problemi della societ industriale moderna continuano, da
noi, a essere pensati e, soprattutto, vissuti, alla luce di
una cultura, che fondamentalmente arcaica ed estranea rispetto al mondo con cui dovrebbe misurarsi. Il pessi- mismo, naturalmente, vietato: oltretutto, non servirebbe a nulla. E tuttavia doveroso riconoscere che i segni di una cultura razionalistica nuova, la cultura dell'et post- ideologica, in Italia non si intravvedono ancora. II. Contraddizione dialettica e non-contraddizione In memoria di G. Della Volpe Relazione presentata al convegno su La contraddizione , in- detto a Padova il 26-27 maggio 1980 dalla Scuola di perfeziona- mento in filosofia della facolt di Lettere e Filosofia dell 'univer- sit di Padova. Gli Atti del convegno saranno pubblicati in Ve- rifiche , vol. X, n. 1-2 {gennaio 1981 ). L ContraddiziQne logica e opposizione reale l. Malgrado il marxismo affermi il contrario, non stono contraddizioni reali , fatti contraddittori tra loro, contraddizioni oggettive. La contraddizione solo ed esclusivamente logica , del pensiero. Parlare di una realt autocontraddittoria nn non senso, E, cos, parlare di contraddizioni nella societ o anche nella natura. Ci non significa, ovviamente, che nella realt non si diano opposizioni, conflitti, lotte, scontri. Si danno e come! Ma, in questo caso, si tratta di ci che Kant ha chiamato opposizione reale - la Realopposition o Realrepugnanz. E l' opposizione reale non ha nulla che l vedere con la contraddizione . Occorre dunque distinguere tra opposizione logica e opposizione reale . E capire che la distinzione tra le due forme di opposizione riposa proprio sulla presenza o meno, in esse, della contraddizione . L'opposizione logica per contraddizione , dure h de n W ider- spruch: ed detta, perci, contraddizione logica. posizione reale , viceversa, ohne Widerspruch, za contraddizione 1 La differenza, come vedremo, essenziale. 1 l. Kant, Scritti precritici, Bari 1953, p. 263: Due ose, di. 89 \ 2. Prima di procedere oltre, pu essere utile addurre qualche testo a conforto delle nostre affermazioni. Nicolai Hartmann, Hegel et la dialectique du rel 2 : La con- l ! traddizione appartiene, essenzialmente, alla sfera dei pen- sieri e dei concetti. Per " contraddire ", bisogna " di re ": in buona logica, la contraddizione presuppone il giudizio. Concetti e giudizi possono contraddirsi. [ ... ] Ma le cose, gli avvenimenti, i rapporti reali - a rigore - non lo possono. [ ... ] Ci che si chiama, molto impropriamente, contraddizione nella vita e nella realt, non assoluta- mente una contraddizione, ma, in verit, un conflitto. Delle forze, delle potenze, delle tendenze, delle leggi eterogenee, si urtano violentemente in molti, se non in tutti i campi della realt. [ ... ] Un conflitto di tal sorta una repulsione reale, che pu rivestire anche la forma di un contrasto e persino di una lotta aperta. Ma esso non somiglia in nulla alla contraddizione, perch il con- flitto non oppone mai A e non-A, cio un termine posi- tivo a un termine negativo: oppone, bensl, sempre un positivo a un positivo. In termini di logica - conclude Hartmann - questo rapporto un rapporto di contrari anzich di contraddittori . Nicolai Hartmann conferma, dunque, l'impostazione di Kant. Ci ch'egli chiama conflitto o repulsione r ~ la Realrepugnanz o Realopposition di Kant. un rapporto, com'egli dice, di contrariet , non una contraddizione . Resta confermato, dunque, che par- lare di contraddizioni nella realt>> un non senso. La cui l'una annu!Ja ci che posto dall'a.ltra, sono opposte. Tale opposizione duplice: o logica per contraddizione, o reale, cio senza contraddizione. Ho gi trattato questo tema nello scritto Marxismo e dialettica pubblicato in appendice all'Intervista poli- tico-filosofica, Roma-Bari 19754, pp. 63 sgg. Del mutamento pi im- portante che il saggio odi.erno presenta rispetto allo scritto d'allora, verr dato conto pi avanti. 2 In AA.VV., tudes sur Hegel, Paris 1931, pp. 38-9. 90 contraddizione, infatti, solo logica o del pensiero. Gli opposti della contraddizione logica sono A e non-A: un positivo e un negativo. Nell' opposizione reale , viceversa, sono positivi entrambi gli opposti (A e B) - anche se uno dei due, di volta in volta, venga chia- mato negativo . ci che aveva gi affermato Kant nel 17 63, nel Tentativo di introdurre nella filosofia il concetto delle quantit negative e, anche, nel Beweisgrund. In una opposizione reale - aveva egli detto - una delle deter- minazioni opposte non pu mai essere il contrario con- traddittorio dell'altra, ch in tal caso il contrasto sarebbe di natura logica. [ ... ] In ogni opposizione reale i predi- cati devono essere ambedue positivi [ ... ] . In tal modo le cose di cui l'una considerata la negativa dell'altra, sono ambedue, considerate a s, positive 3
3. Perch il lettore possa seguire l'esposizione pi agevolmente, conviene dare un esempio, sia della con- traddizione logica sia dell' opposizione reale . La contraddizione lgica - com' noto - consiste nel- - l'affermare e negare contemporaneamente un predicato di una cosa . La conseguenza di tale nesso logico - dice Kant - nulla. Un corpo in moto qualcosa ; un corpo, che non sia in movimento, anche qualcosa . Ma un corpo, che sia in moto e contemporaneamente non sra in moto, nulla >>. L' opposizione reale , viceversa, quella in cui due predicati di una cosa siano opposti, ma non per il principio di contraddizione. Anche qui l'uno annulla ci che posto dall'altro, ma la conseguenza qualcosa. Una forza che imprime un moto ad un corpo in una direzione, ed una forza eguale in direzione contraria, non si contrad- J In L Kant, Scritti precritici cit. , p. 268. 91 dicono e sono possibili come predicati di un sol corpo. Conseguenza ne la quiete, la quale qualcosa (repraesen- tabile ). Si tratta di una opposizione vera. Infatti ci che posto da una delle due tendenze, se essa fosse sola, annullato dall'altra, ed ambedue queste tendenze sono predicati veri di una sola cosa e le appartengono contem- poraneamente. Anche qui la conseguenza nulla; ma in un significato diverso che nella contraddizione 4 . In que- sto caso, il nulla - dice Kant - un nihil privativum repraesentabile: cio qualcosa, come ad esempio la quiete in meccanica o lo zero in matematica. Nel primo caso, viceversa, il nulla un nihil negativum irre- praesentabile: cio un nulla assoluto, che impossibile pensare 5
Anche nell'opposizione reale, dunque, c' negazione; annullamento, ma d'un genere affatto diverso dalla con- traddizione. Il negativo della contraddizione logica non-A: un nulla in s e per s, che esprime solo il rifiuto opposto dal pensiero a ci che affermato in A. Gli lvi, p. 263. 5 Cfr. anche l. Kant , L'unico argomento possibile per una di- mostrazione dell'esistenza di Dio (1763), in Scritti precritici cit., p. 127: Si dice: realt e realt non si contraddicono mai l'una wll'altra, giacch entrambe sono vere affermazioni; perci esse neppure si oppongono l'una all'altra in un soggetto. Ora, sebbene io ammetta che qui non vi sia contraddizione logica, pure 'non tolta con ci la ripugnanza reale. Questa ha sempre luogo, quando qualcosa, in quanto principio, annulla la conseguenza di qual- cos'altro con una contrapposizione reale. La forza di movimento di un corpo in una direzione e la tendenza. con egual grado nella direzione opposta non sono in contraddizione. Esse son anche real- mente possibili nello stesso tempo, nello stesso corpo. Ma una annulla la conseguenza reale dell'altra; e mentre la conseguenza di ciascuna in particolare sarebbe un movimento reale, di entrambe insieme in un soggetto essa conseguenza ora zero, cio la wn- seguenza di queste forze motrici opposte il riposo. Il riposo poi , senza dubbio, possibile: si vede cosi che la ripugnanza reale tutt'altra da quella logica o contraddizione, poich ci che consegue da questa assolutamente impossibile. 92 opposti reali, invece, sono entrambi positivi. Qui, dice Kant, sono affermativi ambedue i predicati A e B 6
La negazione che essi esercitano l'uno sull'altro consiste solo nel fatto che essi annullano a vicenda i propri effetti. In breve, nell'opposizione reale o rapporto di contrariet (Gegenverbiiltnis), gli estremi sono entrambi positivi, anche quando l'uno venga indicato come il contrario negativo dell'altro. Kant d mol esempi di opposizione reale: il sorgere e il tramontare , l' avanzare e il re- trocedere , il salire e il cadere , i debiti e i crediti ecc., oltrech - come abbiamo visto - le forze opposte e contrarie in meccanica. E, soprattutto, d come esempio le quantit positive e negative in mate- matica, cio le grandezze precedute dal segno + e dal segno -. In tutti questi casi, la sua conclusione sempre la stessa. Anche se in matematica si parla di quantit negative e anche se, seguendo il metodo dei matema- tici, si pu chiamare. il tramonto un sorgere negativo, il cadere un salire negativo, il ritornare un avanzare ne- gativo e i debiti dei capitali negativi , resta tuttavia ben fermo - dice Kant - che, per es., il cadere non si distingue dal salire come non-A da A, ma invece altrettanto positivo come il salire, e contiene in s la causa di una negazione soltanto unito al salire stesso 7
La conclusione importante. Essa ci dice che non possono esistere cose le quali siano negative di per s, cio negazioni in genere e, quindi, non-essere, per quanto riguarda la loro stessa intrinseca costituzione. Ci che nega o annulla le conseguenze di qualcosa, esso stesso una causa positiva >>. Le quantit negative non sono negazione di quantit, cio non-quantit e, quindi, non- 6 l. Kant, Scriui precritici cit., p. 264. 7 lvi, p. 267. 93 essere o il nulla assoluto. Le cose, gli oggetti, i dati di fatto sono sempre positivi, cio esistenti e reali. Quelle che in matematica vengono dette quantit negative sono, di per s, quantit positive esse stesse, anche quando portino il segno -. Prova ne sia, che sono sommabili tra loro: come, ad esempio, -4 -5 = -9. 4. Riprender tra poco questo tema. Ora, pu gio- vare una breve pausa, che consenta di consolidare ed estendere i risultati fin qui conseguiti. Il punto essen- ziale da non perdere mai di vista ci che ho detto all'inizio: che non esistono contraddizioni reali , con- traddizioni << nella realt }>. Parlare di contraddizioni nella societ o anche nella natura 8 - come fa, ad esem- pio, il marxismo - un assurdo. Una realt autocon- traddittoria un non senso. Essa annullerebbe alla ra- dice il principio di 9 e, con ci, la 8 Quando si presenta come materialismo dialettico , il marxismo afferma l'esistenza delle contraddi:cioni nella natura e nella societ. Nella forma, invece, del cosiddetto mandsmo occiden- tale, esso circoscrive l'esistenza della contraddizione soltanto alla societ. Si veda, ad es., G. Lukacs, Storia e coscienza di classe, Milano 1967, p. 14: Il metodo delle scienze della natura [ ... ] non conosce alcuna contraddizione, alcun antagonismo nel proprio materiale. Se tra singole teorie sussiste qualche contraddizione, ci soltanto un segno dd grado ancora imperfetto finora rag- giunto dalla conoscenza. Le teorie che sembrano contraddirsi a vicenda debbono trovare in queste contraddizioni i loro limiti ed essere perci sussunte, dopo aver subito opportune trasformazioni, all'interno di teorie pi generali dalle quali le contraddizioni sono definitivamente scomparse. In rapporto alla realt sociale, invece, queste contraddizioni non sono segni di una comprensione scien- tifica della realt ancora imperfetta, ma appartengono piuttosto in- separabilmente all'essenza della realt stessa, alla essenza della so- ciet capitalistica . 9 Per evitare ogni possibile equivoco, opportuno introdurre . un chiarimento che risulter per molti superfluo. Il principio aristotelico tradizionalmente designato come principio di con- traddizione (o, al pi, come principio della contraddizione da evitare ), anzich come principio di non-contraddizione. A tale 94 possibilit stessa di ogni discorso provvisto di senso. Le conferme, che si potrebbero addurre a questo pro- posito, sono innumerevoli. Ne riporto solo due, per ra- gioni di brevit. Irving Copi, Introduzione alla logica, p. 313 10 : Il principio di [non-)contraddizione stato criticato particolarmente da hegeliani, " semanticisti gene- rali " e marxisti in base al fatto che ci sono effettivamente contraddizioni o situazioni nelle quali operano forze con- traddittorie o opposte. Che vi siano situazioni nelle quali agiscono forze opposte deve essere ammesso: ci vero tanto nel campo meccanico quanto in quello sociale e economico. Ma chiamare queste forze in conflitto "con- traddittorie " significa usare una terminologia sciatta e poco pertinente. Un gas sottoposto a calore che tenda a farlo esplodere e un contenente che tenda a impedire al gas di espandersi, si possono descrivere come forze in conflitto, ma nessuna delle due la negazione o il rifiuto o la contraddittoria dell'altra. n proprietario di una grande fabbrica, il cui funzionamento esiga l'opera di migliaia di lavoratori, pu opporsi al sindacato dei lavoratori e subirne [a sua volta] l'opposizione; [ ... ] ma . n il pro- prietario n il sindacato sono una negazione o un rifiuto o una contraddizione reciproca. Se inteso nel senso in cui deve essere inteso - conclude Copi - il " principio di [non- ]contraddizione" inconfutabile e perfettamente vero}>. Qui, come si vede, sono ribadite le stesse tesi che uso si ispira tuttora la maggior parte della letteratura filosofica internazionale. Si fatto invece ricorso all'introduzione o interpo- lazione del non in paesi, come ad es. l' I talia, dove il forte e duraturo predominio della tradizione filosofica hegeliana poteva far nascere confusione tra il principio di contraddizione aristo- telico e quello della contraddizione dialettica , ovvero tra il principio della contraddizione da evitare e il principio (dia- lettico) della contraddizione da affermare . IO Bologna 1964. 95 abbiamo gi incontrato in Kant e in Nicolai Hartmann. La contraddizione solo logica. assurdo parlare - come gli hegeliani e i marxisti - di contraddizioni reali . Nella realt - e, cio, tanto nella natura, quanto nella societ - esistono, certo, opposizioni, conflitti. Ma sono opposizioni che non hanno nulla che vedere con la con- traddizione. Gli estremi delle opposizioni reali non sono degli opposti contraddittori. Una forza, che ne contrasti un'altra, non sta rispetto a questa nel rapporto di non-A rispetto ad A. Non , in s e per s, pna negazione. , bens, qualcosa di positivo e reale essa stessa. La realt non viola il principio di non-contraddizione: come do- vrebbe, se si dessero effettivamente contraddizioni rea- li. 11 principio di non-contraddizione - dice Copi - inconfutabile e perfettamente vero. E, ora, un secondo testo, gi da me utilizzato in una precedente occasione. Si tratta dell'Abriss der Logik 11 del logico polacco Kazimierz Ajdukiewicz: II principio di [non- ]contraddizione - egli scrive - esclude che due proposizioni contraddittorie-opposte possano essere vere simultaneamente. Con ci, il principio esclude che nella realt possano sussistere dati di fatto (Sachverhafte) con- traddittori, che quindi qualcosa sia cos e cos e al tempo stesso non sia cosl . Il fatto che si parli di contraddi- zioni reali deriva da un'impropriet di linguaggio. Ci che spesso si intende, usando quest'espressione, non infatti una contraddizione , bens solo <( tendenze anta- gonistiche, ovvero forze che operano in modo contrappo- sto . Il rapporto di azione e reazione, di effetto e con- tro-effetto - dice Ajdukiewicz - non lo stesso che U rapporto tra l'essere e il non-essere di una situazione di fatto, tra l'essere e il non-essere di qualcosa; la reazione non la stessa cosa che il non-esserci dell'azione, e il con- Il Berlin 1958, pp. 79-80. 96 trcreffetto non la stessa cosa che il non-esserci dell'ef. fetta; al contrario: se l'azione o l'effetto una forza, anche la reazione o il contro-effatto una forza e non semplicemente il non-essere di quella forza. Anche in questo caso, il ragionamento conferma quello di Kant. Ci che Ajdukiewicz dice molto bene su azio- ne e reazione , effetto e contro-effetto , ripro- duce alla lettera il discorso svolto nel Tentativo del 1763 sul salire e il cadere , sul sorgere e tramon- tare e, in genere, sulle quantit cosiddette negative. ' t cadere non si distingue dal salire - diceva Kant - come non-A da A, ma invece altrettanto positivo come il salire; le quantit negative non sono negazioni di quantit , cio non-quantit e, quindi, non-essere o il nulla, bens sono quantit positive esse stesse. 5. Siamo cosi tornati al problema che era gi affio- rato precedentemente: Kant esclude che si possa parlare di realt negative. cio, che la negazione o il non-essere (e si pensi invece, per contrasto, a Hegel) possano essere considerati come un che di oggettivo o reale. Per Kant, le cose, gli oggetti sensibili, i contenuti empirici o i dati di fatto sono sempre positivi: vale a dire - e la sinonimia da notare - esistenti e reali. Come tenter di mostrare in seguito, la questione da cui tutto dipende proprio questa. Essa va quindi esaminata con cura. Comincio con l'attrarre l'attenzione su un punto che, sebbene sia evidente di per s, non va tuttavia passato sotto silenzio. La distinzione kantiana tra opposizone logica e opposizione reale (la prima per contrad- dizione , la seconda << senza) ne presuppone e implica un'altra, pi generale: quella tra pensiero >) ed essere, tra logica e realt. questo, forse, il punto fondamentale intorno . a cui ruota tutta la Critica della ragion pura. E 97 Kant Io formula, anche, come distiniione tra possibilit logica >> e possibilit reale , ovvero tra causa cogno- scendi e causa essendi. Le condizioni che fanno essere qualcosa sono altre, e da non confondere, con le con- dizioni logiche per cui una cosa pensata . Pensare un oggetto, in altre parole, non ' lo stesso che farlo essere. Il nostro intuito derivativo , non origi nario . All'uomo preclusa quella (presunta) intuizione intellettuale )> (o intelletto intuente ) che, nel mentre conosce l'oggetto, lo crea anche u. Affiora qui, a me sembra, quella punta, seppur mi- nima, di realismo, di cui, ancorch' con grande cau- tela, lecito parlare nel caso di Kant. Si tratta, benin- teso, di un realismo assai timido: insidiato, nel r ~ fondo, dal ben noto fenomenismo di Kant . E tuttavia, che di un certo realismo >> si tratti, risulta confermato, a me pare, anche da quella che la teoria della verit in Kant. Come ha visto molto bene Heidegger in Essere e Tempo 13 , la teoria della verit di Kant quella stessa 12 I. Kant, Critica della ragion pura, Parte I, Sez. II, 8, Baii 1966, vol. I, p. 82. 13 M. Heidegger, Sein und Zeit, secbste unveraenderte Auf- lage, Ti.ibingen 1949, 44 a, pp. 214 sgg. Ci che Heidegger pro- priamente sostiene, richiamandosi a F. Brentano e in polemica con le dottrine neokantiane, che Kant ha condiviso la concezione tradizionale della verit come adeguazione o corrispondenza del pensiero con la cosa, cosi come essa tradizionalmente fatta risalire ad Aristotele. Gi in Essere e Tempo, tuttavia, Heidegger n condivide la concezione della veri t come corrispondenza, n ritiene che essa si trovi enunciata esplicitamente in Aristotele. Utili considerazioni critiche, contro quest'ultimo punto della tesi di Heidegger, sono formulate da P. Aubenque, Le problme de l'tre chez Aristate, Paris 1972, pp. 112-3 e 116. La critica di Aubenque tanto . pi significativa, se si considera l'influenza che su di lui ha esercitato il pensiero di Heidegger. Quanto al- l'interpretazione della teoria aristotelica della verit come teoria della corrispondenza, ancora da vedere il classico libro di F. Bren- tano, Von der mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristo- teles, Freiburg im Breisgau 1862, pp. 22-33. 98 di Aristotele: la teoria dell'accordo o corrispondenza tra pensiero ed essere. Il neokantismo, che ha sempre irriso alla teoria della verit come corrispndenza con- siderandola metafisica e dogmatica, ha deviato in questo punto - e non il solo - dall'insegnamento originario della Critica. Ma torniamo alla questione che interessa. Ho detto . prima che la distinzione tra opposizione logica e <( op- posizione reale presuppone la distinzione - che Kant chiama reale o trascendentale - tra essere e pensiero. Ora,. quest'ultima rimanda, a sua volta, a un'altra tesi, fondamentalissima, di Kant: quella del carattere extra- logico dell' esistenza. Per Kant infatti, com' noto, l' essere non un predicato reale: non , cio, un concetto (o un elemento logico) che possa aggiungersi a un altro concetto. L' esistenza , per lui, si attinge oltre il concetto e fuori della logica. (Si cfr. il celebre argomento dei cento talleri e, soprattutto, la critica demolitrice della prova antologica . Ma si cfr,, su questo punto, anche David Hume.) 14 Ora, tutto ci rinvia a quella che - per riprendere un'espressione cara a Della Volpe - possiamo chiamare la concezione positiva dell'essere empirico o sensibile. Si tratta naturalmente, anche in questo caso, di una conce- zione che, in Kant, ha uno sviluppo parziale e ridotto - ostacolata, com', dal fenomenismo di cui si detto. E, tuttavia, essa prorompe con forza nella polemica di Kant contro Leibniz. Un grande errore della scuola leibniziana-wolffiana - detto nella nota al par. 7 del- l' Antropologia pragmatica 15 - era quello di far consi- 1 4 I. Kant, Critica della ragion pura, Parte Il, DiaJ. Trasc., Li- . bro II, cap. III, Sez. IV, dt., vol. Il, p. 472. E D. Hume, Trattato :sulla natura umana, Roma-Bari 1975, vol. I, pp. 107 sgg. 15 l. Kant , Antropologia pragmatica, Bari 1969, pp. 23-4. E . Critica della ragion pura cit ., vol. l, p. 85: La filosofia di 99 stere la sensibilit soltanto nelle rappresentazioni indi- stinte, e l'intellettualit nelle distinte, e quindi di vedere una differenza soltanto formale (logica} della coscienza, anzich reale (psicologica), cio riguardante non la forma, ma anche il contenuto del pensiero. In tal modo, si faceva risiedere la sensibilit soltanto in una mancanza (man- canza di chiarezza delle rappresentazioni parziali), cio nella mancanza di distinzione, e invece la natura della rappresentazione intellettuale nella distinzione; laddove la sensibilit qualcosa di molto positivo e costituisce una aggiunta indispensabile alla rappresentazione dell'intelletto per produrre una conoscenza. Leibniz- prosegue Kant- il vero colpevole. Poich egli, attaccato alla scuola pla- tonica, ammetteva delle intuizioni intellettuali pure, dette idee, le quali sarebbero nell'animo umano ora soltanto oscurate, e che, analizzate e illuminate dall'attenzione, ci darebbero la conoscenza degli oggetti, come essi sono in se stessi )>. Per illustrare e commentare questo testo veramente fondamentale, conviene partire dalle ultime affermazioni contenute in esso. Leibniz muove dalle idee innate, perch assume che il sapere sia gi formato da sempre. Per lui, non si pone - come invece per Kant - il pro- blema della formazione della conoscenza, n, quindi, la possibilit di controllarla e criticarla 16 Il suo innati- Leibniz e di Wolff, dunque, ha assegnato a tutte le ricerche sulla natura e sull'origine delle nostre conoscenze un punto di vista affatto erroneo, in quanto considerava come puramente logica la differenza fra senso e intelletto, laddove essa invece manifesta- mente trascendentale, e non riguarda la forma della chiarezza o non chiarezza, ma l'origine e il contenuto di essi . 1 6 Il carattere positivo, extralogico, dell 'esistenza (cosi come la distinzione, che ne consegue, tra sensibilit e intelletto) per- mette a Kanr di impostare il problema critico per eccellenza: quello della formazione della conoscenza ( come sono possibili giudizi sintetici a priori?). Non si darebbe infatti problema gno- seologico n' possibilit di sottoporre a indagine l'origine -e la for- 100 smo il pendant della sua concezione negativa dell'ele- mento empirico-sensibile. Per Leibniz, la sensibilit non ha un contributo suo proprio da apportare alla conoscenza, come sintesi di quegli eterogenei che sono la forma intellettuale e il <( contenuto .empirico. Tra sensibilit e intelletto, Leibniz pone solo una differenza di forma, una differenza logica. Il sensibile l'intelligibile stesso (identit di pensiero ed essere), solo oscuro e con- fuso . In altre parole, l'elemento empirico-sensibile non ha una sua propria realt: non un che di positivo o che consista in se stesso. In s e per s, esso semplice mancanza (mancanza d'essere!), difetto di realt. , cio, una parvenza ,che vela o offusca l'idea innata; la quale, a sua volta, si trova ad essere idea e realt insieme (avo cando in tal modo a s tanto le condizioni dell' essere quanto quelle del pensiero ). Concepito in questo modo, l'elemento empirico-sensibile ci che va rimosso e scar- tato, mediante l'analisi, affinch, dietro e al di l di esso, possa riemergere l'idea gi data ab aeterno: quell'idea che sottesa al sensibile stesso come il vero fondamento reale (l'idea come sostrato o ipostasi!). Lungi dal costi- tuire (come per Kant) qualcosa di molto positivo e un'aggiunta indispensabile all'intelletto perch possa prodursi conoscenza, l'elemento empirico-sensibile qui concepito come semplice negativit. Nel giudizio di Kant, in sostanza, Leibniz ha ereditato la concezione negativa o platonica dell'essere empirico-sensibile, cio la con- cezione che ebbe Platone della materia come non-essere. mazione della nostra conoscenza, se gli elementi che entrano a comporla non fossero diversi ed eterogenei tra loro. Viceversa, la concezione negativa del sensibile, implicando l'identit di pensiero ed. essere, non solo deve assumere che forma e contenuto siano gi uniti da sempre e, quindi, che il sapere sia gi formato (innato); ma deve, negando realt al sensibile, trasformare in realt l'idea: cio ipostatizzarla, sostantifcarla. 101 Quanto, per parte sua, Kant sia invece lontano da tutto ci, si pu vedere dalla Critica e, in particolare, dalla Nota all'anfibolia dei concetti della riflessione: il luogo dove egli riprende, in polemica col principio degli indiscemibili di Leibniz, il tema della differenza tra opposizione reale e contraddizione logica . In queste pagine, infatti, la concezione positiva del sensibile affiora con forza tale, che Kant pu affermare non sold' che nell'intuizione [sensibile] c' qualcosa che non punto nel semplice concetto, ma, addirittura, che que- sto di pi , offerto dall' intuizione esterna , il quale procura il sostrato 17 delia conoscenza (e si noti il termine di origine aristotelica). 6. Riassumiamo ancora una volta, prima di procedere oltre, la posizione di Kant. La concezione positiva, che egli ha, dell'essere empirico-sensibile (seppur nei limiti, come ho detto, del fenomenismo), si esprime nel fatto che Kant assegna ad esso una natura (e origine) sua pro- pria, diversa da quella logico-concettuale, facendone cos un fattore eterogeneo rispetto al pensiero 18 Sebbene- in 17 l. Kant, Critica della ragion pura cit., vol. I, pp. 276-7. IS La Critica della ragion pura , fondamentalmente, una Ele- mentarlehre, cio una dottrina degli dementi che entrano a com- porre la conoscenza. significativo che la critica di Hegd a Kant faccia perno proprio su questo punto. Cfr. G. F. W. Hegel, La scienza della logica, Bari 1924, vol. l, p. 25: Si presuppone in primo luogo che la materia del conoscere sussista gi in s e per s quale un mondo bell'e compiuto al di fuori del pensiero, che il pensiero sia di per s vuoto, che sopravvenga a quella ma- teria estrinsecamente quale una forma, si riempia di essa, e solo con questo acquisti un contenuto e C05i diventi un conoscere reale. Questi due elementi poi (giacch secondo tal maniera di vedere debbono star fra loro nel rapporto di elementi, ed il co- noscere ne vien composto in guisa meccanica o, al pi, chimica) vengono ordinati l'uno di fronte all'altro per modo che l'oggetto sia un che di gi per s compiuto, un che di gi pronto, che per la sua realt possa perfettamente fare a meno del pensiero, e che 102 quanto fenomeno - non sia indipendente dalla sog- gettivit umana, l'elemento empirico-sensibile lo riguar- do all'intelletto. Rispetto ad esso, il sensibile qualcosa che sussiste per s e in forza propria: , vale a dire, quel positivo che fornisce il sostrato del giudizio. Discendono da ci - come abbiamo gi visto - tre conseguenze di grande rilievo. La prirria che l' esisten- za non predicato, non concetto, ma ha origine e all'incontro il pensiero sia qualcosa di manchevole cui occorra completarsi in una materia, e cio rendersi a questa adeguato quale una cedevole forma indeterminata. Verit l'accordo del pensiero coll'oggetto; e affin di produrre quest'accordo (poich esso non sussiste in s e per s) bisogna allora che il pensiero si adatti e si acconci all'oggetto. Qui Hegel prende chiaramente di mira quanto Kant afferma nell'introduzione alla seconda parte della Dottrina trascendentale degli elementi: La nostra conoscenza scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali la facolt di ricevere le rappresentazioni (la recettivit delle im- pressioni), la seconda quella di conoscere un oggetto mediante queste rappresentazioni (spontaneit dei concetti). Per la prima, un oggetto ci dato; per la seconda esso pensato. [ ... ] Intuizione e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra co- noscenza . E poco oltre: Nessuna di queste due facolt da anteporre all'altra. Senza sensibilit nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza con- tenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti cieche. [ ... ) Queste due facolt o capacit non possono scambiarsi le loro funzioni. L'intelletto non pu intuire nulla, n i sensi nulla pensare. La conoscenza non pu scaturire se non dalla loro unione (cfr. Cri- tica della ragion pura ci t., I, pp. 93-4). Alla luce di queste consi- derazioni, acquista una qualche plausibilit anche la tesi di Popper che vede, in Kant, una forma modificata di empirismo e che afferma che il suo (di Kant) principale interesse era volto a re- spingere il razionalismo puro (cfr. Congetture e confutazioni, Bologna 1972, p. 551 ). Significativo anche il giudizio su Kant che compare nell'Autobiografia intellettuale (cfr. K. Popper, La ricerca non ba fine, Roma 1976, p. 86), dove l'autore scrive: Mi con- sideravo un kantiano non ortodosso e un realista. E, nella stessa pagina, aggiunge: In quel periodo ero solito pensare che la mia critica al Circolo di Vienna fosse il semplice risultato della lettura di Kant e del fatto di aver capito alcuni punti particolari della sua dottrina . 103 natura extralogica. La seconda che - essendo pen- siero ed essere eterogenei tra loro - necessario distinguere tra opposizione logica e opposizione reale . La terza, infine, che - non potendo mai essere l'esistente empirico o reale un che di negativo (nel senso del non-essere) - anche ci che nell' opposizione reale figura come il polo negativo, in s e per s un che di ~ positivo . Qui, come si vede, tutto riposa sulla concezione posi- tiva del sensibile. Se, infatti, il negativo dell'opposi- zione reale non pu confondersi con la negazione logica, cio con l'opposto-contraddittorio (com', ad esempio, il non-bianco rispetto al bianco ), ma pu essere solo un opposto contrario e, perci, reale (come, rispetto al bianco , il nero>>), perch esso positivo in se stesso. Se cos non fosse, se il reale potesse essere considerato come un negativo e, quindi, come non-essere, la distinzione tra l due opposizioni cadrebbe. L' oppo- sizione reale e la contraddizione logica si confonde- rebbero tra loro. E, cos, l'opposto-contrario e l'opposto- contraddittorio. Il. Hegel e la critica di Trendelenburg 7. importante avere ben chiaro questo punto, per ch proprio esso ci immette direttamente nel cuore della dialettica di Hegel. Contro Kant, Hegel torna alla conce- zione negativa o platonica della materia. Cominciamo da un testo fondamentale - la Nota sull'idealismo nel libro I della Scienza della logica - che ho gi citato altre volte. L'idealismo della filosofia - scrive Hegel - consiste soltanto in questo, nel non riconoscere il finito come un vero essere . , di nuovo, la concezione platonica dell'essere empirico come non- 104 essere. Il finito, cio l'elemento empirico-materiale, non un vero essere, non ha una realt sua propria. Man- cando di una sua propria realt, il finito deve attingerla dall'Idea (la quale si trasforma cos, a sua volta, in ipo- stasi o sostanza). Il seguito dell'esposizione ne la con- ferma. La proposizione, che il finito ideale - chia- risce Hegel, -costituisce l'idealismo. E aggiuttge: La filosofia idealismo com; idealismo la religione. Perch nemmeno la religione riconosce la finit come un vero essere, come un che di ultimo ed assoluto; o come un che di non posto, d'increato, di eterno. L'opposizione di filosofia idealistica e realistica quindi priva di signifi- cato. Una filosofia che attribuisse all'esistenza finita, come tale, un vero essere, [ ... ] non meriterebbe il nome di filosofia 19
Siamo gi nel cuore della dialettica hegeliana. Essendo il finito un non-essere e, quindi, un che di ideale, esso si identifica immediatamente con la negazione logica interna all'Idea. Cosl come quest'ultima, inversamente, si con- fonde, a sua volta, con la determinatezza finita, cio con l'opposto reale. La concezione positiva dell'essere empi- rico-sensibile consentiva di distinguere l'opposto reale dal- l'opposto logico, il contrario dal contraddittorio . La concezione negativa o platonica della materia, vice- versa, annulla questa distinzione. ~ Opposizione logica e <( opposizione reale si confondono reciprocamente tra loro. E, cos, contraddizione e contrariet . 8. Siamo ora al punto di poter prendere in esame la critica della dialettica hegeliana sviluppata da Trendelen- burg nelle sue Ricerche logiche e, in particolare, nel capi- tolo III, intitolato Il metodo dialettico. Il tema fondamentale della dialettica hegeliana - co- 1 9 G. F. W. Hegel, Scienza della logica cit., I, pp. 169-70. 105 m' noto - che il pensiero puro, senza presup posti , possa, nel corso del suo svolgimento, generare e, insieme, conoscere tutti i momenti e i gradi della realt 1il, La dialettica, in altre parole, deve rendere pos- sibile un automovimento del pensiero puro che sia, insieme, l'autogenerarsi dell'essere . Com' stato rico- nosciuto da Hegel stesso e, dopo di lui, da tutti gli inter preti, la molla dell'intero processo la negazione. Si parte dall'Idea, che l'affermazione o unit origi- naria. Quest'unit, poi, si sdoppia creando la sua propria negazione. Sorge cos una contraddizione, in cui afferma- z:ione e negazione si fronteggiano. La contraddizione infine risolta e superata tramite la negazione della nega- zione , cio attraverso la nascita di un terzo o nuovo concetto, che ristabilisce l'unit di partenza, ma a un livello pi alto. E cos si prosegue. Giacch, appena con- cluso, il processo ricomincia di nuovo. Il concetto affer- mativo, che era risultato dal primo movimento, si rove- scia nuovamente nel suo opposto negativo. Si ripete, in tal modo, il movimento prima descritto, il quale porta progressivamente alla nascita di concetti sempre nuovi, pi ricchi e pi determinati. Il pungolo di tutto il processo dialettico , come si vede, la negazione. Ma - si domanda Trendelenburg - qual l'essenza di questa negazione dialettica? 21 La sua risposta ci riporta al cospetto del nostro problema. Egli infatti osserva che la negazione pu avere una <& A. Trendelenburg, Logische UnJersuchungen, Hildesheim 1964 {che riproduce la terza edizione, accresciuta, dell'opera ap parsa a Lipsia nel 1870; la prima edizione era del 1840), p. 36. 21 lvi, p. 43. AlCUlle delle pagine pi significative dd terzo capitolo dell'opera di Trendelenburg sono state traselte e tradotte da V. Verra nel volume, da lui curato, La dialettica nel pensiero contemporaneo, Bologna 1976. L dove i passi citati coincidono, abbiamo utilizzato la sua traduzione. 106 duplice natura. O la negazione dialettica intesa in ~ o o puramente logico, sicch nega semplicemente quello che il primo concetto afferma senza porre al suo posto qualcosa di nuovo, oppure intesa in modo reale, sicch il concetto affermativo viene negato da un nuovo con- cetto affermativo, in quanto entrambi devono essere rife- riti necessariamente l'uno all'altro. Chiamiamo - dice Trendelenburg - il primo caso negazione logica, il se- condo opposizione reale . E, in nota, specifica che, men- tre nel primo caso si ha l'opposto contraddittorio: a b, a non b, dove l'un termine esclude puramente l'altro (come, ad es., bianco, non-bianco); nel secondo, si ha l'opposto contrario, come per es. bianco, nero 22
Ora, il fatto che la negazione dialettica sia gene- rata dall'autoscissione dell'Idea induce a pensare che essa non possa non essere una negazione logica. E, in effetti, dovrebb'essere cosi. Solo che qui si pone subito la que- stione - osserva Trendelenburg - se la negazione logica possa condizionare un tale avanzamento del pen- siero [com' richiesto dalla dialettica] per cui sorga un nuovo concetto che colleghi positivamente in s l'affer- mazione e la negazione puramente escludentisi. Que- sto - egli dice - impensabile . Infatti, non c' un terzo elemento n tra i due termini dell'opposizione [logica] n al di l di essi. (Dal principio di non-con- traddizione deriva, com' noto, anche quello del terzo escluso .) ~ L'affermazione e la negazio.ne pura e sem- plice della stessa proposizione - afferma Trendelen- burg - non possono conciliarsi in nessun modo, poich non recano in s nessuna possibilit di un accordo. Il concetto affermativo pretende di avere realt effet riva, mentre quello semplicemente negativo consiste 22 A. Trendelenburg, op. cit ., pp. 43-4. 107 soltanto nell'opposizione esercitata dal pensiero che rifiuta il riconoscimento 23 Pretendere che la contraddizione logica possa procedere oltre questa antitesi e, cos, gene- rare un terzo concetto nuovo, semplicemente assurdo. Sembra, quindi, che si debba concludere - rileva Trendelenburg - che un malinteso fare della nega- zione dialettica . una negazione contraddittoria o logica. Hegel stesso, del resto, lo esclude. Trendelenburg rinvia, a questo proposito, al par. 81 dell'Enciclopedia. Ancora pi esplicito, forse, il par. 119: dove - dopo aver riaffermato la positivit o oggettivit del negativo - Hegel irride alla vacuit dell'antitesi dei cosiddetti con- cetti contraddittori , in cui l'un concetto , per es., l'azzurro>> e l'altro il non-azzurro. Parrebbe dunque che tutto porti a concludere che la negazione che condiziona il progresso dialettico va intesa come opposizione reale. Senonch - dice Trendelen- burg - <<qui sorge un'altra difficolt. L' opposizione reale ha, certamente, vari titoli per aspirare a svolgere le funzioni dell'opposizione dialettica. Il negativo>>, che compare in essa, sempre un che di determinato, cio un reale o positivo esso stesso: e, com' noto, Hegel insiste che la negazione dialettica debba essere una ne- gazione determinata . Di pi - come gi osservava Ari- stotele (ricorda Trendelenburg) - l'opposizione reale o rapporto di contrari ha luogo sempre all'interno dello stesso genere, dello stesso campo 24 Il che significa che - a differenza dei contraddittori>>, i quali non hanno termine medio - per i contrari , invece, il terzo si d. Senonch - domanda Trendelenburg (e, cos, avanza la sua obiezione decisiva) - si pu ottenere l'op- 23 lvi, p. 44. 24 lvi, p. 53. 108 ,. posizione reale con un metodo semplicemente logico? 25
La risposta addirittura superflua. Nell'opposizione reale presente qualcosa di nuovo e diverso, rispetto al primo termine da cui si procede. Ma, in quanto il polo << negativo qui un positivo esso stesso, evidente che non si potr mai pervenire ad esso per via puramente logica. Infatti, dice Trendelenburg, non si pu mai tro- vare logicamente un carattere che consenta di conoscere il concetto contrario, essendo quest'ultimo unente reale. Per attingerlo, occorrer piuttosto far ricorso all' intui- zione sensibile , cio all'esperienza. Ma ci invalida, alle radici, la pretesa della dialettica di essere un automo- vimento del pensiero puro e senza presupposti . I n conclusione, da tutto questo - afferma Trende- lenburg - deriva per la dialettica un dilemma inevitabile. O la negazione mediante la quale soltanto la dialettica media l'avanzamento del secondo e del terzo momento, la pura negazione logica (A, nonA); ma allora non pu _ produrre qualche cosa di in s determinato nel secondo momento e neppure consentire una unificazione nel terzo momento. Oppure la negazione l'opposizione reale e allora, da capo, non pu essere raggiunta col . metodo logico e la dialettica non dialettica del pensiero puro 26
Formulato il dilemma in questi termini, noto come Trendelenburg spieghi il modo di procedere, in concreto, della dialettica hegeliana. Pur non essendo, a rigore, n negazione logica n opposizione reale, la dialettica pro- cede contaminando le due. Hegel ricava dal cosiddetto automovimento del pensiero pi di quanto esso non consenta, perch interpola, nel processo logico, elementi che desume, surrettiziamente, dall' intuizione sensibile , 25 lvi, p. 45. 26 lvi, p. 56. 109 l l' cio dall'esperienza 'ZI. Ed appunto questo che permette al processo dialettico di attingere quel nuovo, che il pensiero o la .negazione logica, da sola, non sarebbe mai in grado di produrre. . La negazione dialettica, insomma, un ibrido che nasce dalla contaminazione della negazione logica e della opposizione reale, cio dalla mescolanza indebita di contraddizione e contrariet. Lo strumento, attraverso cui questo scambio si opera, ci che Trende- lenburg chiama la Einschiebung, cio l'interpola?..ione nel processo logico di elementi desunti nascostamente dal- l' esperienza. Riprenderemo pi avanti questo motivo dell' inter- polazione , accennando a Feuerbach e Marx. Ora, con- viene soffermarci, brevemente, sul pensiero di Hegel. 9. Il punto decisivo qui la sua concezione negativa o platonica del finito, cio del particolare empirico o determinato. Essendo privo di una vera realt e, quindi, non-essere, il finito (abbiamo visto) ideale, cio un momento interno all'Idea. Quest'ultima, d'altra parte, trasformata - per effetto della concezione negativa della materia - da semplice astrazione logica, quale dovreb- b'essere, in sostanza e realt (ipostatizzazione o sostanti- ficazione dell'astratto). In altre parole, poich l'elemento empirico-sensibile non , e qualcosa, tuttavia, deve pur fare da sostrato o fondamento, la funzione dell' essere addossata all'Idea. Sono qui racchiusi, in nuce, i due movimenti fonda- mentali della dialettica hegeliana. Vediamoli in concreto. Primo movimento. In quanto il finito ideale , e, quindi, l'opposto interno all'Idea, esso si trova ad essere il negativo di quest'ultima: risulta, cio, assor- TI lvi, p. 38. 110 bito nella contraddizione logica, ovvero nella compre- senza di quegli opposti contraddittori che sono l'<< essere . e il non-essei:e insieme 28 ,. questo, il punto dove Hegel svolge la dialettica del finito , die Dialektik d es Endlichen. Ogni cosa sembra essere quel che (cio, un che di determinato: questo e non quello); in realt, essa l'affermazione (o Idea) e il suo negativo insieme: e non . Hegel qui recupera, come ho mostrato altrove 29 , i tropi dello scetticismo antico e, pi precisamente, del pirronismo, che, additando nel sen- sibile la contraddizione (questa cosa, che sembra gialla , in realt e << non gialla), fa vacillare la certezza del senso comune nell'esistenza degli oggetti esterni preparando cos l'accesso alla vera filosofia o idealismo>>. In questo primo movimento, l'identit di pensiero ed essere, ovvero di razionale e reale , che alla base della filosofia di Hegel, svolta nel senso di contrarre il secondo termine nel primo. Nel linguaggio . del giovane Marx, il momento dell' idealismo acritico di Hegel. Al particolare concreto o determinato subentra la contraddizione logica . Non c' pi l'essere empi- rico, ma solo il pensiero. Secondo (e simultaneo) movimento. L'identit di pen- siero ed essere svolta ora nel senso complementare op- posto. Cio la contraddizione logica , che l'Idea, deve rovesciarsi nel suo opposto, cos da presentarsi come realt . I contraddittori , reciprocamente esclusivi, 28 La fonnulazione, a rigore, non corretta: essere e non- essere, enuambi presi nella loro asrrattezza, non costituiscono esrremi di una contraddizione logica. Sono, piuttosto, gli estre- mi di una contraddizione dialettica: la quale - come si chia- rir sempre meglio, pi avanti - cosrruita da Hegel contami- nando la contraddizione logica, propriamente detta, con la con- trariet. 29 Cfr. Il marxismo e Hegel, Roma-Bari 1976, vol. Il, pp. 231 sgg. 111 vengono cos trattati come se fossero opposti contrari, cio ricadenti all'interno di un genere comune o di una unit comprensiva di entrambi. Al modo dei contrari aristotelici. Ma con questa differenza fondamentale: che, mentre in Aristotele il genere comune, che abbraccia i contrari, empirico (ad es., per bianco e nero , il colore ), qui invece dev'essere l'unit-totalit infi- nita. , questo, il punto in cui Hegd, riprendendo la teoria platonica della comunanza dei generi supremi , presenta gli opposti - contraddittori come opposti che si richiamano e si implicano a vicenda, e che, quindi, si integrano nell'unit della Ragione come coincidentia oppo- sitorum 30
Gi in Platone (a cui Hegel consapevolmente si ricollega, per quanto riguarda la dialettica) esiste indistinzione tra con- e contrariet. N la coSa pu destar meraviglia, se si considera che le differenze tra i due rapporti sono state chiarite per la prima volta da Aristotele. P. Aubenque (Le prob/me de /' tre chez Aristate cit., p. 156 e nota) segnala l'indistinzione di contraddizione e contrariet in Platone. Un accenno, al riguardo, anche in B. Russell, A History of Western Philosophy, New York s. d., p. 1.58, dove l'autore rileva Platone raggiunge i suoi risultati applicando ai processi [reali) del continuo muta mento gli opposti logici, come percepire e non-percepire, sapere e non-sapere. Ma, Russell precisa, tali opposti logici non sono adatti a descrivere simili processi (evidentemente, per la diffe- renza che vi tra contraddizione logica e contrariet). Nel par. 2 del mio scritto su Marxismo. e dialettica (cfr. Intervista politico- filosofica ci t., pp. 66-9), nel trattare della contraddizione logica sono incorso nell'errore di prospettarla ancora alla luce della dia- lettica: suggestionato dalla tesi della Logica come scienza positiva di Della Volpe circa il carattere dialettico o tauto-eterologico della ragione in quanto pensalnento della contraddizione. Nella dialettica gli opposti logici, ciq i contraddittori - che dovrebbero essere gli estremi pi inconciliabili e pi esclusivi tra loro, in quanto non ammettono un terzo che li ricomprenda e li medi - sono presentati (e ci comune tanto al tardo Platone quanto a Hegel) come degli opposti che si implicano e si includono a vi- cenda. Ci deriva dal tentativo di trasferire i caratteri della con- trariet alla contraddizione, e viceversa. Quanto detto nel pu. 2 di quel mio scritto resta valido, a condizione che lo si riferisca, 112 Questa unit non significa, ovviamente, che la ragione hegeliana si disponga al di l o al di sopra degli opposti contraddittori e, ancor meno, che li trascenda. Quegli interpreti, i quali sostengono che la dialettica hegeliana - proprio in quanto toglie o supera la contraddizione - ristabilisce di fatto il principio aristo- telico di non-contraddizione, incorrono in un errore deci- sivo. La tesi di Hegel, infatti, che i concetti opposti si integrano e compongono bens nell'unit della Ragione, ma proprio in quanto si contraddicono. In altri termini, ci che il processo dialettico toglie l' esclusivit reciproca che gli opposti hanno al livello del semplice intelletto, ma non toglie ....,.- almeno nelle pretese di Hegel - la loro contraddittoriet. Hegel l'afferma espli- citamente. Se si considera il modo come essi sono col- legati, apparir necessariamente - egli scrive - che questi concetti sono nel contempo anche tolti, ossia [NB] uniti in una maniera tale ch'essi si contraddicono>> (cor- sivo mio). E subito dopo aggiunge: se entrambi ven- gono posti come collegati in un'unit, allora [NB] la loro unione contiene una contraddizione (corsivo mio) 31
certo che la pretesa di Hegel che i contraddittori non debbano escludersi ma integrarsi, pur restando tali, singolare. E tuttavia, quale che sia la sua ambiguit, essa conferma l'intenzione (gi rilevata) di Hegel di trat- tare i contraddittori estendendo ad essi le caratteristiche che sono proprie della contrariet. Conferma, in altre pa- non gi alla contraddizione logica ma a quel vero e proprio ibrido che I' opposizione 31 G. F. W. Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari 1970, p. 79. E, poco oltre (p. 80), Hegel aggiunge: II co- -siddetto principio di [non- ]contraddizione ha quindi per la .ragione una cosi scarsa verit anche solo formale, che al contrario ogni proposizione di ragione deve contenere, riguardo ai concetti, una trasgressione di esso 113 role, la contaminazione dei due tipi di rapporto, su cui imperniata la critica di Trendelenburg. E, infatti, se la Ragione dialettica dev'essere l'unit cui ineriscono gli opposti, evidente che essa, secondo Hegel, potr rivendicare un' esistenza indipendente e, quindi, il carattere di un ente reale o positivo, allo stesso modo della sostanza aristotelica che , appunto, il sostrato dei Qui la viziosit, l'arbitrio . di tutto il pro- cesso si tocca con mano. E, non a caso, esso stato rile- vato anche dal giovane Marx, nel punto in cui egli fu pi profondamente influenzato attraverso Trendelenburg da Aristotele. Proprio in quanto Hegel prende le mosse dai predicati della determinazione generale, invece che dall'ente reale (ypokeimenon, soggetto[ -sostrato ]), e ci ha da essere tuttavia un supporto di queste determina- zioni, la mistica Idea - scrive Marx - diventa questo supporto 32 E lo diventa, ripristinando appunto (ecco l' interpolazione surrettizia) il finito o particolare nella sua datit empirica immediata. Il processo, a questo punto, esattamente l'inverso di quello indicato nel primo movi- mento. Il finito, allora, era stato trasformato nella ne- gazione logica dell'Idea: da opposto reale , era stato convertito nell' opposto contraddittorio. Ora, viceversa, la contraddizione (o il negativo logico) che si tra- sforma e consolida, di colpo, nel finito o oggetto concreto, cio in un positivo o in una cosa. Nel linguaggio del gio- vane Marx, il momento del positivismo acritico di Hegel. La filosofia hegeliana, in altre parole, pu essere con- siderata come lo sviluppo e la realizzazione coerente della proposizion.e spinoziana: omnis determinatio est negatia (una proposizione, non a caso, che piacque molto anche al vecchio Marx). Ma con l'avvertenza, che, a differenza 32 K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Roma 1963, p. 35. 114 di Spinoza, Hegel ha sviluppato entrambi i possibili signi- ficati dell'identit affermata nella proposizione: e, cio, sia che il determinato negazione, sia, all'inverso, che la negazione determinata. Al primo di due significati, corrisponde la tesi che il finito ideale , cio che il finito la negazione o contraddizione logica. Ed , questo, il punto in cui cadono a proposito le celebri affermazioni della dialettica del finito o della materia: cio la tesi di Hegel che ogni finito, o oggetto determinato, l'unit di essere e ~ non essere insieme, ovvero che esso , in se stesso, s e la mancanza [si ricordi Kant a proposito di Leibniz! ] , s e il negativo di se stesso, sotto un unico e medesimo riguardo 33 ; onde, finalmente, Hegel pu concludere con l'affermazione generale che tutte le cose sono in se stesse contraddittorie, e ci propriamente nel senso 'che questa proposizione esprima anzi, in confronto delle altre, la verit e l'essenza delle cose 34
Al secondo dei due significati, corrisponde viceversa la tesi che la negazione il determinato o finito stesso, cio che la contraddizione logica ha come propria incar- nazione oggettiva e sua esistenza esteriore qualsiasi oggetto o processo reale: onde Hegel qui afferma che la contrad- dizione non da prender semplicemente come un'anomalia che si mostri solo qua e l, ma il negativo nella sua determinazione essenziale, il principio di ogni muoversi, muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e mo- strarsi della contraddizione. Ed egli aggiunge: Per- sino l'esterior moto sensibile non che la sua esistenz-a immediata. Qualcosa si muove, non in quanto in questo Ora qui, e in un altro Ora l, ma solo in quanto in un unico e medesimo Ora qui e non qui, in quanto 33 G. F. W. Hegel, Scienza della logica cit., Il, pp. 70-1. 34 lvi, p. 69. 115 in pari tempo e non in questo Qui. Si debbon con- cedere agli antichi dialettici - conclude Hegel - le contraddizioni ch'essi rilevano nel moto, ma da ci non segue che pertanto il moto non sia, sibbene anzi che il moto la contraddizione stessa come esistente 35 ( cor- sivo mio). 10. necessario affrontare, a questo punto, la con- troversa questione se la dialettica di Hegel implichi - di fatto, oltrech nei propositi dell'autore - il superamento o l'abbandono del principio di non-contraddizione. Mal- grado il campo degli interpreti sia, a questo proposito, profondamente diviso, la linea largamente prevalente quella che propende per l'incompatibilit tra la dialettica e il principio aristotelico. Come rappresentante tipico di questa linea interpretativa, pu essere assunto il saggio di Popper Che cos' la dialettica? Se ragione e realt - scrive Popper, riferendosi a Hegel - sono la stessa cosa, e la ragione si sviluppa dialetticamente, [ ... ] allora anche la realt deve svilupparsi dialetticamente. Il mondo dev'essere regolato dalle leggi della logica dialettica. [ ... ] Dobbiamo quindi riscontrare nel mondo le medesime con- traddizioni consentite dalla logica dialettica. Il fatto stesso che il mondo pieno di contraddizioni - continua Pop- per (sempre esponendo Hegel) - ci mostra, da un'altra angolazione, che il principio di [non- ]contraddizione deve essere eliminato. Questo principio afferma infatti che nes- suna proposizione autocontraddittoria, o nessuna coppia di proposizioni contraddittorie, pu essere vera, cio cor- rispondente ai fatti. In altre parole, il principio comporta che non possa mai darsi una contraddizione in natura, cio nel mondo dei fatti, e che questi non possono mai contraddirsi l'un l'altro. Sulla base invece. della filosofia 35 l vi, p. 70. 116 dell'identit di ragione e realt, si asserisce che i fatti possono contraddirsi l'un l'altro, dato che ci accade per le idee, e che i fatti si sviluppano attraverso contraddi- zioni, proprio come le idee: il principio di [non- ]contrad- dizione deve dunque essere abbandonato 36
Esposta in questi termini la filosofia di Hegel, Popper conclude che, pretendendo di superare il principio di non- contraddizione, quella filosofia ha firmato la propria con- danna. ~ Appellandosi alla proficuit delle contraddizioni - egli scrive, - i dialettici pretendono che questo prin- cipio della logica tradizionale venga abbandonato. Essi sostengono che la dialettica conduce, in tal modo, a una logica nuova - la logica dialettica n. In realt, non si avvedono che, in tal modo, essi vengono a trovarsi in radicale contrasto, non solo con la scienza ma con qual- siasi ragionamento sensato. Infatti - prosegue Popper - qualsiasi tipo di ragionamento, sia prima che dopo Hegel, e tanto nella scienza [empirica] quanto nella ma- tematica, o in qualsiasi filosofia veramente razionale, sempre fondato sul principio di [non-] contraddizione 38 . Del resto, quel che affermano i dialettici, e cio che esi- stono nei fatti contraddizioni reali }>, nori si d in alcun modo. Fatti contraddittori - afferma Popper - non esistono. Se indaghiamo un poco pi da vicino - egli continua - questi pretesi fatti contraddittori, troviamo che tutti gli esempi addotti dai dialettici stabiliscono che il mondo in cui viviamo mostra talora una certa struttura, che potrebbe anche definirsi " polare ". Un caso di tale struttura sarebbe l'esistenza di un'elettricit positiva e di una negativa. Ma _solo un modo metaforico e impre- ciso affermare che, per esempio, l'elettricit positiva e 36 K. Popper, Congellure e confutazioni cit., pp. 558-9. n lvi, p. 538. 38 lvi, p. 557. 117 negativa sono in contraddizione fra loro 39 Giacch, in tal caso, sono assai pi appropriati e meno fuorvianti - conclude << termini come " conflitto " o magari " tendenze opposte ", oppure " interessi opposti ", ecc. 40
La seconda linea interpretativa, opposta a quella ora illustrata, sostiene invece la piena compatibilit tra la logica dialettica hegeliana e il principio di non-contraddi- zione aristotelico. Hegel non infrmerebbe la validit di tale principio, n nelle intenzioni n di fatto. Il termine contraddizione sarebbe stato da lui usato solo in senso metaforico 41 In realt, gli opposti della dialettica hege- liana non sarebbero gli opposti della contraddizione logica , bens i contrari aristotelici. Al pi - se- condo la tesi di Emile Boutroux (2 - si dovrebbe par- lare solo di una trattazione pi dinamica >> , da parte di Hegel, della teoria della contrariet aristotelica. Ovvero, secondo la tesi di altri studiosi (per lo pi cat- tolici), gli opposti della cosiddetta contraddizione dia- lettica sarebbero da intendersi come gli opposti cor- relativi di Aristotele (per es.: sotto e sopra , padre e figlio, ecc.): in conclusione, un sotto-caso del rapporto di contrariet. Conseguenza non ultima di questo modo di vedere che verrebbe cosl a cadere 39 lvi , p. 559. 40 lvi, p. 547. appena il caso di rilevare la corrispondenza di queste affermazioni di Popper con quelle, precedentemente con- siderate, di Hartmann, di Ajdukiewicz e di Copi. 4 1 Cfr . F. Grgoire, tudes hgliennes, Louvain-Paris 1958, pp. 51 sgg., citato da S. Landucci, La contraddiz.ione in Hegel, Fi- renze 1978. Sulla stessa linea di Grgoire, si veda anche G. Cot- tier, Signification de la dialectique chez Hegel, in Revue tho- miste, 3, 1969, pp. 378-411 e, sempre dello stesso autore, La doctrine thomiste des oppositions en Y apport avec la dialectique hglienne, in Revue de thologie et de philosophie , 5, 1973, pp. 354--73. (2 Citato da G. Della Volpe, Logica come scienza positiva, Messina-Firenze 1950, p. 101. 118 completamente l'antitesi tra dialettica e scienza, delineata sopra da Popper 43 L'antitesi avrebbe ragione di sussi- stere, qualora la dialettica implicasse effettivamente una violazione e/ o il superamento del principio di non-con- traddizione. Non dandosi invece nulla di tutto questo, dialettica e scienza risulterebbero assolutamente compa- tibili tra loro. Quale sia l'interna debolezza di quest'ultima linea interpretativa, a me sembra evidente. Essa nega quello che stato sempre riconosciuto - e dagli hegeliani e dai marxisti stessi, oltrech dalla maggioranza degli inter- preti - come l'intento fondamentale dell'opera di Hegel: la costruzione, cio, di una logica filosofica nuova, rispetto a quella tradizionale; e nuova, proprio perch imperniata sul principio della << contraddizione dialettica . Ma c' di pi. Assumendo che l'uso del termine contraddi- zione in Hegel sia semplicemente metaforico, quella linea interpretativa deve anche ritenere che, quando la Scienza della logica parla di opposti contraddittori , essa intenda in realt i contrari o, addirittura, gli 4 l E. Berti, La contraddizione in Aristotele, Kant, Hegel e Marx, in AA.VV., La contraddizione, Roma 1977, pp. 9-31. Vorrei attrarre l'attenzione di Berti su due considerazioni. La prima che i contrari aristotelici hanno la loro unit in un genere pros- simo che un genere empirico (ad es., per gli opposti corre- lativi sopra e sotto, il genere empirico la direzione,.; per padre >> e figlio la parentela, ecc.) . Mentre l'unit degli opposti, in Hegel, non un genere empirico, ma l'infinito, la totalit, l' Assoluw. La seconda che i contrari aristotelici pre- suppongono una sostanza o sostrato cui inerire, cosa di cui, in Hegel, non vi pi traccia. Quando Berti (a p. 20 del saggio so- pra citato), parlando degli opposti in Hegel, dice che la loro oppo- sizione, divenuta contraddizione, si risolve in quello che Hegel chiama il loro "fondamento" (Grund) ed evoca, a proposito di questo fondamento hegeliano, il soggetto o sostrato di Aristotele, si deve obiettare che, nel definire il Grund (che, per Hegel, non l'oggetto individuo o sostanza prima >> ma la Ragione), Hegel stesso chiarisce che il Grund, di cui sta parlando, Abgrund, cio abisso di tutte le determinazioni finite. 119 opposti correlativi . Ora, per, a questo riguardo, le cose stanno in modo un po' diverso. infatti vero che, nel richiamare la distinzione tra contrariet e con- traddizione , Hegel ne nega l'importanza, affermando che, se i concetti vengono principalmente divisi in contrari e contraddittori , si deve tuttavia tener conto deUa d i ~ lettica e dell'interna nullit di queste differenze 44 Ma pur vero che, nel rendere fluida questa distinzione, in polemica con coloro che vorrebbero tenerla ferma ( come, se ci che contrario - egli scrive - _non dovesse esser anche determinato come contraddittorio ), Hegel p.erse- gue l'intento di ridurre la contrariet a contraddizione, e non viceversa. Prova ne sia l'ordine in cui egli tratta questa materia - a) l'identit)>, b) la <(differenza (inclusa l' opposizione ), c) la <( contraddizione )> - nel secondo capitolo del libro II della Scienza della logica: ordine che ben significativo, se si tien presente che it terzo o ultimo)> , per Hegel, anche ci ch' pi concreto e fondamentale. E, tuttavia, questa seconda linea interpretativa ha un punto di forza. Essa sostenuta da assertori del principio aristotelico di non-contraddizione, per i quali la viola- zione di questo principio implica, giustamente, l'insensa- tezza e l'assurdit del . discorso. Il problema che essi sol- levano - e che l'interpretazione di Popper ha il torto di non considerare - appunto questo: come sia possibile che Hegel voli il principio di non-contraddizione for- n ~ n d o al tempo stesso un discorso provvisto di senso: La risposta a questo interrogativo deve essere cercata, a nostro avviso, riprendendo in esame l'analisi di Trende- lenburg. Pur non essendo, a rigore, n negazione logica n opposizione reale, la dialettica di Hegel procede- egli spiegava - contaminando le due. La negazione dialet- 44 G. F. W. Hegel, Scienza della logica cit., III, pp. 61-2. 120 tica risulta, cos, un ibrido che nasce dalla mescolanza indebita di contraddizione e contrariet . Lo stru- mento, attraverso il quale si compie questo duplice scam- bio, costituito da quei due movimenti fondamentali del processo dialettico, che abbiamo appena considerato. Alla luce di tutto ci, la risposta .pu assumere la seguente forma. Hegel vlola il principio di non-contrad- dizione allorch, negando al finito o oggetto determinato un vero essere, ne fa un finito ideale >>, cio la nega- zione logica dell'Idea. Come abbiamo gi visto, Hegel sostituisce, in questo modo, all'oggetto empirico o deter- minato la contraddizione logica, affermando che ogni cosa in se stessa contraddittoria, ovvero che essa s e il negativo di se stessa a un tempo ed , perci, tanto l' es- sere quanto il non-essere insieme. evidente che, se il discorso di Hegel si arrestasse qui , esso sarebbe ine- vitabilmente privo di senso. Saremmo infatti al caso - gi considerato da Aristotele nel libro IV della Metafisica - che: se vero dire che l'uomo non-uomo, evidente che dovr essere anche vero dire tanto che trireme quanto che non-trireme 45 ; se vero, infatti, che l'uomo uomo ed anche non-uomo, evidente che egli sar, anche, n uomo n non-uomo 46 . Allora - con- tinua Aristotele - tutte le cose saranno confuse insie- me e si potr dire, a ragione, che questi filosofi par- lano dell'indeterminato 47 . Dell'indeterminato: cio - si noti bene -di tutto e di nulla insieme, essendo il tanto- quanto , al tempo stesso, un n-n 48
4 S Metaphys. 1007b 30-35. Cfr. Aristotele, La Metafisica, trad., intr. e commento a cura di G. Reale, Napoli 1968, vol. I, p. 304. Tuue le altre citazioni sono da questa edizione. 46 Metphys., 1008a 5. 47 lvi , 1007b 25. E si cfr. W. D. Ross, Aristotele, Milano 1976, p. 155 (dove, tuttavia, la traduzione , in questo punto, imprecisa). 48 Il <<tanto questo-quanto quello n questo-n quello. 121 Ora, che questa, appunto, . sia, da un certo punto di vista, la situazione di Hegel, d che egli stesso ci con- ferma, quando - dopo aver ricordato che l' Idea spe- culativa non un finito, un determinato, non ha l'uni- lateralit propria della proposizione ma ha invece in lei l'assolutamente negativo, rotonda in se stessa , e contiene in lei questo . determinato e il suo opposto nella loro idealit 49 - aggiunge che proprio del mtXlo di saper lo speculativo, che oltre l' " o-oppure ", ci sia un terzo: esso un " tanto-quanto " e un " n-n " 50
Ma ' noto come Hegel, a questo punto, riesca a sfug- gire all'indeterminatezza di significato, cui la violazione del principio di non-contraddizione altrimenti lo condan- nerebbe. Egli vi riesce, mostrando di ricavare dalla con- traddizione logica un terzo , cio un che di posi- tivo o reale. Come ha chiarito bene Trendelenburg, la cosa assurda e impossibile: la contraddizione logica in- fatti non ammette alcun terzo che la risolva e com- ponga in unit. Senonch Hegel riesce nell'impresa im- possibile interpolando nel processo logico un elemento desunto nascostamente dall'esperienza. Il finito, cui era stata prima negata vera realt, ora restaurato surretti- ziamente nel suo contenuto empirico per offrire un mezzo, un medium, in cui la contraddizione possa mostrarsi, cio prendere corpo e, cosl, acquistare esistenza reale (si ricordi .l'affermazione, ad es., che il moto la contraddizione stessa come esistente ). A questo punto, l'indetermina- tezza di significato, a cui la violazione del principio di non-contraddizione avrebbe costretto il discorso di Hegel, , sia pure artificiosamente, evitata: la contraddizione logica si composta in unit come fosse un rapporto di 49 G. F. W. H egei, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze 1932, vol. II, p. 544. 50 lvi, p. 546. 122 contrari aventi il genere in comune; e quest'unit, a sua volta, esibisce un contenuto reale (e, quindi, ba un signi- ficato determinato), perch viene confusa con l'oggetto empirico stesso in cui la contraddizione ora figura essersi incarnata 51 . La spiegazione, che noi proponiamo, sopravviene a confermare, in sostanza, quella che stata una duplice impressione mille volte rilevata dagli interpreti del pen- siero hegeliano. a) Il discorso di Hegel ha indubbiamente senso. comprensibile. Esso esibisce, in tutto l'arco del suo sviluppo, contenuti concreti ed contesto, quindi, di significati determinati. b) I passaggi logico-dialettici, attra- verso cui Hegel procede nello sviluppo del suo pensiero e per attingere quei contenuti, risultano, d'altra parte, oscuri , sforzati , artificiosi o equivoci (si veda, ad es., la documentazione addotta, in prpposito, da Trendelenburg), in quanto sono passaggi che si com- piono in violazione del principio di non-contraddizione. Concludendo. La linea interpretativa, che abbiamo illu- strato servendoci dello scritto di Popper Che cos' la dia- lt!ttica?, , a nostro avviso, quella giusta. La logica dia- lettica di Hegel implica effettivamente violazione e/ o superamento del principio di non-contraddizione. Essa assume, in contrasto con tale principio, l'esistenza di contraddizioni reali . In quanto tale, la logica della contraddizione dialettica assolutamente incompatibile non solo con le procedure della scienza (per la quale la contraddizione solo logica e non possono esistere fatti SI Hegel assegna ai contraddittori o opposti logici un'unit-tota- ' lit che li ricomprenda, al modo stesso in cui i contrari aristotelici hanno il genere in comune. Dopodich .,.- per il processo, gi sopra descritto, della sostantificazione dell'astratto o universale lo- gico e della conseguente interpolazione dell'empiria - egli con- fonde e ribalta questa unit logica nell'unit concreta e determinata dell'oggetto particolare. 123 contraddittori tra loro), ma risulta incompatibile con qualsiasi ragionamento che sia provvisto di senso 52
E tuttavia, per riuscire pienamente effiace, la linea 52 In Che cos' la dialettica?, Popper parla di fecondit o fer- tilit delle contraddizioni. Il senso in cui ne parla conforme al principio generale della sua metodologia, secondo la quale noi impariamo dai nostri errori. In tal senso, la contraddizione feconda, per Popper, perch, essendo il segno stesso dell'errore, induce ad abbandonare le vecchie concezioni (che siano risultate contraddittorie) per tentare nuove congetture, nuove ipotesi, ecc. I dialettici affermano - scrive Popper - che le contraddizioni sono proficue, fertili, portatrici di progresso, e abbiamo ricono- sciuto che, in un certo senso, cosl. Ma ci vero solo nella misura in cui siamo decisi a non rassegnarci di fronte alle con- traddizioni, e a cambiare qualsiasi teoria ne componi; in altre parole, se non accettiamo mai una contraddizione>> (op.' cit., p. 538). E, poco oltre (ivi, p. 546), aggiunge: L'imprecisione dell'affermazione del dialettico secondo cui le contraddizioni sono inevitabili, e non neppure desiderabile evitarle in ragione della loro notevole fertilit, pericolosamente fuorviante. Ci perch, come abbiamo visto, quella che si pu ritenere la fertilit delle contraddizioni semplicemente il risultato della nostra decisione di non rassegnarci ad esse (conformemente al principio di [non-] contraddizione). Ed pericolosa, perch affermare che non bisogna evitare le contraddizioni, o magari che esse non possono essere evitate, porta necessariamente al fallimento della scienza e della cri tica, cio della razionalit. Ora, questa tesi popperiana della fecondit >> della contraddizione - sebbene del tutto chiara nel suo intendimento e nel suo significato - ha dato luogo a qualche equivoco nel campo del materialismo dialettico >>. :, questo, il caso, a me sembra, di L. Geymonat , Scienza e realismo, Milano 1977. L'autore elogia il saggio di Popper che, egli dice (p. 49), merita di venire considerato veramente esemplare per rigore e chiarezza >>. Dopodich, parla della fecondit della contraddizione proprio nei termini - criticati da Popper - in cui ne parlano i dialettici: e, cio, non come se la contraddizione fosse da evitare, ma da affermare e da riconoscere (cfr., in particolare, pp. 48-52). Geymonat, del resto, confonde contraddizione e opposizione reale>>: <<due tendenze, l'una in antitesi con l'altra (p. 48) ba- stano, per lui, a produrre una contraddizione. da rilevare che la fecondit della contraddizione, in un senso analogo a quello di Popper, era gi stata colta bene da E. Cassirer nel suo saggio Sulla teoria della relativit di Einstein (pubblicato in ap- pendice a Sostanza e funzione, Firenze 1973; si vedano, in parti- colare, le pp. 486-90 e 493). 124 interpretativa di Popper va integrata con gli argomenti che abbiamo ora indicato. Nell'illustrare il pensiero di Hegel, essa muove giustamente dal ruolo centrale che ha, in quella filosofia, l'identit di reale e razionale_, di pen- siero ed essere. Trascura, per, che uno sviluppo coerente di questa interpretazione deve prendere in considerazione il duplice scambio e la conversione reciproca, che Hegel opera, tra contraddizione e contrariet , norich l' interpolazione in cui questo scambio si concretizza. III. Il marxismo e Hegel 11. Se ora ci volgiamo a considerare il marxismo (lasciando per il momento da parte il giovane Marx), la prima considerazione che si impone che - nell'eredi- tare da Hegel il concetto di contraddizione reale o oggettiva e nel riservare ad esso un ruolo assoluta- mente centrale nella spiegazione della societ o anche della natura - il marxismo stesso rivela una totale in- comprensione dei presupposti e delle implicazioni che quel concetto ha all'interno della filosofia hegeliana. Il marxismo deriva da Hegel due proposizioni fonda- mentali. La prima quella della contraddittoriet di tutte le cose, cio la tesi che ogni cosa s e il negativo di se stessa a un tempo: ovvero - come dice Engels - che ogni .essere organizzato costantemente il mede- simo e pure un altro , ogni corpo organico, in ogni istante, e non il medesimo 53 La seconda che - essendo la relt cos costituita - il principio di non- contraddizione assolutamente insufficiente a rappresen- tarla (per esso - scrive Engels - una cosa esiste o non esiste ed impossibile che una cosa nello stesso 53 F. Engels, Antidiihring, Roma 1950, p. 28. 125 tempo sia se stessa ed un'altra ) 54 Mentre una rappre- sentazione adeguata della realt pu invece fornirla solo la logica dialettica ( La dialettica - scrive Marx nella prefazione alla seconda edizione del Capitale 55 - nella comprensione positiva dello stato di cose esistente include simultaneamente anche la negazione di esso). La conclusione da trarre fin troppo evidente. En- trambe le tesi riproducono l'identificazione e lo scambio reciproco, che Hegel opera, tra pensiero ed essere, tra razionale e reale. Sebbene - e questo il paradosso - il marxismo pretenda di essere una concezione materia- listica della realt. Questo punto stato colto bene da Kelsen. Sotto la guida della logica dialettica di H egei - egli seri ve - Marx trasferisce le contraddizioni logiche dal pensare all'essere 56 Forze opposte nella natura o nella societ sono interpretate come contraddizioni logiche. Questa inerenza delle contraddizioni logiche alla realt - ag- giunge Kelsen - ha ancora un senso nella filosofia di Hegel. Infatti, poich nella sua filosofia idealistica pen- sare ed essere sono identificati, l'idea delle contraddizioni logiche inerenti alla realt comprensibile, fino a un certo punto, come conseguenza di una tale identifica- zione . Ma, nel quadro della filosofia materialistica di Marx e di Engels, che rigettano questa identificazione, assurdo interpretare come contraddizioni logiche delle forze in antagonismo o degli interessi in conflitto nella societ 57
E, tuttavia, che le cose. stiano proprio in questi ter- mini sembra difficile negarlo. In. quanto concezione ma te- S4 lvi, pp. 2 7 ~ 8 55 K. Marx, Il capitale, Roma 1951, vol. I, l, p. 28. 56 H. Kelsen, La teoria comunista del diritto, Milano 1956, p. 29. 57 lvi, p. 76. 126 rialistica, il marxismo avrebbe dovuto mostrarsi vitalmente a pensare con rigore la differenza tra oppo- sizione logica e opposizione reale , tra contraddizione e contrariet. Di fatto, non invece accaduto nulla di tutto questo. Dell' opposizione reale , e delle sue differenze costi- tutive rispetto alla <( contraddizione logica , non vi parola in Engels. Non una in Plechanov. Non una in Lubks. La confusione, infine, si tocca con mano nel caso di Lenin, il quale esibisce, nei Quaderni filosofici, come esempio di contraddizioni dialettiche un elenco di (( oppo- sizioni reali , cio di opposizioni senza contraddizione, dove la dialettica non ha nulla da vedere. Si tratta di casi arcinoti. <( Nella matematica + e - . Differenziale e inte- grale. Nella meccanica azione e reazione. Nella fisica elet- tricit positiva e negativa. Nella chimica associazione e dissociazione degli atomi 58
Ma il par-adosso tocca il culmine quando si consideri che, a differenza della filosofia di Hegel, il tnarxismo aspira ad essere una concezione <( scientifica >> della realt. Esso intende essere scienza - scienza nel senso pieno della 58 V. l. Lenin, Quaderni filosofici, Milano 1970, p. 343. Un caso significativo anche quello di Karl Korsch. Egli uno dei pochi marxisti che abbia avuto notizia della teoria dell' opposi- zione reaJe >> in Kant. E, tuttavia, l'ha interpretata come una traddizione dialettica. Si veda il suo scritto L'empirismo nella filosofia di Hegel (in K. Korscb, Dialettica e scienza nel marxismo, Roma-Bari 1974, pp. 31-2): Bisogna pensare le opposizioni della dia- lettica non come asserzioni poste in contrasto ma come oggetti in contrasto o, per usare un'espressione kantiana, come .. . reali ripu- gnanze ". E di contrapposizioni di questo tipo parlano non soltanto il filosofo dialettico Hegel ma anche profondi e acuti pensatori come Kant e Bolzano non spinti certo da intenzione dialettica. [ ... ] Una breve analisi di questo concetto di opposizione definito da Kant e Bolzano mostra che le relazioni che intercorrono tra tali " opposizioni " e le formazioni che nascono dall' " unione " di tali opposizioni, possiedono tutte le caratteristiche essenziaJi che Hegel utilizza per la sua dialettica . 127 parola. E tuttavia parla continuamente di contraddizio- ni , contraddizioni che esistono nella natura e nella so- ciet. Mentre per la scienza - noto - le contraddi- zioni sono solo logiche, sono sempre e soltanto << errori soggettivi da eliminare. A differenza del marxismo, la scienza presuppone e implica il principio di non-contrad- dizione. Per essa, non esistono contraddizioni oggettive, contraddizioni nella realt. Le sole contraddizioni, che la scienza riconosce, sono quelle in cui possono incorrere le teorie. Ma, quando una teoria si contraddice, per la scienza subito condannata come falsa. Potrebbe, a questo punto, sorgere l'impressione che tutto si riduca, in fondo, a una questione di parole. In altri . termini: il marxismo avrebbe il torto di designare, impropriamente, come contraddizioni nella realt, ci che andrebbe chiamato, pi opportunamente, conflitto di forze o, appunto, opposizione reale . Senonch la questione in giuoco ben altro che terminologica. Nel designare i conflitti di interessi nella societ indu- striale moderna come contraddizioni del capitalismo, Marx non incorre in . un errore di forma, come sarebbe quello di una denominazione impropria; bensl costruisce gli estremi di queste antitesi (per quanto riguarda la loro stessa struttura e il loro contenuto) in modo tale che essi risultino trattabili dialetticamente. tipico il caso del- l'opposizione tra lavoro salariato e capitale: dove que- st'ultimo, che considerato come il prodotto o l'aggetti- vazione alienata del lavoro umano, concepito come tale che esso si renda indipendente o estraneo rispetto al suo creatore e si contrapponga ad esso, fino a dominarlo 59
L'intero processo segue le orme dello svolgimento dia- W Per la trattazione degli opposti capitale e lavoro sala- riato come opposti dialettici, cfr. K. Marx, Grundrisse der Kritik der politischen Oekonomie, Berlin 1953, pp. 203-4 e 943. 128 lettico in Hegel. Si parte dall' unit degli uomini viventi e attivi con le condizioni naturali inorganiche del loro ricambio materiale con la natura ro. Quest'unit origi- naria, poi, si sdoppia o si aliena da s, creando la sua propria negazione. Dopodich, attraverso la riappropria- zione di d ch'era stato alienato come capitale da parte dei lavoratori, si ha la negazione della negazione , cio . la soppressione della scissione o alienazione e, con ci, il ristabilimento, a un pi alto livello, dell' unit degli uomini tra loro e di loro stessi con la n a tura 61
Il trattamento dialettico, insomma, comporta che - sotto l'apparenza della spiegazione causale-scientifica - il corso reale proceda come uno svolgimento finalistico, teleologico, com' appunto necessario che sia il processo dialettico: dove la contraddizione ha la sua soluzione o unit precostituita; l' alienazione ha il suo ine- vitabile riscatto; e la meta o il punto d'approdo gi posto in anticipo (secondo l'affermazione di Hegel che il termine ultimo >> del processo dialettico al tempo stesso anche il primo e viceversa). 12. In forte contrasto con questa nostra rappresenta- zione odierna di Marx come epigono di Hegel, sta il giu- dizio e l'apprezzamento altamente positivo, che stato dato in Italia (per opera specialmente di Della Volpe), della critica giovanile di Marx alla dialettica di Hegel, , cosl come essa si sviluppata soprattutto nella Critica l Per una trattazione pi ampia di questo concetto dell' unit originaria in Marx, si veda Marxismo e dialettica cit., p. 111. 61 K. Marx, Il capitale cit., I, 3, p. 223: II modo di appro- priazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capita- listico e quindi la propriet privata capitalistica, sono la prima negazione della propriet privata individuale, fondata sul lavoro personale. Ma la produzione capitalistica genera essa stessa con . l'ineluttabilit di un processo naturale la propria negazione. :t la negazione della negazione . 129 della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843 ), oltrech nell'ultimo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Questi testi, e i forti legami ch'essi mostrano di avere con gli scritti antihegeliani di Feuerbach pubblicati tra il 1839 e il 1843 - da Per la critica della filosofia hege- liana, alle Tesi provvisorie per la riforma della filosofia, fino ai Princpi della filosofia dell'avvenire, - impongono una messa a punto, seppure nella forma di considerazioni assai rapide e essenziali, su questa fase giovanile del pen- siero di Marx. Tanto pi che essa coinvolge e chiama in causa anche il problema dell'utilizzazione che Marx - e, oltre a lui, quasi sicuramente, anche Feuerbach - ha fatto delle Ricerche logiche di Trendelenburg. La critica di Feuerbach e di Marx alla dialettica hege- liana imperniata, com' noto, sullo scambio o inversione, che Hegel avrebbe operato, tra il soggetto (il sostrato o ypokeimenon) del giudizio e il predicato o l'universale logico, cio tra essere e pensiero. Secondo questa critica (a cui si ispirata, nelle grandi linee, anche la ricostru- zione, che noi abbiamo sopra accennato, dei due movi- menti fondamentali del processo dialettico hegeliano ), H e- gel avrebbe trasformato l'Idea o l'astrazione logica in sostanza a s (ipostatizzazione o sostantificazione del- l'astratto), convertendo cosi il predicato o categoria in soggetto o sostrato reale. Dopodich, il soggetto effet- tivo, cio il sostrato o fondamento empirico, sarebbe stato da lui trasformato in predicato del suo predicato , cio in manifestazione o incarnazione dell'Idea ipostatizzata. Come era gi stato rilevato da Della Volpe e come ora confermato da Enrico Berti, il grande antecedente di questa critica di Feuerbach e Marx a Hegel va indi- viduato nella critica di Aristotele a Platone. La scoperta aristotelica del concetto di sostrato - scrive Berti - l'unico principio veramente nuovo rispetto a quelli 130 gi individuati dai filosofi precedenti , ed esso deriva interamente dalla distinzione tra la sostanza e le altre categorie . Con la scoperta del so strato - egli pro- segue - Aristotele ha indicato per la prima volta in modo chiaro la necessit che il divenire sia divenire di un soggetto. [ ... ] Questa dottrina, di p retta marca antidea- listica, in quanto mostra l'insufficienza, per spiegare il divenire, delle semplici determinazioni concettuali, fa della filosofia aristotelica - conclude Berti - l'emblema di ogni altra presa di posizione critica nei confronti del- l 'idealismo che sia poi stata attuata nella storia del pen- siero 62 Dopodich, egli richiama in nota il passo della Kritik del ' 43, gi da noi sopra citato, dove Marx dice che, proprio in quanto Hegel prende le mosse dai pre- dicati della determinazione gen.erale, invece che dall'ente reale (ypokeimencm, soggetto), e ci ha da essere tuttavia un supporto di queste determinazioni, la mistica Idea diventa questo supporto . Un apprezzamento analogo ritorna in un altro punto del libro di Berti, dove - sempre insistendo sulla tesi che il criterio della sostanzialit , in Aristotele, costituito dalla capacit [della sostanza] di fungere da soggetto della predicazione - l'autore scrive: Da tutto ci risulta che Aristotele ha completamente capo- volto la posizione platonica: mentre per Platone l'uni- versale ha pi realt dell'individuale, il genere pi della specie e la specie pi dell'individuo, cio in generale il predicato pi del soggetto, per Aristotele vale il contra- rio: principio di tutte le cose, cio condizione della loro esistenza, sono gli individui, i soggetti. questa - con- clude Berti - la grande alternativa che storicamente si 62 E. Berti, Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima, Pa- dova 1977, p. 297. 131 oppone sempre a tutte le forme di idealismo, a quella platonica con Aristotele ed a quella hegeliana con Feuer- bach, Marx e Kierkegaard 63
Sulla base di questo comune riferimento ad Aristo- tele, l'analisi di Feuerbach e del giovane Marx sembra riprodurre alcuni dei motivi della critica a Hegel, gi svi- luppati dall'aristotelico Trendelenburg. Il caso forse pi evidente quello offerto dal tema della Ein- o Unter- schiebung, cio dell'interpolazione nel processo logico di elementi desunti surrettiziamente (o unter der Hand, come dir Marx ancora nell'Einleitung del '57 ai Grundrisse) dall'esperienza. Da que'sto motivo critico dell' interpola- zione si sviluppa, poi, l'accusa che, non solo il giovane Marx, ma anche Feuerbach, muovono a Hegel di metter capo conclusivamente con la sua filosofia - la quale pre- tende di incominciare senza presupposti - a una for- ma di positivismo acritico. Nello scritto del 1841, Ueber den Anfang der Philosophie, Peuerbach, ad esem- pio, osserva che la filosofia, che comincia con il pen- siero senza realt, conclude conseguentemente con una realt senza pensiero . E, subito, aggiunge: pi ra- gionevole cominciare con la non-filosofia e terminare con 6 3 lvi, p. 232. Per una interpretazione, in questo caso analoga, delle differenze tra Aristotele e Platone, cfr. S. Mansion, Le r6le de l'expas et de la critique des philasaphies antrieures chez Ari- state, in Aristate el ler problms de mthade (communications prsentes au Symposium Aristotelicum tenu Louvain du 24 ao(\t au 1 septembre 1960 ), Louvain-Paris 1961, p. 54, dove - trat- tando della critica di Aristotele a Platone - la Mansion rileva che: <<C'est toujours le meme vice fondamenta! qu'il [Aristate] dnonce: la substantifcation des universaux, la confusion entre l'ordre logique et l'ordre rel . E cfr. anche, a questo proposito, I. Diiring, Aristotele, Milano 1976, p. 687: Per Aristotele, nella discussione del concetto di ousia, l'essere fisico delle cose sensibili costituisce il punto eli partenza e ci che si pu affermare in pro- posito. Le specie dell'essere sono per lui le specie di ci che nel senso fisico. Platone usa il vocabolo ausia per designare l'essere delle idee ". 132 la filosofia, anzich, al contrario, come qualche " grande " filosofo tedesco - exempla sunt odiosa - inaugurare la propria carriera con la filosofia e chiuderla con la non- filosofia 64 Dove fin troppo trasparente l' allusione di Feuerbach a quella particolare forma di positivismo acri- tico che fu non solo l'adesione, accordata da Hegel, allo Stato prussiano del tempo, ma la celebrazione, che egli intess di quello Stato, come dell' ingresso di Dio nel mondo. Un altro motivo ancora, di grande rilievo, che acco- muna la critica di Trendelenburg e quella di Feuerbach quello del carattere neoplatonico e teologico, che pro- prio della dialettica. Il metodo dialettico - aveva scritto Trendelenburg - ha trovato per lo pi applica- zione all'interno della teologia ; mentre <( nella fisica e nelle scienze naturali, [ ... ] non ne conosciamo quasi esempio 65 E, poco prima, aveva osservato: Tra gli antichi, Proclo il solo che possieda il ritmo della dia- lettica 166 Ora, considerazioni analoghe ricorrono anche negli scritti di Feuerbach. Hegel - egli osserva - non affatto "l'Aristotele tedesco o l'Aristotele cristiano ", ma il Proclo tedesco. La filosofia assoluta la risurre- zione della filosofia alessandrina )> 67
Questo tema delle origini neoplatoniche della dialet- tica di grande importanza, non solo dal punto di vista storico-culturale, ma perch getta luce sulle strutture stesse del processo dialettico. Alludendo, ad esempio, alla con- cezione della materia come non-essere e, quindi, alla tesi hegeliana che il finito ideale , Feuerbach rileva che, 64 L. Feuerbach, Siimmtliche W erke (Bolin und Jodl), vol. II, p. 208. 65 A. Trendelenburg, Logische Untersuchungen cit. , p. 101. 166 lvi, p. 100. 67 L. Feuerbach, Princpi della filosofia dell'avvenire, Torino 1946, p. 114. 133 per i neoplatonici, la materia, il mondo materiale e reale, non pi in generale un problema, non pi una realt . ~ Nei neoplatonici - egli aggiunge - anche la materia si trova nel mondo immateriale; ma s'intende di si tratta di una materia soltanto ideale, pensata, imma- ginaria 68 Dopodich, Feuerbach intuisce bene come, . essendo stato negato al finito un vero essere, la funzione dell'essere debba ricadere sull'idea o astrazione logica. In questo modo - egli scrive - la ragione, o l'idea, diventa concreta; o, per meglio dire, viene riferito al pensiero quello che proprio dell'intuizione; diventa fun- zione del pensiero quello che funzione del senso, della sensazione, [ ... ] il concreto diventa predicato del pen- siero ffJ. Il risultato che, per il neoplatonico, la rap- presentazione non pi una rappresentazione, ma l'og- getto stesso, e l'i.tpmagine non pi un'immagine, ma la cosa stessa, e il pensiero, l'idea, la stessa realt. Pro- prio perch egli non pi un soggetto che stia in rap- porto col mondo reale inteso come oggetto, sono le sue stesse rappresentazioni che diventano oggetto. E Feuer- bach conclude: Quanto maggiore l'astrazione che egli compie, quanto pi radicale la negazione del mondo sen- sibile, tanto pi egli , proprio nell'astrazione, un essere sensibile. Dio, l'uno, il pi alto oggetto e il pi alto essere che derivi dall'astrazione di ci che molteplice e dilferenziato, cio del mondo sensibile, viene conosciuto mediante un contatto diretto, attraverso una presenza immediata (parusa) 10
La formula, in cui Feuerbach compendia conclusiva- mente questa sua critica della filosofia di Hegel, che la dialettica hegeliana una rationnelle Mystik o - come 68 lvi, p. 112. ffJ lvi, p. 114. '10 lvi, p. 113. 134 ripeter .il giovane Marx nella sua Critica del '43 - che essa misticismo logico . Dove per rnisticismo non da intendere, ovviamente, un prodotto del sentimento, quanto piuttosto il risultato di quello scambio o confu- sione, che abbiamo gi visto, per cui alla ragione viene attribuita, oltre alla funzione logica o del pensiero, anche la funzione dell'essere empirico e della sensazione. Questi sommari accenni valgono a dare un'idea e l l ~ complessit e della ricchezza di motivi, da cui ha tratto alimento la critica della dialettica hegeliana che conte- nuta negli scritti di Feuerbach del periodo tra il '39 e il '43 e in quelli giovanili di Marx del '43-44. In essa confluiscono temi che sono stati desunti, in parte, diret- tamente da Aristotele, in parte dall'analisi - improntata pur essa a motivi aristotelici - di Trendelenburg. Di pi: nel caso almeno di Feuerbach, risulta aver operato anche il riferimento a Kant e, in particolare, al Kant dell'argomento dei cento talleri , oltrech della critica della prova antologica 71
E tuttavia, di fronte al rigore del discorso di Trende- lenburg e alla sua capacit di afferrare i termini essenziali delle questioni logiche implicate dalla dialettica di Hegel (le questioni, in particolare, della diversa natura dell' op- posizione reale e della << contraddizione logica ), in- dubbio che la critica di Feuerbach e di Marx si rivela ancora insufficiente. Nel tono e nelle intenzioni, essa quanto di pi radicale si possa immaginare. Feuerbach si spinge fino al punto di liquidare, di sana pianta, la dialettica di Hegel. Altrettanto avviene con la Kritik di Marx del '43, dove della dialettica di Hegel fatto scem- pio. E, nondimeno, nessuno dei due autori riesce a pene- trare fino alle radici ultime del problema. L'apprezzamento pu sembrare ingiusto e impietoso. 7 1 lvi, p. 106. 135 Si tratta, invece, di uno dei rari casr m cui il giudizio pu essere suffragato da un argomento incontrovertibile. Feuerbach, che rifiuta in toto la dialettica di Hegel, con- tinua al tempo stesso a parlare di alienazione a proposito della religione. Respinge, cio, la dialettica, nel momento stesso in cui continua a presupp.orla e a fame uso. L'alie- nazione, infatti, un momento del processo dialettico: essa corrisponde all'autoscissione dell'unit. Pretendere di attribuirle un senso tecnico rigoroso, fuori e a prescin- dere dagli strumenti della logica dialettica, non solo impossibile ma un non senso. Feuerbach, dunque, che, da un lato, respinge la dialettica e non vuol pi saperne, dall'altro la lascia agire implicitamente e senza render- sene conto. L'equivoco - o, come forse sarebbe meglio dire, il paradosso - si ripete nel caso del giovane Marx. La sua Kritik del '43 contiene una confutazione implacabile della dtalettica di Hegel. La dialettica tacciata di mistici- . smo logico. Marx si accanisce a denunciarne le misti- fcazioni . Ci non toglie, tuttavia, che egli continui, contemporaneamente, a presupporla e ad adoperarne gli strumenti. Come Feuerbach per la religione, cosl Marx sviluppa ora l'analisi dello Stato politico moderno in ter- mini di alienazione. Il risultato quanto di pi paradossale si possa imma- ginare. Marx, che sottopone a critica radicale la dialettica di Hegel, ne ribadisce, al contempo e senza avvedersene, le conclusioni. Respinge, cio, la logica della contraddi- zione dialettica, nel momento stesso in cui interpreta lo Stato rappresentativo moderno in termini di teoria del- l'alienazione. L' alienazione politica nascerebbe dalla separazione o scissione, che interViene nelle condizioni moderne, tra Stato e societ civile . E, poich l'alienazione, in quapto scissione dell' unit originaria (l'unit di vita pubblica e vita privata che sussisteva nella 136 comutlit primitiva e, in parte, ancora nella polis greca), riconosciuta giustamente come la figura stessa della contraddizione, Marx conclude accogliendo implicita- mente quello che il nucleo essenziale della filosofia di Hegel: cio il concetto dell'esistenza di contraddizioni reali. Poste queste premesse, gli sviluppi successivi de] rap- porto di Marx con Hegel si rivelano non solo compren- sibili ma inevitabili. n tema dell'alienazione - gi cen- trale nei Manoscritti del '44 - finisce, a poco a poco, con l'imporre - n avrebbe potuto essere altrimenti - una nuova considerazione della dialettica di Hegel (di cui -l'alienazione stessa un momento inseparabile), fino a quella vera e propria riabilitazione di essa, di cui testi- monianza la lettera di Marx ad Engels del 14 gennaio 8 ~ 8 : quando egli scrive cpe, quanto al metodo del lavoro (e si tratta della stesura dei Grundrisse ), gli ha reso un grandissimo servizio il fatto di aver riveduto la Logica di Hegel . A questo punto, ci che era in sospensione fin dal '44 precipita. Il lavoro che produce valore si conferma essere il lavoro alienato stesso. Cio, la teoria dell'aliena- zione o reificazione , e la teoria del valore (e, dun- que, del denaro e del capitale ) vengono a coinci- dere. E, poich l'alienazione la contraddizione, che pro- cede dall'autoscissione dell' unit, la conclusione ultima che teoria del valore , teoria dell'alienazione e teoria della contraddizione dialettica si rivelano, infine, essere una stessa e medesima cosa 72 Con la conseguenza che il tentativo di Marx di sviluppare un'analisi scientifica del modo di produzione capitalistico risulta minato irre- parabilmente e alle radici. 72 Per uno sviluppo pi ampio di quest'argomeno, cfr. Marxi smo e dialettica cit., pp. 109-10. 137 13. Un breve riepilogo, prima eli avviarci. alla parte conclusiva. Tento eli richiamare (e integrare) alcuni dei motivi pi significativi che sono affiorati nel corso del- l'analisi. Essi sono, pi o meno, i seguenti: a) Concezione negativa o platonica della materia, cio dell'essere empirico-reale come non-essere. La conce- zione presente, abbiamo visto, anche in Leibniz. Essa annulla e rende inconcepibile la distinzione tra contrad- dizione e contrariet, tra opposizione logica e oppo- . sizione reale. Assumendo infatti il reale come non-essere, essa trasforma immediatamente il contrario o oppo- sto reale (B), nella semplice negazione logica (non-A). Per Leibniz - elice Kant - questa Ja sorte che subi- scono tutte le realt contrarie . Secondo lui, per esempio, tutti i mali non sono se non conseguenza dei limiti delle creature, cio negazioni [corsivo mio], poich queste sono l 'unica cosa che si opponga alla realt 73
Da qui, il principio degli indiscernibili di Leibniz. Esso si fondava propriamente - dice Kant - sul pre- supposto, che se nel concetto di una cosa in generale non si incontra una certa difierenza, essa non si incon- trer nemmeno nelle cose stesse 74 . Si fondava sulla tesi, in altre parole, che, se non c' contraddizione (logica) tra i concetti, non ci pu essere neppure opposizione (reale) tra le cose. In base a questo principio, prosegue Kant, i seguaci di lui trovano non pure possibile, ma anche naturale, di riunire in un Ente tutte .le realt senza darsi pensiero d'alcuna opposizione, poich essi non ne cono- scono alcun'altra all'infuori della contraddizione (per cui il concetto stesso di una cosa viene annullato), ma non quella del reciproco annullamento, per cui un principio 73 I. Kant, Critica della ragion pura cit., I , p. 269. 74 l vi, p. 275. 138 reale annulla l'effetto dell'altro 75 Donde, l' armonia prestabilita . b) La concezione negativa o platonica della mate- ria alla base anche del pensiero di Hegel. Il finito non ha un vero essere. Il finito ideale . Essendo tale, il finito immediatamente, anche per Hegel, negazione lo- gica: cio il contrario )> o opposto reale ridotto, anche in lui, a opposto contraddittorio. A differenza per di Leibniz, che esclude e rifiuta la contraddizione, Hegel ]'include e l'afferma. Egli tenta di comporre i con- traddittori in unit (coincidentia oppositorum), come se, al pari dei (j .contrari aristotelici, essi avessero un genere in comune. La differenza , per, che, mentre il genere che abbraccia i contrari in Aristotele un genere empi- rico, l'unit dei contraddittori in Hegel l'Assoluto, l'unit-totalit. Da qui, un vero e proprio monstrum logico (che, da a1lora, in poi, sarebbe .stato causa di confusione infinita): Hegel tratta i contraddittori - cio gli opposti pi esclusivi per eccellenza - come componibili, cio come opposti che si implicano e si includono a vicenda. c) La concezione negativa o platonica della mate- ria, trasformando il positivo o reale nel negativo logico, d luogo, in Hegel, alla tesi che tutte le cose sono in se stesse contraddittorie , cio che la materia contrad- dizione. D luogo, insomma, a quella dialettica del fi- nito >> o della materia che - nella sua insipienza e inge- nuit filosofica - il marxismo assume invece come la forma superiore o moderna del materialismo. d) In realt, la tesi che la materia contraddizione il tentativo estremo di liquidazione del materialismo, cio - per quel tanto che quest'ultimo pu riguardare la filosofia - del realismo empirico 76 in gnoseologia. La 75 lvi , p. 270. 76 Quest'espressione realismo empirico ,. gi in M. Schlick 139 tesi infatti che il finito la negazione di s in .s, la tesi stessa che il finito ideale, cio interno all'Idea. E, come essa implica chiaramente che il finito non abbia un vero essere, n sussista per s, cos implica, anche, la negazione del carattere extralogico dell'esistenza. Non a caso, infatti, proprio questa l' affermazione di Kant che risultata essere alla base della distinzione tra oppo- sizione logica .e opposizione reale )> . e) La tesi che esistono contraddizioni reali liquida, dunque, a un tempo, e il principio di non-contraddizione e il carattere extralogico dell'esistenza. In altre parole, realismo empirico e principio di non-contraddizione risul- tano avvinti l'uno .all'altro, per la vita e per la morte. Essi stanno o cadono insieme. Prova ne sia la scienia stessa: la quale - essendo (per riprendere le parole di Popper, prima citate) sempre fondata sul principio di non-contraddizione e, quindi, sull'affermazione che nes- suna proposizione autocontraddittoria, o nessuna coppia di proposizioni contraddittorie, pu essere vera, cio cor- rispondente ai fatti )> - risulta fondata sul principio stesso del realismo in gnoseologia, cio sulla teoria della verit come corrispondenza n. (dr. Tra realismo e neopositivismo, a cura di L. Geymonat, BolO. gna 1974, p. 111). n Per una ripresa moderna della teoria della verit come cor- rispondenza, dr., tra l'altro, A. Tarski, La concezione semantica della verit e i fondamenti della semantica (in AA.W., Semantica e filosofia del lingaggio, Milano 1969, p. 29), B. Russell, An In- quiry into Meaning and Truth, London 1940, cap. XXI e K. Popper, Ob;ective Knowledge, Oxford 1973. 140 IV. Il principio di non-contraddizione in Aristotele e m Kant 14. Decisivo, per affrontare le ultime questioni ora accennate, il libro IV della Metafisica di Aristotele. Ari- stotele vi afferma 78 il principio di non-contraddizione ( impossibile che la stessa cosa, ad un. tempo, appartenga e non appartenga ad una medesima cosa, secondo lo stesso rispetto ) in polemica con quelli che potremmo chiamare i dialettici della materia del tempo, cio in generale con i seguaci di Eraclito. Si tratta degli autori i quali ritengono possibile (e si ricordi Engels) credere che una stessa cosa sia e non sia, come, secondo alcuni , avrebbe detto Eraclito . Ovvero di coloro i quali affermano che la stessa cosa pu essere e non essere . Laddove - pro- segue Aristotele - noi, invece, abbiamo stabilito che impossibile h ~ una cosa, nello stesso tempo, sia e non sia 79
Ora, l'argomento risolutivo che Aristotele adduce con- tro i dialettici che, se di uno stesso ente reale si pre- . dicano simultaneamente i contraddittori, si scambiano, cos facendo, due cose diversissime tra loro: cio (si noti bene questo) . il soggetto o sostrato del giudizio e il pre- dicato, ovvero il significare una cosa unica (il s- mainein ben) e il significare l'attributo di una cosa (smainein kath' henos) . chiaro, infatti, che, se si scam- bia il secondo caso col primo, e cio l' affermazione l'uo- mo bianco o l'uomo musica >> (che il significare l'attributo o predicato) con l'affermazione, ad esempio, l'uomo animale bipede >> (che il significare, invece, la cosa stessa, cio il soggetto o sostrato ), ne risulter 78 Metaphys., 1005b 20. Mi servo sempre dell'edizione, sopra citata, a cura di G. Reale. 79 lvi, 1005b 25 e 1006a. 141 he - essendo bianco o musica non-uomo - sar possibile concludere, appunto, che l'uomo tanto uomo quanto <(non-uomo 110 Ma- precisa Aristotele- noi non reputiamo che " significare una determinata cosa" sia lo stesso che " significare l'attributo di una determi- nata cosa ", giacch, in tal modo, verrebbe a significare una medesima cosa e " musico " e " bianco " e " uomo " e, di conseguenza, tutte le cose si ridurrebbero ad una unica, perch avrebbero tutte lo stesso significato 81
Fin qui parrebbe ancora che Aristotele si stia preoc- cupando, fondamentalmente, del problema del significato e della forma dell'asserzione. In questo senso, la predi- cazione simultanea dei contraddittori in relazione a un medesimo soggetto avrebbe come effetto l'indetermina- . tezza del significato. E, avverte Aristotele, il non avere un determinato significato equivale a non avere alcun significato ; ma, allora, verrebbe meno la possibilit del discorso e del pensiero stesso: infatti, non si pu pen- sare nulla, se non si pensa una determinata cosa 82 . Parrebbe, insomma, che, nella polemica contro i nega- tori dialettici del principio di non-contraddizione, il problema di Aristotele debba essere, anzitutto, quello semantico e cio di stabilire, com'egli afferma, che il nome esprime un determinato significato e uno solo>>. Senonch, la portata dell'argomentazione ben altra. E Aristotele lo rileva subito: il problema di cui d stiamo occupando [precisa], non se sia possibile che la mede- sima cosa sia o non sia uomo quanto al nome, ma quanto alla cosa stessa 83 E lngemar Di.iring conferma: Qui si vede che l'espressione hen semainein, centrale per l'ar- 110 Cfr. l'ottimo commento di G. Reale in Aristotele, Metafisica cit., I , p. 335. Bt Metaphys., 1006b 15. 82 lvi, 1006b 5-10. 83 lvi, 1006b 20. 142 gomentazione, non significa semplicemente " ha un iden- tico senso ", o "vale per ci che identico ", ma ha un senso esistenziale 84
Ma, allora, qual l'argomento decisivo di Aristotele contro i dialettici della materia , seguaci di Eraclito? L'argomento di natura tale da investire direttamente il problema della realt, cio dell'esistenza o dell'ente. Ed esso afferma che - riducendo il significare una cosa unica al significare l'attributo o predicato di una cosa - i dialettici annullano il sostrato o ente reale: cio - si presti attenzione - riducono il soggetto o ypokeimenon a un predicato esso stesso. I negatori del principio di non-contraddizione - af- ferma Aristotele - sopprimono la sostanza e l'essenza delle cose . <( Infatti, essi devono, di necessit, affermare che tutto accidente, cio attributo o predicato. E, in realt, <( coloro che sostengono questo - cio, che l'essenza dell'uomo pu <( essere anche l'essenza di non-uomo o la non-essenza di uomo - debbono s ~ stenere, necessariamente, che non possibile definire l'es- senza di alcunch e che tutto esiste a guisa di accidente . Ma [egli prosegue] se tutte le cose si dicono come accidente, non potr esserci nulla che funga da soggetto primo degli accidenti, mentre l'accidente esprime sempre un predicato di qualche soggetto (corsivo mio). E, final- mente, Aristotee cos conclude: Dunque, dovr esserci anche qualcosa che esprime la sostanza. E, se cos, risulta provato che impossibile che i contraddittori si predichino insieme 85
Si afferri bene la portata di questo argomento. Esso riposa interamente sulla distinzione tra la <( sost anza pri- ma e le altre categorie , cio tra l'ente reale, o esi- &4 I. Diiring, Aristotele ci t., p. 677 : 85 Metaphys., 1007a 20-25, 30-35 e 1007b 15. 143 stente, e i predicati logici. Riposa, quindi, sull'impossi- bilit di commutare il sostrato o sostanza prima (che l' oggetto individuo o determinato) in predicato o. catego- ria logica 86 Come Aristotele, del resto, afferma in pi punti della sua opera. Nelle Categorie, ad esempio, quan- do rileva che: Sostanza nel senso pi proprio, in p r ~ o luogo e nella pi grande misura, quello che non si dice di un qualche sostrato (2a 10). O, anche, che dalla sostanza prima non proviene alcuna predicazione dal mo- mento che essa non si dice di alcun sostrato (3a 35). O, infine, nei Secondi Analitici, quando - avendo pre- messo che la sostanza, tutto ci che esprime, insomma, un oggetto immediato, non si trova ad essere qualcos'altro se non ci che per l'appunto - conclude: Chiamo dunque per s gli oggetti che non si dicono di un sostrato, ed invece accidentali le determinazioni che si dicono di un sostrato (7 3b 5-10) 117
Stringiamo ancora di pi il senso del discorso. Esso ci dice due cose fondamentalissime. a) Che i dialettici della materia, negando il principio di non-contraddizione, devono anche sopprimere la sostanza prima o sostrato materiale, in quanto la riducono a predicato logico. E b) che l' affermazione del principio di non-contraddizione ri- posa, inversamente, sul riconoscimento dell'irriducibilit del soggetto-sostrato alle altre categorie: il che vuoi dire che la distinzione aristotelica tra la sostanza prima e 86 Sulla distirizione tra la sostanza prima e le altre cate- gorie, cfr. F. Brentano, Von der mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristoteles cit., pp. 97 102. 117 Nel libro VII della Metafisica, cap. III, 1029a 20, Aristo- tele afferma che tutte le altre categorie vengono predicate della sostanza e questa, a sua volta, della materia. C', dunque, un caso, seppur anomalo, 1n cui anche la sostanza pu essere pre- dicato. Su questo punto particolare, cfr. J. Owens, Matter and Predication in Aristotle, in Aristotle. A Collection of critical Essays, a cura di J. M. E. Moravcsik, London 1968, pp. 191-214. 144 le altre t categorie esprime, alla lettera, lo stesso princtpw che, nei. tempi moderni, verr recuperato da Kant con l'affermazione capitale che l' essere non un predicato , ovvero che l'esistenza di natura e origine extralogica. In altre parole, alla base del principio della contrad- dizione logica da evitare, risulta stare quel fondamento reale che l'oggetto esistente stesso 88 : onde, non solo realismo empirico e principio di non-contraddizione risul- tano coniugarsi insieme 89 , ma il principio di non-contrad- dizione si scopre, a sua volta, essere noetico e dianoetico a un tempo, cio tanto principio di determinazione reale (e, quindi, principio ontico), quanto principio logico o del giudizio 90
Ed quanto confermano, appunto, i maggiori studiosi di Aristotele. Esempio: W. David Ross, il quale, ripor- tando la formulazione del principio di non-contraddizione, annota: Si osserver che ci espresso in modo del tutto obiettivo, come una legge dell'essere 91 Oppure In- gemar Diiring: il quale, non solo afferma che il concetto di ousia sta alla base della discussione [ .. . 1 sul principio di [non- ]contraddizione, perch chi nega questo prin- cipio, deve negare anche l'ousia, cio deve contestare che ci sia qualcosa. Non solo rileva che il principio di [non- ]contraddizione valido solo a condizione che il senso di una parola sia esattamente definito, e soltanto le ousiai consentono una tale definizione. Ma osserva 88 Cfr. A. Trendelenburg, op. cit., p. 31, dove si parla dello sforzo di Aristotele per attingere, nel formulare il principio, einen untheilbaren Punkt an den Dingen, e cfr. anche G. Della Volpe, Logica come scienza positiva cit., pp. 134-5. 89 Cfr .. E . ~ r t i Studi aristotelici, L'Aquila 1975, p. 87, dove si parla dell'unit indissolubile fra principio di non-contraddizione ~ esperienza , !O Cfr. G. Calogero, I fondamenti della logica aristotelica, Fi- renze 1927, pp. 42-5. 91 W. D. Ross, Aristotele cit., p. 155. 145 che, in Aristotele, la predicazione semhra fin dall'inizio avere un significato antologico; onde, alla fine, conclude: Qui vediamo davvero molto chiaramente che la forma dell'asserzione costituisce, s, il suo punto di partenza, ma che per ci che -a lui importa il contenuto ogget- tivo del pensiero o dell'espressione. Quel che egli vuol dimostrare che certe affermazioni devono esser vere; identifica la verit dell'asserzione e l'esistenza reale 92
15. Ma la polemica di Aristotele contro i dialettici della materia non si arresta qui. Egli riprende l'argo- mento che, se relativamente ad un medesimo soggetto sono vere, -ad un tempo, tutte le affermazioni contraddit- torie, evidente che tutte quante le cose si ridurranno ad una sola e, infatti, saranno la medesima cosa e una " trireme" e una " parete " e un " uomo" . Dopodich - avendo rilevato che allora tutte le cose saranno con- fuse insieme e, di conseguenza, non potr veramente esi- stere alcuna realt (determinata) 93 - egli si volge, an- cora una volta, contro i negatori del principio di non" contraddizione che pongono tutta la realt sensibile in continuo movimento e mutamento. La sua replica che costoro, che sostengono che l'essere e il non-essere esi- stono insieme, dovrebbero affermare che tutto fermo e non che tutto in movimento: infatti, secondo questa dottrina, non pu esserci qualcosa in cui l'oggetto si possa trasmutare, perch tutto esiste gi in tutto 94
Gli autori presi di mira sono, come sempre, coloro- che si dicono seguaci di Eraclito e, in particolare, Cra- tilo, il quale era arrivato persino a rimproverare il mae- stro di aver detto che non possibile bagnarsi due 92 l. Di.iring, Aristotele cit ., pp. 676-7 e 688. 93 Metaphys., 1007b 20-25. 94 lvi, lOIOa 35. 146 volte nello stesso fiume: Cratilo, infatti, pensava che non fosse possibile neppure una volta}> 95
Ora, dinanzi a questi rappresentanti estremi (com- pteso il loro ultimo epigono, Protagora) della concezione dialettica della materia e, quindi, della radicale contrad- dittoriet di tutto ci ch' sensibile, significativo come Aristotele risponda. Egli oppone una concezione a-dialet- tica del senso. Il senso non si contraddice mai circa il percepito. Il senso-percezione vero e proprio, libero da ogni mescolanza di associazione e di interpretazione - com- menta Ross 96 - infallibile. E infatti, premesso che ogni senso va riferito all'oggetto che gli proprio, Ari- stotele afferma che nessuno di questi sensi dice mai, nello stesso tempo, intorno alla stessa cosa, che essa cosi e, ad un tempo, non cos. Ma neppure - ag giunge - in tempi diversi, almeno per quanto riguarda la . qualit, un senso pu essere in contraddizione con se stesso; esso potr ingannarsi solamente riguardo alla cosa cui appartiene la qualit. Per esempio, lo stesso vino pu sembrare talora dolce e talora non dolce (o perch esso stesso inutato o perch si mutato il nostro corpo); ma non certo mutato il dolce e la qualit che il dolce ha <Juando c': e il senso dice sempre il vero intorno ad esso, e ci che dovr esser dolce dovr avere necessaria- mente tale qualit '11. 95 lvi, 1010a 10-15. 96 W. D. Ross, op. cit., p. 157. '11 Metaphys., 1010b 15-25. qui, com' noto, che si radica anche il problema del fondamento antepredicativo della verit in Aristotele. Cfr., ad es., J. Moreau, Aristate et la vrit antprdi- cative, in Aristate et les problmes de mthode cit., pp. 22 sgg. Questo punto di vista serve a riequilibrare la trattazi6ne, peraltro Cellente, dd problema della verit in Aristotele, fornita da P. Wilpert nel suo saggio del 1940, ora ristampato nel volume miscellaneo, Logik und Erleenntnislehre des Aristoteles, Darmstadt 1972, pp. 106 sgg. 147 palesemente - come ha visto bene Ross 98 - una confutazione dell' idealismo soggettivo , cio della scepsi verso il sensibile, a cui Aristotele giunge partendo dalla discussione del principio di non-contraddizione. E non sorprende che la reciproca implicazione di questo prin- cipio con quello del realismo empirico esca confermata, anche in questo caso, dalla teoria della sensazione. Ari- stotele nega la possibilit di ridurre il sensibile alla na- tura del soggetto senziente. Se esiste solamente ci che percepibile dai sensi, qualora non ci fossero esseri ani- mati non potrebbe esserci nulla: infatti , in tal caso, non potrebbero esserci sensazioni. Ma - egli aggiunge - impossibile che gli oggetti che producono le sensazioni non esistano anche indipendentemente dalla sensazione. Infatti, la sensazione non sensazione di se medesima, ma esiste qualcosa che altro dalla sensazione e al di fuori della sensazione, il quale esiste, di necessit, prima della sensazione stessa >> 99 . il punto estremo a cui si spinge il realismo empi- rico di Aristotele. Ed decisivo osservare come, proprio a partire da questa concezione positiva del sensibile, Ari- stotele imposti la sua critica del platonismo. Il richiamo alla dottrina delle Idee , nel libro I della Metafisica, esordisce ponendo subito in rilievo la concezione nega- tiva del sensibile in Platone. Essendo stato 6n da gio- vane amico di Cratilo e seguace delle dottrine eraclitee, secondo le quali tutte quante le cose sensibili sono in continuo flusso e di esse non possibile scienza , Pla- tone - dice Aristotele - mantenne queste convinzioni anche in seguito . D'altra parte, egli accolse l'insegna- mento di Socrate, il quale, nella sua ricerca dell' uni- versale , aveva fissato la sua attenzione sulle defin- 98 W. D. Ross, op. cit., p. 157. 99 Metaphys., 1010b 30-35. 148 zioni . Il risultato fu - osserva Aristotele - che, nel- l'accettare questa dottrina socratica, Platone credette, a causa di quella convinzione che aveva accolto dagli era- clitei, che le definizioni si riferissero ad altre realt e non alle realt sensibili: infatti, egli riteneva impossibile che la definizione universale si riferisse a qualcuno degli og- getti sensibili, perch soggetti a continuo mutamento. Egli, allora, denomin codeste altre realt Idee 100
Qui, l'implicazione organica tra la concezione negativa del sensibile, da una patte, e, da,ll'altra, l'ipostatizzazione o sostantificazione dell'astratto, cio dell'universale logico (e, quindi, ancora una volta, lo scambio di soggetto e predicato ), colta immediatamente e con chiarezza assoluta. Poich l'elemento empirico-sensibile <<non , non ha vera realt, e qualcosa tuttavia deve pur fare da fondamento o so strato , la funzione dell' essere addossata all'Idea. Si tratta, in sostanza, del procedi- mento dell'ectesi, su cui Aristotele ritorna ripetutamente (in A, 9, 992b 10, in B, 6, 1003a 10 e in M, 9, 1086b 10). E che, come Giovanni Reale ha visto assai bene (ser- vendosi anche del .commento di Alessandro di Afrodisia), significa il procedimento proprio dei Platonici di dare esistenza separata ai predicati. universali, vale a dire di sostantificare o ipostatizzare gli attributi universali: pro- cedimento che - come Reale precisa, poi, molto oppor- tunamente, contro l'infelice traduzione di Carlini - sta a indicare che l'ectesi platonica non affatto astrazione (logica) ma ipostatizzazione antologica 101
100 lvi, 987a 32- 987b 5-10. Circa l'influenza di Eraclito sul pensiero di Platone, dr. Wilamowitz, Platon, Berlin 1920, vol. I, p. 90. E dr. anche l'introduzione di L. Mridier al .Cratilo pla- tonico nell'edizione Les Belles Lettres , Paris 1931, pp. 36 sgg. 101 Il commento di G. Reale alle pp. 207-8 del vol. I della Metafisica nell'ed. cit. E cfr. anche E. Berti, Aristotele cit., pp. 247 e 262-3. 149 16. Una breve precisazione ancora sul principio di non-contraddizione, -prima di concludere. evidente la radicale diversit che separa il principio nella formula- zione aristotelica originaria dall'interpretazione scolastico- razionalistica. Attraverso quest'interpretazione, il principio di non-contraddizione stato trasformato in semplice prin- cipio di identit, cio in un principio puramente formale. Esso diventato il principio delle verit di ragione in Leibniz e, in Kant, il principio supremo dei giudizi analitici . Cosl trasformato, il principio ha finito col con- cernere soltanto l'identit del pensiero con s, la coe- renza formale, anzich la congruenza o corrispondenza del pensiero con la realt. Esso ha perso, cio, interamente la portata ontica, che aveva in Aristotele, in quanto prin- cipio della contraddizione logica da evitare e, al tempo stesso, principio della determinazione reale. Il punto importante da chiarire anche perch, nell'insorgere con- tro la cosiddetta logica formale , il marxismo non ha. mai mostrato di avere alcuna percezione della differenza che qui in gioco. Sotto questo profilo, significativa, invece, la rigo- rosa consapevolezza che Trendelenburg mostra di posse- dere anche a questo riguardo. La logica formale suole chiamarsi aristotelica - egli scrive - e cerca la pro- tezione di questo grande nome. Ha diritto di farlo? Ri- mane fedele al fondatore della scienza logica? Noi notiamo qui- continua Trendelenburg- un'essenziale differenza. Aristotele non esprime affatto l'intenzione di concepire le forme del pensiero unicamente a partire da loro stesse .. Una tale separazione estranea ad Aristotele ed un ritrovato moderno. Scienza e opinione sono per lui, da una parte, anche condizionate dall'oggetto. [ ... ] L'intera espressione che Aristotele d [al principio di non-con- traddizione] si allontana notevolmente dalla maniera pu- 150 ramente ' logica in cui esso viene inteso .dai moderni 1! 12
E Trendelenburg indica bene dove stia la differenza. Dopo aver riportato infatti l'enunciazione originaria del principio, egli rileva: In questa serrata formulazione, Aristotele lotta palesemente per raggiungere un punto indi visibile nelle cose [e si tratta, appunto, dell'indivi- dualit, o puntualit, o univocit del sostrato] che, come tale, debba essere in s determinato cos da escludere l'ambiguit o equivocit del concepimento da parte del pensiero. E, poco oltre, aggiunge: Kant invece, che era orientato alla rigorosa separazione della logica formale [da ogni riferimento alla realt], cancell l'ultima traccia dell'origine metafisica [leggi: antologica] che era ancora percepibile nel principio, ricordando che, nell'espressione secondo cui A non pu essere al tempo stesso (zugleich) non-A, la determinazione temporale " zugleich " non riguar- dava in alcun modo la logica 103
L'esposizione di Trendelenburg assolutamente cor- retta. Il principio di non-contraddizione, in Kant, riguarda soltanto la coerenza formale del pensiero con s, la possi- bilit logica. Esso semplicemente un principium rationis. Non si estende in alcun modo alla possibilit reale, n, . quindi, coinvolge in alcun senso Ia congruenza o corri- spondenza tra il pensiero e la realt. Kant considera che possa darsi coerenza formale del pensiero con s, a pre- scindere dalla sua congruenza con la realt e, quindi, indi- pendentemente dal fatto che al pensiero sia dato un og- getto da pensare. Qui il suo apriorismo si tocca con mano. Un pensiero, che si contraddica quanto alla forma, cer- tamente, per Kant, un pensiero che si autodistrugge e si 10 2 A. Trendelenburg, op. cit ., p. 30. Si vedano anche le ottime pagine dedicate alla questione da M. Rossi, Marx e la dialettica hegeliana, Roma 1963, vol. II, pp. 72-3. 103 I vi, pp. 30-2. 151 annulla. Ma, se la coerenza rispettata e la contraddi- zione logica non insorge, il pensiero potr sussistere, per Kant, anche indipendentemente dal riferimento alla realt. In tal caso, esso sar vuoto ma non nullo. Sussister, cio, come a priori. Non a caso, Kant distingue tra denken e erkennen, tra pensare e conoscere. Per lui, possibile che si dia pensiero, anche a prescindere dal riferimento all'oggetto (per Aristotele, invece, abbiamo visto, non si . pu pensare nulla se non si pensa una determinata cosa ). E la coerenza formale del pensiero con s, sep. pure non condizione sufficiente, tuttavia conditio sine qua non della verit. , Il peso negativo che il formalismo razionalistico astratto continua, malgrado tutto, a .esercitare . sul pen- siero di Kant, indubbio. Ed certo che, proprio alla luce di ci, risulta anche ridimensionato l'accostamento da noi piima perato tra Aristotele e Kant. fuori di- scussione che i due pensatori si toccano in un punto deci- sivo: la teoria aristotelica, secondo cui la sostanza pri- ma, l'oggetto individuo, non mai convertibile i n pre- dicato logico n, quindi, da confondere con le altre categorie, ha il suo riscontro moderno nella tesi di Kant circa il carattere extralogico dell'esistenza, ovvero nella sua affermazione che l'esistenza non affatto predicato o determinazione di una qualche cosa 104
E, nondimeno, proprio questo punto d'incontro tra i due pensatori lascia meglio misurare la loro differenza. In Aristotele, la teoria dell'ousia, cio della diversit del so strato dalle altre categorie (e, quindi, dell'irriducibilit del soggetto ~ al predicato ), concorre alla fondazione del principio di non-contraddizione, attraverso la dimo- strazione di come i negatori dialettici di esso siano anche 104 Cfr. L'unico argomento possibile, in I. Kant, Scritti pre- critici dt ., p. 111. 152 costretti a negare ogni ente reale, cio a ridurre tutto ad accidente e, perci, a predicato. Principio di realt e prin- cipio logico in Aristotele si saldano insieme. Non cosl, invece, in Kant. In lui, i due principi rimangono disgiunti e senza possibilit di entrare in rapporto. Donde l'assurdo, nella Critica, della sopravvivenza della logica formale , accanto e prima della logica trascendentale . E, tuttavia, quanto profondi e seri siano i motivi ari- stotelici che si agitano al fondo della riflessione di Kant e come, insomma, il vero Aristotele moderno sia p r ~ prio lui (e non invece .. . quell'altro, che tanta influenza ebbe su Marx), sta a provarlo non solo la ripresa che Kant ha operato della teoria della verit come corrispon- denza, ma l'elaborazione, originalissima, che del princi- pio logico e del primo principio reale 105 , egli ha dato, al momento del suo distacco massimo da Leibniz e dalla vecchia tradizione del razionalismo astratto. 17. Torniamo al 1763. In quell'anno (che, per Kant, dovette essere certo felice), oltre al Tentativo per intro- durre nella filosofi'a il concetto delle quantit negative, egli pubblic un altro piccolo scritto, il cosiddetto Beweis- grund, cio L'unico argomento possibile per una dimo- strazione dell'esistenza di Dio. In esso, il sistema di Leibniz rovesciato da cima a fondo. Anche qui, natu- ralmente, Kant mantiene la premessa che la contraddi- zione logica dev'essere esclusa. Il pensiero, che si con- traddice, si annulla; un triangolo quadrato impensabile . e impossibile. E anche per lui, come per Leibniz, il pos- sibile ci ch' pensabile in modo formalmente coerente, cio il pensiero che non contraddice se stesso. Solo che, sospinto dalla necessit di dar ragione della differenza tra logica e realt (e, quindi, anche tra l' opposizione logica 105 lvi, p. 120. 153 e l' opposizione reale , tra la contraddizione e la con- trariet), Kant, non solo capovolge tutto l'impianto del discorso, ma arriva a scoprire tra principio logico e principio reale un nuovo rapporto. Per illustrare la nuova situazione in cui stiamo per introdurci, conviene prendere le mosse dall'argomento on- - tologico o, come Kant lo chiama nel Beweisgrund, . dalla prova cartesiana ~ > Se dal concetto del puramente pos- sibile come principio devesi concludere - dice Kant - la esistenza come conseguenza, si deve poter trovare in questo concetto del possibile la detta esistenza mediante l'analisi di esso; giacch non vi ha altra deduzione di una conseguenza da un concetto del possibile, se non per mezzo dell'analisi logica. In tal caso dovrebbe l'esistenza, <:ome predicato, esser contenuta nel possibile 1 1),1. Ora, il punto che Kant solleva gi nel capitolo primo 'del suo scritto proprio questo: l'esistenza non affatto predicato ICI?, non un elemento logico o interno al pen- siero. vero l'inverso. Non dal pensiero o possibile che si ricava l'esistenza reale, bens l'esistenza o reale che rende possibile il pensiero. Il di pi non del possibile o della logica rispetto al reale ( la spiegazione wolffiana dell'esistenza come compimento della possibilit - rileva Kant con ironia - evidentemente molto inde- terminata ) 1 a ~ ; il di pi della realt rispetto alla logica, dell'esistenza rispetto al pensiero: giacch nella pura possibilit non posta la cosa stessa, ma son poste soltanto semplici relazioni di qualcosa con qualcosa secondo il principio di [non- ]contraddizione, e rimane assodato che l'esistenza propriamente non punto predicato di una qualche cosa ul9. 100 lvi, p. 204. 107 lvi, p. 111. !al lvi, p. 115. Il Ibid. 154 Qui, veramente, tutto rovesciato. Per Leibniz, la non-contraddizione logica, la coerenza formale del pensiero con s, richiedeva che si escludesse o negasse la materia in quanto non-essere. Per Kant, viceversa, per il quale la materia, l'esistenza, non difetto o mancanza ma un di pi ( nell'esistenza - scrive - vi pi che nella semplice possibilit )) ), vero esattamente l'oppo- sto: quando manchi qualcosa di reale da pensare cade la stessa non-contraddizione o possibilit logica ed il pen- siero stesso che viene meno. Non l'esistenza che pre- suppone il pensiero, ma il pensiero, la possibilit logica stessa che presuppone una qualche esistenza 110 Ogni possibilit cade - scrive Kant - non solo quando si trovi una intrinseca contraddizione, come il " logico " del- l'impossibilit, ma anche quando non vi da pensare un materiale, un dato. Poich allora non dato niente di pensabile. [ ... ] Ora se ogni esistenza vien tolta, [ .. . ] non dato materiale a un qualche pensabile: vien cos del tutto meno ogni possibilit . E prosegue: Certo non vi contraddizione intrinseca nella negazione di ogni esistenza. Poich nella contraddizione si richiederebbe che qualcosa fosse posto e nello stesso tempo tolto; cosl non si pu certo dire che questo togliere contenga una con- traddizione intrinseca. Ma che vi sia una possibilit e pur o ~ vi sia nulla di reale, ci contradditt01'io; giacch, se non esiste nulla, neppure dato nulla che sia allora pensabile, e ci si contraddice se tuttavia si vuoi che qual- cosa sia possibile 111 (corsivo mio). L'antitesi rispetto a Leibniz non potrebb'essere pi radicale. Alla sua conclusione che logicamente contrad- dittorio e, quindi, assurdo riconoscere l'esistenza della materia, Kant ora oppone che contraddittorio negare JIO lvi, p. 115. I li lvi , p . 118. 155 l'esistenza reale, la materia: giacch, negata questa, il pen- siero stesso si annulla e vien meno la possibilit logica o non-contraddizione. Tanta chiarezza e rigore, su questo punto, non sareb- bero stati pi toccati da Kant neppure al tempo della Critica. Nella Critica, infatti, la non-contraddizione, cio la coerenza logico-formale possibile anche in assenza di qualsiasi contenuto 112 Un pensiero che non si. contrad- dica e che tuttavia non sia riferito ad alcun materiale sensibile e non abbia nulla di reale da pensare, solo un pensiero vuoto ma non un pensiero che si annulla. Il possibile logico, in altre parole, ha ancora la forma vera e propria di un a priori. Nel Beweisgrund, viceversa, .la posiziOne su questo punto radicalmente opposta. Il pensiero coerente con 112 Anche questo mutamento di prospettiva che si compie nella Critica ha, tuttavia, la sua ragion d'essere. La differenza, posta da Leibniz, tra il principio di non-contraddizione come prin- cipio delle verit di ragione e il principio di ragion sufficiente come principio della possibilit reale , si era venuta sempre pi attenuando con Wolff e Baumgarten. La conseguenza era che, nella scuola leibniziana, il principio di identit e di non-contraddizione (inteso come principio della mera coerenza del pensiero con s) era venuto acquistando, immediatamente, valore e portata onta. logica: come se la coerenza del pensiero con s potesse importare, ipso facto, anche la corrispondenza del pensiero con la realt. Dinanzi a questo stato di cose, lo sforzo della Critica di ridurre il principio di non<ontraddizione a mero principium rationis, eli- minando dalla formulazione aristotelica originaria anche il riferi- mento alla determinazione temporale (cfr., sopra, il passo di Trende- lenburg corrispondente alla n. 103), appare ispirato all'esigenza ami- dogmatica di segnare nettamente la distinzione tra pensiero ed essere, tra logica e realt. Cfr., su questo punto, l'ottima nota di F. Volpi, Kants Elision der Zeit aus dem Satz vom Widerspruch, inviata al Kant-Kongress indetto a Mainz per il 1981. Il cammino, rebours, rispetto a Kant, compiuto invece da E. Husserl (dr. Logica formale e trascendentale, Bari 1966), il quale non solo assume il principio di non-contraddizione nell'accezione formali- stica kantiana (si vedano, ad es., le pp. 80-1), ma gli restituisce portata antologica (dr. ivi, p. 147). 156 s solo il pensiero che congruente con le cose. Un pensiero che formalmente non si contraddica e che tut- tavia sia vuoto, cio non riferito ad alcuna materia, in realt contraddittorio e impossibile. Perch - spiega Kant - che vi sia una possibilit e pur non vi sia nulla di reale, ci contraddittorio; giacch, se non esiste nulla, neppure dato nulla che sia allora pensabile, e ci si contraddice se tuttavia si vuoi che qualcosa sia pos- sibile. La grande strada, aperta da Aristotele, - . finalmente e seppure per un momento - ritrovata. Non la realt che dipende dal pensiero, ma viceversa. La non-contrad- dizione logica si instaura a partire dalla puntualit-univo- cit della determinazione reale. La non-contraddizione non si riduce alla coerenza formale del pensiero con s, ma riguarda in primo luogo la congruenza o corrispondenza del pensiero con la realt. Insomma, principio logico e principio reale tornano, almeno per un attimo, a congiungersi e coniugarsi insieme. 18. Concludo accennando ad alcune questioni, alle quali non sono ora in grado di dare uno svolgimento pi adeguato. La prima di tali questioni riguarda il modo in cui la moderna filosofia della scienza ha ricevuto il prin- cipio di non-contraddizione. Essa lo ha accolto come prin- cipio della logica formale: e quindi, potremmo dire, sulla linea del prolungamento e dello sviluppo della tra- dizione procedente da Leibniz e da (un certo) Kant. Lo ha ricevuto, in altre parole, come principio delle verit di ragione o, secondo il senso ancora pi tecnico e neu- trale gi impressogli da Kant, come mero principium ra- tionis. Per questa via, il principio ha finito col far corpo con le altre proposizioni della logica formale moderna: le quali, com' noto, non dicono nulla circa la realt ma trattano soltanto delle regole di trasformazione. Per ri- 157 prendere una celebre formulazione di Einstein, che si rife- risce alle proposizioni della matematica ma che stata estesa anche alla classe delle conoscenze logiche, nella misura in cui si riferiscono alla realt, le leggi della ma- tematica non sono certe, e nella misura in cui sono certe non si riferiscono alla realt 113
Su questa base, a partire soprattutto dal primo Witt- genstein, si giunti a suddividere le proposizioni (sensate) nelle seguenti specie. In primo luogo, vi sono propo- sizioni vere in virt della sola forma. (" tautologie ", se- condo Wittgenstein; esse corrispondono all'incirca ai " giu- dizi analitici" di . Kant), le quali non asseriscono nulla intorno alla realt. A questa specie appartengono le for- mule della logica e della matematica, le quali non sono in se stesse degli enunciati sulla realt, ma servono alla trasformazione di tali enunciati. In secondo luogo, vi sono le negazioni di tali proposizioni (" contraddizioni "), le quali sono auto-contraddittorie, ossia false .in virt della sola forma. Per quanto riguarda tutte le rimanenti pro- posizioni, la decisione circa la verit o falsit dipende dai protocolli. Esse sono pertanto delle proposizioni empiriche (vere o false) e appartengono al dominio della scienza empirica 114
Da questo modo di impostare le cose, risulta chiara- mente che andata perduta l'unit indissolubile fra prin- cipio di non-contraddizione ed esperienza, che era al cen- tro della concezione aristotelica originaria e anche, come ho cercato di mostrare, della riflessione di Kant, almeno nel momento del suo distacco pi drastico da Leibniz. La seconda questione, alla quale vorrei ora accennare, 113 A. Einstein, Geometrie und Erfahrung, Berlin 1921, cit. in A. Einstein, scienziato e filosofo, a cura di P. A. Schilpp, Torino 1958, p. 197. 114 R. Camap, 1/ superamento della metafisica mediante l'ana- lisi logica del linguaggio, in Il neoempirismo, a cura di A. Pasqui- nelli, Torino 1978, pp. 525-6. 158 riguarda appunto Kant. Egli non gode di una grande for- tuna nella moderna filosofia della scienza. Assai maggiore della sua la fortuna di cui gode Hume. A Kant hanno nuociuto, com' noto, molte cose. In primo luogo, la teoria dei giudizi sintetici a priori . In secondo luogo, l'assolutizzazione della meccanica di Newton e soprattutto della geometria euclidea. In terzo luogo e non da ultimo, il neokantismo: con il suo tentativo - disperato, anche quando raffinato e intelligente, come in Cassirer - di costringere, a forza, la scienza moderna dentro i limiti del sistema 115
significativo, tuttavia, che il punto, in cui Kant ancora tiene, anche presso le tendenze estreme del- l'empirismo moderno, sia la tesi circa il carattere extra- logico dell'esistenza: l'affermazione, insomma, che l'esi- stenza non predicato. Senza pretendere in alcun modo alla completezza e, anzi, afi:dandomi esclusivamente alla memoria, interessante accennare all'area di questi con- sensi. Ci sono dentro molti nomi significativi del pensierd contemporaneo: da Moritz Schlick 116 a Rudolf Carnap 117 , da G. E. Moore us ad Alfred J. Ayer 119 ; per non parlare di Popper, per iJ. quale Kant ha significato non poco, seppure in un senso molto diverso da tutti questi altri autori. _ 115 Uno scordo interessante sull'intera questione offerto dal l'atteggiamento assunto verso l'opera di Cassirer da H. Reichen- bach. L'atteggiamento ricostruito da Maria Reichenbach nell'intr. all'ed. inglese di Relativitaetstheore und Erkenntnis Apriori (dr. H. Reichenbach, The Theory of Relativity and A priori K.now- ledge, Berkeley-Los Angeles 1965, pp. XXVI-XXXI). 116 Cfr. M. Schlick; Tra realismo e neo-positivismo cit., p. 97. 117 Cfr. R. Carnap, op. cit., p. 522. 118 Cfr. G. E. Moore, Saggi filosofici, Milano 1970, pp. 117-31 e 133-59. 119 Cfr. A. ]. Ayer, Linguaggio, verit e logica, ivi 1961, pp. 25 e 247. E cfr. anche, dello stesso autore, The Centrai Questions of Philosophy, London 1973, p. 214. 159 Anche in questo caso, la conclusione non dissimile dalla precedente: sopravvive, in forma di spezzone, un elemento che, prima, era parte di una costruzione orga- nica e coerente. Il principio reale o dell'esperienza, in altre parole, non riesce a saldarsi pi con il principio logico , di cui gi era a fondamento. Penso che sia questo il contesto in cui debbano essere collocate le due esigenze pi forti - e tuttavia, a quanto pare, assai difficili da soddisfare - con cui si sta misu- rando una -parte della filosofia contelllporanea: la teoria della verit come corrispondenza 120 e - per riprendere una formulazione di Schlick - la teoria del fondamento della conoscenza 121 Sul primo fronte, l'insidia ricorrente 120 Cfr. D. ]. O' Connor, The Correspondence Theory of Truth, London 1975. 121 Cfr. M. Schlick, Sul fondamento della conoscenza, in Tra realismo e neo-positivismo eit., pp. IH sgg. Il problema del fon- damento, nell'enunciazione di Schlick, quello delle constata- zioni (cfr. pp. 147 sgg.), che debbono fungere da banco di prova e da tetreno di controllo delle ipotesi teoriche; e che, pet poter adempiere a tale funzione, non debbono risultare teoriche esse stesse - pena l'arretramento dalla teoria della verit come cor- rispondenza a quella della verit come coerenza (cfr. p. 139). Nell'enunciare il problema del fondamento come quello dei punti di contatto indubitabili fra conoscenza e realt (p. 1H), riaffiora nel discorso di Schlick il problema aristotelico del carat- tere antepredicativo della verit. La presa di posizione di Schlick, nel saggio citato, in polemica con la svolta cosiddetta fisica- lista di Carnap e Neurath. Per una critica efficace della teoria dei protocolli in Carnap e Neurath, cfr. anche B. Russell, An I nquiry into Meaning and Truth cit., cap. X (Basic Propositions). L'argo- mento si rivela uno dei punti nodali dell'empirismo modetno. 1!: si- gnificativo osservare che Camap, nell'autobiografia premessa al volu- me curato da Schilpp su di lui, indica nella teoria delle asserzioni- base di K. Popper (dr. il cap. V della Logica della scoperta scientifica, Torino 1970, pp. 85 sgg.) uno dei fattori che contribul alla svolta fisicalistp sua e di Neurath (cfr. La filosofia di R. Carnap, Milano 1974, vol. l, p. 32; e, per la replica di Carnap alle critiche di Russell, cfr. il vol. Il, pp. 841, 846-7). La teoria circa il carattere convenzionale delle asserzioni-base uno dei punti pi dubbi della filosofia di Popper ed il luogo in cui egli pi rischia di buttare a mare l'empirismo. Una scarsa consapevo- 160 quella della teoria della verit come semplice coe- renza . Sul secondo, la tesi ipercriticista - risa- . lente a Popper (e, dopo di lui, passata in Hanson, in Toulmin, in Kuhn e, soprattutto, in Feyerabend) - che abolisce la distinzione tra teoria e osservazione : da una parte, riducendo quest'ultima alla prima e, dal- l'altra, attribuendo a ogni teoria la capacit di produrre, da sola, la propria ontologia. lezza di tutto ci nel libro di R. ]. Ackermann, The Philosophy of Karl Popper, Amherst 1976, pp. 19 sgg. TI convenzionalismo, applicato alle asserzionihase , risulta poi minare aJie radici, nella filosofia di Popper, sia lo sforzo in direzione del realismo, sia il tentativo di ripristinare la teoria classica della verit come conispondenza . Indice dei nomi Ackermann, R. ]., 161n. Adler, M., 170n, 179. Adorno, Th. VI., 29-30, 41, 46. Ajdukiewcz, K., 90.7, 118n. Alessandro di Mrodisia, 149. Allende, S., 65-6, 68. Althusser, L., 74, 75n, 76 e n, 77-9. Amaldi, E., 61n. Amendola, G., 68. Aristotele, 85, 98n, 99, 108, 112 e n, 114, 118, 119n, 121, 1.30, 131 e n, 132 e n, 133, 135, 139, 141, 142 e n, 143 e n, 144 e n, 145 e n, 146 e n, 147 e n, 148-9, 150.3, 157. Aubenque, P., 98n, 112n. Ayer, A. J., 159 e n. Baader, F. X. B. con, 41. Bakunin, M. A., 28, 177. Baran, P. A., 38. Baudelaire, C., 36. Baumgarten, A. A., 156n. Bebel, A., 176. Benjamin, W., 41. Berlinguer, E., 69-70. Berti, E., 119n, 130, 131 e n, 145n. Bettelheim, Ch., 16, 17 e n, 18-9, 64. Bloch, E., 41. Bolzano, B., 127n. 189 Bordiga, A., 28, 79. Boutroux, E., 118. Brentano, F., 98n, 144n. Brdnev, L., 74. Cafagna, L., 185. Calogero, G., 145n. Carlini, A., 149. Carnap, R., U8n, 1S9 e n, 160n. Carrillo, S., 69. Cassirer, E., 124n, 159 e n. Castro, F., 7. Chang Ching, 65. Chu l?.n-!ai, 63. Ciang Kai-shek, 7. Ciccotti, G., 61n. Cini, M., 60, 61 e n. Comte, A., 176 e n. Copernico, N., 53, 83. Copi, I, 95-6, 118n. Cottier, G., 118n. Cratilo, 146-8, 149n. Darwin, C., 171, 1734, 175 e n. Daubier, J., 21n. De Gaulle, C., 27. Della Volpe, G., 87, 99, 112n, 118n, 129-30, 145n. De Maria, M. , 61n. Dubcek, A., 14. Duri.Qg, I., 132n, 142, 143n, 145, 146n. Einstein, A., 124n, 1.58 e n. Engels, F., 19, 24n, 43, 44 e n, 45, 74-6, 12.5 e n, 126-7, 137, 141, 165' e n, 166 e n, 167-8, 171, 173-7, 182 e n, 183, 184 e n, 185 e n. Eraclito, 141, 143, 146, 149n. Feyerabend, P. K., .59n, 161. Feuerbach, L., 110, 130, 132, 133 e n, 134-6. Freud, S., 324, 36, 179, 180 e n. Galilei, G., 46, 55. Geymonat, L., 124n, 140n. Gide, A., 36. Gilas, M., 13. Goethe, J. W., .55'-6. Gorter, H., 28. Gramsci, A., 29, 77, 177. Grgoire, F., 118n. Guevara, E. Che, 7, 13, 23. Habermas, J., 41 e n. a e c k e ~ E. H., 174. Hanson, N. R., 161. Harr, R., 174n. Hartmann, N., 90, 96; 118n. Hegel, G. W. F., 47, 49-50, 90 e n, 97, 102n, 1034, 105 e n, 106, 108-10, 111 e n, 112 e n, 113 e n, 114, 115 e n, 116-7, 118 e n, 119 e n, 120 e n, 121, 122 e n, 123 e n, 12.% , 127 e n, 129-37, 139, 171-3, 176 e n. Heidegger, M., 55-7, 59 e n, 80, 82 e n, 84 e n, 85, 98 e n. Heisenberg, W., 53 e n, 55, 56 n. Hilferding, R., 167, 168n. Ho Chi Min, 23. Horkheimer, M., 29-30, 41, 46. Huberman, L., 5 e n, 6-7, 9, 12n, 13, 27n. Hume, D., 46, 99 e n, 159. Husserl, E., 54, 56-7. 190 lngrao, P., 67, 71. Jacob, F., 17.5 e n. Jervis, G., 35 e n. Jona-Lasinio, G., 61n. Jones, M., 26. Kant, 1., 46, 89 e n, 90, 91 e n, 92 e n, 93 e n, 96-7, 98 e n, 99 e n, 100 e n, 101, 102 e n, 1034, 115, 119n, 127n, 135, 138 e n, 14()..1, 145, 15()..1, 152 e n, 153-5, 156 e n, 157- 159. Karol, K. S., 16, 44. Kautsky, K., 168 e n. Ke!sen, H., 126, 163, 168, 169 e n, 170 e n, 172 e n, 173 e n, 175 e n, 176-7, 179-81, 182 e n, 183. Kennedy, R., 31. Korsch, K., 28, 73, 74n, 75, 127n. Koyr, A., 54 e n, 56, 83 e n. Kropotkin, P. A., 28. Kruseev, N. S., 9, U. Kuhn, T., 58, 59 e n, 60, 161. Lafargue, P., 167. Lak.atos, 1., 59 e n, 60. Lama, L., 67. Landucci, S., 118n. Leibniz, G. W., 100 e n, 101-2, 115, 138-9, 150, 153, 155, 1.56n, 157-8. Lenin, V., 6, 27-8, 76, 79, 127 e n, 176, 177 e n. Lin Piao,' 5, 8, 9 e n, 10, 28, 31, 62, 63 e n, . 64-5. Liu Shao-chi, 64. Longo, L., 67. I...Owith, K., 50 e n, 52 e n, 83 e n. Lulclcs, G., 29, 94n, 127. Lutero, M., 64. Luxemburg, R., 28, 80. Magri, L., 67. Mallet, S., 25, 39. Mansion, S., 132n. Mao Tse-tung, 8-9, 1.5-6, 20-1, 23, 28, 30, 44, 62-.5. Marchais, G., 69. Marcuse, H., 29-32, 33 e n, 34-7, 38 e n, 3940, 41 e n, 42, 44, 56, 57 e n, 60, 85. Marx, K., 5-6, 10 e n, 11-2, 17-9, 21, 22 e n, 23, 24n, 25, 30, 37-8, 44n, 50, 61-2, 69, 74-7, 80, 110-1, 114 e n, llOn, 125, "126 e n, 128 e n, 129 e n, 130-2, 1357, 151n, 153, 165 e n, 166 e n, 167, 169-75, 177 e n, 178, 182n, 183, 185n. Masterman, M., 59n. Meridier, L., 149n. Monod, ]., 47 e n, 53, 61, 174 e n. Montalenti, G., 174 e n. Moore, G. E., 1.59 e n. Moravcsik, J. M. E., 144n. Moreau, ]., 147n. Natoli, A., 67. Neurath, 0 ., 160n. Newton, I., 46, 54-6, 159. Nietzsche, F., 80, 81 e n, 82-4. Occhetto, A., 67. O'Connor, D. J.. 160n. Owens; J., 160n. Pannekoek, A., 28. Pascal, B., 83. Pasq\Jinelli, A., 158n. Platone, 81, 112n, 130-1, 132n, 148, 149 e n. Plechanov, G. V., 12. Popper, K., 59 e n, 103n, 116, li 7 e n, 118n, 119-20, 123, 124n, 125, 140 e n; 159, 160n, 161 e n. 191 Proclo, 133. _. - Protagora, 147 . ...- Prudhon, P.-]., 166, 183. Racinaro....t R., 170n. Reale, v., 121n, 141n, 142n, 149 e n. Reichenbach, H., 159n. Rickert, H., 176n. Rilke, R. M., 36. Ross, W. D., 121n, 145 e n, 147 e n, 148 e n. Rossanda, R., 67. Rossi, M., 151n. Russell, B., 53 e n, 83, 112n, 140n, 160n. Salom, L., 80. Scal.zone, 0., 67. Schelling, F. W.]., 41. Schlick, M., 139n, 159 e n, 160 e n. Schlipp, P. A., 158n, 160n. Smith, A., 34. Socrate, 148n. Solgenitsin, A., 68. Spencer, E., 174. Spinoza, B. de, 115. Stalin, ]. D., 15-7, 44, 68-9. Sukamo, A., 7. Sweezy, P., 5 e n, 6-7, 9, 10 e n, 11, 12n, 13, 16-7, 19n, 20-1, 27 e n, 38-9, 64. Tarski, A., 140n. Teng Hsiao-ping, 64 . . Toulmin, S., 161. Trendelenburg, A., 104-5, 106 e n, 107 e n, 108-10, 114, 122-3, 130, 133 e n, 135, 145n, 150, 151 e n, 156n. Trentin, B., 67. Trotskij, L. D., 14, 29. Valry, P., 36. Verra, V., 106n. Volpi, F., 156n. Voltaire, F .. M. Arouet, detto, 46. Watkins, J., 59-60. Weber, M., 49, 51, 52 e n, 53, 82. : ~ Whitehead, A. N., .56. Wilamowitz;, U. von, 149n. W.Upett, P., 147n. Wittgenstein, L., 158. Wolff, C., 100n, 156n. I. Indice del volume Le ideologie dal '68 a oggi l. Da Marx a Lin Piao, p. 5 - 2. Il nuovo sog- getto rivoluzionario, p. 9 - 3. A cinquant'anni dalla Rivoluzione d'Ottobre, p. 12 4. Socialismo reale e rivoluzione culturale, p. 16 - 5. La grande tem- pesta del Settantotto, p. 23 6. Marcuse e la Scuola di Francoforte, p. 29 7. n Gran Rifiuto, p. 37 8. La societ industriale sotto accusa, p. 42 - 9. L'universo in espansione dell'ideologia, p. 47 10. Il carattere classista della s c i ~ p. 51 11. n crollo del maoismo e il golpe cileno, p. 62 - 12. Il revisionismo del Pci, p. 66 - 13. Crisi del marxismo e dissenso sovietico, p. 71 - 14. Le ideologie ,oggi, p. 79 l n. Contraddizione dialettica e non-contraddizione 87 l. Contraddizione logica e opposizione reale, p. 89 - 2. Hegel e la critica di Trenddenburg, p. 104 - 3. Il marxismo e Hegd, p. 125 4. Il principio di non-contraddizione in Aristotele e in Kant, p. 141 III. Kelsen e la critica del marxismo 16.3 l. La critica di Kdsen, p. 168 - 2. L'eredit hege liana, p. 171 - 3. Il fraintendimento dd darwinismo, p. 173 4. L'estinzione dello Stato, p. 176 - 5. L'il- lusione della societ omogenea, p. 178 - 6. Anarchl smo e marxismo, p. 180 - 7. Una contraddizione fatale, p. 182 l ndice dei nomi 19.3 189
Il bello e il brutto nella Bibbia - Primo Testamento - Primo volume: Da Genesi ad Apocalisse kî-tôb/kalós – lo’- tôb/kakós - Ovvero “ESSERE” UMANO nei DUE TESTAMENTI - Primo Testamento - Primo Volume