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Nudità ideale: la "Venere dei Medici"- 1

La Venere di Botticelli si presenta a noi come una figura bella e nuda, ma anche solitaria e
impenetrabile, quasi come un bassorilievo di un artista che, d'altronde, è stato definito "orefice" sia
da Vasari che da Warburg. Questo nudo magnifico ci rimanda tramite le sue dimensioni e ai suoi
colori a una statua a tutto tondo, totalmente estranea a noi, all'amore; e noi siamo egualmente
totalmente alieni a lei e al suo cuore.
Nudità celeste: derivata dallo sdoppiamento ripreso dal Simposio di Platone, che Kenneth Clark
attribuisce a tutta l'arte, designando Botticelli come uno dei grandi "poeti" di Venere, tramite una
"poetica" di stampo divino (l'unica ammessa ai tempi di Savonarola). La nudità (nakedeness) di
Clark viene poi ulteriormente sdoppiata da lui in:
– Forma ideale: nudo come genere (nato in Grecia nel 5 sec a.c.) artistico come lo potrebbe
essere, in musica, l'opera italiana del '600:
– Vergogna.
Questo discorso (Discorso chiamato storia dell'arte, altro saggio di Hubermann) si sviluppa inaaltre
due implicazioni, una neovasariana e una neokantiana. La prima vede il nudo come forma plastica
di un'idea, un giudizio; la seconda lo tramuta in un giudizio estetico che rifiuta l'empatia, ovvero
una divisione fra forma e desiderio, che "nega" la nudità della Venere, la sua ma soprattutto la
NOSTRA colpa. Ma questo, per Hubermann, non è possibile.
Però, la Storia dell'arte in quanto disciplina umanistica (Panofsky) ha provato a "desessualizzare"
la Venere, individuandola come citazione "antica" dell' Afrodite Anadiomene, quadro mai esistito di
Apelle se non nelle descrizioni letterarie di autori come Ovidio: tuttavia questa mitica Afrodite era
comunque ancora troppo sensuale proprio per la sua composizione organica di pigmenti e leganti!
Ecco allora che si cerca di "rinchiudere" la Venere botticelliana nel marmo, identificandola nella
Venere dei Medici, una copia da Prassitele risalente al I sec a.c della quale si hanno notizie dal 1200
ca. Questo collegamento, operato da diversi studiosi, trova radici nell'imitazione da una serie di
"Veneri pudiche", che si ritrovano in varie epoche, da Pisano a Ghiberti.
L'ultima operazione che vuole "vestire" la Venere (quasi come una "presa d'abito" religiosa) si
esprime in una idealizzazione del nudo che si frappone fra la simbologia dello stesso e la
fenomenologia della nudità.
Dunque abbiamo 3 modi di "negare" la nudità della Venere: rivolgendosi alle fonti letterarie,
alla statuaria, e alla pura idealizzazione.
Venere incarna allora l'Humanitas di Ficino, la Philosophia di Pico della Mirandola, e la nuda
Veritas dei neoplatonici del Quattrocento.
Panofsky, nei suoi Studi di Iconologia arriva ad attribuirle ben 5 significati:
– Nuda verità classica;
– Allegoria medievale;
– Venus pudica di Pisano;
– Nudità come immanenza;
– "Destino iconologico" di Cesare Ripa.
Addirittura lo stesso Botticelli pare intenderla come figura "pudica e vergognosa" (figura
dell'Alberti nei suoi trattati), che enfatizza poi nella Verità della Calunnia di Apelle, nudo "non
brutto ma meno desiderabile" (K. Clark) fra i nudi dell'arte, come se la figura rimandasse
all'appagamento dei sensi che, anche se spogliato di ogni volgarità, è comunque vanità e perdizione
(non dimentichiamoci che la Calunnia appartiene al periodo del Savonarola).
Mai scordare, però, che la Venere non è affato isolata, ma fa parte di una serie di rapporti, di
ibridazioni e instabilità che caratterizzano tutto il Rinascimento, come affermato da Warburg.
In sintesi Clark fa un procedimento di "isolamento freudiano", di "rendere non avvenuto" per
quanto riguarda la Venere, come denota la sua affermazione che "l'empatia è al polo opposto dello
stato d'animo da cui scaturisce un nudo", evidenziando un sempre freudiano "tabù del contatto".
Come affrontare dunque la nudità di Venere quando lo stesso Botticelli (e anche altri artisti!)
rappresentano i loro nudi quasi senza caratteri sessuali? (Peli, fessure, ecc.)
Nudità impura: tra "pudor" e "horror" - 2

Ripensando alla nudità della Venere oltre alla sua "veste filosofica", occorre agire secondo il
concetto di "contatto mascherato" di Freud, che è proprio di ogni idealizzazione. Questo comprende
il "tocco di Thanatos" e il "tocco di Eros", passando dunque dall'essere toccati (cioè attirati
dall'immagine pudica) fino a essere colpiti (cioè rimanere feriti dal "lato negativo" della stessa
immagine).
La nudità diventa allora sia desiderio che crudeltà, ma un momento: non si reinventa dunque la
figura di Venere? Per contestre questa obiezione, che fa leva su un troppo anacronismo di una
modernità più "pessimistica" che giudica l'Umanesimo, si deve ricordare che nessun fenomeno
artistico dev'essere considerato isolato, relegandolo a una fenomeno "accademico" come vorrebbe
Clark.
Warburg tenta di analizzare il quadro in chiave nietzschiana ("forza plastica della vita") con la sua
tesi del 1893. Sostiene che il contatto mostra come la sensibilità con un atto estetico diviene potenza
creativa di stile, anche se non si vuole ottenere una reazione immediata (non è che dobbiamo
denudarci anche noi!), ma si crea una tensione, qualcosa di ibrido e impuro. Questa tensione viene
trasferita da Botticelli non all'interno delle figure ma al loro esterno, localizzandola nelle forme di
pathosformel dei veli e capelli mossi dal vento. Staccandosi dagli iconologi positivisti Warburg
individua (7 anni prima dell'opera freudiana) un paradigma del sogno, definendo i personaggi come
appena destati. Il sogno non diventa una maniera di interpretazione, ma una sollecitazione ad
interpretare (Fédida). Nelle figure di Botticelli opera un sintomo che le rende "dialettiche bloccate"
(definizione di W. Benjamin, continuatore di Warburg 30 anni posteriore): risvegliate alle "cause
esteriori", queste sono ancora tormentate dalle "cause interiori" che stanno già tuttavia
dimenticando. Le figure si determinano come tensioni in atto impure, mosse dal lavoro freudiano.
Un momento, però: determinando un "lavoro psichico" del nudo botticelliano, non si vanifica
tutto lo sforzo precedente fatto per "svestirlo" dei suoi valori filosofici? Una contraddizione,
dunque?
No, perchè la nudità stessa è un lavoro (forma corpo + i diversi "tocchi") e perchè solo le vesti
dell'idealizzazione la rendono una "falsa purezza", isolata dai rapporti ibridi e impuri.
Non si rischia di sovraccaricare, sovradeterminare il significato del nudo abbinandolo a diverse
fonti letterarie (Poliziano in primis), in quanto queste sono sempre "porte", non mere chiavi,
interpretative. Mai fermarsi all'interpretazione compiuta, determinata, compiaciuta.
Questo viene dimostrato dal superficiale giudizio di Lightbown, che definisce la Venere come il
quadro più radioso della storia dell'arte, collegandolo solo al verso di Poliziano che cita la nascita in
luce gioiosa: ma anche solo con l'osservazione dell'opera si può notare che non tira certo un'aria
allegra. Ci viene in aiuto ancora una volta Warburg, che attinge al verso di Poliziano che, prima
della nascita, ci narra della tragedia dolorosa di Urano evirato e dell'horror del membro lacerato che
agita la scena, horror che Botticelli sposta e dissimula in pudor tramite gli elementi secondari
(vento, onde triangolari, giunchi spezzati).
Vediamo ora come nel 1400 in poi siano visti gli elementi figurativi: nel De Pictura Alberti
suggerisce un "aprire" dei corpi (alla maniera di Da Vinci), "vestendo" il nudo con muscoli e pelle;
Goethe commenta la voce "nudo" dell'enciclopedia di Diderot, inscindibile dallo "scorticato",
l'interno che diviene "forma strutturale" del nudo. Attenzione: "squarciando" il nudo non si
rischia di imbruttirlo? No, perchè bisogna considerarlo come insieme, e non solo come nudo
"celeste" (che tra l'altro nel caso della Venere il "celeste" rimanda all'horror di Urano che gli
Umanisti conoscevano bene).
Wind, nel suo Misteri pagani nel Rinascimento attua uno studio erudito dei testi per non isolare la
figura di Venere, che si scopre unita a Marte e alla loro figlia Armonia: questo esclude
l'dentificazione della stessa Venere con l'armonia. La sua bellezza diviene dunque composita (Pico
della Mirandola) perchè: è doppia e nasce dalle impurità; è sinonimo di conflitto (Marte – Venere);
è un atto composito che comprende un ideale e la materia informe (il "seme del cielo" e l'acqua, per
gli umanisti informe per eccellenza), diventando "ritmo dialettico dell'Uno e dei Molti" (Wind).
Nudità colpevole: "Vivere...fuggendo le donne" - 3

E' improprio separare l'Umanesimo dai conflitti dialettici del Rinascimento: Panofsky evidenzia la
lettura che deve tenere di conto delle varie correnti filosofico – religiose diffuse in quell'epoca, che
identificano diversi tipi di nudità, come:
– nuditas naturalis: quella di Adamo, umile;
– nuditas temporalis: la virtù, povertà volontaria;
– nuditas virtualis: l'innocenza;
– nuditas criminalis: la vanità, l'assenza di virtù.
Inoltre non bisogna dimenticare i riferimenti cristiani, che seppur non "iconologicamente" presenti
nell'opera del Botticelli, si riconoscono già nella sua struttura (tipica dei Battesimi).
Se le fonti ci permettono di raggiungere un'armonia riguardante il quadro (quelle umanistiche) non
mancano quelle che ce lo rendono discorde, come quelle di Savonarola. Lo stesso Savonarola che
tuona contro la letteratura, "eresia delle eresie", e vedeva come fumo negli occhi Lorenzo il
Magnifico. Uno stravolgimento del concetto di passione e amore che si rivolge unicamente alle
sfere del Divino, non più alla dea nascente ma al Dio morente e sofferente (F. Cordero).
La donna per Savonarola diventa simbolo di sfrenata vanità e lussuria, e la si deve evitare ad ogni
costo, negando alla "carne" per ottenere l'incarnazione finale: questo si vede soprattutto nei suoi
roghi, che non risparmiavano libri ed effigi di personaggi femminili celebri, passati e non.
Ecco che i suoi sermoni risuonano nelle orecchie di chi si trova a guardare il quadro, "peccatore"
suo malgrado: un'ansia che lo stesso Botticelli recepisce nelle ultime opere, dove il nudo diventa
minacciato e minaccioso, inquieto e inquietante, e rimane una tensione impura.
La nudità cristiana può comprendere quella rituale (purificazione) o indica umiliazione (sacrificio):
questi due aspetti si uniscono nella devotio moderna (martirio) rendendola nudità divina (come
quella di Gesù sulla croce).
Pudor: nudità come umiliazione;
Horror: nudità aperta e divisa nei suoi rivoltanti aspetti.
Fino ad arrivare a un'esasperazione della nudità femminile, che arriva, nel Le Latin Mystique di
Remy de Gourment, a venir studiata nella sua ottica medievale di "sacco di escrementi",
sgradevolissima metafora per indicare le cose che stanno sotto la pelle, che ovviamente non sono
belle da immaginare quanto un allettante nudo. Questa nudità di punizione viene rappresentata nei
disegni di Botticelli della Commedia e nel Ritrovamento del Corpo di Oloferne che, lasciando in
vista l'aspetto rivoltante unito al bel nudo (forse lo stesso Marte di Venere e Marte?) dimostra come
le due cose siano unite.
Nudità crudele: "anche la morte partecipava alla festa..." - 4

Nella nudità di Botticelli non è possibile accontentarsi solo dei rapporti di omologia: bisogna
rivolgersi all'eterologia definita da George Bataille. Non si trova più l'omologia Venere=Verità,
quest'ultima che nella Calunnia indica alcune scene sopra di essam scene che vengono riprodotte
con precisione nel ciclo di Nastagio degli Onesti. Queste mostrano l'inversione (se non addiittura la
perversione!) della Venere nascente degli Uffizi: rappresentano infatti una Venere eternamente
morente! La figura femminile del ciclo, infatti, ha le fattezze della Venere, ma fugge da un cavaliere
che la trucida sotto lo sguardo spaventato di un giovane ("figura ammonitrice" come la definirebbe
l'Alberti). In questa scena, anche se giudicata solo per il rigore del disegno, nulla può scacciare il
disagio provocato dal nudo "aperto", che ne annulla la "bellezza ideale". E il colmo è pensare questi
quadri nella loro destinazione, la camera matrimoniale di Giannozzo Pucci (1485), dove questi
divenivano exempla: nulla toglie l'angoscia empatica che pervade tutto, anche l'"happy end" della
vicenda.
Ma perfino questo "brutto sogno" nasconde un desiderio (Freud): Botticelli prende in prestito dal
lavoro del figurabile psichico, prendendone elementi come:
– insensibilità della contraddizione: accostando nella scena emozioni diverse con inconscia
"falsa goffaggine" e donandole crudeltà con il tratto freddo e aspro; vi è inoltre una
contraddizione nella figura stessa del cavaliere, come se San Giorgio si fosse messo a
pungolare l'innocente principessa anzichè il perfido drago;
– lavoro incessante dello spostamento: ferita e caos della donna che si riflettono nella scena
("fessura") nel cielo e alberi che cambiano;
– apparizione dell'informe: interiora e ed elementi "schifosi" che appaiono spesso;
– ritmo fantasmatico: "giostra infernale" creata dal movimento dei personaggi, che compiono
gesti che si ripetono in diversi episodi.
Questi sono elementi che ci permettono di stamparci le scene in testa a livello psichico.
Nudità psichica: l'attrattiva del tagliente - 5

Quali conclusioni possiamo trarre dal capitolo precedente? E perchè la giovane ci è mostrata nuda?
Lo è perchè è un'immagine oggetto del desiderio, dunque oggetto psichico: la sua funzione è un
levarsi, ovvero risaltare nel suo apparire in una scena incongrua (al pari della borghese ignuda de
Les reves et le moyens de les diriger di Henry de Saint – Denys).
Freud e Ferenczi spiegano così la fenomenologia dell'apparizione nuda: è un piacere di esibizione,
al quale si contrappone subito il tocco di Thanatos, rimozione contraria all'esibizione di un erotismo
innocente. Si crea così un conflitto, una censura dell'inconscio che porta alla PARALISI DEL
CORPO NUDO, che si applica non solo a chi "vive" l'azione, ma anche allo spettatore che vi
assiste, come la colpevolezza di Atteone che supera quella della nudità di Artemide.
I pannelli ci mostrano allora una nudità intessuta di sogno e crudeltà, infinito cerchio al quale
nessuno sfugge, come si capisce anche nel finale "inverosimile" della novella di Boccaccio: come
collegare queste scene paurose a un improvviso cambio di sentimenti della giovane verso Nastagio,
e delle ravennati verso i pretendenti?
Bisogna rivolgersi alla dimensione psichica per spiegare la nudità dei corpi, paradosso "ideale –
psichico" che si esplica nel corpo guardato, che vediamo nello stato di veglia warburghiano. Qui le
caratteristiche del figurabile psichico (Vedi capitolo prima) ci avvicinano sempre per paradosso al
reale della visione, perchè l'elemento psichico non ci allontana dalla fenomenologia del nudo ma, al
contrario, lo avvicina a noi, così come secondo Ludwig Binswanger il sogno è l'esistenza, dove non
sappiamo cosa e come succedano le cose intorno a noi.
Eguale perplessità provano, infatti, Nastagio e i protagonisti della novella, che vedranno dunque la
loro vita trasformata da questo "sogno".
In tutto ciò troviamo ovviamente la nudità , e ci serviremo di Georges Bataille per esplicarla: nel
suo racconto simile a quello di Boccaccio la protagonista, Madame Edwarda, è una prostituta che
porta con sè la piaga del piacere, aperta come i genitali che mostra al narratore fin dall'inizio senza
ricorrere a forme di pathosformel. Questa nudità diventa allora minaccia, addirittura morte che
presiede al banchetto finale del racconto coniugando i tocchi di Eros e Thanatos.
Bataille nel racconto esprime la sua ontologia della nudità dominata da una forte empatianche
induce il lettore a mettere a nudo il racconto stesso, sospendendo il soggetto di fronte alla nudità
priva di tutto.
Questa ha due caratteristiche:
– non è un risultato di un processo, ma è il processo;
– è indefinita, ma non per difetto: anzi, è sovrabbondante tale da aprire il nostro mondo e
renderlo indefinito.
Allora si apre un campo, ma si ferisce anche un organismo: così Botticelli spalanca le porte al
mondo onirico e lo ferisce con la crudeltà della giovane nuda.
Il momento della nudità (inteso come estetico), è perno della fondamentale contraddizione
dell'uomo, diviso fra la volontà del durare (la Venere impenetrabile di marmo) e l'essere che si
lacera e perde pezzi (Vergine di carne): questo porta a una bellezza non isolabile, tesa, aperta.
Ecco che allora Botticelli lacera questa bellezza, la profana, la sacrifica e così facendo la rende
attraente, pur essendone non più orefice ma carnefice.
In sintesi si può dire che non c'è nudità senza apertura.
Nudità aperta: la Venere dei medici - 6

Per capire quest'eccesso di crudeltà occorre tuffarsi nella bivalenza dell'Umanesimo mediceo e nella
sua impura eredità: figura emblematica di quest'indagine è il Marchese di Sade, che nel suo
Viaggio in Italia (1775) descrive la Venere dei Medici della Tribuna con un piglio quasi da storico
dell'arte, anche se si colgono elementi di perversione che rimandano ai costumi licenziosi e venali
delle fiorentine, apparentemente "pudiche" come la statua che, pur facendo gesto di coprirsi, lascia
intravvedere tutto.
Questa nudità che si offre, che si apre è ben esplicata nell'allestimento di una "Stanza delle scienze
naturali". L'immagine dell'arte non è allora isolata nè dal fantasma, nè dalla realtà, e neppure dalla
verità delle terracotte anatomiche.
La bivalenza dei Medici prosegue infatti nella biforcazione che da Palazzo Pitti porta agli Uffizi da
una parte e dalla Specola dall'altra, quest'ultimo museo concepibile solo se si considerano le due
facce del '400 e la volontà dei Medici di riunire tesori artistici e scientifici.
Nel 1781 – 82 Clemente Susini crea la Venere dei medici, statua di argilla resa straordinariamente
realistica e apribile fino al cuore. Il nudo così sis ublima in una Venere che si può (forse, si deve)
toccare, e la Veritas botticelliana non agita più il dito verso l'alto come nella Calunna, ma lo ficca
direttamente nella carne, nelle interiora, trasgredendo a un limite che la fa trionfare su ogni Venere
idealizzata.
Tuttavia questo trionfo tramuta il desiderio e la verità in un fantasma perverso, come quello che
popola il cosiddetto sogno dell'iniezione a Irma freudiano definito "il sogno dei sogni" da Lacan.
Qui Freud racconta il disagio di vedere placche purulente nella gola di una certa Irma: il rapporto
bocca – apertura – elemento del disgusto ci ricorda la capacità stessa dell'ordine immaginario di
decomporsi (sempre Lacan).
L'immagine di un corpo è indivisibile dall'apertura spaventosa operata dall'immaginazione,
spaventosa come i diorami prodotti da Gaetano Zumbo nel 1690 per Cosimo I, che rappresentano le
scene di morte e disperazione proprie delle grandi epidemie. Queste opere, sempre nel museo della
Specola, sono talmente realistiche da suscitare una forte empatia, tale da provocare conati di
disgusto nel Marchese de Sade.
Si delinea allora un percorso che parte dal coltello del cavaliere botticelliano fino al bisturi di
Susini, terminando con l'apertura di tipo letterario de Le prosperità del vizio (Sade), dove si trova un
episodio violento e disgustoso che riguarda la trucidazione di una povera prostituta (forse ultima
profanata Venere) sotto lo sguardo compiaciuto di un perverso Granduca di Toscana.
In sintesi l'Umanesimo impuro di Warburg (e Buckhardt) ha saputo produrre, dal '300 al '700,
condizioni sociali, psichiche ed estetiche della propria apertura, anche nella sua immagine più
attraente.

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