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problemi della societ industriale moderna continuano, da

noi, a essere pensati e, soprattutto, vissuti, alla luce di


una cultura, che fondamentalmente arcaica ed estranea
rispetto al mondo con cui dovrebbe misurarsi. Il pessi-
mismo, naturalmente, vietato: oltretutto, non servirebbe
a nulla. E tuttavia doveroso riconoscere che i segni di
una cultura razionalistica nuova, la cultura dell'et post-
ideologica, in Italia non si intravvedono ancora.
II. Contraddizione dialettica
e non-contraddizione
In memoria
di G. Della Volpe
Relazione presentata al convegno su La contraddizione , in-
detto a Padova il 26-27 maggio 1980 dalla Scuola di perfeziona-
mento in filosofia della facolt di Lettere e Filosofia dell 'univer-
sit di Padova. Gli Atti del convegno saranno pubblicati in Ve-
rifiche , vol. X, n. 1-2 {gennaio 1981 ).
L ContraddiziQne logica e opposizione reale
l. Malgrado il marxismo affermi il contrario, non
stono contraddizioni reali , fatti contraddittori tra loro,
contraddizioni oggettive. La contraddizione solo ed
esclusivamente logica , del pensiero. Parlare di una
realt autocontraddittoria nn non senso, E, cos,
parlare di contraddizioni nella societ o anche nella
natura. Ci non significa, ovviamente, che nella realt
non si diano opposizioni, conflitti, lotte, scontri. Si danno
e come! Ma, in questo caso, si tratta di ci che Kant ha
chiamato opposizione reale - la Realopposition o
Realrepugnanz. E l' opposizione reale non ha nulla che l
vedere con la contraddizione .
Occorre dunque distinguere tra opposizione logica
e opposizione reale . E capire che la distinzione tra le
due forme di opposizione riposa proprio sulla presenza
o meno, in esse, della contraddizione . L'opposizione
logica per contraddizione , dure h de n W ider-
spruch: ed detta, perci, contraddizione logica.
posizione reale , viceversa, ohne Widerspruch,
za contraddizione
1
La differenza, come vedremo,
essenziale.
1
l. Kant, Scritti precritici, Bari 1953, p. 263: Due ose, di.
89
\
2. Prima di procedere oltre, pu essere utile addurre
qualche testo a conforto delle nostre affermazioni. Nicolai
Hartmann, Hegel et la dialectique du rel
2
: La con- l !
traddizione appartiene, essenzialmente, alla sfera dei pen-
sieri e dei concetti. Per " contraddire ", bisogna " di re ":
in buona logica, la contraddizione presuppone il giudizio.
Concetti e giudizi possono contraddirsi. [ ... ] Ma le cose,
gli avvenimenti, i rapporti reali - a rigore - non lo
possono. [ ... ] Ci che si chiama, molto impropriamente,
contraddizione nella vita e nella realt, non assoluta-
mente una contraddizione, ma, in verit, un conflitto.
Delle forze, delle potenze, delle tendenze, delle leggi
eterogenee, si urtano violentemente in molti, se non in
tutti i campi della realt. [ ... ] Un conflitto di tal sorta
una repulsione reale, che pu rivestire anche la forma
di un contrasto e persino di una lotta aperta. Ma esso
non somiglia in nulla alla contraddizione, perch il con-
flitto non oppone mai A e non-A, cio un termine posi-
tivo a un termine negativo: oppone, bensl, sempre un
positivo a un positivo. In termini di logica - conclude
Hartmann - questo rapporto un rapporto di contrari
anzich di contraddittori .
Nicolai Hartmann conferma, dunque, l'impostazione
di Kant. Ci ch'egli chiama conflitto o repulsione
r ~ la Realrepugnanz o Realopposition di Kant.
un rapporto, com'egli dice, di contrariet , non una
contraddizione . Resta confermato, dunque, che par-
lare di contraddizioni nella realt>> un non senso. La
cui l'una annu!Ja ci che posto dall'a.ltra, sono opposte. Tale
opposizione duplice: o logica per contraddizione, o reale, cio
senza contraddizione. Ho gi trattato questo tema nello scritto
Marxismo e dialettica pubblicato in appendice all'Intervista poli-
tico-filosofica, Roma-Bari 19754, pp. 63 sgg. Del mutamento pi im-
portante che il saggio odi.erno presenta rispetto allo scritto d'allora,
verr dato conto pi avanti.
2 In AA.VV., tudes sur Hegel, Paris 1931, pp. 38-9.
90
contraddizione, infatti, solo logica o del pensiero. Gli
opposti della contraddizione logica sono A e non-A:
un positivo e un negativo. Nell' opposizione reale ,
viceversa, sono positivi entrambi gli opposti (A e B)
- anche se uno dei due, di volta in volta, venga chia-
mato negativo .
ci che aveva gi affermato Kant nel 17 63, nel
Tentativo di introdurre nella filosofia il concetto delle
quantit negative e, anche, nel Beweisgrund. In una
opposizione reale - aveva egli detto - una delle deter-
minazioni opposte non pu mai essere il contrario con-
traddittorio dell'altra, ch in tal caso il contrasto sarebbe
di natura logica. [ ... ] In ogni opposizione reale i predi-
cati devono essere ambedue positivi [ ... ] . In tal modo
le cose di cui l'una considerata la negativa dell'altra,
sono ambedue, considerate a s, positive
3

3. Perch il lettore possa seguire l'esposizione pi
agevolmente, conviene dare un esempio, sia della con-
traddizione logica sia dell' opposizione reale . La
contraddizione lgica - com' noto - consiste nel-
- l'affermare e negare contemporaneamente un predicato di
una cosa . La conseguenza di tale nesso logico - dice
Kant - nulla. Un corpo in moto qualcosa ; un
corpo, che non sia in movimento, anche qualcosa .
Ma un corpo, che sia in moto e contemporaneamente
non sra in moto, nulla >>.
L' opposizione reale , viceversa, quella in cui
due predicati di una cosa siano opposti, ma non per il
principio di contraddizione. Anche qui l'uno annulla ci
che posto dall'altro, ma la conseguenza qualcosa. Una
forza che imprime un moto ad un corpo in una direzione,
ed una forza eguale in direzione contraria, non si contrad-
J In L Kant, Scritti precritici cit. , p. 268.
91
dicono e sono possibili come predicati di un sol corpo.
Conseguenza ne la quiete, la quale qualcosa (repraesen-
tabile ). Si tratta di una opposizione vera. Infatti ci che
posto da una delle due tendenze, se essa fosse sola,
annullato dall'altra, ed ambedue queste tendenze sono
predicati veri di una sola cosa e le appartengono contem-
poraneamente. Anche qui la conseguenza nulla; ma in
un significato diverso che nella contraddizione
4
. In que-
sto caso, il nulla - dice Kant - un nihil privativum
repraesentabile: cio qualcosa, come ad esempio la
quiete in meccanica o lo zero in matematica. Nel
primo caso, viceversa, il nulla un nihil negativum irre-
praesentabile: cio un nulla assoluto, che impossibile
pensare
5

Anche nell'opposizione reale, dunque, c' negazione;
annullamento, ma d'un genere affatto diverso dalla con-
traddizione. Il negativo della contraddizione logica
non-A: un nulla in s e per s, che esprime solo il rifiuto
opposto dal pensiero a ci che affermato in A. Gli
lvi, p. 263.
5 Cfr. anche l. Kant , L'unico argomento possibile per una di-
mostrazione dell'esistenza di Dio (1763), in Scritti precritici cit.,
p. 127: Si dice: realt e realt non si contraddicono mai l'una
wll'altra, giacch entrambe sono vere affermazioni; perci esse
neppure si oppongono l'una all'altra in un soggetto. Ora, sebbene
io ammetta che qui non vi sia contraddizione logica, pure 'non
tolta con ci la ripugnanza reale. Questa ha sempre luogo, quando
qualcosa, in quanto principio, annulla la conseguenza di qual-
cos'altro con una contrapposizione reale. La forza di movimento
di un corpo in una direzione e la tendenza. con egual grado nella
direzione opposta non sono in contraddizione. Esse son anche real-
mente possibili nello stesso tempo, nello stesso corpo. Ma una
annulla la conseguenza reale dell'altra; e mentre la conseguenza
di ciascuna in particolare sarebbe un movimento reale, di entrambe
insieme in un soggetto essa conseguenza ora zero, cio la wn-
seguenza di queste forze motrici opposte il riposo. Il riposo poi
, senza dubbio, possibile: si vede cosi che la ripugnanza reale
tutt'altra da quella logica o contraddizione, poich ci che consegue
da questa assolutamente impossibile.
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opposti reali, invece, sono entrambi positivi. Qui, dice
Kant, sono affermativi ambedue i predicati A e B
6

La negazione che essi esercitano l'uno sull'altro consiste
solo nel fatto che essi annullano a vicenda i propri effetti.
In breve, nell'opposizione reale o rapporto di contrariet
(Gegenverbiiltnis), gli estremi sono entrambi positivi,
anche quando l'uno venga indicato come il contrario
negativo dell'altro.
Kant d mol esempi di opposizione reale: il
sorgere e il tramontare , l' avanzare e il re-
trocedere , il salire e il cadere , i debiti e i
crediti ecc., oltrech - come abbiamo visto - le
forze opposte e contrarie in meccanica. E, soprattutto,
d come esempio le quantit positive e negative in mate-
matica, cio le grandezze precedute dal segno + e dal
segno -. In tutti questi casi, la sua conclusione sempre
la stessa. Anche se in matematica si parla di quantit
negative e anche se, seguendo il metodo dei matema-
tici, si pu chiamare. il tramonto un sorgere negativo,
il cadere un salire negativo, il ritornare un avanzare ne-
gativo e i debiti dei capitali negativi , resta tuttavia
ben fermo - dice Kant - che, per es., il cadere non
si distingue dal salire come non-A da A, ma invece
altrettanto positivo come il salire, e contiene in s la
causa di una negazione soltanto unito al salire stesso
7

La conclusione importante. Essa ci dice che non
possono esistere cose le quali siano negative di per s,
cio negazioni in genere e, quindi, non-essere, per quanto
riguarda la loro stessa intrinseca costituzione. Ci che
nega o annulla le conseguenze di qualcosa, esso stesso
una causa positiva >>. Le quantit negative non sono
negazione di quantit, cio non-quantit e, quindi, non-
6 l. Kant, Scriui precritici cit., p. 264.
7 lvi, p. 267.
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essere o il nulla assoluto. Le cose, gli oggetti, i dati di
fatto sono sempre positivi, cio esistenti e reali. Quelle
che in matematica vengono dette quantit negative sono,
di per s, quantit positive esse stesse, anche quando
portino il segno -. Prova ne sia, che sono sommabili tra
loro: come, ad esempio, -4 -5 = -9.
4. Riprender tra poco questo tema. Ora, pu gio-
vare una breve pausa, che consenta di consolidare ed
estendere i risultati fin qui conseguiti. Il punto essen-
ziale da non perdere mai di vista ci che ho detto
all'inizio: che non esistono contraddizioni reali , con-
traddizioni << nella realt }>. Parlare di contraddizioni
nella societ o anche nella natura
8
- come fa, ad esem-
pio, il marxismo - un assurdo. Una realt autocon-
traddittoria un non senso. Essa annullerebbe alla ra-
dice il principio di
9
e, con ci, la
8
Quando si presenta come materialismo dialettico , il
marxismo afferma l'esistenza delle contraddi:cioni nella natura e nella
societ. Nella forma, invece, del cosiddetto mandsmo occiden-
tale, esso circoscrive l'esistenza della contraddizione soltanto alla
societ. Si veda, ad es., G. Lukacs, Storia e coscienza di classe,
Milano 1967, p. 14: Il metodo delle scienze della natura [ ... ]
non conosce alcuna contraddizione, alcun antagonismo nel proprio
materiale. Se tra singole teorie sussiste qualche contraddizione,
ci soltanto un segno dd grado ancora imperfetto finora rag-
giunto dalla conoscenza. Le teorie che sembrano contraddirsi a
vicenda debbono trovare in queste contraddizioni i loro limiti ed
essere perci sussunte, dopo aver subito opportune trasformazioni,
all'interno di teorie pi generali dalle quali le contraddizioni sono
definitivamente scomparse. In rapporto alla realt sociale, invece,
queste contraddizioni non sono segni di una comprensione scien-
tifica della realt ancora imperfetta, ma appartengono piuttosto in-
separabilmente all'essenza della realt stessa, alla essenza della so-
ciet capitalistica .
9 Per evitare ogni possibile equivoco, opportuno introdurre .
un chiarimento che risulter per molti superfluo. Il principio
aristotelico tradizionalmente designato come principio di con-
traddizione (o, al pi, come principio della contraddizione da
evitare ), anzich come principio di non-contraddizione. A tale
94
possibilit stessa di ogni discorso provvisto di senso.
Le conferme, che si potrebbero addurre a questo pro-
posito, sono innumerevoli. Ne riporto solo due, per ra-
gioni di brevit. Irving Copi, Introduzione alla logica,
p. 313
10
: Il principio di [non-)contraddizione stato
criticato particolarmente da hegeliani, " semanticisti gene-
rali " e marxisti in base al fatto che ci sono effettivamente
contraddizioni o situazioni nelle quali operano forze con-
traddittorie o opposte. Che vi siano situazioni nelle quali
agiscono forze opposte deve essere ammesso: ci vero
tanto nel campo meccanico quanto in quello sociale e
economico. Ma chiamare queste forze in conflitto "con-
traddittorie " significa usare una terminologia sciatta e
poco pertinente. Un gas sottoposto a calore che tenda
a farlo esplodere e un contenente che tenda a impedire
al gas di espandersi, si possono descrivere come forze in
conflitto, ma nessuna delle due la negazione o il rifiuto
o la contraddittoria dell'altra. n proprietario di una grande
fabbrica, il cui funzionamento esiga l'opera di migliaia
di lavoratori, pu opporsi al sindacato dei lavoratori e
subirne [a sua volta] l'opposizione; [ ... ] ma . n il pro-
prietario n il sindacato sono una negazione o un rifiuto
o una contraddizione reciproca. Se inteso nel senso in cui
deve essere inteso - conclude Copi - il " principio di
[non- ]contraddizione" inconfutabile e perfettamente
vero}>.
Qui, come si vede, sono ribadite le stesse tesi che
uso si ispira tuttora la maggior parte della letteratura filosofica
internazionale. Si fatto invece ricorso all'introduzione o interpo-
lazione del non in paesi, come ad es. l' I talia, dove il forte e
duraturo predominio della tradizione filosofica hegeliana poteva
far nascere confusione tra il principio di contraddizione aristo-
telico e quello della contraddizione dialettica , ovvero tra il
principio della contraddizione da evitare e il principio (dia-
lettico) della contraddizione da affermare .
IO Bologna 1964.
95
abbiamo gi incontrato in Kant e in Nicolai Hartmann.
La contraddizione solo logica. assurdo parlare - come
gli hegeliani e i marxisti - di contraddizioni reali .
Nella realt - e, cio, tanto nella natura, quanto nella
societ - esistono, certo, opposizioni, conflitti. Ma sono
opposizioni che non hanno nulla che vedere con la con-
traddizione. Gli estremi delle opposizioni reali non sono
degli opposti contraddittori. Una forza, che ne contrasti
un'altra, non sta rispetto a questa nel rapporto di non-A
rispetto ad A. Non , in s e per s, pna negazione. ,
bens, qualcosa di positivo e reale essa stessa. La realt
non viola il principio di non-contraddizione: come do-
vrebbe, se si dessero effettivamente contraddizioni rea-
li. 11 principio di non-contraddizione - dice Copi -
inconfutabile e perfettamente vero.
E, ora, un secondo testo, gi da me utilizzato in una
precedente occasione. Si tratta dell'Abriss der Logik
11
del
logico polacco Kazimierz Ajdukiewicz: II principio di
[non- ]contraddizione - egli scrive - esclude che due
proposizioni contraddittorie-opposte possano essere vere
simultaneamente. Con ci, il principio esclude che nella
realt possano sussistere dati di fatto (Sachverhafte) con-
traddittori, che quindi qualcosa sia cos e cos e al tempo
stesso non sia cosl . Il fatto che si parli di contraddi-
zioni reali deriva da un'impropriet di linguaggio. Ci
che spesso si intende, usando quest'espressione, non
infatti una contraddizione , bens solo <( tendenze anta-
gonistiche, ovvero forze che operano in modo contrappo-
sto . Il rapporto di azione e reazione, di effetto e con-
tro-effetto - dice Ajdukiewicz - non lo stesso che U
rapporto tra l'essere e il non-essere di una situazione di
fatto, tra l'essere e il non-essere di qualcosa; la reazione
non la stessa cosa che il non-esserci dell'azione, e il con-
Il Berlin 1958, pp. 79-80.
96
trcreffetto non la stessa cosa che il non-esserci dell'ef.
fetta; al contrario: se l'azione o l'effetto una forza,
anche la reazione o il contro-effatto una forza e non
semplicemente il non-essere di quella forza.
Anche in questo caso, il ragionamento conferma quello
di Kant. Ci che Ajdukiewicz dice molto bene su azio-
ne e reazione , effetto e contro-effetto , ripro-
duce alla lettera il discorso svolto nel Tentativo del 1763
sul salire e il cadere , sul sorgere e tramon-
tare e, in genere, sulle quantit cosiddette negative. ' t
cadere non si distingue dal salire - diceva Kant - come
non-A da A, ma invece altrettanto positivo come il
salire; le quantit negative non sono negazioni di
quantit , cio non-quantit e, quindi, non-essere o il
nulla, bens sono quantit positive esse stesse.
5. Siamo cosi tornati al problema che era gi affio-
rato precedentemente: Kant esclude che si possa parlare
di realt negative. cio, che la negazione o
il non-essere (e si pensi invece, per contrasto, a Hegel)
possano essere considerati come un che di oggettivo o
reale. Per Kant, le cose, gli oggetti sensibili, i contenuti
empirici o i dati di fatto sono sempre positivi: vale a dire
- e la sinonimia da notare - esistenti e reali. Come
tenter di mostrare in seguito, la questione da cui tutto
dipende proprio questa. Essa va quindi esaminata con
cura.
Comincio con l'attrarre l'attenzione su un punto che,
sebbene sia evidente di per s, non va tuttavia passato
sotto silenzio. La distinzione kantiana tra opposizone
logica e opposizione reale (la prima per contrad-
dizione , la seconda << senza) ne presuppone e implica
un'altra, pi generale: quella tra pensiero >) ed essere,
tra logica e realt. questo, forse, il punto fondamentale
intorno . a cui ruota tutta la Critica della ragion pura. E
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Kant Io formula, anche, come distiniione tra possibilit
logica >> e possibilit reale , ovvero tra causa cogno-
scendi e causa essendi. Le condizioni che fanno essere
qualcosa sono altre, e da non confondere, con le con-
dizioni logiche per cui una cosa pensata . Pensare
un oggetto, in altre parole, non ' lo stesso che farlo
essere. Il nostro intuito derivativo , non origi
nario . All'uomo preclusa quella (presunta) intuizione
intellettuale )> (o intelletto intuente ) che, nel mentre
conosce l'oggetto, lo crea anche u.
Affiora qui, a me sembra, quella punta, seppur mi-
nima, di realismo, di cui, ancorch' con grande cau-
tela, lecito parlare nel caso di Kant. Si tratta, benin-
teso, di un realismo assai timido: insidiato, nel r ~
fondo, dal ben noto fenomenismo di Kant . E tuttavia,
che di un certo realismo >> si tratti, risulta confermato,
a me pare, anche da quella che la teoria della verit
in Kant. Come ha visto molto bene Heidegger in Essere
e Tempo
13
, la teoria della verit di Kant quella stessa
12
I. Kant, Critica della ragion pura, Parte I, Sez. II, 8,
Baii 1966, vol. I, p. 82.
13 M. Heidegger, Sein und Zeit, secbste unveraenderte Auf-
lage, Ti.ibingen 1949, 44 a, pp. 214 sgg. Ci che Heidegger pro-
priamente sostiene, richiamandosi a F. Brentano e in polemica con
le dottrine neokantiane, che Kant ha condiviso la concezione
tradizionale della verit come adeguazione o corrispondenza
del pensiero con la cosa, cosi come essa tradizionalmente fatta
risalire ad Aristotele. Gi in Essere e Tempo, tuttavia, Heidegger
n condivide la concezione della veri t come corrispondenza,
n ritiene che essa si trovi enunciata esplicitamente in Aristotele.
Utili considerazioni critiche, contro quest'ultimo punto della tesi
di Heidegger, sono formulate da P. Aubenque, Le problme de
l'tre chez Aristate, Paris 1972, pp. 112-3 e 116. La critica di
Aubenque tanto . pi significativa, se si considera l'influenza
che su di lui ha esercitato il pensiero di Heidegger. Quanto al-
l'interpretazione della teoria aristotelica della verit come teoria
della corrispondenza, ancora da vedere il classico libro di F. Bren-
tano, Von der mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristo-
teles, Freiburg im Breisgau 1862, pp. 22-33.
98
di Aristotele: la teoria dell'accordo o corrispondenza
tra pensiero ed essere. Il neokantismo, che ha sempre
irriso alla teoria della verit come corrispndenza con-
siderandola metafisica e dogmatica, ha deviato in questo
punto - e non il solo - dall'insegnamento originario
della Critica.
Ma torniamo alla questione che interessa. Ho detto
. prima che la distinzione tra opposizione logica e <( op-
posizione reale presuppone la distinzione - che Kant
chiama reale o trascendentale - tra essere e pensiero.
Ora,. quest'ultima rimanda, a sua volta, a un'altra tesi,
fondamentalissima, di Kant: quella del carattere extra-
logico dell' esistenza. Per Kant infatti, com' noto,
l' essere non un predicato reale: non , cio, un
concetto (o un elemento logico) che possa aggiungersi
a un altro concetto. L' esistenza , per lui, si attinge
oltre il concetto e fuori della logica. (Si cfr. il celebre
argomento dei cento talleri e, soprattutto, la critica
demolitrice della prova antologica . Ma si cfr,, su
questo punto, anche David Hume.)
14
Ora, tutto ci rinvia a quella che - per riprendere
un'espressione cara a Della Volpe - possiamo chiamare
la concezione positiva dell'essere empirico o sensibile. Si
tratta naturalmente, anche in questo caso, di una conce-
zione che, in Kant, ha uno sviluppo parziale e ridotto
- ostacolata, com', dal fenomenismo di cui si
detto. E, tuttavia, essa prorompe con forza nella polemica
di Kant contro Leibniz. Un grande errore della scuola
leibniziana-wolffiana - detto nella nota al par. 7 del-
l' Antropologia pragmatica
15
- era quello di far consi-
1
4
I. Kant, Critica della ragion pura, Parte Il, DiaJ. Trasc., Li-
. bro II, cap. III, Sez. IV, dt., vol. Il, p. 472. E D. Hume, Trattato
:sulla natura umana, Roma-Bari 1975, vol. I, pp. 107 sgg.
15
l. Kant , Antropologia pragmatica, Bari 1969, pp. 23-4. E
. Critica della ragion pura cit ., vol. l, p. 85: La filosofia di
99
stere la sensibilit soltanto nelle rappresentazioni indi-
stinte, e l'intellettualit nelle distinte, e quindi di vedere
una differenza soltanto formale (logica} della coscienza,
anzich reale (psicologica), cio riguardante non la forma,
ma anche il contenuto del pensiero. In tal modo, si faceva
risiedere la sensibilit soltanto in una mancanza (man-
canza di chiarezza delle rappresentazioni parziali), cio
nella mancanza di distinzione, e invece la natura della
rappresentazione intellettuale nella distinzione; laddove la
sensibilit qualcosa di molto positivo e costituisce una
aggiunta indispensabile alla rappresentazione dell'intelletto
per produrre una conoscenza. Leibniz- prosegue Kant-
il vero colpevole. Poich egli, attaccato alla scuola pla-
tonica, ammetteva delle intuizioni intellettuali pure, dette
idee, le quali sarebbero nell'animo umano ora soltanto
oscurate, e che, analizzate e illuminate dall'attenzione, ci
darebbero la conoscenza degli oggetti, come essi sono in
se stessi )>.
Per illustrare e commentare questo testo veramente
fondamentale, conviene partire dalle ultime affermazioni
contenute in esso. Leibniz muove dalle idee innate,
perch assume che il sapere sia gi formato da sempre.
Per lui, non si pone - come invece per Kant - il pro-
blema della formazione della conoscenza, n, quindi, la
possibilit di controllarla e criticarla
16
Il suo innati-
Leibniz e di Wolff, dunque, ha assegnato a tutte le ricerche sulla
natura e sull'origine delle nostre conoscenze un punto di vista
affatto erroneo, in quanto considerava come puramente logica la
differenza fra senso e intelletto, laddove essa invece manifesta-
mente trascendentale, e non riguarda la forma della chiarezza o
non chiarezza, ma l'origine e il contenuto di essi .
1
6 Il carattere positivo, extralogico, dell 'esistenza (cosi come
la distinzione, che ne consegue, tra sensibilit e intelletto) per-
mette a Kanr di impostare il problema critico per eccellenza:
quello della formazione della conoscenza ( come sono possibili
giudizi sintetici a priori?). Non si darebbe infatti problema gno-
seologico n' possibilit di sottoporre a indagine l'origine -e la for-
100
smo il pendant della sua concezione negativa dell'ele-
mento empirico-sensibile. Per Leibniz, la sensibilit non
ha un contributo suo proprio da apportare alla conoscenza,
come sintesi di quegli eterogenei che sono la forma
intellettuale e il <( contenuto .empirico. Tra sensibilit
e intelletto, Leibniz pone solo una differenza di forma,
una differenza logica. Il sensibile l'intelligibile stesso
(identit di pensiero ed essere), solo oscuro e con-
fuso . In altre parole, l'elemento empirico-sensibile non
ha una sua propria realt: non un che di positivo
o che consista in se stesso. In s e per s, esso semplice
mancanza (mancanza d'essere!), difetto di realt. , cio,
una parvenza ,che vela o offusca l'idea innata; la quale,
a sua volta, si trova ad essere idea e realt insieme (avo
cando in tal modo a s tanto le condizioni dell' essere
quanto quelle del pensiero ). Concepito in questo modo,
l'elemento empirico-sensibile ci che va rimosso e scar-
tato, mediante l'analisi, affinch, dietro e al di l di esso,
possa riemergere l'idea gi data ab aeterno: quell'idea
che sottesa al sensibile stesso come il vero fondamento
reale (l'idea come sostrato o ipostasi!). Lungi dal costi-
tuire (come per Kant) qualcosa di molto positivo e
un'aggiunta indispensabile all'intelletto perch possa
prodursi conoscenza, l'elemento empirico-sensibile qui
concepito come semplice negativit. Nel giudizio di Kant,
in sostanza, Leibniz ha ereditato la concezione negativa
o platonica dell'essere empirico-sensibile, cio la con-
cezione che ebbe Platone della materia come non-essere.
mazione della nostra conoscenza, se gli elementi che entrano a
comporla non fossero diversi ed eterogenei tra loro. Viceversa, la
concezione negativa del sensibile, implicando l'identit di pensiero
ed. essere, non solo deve assumere che forma e contenuto
siano gi uniti da sempre e, quindi, che il sapere sia gi formato
(innato); ma deve, negando realt al sensibile, trasformare in
realt l'idea: cio ipostatizzarla, sostantifcarla.
101
Quanto, per parte sua, Kant sia invece lontano da
tutto ci, si pu vedere dalla Critica e, in particolare,
dalla Nota all'anfibolia dei concetti della riflessione:
il luogo dove egli riprende, in polemica col principio
degli indiscemibili di Leibniz, il tema della differenza
tra opposizione reale e contraddizione logica . In
queste pagine, infatti, la concezione positiva del sensibile
affiora con forza tale, che Kant pu affermare non sold'
che nell'intuizione [sensibile] c' qualcosa che non
punto nel semplice concetto, ma, addirittura, che que-
sto di pi , offerto dall' intuizione esterna , il quale
procura il sostrato
17
delia conoscenza (e si noti il
termine di origine aristotelica).
6. Riassumiamo ancora una volta, prima di procedere
oltre, la posizione di Kant. La concezione positiva, che
egli ha, dell'essere empirico-sensibile (seppur nei limiti,
come ho detto, del fenomenismo), si esprime nel fatto
che Kant assegna ad esso una natura (e origine) sua pro-
pria, diversa da quella logico-concettuale, facendone cos
un fattore eterogeneo rispetto al pensiero
18
Sebbene- in
17
l. Kant, Critica della ragion pura cit., vol. I, pp. 276-7.
IS La Critica della ragion pura , fondamentalmente, una Ele-
mentarlehre, cio una dottrina degli dementi che entrano a com-
porre la conoscenza. significativo che la critica di Hegd a
Kant faccia perno proprio su questo punto. Cfr. G. F. W. Hegel,
La scienza della logica, Bari 1924, vol. l, p. 25: Si presuppone
in primo luogo che la materia del conoscere sussista gi in s
e per s quale un mondo bell'e compiuto al di fuori del pensiero,
che il pensiero sia di per s vuoto, che sopravvenga a quella ma-
teria estrinsecamente quale una forma, si riempia di essa, e solo
con questo acquisti un contenuto e C05i diventi un conoscere
reale. Questi due elementi poi (giacch secondo tal maniera di
vedere debbono star fra loro nel rapporto di elementi, ed il co-
noscere ne vien composto in guisa meccanica o, al pi, chimica)
vengono ordinati l'uno di fronte all'altro per modo che l'oggetto
sia un che di gi per s compiuto, un che di gi pronto, che per
la sua realt possa perfettamente fare a meno del pensiero, e che
102
quanto fenomeno - non sia indipendente dalla sog-
gettivit umana, l'elemento empirico-sensibile lo riguar-
do all'intelletto. Rispetto ad esso, il sensibile qualcosa
che sussiste per s e in forza propria: , vale a dire, quel
positivo che fornisce il sostrato del giudizio.
Discendono da ci - come abbiamo gi visto - tre
conseguenze di grande rilievo. La prirria che l' esisten-
za non predicato, non concetto, ma ha origine e
all'incontro il pensiero sia qualcosa di manchevole cui occorra
completarsi in una materia, e cio rendersi a questa adeguato
quale una cedevole forma indeterminata. Verit l'accordo del
pensiero coll'oggetto; e affin di produrre quest'accordo (poich esso
non sussiste in s e per s) bisogna allora che il pensiero si adatti
e si acconci all'oggetto. Qui Hegel prende chiaramente di mira
quanto Kant afferma nell'introduzione alla seconda parte della
Dottrina trascendentale degli elementi: La nostra conoscenza
scaturisce da due fonti principali dello spirito, la prima delle quali
la facolt di ricevere le rappresentazioni (la recettivit delle im-
pressioni), la seconda quella di conoscere un oggetto mediante
queste rappresentazioni (spontaneit dei concetti). Per la prima,
un oggetto ci dato; per la seconda esso pensato. [ ... ] Intuizione
e concetti costituiscono, dunque, gli elementi di ogni nostra co-
noscenza . E poco oltre: Nessuna di queste due facolt da
anteporre all'altra. Senza sensibilit nessun oggetto ci sarebbe dato,
e senza intelletto nessun oggetto pensato. I pensieri senza con-
tenuto sono vuoti, le intuizioni senza concetti cieche. [ ... ) Queste
due facolt o capacit non possono scambiarsi le loro funzioni.
L'intelletto non pu intuire nulla, n i sensi nulla pensare. La
conoscenza non pu scaturire se non dalla loro unione (cfr. Cri-
tica della ragion pura ci t., I, pp. 93-4). Alla luce di queste consi-
derazioni, acquista una qualche plausibilit anche la tesi di Popper
che vede, in Kant, una forma modificata di empirismo e che
afferma che il suo (di Kant) principale interesse era volto a re-
spingere il razionalismo puro (cfr. Congetture e confutazioni,
Bologna 1972, p. 551 ). Significativo anche il giudizio su Kant che
compare nell'Autobiografia intellettuale (cfr. K. Popper, La ricerca
non ba fine, Roma 1976, p. 86), dove l'autore scrive: Mi con-
sideravo un kantiano non ortodosso e un realista. E, nella stessa
pagina, aggiunge: In quel periodo ero solito pensare che la mia
critica al Circolo di Vienna fosse il semplice risultato della lettura
di Kant e del fatto di aver capito alcuni punti particolari della
sua dottrina .
103
natura extralogica. La seconda che - essendo pen-
siero ed essere eterogenei tra loro - necessario
distinguere tra opposizione logica e opposizione
reale . La terza, infine, che - non potendo mai essere
l'esistente empirico o reale un che di negativo (nel senso
del non-essere) - anche ci che nell' opposizione reale
figura come il polo negativo, in s e per s un che
di ~ positivo .
Qui, come si vede, tutto riposa sulla concezione posi-
tiva del sensibile. Se, infatti, il negativo dell'opposi-
zione reale non pu confondersi con la negazione logica,
cio con l'opposto-contraddittorio (com', ad esempio, il
non-bianco rispetto al bianco ), ma pu essere solo
un opposto contrario e, perci, reale (come, rispetto
al bianco , il nero>>), perch esso positivo
in se stesso. Se cos non fosse, se il reale potesse essere
considerato come un negativo e, quindi, come non-essere,
la distinzione tra l due opposizioni cadrebbe. L' oppo-
sizione reale e la contraddizione logica si confonde-
rebbero tra loro. E, cos, l'opposto-contrario e l'opposto-
contraddittorio.
Il. Hegel e la critica di Trendelenburg
7. importante avere ben chiaro questo punto, per
ch proprio esso ci immette direttamente nel cuore della
dialettica di Hegel. Contro Kant, Hegel torna alla conce-
zione negativa o platonica della materia.
Cominciamo da un testo fondamentale - la Nota
sull'idealismo nel libro I della Scienza della logica -
che ho gi citato altre volte. L'idealismo della filosofia
- scrive Hegel - consiste soltanto in questo, nel non
riconoscere il finito come un vero essere . , di nuovo,
la concezione platonica dell'essere empirico come non-
104
essere. Il finito, cio l'elemento empirico-materiale, non
un vero essere, non ha una realt sua propria. Man-
cando di una sua propria realt, il finito deve attingerla
dall'Idea (la quale si trasforma cos, a sua volta, in ipo-
stasi o sostanza). Il seguito dell'esposizione ne la con-
ferma. La proposizione, che il finito ideale - chia-
risce Hegel, -costituisce l'idealismo. E aggiuttge: La
filosofia idealismo com; idealismo la religione. Perch
nemmeno la religione riconosce la finit come un vero
essere, come un che di ultimo ed assoluto; o come un
che di non posto, d'increato, di eterno. L'opposizione di
filosofia idealistica e realistica quindi priva di signifi-
cato. Una filosofia che attribuisse all'esistenza finita, come
tale, un vero essere, [ ... ] non meriterebbe il nome di
filosofia
19

Siamo gi nel cuore della dialettica hegeliana. Essendo
il finito un non-essere e, quindi, un che di ideale, esso si
identifica immediatamente con la negazione logica interna
all'Idea. Cosl come quest'ultima, inversamente, si con-
fonde, a sua volta, con la determinatezza finita, cio con
l'opposto reale. La concezione positiva dell'essere empi-
rico-sensibile consentiva di distinguere l'opposto reale dal-
l'opposto logico, il contrario dal contraddittorio .
La concezione negativa o platonica della materia, vice-
versa, annulla questa distinzione. ~ Opposizione logica
e <( opposizione reale si confondono reciprocamente tra
loro. E, cos, contraddizione e contrariet .
8. Siamo ora al punto di poter prendere in esame la
critica della dialettica hegeliana sviluppata da Trendelen-
burg nelle sue Ricerche logiche e, in particolare, nel capi-
tolo III, intitolato Il metodo dialettico.
Il tema fondamentale della dialettica hegeliana - co-
1
9
G. F. W. Hegel, Scienza della logica cit., I, pp. 169-70.
105
m' noto - che il pensiero puro, senza presup
posti , possa, nel corso del suo svolgimento, generare
e, insieme, conoscere tutti i momenti e i gradi della
realt 1il, La dialettica, in altre parole, deve rendere pos-
sibile un automovimento del pensiero puro che sia,
insieme, l'autogenerarsi dell'essere . Com' stato rico-
nosciuto da Hegel stesso e, dopo di lui, da tutti gli inter
preti, la molla dell'intero processo la negazione.
Si parte dall'Idea, che l'affermazione o unit origi-
naria. Quest'unit, poi, si sdoppia creando la sua propria
negazione. Sorge cos una contraddizione, in cui afferma-
z:ione e negazione si fronteggiano. La contraddizione
infine risolta e superata tramite la negazione della nega-
zione , cio attraverso la nascita di un terzo o nuovo
concetto, che ristabilisce l'unit di partenza, ma a un
livello pi alto. E cos si prosegue. Giacch, appena con-
cluso, il processo ricomincia di nuovo. Il concetto affer-
mativo, che era risultato dal primo movimento, si rove-
scia nuovamente nel suo opposto negativo. Si ripete, in
tal modo, il movimento prima descritto, il quale porta
progressivamente alla nascita di concetti sempre nuovi,
pi ricchi e pi determinati.
Il pungolo di tutto il processo dialettico , come si
vede, la negazione. Ma - si domanda Trendelenburg -
qual l'essenza di questa negazione dialettica?
21
La
sua risposta ci riporta al cospetto del nostro problema.
Egli infatti osserva che la negazione pu avere una
<& A. Trendelenburg, Logische UnJersuchungen, Hildesheim
1964 {che riproduce la terza edizione, accresciuta, dell'opera ap
parsa a Lipsia nel 1870; la prima edizione era del 1840), p. 36.
21 lvi, p. 43. AlCUlle delle pagine pi significative dd terzo
capitolo dell'opera di Trendelenburg sono state traselte e tradotte
da V. Verra nel volume, da lui curato, La dialettica nel pensiero
contemporaneo, Bologna 1976. L dove i passi citati coincidono,
abbiamo utilizzato la sua traduzione.
106
duplice natura. O la negazione dialettica intesa in
~ o o puramente logico, sicch nega semplicemente quello
che il primo concetto afferma senza porre al suo posto
qualcosa di nuovo, oppure intesa in modo reale, sicch
il concetto affermativo viene negato da un nuovo con-
cetto affermativo, in quanto entrambi devono essere rife-
riti necessariamente l'uno all'altro. Chiamiamo - dice
Trendelenburg - il primo caso negazione logica, il se-
condo opposizione reale . E, in nota, specifica che, men-
tre nel primo caso si ha l'opposto contraddittorio: a
b, a non b, dove l'un termine esclude puramente l'altro
(come, ad es., bianco, non-bianco); nel secondo, si ha
l'opposto contrario, come per es. bianco, nero
22

Ora, il fatto che la negazione dialettica sia gene-
rata dall'autoscissione dell'Idea induce a pensare che essa
non possa non essere una negazione logica. E, in effetti,
dovrebb'essere cosi. Solo che qui si pone subito la que-
stione - osserva Trendelenburg - se la negazione
logica possa condizionare un tale avanzamento del pen-
siero [com' richiesto dalla dialettica] per cui sorga un
nuovo concetto che colleghi positivamente in s l'affer-
mazione e la negazione puramente escludentisi. Que-
sto - egli dice - impensabile . Infatti, non c' un
terzo elemento n tra i due termini dell'opposizione
[logica] n al di l di essi. (Dal principio di non-con-
traddizione deriva, com' noto, anche quello del terzo
escluso .) ~ L'affermazione e la negazio.ne pura e sem-
plice della stessa proposizione - afferma Trendelen-
burg - non possono conciliarsi in nessun modo, poich
non recano in s nessuna possibilit di un accordo.
Il concetto affermativo pretende di avere realt effet
riva, mentre quello semplicemente negativo consiste
22 A. Trendelenburg, op. cit ., pp. 43-4.
107
soltanto nell'opposizione esercitata dal pensiero che rifiuta
il riconoscimento
23
Pretendere che la contraddizione
logica possa procedere oltre questa antitesi e, cos, gene-
rare un terzo concetto nuovo, semplicemente assurdo.
Sembra, quindi, che si debba concludere - rileva
Trendelenburg - che un malinteso fare della nega-
zione dialettica . una negazione contraddittoria o logica.
Hegel stesso, del resto, lo esclude. Trendelenburg rinvia,
a questo proposito, al par. 81 dell'Enciclopedia. Ancora
pi esplicito, forse, il par. 119: dove - dopo aver
riaffermato la positivit o oggettivit del negativo -
Hegel irride alla vacuit dell'antitesi dei cosiddetti con-
cetti contraddittori , in cui l'un concetto , per es.,
l'azzurro>> e l'altro il non-azzurro.
Parrebbe dunque che tutto porti a concludere che la
negazione che condiziona il progresso dialettico va intesa
come opposizione reale. Senonch - dice Trendelen-
burg - <<qui sorge un'altra difficolt. L' opposizione
reale ha, certamente, vari titoli per aspirare a svolgere
le funzioni dell'opposizione dialettica. Il negativo>>, che
compare in essa, sempre un che di determinato, cio
un reale o positivo esso stesso: e, com' noto, Hegel
insiste che la negazione dialettica debba essere una ne-
gazione determinata . Di pi - come gi osservava Ari-
stotele (ricorda Trendelenburg) - l'opposizione reale o
rapporto di contrari ha luogo sempre all'interno dello
stesso genere, dello stesso campo
24
Il che significa che
- a differenza dei contraddittori>>, i quali non hanno
termine medio - per i contrari , invece, il terzo
si d. Senonch - domanda Trendelenburg (e, cos,
avanza la sua obiezione decisiva) - si pu ottenere l'op-
23
lvi, p. 44.
24
lvi, p. 53.
108
,.
posizione reale con un metodo semplicemente logico?
25

La risposta addirittura superflua. Nell'opposizione
reale presente qualcosa di nuovo e diverso, rispetto al
primo termine da cui si procede. Ma, in quanto il polo
<< negativo qui un positivo esso stesso, evidente
che non si potr mai pervenire ad esso per via puramente
logica. Infatti, dice Trendelenburg, non si pu mai tro-
vare logicamente un carattere che consenta di conoscere
il concetto contrario, essendo quest'ultimo unente reale.
Per attingerlo, occorrer piuttosto far ricorso all' intui-
zione sensibile , cio all'esperienza. Ma ci invalida, alle
radici, la pretesa della dialettica di essere un automo-
vimento del pensiero puro e senza presupposti .
I n conclusione, da tutto questo - afferma Trende-
lenburg - deriva per la dialettica un dilemma inevitabile.
O la negazione mediante la quale soltanto la dialettica
media l'avanzamento del secondo e del terzo momento,
la pura negazione logica (A, nonA); ma allora non pu
_ produrre qualche cosa di in s determinato nel secondo
momento e neppure consentire una unificazione nel terzo
momento. Oppure la negazione l'opposizione reale e
allora, da capo, non pu essere raggiunta col . metodo
logico e la dialettica non dialettica del pensiero puro
26

Formulato il dilemma in questi termini, noto come
Trendelenburg spieghi il modo di procedere, in concreto,
della dialettica hegeliana. Pur non essendo, a rigore, n
negazione logica n opposizione reale, la dialettica pro-
cede contaminando le due. Hegel ricava dal cosiddetto
automovimento del pensiero pi di quanto esso non
consenta, perch interpola, nel processo logico, elementi
che desume, surrettiziamente, dall' intuizione sensibile ,
25 lvi, p. 45.
26
lvi, p. 56.
109
l
l'
cio dall'esperienza 'ZI. Ed appunto questo che permette
al processo dialettico di attingere quel nuovo, che il
pensiero o la .negazione logica, da sola, non sarebbe
mai in grado di produrre. .
La negazione dialettica, insomma, un ibrido che
nasce dalla contaminazione della negazione logica e
della opposizione reale, cio dalla mescolanza indebita
di contraddizione e contrariet. Lo strumento,
attraverso cui questo scambio si opera, ci che Trende-
lenburg chiama la Einschiebung, cio l'interpola?..ione nel
processo logico di elementi desunti nascostamente dal-
l' esperienza.
Riprenderemo pi avanti questo motivo dell' inter-
polazione , accennando a Feuerbach e Marx. Ora, con-
viene soffermarci, brevemente, sul pensiero di Hegel.
9. Il punto decisivo qui la sua concezione negativa
o platonica del finito, cio del particolare empirico o
determinato. Essendo privo di una vera realt e, quindi,
non-essere, il finito (abbiamo visto) ideale, cio un
momento interno all'Idea. Quest'ultima, d'altra parte,
trasformata - per effetto della concezione negativa della
materia - da semplice astrazione logica, quale dovreb-
b'essere, in sostanza e realt (ipostatizzazione o sostanti-
ficazione dell'astratto). In altre parole, poich l'elemento
empirico-sensibile non , e qualcosa, tuttavia, deve
pur fare da sostrato o fondamento, la funzione
dell' essere addossata all'Idea.
Sono qui racchiusi, in nuce, i due movimenti fonda-
mentali della dialettica hegeliana. Vediamoli in concreto.
Primo movimento. In quanto il finito ideale ,
e, quindi, l'opposto interno all'Idea, esso si trova ad
essere il negativo di quest'ultima: risulta, cio, assor-
TI lvi, p. 38.
110
bito nella contraddizione logica, ovvero nella compre-
senza di quegli opposti contraddittori che sono l'<< essere
. e il non-essei:e insieme
28
,. questo, il punto dove
Hegel svolge la dialettica del finito , die Dialektik
d es Endlichen. Ogni cosa sembra essere quel che (cio,
un che di determinato: questo e non quello); in
realt, essa l'affermazione (o Idea) e il suo negativo
insieme: e non . Hegel qui recupera, come ho
mostrato altrove
29
, i tropi dello scetticismo antico e,
pi precisamente, del pirronismo, che, additando nel sen-
sibile la contraddizione (questa cosa, che sembra
gialla , in realt e << non gialla), fa vacillare
la certezza del senso comune nell'esistenza degli oggetti
esterni preparando cos l'accesso alla vera filosofia o
idealismo>>. In questo primo movimento, l'identit di
pensiero ed essere, ovvero di razionale e reale ,
che alla base della filosofia di Hegel, svolta nel senso
di contrarre il secondo termine nel primo. Nel linguaggio
. del giovane Marx, il momento dell' idealismo acritico
di Hegel. Al particolare concreto o determinato subentra
la contraddizione logica . Non c' pi l'essere empi-
rico, ma solo il pensiero.
Secondo (e simultaneo) movimento. L'identit di pen-
siero ed essere svolta ora nel senso complementare op-
posto. Cio la contraddizione logica , che l'Idea, deve
rovesciarsi nel suo opposto, cos da presentarsi come
realt . I contraddittori , reciprocamente esclusivi,
28 La fonnulazione, a rigore, non corretta: essere e non-
essere, enuambi presi nella loro asrrattezza, non costituiscono
esrremi di una contraddizione logica. Sono, piuttosto, gli estre-
mi di una contraddizione dialettica: la quale - come si chia-
rir sempre meglio, pi avanti - cosrruita da Hegel contami-
nando la contraddizione logica, propriamente detta, con la con-
trariet.
29 Cfr. Il marxismo e Hegel, Roma-Bari 1976, vol. Il, pp.
231 sgg.
111
vengono cos trattati come se fossero opposti contrari,
cio ricadenti all'interno di un genere comune o di una
unit comprensiva di entrambi. Al modo dei contrari
aristotelici. Ma con questa differenza fondamentale: che,
mentre in Aristotele il genere comune, che abbraccia
i contrari, empirico (ad es., per bianco e nero ,
il colore ), qui invece dev'essere l'unit-totalit infi-
nita. , questo, il punto in cui Hegd, riprendendo la
teoria platonica della comunanza dei generi supremi ,
presenta gli opposti - contraddittori come opposti che si
richiamano e si implicano a vicenda, e che, quindi, si
integrano nell'unit della Ragione come coincidentia oppo-
sitorum
30

Gi in Platone (a cui Hegel consapevolmente si ricollega,
per quanto riguarda la dialettica) esiste indistinzione tra con-
e contrariet. N la coSa pu destar meraviglia,
se si considera che le differenze tra i due rapporti sono state
chiarite per la prima volta da Aristotele. P. Aubenque (Le prob/me
de /' tre chez Aristate cit., p. 156 e nota) segnala l'indistinzione
di contraddizione e contrariet in Platone. Un accenno, al riguardo,
anche in B. Russell, A History of Western Philosophy, New
York s. d., p. 1.58, dove l'autore rileva Platone raggiunge i
suoi risultati applicando ai processi [reali) del continuo muta
mento gli opposti logici, come percepire e non-percepire, sapere
e non-sapere. Ma, Russell precisa, tali opposti logici non sono
adatti a descrivere simili processi (evidentemente, per la diffe-
renza che vi tra contraddizione logica e contrariet). Nel par. 2
del mio scritto su Marxismo. e dialettica (cfr. Intervista politico-
filosofica ci t., pp. 66-9), nel trattare della contraddizione logica
sono incorso nell'errore di prospettarla ancora alla luce della dia-
lettica: suggestionato dalla tesi della Logica come scienza positiva
di Della Volpe circa il carattere dialettico o tauto-eterologico della
ragione in quanto pensalnento della contraddizione. Nella
dialettica gli opposti logici, ciq i contraddittori - che dovrebbero
essere gli estremi pi inconciliabili e pi esclusivi tra loro, in
quanto non ammettono un terzo che li ricomprenda e li medi -
sono presentati (e ci comune tanto al tardo Platone quanto a
Hegel) come degli opposti che si implicano e si includono a vi-
cenda. Ci deriva dal tentativo di trasferire i caratteri della con-
trariet alla contraddizione, e viceversa. Quanto detto nel pu. 2
di quel mio scritto resta valido, a condizione che lo si riferisca,
112
Questa unit non significa, ovviamente, che la ragione
hegeliana si disponga al di l o al di sopra degli
opposti contraddittori e, ancor meno, che li trascenda.
Quegli interpreti, i quali sostengono che la dialettica
hegeliana - proprio in quanto toglie o supera la
contraddizione - ristabilisce di fatto il principio aristo-
telico di non-contraddizione, incorrono in un errore deci-
sivo. La tesi di Hegel, infatti, che i concetti opposti
si integrano e compongono bens nell'unit della Ragione,
ma proprio in quanto si contraddicono. In altri termini,
ci che il processo dialettico toglie l' esclusivit
reciproca che gli opposti hanno al livello del semplice
intelletto, ma non toglie ....,.- almeno nelle pretese di
Hegel - la loro contraddittoriet. Hegel l'afferma espli-
citamente. Se si considera il modo come essi sono col-
legati, apparir necessariamente - egli scrive - che
questi concetti sono nel contempo anche tolti, ossia [NB]
uniti in una maniera tale ch'essi si contraddicono>> (cor-
sivo mio). E subito dopo aggiunge: se entrambi ven-
gono posti come collegati in un'unit, allora [NB] la
loro unione contiene una contraddizione (corsivo mio)
31

certo che la pretesa di Hegel che i contraddittori
non debbano escludersi ma integrarsi, pur restando tali,
singolare. E tuttavia, quale che sia la sua ambiguit,
essa conferma l'intenzione (gi rilevata) di Hegel di trat-
tare i contraddittori estendendo ad essi le caratteristiche
che sono proprie della contrariet. Conferma, in altre pa-
non gi alla contraddizione logica ma a quel vero e proprio
ibrido che I' opposizione
31 G. F. W. Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia,
Bari 1970, p. 79. E, poco oltre (p. 80), Hegel aggiunge: II co-
-siddetto principio di [non- ]contraddizione ha quindi per la .ragione
una cosi scarsa verit anche solo formale, che al contrario ogni
proposizione di ragione deve contenere, riguardo ai concetti, una
trasgressione di esso
113
role, la contaminazione dei due tipi di rapporto, su cui
imperniata la critica di Trendelenburg.
E, infatti, se la Ragione dialettica dev'essere l'unit
cui ineriscono gli opposti, evidente che essa, secondo
Hegel, potr rivendicare un' esistenza indipendente e,
quindi, il carattere di un ente reale o positivo, allo stesso
modo della sostanza aristotelica che , appunto, il sostrato
dei Qui la viziosit, l'arbitrio . di tutto il pro-
cesso si tocca con mano. E, non a caso, esso stato rile-
vato anche dal giovane Marx, nel punto in cui egli fu
pi profondamente influenzato attraverso Trendelenburg
da Aristotele. Proprio in quanto Hegel prende le mosse
dai predicati della determinazione generale, invece che
dall'ente reale (ypokeimenon, soggetto[ -sostrato ]), e ci
ha da essere tuttavia un supporto di queste determina-
zioni, la mistica Idea - scrive Marx - diventa questo
supporto
32
E lo diventa, ripristinando appunto (ecco
l' interpolazione surrettizia) il finito o particolare nella
sua datit empirica immediata. Il processo, a questo punto,
esattamente l'inverso di quello indicato nel primo movi-
mento. Il finito, allora, era stato trasformato nella ne-
gazione logica dell'Idea: da opposto reale , era stato
convertito nell' opposto contraddittorio. Ora, viceversa,
la contraddizione (o il negativo logico) che si tra-
sforma e consolida, di colpo, nel finito o oggetto concreto,
cio in un positivo o in una cosa. Nel linguaggio del gio-
vane Marx, il momento del positivismo acritico di
Hegel.
La filosofia hegeliana, in altre parole, pu essere con-
siderata come lo sviluppo e la realizzazione coerente della
proposizion.e spinoziana: omnis determinatio est negatia
(una proposizione, non a caso, che piacque molto anche
al vecchio Marx). Ma con l'avvertenza, che, a differenza
32
K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Roma 1963, p. 35.
114
di Spinoza, Hegel ha sviluppato entrambi i possibili signi-
ficati dell'identit affermata nella proposizione: e, cio,
sia che il determinato negazione, sia, all'inverso, che
la negazione determinata.
Al primo di due significati, corrisponde la tesi che
il finito ideale , cio che il finito la negazione o
contraddizione logica. Ed , questo, il punto in cui cadono
a proposito le celebri affermazioni della dialettica del
finito o della materia: cio la tesi di Hegel che ogni
finito, o oggetto determinato, l'unit di essere e
~ non essere insieme, ovvero che esso , in se stesso,
s e la mancanza [si ricordi Kant a proposito di Leibniz! ] ,
s e il negativo di se stesso, sotto un unico e medesimo
riguardo
33
; onde, finalmente, Hegel pu concludere con
l'affermazione generale che tutte le cose sono in se stesse
contraddittorie, e ci propriamente nel senso 'che questa
proposizione esprima anzi, in confronto delle altre, la
verit e l'essenza delle cose
34

Al secondo dei due significati, corrisponde viceversa
la tesi che la negazione il determinato o finito stesso,
cio che la contraddizione logica ha come propria incar-
nazione oggettiva e sua esistenza esteriore qualsiasi oggetto
o processo reale: onde Hegel qui afferma che la contrad-
dizione non da prender semplicemente come un'anomalia
che si mostri solo qua e l, ma il negativo nella sua
determinazione essenziale, il principio di ogni muoversi,
muoversi che non consiste se non in un esplicarsi e mo-
strarsi della contraddizione. Ed egli aggiunge: Per-
sino l'esterior moto sensibile non che la sua esistenz-a
immediata. Qualcosa si muove, non in quanto in questo
Ora qui, e in un altro Ora l, ma solo in quanto in
un unico e medesimo Ora qui e non qui, in quanto
33 G. F. W. Hegel, Scienza della logica cit., Il, pp. 70-1.
34 lvi, p. 69.
115
in pari tempo e non in questo Qui. Si debbon con-
cedere agli antichi dialettici - conclude Hegel - le
contraddizioni ch'essi rilevano nel moto, ma da ci non
segue che pertanto il moto non sia, sibbene anzi che il
moto la contraddizione stessa come esistente
35
( cor-
sivo mio).
10. necessario affrontare, a questo punto, la con-
troversa questione se la dialettica di Hegel implichi - di
fatto, oltrech nei propositi dell'autore - il superamento
o l'abbandono del principio di non-contraddizione. Mal-
grado il campo degli interpreti sia, a questo proposito,
profondamente diviso, la linea largamente prevalente
quella che propende per l'incompatibilit tra la dialettica
e il principio aristotelico. Come rappresentante tipico di
questa linea interpretativa, pu essere assunto il saggio
di Popper Che cos' la dialettica? Se ragione e realt
- scrive Popper, riferendosi a Hegel - sono la stessa
cosa, e la ragione si sviluppa dialetticamente, [ ... ] allora
anche la realt deve svilupparsi dialetticamente. Il mondo
dev'essere regolato dalle leggi della logica dialettica. [ ... ]
Dobbiamo quindi riscontrare nel mondo le medesime con-
traddizioni consentite dalla logica dialettica. Il fatto stesso
che il mondo pieno di contraddizioni - continua Pop-
per (sempre esponendo Hegel) - ci mostra, da un'altra
angolazione, che il principio di [non- ]contraddizione deve
essere eliminato. Questo principio afferma infatti che nes-
suna proposizione autocontraddittoria, o nessuna coppia
di proposizioni contraddittorie, pu essere vera, cio cor-
rispondente ai fatti. In altre parole, il principio comporta
che non possa mai darsi una contraddizione in natura,
cio nel mondo dei fatti, e che questi non possono mai
contraddirsi l'un l'altro. Sulla base invece. della filosofia
35 l vi, p. 70.
116
dell'identit di ragione e realt, si asserisce che i fatti
possono contraddirsi l'un l'altro, dato che ci accade per
le idee, e che i fatti si sviluppano attraverso contraddi-
zioni, proprio come le idee: il principio di [non- ]contrad-
dizione deve dunque essere abbandonato
36

Esposta in questi termini la filosofia di Hegel, Popper
conclude che, pretendendo di superare il principio di non-
contraddizione, quella filosofia ha firmato la propria con-
danna. ~ Appellandosi alla proficuit delle contraddizioni
- egli scrive, - i dialettici pretendono che questo prin-
cipio della logica tradizionale venga abbandonato. Essi
sostengono che la dialettica conduce, in tal modo, a una
logica nuova - la logica dialettica n. In realt, non si
avvedono che, in tal modo, essi vengono a trovarsi in
radicale contrasto, non solo con la scienza ma con qual-
siasi ragionamento sensato. Infatti - prosegue Popper -
qualsiasi tipo di ragionamento, sia prima che dopo
Hegel, e tanto nella scienza [empirica] quanto nella ma-
tematica, o in qualsiasi filosofia veramente razionale,
sempre fondato sul principio di [non-] contraddizione
38
.
Del resto, quel che affermano i dialettici, e cio che esi-
stono nei fatti contraddizioni reali }>, nori si d in alcun
modo. Fatti contraddittori - afferma Popper - non
esistono. Se indaghiamo un poco pi da vicino - egli
continua - questi pretesi fatti contraddittori, troviamo
che tutti gli esempi addotti dai dialettici stabiliscono che
il mondo in cui viviamo mostra talora una certa struttura,
che potrebbe anche definirsi " polare ". Un caso di tale
struttura sarebbe l'esistenza di un'elettricit positiva e di
una negativa. Ma _solo un modo metaforico e impre-
ciso affermare che, per esempio, l'elettricit positiva e
36
K. Popper, Congellure e confutazioni cit., pp. 558-9.
n lvi, p. 538.
38 lvi, p. 557.
117
negativa sono in contraddizione fra loro
39
Giacch, in
tal caso, sono assai pi appropriati e meno fuorvianti
- conclude << termini come " conflitto " o magari
" tendenze opposte ", oppure " interessi opposti ", ecc.
40

La seconda linea interpretativa, opposta a quella ora
illustrata, sostiene invece la piena compatibilit tra la
logica dialettica hegeliana e il principio di non-contraddi-
zione aristotelico. Hegel non infrmerebbe la validit di
tale principio, n nelle intenzioni n di fatto. Il termine
contraddizione sarebbe stato da lui usato solo in senso
metaforico
41
In realt, gli opposti della dialettica hege-
liana non sarebbero gli opposti della contraddizione
logica , bens i contrari aristotelici. Al pi - se-
condo la tesi di Emile Boutroux (2 - si dovrebbe par-
lare solo di una trattazione pi dinamica >> , da parte
di Hegel, della teoria della contrariet aristotelica.
Ovvero, secondo la tesi di altri studiosi (per lo pi cat-
tolici), gli opposti della cosiddetta contraddizione dia-
lettica sarebbero da intendersi come gli opposti cor-
relativi di Aristotele (per es.: sotto e sopra ,
padre e figlio, ecc.): in conclusione, un sotto-caso
del rapporto di contrariet. Conseguenza non ultima
di questo modo di vedere che verrebbe cosl a cadere
39
lvi , p. 559.
40
lvi, p. 547. appena il caso di rilevare la corrispondenza
di queste affermazioni di Popper con quelle, precedentemente con-
siderate, di Hartmann, di Ajdukiewicz e di Copi.
4
1 Cfr . F. Grgoire, tudes hgliennes, Louvain-Paris 1958,
pp. 51 sgg., citato da S. Landucci, La contraddiz.ione in Hegel, Fi-
renze 1978. Sulla stessa linea di Grgoire, si veda anche G. Cot-
tier, Signification de la dialectique chez Hegel, in Revue tho-
miste, 3, 1969, pp. 378-411 e, sempre dello stesso autore, La
doctrine thomiste des oppositions en Y apport avec la dialectique
hglienne, in Revue de thologie et de philosophie , 5, 1973,
pp. 354--73.
(2 Citato da G. Della Volpe, Logica come scienza positiva,
Messina-Firenze 1950, p. 101.
118
completamente l'antitesi tra dialettica e scienza, delineata
sopra da Popper
43
L'antitesi avrebbe ragione di sussi-
stere, qualora la dialettica implicasse effettivamente una
violazione e/ o il superamento del principio di non-con-
traddizione. Non dandosi invece nulla di tutto questo,
dialettica e scienza risulterebbero assolutamente compa-
tibili tra loro.
Quale sia l'interna debolezza di quest'ultima linea
interpretativa, a me sembra evidente. Essa nega quello
che stato sempre riconosciuto - e dagli hegeliani e dai
marxisti stessi, oltrech dalla maggioranza degli inter-
preti - come l'intento fondamentale dell'opera di Hegel:
la costruzione, cio, di una logica filosofica nuova, rispetto
a quella tradizionale; e nuova, proprio perch imperniata
sul principio della << contraddizione dialettica . Ma c'
di pi. Assumendo che l'uso del termine contraddi-
zione in Hegel sia semplicemente metaforico, quella
linea interpretativa deve anche ritenere che, quando la
Scienza della logica parla di opposti contraddittori ,
essa intenda in realt i contrari o, addirittura, gli
4
l E. Berti, La contraddizione in Aristotele, Kant, Hegel e
Marx, in AA.VV., La contraddizione, Roma 1977, pp. 9-31. Vorrei
attrarre l'attenzione di Berti su due considerazioni. La prima
che i contrari aristotelici hanno la loro unit in un genere pros-
simo che un genere empirico (ad es., per gli opposti corre-
lativi sopra e sotto, il genere empirico la direzione,.;
per padre >> e figlio la parentela, ecc.) . Mentre l'unit
degli opposti, in Hegel, non un genere empirico, ma l'infinito,
la totalit, l' Assoluw. La seconda che i contrari aristotelici pre-
suppongono una sostanza o sostrato cui inerire, cosa di cui,
in Hegel, non vi pi traccia. Quando Berti (a p. 20 del saggio so-
pra citato), parlando degli opposti in Hegel, dice che la loro oppo-
sizione, divenuta contraddizione, si risolve in quello che Hegel
chiama il loro "fondamento" (Grund) ed evoca, a proposito di
questo fondamento hegeliano, il soggetto o sostrato
di Aristotele, si deve obiettare che, nel definire il Grund (che, per
Hegel, non l'oggetto individuo o sostanza prima >> ma la
Ragione), Hegel stesso chiarisce che il Grund, di cui sta parlando,
Abgrund, cio abisso di tutte le determinazioni finite.
119
opposti correlativi . Ora, per, a questo riguardo, le
cose stanno in modo un po' diverso. infatti vero che,
nel richiamare la distinzione tra contrariet e con-
traddizione , Hegel ne nega l'importanza, affermando che,
se i concetti vengono principalmente divisi in contrari
e contraddittori , si deve tuttavia tener conto deUa d i ~
lettica e dell'interna nullit di queste differenze
44
Ma
pur vero che, nel rendere fluida questa distinzione, in
polemica con coloro che vorrebbero tenerla ferma ( come,
se ci che contrario - egli scrive - _non dovesse esser
anche determinato come contraddittorio ), Hegel p.erse-
gue l'intento di ridurre la contrariet a contraddizione,
e non viceversa. Prova ne sia l'ordine in cui egli tratta
questa materia - a) l'identit)>, b) la <(differenza
(inclusa l' opposizione ), c) la <( contraddizione )> - nel
secondo capitolo del libro II della Scienza della logica:
ordine che ben significativo, se si tien presente che it
terzo o ultimo)> , per Hegel, anche ci ch' pi
concreto e fondamentale.
E, tuttavia, questa seconda linea interpretativa ha un
punto di forza. Essa sostenuta da assertori del principio
aristotelico di non-contraddizione, per i quali la viola-
zione di questo principio implica, giustamente, l'insensa-
tezza e l'assurdit del . discorso. Il problema che essi sol-
levano - e che l'interpretazione di Popper ha il torto di
non considerare - appunto questo: come sia possibile
che Hegel voli il principio di non-contraddizione for-
n ~ n d o al tempo stesso un discorso provvisto di senso:
La risposta a questo interrogativo deve essere cercata,
a nostro avviso, riprendendo in esame l'analisi di Trende-
lenburg. Pur non essendo, a rigore, n negazione logica
n opposizione reale, la dialettica di Hegel procede- egli
spiegava - contaminando le due. La negazione dialet-
44 G. F. W. Hegel, Scienza della logica cit., III, pp. 61-2.
120
tica risulta, cos, un ibrido che nasce dalla mescolanza
indebita di contraddizione e contrariet . Lo stru-
mento, attraverso il quale si compie questo duplice scam-
bio, costituito da quei due movimenti fondamentali del
processo dialettico, che abbiamo appena considerato.
Alla luce di tutto ci, la risposta .pu assumere la
seguente forma. Hegel vlola il principio di non-contrad-
dizione allorch, negando al finito o oggetto determinato
un vero essere, ne fa un finito ideale >>, cio la nega-
zione logica dell'Idea. Come abbiamo gi visto, Hegel
sostituisce, in questo modo, all'oggetto empirico o deter-
minato la contraddizione logica, affermando che ogni cosa
in se stessa contraddittoria, ovvero che essa s e il
negativo di se stessa a un tempo ed , perci, tanto l' es-
sere quanto il non-essere insieme. evidente che,
se il discorso di Hegel si arrestasse qui , esso sarebbe ine-
vitabilmente privo di senso. Saremmo infatti al caso - gi
considerato da Aristotele nel libro IV della Metafisica -
che: se vero dire che l'uomo non-uomo, evidente
che dovr essere anche vero dire tanto che trireme
quanto che non-trireme
45
; se vero, infatti, che
l'uomo uomo ed anche non-uomo, evidente che egli
sar, anche, n uomo n non-uomo
46
. Allora - con-
tinua Aristotele - tutte le cose saranno confuse insie-
me e si potr dire, a ragione, che questi filosofi par-
lano dell'indeterminato
47
. Dell'indeterminato: cio - si
noti bene -di tutto e di nulla insieme, essendo il tanto-
quanto , al tempo stesso, un n-n
48

4
S Metaphys. 1007b 30-35. Cfr. Aristotele, La Metafisica, trad.,
intr. e commento a cura di G. Reale, Napoli 1968, vol. I, p. 304.
Tuue le altre citazioni sono da questa edizione.
46 Metphys., 1008a 5.
47 lvi , 1007b 25. E si cfr. W. D. Ross, Aristotele, Milano
1976, p. 155 (dove, tuttavia, la traduzione , in questo punto,
imprecisa).
48 Il <<tanto questo-quanto quello n questo-n quello.
121
Ora, che questa, appunto, . sia, da un certo punto di
vista, la situazione di Hegel, d che egli stesso ci con-
ferma, quando - dopo aver ricordato che l' Idea spe-
culativa non un finito, un determinato, non ha l'uni-
lateralit propria della proposizione ma ha invece in
lei l'assolutamente negativo, rotonda in se stessa , e
contiene in lei questo . determinato e il suo opposto
nella loro idealit
49
- aggiunge che proprio del
mtXlo di saper lo speculativo, che oltre l' " o-oppure ", ci
sia un terzo: esso un " tanto-quanto " e un " n-n "
50

Ma ' noto come Hegel, a questo punto, riesca a sfug-
gire all'indeterminatezza di significato, cui la violazione
del principio di non-contraddizione altrimenti lo condan-
nerebbe. Egli vi riesce, mostrando di ricavare dalla con-
traddizione logica un terzo , cio un che di posi-
tivo o reale. Come ha chiarito bene Trendelenburg, la
cosa assurda e impossibile: la contraddizione logica in-
fatti non ammette alcun terzo che la risolva e com-
ponga in unit. Senonch Hegel riesce nell'impresa im-
possibile interpolando nel processo logico un elemento
desunto nascostamente dall'esperienza. Il finito, cui era
stata prima negata vera realt, ora restaurato surretti-
ziamente nel suo contenuto empirico per offrire un mezzo,
un medium, in cui la contraddizione possa mostrarsi, cio
prendere corpo e, cosl, acquistare esistenza reale (si ricordi
.l'affermazione, ad es., che il moto la contraddizione
stessa come esistente ). A questo punto, l'indetermina-
tezza di significato, a cui la violazione del principio di
non-contraddizione avrebbe costretto il discorso di Hegel,
, sia pure artificiosamente, evitata: la contraddizione
logica si composta in unit come fosse un rapporto di
49 G. F. W. H egei, Lezioni sulla storia della filosofia, Firenze
1932, vol. II, p. 544.
50
lvi, p. 546.
122
contrari aventi il genere in comune; e quest'unit, a sua
volta, esibisce un contenuto reale (e, quindi, ba un signi-
ficato determinato), perch viene confusa con l'oggetto
empirico stesso in cui la contraddizione ora figura essersi
incarnata
51
.
La spiegazione, che noi proponiamo, sopravviene a
confermare, in sostanza, quella che stata una duplice
impressione mille volte rilevata dagli interpreti del pen-
siero hegeliano. a) Il discorso di Hegel ha indubbiamente
senso. comprensibile. Esso esibisce, in tutto l'arco del
suo sviluppo, contenuti concreti ed contesto, quindi, di
significati determinati. b) I passaggi logico-dialettici, attra-
verso cui Hegel procede nello sviluppo del suo pensiero
e per attingere quei contenuti, risultano, d'altra parte,
oscuri , sforzati , artificiosi o equivoci (si
veda, ad es., la documentazione addotta, in prpposito,
da Trendelenburg), in quanto sono passaggi che si com-
piono in violazione del principio di non-contraddizione.
Concludendo. La linea interpretativa, che abbiamo illu-
strato servendoci dello scritto di Popper Che cos' la dia-
lt!ttica?, , a nostro avviso, quella giusta. La logica dia-
lettica di Hegel implica effettivamente violazione e/ o
superamento del principio di non-contraddizione. Essa
assume, in contrasto con tale principio, l'esistenza di
contraddizioni reali . In quanto tale, la logica della
contraddizione dialettica assolutamente incompatibile
non solo con le procedure della scienza (per la quale la
contraddizione solo logica e non possono esistere fatti
SI Hegel assegna ai contraddittori o opposti logici un'unit-tota-
' lit che li ricomprenda, al modo stesso in cui i contrari aristotelici
hanno il genere in comune. Dopodich .,.- per il processo, gi
sopra descritto, della sostantificazione dell'astratto o universale lo-
gico e della conseguente interpolazione dell'empiria - egli con-
fonde e ribalta questa unit logica nell'unit concreta e determinata
dell'oggetto particolare.
123
contraddittori tra loro), ma risulta incompatibile con
qualsiasi ragionamento che sia provvisto di senso
52

E tuttavia, per riuscire pienamente effiace, la linea
52 In Che cos' la dialettica?, Popper parla di fecondit o fer-
tilit delle contraddizioni. Il senso in cui ne parla conforme al
principio generale della sua metodologia, secondo la quale noi
impariamo dai nostri errori. In tal senso, la contraddizione
feconda, per Popper, perch, essendo il segno stesso dell'errore,
induce ad abbandonare le vecchie concezioni (che siano risultate
contraddittorie) per tentare nuove congetture, nuove ipotesi, ecc.
I dialettici affermano - scrive Popper - che le contraddizioni
sono proficue, fertili, portatrici di progresso, e abbiamo ricono-
sciuto che, in un certo senso, cosl. Ma ci vero solo nella
misura in cui siamo decisi a non rassegnarci di fronte alle con-
traddizioni, e a cambiare qualsiasi teoria ne componi; in altre
parole, se non accettiamo mai una contraddizione>> (op.' cit.,
p. 538). E, poco oltre (ivi, p. 546), aggiunge: L'imprecisione
dell'affermazione del dialettico secondo cui le contraddizioni sono
inevitabili, e non neppure desiderabile evitarle in ragione della
loro notevole fertilit, pericolosamente fuorviante. Ci perch,
come abbiamo visto, quella che si pu ritenere la fertilit delle
contraddizioni semplicemente il risultato della nostra decisione
di non rassegnarci ad esse (conformemente al principio di [non-]
contraddizione). Ed pericolosa, perch affermare che non bisogna
evitare le contraddizioni, o magari che esse non possono essere
evitate, porta necessariamente al fallimento della scienza e della
cri tica, cio della razionalit. Ora, questa tesi popperiana della
fecondit >> della contraddizione - sebbene del tutto chiara nel
suo intendimento e nel suo significato - ha dato luogo a qualche
equivoco nel campo del materialismo dialettico >>. :, questo, il
caso, a me sembra, di L. Geymonat , Scienza e realismo, Milano
1977. L'autore elogia il saggio di Popper che, egli dice (p. 49),
merita di venire considerato veramente esemplare per rigore e
chiarezza >>. Dopodich, parla della fecondit della contraddizione
proprio nei termini - criticati da Popper - in cui ne parlano i
dialettici: e, cio, non come se la contraddizione fosse da evitare,
ma da affermare e da riconoscere (cfr., in particolare, pp. 48-52).
Geymonat, del resto, confonde contraddizione e opposizione
reale>>: <<due tendenze, l'una in antitesi con l'altra (p. 48) ba-
stano, per lui, a produrre una contraddizione. da rilevare
che la fecondit della contraddizione, in un senso analogo a
quello di Popper, era gi stata colta bene da E. Cassirer nel suo
saggio Sulla teoria della relativit di Einstein (pubblicato in ap-
pendice a Sostanza e funzione, Firenze 1973; si vedano, in parti-
colare, le pp. 486-90 e 493).
124
interpretativa di Popper va integrata con gli argomenti
che abbiamo ora indicato. Nell'illustrare il pensiero di
Hegel, essa muove giustamente dal ruolo centrale che ha,
in quella filosofia, l'identit di reale e razionale_, di pen-
siero ed essere. Trascura, per, che uno sviluppo coerente
di questa interpretazione deve prendere in considerazione
il duplice scambio e la conversione reciproca, che Hegel
opera, tra contraddizione e contrariet , norich
l' interpolazione in cui questo scambio si concretizza.
III. Il marxismo e Hegel
11. Se ora ci volgiamo a considerare il marxismo
(lasciando per il momento da parte il giovane Marx), la
prima considerazione che si impone che - nell'eredi-
tare da Hegel il concetto di contraddizione reale o
oggettiva e nel riservare ad esso un ruolo assoluta-
mente centrale nella spiegazione della societ o anche
della natura - il marxismo stesso rivela una totale in-
comprensione dei presupposti e delle implicazioni che quel
concetto ha all'interno della filosofia hegeliana.
Il marxismo deriva da Hegel due proposizioni fonda-
mentali. La prima quella della contraddittoriet di tutte
le cose, cio la tesi che ogni cosa s e il negativo di
se stessa a un tempo: ovvero - come dice Engels -
che ogni .essere organizzato costantemente il mede-
simo e pure un altro , ogni corpo organico, in ogni
istante, e non il medesimo
53
La seconda che
- essendo la relt cos costituita - il principio di non-
contraddizione assolutamente insufficiente a rappresen-
tarla (per esso - scrive Engels - una cosa esiste o
non esiste ed impossibile che una cosa nello stesso
53 F. Engels, Antidiihring, Roma 1950, p. 28.
125
tempo sia se stessa ed un'altra )
54
Mentre una rappre-
sentazione adeguata della realt pu invece fornirla solo
la logica dialettica ( La dialettica - scrive Marx nella
prefazione alla seconda edizione del Capitale
55
- nella
comprensione positiva dello stato di cose esistente include
simultaneamente anche la negazione di esso).
La conclusione da trarre fin troppo evidente. En-
trambe le tesi riproducono l'identificazione e lo scambio
reciproco, che Hegel opera, tra pensiero ed essere, tra
razionale e reale. Sebbene - e questo il paradosso -
il marxismo pretenda di essere una concezione materia-
listica della realt.
Questo punto stato colto bene da Kelsen. Sotto la
guida della logica dialettica di H egei - egli seri ve -
Marx trasferisce le contraddizioni logiche dal pensare
all'essere
56
Forze opposte nella natura o nella societ
sono interpretate come contraddizioni logiche. Questa
inerenza delle contraddizioni logiche alla realt - ag-
giunge Kelsen - ha ancora un senso nella filosofia di
Hegel. Infatti, poich nella sua filosofia idealistica pen-
sare ed essere sono identificati, l'idea delle contraddizioni
logiche inerenti alla realt comprensibile, fino a un
certo punto, come conseguenza di una tale identifica-
zione . Ma, nel quadro della filosofia materialistica di
Marx e di Engels, che rigettano questa identificazione,
assurdo interpretare come contraddizioni logiche delle
forze in antagonismo o degli interessi in conflitto nella
societ
57

E, tuttavia, che le cose. stiano proprio in questi ter-
mini sembra difficile negarlo. In. quanto concezione ma te-
S4 lvi, pp. 2 7 ~ 8
55 K. Marx, Il capitale, Roma 1951, vol. I, l, p. 28.
56 H. Kelsen, La teoria comunista del diritto, Milano 1956,
p. 29.
57 lvi, p. 76.
126
rialistica, il marxismo avrebbe dovuto mostrarsi vitalmente
a pensare con rigore la differenza tra oppo-
sizione logica e opposizione reale , tra contraddizione
e contrariet. Di fatto, non invece accaduto nulla di
tutto questo.
Dell' opposizione reale , e delle sue differenze costi-
tutive rispetto alla <( contraddizione logica , non vi
parola in Engels. Non una in Plechanov. Non una in
Lubks. La confusione, infine, si tocca con mano nel caso
di Lenin, il quale esibisce, nei Quaderni filosofici, come
esempio di contraddizioni dialettiche un elenco di (( oppo-
sizioni reali , cio di opposizioni senza contraddizione,
dove la dialettica non ha nulla da vedere. Si tratta di casi
arcinoti. <( Nella matematica + e - . Differenziale e inte-
grale. Nella meccanica azione e reazione. Nella fisica elet-
tricit positiva e negativa. Nella chimica associazione e
dissociazione degli atomi
58

Ma il par-adosso tocca il culmine quando si consideri
che, a differenza della filosofia di Hegel, il tnarxismo aspira
ad essere una concezione <( scientifica >> della realt. Esso
intende essere scienza - scienza nel senso pieno della
58 V. l. Lenin, Quaderni filosofici, Milano 1970, p. 343. Un
caso significativo anche quello di Karl Korsch. Egli uno dei
pochi marxisti che abbia avuto notizia della teoria dell' opposi-
zione reaJe >> in Kant. E, tuttavia, l'ha interpretata come una
traddizione dialettica. Si veda il suo scritto L'empirismo nella
filosofia di Hegel (in K. Korscb, Dialettica e scienza nel marxismo,
Roma-Bari 1974, pp. 31-2): Bisogna pensare le opposizioni della dia-
lettica non come asserzioni poste in contrasto ma come oggetti in
contrasto o, per usare un'espressione kantiana, come .. . reali ripu-
gnanze ". E di contrapposizioni di questo tipo parlano non soltanto
il filosofo dialettico Hegel ma anche profondi e acuti pensatori
come Kant e Bolzano non spinti certo da intenzione dialettica. [ ... ]
Una breve analisi di questo concetto di opposizione definito da
Kant e Bolzano mostra che le relazioni che intercorrono tra tali
" opposizioni " e le formazioni che nascono dall' " unione " di tali
opposizioni, possiedono tutte le caratteristiche essenziaJi che Hegel
utilizza per la sua dialettica .
127
parola. E tuttavia parla continuamente di contraddizio-
ni , contraddizioni che esistono nella natura e nella so-
ciet. Mentre per la scienza - noto - le contraddi-
zioni sono solo logiche, sono sempre e soltanto << errori
soggettivi da eliminare. A differenza del marxismo, la
scienza presuppone e implica il principio di non-contrad-
dizione. Per essa, non esistono contraddizioni oggettive,
contraddizioni nella realt. Le sole contraddizioni, che la
scienza riconosce, sono quelle in cui possono incorrere
le teorie. Ma, quando una teoria si contraddice, per
la scienza subito condannata come falsa.
Potrebbe, a questo punto, sorgere l'impressione che
tutto si riduca, in fondo, a una questione di parole. In
altri . termini: il marxismo avrebbe il torto di designare,
impropriamente, come contraddizioni nella realt, ci
che andrebbe chiamato, pi opportunamente, conflitto
di forze o, appunto, opposizione reale . Senonch la
questione in giuoco ben altro che terminologica.
Nel designare i conflitti di interessi nella societ indu-
striale moderna come contraddizioni del capitalismo,
Marx non incorre in . un errore di forma, come sarebbe
quello di una denominazione impropria; bensl costruisce
gli estremi di queste antitesi (per quanto riguarda la loro
stessa struttura e il loro contenuto) in modo tale che essi
risultino trattabili dialetticamente. tipico il caso del-
l'opposizione tra lavoro salariato e capitale: dove que-
st'ultimo, che considerato come il prodotto o l'aggetti-
vazione alienata del lavoro umano, concepito come tale
che esso si renda indipendente o estraneo rispetto al
suo creatore e si contrapponga ad esso, fino a dominarlo
59

L'intero processo segue le orme dello svolgimento dia-
W Per la trattazione degli opposti capitale e lavoro sala-
riato come opposti dialettici, cfr. K. Marx, Grundrisse der Kritik
der politischen Oekonomie, Berlin 1953, pp. 203-4 e 943.
128
lettico in Hegel. Si parte dall' unit degli uomini viventi
e attivi con le condizioni naturali inorganiche del loro
ricambio materiale con la natura ro. Quest'unit origi-
naria, poi, si sdoppia o si aliena da s, creando la sua
propria negazione. Dopodich, attraverso la riappropria-
zione di d ch'era stato alienato come capitale da parte
dei lavoratori, si ha la negazione della negazione , cio .
la soppressione della scissione o alienazione e, con ci,
il ristabilimento, a un pi alto livello, dell' unit degli
uomini tra loro e di loro stessi con la n a tura
61

Il trattamento dialettico, insomma, comporta che
- sotto l'apparenza della spiegazione causale-scientifica -
il corso reale proceda come uno svolgimento finalistico,
teleologico, com' appunto necessario che sia il processo
dialettico: dove la contraddizione ha la sua soluzione
o unit precostituita; l' alienazione ha il suo ine-
vitabile riscatto; e la meta o il punto d'approdo gi
posto in anticipo (secondo l'affermazione di Hegel che
il termine ultimo >> del processo dialettico al tempo
stesso anche il primo e viceversa).
12. In forte contrasto con questa nostra rappresenta-
zione odierna di Marx come epigono di Hegel, sta il giu-
dizio e l'apprezzamento altamente positivo, che stato
dato in Italia (per opera specialmente di Della Volpe),
della critica giovanile di Marx alla dialettica di Hegel,
, cosl come essa si sviluppata soprattutto nella Critica
l Per una trattazione pi ampia di questo concetto dell' unit
originaria in Marx, si veda Marxismo e dialettica cit., p. 111.
61 K. Marx, Il capitale cit., I, 3, p. 223: II modo di appro-
priazione capitalistico che nasce dal modo di produzione capita-
listico e quindi la propriet privata capitalistica, sono la prima
negazione della propriet privata individuale, fondata sul lavoro
personale. Ma la produzione capitalistica genera essa stessa con
. l'ineluttabilit di un processo naturale la propria negazione. :t la
negazione della negazione .
129
della filosofia hegeliana del diritto pubblico (1843 ), oltrech
nell'ultimo dei Manoscritti economico-filosofici del 1844.
Questi testi, e i forti legami ch'essi mostrano di avere
con gli scritti antihegeliani di Feuerbach pubblicati tra il
1839 e il 1843 - da Per la critica della filosofia hege-
liana, alle Tesi provvisorie per la riforma della filosofia,
fino ai Princpi della filosofia dell'avvenire, - impongono
una messa a punto, seppure nella forma di considerazioni
assai rapide e essenziali, su questa fase giovanile del pen-
siero di Marx. Tanto pi che essa coinvolge e chiama in
causa anche il problema dell'utilizzazione che Marx - e,
oltre a lui, quasi sicuramente, anche Feuerbach - ha
fatto delle Ricerche logiche di Trendelenburg.
La critica di Feuerbach e di Marx alla dialettica hege-
liana imperniata, com' noto, sullo scambio o inversione,
che Hegel avrebbe operato, tra il soggetto (il sostrato o
ypokeimenon) del giudizio e il predicato o l'universale
logico, cio tra essere e pensiero. Secondo questa critica
(a cui si ispirata, nelle grandi linee, anche la ricostru-
zione, che noi abbiamo sopra accennato, dei due movi-
menti fondamentali del processo dialettico hegeliano ), H e-
gel avrebbe trasformato l'Idea o l'astrazione logica in
sostanza a s (ipostatizzazione o sostantificazione del-
l'astratto), convertendo cosi il predicato o categoria in
soggetto o sostrato reale. Dopodich, il soggetto effet-
tivo, cio il sostrato o fondamento empirico, sarebbe stato
da lui trasformato in predicato del suo predicato , cio
in manifestazione o incarnazione dell'Idea ipostatizzata.
Come era gi stato rilevato da Della Volpe e come
ora confermato da Enrico Berti, il grande antecedente
di questa critica di Feuerbach e Marx a Hegel va indi-
viduato nella critica di Aristotele a Platone. La scoperta
aristotelica del concetto di sostrato - scrive Berti -
l'unico principio veramente nuovo rispetto a quelli
130
gi individuati dai filosofi precedenti , ed esso deriva
interamente dalla distinzione tra la sostanza e le altre
categorie . Con la scoperta del so strato - egli pro-
segue - Aristotele ha indicato per la prima volta in
modo chiaro la necessit che il divenire sia divenire di
un soggetto. [ ... ] Questa dottrina, di p retta marca antidea-
listica, in quanto mostra l'insufficienza, per spiegare il
divenire, delle semplici determinazioni concettuali, fa della
filosofia aristotelica - conclude Berti - l'emblema di
ogni altra presa di posizione critica nei confronti del-
l 'idealismo che sia poi stata attuata nella storia del pen-
siero
62
Dopodich, egli richiama in nota il passo della
Kritik del ' 43, gi da noi sopra citato, dove Marx dice
che, proprio in quanto Hegel prende le mosse dai pre-
dicati della determinazione gen.erale, invece che dall'ente
reale (ypokeimencm, soggetto), e ci ha da essere tuttavia
un supporto di queste determinazioni, la mistica Idea
diventa questo supporto .
Un apprezzamento analogo ritorna in un altro punto
del libro di Berti, dove - sempre insistendo sulla tesi
che il criterio della sostanzialit , in Aristotele,
costituito dalla capacit [della sostanza] di fungere da
soggetto della predicazione - l'autore scrive: Da
tutto ci risulta che Aristotele ha completamente capo-
volto la posizione platonica: mentre per Platone l'uni-
versale ha pi realt dell'individuale, il genere pi della
specie e la specie pi dell'individuo, cio in generale il
predicato pi del soggetto, per Aristotele vale il contra-
rio: principio di tutte le cose, cio condizione della loro
esistenza, sono gli individui, i soggetti. questa - con-
clude Berti - la grande alternativa che storicamente si
62 E. Berti, Aristotele: dalla dialettica alla filosofia prima, Pa-
dova 1977, p. 297.
131
oppone sempre a tutte le forme di idealismo, a quella
platonica con Aristotele ed a quella hegeliana con Feuer-
bach, Marx e Kierkegaard
63

Sulla base di questo comune riferimento ad Aristo-
tele, l'analisi di Feuerbach e del giovane Marx sembra
riprodurre alcuni dei motivi della critica a Hegel, gi svi-
luppati dall'aristotelico Trendelenburg. Il caso forse pi
evidente quello offerto dal tema della Ein- o Unter-
schiebung, cio dell'interpolazione nel processo logico di
elementi desunti surrettiziamente (o unter der Hand, come
dir Marx ancora nell'Einleitung del '57 ai Grundrisse)
dall'esperienza. Da que'sto motivo critico dell' interpola-
zione si sviluppa, poi, l'accusa che, non solo il giovane
Marx, ma anche Feuerbach, muovono a Hegel di metter
capo conclusivamente con la sua filosofia - la quale pre-
tende di incominciare senza presupposti - a una for-
ma di positivismo acritico. Nello scritto del 1841,
Ueber den Anfang der Philosophie, Peuerbach, ad esem-
pio, osserva che la filosofia, che comincia con il pen-
siero senza realt, conclude conseguentemente con una
realt senza pensiero . E, subito, aggiunge: pi ra-
gionevole cominciare con la non-filosofia e terminare con
6
3 lvi, p. 232. Per una interpretazione, in questo caso analoga,
delle differenze tra Aristotele e Platone, cfr. S. Mansion, Le r6le
de l'expas et de la critique des philasaphies antrieures chez Ari-
state, in Aristate el ler problms de mthade (communications
prsentes au Symposium Aristotelicum tenu Louvain du 24 ao(\t
au 1 septembre 1960 ), Louvain-Paris 1961, p. 54, dove - trat-
tando della critica di Aristotele a Platone - la Mansion rileva
che: <<C'est toujours le meme vice fondamenta! qu'il [Aristate]
dnonce: la substantifcation des universaux, la confusion entre
l'ordre logique et l'ordre rel . E cfr. anche, a questo proposito,
I. Diiring, Aristotele, Milano 1976, p. 687: Per Aristotele, nella
discussione del concetto di ousia, l'essere fisico delle cose sensibili
costituisce il punto eli partenza e ci che si pu affermare in pro-
posito. Le specie dell'essere sono per lui le specie di ci che nel
senso fisico. Platone usa il vocabolo ausia per designare l'essere
delle idee ".
132
la filosofia, anzich, al contrario, come qualche " grande "
filosofo tedesco - exempla sunt odiosa - inaugurare la
propria carriera con la filosofia e chiuderla con la non-
filosofia
64
Dove fin troppo trasparente l' allusione di
Feuerbach a quella particolare forma di positivismo acri-
tico che fu non solo l'adesione, accordata da Hegel, allo
Stato prussiano del tempo, ma la celebrazione, che egli
intess di quello Stato, come dell' ingresso di Dio nel
mondo.
Un altro motivo ancora, di grande rilievo, che acco-
muna la critica di Trendelenburg e quella di Feuerbach
quello del carattere neoplatonico e teologico, che pro-
prio della dialettica. Il metodo dialettico - aveva
scritto Trendelenburg - ha trovato per lo pi applica-
zione all'interno della teologia ; mentre <( nella fisica e
nelle scienze naturali, [ ... ] non ne conosciamo quasi
esempio
65
E, poco prima, aveva osservato: Tra gli
antichi, Proclo il solo che possieda il ritmo della dia-
lettica
166
Ora, considerazioni analoghe ricorrono anche
negli scritti di Feuerbach. Hegel - egli osserva - non
affatto "l'Aristotele tedesco o l'Aristotele cristiano ",
ma il Proclo tedesco. La filosofia assoluta la risurre-
zione della filosofia alessandrina )>
67

Questo tema delle origini neoplatoniche della dialet-
tica di grande importanza, non solo dal punto di vista
storico-culturale, ma perch getta luce sulle strutture stesse
del processo dialettico. Alludendo, ad esempio, alla con-
cezione della materia come non-essere e, quindi, alla tesi
hegeliana che il finito ideale , Feuerbach rileva che,
64
L. Feuerbach, Siimmtliche W erke (Bolin und Jodl), vol. II,
p. 208.
65 A. Trendelenburg, Logische Untersuchungen cit. , p. 101.
166 lvi, p. 100.
67 L. Feuerbach, Princpi della filosofia dell'avvenire, Torino
1946, p. 114.
133
per i neoplatonici, la materia, il mondo materiale e
reale, non pi in generale un problema, non pi una
realt . ~ Nei neoplatonici - egli aggiunge - anche la
materia si trova nel mondo immateriale; ma s'intende di
si tratta di una materia soltanto ideale, pensata, imma-
ginaria
68
Dopodich, Feuerbach intuisce bene come, .
essendo stato negato al finito un vero essere, la funzione
dell'essere debba ricadere sull'idea o astrazione logica.
In questo modo - egli scrive - la ragione, o l'idea,
diventa concreta; o, per meglio dire, viene riferito al
pensiero quello che proprio dell'intuizione; diventa fun-
zione del pensiero quello che funzione del senso, della
sensazione, [ ... ] il concreto diventa predicato del pen-
siero ffJ. Il risultato che, per il neoplatonico, la rap-
presentazione non pi una rappresentazione, ma l'og-
getto stesso, e l'i.tpmagine non pi un'immagine, ma la
cosa stessa, e il pensiero, l'idea, la stessa realt. Pro-
prio perch egli non pi un soggetto che stia in rap-
porto col mondo reale inteso come oggetto, sono le sue
stesse rappresentazioni che diventano oggetto. E Feuer-
bach conclude: Quanto maggiore l'astrazione che egli
compie, quanto pi radicale la negazione del mondo sen-
sibile, tanto pi egli , proprio nell'astrazione, un essere
sensibile. Dio, l'uno, il pi alto oggetto e il pi alto
essere che derivi dall'astrazione di ci che molteplice
e dilferenziato, cio del mondo sensibile, viene conosciuto
mediante un contatto diretto, attraverso una presenza
immediata (parusa)
10

La formula, in cui Feuerbach compendia conclusiva-
mente questa sua critica della filosofia di Hegel, che la
dialettica hegeliana una rationnelle Mystik o - come
68 lvi, p. 112.
ffJ lvi, p. 114.
'10 lvi, p. 113.
134
ripeter .il giovane Marx nella sua Critica del '43 - che
essa misticismo logico . Dove per rnisticismo non
da intendere, ovviamente, un prodotto del sentimento,
quanto piuttosto il risultato di quello scambio o confu-
sione, che abbiamo gi visto, per cui alla ragione viene
attribuita, oltre alla funzione logica o del pensiero, anche
la funzione dell'essere empirico e della sensazione.
Questi sommari accenni valgono a dare un'idea e l l ~
complessit e della ricchezza di motivi, da cui ha tratto
alimento la critica della dialettica hegeliana che conte-
nuta negli scritti di Feuerbach del periodo tra il '39 e
il '43 e in quelli giovanili di Marx del '43-44. In essa
confluiscono temi che sono stati desunti, in parte, diret-
tamente da Aristotele, in parte dall'analisi - improntata
pur essa a motivi aristotelici - di Trendelenburg. Di
pi: nel caso almeno di Feuerbach, risulta aver operato
anche il riferimento a Kant e, in particolare, al Kant
dell'argomento dei cento talleri , oltrech della critica
della prova antologica
71

E tuttavia, di fronte al rigore del discorso di Trende-
lenburg e alla sua capacit di afferrare i termini essenziali
delle questioni logiche implicate dalla dialettica di Hegel
(le questioni, in particolare, della diversa natura dell' op-
posizione reale e della << contraddizione logica ), in-
dubbio che la critica di Feuerbach e di Marx si rivela
ancora insufficiente. Nel tono e nelle intenzioni, essa
quanto di pi radicale si possa immaginare. Feuerbach
si spinge fino al punto di liquidare, di sana pianta, la
dialettica di Hegel. Altrettanto avviene con la Kritik di
Marx del '43, dove della dialettica di Hegel fatto scem-
pio. E, nondimeno, nessuno dei due autori riesce a pene-
trare fino alle radici ultime del problema.
L'apprezzamento pu sembrare ingiusto e impietoso.
7
1 lvi, p. 106.
135
Si tratta, invece, di uno dei rari casr m cui il giudizio
pu essere suffragato da un argomento incontrovertibile.
Feuerbach, che rifiuta in toto la dialettica di Hegel, con-
tinua al tempo stesso a parlare di alienazione a proposito
della religione. Respinge, cio, la dialettica, nel momento
stesso in cui continua a presupp.orla e a fame uso. L'alie-
nazione, infatti, un momento del processo dialettico:
essa corrisponde all'autoscissione dell'unit. Pretendere di
attribuirle un senso tecnico rigoroso, fuori e a prescin-
dere dagli strumenti della logica dialettica, non solo
impossibile ma un non senso. Feuerbach, dunque, che,
da un lato, respinge la dialettica e non vuol pi saperne,
dall'altro la lascia agire implicitamente e senza render-
sene conto.
L'equivoco - o, come forse sarebbe meglio dire, il
paradosso - si ripete nel caso del giovane Marx. La sua
Kritik del '43 contiene una confutazione implacabile della
dtalettica di Hegel. La dialettica tacciata di mistici-
. smo logico. Marx si accanisce a denunciarne le misti-
fcazioni . Ci non toglie, tuttavia, che egli continui,
contemporaneamente, a presupporla e ad adoperarne gli
strumenti. Come Feuerbach per la religione, cosl Marx
sviluppa ora l'analisi dello Stato politico moderno in ter-
mini di alienazione.
Il risultato quanto di pi paradossale si possa imma-
ginare. Marx, che sottopone a critica radicale la dialettica
di Hegel, ne ribadisce, al contempo e senza avvedersene,
le conclusioni. Respinge, cio, la logica della contraddi-
zione dialettica, nel momento stesso in cui interpreta lo
Stato rappresentativo moderno in termini di teoria del-
l'alienazione. L' alienazione politica nascerebbe dalla
separazione o scissione, che interViene nelle condizioni
moderne, tra Stato e societ civile . E, poich
l'alienazione, in quapto scissione dell' unit originaria
(l'unit di vita pubblica e vita privata che sussisteva nella
136
comutlit primitiva e, in parte, ancora nella polis greca),
riconosciuta giustamente come la figura stessa della
contraddizione, Marx conclude accogliendo implicita-
mente quello che il nucleo essenziale della filosofia di
Hegel: cio il concetto dell'esistenza di contraddizioni
reali.
Poste queste premesse, gli sviluppi successivi de] rap-
porto di Marx con Hegel si rivelano non solo compren-
sibili ma inevitabili. n tema dell'alienazione - gi cen-
trale nei Manoscritti del '44 - finisce, a poco a poco,
con l'imporre - n avrebbe potuto essere altrimenti -
una nuova considerazione della dialettica di Hegel (di cui
-l'alienazione stessa un momento inseparabile), fino a
quella vera e propria riabilitazione di essa, di cui testi-
monianza la lettera di Marx ad Engels del 14 gennaio
8 ~ 8 : quando egli scrive cpe, quanto al metodo del
lavoro (e si tratta della stesura dei Grundrisse ), gli ha
reso un grandissimo servizio il fatto di aver riveduto
la Logica di Hegel .
A questo punto, ci che era in sospensione fin dal '44
precipita. Il lavoro che produce valore si conferma
essere il lavoro alienato stesso. Cio, la teoria dell'aliena-
zione o reificazione , e la teoria del valore (e, dun-
que, del denaro e del capitale ) vengono a coinci-
dere. E, poich l'alienazione la contraddizione, che pro-
cede dall'autoscissione dell' unit, la conclusione ultima
che teoria del valore , teoria dell'alienazione e
teoria della contraddizione dialettica si rivelano, infine,
essere una stessa e medesima cosa
72
Con la conseguenza
che il tentativo di Marx di sviluppare un'analisi scientifica
del modo di produzione capitalistico risulta minato irre-
parabilmente e alle radici.
72 Per uno sviluppo pi ampio di quest'argomeno, cfr. Marxi
smo e dialettica cit., pp. 109-10.
137
13. Un breve riepilogo, prima eli avviarci. alla parte
conclusiva. Tento eli richiamare (e integrare) alcuni dei
motivi pi significativi che sono affiorati nel corso del-
l'analisi. Essi sono, pi o meno, i seguenti:
a) Concezione negativa o platonica della materia,
cio dell'essere empirico-reale come non-essere. La conce-
zione presente, abbiamo visto, anche in Leibniz. Essa
annulla e rende inconcepibile la distinzione tra contrad-
dizione e contrariet, tra opposizione logica e oppo-
. sizione reale. Assumendo infatti il reale come non-essere,
essa trasforma immediatamente il contrario o oppo-
sto reale (B), nella semplice negazione logica (non-A).
Per Leibniz - elice Kant - questa Ja sorte che subi-
scono tutte le realt contrarie . Secondo lui, per
esempio, tutti i mali non sono se non conseguenza dei
limiti delle creature, cio negazioni [corsivo mio], poich
queste sono l 'unica cosa che si opponga alla realt
73

Da qui, il principio degli indiscernibili di Leibniz.
Esso si fondava propriamente - dice Kant - sul pre-
supposto, che se nel concetto di una cosa in generale
non si incontra una certa difierenza, essa non si incon-
trer nemmeno nelle cose stesse
74
. Si fondava sulla tesi,
in altre parole, che, se non c' contraddizione (logica) tra
i concetti, non ci pu essere neppure opposizione (reale)
tra le cose. In base a questo principio, prosegue Kant,
i seguaci di lui trovano non pure possibile, ma anche
naturale, di riunire in un Ente tutte .le realt senza darsi
pensiero d'alcuna opposizione, poich essi non ne cono-
scono alcun'altra all'infuori della contraddizione (per cui
il concetto stesso di una cosa viene annullato), ma non
quella del reciproco annullamento, per cui un principio
73
I. Kant, Critica della ragion pura cit., I , p. 269.
74
l vi, p. 275.
138
reale annulla l'effetto dell'altro
75
Donde, l' armonia
prestabilita .
b) La concezione negativa o platonica della mate-
ria alla base anche del pensiero di Hegel. Il finito non
ha un vero essere. Il finito ideale . Essendo tale, il
finito immediatamente, anche per Hegel, negazione lo-
gica: cio il contrario )> o opposto reale ridotto,
anche in lui, a opposto contraddittorio. A differenza
per di Leibniz, che esclude e rifiuta la contraddizione,
Hegel ]'include e l'afferma. Egli tenta di comporre i con-
traddittori in unit (coincidentia oppositorum), come se,
al pari dei (j .contrari aristotelici, essi avessero un genere
in comune. La differenza , per, che, mentre il genere
che abbraccia i contrari in Aristotele un genere empi-
rico, l'unit dei contraddittori in Hegel l'Assoluto,
l'unit-totalit. Da qui, un vero e proprio monstrum logico
(che, da a1lora, in poi, sarebbe .stato causa di confusione
infinita): Hegel tratta i contraddittori - cio gli opposti
pi esclusivi per eccellenza - come componibili, cio come
opposti che si implicano e si includono a vicenda.
c) La concezione negativa o platonica della mate-
ria, trasformando il positivo o reale nel negativo logico,
d luogo, in Hegel, alla tesi che tutte le cose sono in
se stesse contraddittorie , cio che la materia contrad-
dizione. D luogo, insomma, a quella dialettica del fi-
nito >> o della materia che - nella sua insipienza e inge-
nuit filosofica - il marxismo assume invece come la
forma superiore o moderna del materialismo.
d) In realt, la tesi che la materia contraddizione
il tentativo estremo di liquidazione del materialismo,
cio - per quel tanto che quest'ultimo pu riguardare
la filosofia - del realismo empirico
76
in gnoseologia. La
75 lvi , p. 270.
76 Quest'espressione realismo empirico ,. gi in M. Schlick
139
tesi infatti che il finito la negazione di s in .s, la
tesi stessa che il finito ideale, cio interno all'Idea. E,
come essa implica chiaramente che il finito non abbia un
vero essere, n sussista per s, cos implica, anche, la
negazione del carattere extralogico dell'esistenza. Non a
caso, infatti, proprio questa l' affermazione di Kant che
risultata essere alla base della distinzione tra oppo-
sizione logica .e opposizione reale )> .
e) La tesi che esistono contraddizioni reali liquida,
dunque, a un tempo, e il principio di non-contraddizione
e il carattere extralogico dell'esistenza. In altre parole,
realismo empirico e principio di non-contraddizione risul-
tano avvinti l'uno .all'altro, per la vita e per la morte.
Essi stanno o cadono insieme. Prova ne sia la scienia
stessa: la quale - essendo (per riprendere le parole di
Popper, prima citate) sempre fondata sul principio di
non-contraddizione e, quindi, sull'affermazione che nes-
suna proposizione autocontraddittoria, o nessuna coppia
di proposizioni contraddittorie, pu essere vera, cio cor-
rispondente ai fatti )> - risulta fondata sul principio stesso
del realismo in gnoseologia, cio sulla teoria della verit
come corrispondenza n.
(dr. Tra realismo e neopositivismo, a cura di L. Geymonat, BolO.
gna 1974, p. 111).
n Per una ripresa moderna della teoria della verit come cor-
rispondenza, dr., tra l'altro, A. Tarski, La concezione semantica
della verit e i fondamenti della semantica (in AA.W., Semantica
e filosofia del lingaggio, Milano 1969, p. 29), B. Russell, An In-
quiry into Meaning and Truth, London 1940, cap. XXI e K. Popper,
Ob;ective Knowledge, Oxford 1973.
140
IV. Il principio di non-contraddizione in Aristotele e m
Kant
14. Decisivo, per affrontare le ultime questioni ora
accennate, il libro IV della Metafisica di Aristotele. Ari-
stotele vi afferma
78
il principio di non-contraddizione (
impossibile che la stessa cosa, ad un. tempo, appartenga
e non appartenga ad una medesima cosa, secondo lo stesso
rispetto ) in polemica con quelli che potremmo chiamare
i dialettici della materia del tempo, cio in generale
con i seguaci di Eraclito. Si tratta degli autori i quali
ritengono possibile (e si ricordi Engels) credere che una
stessa cosa sia e non sia, come, secondo alcuni , avrebbe
detto Eraclito . Ovvero di coloro i quali affermano che
la stessa cosa pu essere e non essere . Laddove - pro-
segue Aristotele - noi, invece, abbiamo stabilito che
impossibile h ~ una cosa, nello stesso tempo, sia e
non sia
79

Ora, l'argomento risolutivo che Aristotele adduce con-
tro i dialettici che, se di uno stesso ente reale si pre-
. dicano simultaneamente i contraddittori, si scambiano,
cos facendo, due cose diversissime tra loro: cio (si noti
bene questo) . il soggetto o sostrato del giudizio e il pre-
dicato, ovvero il significare una cosa unica (il s-
mainein ben) e il significare l'attributo di una cosa
(smainein kath' henos) . chiaro, infatti, che, se si scam-
bia il secondo caso col primo, e cio l' affermazione l'uo-
mo bianco o l'uomo musica >> (che il significare
l'attributo o predicato) con l'affermazione, ad esempio,
l'uomo animale bipede >> (che il significare, invece,
la cosa stessa, cio il soggetto o sostrato ), ne risulter
78 Metaphys., 1005b 20. Mi servo sempre dell'edizione, sopra
citata, a cura di G. Reale.
79 lvi, 1005b 25 e 1006a.
141
he - essendo bianco o musica non-uomo - sar
possibile concludere, appunto, che l'uomo tanto uomo
quanto <(non-uomo
110
Ma- precisa Aristotele- noi
non reputiamo che " significare una determinata cosa"
sia lo stesso che " significare l'attributo di una determi-
nata cosa ", giacch, in tal modo, verrebbe a significare
una medesima cosa e " musico " e " bianco " e " uomo "
e, di conseguenza, tutte le cose si ridurrebbero ad una
unica, perch avrebbero tutte lo stesso significato
81

Fin qui parrebbe ancora che Aristotele si stia preoc-
cupando, fondamentalmente, del problema del significato
e della forma dell'asserzione. In questo senso, la predi-
cazione simultanea dei contraddittori in relazione a un
medesimo soggetto avrebbe come effetto l'indetermina- .
tezza del significato. E, avverte Aristotele, il non avere
un determinato significato equivale a non avere alcun
significato ; ma, allora, verrebbe meno la possibilit del
discorso e del pensiero stesso: infatti, non si pu pen-
sare nulla, se non si pensa una determinata cosa
82
.
Parrebbe, insomma, che, nella polemica contro i nega-
tori dialettici del principio di non-contraddizione, il
problema di Aristotele debba essere, anzitutto, quello
semantico e cio di stabilire, com'egli afferma, che il
nome esprime un determinato significato e uno solo>>.
Senonch, la portata dell'argomentazione ben altra. E
Aristotele lo rileva subito: il problema di cui d stiamo
occupando [precisa], non se sia possibile che la mede-
sima cosa sia o non sia uomo quanto al nome, ma quanto
alla cosa stessa
83
E lngemar Di.iring conferma: Qui
si vede che l'espressione hen semainein, centrale per l'ar-
110 Cfr. l'ottimo commento di G. Reale in Aristotele, Metafisica
cit., I , p. 335.
Bt Metaphys., 1006b 15.
82 lvi, 1006b 5-10.
83 lvi, 1006b 20.
142
gomentazione, non significa semplicemente " ha un iden-
tico senso ", o "vale per ci che identico ", ma ha un
senso esistenziale
84

Ma, allora, qual l'argomento decisivo di Aristotele
contro i dialettici della materia , seguaci di Eraclito?
L'argomento di natura tale da investire direttamente
il problema della realt, cio dell'esistenza o dell'ente.
Ed esso afferma che - riducendo il significare una
cosa unica al significare l'attributo o predicato di
una cosa - i dialettici annullano il sostrato o ente
reale: cio - si presti attenzione - riducono il soggetto
o ypokeimenon a un predicato esso stesso.
I negatori del principio di non-contraddizione - af-
ferma Aristotele - sopprimono la sostanza e l'essenza
delle cose . <( Infatti, essi devono, di necessit, affermare
che tutto accidente, cio attributo o predicato. E, in
realt, <( coloro che sostengono questo - cio, che
l'essenza dell'uomo pu <( essere anche l'essenza di
non-uomo o la non-essenza di uomo - debbono s ~
stenere, necessariamente, che non possibile definire l'es-
senza di alcunch e che tutto esiste a guisa di accidente .
Ma [egli prosegue] se tutte le cose si dicono come
accidente, non potr esserci nulla che funga da soggetto
primo degli accidenti, mentre l'accidente esprime sempre
un predicato di qualche soggetto (corsivo mio). E, final-
mente, Aristotee cos conclude: Dunque, dovr esserci
anche qualcosa che esprime la sostanza. E, se cos,
risulta provato che impossibile che i contraddittori si
predichino insieme
85

Si afferri bene la portata di questo argomento. Esso
riposa interamente sulla distinzione tra la <( sost anza pri-
ma e le altre categorie , cio tra l'ente reale, o esi-
&4 I. Diiring, Aristotele ci t., p. 677 :
85 Metaphys., 1007a 20-25, 30-35 e 1007b 15.
143
stente, e i predicati logici. Riposa, quindi, sull'impossi-
bilit di commutare il sostrato o sostanza prima (che
l' oggetto individuo o determinato) in predicato o. catego-
ria logica
86
Come Aristotele, del resto, afferma in pi
punti della sua opera. Nelle Categorie, ad esempio, quan-
do rileva che: Sostanza nel senso pi proprio, in p r ~ o
luogo e nella pi grande misura, quello che non si dice
di un qualche sostrato (2a 10). O, anche, che dalla
sostanza prima non proviene alcuna predicazione dal mo-
mento che essa non si dice di alcun sostrato (3a 35).
O, infine, nei Secondi Analitici, quando - avendo pre-
messo che la sostanza, tutto ci che esprime, insomma,
un oggetto immediato, non si trova ad essere qualcos'altro
se non ci che per l'appunto - conclude: Chiamo
dunque per s gli oggetti che non si dicono di un sostrato,
ed invece accidentali le determinazioni che si dicono di
un sostrato (7 3b 5-10)
117

Stringiamo ancora di pi il senso del discorso. Esso
ci dice due cose fondamentalissime. a) Che i dialettici
della materia, negando il principio di non-contraddizione,
devono anche sopprimere la sostanza prima o sostrato
materiale, in quanto la riducono a predicato logico. E b)
che l' affermazione del principio di non-contraddizione ri-
posa, inversamente, sul riconoscimento dell'irriducibilit
del soggetto-sostrato alle altre categorie: il che vuoi dire
che la distinzione aristotelica tra la sostanza prima e
86
Sulla distirizione tra la sostanza prima e le altre cate-
gorie, cfr. F. Brentano, Von der mannigfachen Bedeutung des
Seienden nach Aristoteles cit., pp. 97 102.
117 Nel libro VII della Metafisica, cap. III, 1029a 20, Aristo-
tele afferma che tutte le altre categorie vengono predicate della
sostanza e questa, a sua volta, della materia. C', dunque, un
caso, seppur anomalo, 1n cui anche la sostanza pu essere pre-
dicato. Su questo punto particolare, cfr. J. Owens, Matter and
Predication in Aristotle, in Aristotle. A Collection of critical Essays,
a cura di J. M. E. Moravcsik, London 1968, pp. 191-214.
144
le altre t categorie esprime, alla lettera, lo stesso princtpw
che, nei. tempi moderni, verr recuperato da Kant con
l'affermazione capitale che l' essere non un predicato ,
ovvero che l'esistenza di natura e origine extralogica.
In altre parole, alla base del principio della contrad-
dizione logica da evitare, risulta stare quel fondamento
reale che l'oggetto esistente stesso
88
: onde, non solo
realismo empirico e principio di non-contraddizione risul-
tano coniugarsi insieme
89
, ma il principio di non-contrad-
dizione si scopre, a sua volta, essere noetico e dianoetico
a un tempo, cio tanto principio di determinazione reale
(e, quindi, principio ontico), quanto principio logico o del
giudizio
90

Ed quanto confermano, appunto, i maggiori studiosi
di Aristotele. Esempio: W. David Ross, il quale, ripor-
tando la formulazione del principio di non-contraddizione,
annota: Si osserver che ci espresso in modo del
tutto obiettivo, come una legge dell'essere
91
Oppure In-
gemar Diiring: il quale, non solo afferma che il concetto
di ousia sta alla base della discussione [ .. . 1 sul principio
di [non- ]contraddizione, perch chi nega questo prin-
cipio, deve negare anche l'ousia, cio deve contestare che
ci sia qualcosa. Non solo rileva che il principio di
[non- ]contraddizione valido solo a condizione che il
senso di una parola sia esattamente definito, e soltanto
le ousiai consentono una tale definizione. Ma osserva
88 Cfr. A. Trendelenburg, op. cit., p. 31, dove si parla dello
sforzo di Aristotele per attingere, nel formulare il principio, einen
untheilbaren Punkt an den Dingen, e cfr. anche G. Della Volpe,
Logica come scienza positiva cit., pp. 134-5.
89 Cfr .. E . ~ r t i Studi aristotelici, L'Aquila 1975, p. 87, dove
si parla dell'unit indissolubile fra principio di non-contraddizione
~ esperienza ,
!O Cfr. G. Calogero, I fondamenti della logica aristotelica, Fi-
renze 1927, pp. 42-5.
91 W. D. Ross, Aristotele cit., p. 155.
145
che, in Aristotele, la predicazione semhra fin dall'inizio
avere un significato antologico; onde, alla fine, conclude:
Qui vediamo davvero molto chiaramente che la forma
dell'asserzione costituisce, s, il suo punto di partenza,
ma che per ci che -a lui importa il contenuto ogget-
tivo del pensiero o dell'espressione. Quel che egli vuol
dimostrare che certe affermazioni devono esser vere;
identifica la verit dell'asserzione e l'esistenza reale
92

15. Ma la polemica di Aristotele contro i dialettici
della materia non si arresta qui. Egli riprende l'argo-
mento che, se relativamente ad un medesimo soggetto
sono vere, -ad un tempo, tutte le affermazioni contraddit-
torie, evidente che tutte quante le cose si ridurranno ad
una sola e, infatti, saranno la medesima cosa e una
" trireme" e una " parete " e un " uomo" . Dopodich
- avendo rilevato che allora tutte le cose saranno con-
fuse insieme e, di conseguenza, non potr veramente esi-
stere alcuna realt (determinata)
93
- egli si volge, an-
cora una volta, contro i negatori del principio di non"
contraddizione che pongono tutta la realt sensibile in
continuo movimento e mutamento. La sua replica che
costoro, che sostengono che l'essere e il non-essere esi-
stono insieme, dovrebbero affermare che tutto fermo
e non che tutto in movimento: infatti, secondo questa
dottrina, non pu esserci qualcosa in cui l'oggetto si possa
trasmutare, perch tutto esiste gi in tutto
94

Gli autori presi di mira sono, come sempre, coloro-
che si dicono seguaci di Eraclito e, in particolare, Cra-
tilo, il quale era arrivato persino a rimproverare il mae-
stro di aver detto che non possibile bagnarsi due
92
l. Di.iring, Aristotele cit ., pp. 676-7 e 688.
93 Metaphys., 1007b 20-25.
94 lvi, lOIOa 35.
146
volte nello stesso fiume: Cratilo, infatti, pensava che
non fosse possibile neppure una volta}>
95

Ora, dinanzi a questi rappresentanti estremi (com-
pteso il loro ultimo epigono, Protagora) della concezione
dialettica della materia e, quindi, della radicale contrad-
dittoriet di tutto ci ch' sensibile, significativo come
Aristotele risponda. Egli oppone una concezione a-dialet-
tica del senso. Il senso non si contraddice mai circa il
percepito. Il senso-percezione vero e proprio, libero da
ogni mescolanza di associazione e di interpretazione - com-
menta Ross
96
- infallibile. E infatti, premesso che
ogni senso va riferito all'oggetto che gli proprio, Ari-
stotele afferma che nessuno di questi sensi dice mai,
nello stesso tempo, intorno alla stessa cosa, che essa
cosi e, ad un tempo, non cos. Ma neppure - ag
giunge - in tempi diversi, almeno per quanto riguarda
la . qualit, un senso pu essere in contraddizione con se
stesso; esso potr ingannarsi solamente riguardo alla cosa
cui appartiene la qualit. Per esempio, lo stesso vino pu
sembrare talora dolce e talora non dolce (o perch esso
stesso inutato o perch si mutato il nostro corpo); ma
non certo mutato il dolce e la qualit che il dolce ha
<Juando c': e il senso dice sempre il vero intorno ad
esso, e ci che dovr esser dolce dovr avere necessaria-
mente tale qualit '11.
95 lvi, 1010a 10-15.
96 W. D. Ross, op. cit., p. 157.
'11 Metaphys., 1010b 15-25. qui, com' noto, che si radica
anche il problema del fondamento antepredicativo della verit in
Aristotele. Cfr., ad es., J. Moreau, Aristate et la vrit antprdi-
cative, in Aristate et les problmes de mthode cit., pp. 22 sgg.
Questo punto di vista serve a riequilibrare la trattazi6ne, peraltro
Cellente, dd problema della verit in Aristotele, fornita da
P. Wilpert nel suo saggio del 1940, ora ristampato nel volume
miscellaneo, Logik und Erleenntnislehre des Aristoteles, Darmstadt
1972, pp. 106 sgg.
147
palesemente - come ha visto bene Ross
98
- una
confutazione dell' idealismo soggettivo , cio della scepsi
verso il sensibile, a cui Aristotele giunge partendo dalla
discussione del principio di non-contraddizione. E non
sorprende che la reciproca implicazione di questo prin-
cipio con quello del realismo empirico esca confermata,
anche in questo caso, dalla teoria della sensazione. Ari-
stotele nega la possibilit di ridurre il sensibile alla na-
tura del soggetto senziente. Se esiste solamente ci che
percepibile dai sensi, qualora non ci fossero esseri ani-
mati non potrebbe esserci nulla: infatti , in tal caso, non
potrebbero esserci sensazioni. Ma - egli aggiunge -
impossibile che gli oggetti che producono le sensazioni
non esistano anche indipendentemente dalla sensazione.
Infatti, la sensazione non sensazione di se medesima,
ma esiste qualcosa che altro dalla sensazione e al di
fuori della sensazione, il quale esiste, di necessit, prima
della sensazione stessa >>
99
.
il punto estremo a cui si spinge il realismo empi-
rico di Aristotele. Ed decisivo osservare come, proprio
a partire da questa concezione positiva del sensibile, Ari-
stotele imposti la sua critica del platonismo. Il richiamo
alla dottrina delle Idee , nel libro I della Metafisica,
esordisce ponendo subito in rilievo la concezione nega-
tiva del sensibile in Platone. Essendo stato 6n da gio-
vane amico di Cratilo e seguace delle dottrine eraclitee,
secondo le quali tutte quante le cose sensibili sono in
continuo flusso e di esse non possibile scienza , Pla-
tone - dice Aristotele - mantenne queste convinzioni
anche in seguito . D'altra parte, egli accolse l'insegna-
mento di Socrate, il quale, nella sua ricerca dell' uni-
versale , aveva fissato la sua attenzione sulle defin-
98 W. D. Ross, op. cit., p. 157.
99
Metaphys., 1010b 30-35.
148
zioni . Il risultato fu - osserva Aristotele - che, nel-
l'accettare questa dottrina socratica, Platone credette, a
causa di quella convinzione che aveva accolto dagli era-
clitei, che le definizioni si riferissero ad altre realt e non
alle realt sensibili: infatti, egli riteneva impossibile che
la definizione universale si riferisse a qualcuno degli og-
getti sensibili, perch soggetti a continuo mutamento. Egli,
allora, denomin codeste altre realt Idee
100

Qui, l'implicazione organica tra la concezione negativa
del sensibile, da una patte, e, da,ll'altra, l'ipostatizzazione
o sostantificazione dell'astratto, cio dell'universale logico
(e, quindi, ancora una volta, lo scambio di soggetto
e predicato ), colta immediatamente e con chiarezza
assoluta. Poich l'elemento empirico-sensibile <<non ,
non ha vera realt, e qualcosa tuttavia deve pur fare da
fondamento o so strato , la funzione dell' essere
addossata all'Idea. Si tratta, in sostanza, del procedi-
mento dell'ectesi, su cui Aristotele ritorna ripetutamente
(in A, 9, 992b 10, in B, 6, 1003a 10 e in M, 9, 1086b
10). E che, come Giovanni Reale ha visto assai bene (ser-
vendosi anche del .commento di Alessandro di Afrodisia),
significa il procedimento proprio dei Platonici di dare
esistenza separata ai predicati. universali, vale a dire di
sostantificare o ipostatizzare gli attributi universali: pro-
cedimento che - come Reale precisa, poi, molto oppor-
tunamente, contro l'infelice traduzione di Carlini - sta
a indicare che l'ectesi platonica non affatto astrazione
(logica) ma ipostatizzazione antologica
101

100
lvi, 987a 32- 987b 5-10. Circa l'influenza di Eraclito sul
pensiero di Platone, dr. Wilamowitz, Platon, Berlin 1920, vol. I,
p. 90. E dr. anche l'introduzione di L. Mridier al .Cratilo pla-
tonico nell'edizione Les Belles Lettres , Paris 1931, pp. 36 sgg.
101 Il commento di G. Reale alle pp. 207-8 del vol. I della
Metafisica nell'ed. cit. E cfr. anche E. Berti, Aristotele cit., pp. 247
e 262-3.
149
16. Una breve precisazione ancora sul principio di
non-contraddizione, -prima di concludere. evidente la
radicale diversit che separa il principio nella formula-
zione aristotelica originaria dall'interpretazione scolastico-
razionalistica. Attraverso quest'interpretazione, il principio
di non-contraddizione stato trasformato in semplice prin-
cipio di identit, cio in un principio puramente formale.
Esso diventato il principio delle verit di ragione
in Leibniz e, in Kant, il principio supremo dei giudizi
analitici . Cosl trasformato, il principio ha finito col con-
cernere soltanto l'identit del pensiero con s, la coe-
renza formale, anzich la congruenza o corrispondenza
del pensiero con la realt. Esso ha perso, cio, interamente
la portata ontica, che aveva in Aristotele, in quanto prin-
cipio della contraddizione logica da evitare e, al tempo
stesso, principio della determinazione reale. Il punto
importante da chiarire anche perch, nell'insorgere con-
tro la cosiddetta logica formale , il marxismo non ha.
mai mostrato di avere alcuna percezione della differenza
che qui in gioco.
Sotto questo profilo, significativa, invece, la rigo-
rosa consapevolezza che Trendelenburg mostra di posse-
dere anche a questo riguardo. La logica formale suole
chiamarsi aristotelica - egli scrive - e cerca la pro-
tezione di questo grande nome. Ha diritto di farlo? Ri-
mane fedele al fondatore della scienza logica? Noi notiamo
qui- continua Trendelenburg- un'essenziale differenza.
Aristotele non esprime affatto l'intenzione di concepire
le forme del pensiero unicamente a partire da loro stesse ..
Una tale separazione estranea ad Aristotele ed un
ritrovato moderno. Scienza e opinione sono per lui, da
una parte, anche condizionate dall'oggetto. [ ... ] L'intera
espressione che Aristotele d [al principio di non-con-
traddizione] si allontana notevolmente dalla maniera pu-
150
ramente ' logica in cui esso viene inteso .dai moderni 1!
12

E Trendelenburg indica bene dove stia la differenza.
Dopo aver riportato infatti l'enunciazione originaria del
principio, egli rileva: In questa serrata formulazione,
Aristotele lotta palesemente per raggiungere un punto
indi visibile nelle cose [e si tratta, appunto, dell'indivi-
dualit, o puntualit, o univocit del sostrato] che, come
tale, debba essere in s determinato cos da escludere
l'ambiguit o equivocit del concepimento da parte del
pensiero. E, poco oltre, aggiunge: Kant invece, che
era orientato alla rigorosa separazione della logica formale
[da ogni riferimento alla realt], cancell l'ultima traccia
dell'origine metafisica [leggi: antologica] che era ancora
percepibile nel principio, ricordando che, nell'espressione
secondo cui A non pu essere al tempo stesso (zugleich)
non-A, la determinazione temporale " zugleich " non riguar-
dava in alcun modo la logica
103

L'esposizione di Trendelenburg assolutamente cor-
retta. Il principio di non-contraddizione, in Kant, riguarda
soltanto la coerenza formale del pensiero con s, la possi-
bilit logica. Esso semplicemente un principium rationis.
Non si estende in alcun modo alla possibilit reale, n,
. quindi, coinvolge in alcun senso Ia congruenza o corri-
spondenza tra il pensiero e la realt. Kant considera che
possa darsi coerenza formale del pensiero con s, a pre-
scindere dalla sua congruenza con la realt e, quindi, indi-
pendentemente dal fatto che al pensiero sia dato un og-
getto da pensare. Qui il suo apriorismo si tocca con mano.
Un pensiero, che si contraddica quanto alla forma, cer-
tamente, per Kant, un pensiero che si autodistrugge e si
10
2 A. Trendelenburg, op. cit ., p. 30. Si vedano anche le ottime
pagine dedicate alla questione da M. Rossi, Marx e la dialettica
hegeliana, Roma 1963, vol. II, pp. 72-3.
103 I vi, pp. 30-2.
151
annulla. Ma, se la coerenza rispettata e la contraddi-
zione logica non insorge, il pensiero potr sussistere, per
Kant, anche indipendentemente dal riferimento alla realt.
In tal caso, esso sar vuoto ma non nullo. Sussister,
cio, come a priori. Non a caso, Kant distingue tra denken
e erkennen, tra pensare e conoscere. Per lui, possibile
che si dia pensiero, anche a prescindere dal riferimento
all'oggetto (per Aristotele, invece, abbiamo visto, non
si . pu pensare nulla se non si pensa una determinata
cosa ). E la coerenza formale del pensiero con s, sep.
pure non condizione sufficiente, tuttavia conditio sine
qua non della verit.
, Il peso negativo che il formalismo razionalistico
astratto continua, malgrado tutto, a .esercitare . sul pen-
siero di Kant, indubbio. Ed certo che, proprio alla
luce di ci, risulta anche ridimensionato l'accostamento
da noi piima perato tra Aristotele e Kant. fuori di-
scussione che i due pensatori si toccano in un punto deci-
sivo: la teoria aristotelica, secondo cui la sostanza pri-
ma, l'oggetto individuo, non mai convertibile i n pre-
dicato logico n, quindi, da confondere con le altre
categorie, ha il suo riscontro moderno nella tesi di Kant
circa il carattere extralogico dell'esistenza, ovvero nella
sua affermazione che l'esistenza non affatto predicato
o determinazione di una qualche cosa
104

E, nondimeno, proprio questo punto d'incontro tra i
due pensatori lascia meglio misurare la loro differenza.
In Aristotele, la teoria dell'ousia, cio della diversit del
so strato dalle altre categorie (e, quindi, dell'irriducibilit
del soggetto ~ al predicato ), concorre alla fondazione
del principio di non-contraddizione, attraverso la dimo-
strazione di come i negatori dialettici di esso siano anche
104 Cfr. L'unico argomento possibile, in I. Kant, Scritti pre-
critici dt ., p. 111.
152
costretti a negare ogni ente reale, cio a ridurre tutto ad
accidente e, perci, a predicato. Principio di realt e prin-
cipio logico in Aristotele si saldano insieme. Non cosl,
invece, in Kant. In lui, i due principi rimangono disgiunti
e senza possibilit di entrare in rapporto. Donde l'assurdo,
nella Critica, della sopravvivenza della logica formale ,
accanto e prima della logica trascendentale .
E, tuttavia, quanto profondi e seri siano i motivi ari-
stotelici che si agitano al fondo della riflessione di Kant
e come, insomma, il vero Aristotele moderno sia p r ~
prio lui (e non invece .. . quell'altro, che tanta influenza
ebbe su Marx), sta a provarlo non solo la ripresa che
Kant ha operato della teoria della verit come corrispon-
denza, ma l'elaborazione, originalissima, che del princi-
pio logico e del primo principio reale
105
, egli ha
dato, al momento del suo distacco massimo da Leibniz
e dalla vecchia tradizione del razionalismo astratto.
17. Torniamo al 1763. In quell'anno (che, per Kant,
dovette essere certo felice), oltre al Tentativo per intro-
durre nella filosofi'a il concetto delle quantit negative, egli
pubblic un altro piccolo scritto, il cosiddetto Beweis-
grund, cio L'unico argomento possibile per una dimo-
strazione dell'esistenza di Dio. In esso, il sistema di
Leibniz rovesciato da cima a fondo. Anche qui, natu-
ralmente, Kant mantiene la premessa che la contraddi-
zione logica dev'essere esclusa. Il pensiero, che si con-
traddice, si annulla; un triangolo quadrato impensabile .
e impossibile. E anche per lui, come per Leibniz, il pos-
sibile ci ch' pensabile in modo formalmente coerente,
cio il pensiero che non contraddice se stesso. Solo che,
sospinto dalla necessit di dar ragione della differenza tra
logica e realt (e, quindi, anche tra l' opposizione logica
105
lvi, p. 120.
153
e l' opposizione reale , tra la contraddizione e la con-
trariet), Kant, non solo capovolge tutto l'impianto del
discorso, ma arriva a scoprire tra principio logico e
principio reale un nuovo rapporto.
Per illustrare la nuova situazione in cui stiamo per
introdurci, conviene prendere le mosse dall'argomento on-
- tologico o, come Kant lo chiama nel Beweisgrund, . dalla
prova cartesiana ~ > Se dal concetto del puramente pos-
sibile come principio devesi concludere - dice Kant -
la esistenza come conseguenza, si deve poter trovare in
questo concetto del possibile la detta esistenza mediante
l'analisi di esso; giacch non vi ha altra deduzione di
una conseguenza da un concetto del possibile, se non per
mezzo dell'analisi logica. In tal caso dovrebbe l'esistenza,
<:ome predicato, esser contenuta nel possibile
1
1),1.
Ora, il punto che Kant solleva gi nel capitolo primo
'del suo scritto proprio questo: l'esistenza non affatto
predicato ICI?, non un elemento logico o interno al pen-
siero. vero l'inverso. Non dal pensiero o possibile
che si ricava l'esistenza reale, bens l'esistenza o reale
che rende possibile il pensiero. Il di pi non del
possibile o della logica rispetto al reale ( la spiegazione
wolffiana dell'esistenza come compimento della possibilit
- rileva Kant con ironia - evidentemente molto inde-
terminata )
1
a ~ ; il di pi della realt rispetto alla
logica, dell'esistenza rispetto al pensiero: giacch nella
pura possibilit non posta la cosa stessa, ma son poste
soltanto semplici relazioni di qualcosa con qualcosa secondo
il principio di [non- ]contraddizione, e rimane assodato
che l'esistenza propriamente non punto predicato di
una qualche cosa ul9.
100
lvi, p. 204.
107
lvi, p. 111.
!al lvi, p. 115.
Il Ibid.
154
Qui, veramente, tutto rovesciato. Per Leibniz, la
non-contraddizione logica, la coerenza formale del pensiero
con s, richiedeva che si escludesse o negasse la materia
in quanto non-essere. Per Kant, viceversa, per il quale
la materia, l'esistenza, non difetto o mancanza ma
un di pi ( nell'esistenza - scrive - vi pi che
nella semplice possibilit )) ), vero esattamente l'oppo-
sto: quando manchi qualcosa di reale da pensare cade la
stessa non-contraddizione o possibilit logica ed il pen-
siero stesso che viene meno. Non l'esistenza che pre-
suppone il pensiero, ma il pensiero, la possibilit logica
stessa che presuppone una qualche esistenza
110
Ogni
possibilit cade - scrive Kant - non solo quando si
trovi una intrinseca contraddizione, come il " logico " del-
l'impossibilit, ma anche quando non vi da pensare un
materiale, un dato. Poich allora non dato niente di
pensabile. [ ... ] Ora se ogni esistenza vien tolta, [ .. . ] non
dato materiale a un qualche pensabile: vien cos del
tutto meno ogni possibilit . E prosegue: Certo non
vi contraddizione intrinseca nella negazione di ogni
esistenza. Poich nella contraddizione si richiederebbe che
qualcosa fosse posto e nello stesso tempo tolto; cosl non
si pu certo dire che questo togliere contenga una con-
traddizione intrinseca. Ma che vi sia una possibilit e pur
o ~ vi sia nulla di reale, ci contradditt01'io; giacch,
se non esiste nulla, neppure dato nulla che sia allora
pensabile, e ci si contraddice se tuttavia si vuoi che qual-
cosa sia possibile
111
(corsivo mio).
L'antitesi rispetto a Leibniz non potrebb'essere pi
radicale. Alla sua conclusione che logicamente contrad-
dittorio e, quindi, assurdo riconoscere l'esistenza della
materia, Kant ora oppone che contraddittorio negare
JIO lvi, p. 115.
I li lvi , p . 118.
155
l'esistenza reale, la materia: giacch, negata questa, il pen-
siero stesso si annulla e vien meno la possibilit logica o
non-contraddizione.
Tanta chiarezza e rigore, su questo punto, non sareb-
bero stati pi toccati da Kant neppure al tempo della
Critica. Nella Critica, infatti, la non-contraddizione, cio
la coerenza logico-formale possibile anche in assenza di
qualsiasi contenuto
112
Un pensiero che non si. contrad-
dica e che tuttavia non sia riferito ad alcun materiale
sensibile e non abbia nulla di reale da pensare, solo
un pensiero vuoto ma non un pensiero che si annulla.
Il possibile logico, in altre parole, ha ancora la forma
vera e propria di un a priori.
Nel Beweisgrund, viceversa, .la posiziOne su questo
punto radicalmente opposta. Il pensiero coerente con
112
Anche questo mutamento di prospettiva che si compie
nella Critica ha, tuttavia, la sua ragion d'essere. La differenza,
posta da Leibniz, tra il principio di non-contraddizione come prin-
cipio delle verit di ragione e il principio di ragion sufficiente
come principio della possibilit reale , si era venuta sempre pi
attenuando con Wolff e Baumgarten. La conseguenza era che, nella
scuola leibniziana, il principio di identit e di non-contraddizione
(inteso come principio della mera coerenza del pensiero con s)
era venuto acquistando, immediatamente, valore e portata onta.
logica: come se la coerenza del pensiero con s potesse importare,
ipso facto, anche la corrispondenza del pensiero con la realt.
Dinanzi a questo stato di cose, lo sforzo della Critica di ridurre
il principio di non<ontraddizione a mero principium rationis, eli-
minando dalla formulazione aristotelica originaria anche il riferi-
mento alla determinazione temporale (cfr., sopra, il passo di Trende-
lenburg corrispondente alla n. 103), appare ispirato all'esigenza ami-
dogmatica di segnare nettamente la distinzione tra pensiero ed
essere, tra logica e realt. Cfr., su questo punto, l'ottima nota di
F. Volpi, Kants Elision der Zeit aus dem Satz vom Widerspruch,
inviata al Kant-Kongress indetto a Mainz per il 1981. Il cammino,
rebours, rispetto a Kant, compiuto invece da E. Husserl (dr.
Logica formale e trascendentale, Bari 1966), il quale non solo
assume il principio di non-contraddizione nell'accezione formali-
stica kantiana (si vedano, ad es., le pp. 80-1), ma gli restituisce
portata antologica (dr. ivi, p. 147).
156
s solo il pensiero che congruente con le cose. Un
pensiero che formalmente non si contraddica e che tut-
tavia sia vuoto, cio non riferito ad alcuna materia,
in realt contraddittorio e impossibile. Perch - spiega
Kant - che vi sia una possibilit e pur non vi sia nulla
di reale, ci contraddittorio; giacch, se non esiste
nulla, neppure dato nulla che sia allora pensabile, e ci
si contraddice se tuttavia si vuoi che qualcosa sia pos-
sibile.
La grande strada, aperta da Aristotele, - . finalmente
e seppure per un momento - ritrovata. Non la realt
che dipende dal pensiero, ma viceversa. La non-contrad-
dizione logica si instaura a partire dalla puntualit-univo-
cit della determinazione reale. La non-contraddizione non
si riduce alla coerenza formale del pensiero con s, ma
riguarda in primo luogo la congruenza o corrispondenza
del pensiero con la realt. Insomma, principio logico
e principio reale tornano, almeno per un attimo, a
congiungersi e coniugarsi insieme.
18. Concludo accennando ad alcune questioni, alle
quali non sono ora in grado di dare uno svolgimento pi
adeguato. La prima di tali questioni riguarda il modo in
cui la moderna filosofia della scienza ha ricevuto il prin-
cipio di non-contraddizione. Essa lo ha accolto come prin-
cipio della logica formale: e quindi, potremmo dire,
sulla linea del prolungamento e dello sviluppo della tra-
dizione procedente da Leibniz e da (un certo) Kant. Lo
ha ricevuto, in altre parole, come principio delle verit
di ragione o, secondo il senso ancora pi tecnico e neu-
trale gi impressogli da Kant, come mero principium ra-
tionis. Per questa via, il principio ha finito col far corpo
con le altre proposizioni della logica formale moderna:
le quali, com' noto, non dicono nulla circa la realt ma
trattano soltanto delle regole di trasformazione. Per ri-
157
prendere una celebre formulazione di Einstein, che si rife-
risce alle proposizioni della matematica ma che stata
estesa anche alla classe delle conoscenze logiche, nella
misura in cui si riferiscono alla realt, le leggi della ma-
tematica non sono certe, e nella misura in cui sono certe
non si riferiscono alla realt
113

Su questa base, a partire soprattutto dal primo Witt-
genstein, si giunti a suddividere le proposizioni (sensate)
nelle seguenti specie. In primo luogo, vi sono propo-
sizioni vere in virt della sola forma. (" tautologie ", se-
condo Wittgenstein; esse corrispondono all'incirca ai " giu-
dizi analitici" di . Kant), le quali non asseriscono nulla
intorno alla realt. A questa specie appartengono le for-
mule della logica e della matematica, le quali non sono
in se stesse degli enunciati sulla realt, ma servono alla
trasformazione di tali enunciati. In secondo luogo, vi
sono le negazioni di tali proposizioni (" contraddizioni "),
le quali sono auto-contraddittorie, ossia false .in virt della
sola forma. Per quanto riguarda tutte le rimanenti pro-
posizioni, la decisione circa la verit o falsit dipende dai
protocolli. Esse sono pertanto delle proposizioni empiriche
(vere o false) e appartengono al dominio della scienza
empirica
114

Da questo modo di impostare le cose, risulta chiara-
mente che andata perduta l'unit indissolubile fra prin-
cipio di non-contraddizione ed esperienza, che era al cen-
tro della concezione aristotelica originaria e anche, come
ho cercato di mostrare, della riflessione di Kant, almeno
nel momento del suo distacco pi drastico da Leibniz.
La seconda questione, alla quale vorrei ora accennare,
113 A. Einstein, Geometrie und Erfahrung, Berlin 1921, cit. in
A. Einstein, scienziato e filosofo, a cura di P. A. Schilpp, Torino
1958, p. 197.
114 R. Camap, 1/ superamento della metafisica mediante l'ana-
lisi logica del linguaggio, in Il neoempirismo, a cura di A. Pasqui-
nelli, Torino 1978, pp. 525-6.
158
riguarda appunto Kant. Egli non gode di una grande for-
tuna nella moderna filosofia della scienza. Assai maggiore
della sua la fortuna di cui gode Hume. A Kant hanno
nuociuto, com' noto, molte cose. In primo luogo, la
teoria dei giudizi sintetici a priori . In secondo luogo,
l'assolutizzazione della meccanica di Newton e soprattutto
della geometria euclidea. In terzo luogo e non da ultimo,
il neokantismo: con il suo tentativo - disperato, anche
quando raffinato e intelligente, come in Cassirer - di
costringere, a forza, la scienza moderna dentro i limiti
del sistema
115

significativo, tuttavia, che il punto, in cui Kant
ancora tiene, anche presso le tendenze estreme del-
l'empirismo moderno, sia la tesi circa il carattere extra-
logico dell'esistenza: l'affermazione, insomma, che l'esi-
stenza non predicato. Senza pretendere in alcun modo
alla completezza e, anzi, afi:dandomi esclusivamente alla
memoria, interessante accennare all'area di questi con-
sensi. Ci sono dentro molti nomi significativi del pensierd
contemporaneo: da Moritz Schlick
116
a Rudolf Carnap
117
,
da G. E. Moore us ad Alfred J. Ayer
119
; per non parlare
di Popper, per iJ. quale Kant ha significato non poco,
seppure in un senso molto diverso da tutti questi altri
autori.
_
115
Uno scordo interessante sull'intera questione offerto dal
l'atteggiamento assunto verso l'opera di Cassirer da H. Reichen-
bach. L'atteggiamento ricostruito da Maria Reichenbach nell'intr.
all'ed. inglese di Relativitaetstheore und Erkenntnis Apriori (dr.
H. Reichenbach, The Theory of Relativity and A priori K.now-
ledge, Berkeley-Los Angeles 1965, pp. XXVI-XXXI).
116 Cfr. M. Schlick; Tra realismo e neo-positivismo cit., p. 97.
117 Cfr. R. Carnap, op. cit., p. 522.
118
Cfr. G. E. Moore, Saggi filosofici, Milano 1970, pp. 117-31
e 133-59.
119 Cfr. A. ]. Ayer, Linguaggio, verit e logica, ivi 1961, pp.
25 e 247. E cfr. anche, dello stesso autore, The Centrai Questions
of Philosophy, London 1973, p. 214.
159
Anche in questo caso, la conclusione non dissimile
dalla precedente: sopravvive, in forma di spezzone, un
elemento che, prima, era parte di una costruzione orga-
nica e coerente. Il principio reale o dell'esperienza,
in altre parole, non riesce a saldarsi pi con il principio
logico , di cui gi era a fondamento.
Penso che sia questo il contesto in cui debbano essere
collocate le due esigenze pi forti - e tuttavia, a quanto
pare, assai difficili da soddisfare - con cui si sta misu-
rando una -parte della filosofia contelllporanea: la teoria
della verit come corrispondenza
120
e - per riprendere
una formulazione di Schlick - la teoria del fondamento
della conoscenza
121
Sul primo fronte, l'insidia ricorrente
120 Cfr. D. ]. O' Connor, The Correspondence Theory of Truth,
London 1975.
121 Cfr. M. Schlick, Sul fondamento della conoscenza, in Tra
realismo e neo-positivismo eit., pp. IH sgg. Il problema del fon-
damento, nell'enunciazione di Schlick, quello delle constata-
zioni (cfr. pp. 147 sgg.), che debbono fungere da banco di prova
e da tetreno di controllo delle ipotesi teoriche; e che, pet poter
adempiere a tale funzione, non debbono risultare teoriche esse
stesse - pena l'arretramento dalla teoria della verit come cor-
rispondenza a quella della verit come coerenza (cfr. p. 139).
Nell'enunciare il problema del fondamento come quello dei
punti di contatto indubitabili fra conoscenza e realt (p. 1H),
riaffiora nel discorso di Schlick il problema aristotelico del carat-
tere antepredicativo della verit. La presa di posizione di Schlick,
nel saggio citato, in polemica con la svolta cosiddetta fisica-
lista di Carnap e Neurath. Per una critica efficace della teoria dei
protocolli in Carnap e Neurath, cfr. anche B. Russell, An I nquiry
into Meaning and Truth cit., cap. X (Basic Propositions). L'argo-
mento si rivela uno dei punti nodali dell'empirismo modetno. 1!: si-
gnificativo osservare che Camap, nell'autobiografia premessa al volu-
me curato da Schilpp su di lui, indica nella teoria delle asserzioni-
base di K. Popper (dr. il cap. V della Logica della scoperta
scientifica, Torino 1970, pp. 85 sgg.) uno dei fattori che contribul
alla svolta fisicalistp sua e di Neurath (cfr. La filosofia di
R. Carnap, Milano 1974, vol. l, p. 32; e, per la replica di Carnap
alle critiche di Russell, cfr. il vol. Il, pp. 841, 846-7). La teoria
circa il carattere convenzionale delle asserzioni-base uno dei
punti pi dubbi della filosofia di Popper ed il luogo in cui egli
pi rischia di buttare a mare l'empirismo. Una scarsa consapevo-
160
quella della teoria della verit come semplice coe-
renza . Sul secondo, la tesi ipercriticista - risa-
. lente a Popper (e, dopo di lui, passata in Hanson, in
Toulmin, in Kuhn e, soprattutto, in Feyerabend) - che
abolisce la distinzione tra teoria e osservazione :
da una parte, riducendo quest'ultima alla prima e, dal-
l'altra, attribuendo a ogni teoria la capacit di produrre,
da sola, la propria ontologia.
lezza di tutto ci nel libro di R. ]. Ackermann, The Philosophy
of Karl Popper, Amherst 1976, pp. 19 sgg. TI convenzionalismo,
applicato alle asserzionihase , risulta poi minare aJie radici, nella
filosofia di Popper, sia lo sforzo in direzione del realismo, sia
il tentativo di ripristinare la teoria classica della verit come
conispondenza .
Indice dei nomi
Ackermann, R. ]., 161n.
Adler, M., 170n, 179.
Adorno, Th. VI., 29-30, 41,
46.
Ajdukiewcz, K., 90.7, 118n.
Alessandro di Mrodisia, 149.
Allende, S., 65-6, 68.
Althusser, L., 74, 75n, 76 e n,
77-9.
Amaldi, E., 61n.
Amendola, G., 68.
Aristotele, 85, 98n, 99, 108,
112 e n, 114, 118, 119n, 121,
1.30, 131 e n, 132 e n, 133,
135, 139, 141, 142 e n, 143
e n, 144 e n, 145 e n, 146 e n,
147 e n, 148-9, 150.3, 157.
Aubenque, P., 98n, 112n.
Ayer, A. J., 159 e n.
Baader, F. X. B. con, 41.
Bakunin, M. A., 28, 177.
Baran, P. A., 38.
Baudelaire, C., 36.
Baumgarten, A. A., 156n.
Bebel, A., 176.
Benjamin, W., 41.
Berlinguer, E., 69-70.
Berti, E., 119n, 130, 131 e n,
145n.
Bettelheim, Ch., 16, 17 e n,
18-9, 64.
Bloch, E., 41.
Bolzano, B., 127n.
189
Bordiga, A., 28, 79.
Boutroux, E., 118.
Brentano, F., 98n, 144n.
Brdnev, L., 74.
Cafagna, L., 185.
Calogero, G., 145n.
Carlini, A., 149.
Carnap, R., U8n, 1S9 e n,
160n.
Carrillo, S., 69.
Cassirer, E., 124n, 159 e n.
Castro, F., 7.
Chang Ching, 65.
Chu l?.n-!ai, 63.
Ciang Kai-shek, 7.
Ciccotti, G., 61n.
Cini, M., 60, 61 e n.
Comte, A., 176 e n.
Copernico, N., 53, 83.
Copi, I, 95-6, 118n.
Cottier, G., 118n.
Cratilo, 146-8, 149n.
Darwin, C., 171, 1734, 175 e n.
Daubier, J., 21n.
De Gaulle, C., 27.
Della Volpe, G., 87, 99, 112n,
118n, 129-30, 145n.
De Maria, M. , 61n.
Dubcek, A., 14.
Duri.Qg, I., 132n, 142, 143n,
145, 146n.
Einstein, A., 124n, 1.58 e n.
Engels, F., 19, 24n, 43, 44 e n,
45, 74-6, 12.5 e n, 126-7, 137,
141, 165' e n, 166 e n, 167-8,
171, 173-7, 182 e n, 183, 184
e n, 185 e n.
Eraclito, 141, 143, 146, 149n.
Feyerabend, P. K., .59n, 161.
Feuerbach, L., 110, 130, 132,
133 e n, 134-6.
Freud, S., 324, 36, 179, 180 e n.
Galilei, G., 46, 55.
Geymonat, L., 124n, 140n.
Gide, A., 36.
Gilas, M., 13.
Goethe, J. W., .55'-6.
Gorter, H., 28.
Gramsci, A., 29, 77, 177.
Grgoire, F., 118n.
Guevara, E. Che, 7, 13, 23.
Habermas, J., 41 e n.
a e c k e ~ E. H., 174.
Hanson, N. R., 161.
Harr, R., 174n.
Hartmann, N., 90, 96; 118n.
Hegel, G. W. F., 47, 49-50, 90
e n, 97, 102n, 1034, 105 e n,
106, 108-10, 111 e n, 112
e n, 113 e n, 114, 115 e n,
116-7, 118 e n, 119 e n, 120
e n, 121, 122 e n, 123 e n,
12.% , 127 e n, 129-37, 139,
171-3, 176 e n.
Heidegger, M., 55-7, 59 e n,
80, 82 e n, 84 e n, 85, 98 e n.
Heisenberg, W., 53 e n, 55,
56 n.
Hilferding, R., 167, 168n.
Ho Chi Min, 23.
Horkheimer, M., 29-30, 41, 46.
Huberman, L., 5 e n, 6-7, 9,
12n, 13, 27n.
Hume, D., 46, 99 e n, 159.
Husserl, E., 54, 56-7.
190
lngrao, P., 67, 71.
Jacob, F., 17.5 e n.
Jervis, G., 35 e n.
Jona-Lasinio, G., 61n.
Jones, M., 26.
Kant, 1., 46, 89 e n, 90, 91 e n,
92 e n, 93 e n, 96-7, 98 e n,
99 e n, 100 e n, 101, 102 e n,
1034, 115, 119n, 127n, 135,
138 e n, 14()..1, 145, 15()..1,
152 e n, 153-5, 156 e n, 157-
159.
Karol, K. S., 16, 44.
Kautsky, K., 168 e n.
Ke!sen, H., 126, 163, 168, 169
e n, 170 e n, 172 e n, 173
e n, 175 e n, 176-7, 179-81,
182 e n, 183.
Kennedy, R., 31.
Korsch, K., 28, 73, 74n, 75,
127n.
Koyr, A., 54 e n, 56, 83 e n.
Kropotkin, P. A., 28.
Kruseev, N. S., 9, U.
Kuhn, T., 58, 59 e n, 60, 161.
Lafargue, P., 167.
Lak.atos, 1., 59 e n, 60.
Lama, L., 67.
Landucci, S., 118n.
Leibniz, G. W., 100 e n, 101-2,
115, 138-9, 150, 153, 155,
1.56n, 157-8.
Lenin, V., 6, 27-8, 76, 79, 127
e n, 176, 177 e n.
Lin Piao,' 5, 8, 9 e n, 10, 28,
31, 62, 63 e n, . 64-5.
Liu Shao-chi, 64.
Longo, L., 67.
I...Owith, K., 50 e n, 52 e n,
83 e n.
Lulclcs, G., 29, 94n, 127.
Lutero, M., 64.
Luxemburg, R., 28, 80.
Magri, L., 67.
Mallet, S., 25, 39.
Mansion, S., 132n.
Mao Tse-tung, 8-9, 1.5-6, 20-1,
23, 28, 30, 44, 62-.5.
Marchais, G., 69.
Marcuse, H., 29-32, 33 e n, 34-7,
38 e n, 3940, 41 e n, 42,
44, 56, 57 e n, 60, 85.
Marx, K., 5-6, 10 e n, 11-2,
17-9, 21, 22 e n, 23, 24n,
25, 30, 37-8, 44n, 50, 61-2,
69, 74-7, 80, 110-1, 114 e n,
llOn, 125, "126 e n, 128 e n,
129 e n, 130-2, 1357, 151n,
153, 165 e n, 166 e n, 167,
169-75, 177 e n, 178, 182n,
183, 185n.
Masterman, M., 59n.
Meridier, L., 149n.
Monod, ]., 47 e n, 53, 61,
174 e n.
Montalenti, G., 174 e n.
Moore, G. E., 1.59 e n.
Moravcsik, J. M. E., 144n.
Moreau, ]., 147n.
Natoli, A., 67.
Neurath, 0 ., 160n.
Newton, I., 46, 54-6, 159.
Nietzsche, F., 80, 81 e n, 82-4.
Occhetto, A., 67.
O'Connor, D. J.. 160n.
Owens; J., 160n.
Pannekoek, A., 28.
Pascal, B., 83.
Pasq\Jinelli, A., 158n.
Platone, 81, 112n, 130-1, 132n,
148, 149 e n.
Plechanov, G. V., 12.
Popper, K., 59 e n, 103n, 116,
li 7 e n, 118n, 119-20, 123,
124n, 125, 140 e n; 159, 160n,
161 e n.
191
Proclo, 133. _. -
Protagora, 147 . ...-
Prudhon, P.-]., 166, 183.
Racinaro....t R., 170n.
Reale, v., 121n, 141n, 142n,
149 e n.
Reichenbach, H., 159n.
Rickert, H., 176n.
Rilke, R. M., 36.
Ross, W. D., 121n, 145 e n,
147 e n, 148 e n.
Rossanda, R., 67.
Rossi, M., 151n.
Russell, B., 53 e n, 83, 112n,
140n, 160n.
Salom, L., 80.
Scal.zone, 0., 67.
Schelling, F. W.]., 41.
Schlick, M., 139n, 159 e n,
160 e n.
Schlipp, P. A., 158n, 160n.
Smith, A., 34.
Socrate, 148n.
Solgenitsin, A., 68.
Spencer, E., 174.
Spinoza, B. de, 115.
Stalin, ]. D., 15-7, 44, 68-9.
Sukamo, A., 7.
Sweezy, P., 5 e n, 6-7, 9, 10
e n, 11, 12n, 13, 16-7, 19n,
20-1, 27 e n, 38-9, 64.
Tarski, A., 140n.
Teng Hsiao-ping, 64 . .
Toulmin, S., 161.
Trendelenburg, A., 104-5, 106
e n, 107 e n, 108-10, 114,
122-3, 130, 133 e n, 135,
145n, 150, 151 e n, 156n.
Trentin, B., 67.
Trotskij, L. D., 14, 29.
Valry, P., 36.
Verra, V., 106n.
Volpi, F., 156n.
Voltaire, F .. M. Arouet, detto,
46.
Watkins, J., 59-60.
Weber, M., 49, 51, 52 e n,
53, 82.
: ~
Whitehead, A. N., .56.
Wilamowitz;, U. von, 149n.
W.Upett, P., 147n.
Wittgenstein, L., 158.
Wolff, C., 100n, 156n.
I.
Indice del volume
Le ideologie dal '68 a oggi
l. Da Marx a Lin Piao, p. 5 - 2. Il nuovo sog-
getto rivoluzionario, p. 9 - 3. A cinquant'anni dalla
Rivoluzione d'Ottobre, p. 12 4. Socialismo reale e
rivoluzione culturale, p. 16 - 5. La grande tem-
pesta del Settantotto, p. 23 6. Marcuse e la Scuola
di Francoforte, p. 29 7. n Gran Rifiuto, p. 37
8. La societ industriale sotto accusa, p. 42
- 9. L'universo in espansione dell'ideologia, p. 47
10. Il carattere classista della s c i ~ p. 51 11. n
crollo del maoismo e il golpe cileno, p. 62 -
12. Il revisionismo del Pci, p. 66 - 13. Crisi
del marxismo e dissenso sovietico, p. 71 - 14. Le
ideologie ,oggi, p. 79
l
n. Contraddizione dialettica e non-contraddizione 87
l. Contraddizione logica e opposizione reale, p. 89
- 2. Hegel e la critica di Trenddenburg, p. 104 -
3. Il marxismo e Hegd, p. 125 4. Il principio di
non-contraddizione in Aristotele e in Kant, p. 141
III. Kelsen e la critica del marxismo 16.3
l. La critica di Kdsen, p. 168 - 2. L'eredit hege
liana, p. 171 - 3. Il fraintendimento dd darwinismo,
p. 173 4. L'estinzione dello Stato, p. 176 - 5. L'il-
lusione della societ omogenea, p. 178 - 6. Anarchl
smo e marxismo, p. 180 - 7. Una contraddizione
fatale, p. 182
l ndice dei nomi
19.3
189

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