passioni (o apatìa) che permette allo spirito il raggiungimento della sag-
gezza (sofiva). Dio è l’ordine del mondo e l’anima del mondo. Si trova in tut-
te le cose (panteismo) e le governa con una ferrea necessità (determinismo). Il
saggio (sofov~) è colui che è virtuoso.
L’epicureismo, all’opposto, iniziato dal filosofo greco Epicuro (341-270
a.C.) sostiene che non esiste un vero e proprio ordine nel mondo. Tutto è
dovuto alle casuali aggregazioni e disaggregazioni degli atomi. Il bene è il pia-
cere, inteso come assenza di dolore, di turbamento e di passioni. Il saggio
(sofov~) è colui che ricerca solo i piaceri naturali e necessari e vive in amicizia
con i suoi amici.
Questo è il contesto poliedrico e contraddittorio in cui si è trovato Paolo
ad Atene: davanti a questi “filosofi” ha tenuto il suo discorso, annunciando
Cristo morto e risorto come unica sapienza e unica salvezza.
sofiva" Qeou`` - pronoiva" aujtou`` – “sapienza di Dio” - “sua provviden-
za”. sofiva: la “sapienza” era dunque la ricerca dei greci in genere e degli ate-
niesi in particolare, come attesta san Paolo, dopo il fallimento all’areopago di
Atene (cf. At 17,16-33), contrapponendo la “sapienza del mondo” (th;n
sofivan tou`` kovsmou) alla “sapienza di Dio” (Qeou`` sofivan):
«La parola della croce è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si
salvano, ossia per noi, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: Distruggerò la sapien-
za dei sapienti (ajpolw``/ th;n sofivan tw``n sofw``n) e annullerò l’intelligenza degli
intelligenti. Dov’è il sapiente (sofov~)? Dov’è il dotto? Dov’è il sottile ragionato-
re (suzhththv~) di questo mondo? Dio non ha forse dimostrato stolta la sapien-
za del mondo (oujci; eJmwvranen oJ qeo;~ th;n sofivan tou`` kovsmou)? Poiché
infatti, nel disegno sapiente di Dio (ejn th``/ sofiva/ tou`` qeou``), il mondo, con tutta
la sua sapienza (dia; th``~ sofiva~), non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio sal-
vare i credenti con la stoltezza (dia; th``~ mwriva~) della predicazione. Mentre i
giudei chiedono segni e i greci cercano sapienza (”Ellhne~ sofivan zhtou``s in),
noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i
pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia giudei che greci, Cristo è potenza
di Dio e sapienza di Dio (Qeou`` sofivan)» (1Cor 1,18-24).
dei vostri poeti (tw``n kaq∆ hJma``~ poihtw``n) hanno detto: Poiché di lui stirpe
noi siamo. Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la
divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’ar-
te e dell’immaginazione umana. Dopo esser passato sopra ai tempi dell’igno-
ranza (th``~ ajgnoiva~), ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di rav-
vedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra
con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti
prova sicura col risuscitarlo dai morti". Quando sentirono parlare di risurre-
zione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: “Ti sentiremo su questo
un’altra volta”. Così Paolo uscì da quella riunione» (At 17,15-33).
96 Mi limito a citare soltanto Basilio Magno, nell’Omelia sul Natale: «Si adori in
silenzio quella prima generazione di Cristo che è peculiare e propria della sua divinità;
anzi comandiamo ai nostri stessi pensieri di non ricercare nè indagare inopportuna-
mente il mistero. Dove infatti non intercorsero nè tempo nè secoli, dove non si pensò
al modo, dove non vi fu presente spettatore, nè vi è chi ne possa discorrere, come
potrebbe la mente immaginarlo? E la lingua stessa come potrebbe aiutare il pensiero?
“Il Padre era ed il Figlio fu generato”. Non chiedere: Quando? Stolta è la domanda.
Non chiedere: Come? perché è impossibile rispondere. Infatti il “quando” è qualcosa
di temporale; il “come” ci fa cadere nelle modalità materiali della generazione».
(BASILIUS MAGNUS, Homilia in sanctam Christi generationem, 1: PG 31, 1457).
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ganno intrecciate dai sofisti, che si rompono, alle povere reti dei pescatori
che non si rompono, pur portando un carico sovrappeso di pesci. L’imma-
gine dunque è quella della rete e dei pesci; non si tratta però di pesci, ma di
uomini che si lasciano “irretire” dai sofisti o “pescare” dagli apostoli.
Ricordiamo la promessa di Gesù a Pietro e ai suoi compagni: «Seguitemi, vi
farò pescatori di uomini (ajliei`~
` ajnqrwvpwn) (Mt 4,19)».
Sullo sfondo di queste ultime salutazioni stanno in contrapposto le
due scene: Paolo all’areopago, attorniato da filosofi e sofisti increduli e
ridanciani (cf. At 17,18-21); d’altra parte, sul lago di Galilea. gli Apostoli
nella barca intenti a pescare e Gesù risorto sulla riva. Scrive l’Evangelista:
«Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano
accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli, non avete nulla da mangia-
re?”. Gli risposero: “No”. Allora disse loro: “Gettate la rete (to; divktion) dal-
la parte destra della barca e troverete”. La gettarono e non potevano più tirar-
la su (eJlku``sai) per la gran quantità di pesci...» (Gv 21,3-6).
Sintetizzando:
Le salutazioni ci portano nel consesso dell’areopago di Atene: lì filo-
sofi, retori, ricercatori del bel dire (non della verità), poeti di miti, in una
parola “ateniesi”, soppesano le parole di Paolo che annuncia una salvezza
a loro ignota, operata da Dio, dandone a tutti prova sicura col risuscitare
Cristo dai morti. La reazione ateniese all’annuncio della “risurrezione di
Cristo”, opera divina e perciò al di là della ragione, pone fine al discorso
di Paolo, il quale scriverà poi ai Corinzi: «Dov’è il sapiente? Dov’è il dot-
to? Dov’è mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio
dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché infatti, nel dise-
gno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciu-
to Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predi-
cazione» (1Cor 1, 20-21).
Questo vale non solo per la risurrezione del Signore, ma per ogni
“mistero” della sua vita. Anche Maria è un “mistero”, e “mistero” è il suo
concepimento e parto verginale, ambedue operati direttamente da Dio: la
verginità di Maria nel concepimento e nel parto manifesta e documenta
l’eterna incomprensibile sapienza di Dio (cf. 1Cor 1,21), di cui è evidente
manifestazione, rivela ed attua il suo misericordioso piano (cf. At 17,30-
31; 1Cor 1,18-25), la sua economia provvidenziale verso l’uomo, per mez-
zo del Figlio, nato morto e risorto.
Benché Paolo non abbia parlato ad Atene di concepimento e di parto
verginale, è sottinteso che la reazione degli ateniesi contro il “mistero”
avvolge tutto l’evento di Cristo, compresa la Madre, la quale smaschera
con la realtà umile della sua maternità divina tutte le pretese umane: rive-
la ignoranti i filosofi, muti i retori, stolti gli indagatori, falsi gli autori di
miti, impostori i sofisti, che l’Inno denomina “ateniesi”.
La contropartita mistagogica e sapienziale si avvera sul lago di
Galilea, dove Gesù risorto si mostra ai discepoli stando sulla riva (Gv
21,4), «ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù». La “conoscen-
za” nasce da un fatto prodigioso, da un “segno” che Gesù compie: la
pesca miracolosa (Gv 21,6). I discepoli con la barca vengono allora verso
di lui, trascinando la rete piena di pesci (Gv 21,8).
Anche Maria, la Madre-Vergine, è un “segno” compiuto da Cristo:
“segno” è il suo concepimento divino, “segno” il suo parto verginale, che
rivela a tutti chi è il Signore. La Vergine Madre perciò riempie la rete dei
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La stanza XVII aveva aperto il problema del cosmo, con gli interroga-
tivi che si ponevano i filosofi greci: se fosse eternamente sussistente da sé,
se fosse stato plasmato secondo idee iperuraniche, se fosse dio esso stesso
per l’immanenza del trascendente (panteismo), se fosse destinato a perire,
ecc. Ma nessun sistema filosofico, e quindi la “sapienza del mondo”, aveva
proposto la creazione dell’universo dal nulla, ad opera di un unico Dio e
Creatore; meno ancora – qualora esistesse in quanto Creatore – si occu-
passe e avesse cura delle cose da lui create. Sapienza creatrice e provviden-
za governatrice esulavano dall’orizzonte filosofico. Tanto meno quando si
parlava dell’uomo, se da Dio venisse direttamente creato, e a Dio dovesse
poi rendere conto di sé.
Parve quindi strana agli ateniesi dell’areopago la nuova “filosofia”
proclamata da Paolo: lo definivano un ciarlatano (spermolovgo~ – buffo-
ne), e ne deridessero l’annuncio.
La stanza XVIII, a complemento della precedente, ritorna sui temi della
sapienza di Dio (sofiva Qeou`)` e della sua provvidenza (provnoia autou`)` :
sapienza creatrice innanzitutto, e provvidenza governatrice e salvatrice del
cosmo e dell’uomo. L’Inno dunque si concentra sulla “storia della salvezza”.
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97 Illuminante è l’esposizione di Atanasio nel suo discorso contro i pagani (PG 25,
3-96), dove mostra chi sia il Verbo del Padre, per mezzo del quale l’universo è stato
creato e disposto con ordine ammirabile: «È lui il solo e proprio Verbo del Padre, lui
che ha ordinato l’universo e lo illumina con la sua provvidenza (to; pa``n diekovsmhse
kai; fwtivzei th``/ eJautou`` pronoiva/). È lui il Verbo buono del Padre buono. È lui che
ha dato ordine a tutto il creato (th;n tw``n pavntwn diekovsmhse diavtaxin)...»
(ATHANASIUS ALEXANDRINUS, Oratio contra gentes, 40: PG 25, 81).
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oJmoivw/ ga;r to; o{moion kalevsa" – “avendo infatti chiamato col simile
il simile”,99 cioè con l’identica umanità e l’identico idioma avendo chiama-
to e invitato gli uomini. Pensiamo, ad esempio, alla chiamata degli apostoli
a seguirlo come nel caso di Pietro e Andrea, di Giacomo e Giovanni sul
98 J.B. PITRA, Analecta sacra spicilegio solesmensi parata, I/2, Parisiis 1876, pp.
250-262.
99 L’espressione è improntata all’Omelia sulla Madre di Dio di Basilio di Seleucia, il
quale scrive: «Avvenne un mistero, che fino ad oggi resta mistero, né mai cesserà di
essere mistero. Allora la creazione mirò quel che prima non aveva veduto: un figlio,
che era padre della genitrice; un bimbo preesistente alla madre; un fanciullino più
antico dei secoli. Il nato non era infatti un semplice uomo, ma il Dio Verbo che s’era
incarnato dalla Vergine e rivestito di una carne a me consostanziale, al fine di salvare
il simile col simile» (i{na tw`/` oJmoivw/ to; o{moin ajnaswvshtai). (BASILIUS SELEUCIENSIS,
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lago di Tiberiade:
«Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone chia-
mato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, perché erano
pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Andando
oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che
nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò
(kai; ejkavlesen aujtouv~). Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo segui-
rono (Mt 4,18-22. par. Mc 1,16-20)».
wJ" qeo;" ajkouvei – ”come Dio si sente dire”. Penso che nell’ottica
dell’autore dell’Akathistos, che precedentemente ha parlato degli apostoli
sul lago, sia la confessione di Pietro:
«Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo,
il Figlio del Dio vivente (su; ei\ oJ cristo;~ oJ uiJo;~ tou`` qeou`` tou`` zw``nto~)”
(Mt 16,15-16)».
I.– PROLOGO
100 Ma proprio su questo punto sorse una disputa teologica: se cioè la verginità fosse
superiore al matrimonio, e quindi la vita verginale fosse più santa e preferibile a quella
degli sposati. Di riflesso, ci si chiese se la Vergine Maria – che tutti ammiravano come
esemplare perfetto di vita cristiana – fosse modello di vita soltanto delle vergini o anche
degli sposati. In merito a quest’ultima posizione, si addussero alcuni testi evangelici, i
quali lascerebbero supporre che la Vergine, dopo avere verginalmente partorito Cristo,
non abbia poi ricusato i consueti rapporti coniugali col suo sposo Giuseppe. Quindi, la
Vergine Maria sarebbe modello delle vergini fino al Natale del Signore, modello degli
sposati per il resto della sua esistenza sulla terra. Si intaccava in tal modo la “verginità per-
petua” di Maria. Così sostenevano il monaco Gioviniano e il laico Elvidio a Roma, contro
il quale Girolamo scrisse un intero trattato (il primo in mariologia) sulla perpetua vergi-
nità di Maria: HIERONYMUS, De perpetua virginitate beatae Mariae adversus Helvidium
(PL 23, 183-422). Ugualmente a favore della perpetua verginità di Maria si schierò
Ambrogio, controbattendo ad uno ad uno gli argomenti avversari. In Oriente, contro la
setta degli antidicomarianiti (nemici cioè di Maria), scrisse diffusamente Epifanio (cf. G.
SÖLL, Storia dei dogmi mariani, cit., pp. 95-164). Anche Basilio e i Cappadoci presero
posizione in favore della perpetua verginità di Maria (BASILIUS MAGNUS, Homilia in sanc-
tam Christi generationem, 5: PG 31, 1468-1469). Infatti, la verginità perpetua di Maria
appartiene alla fede della Chiesa, universalmente professata dai Concili occidentali e
orientali, dai Padri del IV-VI secolo, dalle liturgie e dai fedeli.
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«La donna non sposata, come la vergine (hJ gunh; hJ a[gamo~ kai; hJ parqevno~),
si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito; la
donna sposata invece si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al
marito (1Cor 7,25.32-34)».
Tei``co" ei\ tw``n parqevnwn – “Rocca tu sei delle vergini”, cioè “muro
di difesa”, fortezza, baluardo, cittadella, e quindi sicura difesa delle vergini
e di tutti coloro che accorrono a lei. L’autore dell’Akathistos ha davanti
agli occhi specialmente le giovani che si consacrano in verginità al Signore,
le quali nella Vergine Theotokos trovano un baluardo inespugnabile nel
quale rifugiarsi, e l’esempio più sublime da imitare.103
kai; pavntwn tw`n` eij" se; prostrecovntwn – “e di tutti coloro che cor-
rono verso di te”. Oltre che delle vergini, anche di tutte le altre categorie di
fedeli – specialmente dei monaci – la Madre di Dio è sicuro rifugio. Il tema
dibattuto già dal secolo IV, se cioè la Vergine Maria sia modello solo delle
vergini, o anche degli sposati e degli altri fedeli, qui è sottilmente accennato,
senza polemizzare sulla superiorità dell’uno o dell’altro stato di vita. Tutti
trovano nella Vergine-Madre la loro protezione.
oJ ga;r tou`` oujranou`` kai; th`"
` gh`"` kateskeuvasev se poihthv" – “il
Fattore del cielo e della terra infatti ti fondò”, ti edificò, ti costruì e costituì.
L’inabitazione del Verbo per nove mesi nel grembo della Vergine incontami-
nata la consacrò, la rese inviolata e inviolabile e la costituì – le immagini usa-
te dall’Akathistos si ispirano all’edilizia militare – quale una cittadella forti-
ficata, una roccaforte appunto, capace di accogliere e di difendere non solo
le vergini, ma tutti coloro che a lei accorrono per trovare riparo e difesa.
Oltre che iniziatrice della verginità cristiana, la Semprevergine rimane esem-
pio compiuto e sostegno di ogni consacrazione verginale a Cristo.
II.– LE 12 SALUTAZIONI
da essi avete ricevuto i germi del desiderio della virtù. Infatti, in conseguenza della buona
educazione che vi hanno dato, lo Sposo vi ha trovate e ha parlato al vostro cuore, persua-
dendovi a restargli vergini per sempre. Inoltre, voi avete davanti agli occhi la condotta di
Maria, che è il tipo e l’immagine della vita propria dei cieli» (ATHANASIUS, Epistula ad vir-
gines: CSCO 151, pp. 73-76).
Lo stesso Atanasio si diffonde lungamente a presentare alle vergini Maria come
“modello di vita verginale”, loro protezione, e commendatizia sicura in cielo presso lo
Sposo divino. Scrive: «Maria perseverò sempre nella sua verginità, come colei che aveva
generato il Signore e per questo fosse di esempio a ciascuno. Pertanto, se qualche donna
desidera rimanere vergine e sposa di Cristo, può prendere in considerazione la vita di
Maria ed imitarla; infatti la sua perseverante scelta di vita è sufficiente a ben regolare la
vita delle vergini. Or dunque la vita di Maria, Madre di Dio, sia per tutti come se fosse
un'immagine ben delineata sulla quale ciascuna donna conformerà la propria verginità»
(ibid., pp. 58-62).
Da Atanasio dipende anche il celebre ritratto di Maria, che Ambrogio propone alle
vergini (AMBROSIUS, De virginibus, II, 2: PL 16, 208-220).
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hJ puvlh th``" swthriva" – “la porta della salvezza”. Qui viene sottoli-
neata la maternità verginale di Maria, alla quale il prologo ha fatto diretto
riferimento, per mostrare in quale modo la Vergine Madre sia stata costi-
tuita da Dio sicura difesa delle vergini. Anche in questo caso, figura l’arti-
colo determinativo (hJ puvlh) a indicare l’unicità dell’evento. Maria non è
una porta, ma “la porta” unica prescelta dal Verbo Salvatore per venire a
salvarci. A monte sta certamente il testo di Ezechiele (Ez 44,2), commen-
tato spesso in tal senso dagli autori del periodo pre-efesino ed efesino.105
Maria dunque è nel contempo la Virgo virginum e la Virgo Deigenitrix.
104 Origene protesta: «Io credo ragionevole che la primizia della purezza casta degli
uomini sia Gesù, e delle donne Maria: non sarebbe infatti pio ascrivere ad altra che a lei
la primizia della verginità» (ORIGENES, Commentarium in Matthaeum, X, 17: PG 13,
876-877).
E Gregorio di Nissa, afferma: «O beato quel seno che per la sua straordinaria
purezza ha attirato su di sé i beni dell'anima! Nel caso di tutti gli altri uomini, è già
molto se un'anima riesce ad accogliere dentro di sé la presenza dello Spirito Santo; nel
caso di Maria è la carne che diventa dimora dello Spirito Santo» (GREGORIUS NYSSE-
NUS, Homilia in diem natalem Christi: PG 46, 1142).
105 Rinvio alle note della precedente stanza XVII. Ezechiele profetizza: «Il Signore
mi disse: Questa porta rimarrà chiusa (hJ puvlh au{th kekleismevnh e[stai): non verrà
aperta, nessuno vi passerà, perché c'è passato il Signore, Dio d'Israele. Perciò resterà
chiusa (Ez 44,2)».
Tra gli scrittori del periodo efesino, cito un solo esempio, quello di Esichio di
Gerusalemme, l’esegeta. Egli così commenta il testo di Ezechiele: «Un altro ti nominò
Porta chiusa, ma sita ad oriente (Ez 44, 2): introducesti infatti il Re delle porte chiuse
ed anche lo conducesti fuori; per questo ti chiamò “porta”, perché fosti la porta della
vita presente all’Unigenito di Dio. Ma porta “sita ad Oriente”: poiché dal tuo grembo,
come da talamo regale, procede la vera luce che illumina ogni uomo che viene al mon-
do (Gv 1,9). Il Re delle porte chiuse tu lo portasti dentro e lo portasti pure fuori: il Re
della gloria non aprì infatti le porte del tuo seno né allentò i vincoli della tua verginità
con l’esser concepito o col venir partorito» (HESYCHIUS HIEROSOLYMITANUS, Sermo V.
De sancta Maria Deipara: PG 93, 1464).
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107 Esodo 15,19-21: «Quando i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri
furono entrati nel mare, il Signore fece tornare sopra di essi le acque del mare, mentre
gli Israeliti avevano camminato sull'asciutto in mezzo al mare. Allora Maria, la profe-
tessa, sorella di Aronne, prese in mano un tamburello: dietro a lei uscirono le donne
con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: Cantate al Signore,
perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!».
108 «L'occasione per fare questi commenti ci è venuta da Maria la profetessa.
Dopo che il popolo aveva attraversato il mare prosciugato, Maria prese in mano un
tamburello secco e vibrante e guidò la danza delle donne (Es 15, 20). La storia del tam-
burello potrebbe significare la verginità che questa Maria avrebbe praticato nella sua
vita. Credo davvero che ella sia una prefigurazione di Maria, la Madre di Dio.
Come il tamburello emette un suono forte perché è privo di umidità ed è ridotto
al massimo grado di secchezza, così la verginità, rimuovendo da se stessa il succo vitale
di una esistenza puramente fisica, acquista chiarezza e notorietà. Siccome pertanto
quel tamburello che Maria teneva in mano era un corpo estinto e anche la verginità si
presenta come una specie di morte nel corpo, non è improbabile che la profetessa fosse
lei pure vergine.
Tutto questo è una congettura e una supposizione. Non possiamo affermare in
maniera perentoria che Maria la profetessa abbia preso la guida di un coro di vergini,
quantunque molti dotti abbiano esplicitamente dichiarato che non era sposata...».
(GREGORIUS NYSSENUS, De virginitate, 19: PG 46, 396).
Anche altri Padri mettono a confronto “Maria la profetessa” – così Gregorio
Nisseno e la tradizione patristica definisce la sorella di Mosè – con la Vergine Madre
di Dio; al punto che sant’Ambrogio chiama Maria “tympanistria nostra”, la nostra tim-
panista.
109 Scrive Ambrogio: «Se la verginità è là, dov’è la casa del Padre, il cielo è certa-
mente la patria della castità. Là essa è cittadina. Qui solo pellegrina» (AMBROSIUS, De
virginibus, 5, 21: PL 16, 195).
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110 Scrive Atanasio: «O quante vergini il Cristo troverà intorno a Maria, per acco-
glierle e condurle ai piedi del Signore! Quale sarà l'esultanza degli angeli, quando nel
corpo delle vergini vedranno l'esempio della sua castità! Ecco, il Signore le offrirà al
Padre suo dicendo: “Tutte queste furono e sono come Maria, la Madre mia”. Egli pro-
dusse sulla terra un simile frutto!... Le affidò a Maria, sua Madre!». (ATHANASIUS,
Epistula ad virgines: CSCO 151, p. 64).
Il Nisseno ne dà il motivo: «Ciò che infatti avvenne corporalmente nell'immaco-
lata Maria, quando cioè la pienezza della divinità risplendette nel Cristo per mezzo di
lei, avviene ugualmente in ogni anima che vive una vita verginale secondo la ragione»
(GREGORIUS NYSSENUS, De virginitate, 2: PG 46, 324).
Ambrogio, dopo aver delineato il ritratto della Vergine, afferma lapidariamente:
«Haec est imago virginitatis. Talis enim fuit .Maria, ut eius unius vita omnium sit disci-
plina. – Questo è il modello della verginità. Tale in verità fu Maria, la cui vita da sola
basta ad ammaestrare tutti» (AMBROSIUS, De virginibus, 2, 15: PL 16, 210).
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to;n fqoreva tw``n frenw``n – “il corruttore delle menti” e dei cuori è
il diavolo, il quale insidiò la verginità, a cominciare da Eva; tanto più
dopo che il profeta Isaia predisse che “la vergine avrebbe dato alla luce
l’Emmanuele” (cf. Is 7,14).111
to;n sporeva th``" aJgneiva" – “il seminatore della castità”. Il termine
“seminatore” richiama la parabola del seminatore (Mt 13,3-9.18-23).
Cristo è il seminatore della Parola del Regno; ma non ogni terreno in
egual modo accoglie il seme e lo fa fruttificare. Infatti, spiega Gesù:
«ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene
il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme
seminato lungo la strada (Mt 13,19)».
111 Origene, citando Ignazio di Antiochia, scrive: «La verginità di Maria fu tenuta
nascosta al principe di questo secolo; fu tenuta nascosta grazie a Giuseppe, fu tenuta
nascosta grazie alle nozze, fu tenuta nascosta perché si pensava che Maria fosse mari-
tata. Se non avesse avuto un fidanzato, e – come si riteneva – un marito, tale verginità
non avrebbe potuto essere nascosta al principe di questo mondo. Un’idea si sarebbe
subito insinuata nello spirito del diavolo: in qual modo questa donna, che non ha avuto
rapporto coniugale con un uomo, può essere incinta? Questo concepimento deve esse-
re un’opera divina, deve essere un’opera che va al di là della natura umana. Il Signore
invece aveva decretato che il diavolo dovesse ignorare il disegno divino della sua incar-
nazione; per questo lo lasciò nell’ignoranza del segreto della sua nascita». (ORIGENES,
Homiliae in Lucam, VI, 3-4: PG 13, 1814-1815).
Basilio Magno riprende il pensiero di Origene, e afferma: «Infatti furono adottate
per la Vergine le forme esterne delle nozze, quasi per distrarre il maligno che da tempo
insidiava le vergini, cioè da quando aveva udito il profeta annunciare: “Ecco la Vergine
avrà nel seno e partorirà un figlio” (Is 7,14). Con il matrimonio fu dunque ingannato
l’insidiatore della verginità (oJ ejpivboulo~ th``~ parqeniva~). Egli sapeva infatti che la
venuta del Signore nella carne, avrebbe apportato la distruzione del suo dominio»
(BASILIUS, In sanctam Christi generationem, 3: PG 31, 1464).
112 AMBROSIUS, De virginibus, I, 21-22: PL 16, 195.
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113 Così esordisce Proclo di Costantinopoli: «Ci ha dunque qui convocati la santa
Madre di Dio, la Vergine Maria, l’incontaminato cimelio della verginità (to; ajmovlunton
` parqeniva~ keimhvlion), il razionale paradiso del secondo Adamo, l’officina delle
th`~
nature di Cristo (to; ejrgasthvrion th`~ ` eJnwvsew~ tw`n` fuvsewn), il mercato del commer-
cio salvifico, il talamo nel quale il Verbo sposò la carne (hJ pasta;~ ejn h/| oJ Lovgo~ ejnum-
feuvsato th;n savrka), l’umano animato roveto che il fuoco di un parto divino non con-
sunse...» (PROCLUS CONSTANTINOPOLITANUS, Homilia I in sanctam Dei Genitricem
Mariam, 1: PG 65, 680).
114 AMBROSIUS, De virginibus, I, 22: PL 16, 195.
115 Ibidem.
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sario infatti che conosciate voi stesse riflettendovi in lei come in uno spec-
chio, per poi adornarvi di buone qualità...».116
STANZA XX (Oi\ko" k v)
Salgano incessanti i canti di grazie al Signore
I.– PROLOGO
che sono nelle tenebre (cf. Lc 1,79: ejpifa``nai toi`" ejn skovtei – “per appa-
rire a quelli che stanno nelle tenebre”).
La “tenebra”, nel contesto battesimale, è il buio dell’ignoranza di Dio
e del suo mistero di salvezza che avvolge il mondo: nel battesimo e
mediante il battesimo, per mezzo di Cristo-Luce, si entra nella luce della
“conoscenza divina” (gnw``s in qei>khvn), poiché il battesimo è per antono-
masia “illuminazione” (fwtismov~). La santa Vergine dunque è colei che
accende la Luce immateriale – che non è di questo mondo visibile, ma pre-
cede il mondo – e guida processionalmente tutti alla conoscenza divina,
illuminando (fwtivzousa) col suo splendore la mente degli uomini, mentre
tutti onorandola l’acclamano. Maria è come il diacono della Notte santa,
che tenendo alto il cero pasquale, e precedendo la processione, mostra a
tutti la Luce che è Cristo: “Lumen Christi! Deo gratias!”.
II.– LE 12 SALUTAZIONI
ciò sorge e illumina ma non tramonta. L’immagine è tratta dal sorgere del
sole. Splendore che non tramonta (ajduvtou fevggou") è il Verbo di Dio che
sorge come Luce dalla Vergine Maria: è Lei che lo irradia. L’espressione è
parallela e sinonima a quella già usata nella stanza IX: ajstevro" ajduvtou
` er – “Madre dell’intramontabile Astro”. In ambedue i casi il contrap-
mh`t
punto è tra il sorgere e il tramontare del sole e della luce.
«Mi condusse poi all’ingresso del tempio e vidi che sotto la soglia del tempio
usciva acqua verso oriente, poiché la facciata del tempio era verso oriente.
Quell’acqua scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale
dell’altare... Era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque era-
no cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a
guado... Mi disse: “Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendo-
no nell’Araba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque”
(Ez 47,1-8)».
th``" aJmartiva" ajnairou``sa to;n rJuvpon – “tu che porti via la sozzura
del peccato”. Il cieco nato e la piscina di Siloe sono soltanto un simbolo:
con il viso impiastricciato di fango il cieco nato andò a lavarsi a Siloe: l’ac-
qua portò via il fango, ed egli “vide”:
«Rispose Gesù: ... “Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo”.
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango
sugli occhi del cieco e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe” – che
significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva (Gv 9,3-7)».
Al Fonte battesimale, non è più il fango del suolo che viene deterso, ma
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è la “sozzura” del peccato che viene portata via (cf. 1Pt 3,21: «Que-
st’acqua... non porta via la sporcizia del corpo – ouj sarko;~ ajpovqesi~
v ou»). Siloe dunque è simbolo della Piscina, il cieco nato del catecumeno.
rJup
La Vergine Theotokos è questa Siloe, questo Fonte che accolse e contiene
l’Acqua divina che deterge e ricrea.
3. Il terzo momento che l’Akathistos celebra è l’amministrazione del
santo Battesimo. Ricordo tuttavia che nella liturgia bizantina oggi, anche nel
battesimo dei bambini, si amministrano insieme tre Sacramenti: il Battesimo
con l’Acqua, la Cresima o sacra Unzione con il Crisma, e la divina Eucaristia.
Ovviamente, in antico, il Battesimo veniva amministrato per immersione,
non per infusione; e l’unzione col sacro profumatissimo Crisma cospargeva il
corpo dei battezzandi, i quali poi – rivestiti di vesti bianche – accedevano
all’altare per partecipare alla celebrazione dell’Eucaristia.118
ª9.º Cai``re, louth;r ejkpluvnwn suneivdhsin:
ª10.º cai``re, krath;r kirnw``n ajgallivasin.
[Ave, o “fonte” che lavi la coscienza;
ave, o coppa che versi l’esultanza].
118 Ne offre un’ampia descrizione Cirillo di Gerusalemme nelle sue cinque famose
Catechesi mistagogiche (PG 33, 1065-1128).
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peccato scompare; appare la “nuova creatura” in Cristo (cf 2Cor 5,17; Gal
6,15).
krath;r kirnw``n ajgallivasin – “coppa che versi letizia”. Si allude al
rito della Crismazione, che si compiva versando con la coppa l’olio profu-
mato, il sacro crisma, sul capo e su alcune parti del corpo del neo-battez-
zato. Fondamento biblico ispiratore è certamente il Salmo 44, che la
Lettera agli Ebrei (Eb 1,9) riferisce a Cristo:
«Ami la giustizia e la malvagità detesti:
Dio, il tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia
(e[crisevn se oJ Qeo;~ oJ Qeov~ sou e[laion ajgalliavsew~),
a preferenza dei tuoi compagni.
Di mirra, aloe e cassia profumato tutte le tue vesti (Sal 44,8-9)».
120 Basilio di Seleucia afferma: «Se Paolo fu denominato vaso di elezione (skeu``o~
ejklogh``~ - At 9, 15) per aver portato e predicato in ogni parte della terra il venerando
nome di Cristo, quale vaso sarà mai la Madre di Dio (phlivkon a]n ei[h skeu``o~ hJ
Qeotovko~), che non contenne la manna a guisa dell’anfora d’oro, ma contenne nel
grembo il pane celeste che vien distribuito ai fedeli come alimento e come vigore?».
(BASILIUS SELEUCIENSIS, Oratio in sanctissimae Deiparae Annuntiationem, 6: PG 85,
449). Benché sia diverso il contesto, molto vicino è il significato: Maria è “vaso” come
Paolo e più di Paolo, “vaso” (skeu``o~, quasi sinonimo di “coppa” - krathvr del verso
precedente) da cui si effonde il profumo di Cristo in ogni parte della terra.
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In che senso allora Maria può essere detta “vita” del mistico Convito?
Perché il sacro Banchetto ci rende realmente partecipi della carne e del san-
gue di Cristo, data a noi come cibo e bevanda (cf. Gv 6,53-58). Certamente
la carne e il sangue del Figlio dell’uomo non piovve dal cielo come la manna,
ma fu assunta dal sangue e dalle carni della Vergine, e formata per nove mesi
nel suo seno. Infatti Cristo in quanto vero e perfetto uomo proviene esclu-
sivamente da lei, non da connubio con uomo, e porta la piena realtà umana
solo dalla Madre, avendo partecipato non soltanto alla carne e al sangue, ma
a tutta la ricchezza razionale, morale e spirituale della Vergine mediante l’i-
nenarrabile generazione ad opera dello Spirito Santo; la quale impresse in
Maria una indelebile partecipazione alla Vita divina del Figlio.
un testo di Paolo, l’unico che usi il termine ceirovgrafon; tanto più poi
che l’Apostolo lo usa proprio in contesto battesimale. Cito:
«Con lui sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella
potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti. Con lui Dio ha dato vita anche
a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra
carne, perdonandovi tutte le colpe (carisavmeno~ hJmi`n` pavnta ta; paraptwv-
mata) e annullando il documento scritto contro di noi (ejxaleivya~ to; kaq∆
hJmw`n` ceirovgrafon) che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mez-
zo inchiodandolo alla croce. Avendo privato della loro forza i Principati e le
Potenze (ajpekdusavmeno~ ta;~ arca;~ kai; ta;~ ejxousiva~), ne ha fatto pubbli-
co spettacolo, trionfando su di loro in Cristo (Col 2,12-15».
L’Akathistos si ispira anche nei termini, oltre che al testo di Col 2,13-
14: carisavmeno~ (“facendovi grazia”) e ceirovgrafon (“chirografo”),
anche a questo brano di Proclo, riprendendo: (w[feilev), quindi ojflh-
mavtwn, crevo~ + luvs i~ (crewluvth") e ceirovgrafon.
122
PROCLUS CONSTANTINOPOLITANUS, Homilia I in sanctissimam Dei Genitricem
Mariam: PG 65, 680-692.
123 Ibidem, col. 684-685.
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la morte, e così in tutti gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno pec-
cato (ejf∆ w|/ pavnte~ h{marton)» (Rom 5,12).
Proclo continua:
«Pertanto colui che è re per natura non sdegnò l’umana natura da lungo tem-
po tiranneggiata; né permise Iddio nella sua misericordia che fino alla fine fos-
se soggetta al demonio; ma venne, egli che sempre è presente, e diede in
riscatto per noi il proprio sangue e per il genere umano offrì come prezzo di
compenso alla morte la carne che prese dalla Vergine e redense il mondo dalla
maledizione della legge distruggendo con la morte la morte, come grida
Paolo: “Cristo ci redense dalla maledizione della legge (Gal 3, 13)”».124
I.– PROLOGO
Il corpo di Gesù dunque è “il tempio” del Verbo: anzi, proprio sulla
parola “tempio” (naov~) si era accesa sul finire del secolo IV e agli inizi del
V la polemica tra la scuola alessandrina e quella antiochena: quest’ultima
infatti sosteneva che il Verbo incarnato dimorava nella natura umana
come in un tempio: riduceva quindi l’unione delle due nature – la natura
umana e quella divina – a una quasi-inabitazione del Verbo nella natura
assunta, non ad una vera e propria unione ipostatica nell’unica Persona
del Figlio, come definirono poi i Concili di Efeso e di Calcedonia.
Anche la Theotokos è tempio: e[myucon naovn, un “tempio animato”,
il tempio vivente del Verbo, come si esprime Gregorio di Nazianzo.125
125 Gregorio Nazianzeno in un poema così canta: «Non sono pochi coloro i quali
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Fu dunque una discesa e una permanenza della Gloria sulla tenda del
convegno, che accompagnava gli israeliti per tutto il tempo del loro viag-
gio verso la Terra promessa.
Analoga descrizione troviamo nel primo Libro dei Re per la dedicazio-
ne del tempio eretto da Salomone:
«Appena i sacerdoti furono usciti dal santuario, la nube riempì il tempio del
Signore, e i sacerdoti non poterono rimanervi per compiere il servizio a causa
della nube, perché la gloria del Signore riempiva il tempio del Signore (e[plh-
se dovxa kurivou to;n oi\kon)» (1Re 8,10-11).
affermano che il Dio-Uomo è nato dal seno verginale che lo Spirito del grande Dio ha for-
mato, costruendo un tempio puro al tempio (naw``/ nao;n aJgno;n ejgeivrwn). La Madre
infatti è il tempio di Cristo (Mhvthr ga;r Cristoi``o naov~); questi a sua volta è il tempio
del Verbo... Questa, dopo averlo concepito nelle sue viscere irradiate dalla divinità, lo
diede alla luce al termine del tempo della gestazione. Allora il Verbo sovrano rivestì la
nostra carne pesante e riempì il tempio con la pura divinità. Per me, in ambedue le
nature, era rimasto un solo Dio» (GREGORIUS NAZIANZENUS, Poemata ad alios. Ad
Nemesium, 180-184: PG 37, 1565).
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sicuro della protezione divina. Ora, ciò che avvenne allora in figura per
Israele, si attuò in realtà nella Vergine di Nazaret. Sopra di lei infatti disce-
se lo Spirito Santo e la Gloria dell’Altissimo la coprì come nube con la sua
ombra, secondo le parole dell’angelo Gabriele:
«Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco
uomo?”. Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza
dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo
e sarà chiamato Figlio di Dio”» (Lc 1,34-35).
126 Scrive Cirillo di Gerusalemme: «“Come mi avverrà questo, poiché non conosco
uomo?” (Lc 1, 34). E quegli rispose: “Lo Spirito Santo verrà su di te e la Virtù dell’Al-
tissimo ti adombrerà: perciò il nato santo sarà chiamato Figlio di Dio”(Lc 1,35).
Incontaminata e senza macchia è la generazione. Dove infatti spira lo Spirito Santo, ivi
vien tolta ogni contaminazione: quindi la natività umana dell’Unigenito dalla Vergine è
immune da sordidezza» (CYRILLUS HIEROSOLYMITANUS, Catechesis XII: PG 33, 765).
La santificazione previa di Maria all’Annunciazione viene chiamata, fino ad oggi nel-
la teologia bizantina, “procatarsi” (prokavqarsi~), come più volte la definisce Gregorio
di Nazianzo. Ne cito un testo: «Divenne uomo in tutto, tranne nel peccato. Fu concepito
dalla Vergine, la quale era stata previamente purificata dallo Spirito nell’anima e nel corpo
(ejk parqevnou kai; yuch;n kai; savrka prokaqarseivsh~); giacché se conveniva che la
generazione ricevesse la sua parte di onore, era però necessario che la verginità fosse
maggiormente onorata» (GREGORIUS NAZIANZENUS, Oratio 38: PG 36, 325).
Ancora più esplicito è Antipatro di Bostra, nell’Omelia sulla Madre di Dio: «“Lo
Spirito Santo verrà sopra di te”. Come verrà? Non lo vedrai quando discende, ma ope-
rerà pur senza mostrarsi. “Lo Spirito Santo verrà sopra di te”. A che fine verrà lo Spirito
Santo? Perché tu sei santa, ma hai bisogno di diventare più santa. Quando infatti il fale-
gname prende un legno o il fabbro un ferro, lo dirozza e lo rende maggiormente atto
all’opera d’arte. Anche tu dunque: sei vergine, ma devi diventare più santa, per conce-
pire il Santo. “Lo Spirito Santo verrà sopra di te e la Virtù dell’Altissimo ti adombrerà”
(Lc 1,35). Egli enuncia due cose: lo Spirito Santo e la Virtù. Qual è questa Virtù? “Il
Cristo, Virtù di Dio” (1Cor 1,24). Vengono dunque ambedue: lo Spirito Santo e il
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ejn th/` sh/` ga;r oijkhvsa" gastri; oJ sunevcwn pavnta th/` ceiriv, Kuvrio" –
“avendo infatti abitato nel tuo ventre Colui che con la mano contiene l’u-
niverso, il Signore”. Questo verso è molto importante dal punto di vista
sia dottrinale che apologetico. Congiunge infatti due termini (oijkhvsa" e
gastriv), affermando che il “ventre” (gasthvr) della Vergine Madre è
“casa” o “abitazione” (oijkiva) del Signore che contiene e regge l’universo.
Dal punto di vista apologetico, tale esplicita affermazione si pone in
netto contrasto soprattutto con i giudei, che negano assolutamente l’incar-
nazione di Dio e hanno in orrore il luogo ove essa avviene secondo la fede
cristiana: il “ventre” di una donna (per noi: della Vergine).
Già nel secolo II, intorno agli anni 175-180, il filosofo pagano Celso
scrisse un “Discorso vero” (∆Alhqh;~ lovgo~) contro la religione cristiana. Lo
confutò Origene nell’apologia “Contro Celso”, controbattendo le sue affer-
mazioni ad una ad una. Ora, Celso mette in scena un Giudeo che accusa il
cristianesimo per tanti motivi. Uno principale: l’incarnazione, e il modo in
cui avvenne. Scrive Origene, riportando le parole di Celso:
«Se Dio voleva inviare il suo Spirito, che bisogno c’era di spirarlo nel seno di
una donna? Poteva infatti, pratico com’era nel plasmare uomini, modellargli
un corpo senza gettare il suo Spirito in una tale lordura...».
Cristo, l’unigenito Figlio di Dio. “Poiché il nato da te sarà chiamato santo” (Lc 1,35).
Vedi come la Vergine intese ogni cosa: lo Spirito Santo e la Virtù dell’Altissimo? L’angelo
non omise nulla, non tacque nulla. “Lo Spirito Santo verrà sopra di te, e la Virtù dell’Al-
tissimo ti adombrerà”, ti circonderà, ti rivestirà, ti starà tutt’intorno, ti cingerà come di
una palizzata, ti farà da baluardo» (ANTIPATER BOSTRENUS, Homilia in sanctam Dei
Genitricem, 8-9: PG 85, 1775-1792).
127 ORIGENES, Contra Celsum, VI, 73: PG 11, 1408.
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mare che egli è disceso dai cieli nel ventre di una donna per farsi uomo. Nei
secoli IV e V sembra che la polemica con i giudei fosse ancora in atto.
Infatti, nell’omiletica efesina più volte si chiama in causa il Giudeo, per con-
vincerlo della verità cristiana anche con paragoni tratti dall’Antico Testa-
mento. Mi limito a ricordare Teodoto di Ancira e Proclo di Costantinopoli,
nelle rispettive Omelie lette nel Concilio di Efeso e apposte agli Atti.128
Ancor più importante dal punto di vista teologico è confessare che Dio
ha abitato “nel ventre” – noi preferiamo dire: “nel seno”, “nel grembo” –
della Vergine di Nazaret. Il tema allora dibattuto in cristologia era l’unione
della natura divina e di quella umana nell’unica persona (ipostasi) del Verbo.
Ora, questa unione avvenne nel “grembo verginale” della Theotokos.
Basilio Magno lo definisce “officina”; Proclo lo paragona a un telaio, nel
quale è stata intessuta la tunica inconsutile di Cristo, eterno Sommo
Sacerdote.129
128 Teodoto di Ancira afferma: «Non volermi apporre a ludibrio della divinità le
membra verginali. Non sono indegne di lor natura, anche se le passioni ignominiose
venute dopo, corruppero la nobiltà del corpo. Non sono turpi di lor natura le membra;
è l’illecita concupiscenza che le contamina. Infatti se fossero turpi di lor natura, Dio
non le avrebbe plasmate con le sue mani: poiché Dio non è fattore di cose turpi, ma di
cose bellissime: “Vide infatti Dio tutte le cose che aveva fatto; ed eccole belle assai”
(Gn 1,31)... Se dunque Dio non viene accusato per aver plasmato le membra della don-
na, neppure sarà oltraggiato per avervi abitato: non è infatti indegno che Dio abiti nella
propria creatura...» (THEODOTUS ANCYRANUS, Homilia I in diem natalem Domini, 11:
PG 77, 1349-1370).
Proclo di Costantinopoli, nella celebre Omelia sulla Madre di Dio, scrive: «Non
ti vergognare, o uomo, di questo parto: esso fu per noi principio di salvezza. Se infatti
non fosse nato da donna, neppure sarebbe morto; e se non fosse morto, non avrebbe
annientato con la morte “colui che della morte aveva l’impero, ossia il demonio” (Eb
2,14). Come non è di oltraggio all’architetto l’abitare nel palazzo che ha costruito, né
l’argilla insozza il vasaio che rinnova il vaso già fatto: del pari non insozza l’incontami-
nato Dio l’uscire da seno verginale. Creandolo infatti non s’imbrattò; uscendone non
si insozzò. O seno (gasthvr), nel quale fu composto l’atto della nostra liberazione! O
ventre (koiliva), nel quale furono foggiate le armi contro il demonio! O campo, nel
quale il coltivatore dell’umana natura fece germogliare senza seme la spiga! O tempio,
in cui Dio divenne sacerdote, non col mutare natura, ma con l’indossare per la sua
misericordia colui che è secondo l’ordine di Melchisedek!» (PROCLUS CONSTANTI-
NOPOLITANUS, Homilia I in sanctissimam Dei Genitricem, 3: PG 65, 684).
129 Basilio Magno, nell’Omelia sul Natale di Cristo, dice: «Apprendi dunque che
Dio è nella carne, perché bisognava che fosse santificata questa carne, già maledetta;
che fosse corroborata questa carne infiacchita; che fosse ricondotta all’amicizia con
Dio questa carne a lui nemica e venisse riportata in cielo la carne che dal paradiso era
caduta. E qual è l’officina di questa economia? Il corpo di una santa Vergine. E quali
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Ora, è proprio Lui, il Signore (Kuvrio"), colui che nella mano contiene
l’universo (pavnta),“il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene,
che è Signore del cielo e della terra, e non abita in templi costruiti da
mani d’uomo (oujk ejn ceiropoihvtoi~ naoi`~ ` katoikei`)` ...” (At 17,24), è
Lui che senza suo disonore, anzi con suo grande onore, ha abitato nel
grembo (ejn th`/` sh/` ga;r oijkhvsa" gastriv) della Theotokos come in un vero
“tempio”, Lui che come sapiente architetto senza suo disdoro ha formato
anche il ventre della donna.130
hJgivasen, ejdovxasen – “lo santificò, lo glorificò”. Oggetto dunque della
santificazione e glorificazione, operata dalla abitazione del Figlio nel seno
diMaria, in questo caso è proprio “il ventre”, “il grembo” della Madre. L’abi-
tazione in esso per nove mesi del Verbo santissimo e incorruttibile, fonte del-
la santità e della gloria, lo santificò, come preannunciava già il Salmo 45,5-6,
nella versione greca dei LXX, citato dai Padri di Efeso: “L’Altissimo ha san-
II.– LE 12 SALUTAZIONI
131 Teodoto di Ancira scrive: «I cristiani, perché docili a Dio, ascoltano le ispirate
predizioni dei profeti che così proclamano ovunque nei riguardi della celebratissima
Vergine: “L’Altissimo ha santificato la sua dimora (hJgivasen to; skhvnwma aujtou`` oJ
”Uyisto~): Dio è in mezzo a lei, non sarà smossa” (Sal 45, 5-6)... Se infatti il ferro, unen-
dosi al fuoco, immediatamente espelle le scorie estranee alla sua natura e perviene alla
sua naturale purezza; celermente anzi acquista la somiglianza con l’energica fiamma che
l’arroventa e diviene integro e capace d’incendiare qualunque materia: quanto più e in
modo superiore arse la Vergine all’irruzione del Fuoco divino: e fu purificata dalle cose
terrene e da quelle eventualmente sopravvenute contro natura, e fu costituita nella sua
bellezza naturale, sì da essere di poi inaccessibile e intangibile e insostenibile alle cose
carnali. E a quel modo che uno, ricevendo sul capo un getto d’acqua, ne resta bagnato
in tutto il corpo, dalla testa ai piedi; allo stesso modo crediamo che anche la divina
Vergine Madre fu interamente unta con la santità dello Spirito Santo che scese su di lei;
e così quindi accolse il vivente Dio Verbo entro il suo talamo verginale e profumato».
(THEODOTUS ANCYRANUS, In Deiparam et Symeonem, 6: PG 77, 1398-1400).
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132 Il proemio o “kontakion” con il quale si apre nella Liturgia bizantina ogni cele-
brazione anche parziale dell’Akathistos, è una vera “dedica” alla Madre di Dio, la
Vincitrice. Il proemio fu composto in periodo più tardivo (probabilmente da Germano
di Costantinopoli), quando era stata assegnata all’Akathistos una memoria propria il
quinto sabato di Quaresima. Ormai l’esperienza dell’assistenza protettrice di Maria era
stata comprovata dai fatti. Perciò il Sinassario di questa memoria ricorda alcune straor-
dinarie liberazioni della Città imperiale dall’assedio degli Avari e dei Persiani, e da quello
degli Arabi. Cito il kontakion:
Th/` uJpermavcw/ Strathgw/` ta; nikhthvria:
wJ" lutrwqei`s` a tw`n` deinw`n` , eujcaristhvria
ajnagravfw soi hJ povli" sou, Qeotovke.
∆All∆ wJ" e[cousa to; kravto" ajprosmavchton
ejk pantoivwn me kinduvnwn ejleuqevrwson,
i[na kravzw soi: Cai`r` e, nuvmfh ajnuvmfeute.
(«Invincibile Stratega, a te i canti di vittoria!
Or sottratta a sventure, inni di grazie
a te dedico, io tua città, o Theotokos!
Ma tu che possiedi la forza invincibile,
da ogni sorta di pericoli salvami,
perché t’acclami: Ave, Vergine e Sposa!»).
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«Allora la nube coprì la tenda del convegno e la gloria del Signore riempì la
Dimora (kai; ejkavluyen hJ nefevlh th;n skhnh;n tou`` marturivou, kai; dovxh~
Kurivou ejplhvsqh hJ skhnhv). Mosè non poté entrare nella tenda del convegno,
perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora (Es
40,34-35)».
Maria dunque è “la Santa”, che realizza la figura del “santuario”, del
“santo dei santi” della tenda di convegno; anzi, è più ampia (meivzwn) dello
stesso. Non si tratta di un paragone di qualità, quasi dicessimo: è più santa
del “Santo dei Santi” che è Cristo – la stanza XXIV così proclamerà il
Signore –: qui il paragone verte con il “santo dei santi” della tenda di con-
vegno e la sua capienza: entro di esso infatti venne collocata l’arca dell’Al-
leanza. Nel grembo della Vergine prese dimora il Verbo eterno. Un’imma-
gine plastica la potremmo avere nel tipo iconografico detto “la più ampia
dei cieli” (hJ platutevra tw``n oujranw``n), dove la Theotokos con le braccia
allargate in alto sembra abbracciare l’universo, mentre nel grembo porta il
tondo del Figlio benedicente: colui che i cieli non possono contenere, Tu
l’hai portato in grembo!
qhsaure; th`"
` zwh`"` ajdapavnhte – “tesoro inesauribile della vita”. Il vero
“tesoro” di Israele, racchiuso nell’arca, era soprattutto “la Testimonianza”
(Es 25,16-22; 40,20), cioè le “tavole dell’Alleanza” – “aiJ plavke~ th`~ ` dia-
qhvkh~” (Eb 9,4), e “l’urna d’oro contenente la manna” (cf. Es 16,32-34) e la
verga di Aronne che era fiorita (Nu 17,25). Le tavole della Legge scritte col
dito di Dio e da Dio date a Mosè erano e sono l’autentico “tesoro inesausto
di vita” per Israele e anche per noi.
Ora, la Theotokos, arca indorata dallo Spirito Santo, che non ha con-
tenuto la Legge ma il Legislatore, il Cristo, è ben a ragione “il tesoro ine-
sauribile della Vita” divina ed eterna, per tutti e per sempre.
XXIV (Oi\ko" kd v)
La Supplice (deisis)
1. «W panuvmnhte Mh``ter, | hJ tekou``sa to;n pavntwn
2. aJgivwn aJgiwvtaton Lovgon,
3. dexamevnh th;n nu`n` prosforavn, | ajpo; pavsh" rJus
` ai sumfora`"
`
4. a{panta":
5. kai; th``" mellouvsh" luvtrwsai kolavsew" ∆ tou;" sumbow``nta":
6. ∆Allhlouvi>a.
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Ciò che il Concilio afferma del culto del popolo di Dio verso Maria,
che crebbe mirabilmente soprattutto a partire dal Concilio di Efeso,
mostra il valore dell’inno Akathistos, quale espressione dottrinale e cultua-
le verso la Theotokos.
Tuttavia, per meglio comprendere questa stanza XXIV, bisogna ricorda-
re il processo storico dello stesso culto mariano. Benché la Vergine Maria
fosse venerata nella sua somma dignità di Madre di Dio, secondo le stesse
parole di Elisabetta (Lc 1,43), e perciò invocata come misericordiosa e
133 Molto si è scritto sul Sub tuum praesidium, sulla sua autenticità e antichità, sulla
provenienza e diffusione, e sul suo primario significato storico e mariologico. Rinvio a tre
più sicuri autori: G. GIAMBERARDINI, Il «Sub tuum praesidium» e il titolo «Theotokos»
nella tradizione egiziana, in Marianum 31 (1969) 324-362; ACHILLE M. TRIACCA, «Sub
tuum praesidium»: nella «Lex orandi» un’anticipata presenza della «Lex credendi». La
«teotocologia» precede la «mariologia»?, in S. FELICI (a cura di), La mariologia nella cate-
chesi dei Padri (età prenicena), LAS, Roma 1989, pp. 183-205; R. IACOANGELI, «Sub tuum
praesidium». La più antica preghiera mariana: filologia e fede, in S. FELICI (a cura di), La
mariologia nella catechesi dei Padri (età prenicena), cit., p. 207-240. Il dotto filologo sale-
siano R. Iacoangeli esamina ad uno ad uno, con mirabile acribia, i termini del «Sub tuum
praesidium», alla luce della grecità e della Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento,
con le sfumature di forma e di significato che di volta in volta essi assumono. Ora, la sup-
plica della stanza XXIV dell’Akathistos ha diversi punti in comune di termini e di signi-
ficato con l’antichissima antifona mariana.
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potente presso il Figlio, come testimonia il Sub tuum praesidium, il culto ver-
so di lei conobbe un lento processo di affermazione. Nella Chiesa infatti,
d’Oriente e d’Occidente, i primi ad essere venerati come “santi” furono i
martiri (apostoli imprimis), perché testimoni e imitatori della Passione del
Signore. Antichissimo infatti è il culto dei martiri. Ma quando, dopo l’editto
di Milano di Costantino (anno 313) che concedeva ai cristiani la libertà di
professare la propria fede, venne meno il martirio, assunse una grande
importanza un’altra forma di santità, la vita ascetica di radicale imitazione di
Cristo, nel cui contesto la verginità fu considerata come la risposta più piena
alle esigenze del Regno. Ora, la Vergine Maria nella sua perpetua verginità
venne proposta come il “modello” della verginità per il Regno: verginità che
fu sinonimo di “santità” personale.134
Ella non è più solo “la Vergine” (Lc 1,27) “la Madre del Signore” (Lc
1,43): è la “santa Vergine”.135 “Santa Maria” poi divenne titolo usuale per
134 Per quanto conosciamo, il primo a proporre Maria come vertice e modello fem-
minile di verginità accanto al Figlio fu Origene. Nel Commento al vangelo di Matteo affer-
ma: «Quanto ai “fratelli” di Gesù, alcuni – indotti da una tradizione del cosiddetto
Vangelo di Pietro o del libro di Giacomo – dicono che sono i figli che Giuseppe ebbe da
una moglie precedente, a lui sposata prima di Maria. Coloro che così affermano vogliono
salvaguardare l’onore di Maria in una verginità fino alla fine (to; ajxivwma th`~
` Mariva~ ejn
parqeniva/ ... mevcri tevlou~), affinché quel corpo, che fu scelto a prestar servizio al Verbo
che disse: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la Virtù dell’Altissimo ti adombrerà” (Lc
1,35), non abbia conosciuto unione con uomo dopo che lo Spirito Santo discese in lei e
l’adombrò la Virtù dall’alto. E io credo ragionevole che la primizia della purezza casta
degli uomini sia Gesù, e delle donne Maria: non sarebbe infatti pio ascrivere ad altra che
a lei la primizia della verginità (kai; oi\mai lovgon e[cein ajndrw`n me;n kaqarovthto~ th`~ `
ejn aJgneiva/ ajparch;n genonevnai to;n ∆Ihsou`n` , gunaikw`n` de; th;n Mariavm. Ouj ga;r
eu[fhmen a[llhn par∆ ejkeivnhn th;n ajparch;n th`~ ` parqeniva~ ejpigravyasqai)» (ORI-
GENES, Commentaria in Evangelium secundum Matthaeum, 10, 17: PG 13, 875).
In questo testo molto conosciuto Origene usa termini e concetti molto precisi, con
la loro specifica attribuzione. Innanzitutto, distingue (pur nella loro sinonimia pratica)
la “kaqarovth~ th``~ ejn aJgneiva/” (la “purezza nella castità”) e la “parqeniva” (la “ver-
ginità”). La “purezza nella castità” è di ambedue i sessi, e di essa primizia (ajparchv) è
Gesù per gli uomini; delle donne invece, e cioè della “verginità”, primizia è Maria. La
stanza XIX dell’Akathistos la chiama “archgov~” (“iniziatrice”) del nuovo stile vergi-
nale di vita.
135 Il primo dei Padri che usa l’espressione “santa Vergine” sembra sia Ippolito di
Roma: «Il Verbo di Dio, essendo incorporeo, indossò la santa carne dalla santa Vergine
(ejk th``~ aJgiva~ parqevnou)» (HIPPOLYTUS, De Christo et antichristo, 4: PG 10, 732). Il
titolo “santa” dato a Maria è dunque molto antico, antecedente al fiorire del monachesi-
mo del secolo IV. Esso dipende indubbiamente dal testo paolino sulle vergini di 1Cor
7,34: «La donna non sposata, come la vergine (hJ parqevno~), si preoccupa delle cose del
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indicare la Vergine Madre di Dio, alla quale venivano dedicate anche le chie-
se in Oriente e in Occidente. Infatti il Concilio di Efeso del 431 si tenne pro-
prio nella chiesa detta di “Santa Maria”. Il titolo “Santa” fu presto affiancato
dal superlativo “Tuttasanta” (panagiva), titolo corrente oggi in ambiente
greco-bizantino per indicare la Madre di Dio.136
La Theotokos perciò cominciò ad avere un posto preminente nella litur-
gia delle Chiese, prima e al di sopra degli apostoli e dei martiri.137 Epifanio
di Salamina († 403) usa per primo anche l’espressione: “la santa Sempre-
vergine”.138 Lo stesso Epifanio, testimone della coscienza di fede di tutti i
fedeli, controbattendo gli eretici, afferma:
«Quando mai qualcuno ha osato pronunciare il nome di santa Maria senza
subito aggiungere, se interrogato, il titolo di “Vergine”? Da questi appellativi
invero emergono le prove della virtù. Tutti i giusti infatti hanno ricevuto cia-
scuno degli appellativi corrispondenti e adatti alla loro dignità... Così la santa
Maria ricevette il nome di “Vergine”; nome che mai sarà cambiato (th`/` aJgiva/
Mariva/ to; æparqevno~æ kai; ouj traphvsetai)».139
Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito (aJgiva kai; tw``/ swvmati kai; tw``/ pneuv-
mati)». Secondo Atanasio, Paolo scrivendo ai Corinzi sulle vergini, aveva davanti agli
occhi l’immagine della Vergine Maria: «Probabilmente Paolo conobbe la vita di Maria,
se è vero che da lei prese il modello per stendere la dottrina della verginità».
(ATHANASIUS, De virginitate: CSCO 151, 58-62).
136 Una prima testimonianza dell’appellativo “Tuttasanta” la troviamo agli inizi del
secolo IV in Eusebio di Cesarea (De ecclesiastica theologia, 3: PG 24, 1033). Anche
Basilio di Seleucia nell’Omelia che è fonte dell’Akathistos chiama Maria “Vergine tutta-
santa”.
137 Non è fuori luogo ricordare anche l’evoluzione occidentale nel considerare la
Vergine Madre di Dio al primo posto della santità ecclesiale, prima e al di sopra degli
apostoli e dei martiri. Ne dà testimonianza l’antico Canone romano, nelle intercessioni,
che abbreviamo spesso con la prima parola: “Communicantes”. Cito: «Communicantes
et memoriam venerantes imprimis gloriosae semper virginis Mariae, Genitricis Dei et
Domini nostri Iesu Christi».
138 In una formulazione più lunga (longior) del simbolo niceno, ricordando l’incar-
nazione del Signore, scrive: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e
si fece carne, cioè è stato perfettamente generato dalla santa Semprevergine Maria
(gennhqenta teleivw~ ejk th`~ ` ajeiparqevnou) per opera dello Spirito
` aJgiva~ Mariva~ th`~
Santo» (EPIPHANIUS, Ancoratus, 120: PG 43, 233).
139 EPIPHANIUS, Panarion seu Adversus haereses, 78, 6: PG 42, 705.
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Il paragone è tra gli apostoli, anzi tra i più eminenti degli apostoli, cioè
Pietro e Paolo, e la Theotokos. Chi sono infatti gli apostoli? Sono “sudditi”,
sono “servi” del Signore. Chi è invece Maria? È la sua “Genitrice”, la
Madre. Ora – argomenta Basilio – se a dei semplici sudditi, a dei servi, il
Cristo concesse tale potere, da curare da vivi gli infermi, addirittura con
l’ombra del loro corpo o con oggetti che li avevano toccati; anzi, dopo la
morte, le loro tombe e le loro reliquie continuano a mostrarne il potere; se
dunque a dei semplici “servi” egli concesse tanto potere, quale ricompensa
avrà dato a colei che lo ha generato e quale potere le avrà partecipato?
Certo, ben più che agli apostoli e a tutti, conclude Basilio: “è ovvio!”. Tanto
più che la Vergine è la “Tuttasanta”, superiore quindi già per questo agli altri
Santi; ed è la “favorita di grazie” dal Figlio, indubbiamente più di tutti gli
altri suoi sudditi e ministri.
Basilio di Seleucia parte dunque dalla sovreminente dignità della
Madre di Dio per affermarne la sovreminente potenza, rispetto a “tutti gli
altri Santi”, cioè agli apostoli e ai martiri: Maria è la “Tuttasanta” (pana-
giva). Con Basilio di Seleucia, dunque, e con l’Akathistos, viene affermata
la potenza di Maria, senza bisogno del concorso degli altri Santi.
dexamevnh th;n nu`n` prosforavn – “avendo gradito l’attuale offerta”. Si
tratta dell’offerta della lode alla Madre di Dio che è l’inno Akathistos.
L’autore dell’Inno sembra ispirarsi concettualmente in questo emistichio,
anche verbalmente nel seguente, alla preghiera antifonale “Sub tuum prae-
sidium”, di origine alessandrina, ma forse già allora (dopo il 451) cono-
sciuta e utilizzata nelle celebrazioni costantinopolitane.145
dexamevnh – “avendo gradito”, oppure “dopo aver gradito”. L’Inno si
rimette alla benevolenza magnanima della Theotokos, che per sua bontà può
accogliere e gradire l’offerta della lode: non ne è tenuta, né gli offerenti
147 R. Iacoangeli, nel suo studio sul Sub tuum praesidium, dopo aver condotto
un’accurata analisi storico-filologica del verbo rJuov mai nell’uso greco classico e nell’uso
biblico dell’Antico e del Nuovo Testamento, rileva: «Il significato radicale di rJuov mai
non è solo quello di prestare aiuto, portare a salvamento, recar soccorso, come azione
urgente e momentanea, ma anche, e soprattutto, quello di tener lontano il pericolo, pro-
teggere, tutelare, custodire, preservare, cioè salvare e conservare nello stato di salvezza»
(R. IACOANGELI, «Sub tuum praesidium». La più antica preghiera mariana: filologia e fede,
in S. FELICI [a cura di}, La mariologia nella catechesi dei Padri (età prenicena), cit., p. 225).
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CONCLUSIONE
149 Basilio di Seleucia, in Isauria: vescovo dal 444/448, morto dopo il 468. Poco
si sa della sua vita, all’infuori della sua partecipazione al Sinodo di Costantinopoli del
448, al latrocinio di Efeso (449) e al Concilio di Calcedonia (451), dove ha influito sulla
definizione cristologica del Concilio. Di lui sono giunte fino a noi una cinquantina di
omelie, fonte di numerose composizioni innografiche posteriori. L’omelia 39 sulla
Madre di Dio è la fonte primaria dell’inno Akathistos.
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A K AT H I S T O S – I N N O A L L A M A D R E D I D I O
INDICE
Prima Sezione
EDIZIONE METRICA
Praenotanda 1
1. Titolo presunto 53
2. Praenotanda alle due edizioni 53
3. Edizione metrica corrente 54
4. Edizione metrica con segni tonici 66 MARIANUM
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348
Seconda Sezione
MISTAGOGIA DELL’AKATHISTOS
INDICAZIONI PRELIMINARI 79
1. L’autore dell’Akathistos 80
2. La celebrazione dell’Akathistos 84
3. L’oggetto dell’Akathistos 91
4. La parola-chiave dell’Akathistos: cai``re (godi, gioisci) 96
5. Il filo conduttore dell’Akathistos: la “historia salutis” 105
Terza Sezione
COMMENTO AL TESTO
INDICE 349
Conclusione 345
Indice 347
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