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LA CURA DELLA MALATTIA MENTALE NELLA PROVINCIA DI MODENA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
NELLA PROVINCIA DI MODENA
FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
a cura di Andrea Giuntini
POVERE MENTI
Pubblicazione realizzata da:
Provincia di Modena
AREA FORMAZIONE, ISTRUZIONE, LAVORO, POLITICHE SOCIALI E ASSOCIAZIONISMO
Stampa:
Tipografia TEM Modena
Finito di stampare:
Aprile 2009
In copertina: illustrazione tratta da una riproduzione di “Alberi nel giardino dell’ospedale di Saint-Paul” di Vincent Van Gogh da pitturare.com
POVERE MENTI.
LA CURA DELLA MALATTIA MENTALE
NELLA PROVINCIA DI MODENA
FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
a cura di
Andrea Giuntini
INDICE
Maurizio Guaitoli,
Prefazione .......................................................................................................................................................................... Pag. 9
Andrea Giuntini,
Introduzione.................................................................................................................................................................... Pag. 11
Andrea Scartabellati,
Pagine dimenticate.
Le culture psichiatriche in Italia tra fine ‘800 e primi decenni del ‘900 ............ Pag. 15
Massimo Tornabene,
Psichiatria e manicomi tra Fascismo e guerra ............................................................................. Pag. 41
Massimo Moraglio,
Prigionieri di un’utopia.
Il manicomio dalle speranze terapeutiche alla routine segregante ........................... Pag. 55
Francesca Vannozzi,
Verso la fine di un percorso:
il progressivo perdersi di ruolo del manicomio ............................................................................ Pag. 77
Il caso di Modena
Paola Romagnoli,
Gli atti dell’assistenza psichiatrica della Provincia di Modena:
tipologie documentarie e loro organizzazione.............................................................................. Pag. 87
Donatella Lippi,
Lo stabilimento per alienati del Ducato di Modena nella testimonianza
di Joseph Guillaume Desmaisons Dupallans (1840) ............................................................. Pag. 97
Andrea Giuntini,
L’assistenza ai malati di mente nella Provincia di Modena
dalla legge del 1865 alla seconda guerra mondiale .................................................................. Pag. 107
Simone Fari,
Tra rinnovamento sociale ed efficienza economica.
La gestione dell’assistenza psichiatrica nella Provincia di Modena
dal dopoguerra alla legge 180............................................................................................................................... Pag. 143
Mauro Bertani,
Ipotesi su un manicomio.
Il San Lazzaro di Reggio Emilia tra ‘800 e ‘900 ........................................................................ Pag. 213
Francesco Paolella,
I modenesi ricoverati nell’Istituto psichiatrico San Lazzaro.
Appunti per una ricerca...................................................................................................................................... Pag. 255
PREFAZIONE
Fra le molte svolte legislative, che hanno inciso profondamente sulla vita
del nostro paese nel secondo dopoguerra, merita sicuramente un posto di
riguardo la legge emanata dal Parlamento nel 1978 e che va impropriamente
sotto il nome di “legge Basaglia”. In seguito a quel provvedimento i manico-
mi italiani aprirono le proprie porte, prospettando ai malati una vita nuova
nella società e segnando la fine di un’epoca di segregazione secolare. Da
quel momento l’assistenza agli individui affetti da patologie psichiatriche ha
segnato una trasformazione di 180 gradi, favorendo un indubbio migliora-
mento delle condizioni di vita dei malati. La legge fa da spartiacque fra due
modi di intendere ed affrontare l’assistenza ai malati di mente e costituisce
un’evidente grande conquista di civiltà.
In occasione del trentennale del provvedimento ispirato dal pensiero e
dall’opera di Franco Basaglia e della sua scuola, l’Amministrazione Provin-
ciale di Modena ha concepito e sostenuto una ricerca sulla storia di questo
particolare ambito in un arco cronologico racchiuso fra le due leggi princi-
pali del settore, quella emanata nel 1865, che assegnava alle Province l’ob-
bligo economico del mantenimento “dei mentecatti poveri della provincia”
e quella del 1978. Al di là degli intenti celebrativi, si è voluto ricostruire le
vicende di questo mondo di sofferenza, del tutto persuasi che Modena e la
sua provincia abbiano giocato storicamente un ruolo di primo piano nella
questione da molti punti di vista. La vicinanza ad uno dei principali istituti
manicomiali italiani ed europei, il San Lazzaro di Reggio, oltre che a condi-
zionare le scelte in merito alla cura dei malati, ha contribuito alla crescita di
una serie di conoscenze e di sensibilità particolarmente sviluppate. In virtù
anche dei rapporti con l’ospedale reggiano, Modena poi, si è sempre distin-
ta in ambito universitario per lo stato avanzato del suo sistema di insegna-
mento della psichiatria e per la diffusione di questa cultura già a partire
dagli anni ’70 dell’800. Infine l’Amministrazione Provinciale, soprattutto nel
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Maurizio Guaitoli
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INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
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Hanno costituito un’ottima base di partenza per queste considerazioni le non più giovani,
ma ancora del tutto valide, osservazioni di A. Gibelli, Emarginati e classi lavoratrici: le ragioni di
un nodo storiografico, in Le istituzioni segregate nell’Italia liberale, numero monografico della rivista
“Movimento operaio e socialista”, 1980, 4, pp. 361-367.
3
Sulla questione delle cartelle cliniche come fonte per la storia della psichiatria, si rimanda
a Le carte della follia, a cura di D. di Diodoro, G. Ferrari e F. Giacanelli, Bologna, Quaderni del
Centro di studi G.F. Minguzzi, 1990; a Manicomio, società e politica. Storia, memoria e cultura della
devianza mentale dal Piemonte all’Italia, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2005; ed a M. Tornabene,
La guerra dei matti. Il manicomio di Racconigi tra Fascismo e Liberazione, Boves, Araba Fenice, 2007,
pp. 19-26.
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MALATTIA MENTALE, PSICHIATRIA
E MANICOMI IN ITALIA:
PAGINE DIMENTICATE.
LE CULTURE PSICHIATRICHE IN ITALIA
TRA FINE ‘800 E PRIMI DECENNI DEL ‘900
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lo stesso Leonardo Bianchi, tra 1916 e ‘17, tornava sui banchi del governo
come ministro senza portafoglio incaricato dell’organizzazione sanitaria.
Non di meno, il volto pubblico e scientifico della scienza delle alienazioni
mentali era mutato rispetto al recente passato, avendo ciclicamente prestato
il fianco a propositi di aggiornamento e revisione più o meno radicali, secon-
do traiettorie spesso maldestre e quasi sempre incerte. Traiettorie sulle quali
incombeva ancora, non solo come un fantasma, Cesare Lombroso con il suo
opus magnum.
In sintesi, sul piano scientifico, dal 1910 l’ossificato antropo-somatismo
psichiatrico tendeva a dinamizzarsi, rilanciando, in forme più articolate, i
contributi dell’evoluzionismo haeckeliano. Questo, con l’implicita soprava-
lutazione dell’elemento materialistico insito, avrebbe caratterizzato a lun-
go la medicina italiana, fino alle propaggini del costituzionalismo pendia-
no riattato al sapere psichiatrico da Francesco Del Greco, giocando inoltre
un ruolo non accessorio – seppur poco esaminato dagli storici – nel pro-
blematico incontro della psichiatria con le metodologie della psicoanalisi.
Analogamente, anche la discussa interpretazione haeckeliana delle opere di
Lamarck (1744-1829), Darwin (1809-1882) e Spencer (1820-1903), quali sta-
di progressivi di una sistematica costruzione teoretica priva di sfumature,
passava in dote all’alienismo, ed in specie alla sua variante militare. Di Her-
bert Spencer, in particolare, si recepirono sia la preferenza accordata ad una
lettura del divenire sociale intrisa di incorreggibile pessimismo, sia quelle
specifiche opzioni terminologiche pre-darwiniane derivate dalla meccanica
equiparazione stabilita a priori tra vita degli organismi fisici ed evoluzione
dei costrutti sociali.
Meno convinte e compatte, al contrario, furono le posizioni espresse dagli
alienisti italiani verso l’opera darwiniana, accolta con ambiguo consenso. Se,
infatti, di Darwin conquistò la congerie di immagini e metafore naturalisti-
che – che ritroviamo, per esempio, nelle pagine dello psichiatra militare Pla-
cido Consiglio (1877-1959)24 - l’idea cardine di un graduale perfezionamento
degli organismi viventi secondo dispositivi selettivi in ultima analisi casuali,
sollevava imbarazzo. Il credito riscosso presso la comunità scientifica dal
mai discusso organicismo e, soprattutto, dalla dottrina delle eredità pato-
logiche concepita nelle forme pre-mendelliane di Bénédict Augustin Morel
(1809-1873), col suo carico di tacito finalismo, rappresentarono un elemento
battaglie culturali nelle scienze umane durante il primo conflitto mondiale, in “Medicina e Storia”, 14,
2008, pp. 65-94.
24
Vedi gli Studii di psichiatria militare pubblicati a puntate nella gloriosa “Rivista Sperimentale
di Freniatria” da Placido Consiglio tra 1912 (vol. XXXVIII) e 1916 (vol. XLI).
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Si leggano di G. Funaioli: Contributo all’osservazione dei caratteri antropo.psicologici dei militari
delinquenti, con speciale riguardo al delinquente occasionale, Roma, E. Voghera, 1912; I criminaloidi
nell’esercito, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1915; Contributo clinico alla Neuropsichiatria ed alla
Criminologia di guerra, in “Quaderni di Medicina Legale”, 1917-18.
37
P. Consiglio, Cesare Lombroso e la medicina militare, in “Rivista d’Italia”, luglio 1911, pp. 51-82.
38
F. Saporito, Su l’opera di Cesare Lombroso, Roma, Tipografia delle Mantellate, 1913, p. 11.
39
Rimando, chi volesse approfondire i temi di seguito brevemente trattati, al mio saggio, Cul-
ture psichiatriche e cultura nazionale. Per una storia sociale (1909-1929), nella rivista telematica “Fre-
nis Zero. Scienze della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività”, 5, .III, gennaio 2006 – http://
web.tiscali.it/freniszero/scartabellati.htm.
23
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40
S. Marhaba, Lineamenti della psicologia italiana: 1870-1945, Firenze, Giunti, 1992, p. 182.
41
Vedi M. Calderoni, I postulati della scienza positiva e il diritto penale, Firenze, G. Ramella, 1901.
42
Questa la terminologia gemelliana tratta da Cesare Lombroso. I funerali di un uomo e di una
dottrina, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1911, p. 150.
43
E. Troilo, Il darwinismo sociale, la sociologia di Comte e di Spencer e la guerra, in “Rivista Italiana
di Sociologia”, 1917, pp. 430-453.
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51
P. Guarnieri, Individualità difformi. La psichiatria antropologica di Enrico Morselli, Milano, Fran-
co Angeli, 1986, p. 118.
52
E. M. [Enrico Morselli], recensione a F. De Sarlo, Psicologia e Filosofia, in “Quaderni di Psichia-
tria”, VII, 1920, p. 276: «Quale ragione può dare una Psicologia teleologica, metafisica, al proble-
ma della pazzia, che mostra in modo inconfutabile la “unità psico-fisica” di spirito + cervello?
Si ha un bel dire che i medici alienisti materializzano lo spirito; ma finché non sarà chiarito il
come avvenga che uno “spirito” si perverte o impazzisce ogni qual volta c’è un dissesto anche
minimo del suo organo, sarà vano parlarci di una “Esperienza” o di un “Io individualizzato”,
in cui si pretende per contro di spiritualizzare la materia. E la bella opera del De Sarlo sta là
proprio a provare che il porsi in bilico fra il positivismo e l’idealismo può parere un modo felice
di sfuggire al dilemma, ma non contenta nessuno».
53
A. Vedrani, Cesare Lombroso, in “La Voce”, I, 52, 1909, pp. 221-222.
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58
A. Gemelli, Cesare Lombroso. I funerali di un uomo e di una dottrina, Firenze, Libreria Editrice
Fiorentina, 1911, p. 9.
59
Vale la pena di rammentare cosa Prezzolini e Papini, citati non a sproposito da Gemelli (Ce-
sare Lombroso. I funerali di un uomo e di una dottrina, p. 21), scrivevano nel 1906: «Questi signori ce-
lebri si chiamano per esempio Lombroso, Mantegazza, Sergi, Morselli, Loria, Mosso, Ferri. Oc-
cupano delle cattedre nelle grandi Università, dirigono delle riviste, fanno anche delle lezioni.
Vale a dire che non si distinguono troppo da altri professori universitari che fanno precisamente
le stesse cose. Ma se ne distinguono per questo: che i loro oracoli e i loro discorsi non vengono
letti e ascoltati soltanto da quel pubblico molto ristretto, per quanto poco scelto, composto di
scienziati amici, di assistenti ambiziosi e di relatori di accademie, ma son letti ed ascoltati da un
pubblico molto più largo, dove entrano le signore, i dilettanti, i maestri elementari, i così detti
uomini colti e perfino i giornalisti».
60
In evidente continuità, la critica gemelliana si forma riprendendo e rilanciando, con nuovo
vigore, i temi tradizionali della polemica antipositivista ed antievoluzionista degli ambienti
scientifici cattolici; cfr. A.R. Leone, La Chiesa, i cattolici e le scienze dell’uomo, in L’antropologia
italiana. Un secolo di storia, Roma-Bari, Laterza, 1985, in particolare le pp. 63-65.
61
A. Gemelli, Cesare Lombroso. I funerali di un uomo e di una dottrina, Firenze, Libreria Editrice
Fiorentina, 1911, p. 144.
29
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62
Ivi, p. 76.
63
Letture ideologiche di un’opera ideologizzata come Il nostro soldato. Saggi di psicologia mili-
tare (Treves, Milano 1917), hanno certamente nuociuto alla reale comprensione della sostanza
scientifica dell’opera, la quale, se contestualizzata nella letteratura dell’epoca e nelle condizioni
sociali del momento, e se comparata con la riflessione medica internazionale, emerge sicura-
mente come una delle voci più originali della psicologia italiana.
64
Si legga il notevole intervento di A. Gemelli, Psicologia e psichiatria e i loro rapporti, in “Rivista
Sperimentale di Freniatria”, XLV, 1921, pp. 251-314.
65
N. R. D’Alfonso, La psicologia speculativa e l’unità delle razze, in “Rivista d’Italia”, giugno 1911, p. 941.
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Della trama critica a lui ostile, intrecciata dal drappello di studiosi allievi
di Tanzi e Lugaro, ebbe sentore un settuagenario e reattivo Cesare Lombro-
so, tutt’altro che a margine della comunità psichiatrica e muto sulle vie nuo-
ve battute dalla scienza che ne aveva tenuto a battesimo l’impresa professio-
nale ed il disegno culturale. Giudice severo del Trattato delle malattie mentali,
«seducente trattato coi suoi paradossi ed epigrammi; più ricco di spirito che
di verità»71, un polemico Lombroso coglieva l’occasione dell’uscita del volu-
me di Ernesto Lugaro72 per chiarire nuovamente le posizioni sue e della sua
scuola, similmente a ciò che – a proposito del positivismo antropologico –
avevano fatto Enrico Morselli, solo un anno prima, in un volume collettaneo
dato alle stampe in onore del poligrafo veneto73 e Filippo Saporito, nel 1913,
il quale denunciò come «quel solenne messaggio della scienza e dell’espe-
rienza che vive nell’antico motto Natura non facit saltus ha condannato la
concezione lombrosiana ad assistere agli assalti della critica non sul terreno
di quel che essa valga nella sua interezza, bensì sul terreno ambiguo degli
adattamenti artificiosi, dei connubi ibridi, delle transazioni degradanti»74.
Dall’alto dei suoi titoli accademici: ordinario di psichiatria dal 1896 e di
antropologia criminale dal 190575, Lombroso giudicava errate, scorrette ed
insostenibili al vaglio dello sperimentalismo medico le critiche della scuo-
la fiorentina. Come ogni positivista alle prime armi sapeva – ironizzava
Lombroso - «quando si vuol abbattere una teoria, si adoperano fatti», non
presunzioni76. Il fondatore dell’antropologia criminale individuava nell’esa-
gerata accentuazione del dato anatomico il punto debole metodologico che
impediva, con pregiudizio, al cenacolo vicino a Tanzi e Lugaro, di cogliere le
linee d’insieme dell’universo-follia. Un universo costellato di pazzi, anomali
e criminali bisognosi, di manicomi e milieu familiari e ambientali dove la
71
«In quest’altro libro del Lugaro i paradossi e le bizzarrie del Tanzi trovano una rinsaldatu-
ra»; a differenza della conclusioni della scuola lombrosiana, fondata «coll’esame metodico ed
attento di centinaia e centinaia di individui», quelle del Lugaro erano «asserzioni messe giù (…)
su due piedi» (C. Lombroso, recensione a E. Lugaro, I problemi odierni della psichiatria, in “Archi-
vio di Antropologia Criminale”, XXIX, 1908, p. 165).
72
I problemi odierni della psichiatria, Palermo, Sandron, 1907,
73
E. Morselli, Cesare Lombroso e l’antropologia generale, in L’opera di Cesare Lombroso, Torino,
Bocca, 1906.
74
F. Saporito, Su l’opera di Cesare Lombroso a proposito di una recente critica, Roma, Tipografia
delle Mantellate, 1913, p. 6.
75
Cattedra istituita ad hoc per Lombroso dal ministro Leonardo Bianchi.
76
C. Lombroso, recensione a E. Lugaro, I problemi odierni della psichiatria, in “Archivio di Antro-
pologia Criminale”, XXIX, 1908, p. 164.
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PAGINE DIMENTICATE. LE CULTURE PSICHIATRICHE IN ITALIA TRA FINE ‘800 E PRIMI DECENNI DEL ‘900
pagine della “Rivista di Patologia Mentale e Nervosa”79, altro non sarà che il
corrotto bagliore residuale della genuina vocazione socio-politica della scien-
za alienistica piegata alle esigenze delle élites guerrafondaie. Abbandonata la
sentita partecipazione per le sorti delle masse italiane depauperate da na-
zionalizzare dopo la svolta epocale del 1860-61, ora l’intellettualità psichia-
trica si lasciava conquistare all’eccesso dall’efferato interventismo montato
ad arte, non da ultimo, anche da quelle inquietudini vociane spalleggianti la
demistificazione del positivismo e del lombrosianesimo.
La strada tracciata dai tardi critici lombrosiani si chiariva, quindi, nella
scelta di un ripiegamento pubblico strategico, ancora in grado, però, di la-
sciar negoziare, alle presenti e future generazioni psichiatriche, abdicazioni
e contropartite. Il venir meno della volontà egemonica culturale positivista
se, da un lato, sbiadiva l’immagine dell’alienista quale demiurgo sociale,
dall’altro, precisando meglio l’oggetto ed i luoghi del suo agire – l’accade-
mia per i principi della disciplina; i manicomi per il proletariato psichiatri-
co - garantiva una minor esposizione sul banco degli imputati nel processo
intentato al positivismo dalla nuova cultura dominante. Quale contropartita,
la ritirata negoziata otteneva di consolidare, proprio rinunciando alle aspira-
zioni ottocentesche, quelle posizioni di potere reale conquistate grazie anche
all’apporto insostituibile del biasimato Cesare Lombroso.
Nell’Italia emersa vittoriosa dalla guerra, la pretesa modernità psichiatri-
ca non si presentava allora come negazione del lombrosianesimo e del posi-
tivismo materialista laicista80. Nessun padre intellettuale fu, freudianamen-
te, ucciso; nessun ceppo generazionale fu infranto; nessuna scienza normale
fu rivoluzionariamente abbattuta. La psichiatria scelse di auto-esiliarsi in
un’isola, se non felice, comunque appagante ed inaccessibile ai non addetti
ai lavori. Mentre la modernità della disciplina, sulle fondamenta organici-
stiche81 e nel quadro di un solidismo comune alle differenti correnti analiti-
79
La psichiatria tedesca nella storia e nell’attualità in “Rivista di Patologia Nervosa e Mentale”,
XXI, 1916, pp. 241-617; La psichiatria tedesca nella storia e nell’attualità, in “Rivista di Patologia
Nervosa e Mentale”, XXII, 1917, pp. 65-302; inoltre, sempre di Lugaro: Pazzia d’imperatore o
aberrazione nazionale?, in “Rivista di Patologia Nervosa e Mentale”, XX, 1915, pp. 385-414.
80
Cfr. la recensione positiva del manuale di E. Tanzi e E. Lugaro, Trattato delle malattie mentali,
in “Quaderni di Psichiatria”, III, 1916, pp. 59-60, di Enrico Morselli, non certo – anzi! – un av-
versario del Lombroso. Recensione positiva ripetuta successivamente nei “Quaderni di Psichia-
tria”, X, 1923, pp. 211-212.
81
F. Saba Sardi, Nascita della follia, Milano, Mondadori, 1975, p. 114: «Costante è cioè il tentativo
di ancorare in qualche modo le manifestazioni psichiche a un substrato organico, e di conse-
guenza la follia a realtà fisiologiche (…) Lo psichiatra non può che ragionare in questi termini
– ovvero cessa di considerarsi e di essere psichiatra».
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Andrea Scartabellati
che nei termini di «una rappresentazione visibile delle cause della malattia
mentale»82, si esplicò combinando la rinuncia a fare di una filosofia naturale
del genere umano il totem onnicomprensivo per l’interpretazione delle ma-
nifestazioni patologiche, con il disinteresse per le più ampie problematiche
popolari, riscoperte con reale empatia solo alla fine degli anni ’60 del XX
secolo.
Un profilo sociale indistinto ma, in contro altare, un’erudizione neuro-
psichiatrica in maggior misura vasta, informata dei contributi scientifici in-
ternazionali, meno credulona nel vagliare le rilevazioni statistico-numeriche
o nel prendere atto delle stigmate fisiche: ciò era quanto restava della cri-
tica di Tanzi e Lugaro. D’altro canto, il tono inflessibilmente organicistico
del Trattato delle malattie mentali83 non poteva essere recepito dalla comunità
scientifica come una discriminante antilombrosiana, poiché diversa, tra gli
uni e gli altri, era solo l’aspettativa riposta in un tale orientamento onni-
regolatore nello svolgersi del processo diagnostico. Né l’obiezione di Lugaro
secondo cui «l’opera di Lombroso fu bensì uno stimolo fecondo a ricerche
e discussioni, ma non segnò (...) un vero progresso in confronto alle vedute
del Morel»84; né il programma di Tanzi di respingere «i dettami rumorosi
ed inconcludenti d’una pretesa antropologia della degenerazione» da sosti-
tuire con il ripescaggio della «teoria originaria del Morel, che nacque dalla
patologia»85, echeggiavano innovativi alle orecchie degli psichiatri italiani.
Che Ernst Haeckel si fosse trasformato nella caricatura farsesca di Charles
Darwin86; che risultasse indilazionabile depurare e circoscrivere il concetto
di degenerazione, «a meno di ritenere che tutti i pazzi siano degenerati, ipo-
tesi non dimostrata, inutile e perciò inopportuna»87; che bisognasse negare
l’identificazione di epilessia e deficienza del senso morale; che fosse intrinse-
co all’agire psichiatrico la sottovalutazione dei dati psichici, stimati accessori
rispetto ai sostrati organici; che si potesse leggere nell’ascesa dell’endocrino-
82
S. De Sanctis, voce Psichiatria in “Enciclopedia Italiana”, Roma, Istituto Poligrafico dello Sta-
to, 1949, p. 447.
83
S. Marhaba, Lineamenti della psicologia italiana: 1870-1945, Firenze, Giunti, 1992, p. 74.
84
E. Lugaro, La psichiatria tedesca nella storia e nell’attualità in “Rivista di Patologia Nervosa e
Mentale”, XXI, 1916, p. 491.
85
E. Tanzi-E. Lugaro, Trattato delle Malattie Mentali, Milano, Società Editrice Libraria, 1923, I, p.
XIII. La citazione è tratta dalla Prefazione alla seconda edizione.
86
E. Lugaro, La psichiatria tedesca nella storia e nell’attualità, in “Rivista di Patologia Nervosa e
Mentale”, XXII, 1917, p. 288.
87
E. Tanzi-E. Lugaro, Trattato delle Malattie Mentali, Milano, Società Editrice Libraria, 1923, II,
p. 155.
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98
G. Corberi, Ancora su l’esame della personalità del delinquente, in “Criminalia”, III, 1939; pubbli-
cato come estratto da Bocca, Milano 1939. La citazione è tratta da p. 4.
99
E. Morselli, Ultime produzioni della psichiatria tedesca, in “Quaderni di Psichiatria”, VI, 1919, p.
271.
100
L. B., recensione a C. Lombroso, L’Uomo alienato, in “Rivista di Psicologia”, X, 1914, p. 471.
101
B. Cassinelli, Storia della pazzia, Milano, Corbaccio, 1936, p. 447.
102
L. Lattes, Ritorno a Lombroso, in “Minerva Medicolegale”, LXXVI, 1956, p. 7.
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103
F. Del Greco, La sintesi clinica di E. Kraepelin dal punto di vista della Storia della Medicina, in
“Rivista Sperimentale di Freniatria”, XXXV, 1909, pp. 284-86.
104
Alcuni suggerimenti di lettura per l’approfondimento dei temi: Augusto Tamburini. In me-
moriam, Roma, Tipografia dell’Unione Editrice, 1920; L’antropologia italiana. Un secolo di storia,
Roma-Bari, Laterza, 1985; V.P. Babini, La storia della psichiatria italiana del Novecento, i primi
vent’anni, in “Psicoterapia e Scienze Umane”, 40, 2006; E. Balduzzi, Le terapie da shock, Milano,
Feltrinelli, 1962; V. Bongiorno, Il dedalo della mente. Augusto Tamburini, tra neurofisiologia e psichia-
tria, Roma, Edizioni Kappa, 2002; M. Calloni, Donne italiane in esilio nella Confederazione Elvetica
tra Ottocento e Novecento, in http://www.dialogare.ch/Dialo_Newsletter/13donne_esilio.pdf;
R. Canosa, Storia del manicomio dall’Unità ad oggi, Milano, Feltrinelli, 1979; G. Cosmacini, Gemelli.
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Lombroso e la fotografia, Milano, Bruno Mondadori, 2005.
40
PSICHIATRIA E MANICOMI TRA FASCISMO E GUERRA
41
Massimo Tornabene
ispirò, in particolare, a quanto realizzato negli Stati Uniti (a partire dal 1909)
dal Comitato americano per l’igiene mentale107 e che ottenne pieno ricono-
scimento internazionale con il I° Congresso per l’Igiene mentale tenutosi a
Washington nel 1930, ed a cui presero parte rappresentanti di 50 nazioni108.
42
PSICHIATRIA E MANICOMI TRA FASCISMO E GUERRA
La Grande guerra, infatti, costituì per gli alienisti uno spartiacque epoca-
le: «la violenza e la durata del conflitto rappresentarono un inedito terreno
di prova per la psichiatria, obbligata a confrontarsi con una enorme massa di
malati mentali provenienti delle trincee del fronte, massa che rappresentava,
in termini di diagnosi e possibili terapie, un inedito assoluto»111. Basti pensa-
re che secondo le stime ufficiali il servizio neuropsichiatrico accolse almeno
quaranta mila soldati, vittime di stress, shock da esplosioni, ma soprattutto
colpevoli di volersi sottrarre al conflitto – progettato e realizzato dai sani e
che per questi «incarna valori, razionalità, tecnologia» – andando «incontro
ad una impresa disperata, uscire dalla ragione, cadere in abitudini bestiali
e infantili, regredire»112. Fu così che per sconfiggere la iattura della «dege-
nerazione», gli psichiatri della Lega promossero l’istituzione di dispensari
d’igiene mentale, strutture ambulatoriali ad accesso libero che una volta av-
viate avrebbero dimostrato l’inutilità, nella loro forma attuale, degli istituti
asilari, incapaci (a loro giudizio) di curare il malato mentale in quanto tale,
ma solo quando si manifesta in termini di pericolosità e scandalo. Il primo
ambulatorio sorse a Milano nel 1924. I dispensari permisero agli psichiatri
(o almeno alle loro intenzioni) di «entrare nel corpo sociale, scandagliarlo e
trarne elementi per selezionare, isolare e curare i soggetti portatori di malat-
tie mentali». Un’azione che si inserì, secondo le analisi di Massimo Moraglio,
in un disegno dalle ambizioni ancora più alte: «la vera attività preventiva
andava svolta altrove: negli ambulatori pediatrici, nell’esercito, nelle scuo-
le, nei servizi medico-scolastici. Lo psichiatra, insomma, come selezionatore
dell’umanità, fin dal momento in cui si trovava inserito in strutture sociali
quali, appunto, esercito e scuola»113. Precursore di questa stagione si rivelò
Leonardo Bianchi, già relatore della legge del 1904, nei numerosi interventi
espressi (tra la fine e l’inizio degli anni venti) sia in Senato che alla Com-
missione nazionale per il dopoguerra. Considerazioni alla cui base fu posto
il progressivo aumento del numero dei folli internati negli istituti italiani.
Anch’egli sostenne la necessità di affiancare al manicomio una vasta rete di
prevenzione finalizzata a «ritardare la degenerazione della razza», ovvero
ad interventi diretti contro quelle «malattie sociali» (alcolismo, sifilide, ma-
laria, tubercolosi) «ritenute all’origine della “fiacchezza psicosomatica degli
111
M. Moraglio, Dentro e fuori il manicomio. Note sull’assistenza psichiatrica nell’Italia tra le due
guerre, in “Contemporanea”, 2006, 1, p. 19.
112
A. Gibelli, L’officina della guerra. La Grande guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino,
Bollati Boringhieri, 1991, p. 134
113
M. Moraglio, Dentro e fuori il manicomio. Note sull’assistenza psichiatrica nell’Italia tra le due
guerre, in “Contemporanea”, 2006, 1, p. 27.
43
Massimo Tornabene
114
F. Cassata, Il lavoro degli “inutili”: Fascismo ed igiene mentale, in Manicomio, Società e Politica, a
cura di F. Cassata e M. Moraglio, Pisa, Bfs, Pisa, 2005, p. 25.
115
Ibidem.
116
Ivi, p. 34.
117
Cfr. M. Tregenda, Purificare e distruggere. Le prime camere a gas naziste e lo sterminio dei disabili,
Verona, Ombre corte, 2006.
44
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118
U. Sperapani, La sterilizzazione eugenica, in “Difesa sociale”, vol. XV, 1936, pp. 15-22.
119
Cfr. F. Cassata, «La difesa della razza». Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Torino,
Einaudi, 2008.
120
E. Padovani, Relazione morale e finanziaria sull’attività della Società Italiana di Psichiatria nel
sessennio 1941–1946, in “Rivista sperimentale di Freniatria”, 1948, pp. 269-281.
121
Tra gli altri si segnala M. Koblinssky, Razza e Cervello, in “Quaderni di psichiatria”, Genova,
vol. VIII, nn. 1-2, 1921, pp. 1-7, in cui si illustrano e si sostengono gli studi atti a dimostrare «che
nelle razze psichicamente inferiori il peso del cervello è, in media, minore di quello del cervello
appartenente alla razza più civilizzata».
122
S. Brambilla, Contributo allo studio delle manifestazioni psicopatologiche delle popolazioni dell’Im-
pero, in “Rivista di patologia nervosa e mentale”, Firenze, LIII, 1939, pp. 187-206.
45
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123
N. Gasparini, Le varianti psichiche razziali (studio di psicologia razziale sul tipo italico-ariano-
mediterraneo), in “Archivio di psicologia, neurologia, psichiatria e psicoterapia”, Milano, 1939,
pp. 446-471.
124
M. Canella, Psicologia differenziale delle razze umane, in “Rivista di psicologia normale e pato-
logica”, Bologna, 1940, pp. 175-255.
125
G. Sogliani, L’assistenza psichiatrica in Europa e la legge italiana sugli alienati, in “Rassegna di
studi psichiatrici”, Siena, vol. XXXI, p. 525, 1942.
126
M. Tornabene, La guerra dei matti. Il manicomio di Racconigi tra Fascismo e Liberazione, Boves
(Cn), Araba Fenice Edizioni, 2007, pp. 35ss.
46
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vita quotidiana degli internati, la psichiatria d’epoca fascista, alla fine degli
anni Trenta, raggiunse con Ugo Cerletti il suo maggior successo a livello
mondiale. Il direttore della clinica dell’Università di Roma, con l’invenzione,
nel 1938, della terapia elettroconvulsivante consentì di ottenere il riconosci-
mento scientifico tanto atteso127. L’elettroshock incontrò infatti una diffusione
immediata e straordinaria, oltre che nei manicomi italiani, fuori dai confini
nazionali128. Ma si trattò anche di una terapia che di fronte alle nuove esi-
genze cliniche provocate dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale
(traumi e shock), svelò da subito – con il suo uso indiscriminato – il proprio
potenziale intimidatorio, in primis verso quei soldati sospettati di essere dei
simulatori.
47
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49
Massimo Tornabene
conigi a causa di gravi stati depressivi140; mentre i traumi e gli stress di guer-
ra, accompagnati all’orrore di azioni compiute all’insegna della distruzione
assoluta segnarono la follia di numerosi soldati ora anche alle prese con una
paura da cui difficilmente riuscirono a sottrarsi141. Non mancarono, poi, epi-
sodi di vera e propria persecuzione: come quello che il 26 maggio del 1940
vide il trasferimento nell’ospedale psichiatrico tedesco di Zwiefalten degli
infermi di origine tedesca del manicomio di Pergine Valsugana, in provincia
di Trento, per poi venire soppressi all’interno del programma messo a punto
dal regime nazista per l’eliminazione degli individui affetti da menomazio-
ni fisiche e psichiche142; episodi a cui se ne contrapposero altri, invece, di
grande generosità, specie verso gli ebrei a rischio di deportazione: tra i più
significativi, anche per la vicinanza geografica, si veda il caso degli israeliti
ospitati sotto mentite spoglie da Carlo Angela nella clinica da lui diretta a
San Maurizio Canavese, in provincia di Torino143. Lo sbandamento seguito
all’armistizio (che in molti soldati accentuò il timore, la paura di essere cattu-
rati dagli invasori nazisti)144 e lo scontro che si aprì fra antifascisti e repubbli-
chini segnarono anch’essi le anamnesi cliniche di numerosi internati145. Allo
stesso tempo la guerra fornì ad alcuni psichiatri l’occasione per sperimentare
le potenzialità delle terapie da shock di nuova generazione. In particolare
sui soldati che, colpevoli di volersi sottrarre ad un infausto destino, si tra-
sformarono, loro malgrado, in strumenti per la scienza. Prima di giungere
in manicomio i militari che manifestavano disturbi mentali venivano infat-
ti curati nei reparti ospedalieri prossimi ai luoghi di combattimento: una
prassi già sperimentata durante la Grande guerra e finalizzata a sgomberare
«dalla loro mente l’idea o la speranza di un provvedimento di favore»146. Il
140
M. Tornabene, La guerra dei matti. Il manicomio di Racconigi tra Fascismo e Liberazione, Boves,
Araba Fenice, 2007, pp. 105ss.
141
P. Fussel, Tempo di guerra, Milano, Mondadori, 1991, p. 350; e P. Sorcinelli, La follia della guer-
ra. Storie dal manicomio negli anni quaranta, Milano, Franco Angeli, 1992.
142
Cfr. H. Hinterhuber, Uccisi e dimenticati: crimini nazisti contro malati psichici e disabili del Nordti-
rolo e dell’Alto Adige, Trento, Museo storico in Trento, 2003.
143
R. Segre, Venti mesi, Palermo, Sellerio, 2002.
M. Tornabene, La guerra dei matti. Il manicomio di Racconigi tra Fascismo e Liberazione, Boves,
144
50
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52
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53
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civili e dei militari traumatizzati dal conflitto, in cui medici, pazienti e personale infermieristico
erano soliti riunirsi con i ricoverati per affrontare insieme, in un clima informale, sia questioni di
ordine clinico che organizzative-gestionali. Successivamente l’équipe operante in questa struttura
clonò lo stesso tipo di trattamento presso il Southern Hospital di Darford, nel Kent, una istituzio-
ne destinata ai prigionieri di guerra affetti da nevrosi da combattimento. I risultati furono sor-
prendenti e il suo principale animatore, lo psichiatra scozzese Maxwell Jones insieme altri come
Thomas Main (fondatore della Second Northfield Experiment) riuscirono ad ottenere importanti
sovvenzioni governative. Anche se in alcune di queste cliniche non mancò l’utilizzo dell’elettro-
shock o della narcosi da barbiturici, quello della comunità terapeutica si presentò, a detta dei suoi
promotori, come «un ambiente terapeutico con una organizzazione spontanea ed emotivamente
strutturata (anziché stabilita dal personale medico) in cui erano coinvolti sia il personale che i
pazienti» (T.F. Main, The Ailment, in “Medical Psychology”, 1957 30; e E. Shorter, Storia della psi-
chiatria. Dall’ospedale psichiatrico al Prozac, Milano, Masson, 2000, p. 229).
54
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PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA.
IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE
ALLA ROUTINE SEGREGANTE
159
E. Tanzi, Trattato delle malattie mentali, Milano, Società editrice libraria, 1905, p. 723.
55
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La nascita
56
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160
L. Roscioni, Il governo della follia. Ospedali, medici e pazzi nell’età moderna, Milano, Bruno Mon-
dadori, 2003, pp. 120 e ss.
161
F. De Peri, Il medico e il folle: istituzione psichiatrica, sapere scientifico e pensiero medico tra Otto e
Novecento, in Storia d’Italia, Annali 7, Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta, Torino, Einau-
di, 1984, p. 1070.
57
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60
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cuno dei nostri manicomî e nei Ricoveri per alienati cronici chi li difenda
o, quel che è peggio, a quando a quando li impieghi». Ovviamente tutti i
delegati presenti al congresso si dichiararono d’accordo nell’appoggiare le
proposte «abolizioniste» avanzate, premurandosi di notare che nei reparti di
loro competenza la segregazione e l’immobilizzazione non si praticava «se
non assai di rado […] e solo in casi di imperioso bisogno». Nonostante le spe-
ranze di Belmondo non era dunque ancora giunto il momento «anche per gli
alienisti italiani di trovarsi unanimi nel proclamare tramontato per sempre il
regno della camicia di forza, superflui le fasce, le ghette e i polsini».
Anche la cura extra-ospedaliera appariva tanto invocata e dibattuta,
quanto sfumata nei suoi contorni reali. La Rivista sperimentale di freniatria,
edita dai medici del manicomio di Reggio Emilia, discusse a lungo del tema
nel primo decennio del Novecento. Se a Lucca l’affido etero-famigliare ave-
va «dato modo […] di curare con ottimo successo malati acuti delle più sva-
riate forme psicopatiche», la selezione dei malati da usare in questo caso
doveva essere drasticamente limitata a quelli «cronici, lucidi, ordinati, tran-
quilli, innocui»167, fino a chiedersi quanti malati potessero poi essere davvero
beneficiari dell’affido. Per Giulio Cesare Ferrari vi era da intendersi, tra gli
altri, anche i «vantaggi economici della assistenza famigliare»168, salvo poi
lamentarsi che i contadini della provincia emiliana a cui voleva affidarli non
vi vedevano che «un affare», nonché circondando la scelta dei malati da così
tanti limiti da rendere l’intera proposta poco realistica. La linea di fondo
della psichiatria italiana era insomma una limitazione praticamente onni-
comprensiva dei malati beneficiari e, dall’altra, un sostanziale disprezzo per
le classi popolari e l’abitante delle campagne, «sempre sospettoso» e «poco
mobile di intelligenza».
La colonizzazione finiva così con l’essere una specie di mito favoleggiato,
di facile applicazione all’estero, ma irraggiungibile nell’arretrata Italia. Un
obbiettivo però talmente desiderato che la tanto deprecata legge sui mani-
comi del 1904, quella famigerata che proponeva il manicomio innanzitutto
come «custodia» e solo in seconda battuta come «cura», proprio nel sua arti-
colo di apertura prevedesse due paragrafi espressamente dedicati all’affido
extra-ospedaliero169. Era stato nel 1904 che il parlamento italiano, dopo quasi
167
Le citazioni sono tratte da Verbale della sesta seduta del congresso della società freniatrica italiana,
20 ottobre 1904, in “Rivista sperimentale di freniatria”, 1904, alle pagine 256, 291, 296 e 297.
168
G.C. Ferrari, Come si può impiantare ed organizzare in Italia una colonia familiare per alienati,
“Rivista sperimentale di freniatria”, 1904, p. 324.
169
Cfr. la legge n. 36 del 14 febbraio 1904, articolo 1, paragrafi 2 e 3: «Può essere consentita
dal tribunale, sulla richiesta del Procuratore del Re, la cura in una casa privata, e in tal caso la
61
Massimo Moraglio
persona che le riceve e il medico che le cura assumono gli obblighi imposti dal regolamento. Il
direttore di un manicomio può, sotto la sua responsabilità, autorizzare la cura di un alienato in
una casa privata, ma deve darne immediatamente notizia al Procuratore del Re e all’autorità di
pubblica sicurezza».
170
Legge n. 36 del 14 febbraio 1904, articolo 1, paragrafo 1.
62
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
63
Massimo Moraglio
173
Per dare un ordine di comparazione della carenza di personale medico (e forse anche della
assenza di terapie), si consideri che a metà degli anni Sessanta i manicomi, con 34 milioni di
giornate di degenza nel 1965, potevano contare, per l’appunto, solo su mille medici, mentre
negli ospedali pubblici generali a fronte di 80 milioni di giornate di degenza vi erano 26.000
medici e 41.000 infermieri. Per i dati statistici cfr. Annuario Statistico Istat, varie annate.
174
Una denuncia degli interessi in Q. Bigiarelli, A chi fa comodo l’attuale ospedale psichiatrico?, in
“Il lavoro neuropsichiatrico”, fasc. 1, vol. 50, 1972.
64
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
comio era usato un po’ da tutti e, un po’ da tutti, socialmente accettato, come
«smaltitoio», ben lontano dal mandato ufficiale. Usato, al limite, persino dai
pazienti, come risulta lampante nel caso dello «smemorato di Collegno», al
secolo Mario Bruneri (poi dichiaratosi come professor Giulio Canella) che,
dopo un furto, per evitare la prigione si finge folle175. Ma esistono anche casi
meno noti, come quello investigato, tra gli altri, da Massimo Tornabene, di
un vagabondo-giostraio-fachiro del cuneese, che alla fine degli anni Trenta è
pronto a farsi internare ai primi freddi di ottobre ed estremamente abile nel
farsi dimettere in primavera176.
Servono nuovi e accurati studi sulle cartelle cliniche dei manicomi ita-
liani, leggendo tra le righe delle diagnosi mediche, per comprendere chi fu-
rono i degenti dei manicomi, ma si può comunque supporre che i maggiori
«fornitori» del manicomio fossero orfanotrofi affollati, forze dell’ordine alle
prese con ubriachi recidivi, famiglie povere con anziani affetti da demenza
senile e via dicendo. Parlare di terapia con simili degenti era impossibile, per
la semplice ragione che non erano malati mentali.
Con costoro, secondo le riviste mediche, l’unica azione curativa possibile
era da compiersi nella fase acuta della malattia mentale. E sul quel versante il
bagaglio medico appariva debole. Fa una certa impressione leggere nel testo
di Tamburini, Ferrari e Antonini del 1918 l’accorata risolutezza con cui veniva
descritta come «efficace mezzo di cura» la «clinoterapia». Che, sia detto subi-
to, la clinoterapia non è altro che la «cura del letto», favorevole - si scriveva
con entusiasmo - al paziente perché «il soggiorno a letto permette di ottenere
il riposo completo del cervello, perché con la porzione orizzontale è facilitata
l’irrorazione del sangue al cervello, col rilassamento completo di tutti i mu-
scoli». Del resto la clinoterapia, «nome felicemente scelto», esercitava anche
una funzione di controllo della disciplina in manicomio, con una «benefica
influenza […] sopra ciascun paziente». Ancora meglio, «più che tutto dà al
malato nuovo ammesso la consapevolezza di avere bisogno e possibilità di un
trattamento curativo»177. L’apparato terapeutico del 1918 si limitava insomma
al riposo, ancora ai bagni caldi o freddi a seconda dei casi e alla famigerata
ergoterapia, cioè il lavoro forzato dei degenti. Ma il lavoro, soprattutto quello
agricolo, ricordavano Luigi Baroncini, Gustavo Modena e Giuseppe Corberi
175
Cfr. il lavoro di L. Roscioni, Lo smemorato di Collegno. Storia italiana di un’identità contesa, To-
rino, Einaudi, 2007.
176
Cfr. M. Tornabene, La guerra dei matti. Il manicomio di Racconigi tra Fascismo e Liberazione, Bo-
ves, Araba Fenice, 2007.
177
A. Tamburini, G.C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie nazioni,
Torino, Utet, 1918, p. 543.
65
Massimo Moraglio
al congresso della società freniatrica del 1930, poteva essere un buon modo
per tenere occupati i degenti cronici, ritenuti inguaribili, ma non assumeva il
valore di ergoterapia178. Né più tenero sarebbe stato nel 1966 Mario Gozzano,
presidente Sip, che dichiarava senza mezzi termini come «a quei tempi [inizio
secolo] di terapie per i malati psichici non ne esistevano»179.
Insomma le terapie erano davvero un po’ poco e un po’ troppo vaghe
nei loro contorni per una scienza medica come pretendeva essere la psichia-
tria. Né le cose sarebbero andate meglio con l’avvio delle terapie da shock,
se persino un loro entusiasta sostenitore come Francesco Bonfiglio, collega
e sodale di Cerletti, si premurava di riportare nel «giusto» alveo la prete-
sa azione terapeutica, segnalando come ci fossero «ancora delle deprecabili
esagerazioni e non sempre utili generalizzazioni nell’uso di tali terapie»180.
Il tramonto del manicomio negli anni Settanta portava alla ribalta una sto-
ricizzazione delle terapie e lucida rivisitazione. È il caso di Sergio Mellina,
che derubricava senza appello l’elettroshock a «canto del cigno degli anni rug-
genti delle cosiddette terapie da shock, che ebbero inizio nel 1917 allorché
Wagner-Jauregg propose la sua malarioterapia». Era quello, continuava lo
psichiatra, «un contesto storico che guardava con diffidenza alla psicologia
dell’inconscio e che ancora ignorava i fasti della psicofarmacologia [mentre]
il terapeutico psichiatrico, ad onor del vero in fase di lallazione, cercava una
clamorosa apertura biologica». Insomma, «le trionfalistiche metodiche in-
terventiste dell’epoca, tra l’altro, parvero tanto più giustificate quanto più
permettevano alla psichiatria di allontanarsi dall’ipostatizzazione della no-
sografia kraepeliniana, notoriamente impotente sul piano terapeutico»181.
178
L. Baroncini, G. Modena, G. Corberi, Problemi nuovi dell’assistenza psichiatrica con particolare
riguardo all’Igiene mentale, in Atti del XIX Congresso Società Freniatrica Italiana, “Rivista sperimen-
tale di freniatria”, 1930, pp. 921 e ss.
179
Discorso di Mario Gozzano al XIX Congresso Sip, 1966, in “Il lavoro neuropsichiatrico”, fasc.
I-II, 1968, p. 40.
180
F. Bonfiglio, Problemi ed orientamenti odierni per la difesa sociale contro le malattie mentali, in “Il
lavoro neuropsichiatrico”, fasc. II, 1947, p. 200.
181
S. Mellina, Relazione L’elettroschock: limiti, tematiche, in “Il lavoro neuropsichiatrico”, fasc. 1,
vol. 50, 1972, p. 189 (il primo corsivo è nel testo, il secondo è aggiunto).
66
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
182
A. Tamburini, G.C. Ferrari, G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie nazioni,
Torino, Utet, 1918, p. 691, corsivi nell’originale.
67
Massimo Moraglio
183
Sul tema della degenerazione e dei suoi rapporti con il composito mondo eugenetico italia-
no cfr. C. Mantovani, Rigenerare la società. L’eugenetica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni
Trenta, Soveria Mannelli, Rubettino, 2004 e F. Cassata, Molti, sani e forti. L’eugenetica in Italia,
Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
184
C. Mantovani, Rigenerare la società. L’eugenetica in Italia dalle origini ottocentesche agli anni Tren-
ta, Soveria Mannelli, Rubettino, 2004, p. 23.
185
Una sintesi delle proposte di Bianchi in A proposito della riforma della legge sui Manicomi e sugli
alienati, in «Rivista sperimentale di freniatria», 1922.
68
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
69
Massimo Moraglio
ventesimo congresso della Sip del 1933, si dichiarava che il medico alienista,
non più confinato, come un tempo, fra le mura dell’ospedale psichiatrico
in uno «splendido isolamento», può oggi aspirare a più larghi compiti di
neuropsichiatria sociale ed affrontare con maggiore possibilità di successo i
complessi problemi della cura, dell’assistenza, della profilassi e dell’igiene
mentale. La vera opera «del dispensario dovrebbe essenzialmente dirigersi
alla ricerca dei soggetti in pericolo di ammalare per tentare con tutti i mezzi
di salvarli», a partire ovviamente dai parenti dei ricoverati in manicomio,
che per affinità familiari avrebbero potuto essere portatori a-sintomatici, ma
eugeneticamente contagiosi, della malattia mentale188. Destinazione finale di
simili soggetti sarebbero stati «reparti annessi a ospedali o a luoghi di assi-
stenza, decentrati nella provincia per la cura di malattie a breve decorso e
per lo smistamento degli infermi a più lungo decorso». In realtà, secondo la
relazione, l’azione di profilassi svolta nei dispensari, pur mostrando tutta la
sua utilità, non era che uno dei tasselli di un più ampio mosaico. L’attività
preventiva andava svolta altrove: negli ambulatori pediatrici, nell’esercito,
nelle scuole, nei servizi medico-scolastici. Lo psichiatra, insomma, come se-
lezionatore dell’umanità, fin dal momento in cui l’individuo si trovava inse-
rito in strutture sociali quali, appunto, esercito e scuola.
L’avvicinarsi dei venti di guerra e il radicalizzarsi del dibattito razziale
in Italia avevano esacerbato la questione, fino al punto di vedere il nome di
Arturo Donaggio, presidente della Società italiana di psichiatria, quale firma-
tario del «Manifesto della razza» pubblicato nel 1938. Non era solo un’ade-
sione formale, perché il carattere assunto da consistenti parti del mondo psi-
chiatrico veniva confermato dalle iniziative della Lega per l’igiene mentale:
a fine anni Trenta, richiamando l’esempio tedesco, si tornava a proporre la
creazione di un «Centro italiano di genetica psichiatrica» che avrebbe dovuto
attivare la schedatura di massa dei malati di mente. Si trattava di un progetto
che presupponeva e propugnava un determinismo ereditario della malattia
mentale, una degenerazione da controllare e su cui intervenire. Una posizio-
ne esplicitamente contigua alle teorizzazioni naziste, anzi troppo vicina ad
esse, al punto che la Lega vi dovette rinunciare per la ferma opposizione del
ministero degli Interni che vedeva una simile, costosa, iniziativa contrappo-
sta al carattere «spirituale» della stirpe fatto proprio dal Fascismo italiano189.
188
B. Manzoni, Le nuove realizzazioni dell’assistenza ospitaliera psichiatrica all’estero, in Atti del XX
congresso della Società Italia di Psichiatria, Roma 1-4 ottobre 1933, in «Rivista sperimentale di frenia-
tria», 1934, pp. 993, 932 e 933.
189
Per il dibattito sul Centro italiano di genetica psichiatrica cfr. il verbale del consiglio diretti-
vo della Lega, «Atti della Lega italiana di igiene e profilassi mentale», 1940, pp. 117 e ss. Sulla
70
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
questione dell’eugenetica in Italia cfr. i già citati lavori di Mantovani e Cassata, e di quest’ulti-
mo anche La Difesa della razza. Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Torino, Einaudi,
2008.
190
F. Bonfiglio, Problemi ed orientamenti odierni per la difesa sociale contro le malattie mentali, in “Il
lavoro neuropsichiatrico”, fasc. 2, 1947.
71
Massimo Moraglio
che cioè esso sia liberato totalmente da tutta l’attuale opprimente bardatura
burocratica, giudiziaria e poliziesca, che è di così grave danno materiale e
morale per i nostri ricoverati, e che, a dispetto di qualsiasi nostra eufemistica
denominazione e nonostante tutti i nostri sforzi per migliore la nostra orga-
nizzazione terapeutico-assistenziale, continua a conferirgli la triste fama di
luogo di custodia e reclusione che agli occhi dei profani lo fa apparire più
affine ad un carcere che ad un ospedale»191.
È in queste poche parole, e in tutte le sue contraddizioni, che si può ri-
assumere la linea di condotta del debole e impotente riformismo della Sip.
Impotente anche perché simili progetti di modifica si scontrarono con la
straordinaria forza e potenza dell’apparato manicomiale, fatto di formida-
bili interessi e poteri, di migliaia di dipendenti arroccati nella difesa del loro
status (infermieri, medici, impiegati), di riviste scientifiche, di associazioni,
di baronie, di camarille sindacali e clientele elettorali. Un apparato solido
anche e soprattutto perché basato su di una formidabile accettazione sociale
del manicomio come luogo di separazione dei devianti dalla società e che,
dall’accettazione sociale del manicomio, trovava linfa e ulteriore forze.
Le proposte di riforma furono comunque oggetto di una convinta appro-
vazione al congresso della Sip del 1946 (con Ugo Cerletti presidente dell’as-
sociazione) e a quello del 1948; poi di una commissione di studio della Sip
stessa, per approdare in un progetto di legge del gruppo parlamentare de-
mocristiano presentato dall’onorevole (e medico) Mario Ceravolo nel 1952. E
poi ancora convegni, come quello di Milano del 1955 e quello di Vicenza del
1957, dove tra l’altro si riproponeva, nel quadro delle riforme, anche un ca-
sellario psichiatrico nazionale, parallelo a quello penale e civile, dai contenu-
ti genealogici, non così diversi da quelli proposti nel 1942192. Unico elemento
di novità era dato dalla costituzione nel 1958 del ministero della Sanità e
dalla creazione di un ufficio specificatamente dedicato ai «servizi d’igiene
mentale», rappresentando il primo e unico pendant ufficiale alla esistenza di
dispensari, centri e ambulatori psichiatrici.
Il quadro normativo ufficiale restava ben fermo e, al di là della ripetuta
ed esibita necessità di una nuova legge, i difensori della situazione esistente
non mancavano. Lo denunciava Mario Gozzano, nuovo presidente Sip, in-
caricato a metà degli anni Sessanta dal ministro della sanità Mariotti di pre-
siedere una commissione di studio per la riforma della legge. A fronte delle
191
Ivi, pp. 208, 210 e 215 con corsivi nell’originale.
192
Elementi della discussione e delle varie iniziative in M. Marletta e M. Leoni, Assistenza psi-
chiatrica e organi della sanità pubblica, in “Il lavoro neuropsichiatrico”, fasc. III, 1959.
72
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
193
Discorso di Mario Gozzano al XXIX Congresso Sip, 1966, in “Il lavoro neuropsichiatrico”,
fasc. I-II, 1968, p. 41.
194
Cfr. S. Luzzi, Salute e sanità nell’Italia repubblicana, Roma, Donzelli, 2004, p. 229.
73
Massimo Moraglio
Sip trovarono nel congresso associativo del 1968 la messa in scena della in-
sanabile contraddizione di una scienza medica che tentava ancora una volta
di riformare il proprio irriformabile statuto scientifico. Il «tumultuoso Con-
gresso nazionale del 1968, ove esplose la contestazione»195, che vide la prote-
sta studentesca e un tesissimo intervento di Franco Basaglia come oratore, fu
il precipitato di due secoli di aporie mediche e sociali, con la deflagrazione
delle contraddizioni, anche umane, di una intera classe medica. Nel bailamme
degli interventi al quel consesso si può ricordare quello di Giovanni Battista
Belloni, già mentore di Basaglia a Padova, il quale assumeva che «contestare
è parola di moda», per poi denunciare lo scandalo del manicomio e di come
«di questo scandalo siamo certamente corresponsabili per la nostra troppo
docile adattabilità o peggio per incuria. Basta pensare che è un’infima mi-
noranza quella degli ospedali psichiatrici nei quali, anche dopo la scoperta
dei farmaci psicolettici, si attua integralmente [...] il no restraint assoluto che
Conolly applicava nel 1849»196. Donati andava oltre l’assunzione delle re-
sponsabilità e dichiarava apertis verbis la vacuità del progetto psichiatrico,
affermando che «da circa 200 anni stiamo dicendo le stesse cose. In 200 anni
abbiamo acquisito soltanto una tonalità più angosciata; la consapevolez-
za del nostro problema nei confronti dell’assistenza psichiatrica l’abbiamo
avvertito solo in posizione narcisistica»197. Failla indicava una impossibile
via di salvezza per la psichiatria tradizionale, instaurando la logica degli
opposti estremismi: «agli apostoli della contestazione globale [...] diciamo
innanzitutto che tante delle cose che essi pensano e dicono le abbiamo dette
e pensate anche noi, ma che [...] cerchiamo di compiere la nostra opera di
rinnovamento non al di fuori ma all’interno del sistema […] Ai conservatori
di formule che riflettono un feudalesimo istituzionale rivelatore deleterio
nelle premesse e anacronistico nella realtà effettuale delle cose, consigliamo
di accettare un programma di riforma realistico [...] e che non sono più i
tempi in cui si poteva andare avanti con il criterio del “Gattopardo”». Nel
disperato tentativo di conservare il timone del cambiamento, paventava, in-
telligentemente, come la resistenza della lobby manicomiale potesse trasci-
nare l’intera psichiatria verso il baratro del «radicalismo»: «E consigliamo
di recepirle nostre proposte per una nuova organizzazione [dell’assistenza
195
http://www.psichiatria.it/.
196
Relazione di G.B. Belloni al XXX congresso Sip, 1968, in “Il lavoro neuropsichiatrico”, vol. I,
1969, pp. 103 e 107.
197
Intervento di A. Donati al XXX congresso Sip, 1968, in “Il lavoro neuropsichiatrico”, vol. I, 1969,
p. 205.
74
PRIGIONIERI DI UN’UTOPIA. IL MANICOMIO DALLE SPERANZE TERAPEUTICHE ALLA ROUTINE SEGREGANTE
psichiatrica] prima che sia troppo tardi, prima che prendano il sopravvento
coloro che [...] si battono per “risposte ed azioni politiche” di un tipo e di una
scelta ideologica ben precisa»198.
Sfuggiva alla comprensione di Failla come i saperi medici e psichiatrici
non fossero mai stati riducibili a una pura e semplice adesione alle logiche
del potere e che, proprio in quella fase, si aprirono a comportamenti più com-
plessi, gravidi di contraddizioni. Il primo dei quali fu la messa in discussione
di quegli stessi assunti scientifici e politici di cui gli operatori medici avreb-
bero dovuto essere i più convinti propugnatori. L’azione – esplosiva, quan-
do si manifestò – di approccio critico al proprio sapere trascinò il manicomio
nel vortice del lungo «autunno caldo» italiano. Le vicende che portarono
alla chiusura dei manicomi si innervavano non tanto in un nuova istituzione
curativa (magari «moderna» e «tollerante» come le comunità terapeutiche)
quanto piuttosto in nuovi progetti culturali, nella messa in crisi dei tradi-
zionali paradigmi scientifici, di svuotamento di senso per autorità e saperi
fino ad allora concepiti come articoli di fede. Ci fu, cioè, un atteggiamen-
to anti-istituzionale ed eversivo da parte di quegli stessi scienziati e tecnici
che sarebbero dovuti essere i massimi esponenti dell’establishment. Inoltre,
non troppo paradossalmente, proprio l’insipida attività medica manicomia-
le, persa traccia delle utopie ottocentesche, avrebbe fatto trovare moltissimi
psichiatri dapprima vicini alle posizioni più radicali e, poi, decisamente a
favore della legge 180, proprio perché apriva le porte del manicomio anche
per loro, consentendo l’agognato passaggio agli ospedali generali.
Come lucidamente De Peri annotava oltre venti anni fa negli Annali della
Storia d’Italia Einaudi, la psichiatria nella lettura basagliana era luogo popo-
lato da uomini «pietrificati» dai meccanismi del potere. Per Basaglia que-
sto dato non era soltanto il segno del clamoroso fallimento di un progetto
umanitario e scientifico. La scoperta di una istituzione storicamente segnata
dalla dimensione sociale del proprio specifico intervento doveva portarlo ad
una lettura del manicomio come espressione politica del controllo sociale in
una fase di sviluppo economico paleo-capitalistica. Coerentemente a questa
visione del problema, il comportamento degli psichiatri non gli appariva
soltanto rinunciatario e pessimista, quanto subalterno ad una precisa stra-
tegia politica. Insomma, «chiudendo il ciclo delle grandi utopie sociali ot-
tocentesche, Basaglia si propose infatti di superare le contraddizioni intrin-
sicamente presenti nel riformismo psichiatrico, centrando la propria analisi
198
Relazione di E. Failla al XXX congresso Sip, 1968, in “Il lavoro neuropsichiatrico”, vol. I, 1969,
pp. 156-157.
75
Massimo Moraglio
199
F. De Peri, Il medico e il folle: istituzione psichiatrica, sapere scientifico e pensiero medico tra Otto e
Novecento, in Storia d’Italia, Annali 7, Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta, Torino, Einau-
di, 1984, pp. 1134-1136.
76
VERSO LA FINE DI UN PERCORSO: IL PROGRESSIVO PERDERSI DI RUOLO DEL MANICOMIO
manicomi, in “Rassegna di Studi Psichiatrici”, vol. XXIX, 1940, pp. 508 e ss.
77
Francesca Vannozzi
202
F. Vannozzi, La psichiatria senese del XX secolo: la separazione tra direzione manicomiale e docenza
universitaria, in San Niccolò di Siena. Storia di un villaggio manicomiale, a cura di F. Vannozzi, Mi-
lano, Mazzotta, 2007, pp. 145-154.
203
S. Colucci, Il San Niccolò di Siena da monastero francescano a villaggio manicomiale: storia, archi-
tettura e decorazione (1810-1950), in San Niccolò di Siena. Storia di un villaggio manicomiale, a cura di
F. Vannozzi, Milano, Mazzotta, 2007, p. 92
78
VERSO LA FINE DI UN PERCORSO: IL PROGRESSIVO PERDERSI DI RUOLO DEL MANICOMIO
79
Francesca Vannozzi
80
VERSO LA FINE DI UN PERCORSO: IL PROGRESSIVO PERDERSI DI RUOLO DEL MANICOMIO
81
Francesca Vannozzi
82
VERSO LA FINE DI UN PERCORSO: IL PROGRESSIVO PERDERSI DI RUOLO DEL MANICOMIO
to, ad esempio, era strenuo sostenitore della necessaria separazione tra in-
segnamento clinico delle malattie nervose e mentali da quello della neuro-
patologia, disciplina che andava ampliandosi notevolmente anche grazie ai
rapporti sempre più stretti con la radiologia, l’endocrinologia, la neurochi-
rurgia e tutte quelle metodiche di indagine che si stavano delineando, come
l’elettroencefalografia.
A metà del secolo, nonostante continuasse quindi il dibattito delle com-
petenze della clinica universitaria e del manicomio nei confronti non tanto
della cura quanto della didattica psichiatrica, si stipularono accordi e con-
venzioni tra i due enti perché l’insegnamento universitario venisse messo in
condizioni da parte dell’ospedale psichiatrico di essere ben effettuato, con
la cessione di quest’ultimo di locali, aule, assistenti, “alienati e alienate dal
formare materia di studio”209.
Con il progredire dell’impegno nella ricerca da parte della clinica, il ma-
nicomio andava comunque perdendo quel ruolo centrale nell’assistenza psi-
chiatrica, connotandosi sempre più come luogo per i soli “mentali cronici”,
il tutto con l’avvicinarsi del periodo del cosiddetto movimento “antiautori-
tario” diretto da Franco Basaglia e della corrente di psichiatria democratica
che condannerà la condizione di emarginazione sociale vissuta nel manico-
mio: i tempi erano maturi per la promulgazione della legge 180 del 1978, con
le sue dirompenti novità nelle pratiche della salute mentale.
209
Annuario universitario a.a. 1936-37, Siena, San Bernardino, 1937, pp. 79-84.
83
IL CASO DI MODENA
GLI ATTI DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA DELLA PROVINCIA DI MODENA
210
Il presente lavoro è stato redatto con il contributo di ricerca e analisi di Renata Disarò, Ales-
sia Francesconi e Chiara Pulini della Cooperativa C.S.R. di Modena, nell’ambito del progetto
di riordino e inventariazione del complesso documentario relativo all’assistenza psichiatrica
conservato nell’Archivio della Provincia di Modena. Il progetto, realizzato con il finanziamento
della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena (Progetto ArchiviaMo) e la collaborazione della
Soprintendenza Beni archivistici per l’Emilia Romagna, dell’Istituto regionale per i Beni cultu-
rali e del Centro di documentazione provinciale, prevede una ricognizione complessiva dei vari
nuclei documentari individuati e la loro inventariazione sulla base delle norme internazionali
di descrizione archivistica ISAD (G) attraverso l’utilizzo del software X-DAMS. Tra i risultati
attesi, oltre alla puntuale descrizione dei fascicoli contenenti il carteggio generale dell’assisten-
za psichiatrica, l’individuazione dei vincoli sottesi alle aggregazioni archivistiche rintracciate,
al fine di cogliere gli elementi costitutivi intrinseci all’intero complesso documentario, anche
attraverso la ricostruzione delle pratiche quotidiane della gestione amministrativa.
211
Il complesso documentario denominato Atti relativi all’assistenza psichiatrica (1350 unità ca.),
costituito da buste e registri prodotti dal 1866 al 1986, è stato oggetto di un primo riordino sul
finire degli anni Ottanta del Novecento, in occasione del riordinamento generale delle serie e
dei nuclei documentari dell’Ente (cfr. Guida dell’Archivio, a cura di C. Ghelfi, Modena, 1994, in
particolare alle pp. 33 e 68-69).
212
Nonostante alcune lacune, dal 1881 al 1884 e dal 1887 al 1900, l’insieme documentario co-
pre complessivamente l’arco cronologico che va dal 1866 al 1986. Si segnalano documenti più
antichi, quali certificazioni allegate ad istanze, e atti in copia conforme, come nel caso della
convenzione del 1858, stipulata tra il manicomio di San Lazzaro di Reggio Emilia e la Congre-
gazione di carità di Modena, finalizzata al “mantenimento di pazzi”(APMO, Carteggio di ammi-
nistrazione generale, 1866, cl. 6.5.1, Fascicolo generale). Per quanto riguarda l’estremo più recente,
il 1986, va segnalato che, nonostante quanto sancito dalla legge 13 maggio 1978, n. 180, (detta
legge Basaglia), che prevedeva il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative con-
cernenti l’assistenza psichiatrica in condizioni di degenza ospedaliera, il nucleo documentario
ha continuato ad essere implementato anche negli anni successivi attraverso la produzione di
un carteggio finalizzato al completamento del passaggio delle funzioni.
87
Paola Romagnoli
strativa del 1865 che, tra le varie funzioni in elenco, attribuiva alle Province
l’onere di provvedere al mantenimento degli alienati poveri213.
L’obbligo consisteva nel garantire a tutti gli ammalati di mente presenti
sul territorio di competenza, anche qualora provenienti da altre province,
il ricovero presso strutture di degenza proprie o presso istituti pubblici e
privati, con i quali venivano stipulate apposite convenzioni. Per i ricoveri
urgenti di propri cittadini in strutture esterne al territorio di competenza, le
province erano poi tenute al rimborso delle spese anticipate dall’ente com-
petente non solo per il ricovero, ma anche per il trasferimento presso altre
strutture o, in caso di guarigione, presso la famiglia di origine.
Da un punto di vista archivistico, l’insieme documentario derivato
dall’espletamento di questa attività è il risultato dell’aggregazione di serie e
nuclei diversi che, seppur complessivamente generati all’interno della prin-
cipale serie archivistica dell’ente, il Carteggio di Amministrazione generale214,
sono stati per lungo tempo conservati come serie separate, confluendo solo
in tempi recenti in un unico complesso, a seguito della riorganizzazione
dell’intero fondo archivistico della Provincia sul finire degli anni Ottanta del
secolo scorso.
La voce di classificazione generale, che lega in forma unitaria questi do-
cumenti, fu individuata sin dall’inizio all’interno del titolo VI del titolario in
uso, Beneficenza pubblica215 e, più precisamente, nella rubrica 6.5, identificata
prima con Mentecatti poi, dal 1923, con Dementi e dal 1966 con Minorati psi-
chici216. Nell’arco dell’intero periodo documentato, dal 1866 al 1986, mentre
213
Legge di unificazione amministrativa del 20 marzo 1865, n. 2248, art. 172: “Spetta al Consi-
glio provinciale, in conformità delle leggi e dei provvedimenti, provvedere colle sue delibera-
zioni […] al mantenimento dei mentecatti poveri della Provincia”.
214
Il Carteggio di amministrazione generale, da ora Carteggio, costituisce la serie archivistica prin-
cipale dell’ente e raccoglie i documenti prodotti e ricevuti dalla Provincia nell’espletamento
delle proprie funzioni. La serie, che data a partire dal 1866, preceduta dagli Atti della Deputazione
provinciale (1860-1965), organizzati in ordine di numero di protocollo, è ordinata sulla base di
titoli e rubriche di classificazione che si ispirano al “Prospetto delle materie e denominazioni
principali per la classificazione delle carte in uso degli Archivi delle Prefetture dipartimentali”
di epoca napoleonica.
215
Dal 1880, con un anticipo per gli anni che vanno dal 1875 al 1877, il titolo viene modificato in
Beneficenza e dal 1966 in Assistenza.
216
Come ultimo grado divisionale furono introdotte le classifiche 6.5.1 e 6.5.2. La classificazione
6.5.1 fu utilizzata senza soluzione di continuità fino al 1986. La classificazione 6.5.2 si riscontra
tra il 1878 e il 1880 e, in modo sistematico dal 1938, quando verrà destinata esclusivamente alla
gestione degli atti relativi all’assistenza degli Encefalitici, competenza acquisita dalle Province
nel 1936 (cfr. Regio decreto legge 29 ottobre 1936, n. 2043, Disposizioni per l’assistenza e la cura
degli affetti da forme di parchinsonismo encefalitico), in merito al sussidio di assistenza da prestare
nel periodo acuto della malattia e della successiva convalescenza. Dal 1966 la classifica 6.5.2
88
GLI ATTI DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA DELLA PROVINCIA DI MODENA
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Paola Romagnoli
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GLI ATTI DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA DELLA PROVINCIA DI MODENA
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92
GLI ATTI DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA DELLA PROVINCIA DI MODENA
fini della creazione di una rete di servizio di igiene e profilassi mentale. I dispensari, istituiti su
deliberazione del Consiglio provinciale, furono concepiti con compiti di diagnostica neuropsi-
chiatrica precoce, assistenza tempestiva conseguente alla diagnosi, vigilanza ed assistenza dei
dimessi dagli ospedali psichiatrici, propaganda a scopo umano e sociale dell’azione preventiva
e profilattica.
225
Per il periodo esaminato, oltre ai registri dei verbali di Giunta e Consiglio, sono agevolmente
consultabili fino al 1966 gli Atti a stampa del Consiglio provinciale, corredati da indici finali e relazioni
di bilancio, e, dopo il 1966, le scansioni digitali degli atti deliberativi, dotate a loro volta di indici.
226
Rintracciata in completo disordine sul finire degli anni Ottanta del Novecento, questa serie
documentaria è stata poi successivamente riordinata (cfr. Guida, p. 68) nel rispetto dell’organiz-
zazione originaria dei fascicoli, in parte in sequenza numerica progressiva (1979-1981), bb. 76,
in parte in ordine alfabetico (1946-1981), bb. 914. A tutt’oggi non sono stati rintracciati repertori
finalizzati al reperimento dei fascicoli, archiviati con riferimento all’anno di chiusura del fasci-
colo, così come non sono ancora evidenti le modalità di numerazione delle pratiche.
93
Paola Romagnoli
94
GLI ATTI DELL’ASSISTENZA PSICHIATRICA DELLA PROVINCIA DI MODENA
dementi e una serie di 10 rubriche o registri, uno per ciascuna delle diverse
categorie di assistiti: dementi militari, dementi condannati, dementi a con-
tributo, dementi a carico di altre province o altri enti, dementi paganti in
proprio, dementi ricoverati a Reggio Emilia, dementi ricoverati in manico-
mi o cliniche di altre province, dementi tranquilli ricoverati in ogni istitu-
to, ricoverati in case di cura private, dementi sussidiati. L’obiettivo diventa
quello della riorganizzazione del servizio e, al suo interno, la revisione delle
scritture in essere e della loro tenuta230; una questione aperta quindi, su cui
si sta indirizzando la ricerca, per ricostruire nel contempo le modalità della
gestione dei fascicoli dei sussidiati: dalla loro formazione (apertura, gestione
in corrente, selezione e archiviazione a fini conservativi)231 agli strumenti del
loro reperimento, sia in fase corrente sia in fase di deposito, per autodocu-
mentazione del servizio.
In conclusione, allo stato attuale delle ricerche, questo complesso docu-
mentale, fonte imprescindibile per lo studio del disagio mentale nel mode-
nese tra l’Unità d’Italia e la fine degli anni Settanta del Novecento, occasione
di approfondimento sulle politiche di intervento specificamente adottate
dall’Ente, sulla rete delle relazioni che si vennero a creare sul territorio tra
enti locali e strutture sanitarie e sull’evoluzione del dibattito locale in ma-
teria, rappresenta un’opportunità per indagare tra l’altro sulle modalità or-
ganizzative e gestionali di un “sistema archivistico” complesso e articolato,
riflesso di una delle più antiche funzioni attribuite alla Provincia che, nel
caso specifico, seppe sperimentare modalità di intervento nuove in anticipo
sull’evoluzione della norma232.
230
Per quanto concerne i registri rinvenuti si segnalano: cinque registri della fine degli anni Ses-
santa dell’Ottocento, con trascrizioni di dati anteriori e la serie dei registri annuali di contabilità
delle spese sostenute per i ricoveri dei sussidiati presso istituti diversi, dalla fine dell’Ottocento
agli anni Trenta del Novecento, che, dopo alcune interruzioni, continua come serie dei registri
di Ragioneria. Contabilità sussidi, dal 1946 al 1981.
231
Di particolare interesse in questo contesto alcuni “segnalatori” rintracciati all’interno della
serie del Carteggio, realizzati su carta intestata dell’Archivio generale, come promemoria di in-
terventi di selezione – esempio: “Dementi. Fascicoli personali. Movimento: sono stati scartati
quelli dei morti e usciti” – per i quali si tratta di verificare se la selezione fosse finalizzata a
deposito o scarto.
232
Tra le fonti utili a ricostruire le fasi del dibattito locale e gli indirizzi politici adottati dall’am-
ministrazione modenese che portarono alla definizione dei piani psichiatrici comprensoriali, si
segnalano, oltre ai verbali delle deliberazioni consiliari (v. nota n. 16), alcuni contributi editoria-
li, risultati di indagini e atti di seminari, disponibili presso la Biblioteca dell’ente.
95
LO STABILIMENTO PER ALIENATI DEL DUCATO DI MODENA
Introduzione
233
M. Dall’Acqua-M. Miglioli, I viaggi d’istruzione medica nel processo di formazione della psichiatria
italiana, “Sanità, scienza e storia”, 2, 1984, pp. 173-197.
234
Si veda J. Frank, Sui viaggi d’istruzione medica, Giornale delle Scienze Mediche, V, 1839, pp. 385-
405 e R. Sava, Sui pregi e doveri del medico, Milano, Martinelli, 1845.
235
M. Cagossi, Nascita dell’istituzionalismo secondo i resoconti di viaggio nell’Ottocento, in Passioni
della mente e della storia, a cura di F.M. Ferro, Milano, Franco Angeli, 1980.
236
P.L. Cabras, E. Campanini, D. Lippi, I Viaggi Medici nel XVIII e nel XIX Secolo, Atti del XXXIX
Congresso Nazionale SISM, Firenze, 12-14 Giugno 1998, in “Giornale di Medicina Militare”, 149,
fasc. 5-6, 1999, pp. 439-440.
237
Jean-Étienne Dominique Esquirol (1772-1840).
97
Donatella Lippi
98
LO STABILIMENTO PER ALIENATI DEL DUCATO DI MODENA
Il testo
99
Donatella Lippi
1° Materiale
100
LO STABILIMENTO PER ALIENATI DEL DUCATO DI MODENA
101
Donatella Lippi
102
LO STABILIMENTO PER ALIENATI DEL DUCATO DI MODENA
103
Donatella Lippi
3° Statistica
248
Si tratta di Giovanni Stefano Bonacossa (1804–1878): fin dal 1828 si dedicò allo studio e alla
cura degli alienati mentali, frequentando il manicomio di Torino prima come medico aggiunto,
poi come ordinario e infine come primario. Dottore collegiato per le malattie mentali, fu profes-
sore di Clinica delle Malattie Mentali dal 1851.
249
Da questa osservazione, si deduce che Desmaisons utilizza anche la seconda versione del
Voyage en Italie di Valentin, edita nel 1826 (L. Valentin, Voyage médical en Italie, fait en 1820, Nan-
cy, 1822, II ed., Paris 1826).
104
LO STABILIMENTO PER ALIENATI DEL DUCATO DI MODENA
Conclusioni
105
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
I matti, o presunti tali, ci sono sempre stati nella storia dell’umanità. Per
secoli la malattia mentale è rimasta confinata in famiglia, l’istituzione che
si faceva carico di quel tipo di malattia. La svolta la fornì l’apparizione dei
primi manicomi, che cominciarono a raccogliere ogni sorta di spostato. Ov-
viamente l’accesso era facilitato laddove la distanza non era eccessiva e la
capienza sufficiente. Poi naturalmente c’era la questione economica a condi-
zionare l’ospitalità: buona parte di quanti necessitavano delle cure dei ma-
nicomi erano “povere menti”, intelligenze affette da disturbi e tasche vuote
costituivano una combinazione oltremodo sfortunata. Ci voleva qualcuno
che si facesse carico del mantenimento di questi disgraziati.
A Modena, come dappertutto, il problema esisteva e imponeva una so-
luzione. Nel locale ospedale, il vecchio Sant’Agostino250, eretto ai bordi del
centro storico della città, intorno alla metà del XIX secolo, quando grosso
modo questa storia prende avvio, malati di mente venivano ospitati secondo
un’abitudine che vigeva quasi dappertutto, cioè mischiati agli altri pazienti
con una scarsa attenzione alla distinzione delle malattie. Considerevolmente
allargatosi intorno alla fine del ‘700, l’ospedale era gestito dalla Congrega-
zione di carità. Vi trovavano asilo tutti quelli definiti genericamente demen-
ti, separati con difficoltà, per motivi di spazio godendo l’ospedale di una
capienza di 250-300 letti, da malati di tutt’altro genere.
Ma gran parte dei dementi venivano istradati verso il San Lazzaro di
Reggio Emilia, un’istituzione che traeva la sua origine da un ricovero di leb-
250
Sulla storia del più antico ospedale modenese, cfr. A. Giuntini-G. Muzzioli, E venne il Grande
Spedale. Il sistema ospedaliero modenese dalle origini settecentesche ad oggi, Modena, Servizio sanitario
regionale Emilia Romagna, 2005. Notizie concernenti l’assistenza ai malati di mente in epoca mo-
derna sono in P. Di Pietro, L’ospedale di Modena, Modena, Editrice Bassi e nipoti, 1965, pp. 93-94.
107
Andrea Giuntini
brosi ed invalidi istituito dal Comune nel 1754 e destinato tre anni dopo
esclusivamente ai malati di mente. Un anno dopo la nascita del manicomio,
l’amministrazione dell’ospedale modenese aveva deliberato di costruire
un Ospizio de’ pazzi o Fabbrica per li pazzarelli, edificio a due piani dotato di
piccole stanze e inteso come passaggio intermedio per i malati in attesa di
trasferimento al San Lazzaro. Con l’ospedale reggiano venne stipulata una
convenzione nel 1757 per il ricovero dei pazienti modenesi a spese dell’am-
ministrazione ospedaliera della capitale ducale e della Congregazione di
Carità della città. Il San Lazzaro prevedeva una sistemazione distinta in tre
classi su base censuaria; i più poveri venivano impiegati nella colonia agrico-
la e nelle officine annesse all’istituto. Fin da questi anni si cominciò a consi-
derare il San Lazzaro la destinazione privilegiata per i matti modenesi; anzi
di più, nel senso che veniva ritenuto quasi un manicomio modenese, per la
prossimità e la familiarità percepite. Andava in questa direzione anche la
decisione presa dalla Congregazione di carità di Modena di finanziare la re-
alizzazione di ben 22 camere presso il manicomio reggiano, riservandole ai
propri malati251. A conferma di un simile sentimento comune e di un legame
sempre più forte, nel 1821 il duca Francesco IV dichiarava che il San Lazzaro
andava considerato “Stabilimento generale delle case de’ pazzi” per lo stato
intero e non solo di Reggio Emilia, sancendo quello che nell’immaginario
collettivo locale già trovava una forma compiuta. I flussi nei primi decenni
dell’800 furono intensi e la consuetudine si fondò definitivamente, permet-
tendo ai modenesi di pretendere condizioni economiche di ammissione più
favorevoli. Chi finiva al San Lazzaro probabilmente godeva di condizioni
migliori di quanti viceversa restavano al Sant’Agostino, se diamo credito
ad una descrizione dei locali adibiti all’accoglienza dei dementi risalente al
1803: “Nell’ospedale di Modena sonovi per i pazzi due piccoli malsani locali,
uno a settentrione e l’altro a ponente, i camerini dei quali sono separati da
tante robuste rastrelliere a guisa di capponaie. Tali locali, ben lungi dal costi-
tuire un luogo di cura, riescono invece un luogo di pena, peggiore assai di un
ergastolo, dove i ricoverati divengono in breve scorbutici e muoiono” 252.
Alla vigilia dell’Unificazione, nel 1858, veniva firmata una nuova conven-
zione con la Congregazione di carità modenese, che garantiva agli abitanti
di Modena e del suburbio - San Faustino, Sant’Agnese, Santa Caterina, San
Cataldo - una retta scontata rispetto a quella prevista per quanti invece pro-
venivano dagli altri paesi della provincia modenese: 1.10 lire al giorno nel
251
Sei stanze vennero costruite nel 1757, cinque nel 1768 e infine undici nel 1774.
252
P. Di Pietro, L’ospedale di Modena, Modena, Editrice Bassi e nipoti, 1965, p. 97.
108
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
primo caso contro le 1.35 del secondo. Il trattamento di favore era motivato
dall’intervento in prima persona operato anni prima dalla Congregazione e
non verrà rimesso in discussione dall’amministrazione dell’istituto reggia-
no prima degli anni Venti del secolo successivo, ma dette comunque adito
ad infinite discussioni. Come quando qualche anno più tardi, il 18 gennaio
1845, Francesco IV decretava che 12 pazzi poveri modenesi dovessero essere
ricoverati a Reggio, pagando una retta di 1.25 al giorno, mentre per gli altri
veniva previsto l’invio al ricovero per i poveri di Saliceta a 1.50. La decisione
scatenò le proteste vibranti dell’amministrazione del San Lazzaro, sconcer-
tata per un’equiparazione ritenuta scorretta, visto che Saliceta non aveva ca-
ratteristiche di manicomio. Il problema specifico si risolse l’anno successivo,
quando l’amministrazione della Pia Casa dei poveri di Saliceta veniva sciol-
ta, ma non per questo cessarono i dissidi fra modenesi e reggiani. Nel corso
del tempo si susseguiranno fra le due parti continue diatribe soprattutto a
proposito dell’entità delle rette da pagare, che i modenesi ritennero sempre
troppo elevate.
In manicomio si guarisce
109
Andrea Giuntini
110
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
Vie di fuga
111
Andrea Giuntini
ricerca di soluzioni per ridurre le difficoltà incipienti. Come prima cosa si in-
nescò un’interminabile polemica sulle diagnosi: solo ai pazzi veri andavano
aperte le porte del manicomio, gli altri viceversa occorreva curarli in altro
modo, preferibilmente tenendoli in famiglia, propria o diversa da quella di
appartenenza oppure in istituti ospedalieri o di beneficenza. Meno ricoveri
significava conti più leggeri da pagare, di qui il tentativo di limitare a un nu-
mero più ristretto possibile l’etichetta di matto. I primi soggetti, con i quali si
svilupparono duri conflitti furono i Comuni, sui quali le Province cercarono
sempre di riversare almeno una parte dei costi di mantenimento. Gran parte
dei costi relativi al funzionamento di ospedali e luoghi di ricovero venivano
sostenuti dalle Amministrazioni comunali e dalle Congregazioni; se i malati
di mente fossero stati ospitati in quelle comunità, le Province evidentemente
sarebbero state in grado di risparmiare. I Comuni invece tendevano sbri-
gativamente a indirizzare i malati in manicomio, liberandosene sulla base
della motivazione della pericolosità con un semplice certificato di povertà
ottenuto grazie anche alla complicità della famiglia, che andava ad atterrare
direttamente sulle spalle delle Province. Le province a loro volta premevano
sul governo per ottenere di scaricare almeno parzialmente l’onere dei mani-
comi sul bilancio statale e cercavano di ridurre le spese. I rapporti fra le due
amministrazioni locali modenesi negli anni successivi alla emanazione della
legge furono contrassegnati da continui scontri sul terreno dell’assistenza ai
malati di mente. Un rapporto analogamente conflittuale, ma al tempo stesso
anche di collaborazione, l’amministrazione provinciale lo intrattenne anche
con la Congregazione di carità, con la quale venne stabilita una convenzione,
firmata il 13 marzo 1869, per il mantenimento congiunto dei matti poveri.
Anche in questo caso l’accordo fece nascere una quantità di litigi e tensioni
fra le parti in causa in merito alla copertura dei costi261.
La stessa definizione ex lege di mentecatto finì più volte sub iudice su inizia-
tiva dell’Amministrazione provinciale. Si succedono in questi anni continui
dibattiti in Consiglio provinciale sul significato della parola, con l’obiettivo
esplicitato di ridimensionarla e di lì ridurre il flusso degli internati in mani-
comio. Al termine della prima tornata di discussioni al riguardo, il Consiglio
nel 1866, l’anno dell’entrata in vigore della legge, convergeva sulla decisione
di far rientrare nella categoria di pazzi destinatari del diritto al ricovero “tut-
261
Abbiamo notizia di più dissidi, tutti alla fine composti, sorti immancabilmente intorno alla
stima di somme che la Provincia era tenuta a pagare alla Congregazione a titolo di rimborso
per il mantenimento dei dementi (Archivio della Provincia di Modena, d’ora in avanti APMO,
Affari generali 1868-1873, 45 e Atti del Consiglio Provinciale di Modena, d’ora in avanti ACPM,
15 dicembre 1869).
112
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
ti gli alienati di mente poveri che dietro informazioni prese risultino essere
di danno a loro stessi o ad altri, o recan scandalo o perturbamento all’ordine
e alla quiete pubblica, o al sentimento della pubblica moralità”262. Ciò nono-
stante si lamentava a più riprese un abuso dei ricoveri e si invocavano norme
precise e rigide; una circolare dell’Amministrazione provinciale datata 14
dicembre 1867 faceva riferimento in tono accusatorio “a quegli individui i
quali anziché trovarsi in uno stato di vera pazzia furiosa e quindi di danno
a se stesso o agli altri, o di pubblico scandalo, non sono colti invece che da
semplice mentecattaggine, o ebetismo o imbecillità e perciò da considerarsi
piuttosto come cronici incurabili in guisa da poter continuare a vivere nelle
loro famiglie, o quanto meno nei Ricoveri e negli Ospedali Ordinarj”263. In-
dividui affetti da tali patologie potevano trovare una collocazione diversa
da quella del manicomio, senza pregiudicare oltre misura la loro salute e
le aspettative di guarigione. Era necessario dunque assumere informazioni
precise sul conto dei malati di mente: se effettivamente davano scandalo e
si rendevano perturbatori dell’ordine pubblico, la patente di matti era facil-
mente attribuibile, altrimenti il bisogno del ricovero non poteva essere con-
siderato manifesto. A questo fine gli amministratori provinciali modenesi
esigevano “deposizioni giurate possibilmente di due vicini di casa dell’am-
malato, non parenti”, dunque testimonianze non interessate di estranei in
modo da superare l’uso invalso di “facile correntezza nel prestar fede alle
esagerate asserzioni d’individui interessati”264. L’attenzione concentrata sui
ricoveri era pari a quella destinata alla fase delle dimissioni, sempre affret-
tate in modo tale da non protrarre al di là del dovuto l’internamento. Dietro
alle motivazioni umanitarie di destinare il ricovero soltanto a quanti ne ave-
vano veramente bisogno per cercare di guarirli, si nascondeva anche un’ele-
vata dose di cinismo da parte della autorità provinciali.
Ovviamente c’era sempre il Sant’Agostino, che non smise mai di ospitare
un certo numero di malati mentali, mischiati agli altri cronici indigenti, ero-
gando anche una serie di sussidi per l’assistenza a domicilio e la distribuzio-
ne gratuita dei farmaci265. Ma non bastava, anche perché stava aumentando
drammaticamente il numero delle varie categorie di dementi. Alla ricerca
di uno sfogo per differenziare la tipologia dei malati, nel 1868 la Provincia
262
ACPM, 3 aprile 1866.
Raccolta di circolari deputatizie relative al servizio dei mentecatti, Modena, Tipografia di Annibale
263
113
Andrea Giuntini
M. Barbieri, Le Opere pie a Modena, Modena, Comune di Modena, 1980; e Atti del Consiglio
266
114
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
finitiva emancipazione dal San Lazzaro veniva vista con unanime favore. Il
problema era costituito dall’impegno finanziario previsto, che l’ente locale
non era in grado di sostenere autonomamente. Per questo motivo si ripie-
gò su una soluzione più a buon mercato, studiata da Razzaboni nel 1870,
il quale si faceva promotore di una proposta relativa ad una Casa d’osserva-
zione, sulla scorta dell’esempio passato, il cui scopo sarebbe consistito nel
filtrare i malati, scegliendo quelli più gravi da inviare al San Lazzaro270. La
casa poteva funzionare da momento di controllo per evitare i numerosi casi
di “dubbia pazzia”271, che l’Amministrazione denunciava. Si trattava quasi
di “un manicomio in piccolo”, per il quale si prevedevano comunque in-
vestimenti cospicui, inferiori a quelli previsti per il manicomio vero e pro-
prio, ma egualmente troppo elevati per le possibilità dell’Amministrazione.
L’accoglienza poi non fu favorevole da parte di tutti, aggiungendo dubbi e
perplessità. Finì per prevalere la logica del risparmio e la rassegnazione a
continuare il rapporto con l’istituzione reggiana. L’idea restò in vita ancora
per qualche anno, poi alla fine venne abbandonata.
270
ACPM, 13 settembre 1870.
271
ACPM, 22 agosto 1873; 30 agosto 1875.
272
Sulla storia della Società, cfr. La Società Medico-Chirurgica di Modena. Storia nella cultura nazio-
nale, a cura di E. Cheli, Modena, Mucchi editore, 1989. Notizie utili sono rintracciabili in Discorso
inaugurale letto dal dottor Francesco Generali all’aprirsi delle sedute della Società medico-chirurgica di
Modena il 4 novembre 1874, Modena, Tipografia di Vincenzo Moneti, 1874; e Società medico-
chirurgica in Modena, Adunanze del 4 Novembre e 10 Dicembre 1873. Resoconto del vice–segretario
dott. Enrico Morselli, Modena, Tipografia Vincenti, 1874.
115
Andrea Giuntini
delle nascente scienza psichiatrica italiana e fondatore nel 1875 della “Rivista
sperimentale di freniatria e medicina legale”, uno dei laboratori fondamen-
tali per la formazione degli studiosi in questo campo. Livi, che proveniva
dall’esperienza di direttore del manicomio senese, tenne per due anni l’inca-
rico dell’insegnamento di Clinica delle malattie mentali e fu il primo docente
ordinario di Psichiatria. L’insegnamento, che Livi mantenne fino alla morte
avvenuta nel 1877, venne collegato per la prima volta nel 1874 alla direzione
del San Lazzaro, quando il manicomio reggiano divenne la Clinica psichia-
trica dell’Università di Modena. Gli subentrò un altro dei padri della psi-
chiatria italiana, l’anconetano Augusto Tamburini (1848-1919)273. Laureato a
Bologna nel 1873274, Tamburini diresse per un trentennio l’istituto reggiano,
dove fondò efficienti laboratori annessi alla clinica psichiatrica dell’Univer-
sità modenese, contribuendo in maniera decisiva alla formazione di nume-
rosi nuovi ricercatori275. In quegli anni si laureavano a Modena giovani che
avrebbero poi ricoperto incarichi di docenza di prestigio e svolto un ruolo
centrale nello sviluppo della psichiatria italiana, come Enrico Morselli (1852-
1924)276, uscito dall’Università modenese nel 1881 e fondatore nello stesso
anno della Rivista di filosofia scientifica. Tamburini, presidente della Società
freniatrica Italiana, fondata nel 1873, e consulente del governo sulla questio-
ne dei manicomi, fu una delle massime autorità della materia nel continente.
Al momento della sua dipartita dal San Lazzaro nel 1906 si interrompeva
il lungo periodo di saldatura fra l’insegnamento modenese e il manicomio
reggiano. Da Eugenio Tanzi ad Ernesto Lugaro, da Arturo Donaggio, lau-
reato anch’esso a Modena, a Ugo Pizzoli (1863-1934)277, direttore dal 1900 al
1902 dell’Istituto medico-pedagogico emiliano di San Giovanni in Persiceto
e presidente della Società italiana di psichiatria, altri luminari della psichia-
273
Sulla vita di Tamburini, cfr. V. Bongiorno, Il dedalo della mente. Augusto Tamburini tra neurofi-
siologia e psichiatria, Roma, Edizioni Kappa, 2002.
274
Nel corso degli anni Sessanta le prime università italiane cominciavano a inserire fra i propri
insegnamenti la psichiatria; a Bologna veniva istituito nel 1863 il corso di Clinica delle malattie
mentali collegato alla cattedra di Medicina legale (F. Minuz, Le sedi di apprendimento della pratica
psichiatrica. Psichiatria nazionale e psichiatria negli Stati pontifici, in Per una storia della psichiatria e
dell’istituzione manicomiale a Bologna, numero monografico della rivista “Sanità scienza e storia”,
1985, 1, p. 118). Nel 1864 veniva pubblicata la rivista ”Archivio italiano per le malattie nervose”.
275
A. Tamburini, Il frenocomio di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Tipografia di Stefano Calderoni e
Figlio, 1880.
276
P. Guarnieri, Individualità difformi. La psichiatria antropologica di Enrico Morselli, Milano, Fran-
co Angeli, 1986.
277
Su di lui, cfr. C. Cipolli, Psicologia, in La Società Medico-Chirurgica di Modena. Storia nella cultu-
ra nazionale, a cura di E. Cheli, Modena, Mucchi editore, 1989, pp. 295-304.
116
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
Vita da matti
117
Andrea Giuntini
Il grande internamento
118
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese, Milano, Franco Angeli, 1980, pp. 227-294.
284
Relazione della commissione permanente contro la pellagra della Provincia di Modena per l’Anno
1899, Modena, Stabilimento Tipo-litografico Paolo Toschi e C, 1900.
285
P. Benassi, Alienazione ed emarginazione, in L’emarginazione psichiatrica nella storia e nella società.
Atti del convegno nazionale organizzato dagli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici San Lazzaro di Reggio
Emilia, Reggio Emilia 11-12 aprile 1980, Reggio Emilia, Grafica editoriale, 1981, pp. 1051-1058.
V. Fiorino, Matti, indemoniate e vagabondi. Dinamiche di internamento manicomiale tra Otto e
286
119
Andrea Giuntini
1865 7.700
1866 8.262
1874 12.210
1875 12.913
1877 15.173
1880 17.471
1881 18.084
1883 19.656
1885 20.051
1888 22.424
1891 24.118
1892 24.118
1896 30.000
1898 34.802
1901 36.845
1904 39.544
1905 39.544
1907 45.009
1913 54.311
1914 54.311
Cambio di paradigma
289
Augusto Tamburini, Giulio Cesare Ferrari, Giuseppe Antonini, L’assistenza agli alienati in
Italia e nelle varie nazioni, Torino, Unione tipografico torinese, 1918, p. 580.
120
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
Conflitti
121
Andrea Giuntini
le rette dei propri assistiti ai livelli della vecchia convenzione firmata nel
1858293. D’altro canto per la Provincia modenese in effetti, come appare dalla
serie delle spese erogate per l’assistenza sanitaria ai malati di mente, il peso
risultava sempre meno sostenibile e il problema veniva presentato in Consi-
glio con il termine “poderoso” 294.
122
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
123
Andrea Giuntini
295
ACPM, 3 marzo 1906.
296
V.P. Babini, in Tra sapere e potere. La psichiatria italiana nella seconda metà dell’Ottocento, Bolo-
gna, Il Mulino, 1982, pp. 88ss.
124
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
tazione provinciale di Bologna nel 1905 propose alle altre province emiliane
di realizzare un consorzio al fine di acquisire l’istituto medico297. La vicenda
si trascinò a lungo fino a che se ne misurò il fallimento per l’indisponibilità
opposta da molte delle Deputazioni interpellate. Anche i modenesi aderi-
rono senza particolare entusiasmo e non fecero nulla per il buon esito della
questione.
Incentrata sul concetto di pericolosità dei malati piuttosto che sulle loro
patologie, rafforzando quindi i pregiudizi sulla malattia mentale, la legge
n. 36 del 1904298, il cui relatore fu Leonardo Bianchi (1848-1927), uno dei
più influenti psichiatri del tempo299, disponeva della segregazione dei paz-
zi disinteressandosi in pratica del modo in cui curarli. Prevedendo nei casi
urgenti il ricovero per ordine della pubblica sicurezza e del sindaco300, da
eccezione divenuta poi quasi regola, la disposizione normativa metteva in
evidenza la nuova connotazione attribuita alla malattia mentale: l’alienazio-
ne mentale veniva individuata sulla base della mancanza della consapevo-
lezza delle azioni e dell’assenza della responsabilità personale del malato301.
Se ne ricavava che gli individui alienati erano esclusi dall’area del diritto
e in pratica della libertà stessa: “L’area semantica della malattia mentale –
ha scritto Vinzia Fiorino - si approssima quindi significativamente a quella
del diritto, ponendosi in modo ancora più netto, a fondamento sia del tema
297
Relazione e proposte dei commissari Mingarelli ca. Aristide e Tavernari Cav. Carlo in ordine all’an-
damento amministrativo dell’Istituto Medico-pedagogico di Bertalia, Minerbio Tipo-litografia Bevila-
qua, 1905.
298
Per un inquadramento complessivo, cfr. A. Lonni, Pubblica sicurezza, sicurezza pubblica e mala-
to di mente: la legge del 1904, in Follia, psichiatria e società. Istituzioni manicomiali, scienza psichiatrica
e classi sociali nell’Italia moderna e contemporanea, a cura di A. De Bernardi, Milano, Franco Angeli,
1982, pp. 264-283; e F. Giacanelli, Note per una ricerca sulla psichiatria italiana tra le due guerre, in
Passioni della mente e della storia. Protagonisti, teorie e vicende della psichiatria italiana tra ‘800 e ‘900,
a cura di F.M. Ferro, Milano, Vita e pensiero, 1989, pp. 567-575.
299
In Parlamento sedevano diversi psichiatri, fra cui Andrea Verga (1811-1895), uno dei padri
riconosciuti della psichiatria italiana.
300
Nei centri minori, dove fungeva da ufficiale di pubblica sicurezza, al sindaco era concesso
un ampio potere discriminatorio, essendo egli legittimato ad avviare procedure di ricovero nel
caso valutasse qualche malato una minaccia all’ordine pubblico.
301
La pericolosità veniva più che dichiarata che dimostrata, non sussistendo neppure l’obbligo
delle testimonianze giurate dei parenti e dei vicini di casa.
125
Andrea Giuntini
del godimento dei diritti soggettivi, sia di quello della pericolosità sociale302.
L’internamento si trasformava in una misura di ordine pubblico esercitata
con margini di discrezionalità che spesso scatenavano contrasti non compo-
nibili. Come è stato scritto, “l’ordinamento del 1904 minacciava di ridurre la
psichiatria manicomiale ad ancella della polizia”303, trasformando la degen-
za in reclusione.
La legge, che Giolitti volle a tutti i costi e che fu egualmente sollecitata
dagli psichiatri alla ricerca di un definitivo riconoscimento del proprio ruolo
esclusivo nel governo della malattia mentale, ebbe una genesi oltremodo
lunga e sofferta per il rapporto conflittuale sviluppatosi fra psichiatri e po-
tere esecutivo. In definitiva gli psichiatri potevano ritenersi soddisfatti per
gli esiti ottenuti tenuto conto che il direttore deteneva la piena autorità sul
servizio interno sanitario e l’alta sorveglianza su quello economico per tutto
ciò che concerneva il trattamento dei malati; a quel punto “gli psichiatri si in-
sediarono in maniera stabile negli spazi manicomiali”304. È vero che la legge
affida loro un ruolo di rilievo all’interno dei luoghi di cura, mentre li emar-
ginava rispetto alle manifestate pretese culturali e di regolazione sociale. Ma
la definizione della funzione del manicomio in termini giuridici piuttosto
che medici ne frustrava le loro aspettative terapeutiche: la psichiatria “perde
come archetipo di terapia morale il manicomio a favore di interventi più
caratterizzati in senso medico-sanitario e imperniati sulle cure ospedaliere
e farmacologiche”305. A partire dalla legge il manicomio stabilizzò “la sua
attività di routine segregazionista che in Italia si protrasse senza soluzione di
continuità fino agli anni Settanta”306.
La normativa fissava un criterio di ospedalizzazione nel momento di
maggiore affollamento dei manicomi. Dunque appare legittimo considerar-
la anche una risposta ad una condizione insostenibile, per la quale occorreva
126
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
trovare una soluzione307. Sembrava finita l’epoca, in cui era sufficiente una
generica certificazione medica per internare un malato; venivano posti dei
limiti ai criteri di ammissibilità e le amministrazioni provinciali finalmente
respiravano meno soffocate dall’ammontare del costo del mantenimento.
Il regolamento attuativo emanato cinque anni dopo però mischiava le car-
te rispetto alla previsione di legge, trasferendo sui manicomi il compito di
accogliere anche i mentecatti innocui e cronici, pur tenendoli separati, oltre
a quelli pericolosi o scandalosi indicati dalla legge. Allargando gli accessi si
andava di nuovo inesorabilmente verso un massiccio incremento dei ricoveri
e un sovraffollamento dei manicomi, che non poteva che frustrare le ambi-
zioni terapeutiche degli psichiatri. Alle amministrazioni provinciali, che in
definitiva restavano obbligate a sostenere finanziariamente il mantenimento,
rimaneva la sola possibilità, offerta dal regolamento, di favorire le dimissioni
tramite il successivo affidamento alla famiglia di appartenenza del malato.
Rette in aumento
La legge del 1904 cambiò poco sotto il profilo finanziario, aspetto che
in realtà tralasciava a favore del significato tecnico-giuridico. Nulla mutava
anche a proposito della tendenza all’aumento delle rette, che il San Lazzaro
si trovò obbligato a reiterare per il persistente elevato numero di malati rico-
verati, che faceva lievitare i costi di gestione complessivi. Nonostante la con-
venzione settennale in vigore dal 1902 con l’amministrazione modenese, il
manicomio reggiano chiedeva nel luglio 1907 una incremento delle rette fino
a 1.50 lire e in più esigeva un sussidio straordinario di 1.500 lire. L’illusione
di far quadrare i bilanci, suscitata dalla legge del 1904 e che si traduceva in
una riduzione del preventivo per il 1906, veniva presto cancellata da un re-
altà, che perpetuava le difficoltà finanziarie. Da parte dell’amministrazione
provinciale non andavano a buon fine neppure le negoziazioni con i Comuni
della Provincia, mai interrotte in pratica, al fine di condividere le spese di
mantenimento dei maniaci ritenuti pericolosi. Anzi i rapporti peggiorava-
no quando la Deputazione provinciale emanava una circolare, il 29 maggio
1905, in cui ammonivano le amministrazioni comunali affinché esercitasse-
ro un controllo maggiormente attento sui ricoveri dei dementi: “Sono noti
gli artifici e le reticenze cui ricorrono i parenti dei maniaci per liberarsi del
penoso e dispendioso dovere di accudire alla custodia ed al mantenimento
307
M. Moraglio, Dentro e fuori il manicomio. Note sull’assistenza psichiatrica nell’Italia fra le due
guerre, “Contemporanea”, 2006, 9, pp. 15-34.
127
Andrea Giuntini
308
Il documento è contenuto in APMO, Atti Amministrazione Provinciale. Dementi, Titolo 6, Ru-
brica 5, Fascicolo 1.
128
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
309
Provincia di Modena, Relazione della Deputazione Provinciale sulla gestione 1912, Modena, G.
Ferraguti e C. tipografi, 1913, p. 36.
310
Più volte nei documenti ufficiali provinciali si rammentava l’esempio della città belga di
Gheel, dove era stata fondata una colonia per i malati di mente (F. De Peri, L’esperienza di Gheel
e la “colonizzazione” dei folli nell’800, in Follia, psichiatria e società. Istituzioni manicomiali, scienza
psichiatrica e classi sociali nell’Italia moderna e contemporanea, a cura di A. De Bernardi, Milano,
Franco Angeli, 1982, pp. 369-383).
311
Provincia di Bologna. Congregazione di Carità di S. Gio. in Persiceto, Convenzione pel servizio
di ricovero degli alienati cronici e tranquilli di provenienza manicomiale, in relazione al nuovo Regola-
mento per l’esecuzione della Legge 14 Febbraio 1904 sui Manicomi e sugli alienati, Persiceto, Tipogra-
fia, F. Grassigli, 1905.
129
Andrea Giuntini
1912 1913
Infine anche su un altro fronte, quello della pellagra, l’impegno della Pro-
vincia non scemava. Consapevoli che da tale malattia provenissero molti
dei clienti dei manicomi, i responsabili provinciali modenesi distribuivano
finanziamenti ai Comuni per la cura dei pellagrosi, sperando in tal modo di
ridurre il ricorso al manicomio. Nel 1909 vennero erogate complessivamente
1.400 lire314.
312
APMO, Dementi sussidiati. Corrispondenza generale, 3.
313
Provincia di Bologna, Sul funzionamento dell’Istituto medico-pedagogico di Bertalìa. Relazione del-
la commissione nominata dalla Deputazione Provinciale, Bologna, Regia tipografia Fratelli Merlani,
1913.
314
Così distribuiti: Zocca 350, Finale Emilia 250, Nonantola 200, Montese 200, Pavullo 150, Po-
linago 150, Marano sul Panaro 100 (APMO, Atti Amministrazione Provinciale. Dementi, Titolo 6,
Rubrica 5, Fascicolo 1).
130
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
315
ACPM, 20 dicembre 1907.
316
ACPM, 21 dicembre 1908.
131
Andrea Giuntini
317
Documenti relativi alla vicenda sono in APMO, Atti Amministrazione Provinciale. Dementi,
Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Clinica psichiatrica 1911-1917.
318
ACPM, 6 aprile 1914.
319
ACPM, 20 luglio 1912.
132
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
Matti di guerra
Fra i tanti filoni di ricerca che la storiografia sulla storia della psichiatria e
della malattia mentale ha approfondito negli ultimi anni, quello della Gran-
de guerra appare come uno dei più proficui. Molti aspetti sono stati analiz-
zati con indubbio successo, tanto che al momento è possibile affermare che
disponiamo di una serie di ricerche in grado di ricostruire completamente e
restituire pienamente la vicenda sotto il profilo degli eventi e del significato
che ricoprì323.
320
ACPM, 23 novembre 1914.
321
ACPM, 17 aprile 1915.
322
ACPM, 4 maggio 1915. Si ha notizia di due riunioni tenute nel corso della guerra, il 13 dicem-
bre 1917 e nel maggio 1918.
323
Riportiamo alcuni degli studi principali: A. Gibelli, Guerra e follia. Potere psichiatrico e patolo-
gia del rifiuto nella Grande Guerra, in Le istituzioni segregate nell’Italia liberale, numero monografico
della rivista “Movimento operaio e socialista”, 1980, 4; B. Bianchi, La follia e la fuga. Nevrosi di
guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano (1915-1918), Roma, Bulzoni editore, 2001; A.
133
Andrea Giuntini
Scartabellati, Intellettuali nel conflitto. Alienisti e patologie attraverso la Grande guerra (1909-1921),
Bagnaria Arsa, Edizioni Goliardiche, 2003; B. Bianchi, Le nevrosi di guerra nella storiografia con-
temporanea, in Dalle trincee al manicomio. Esperienza bellica e destino di matti e psichiatri nella Grande
guerra, a cura di A. Scartabellati, Torino, Marco Valerio editore, 2008.
324
B. Bianchi, La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano
(1915-1918), Roma, Bulzoni editore, 2001, p. 59. In questo senso cfr. anche F. Cassata, Molti, sani
e forti. L’eugenetica in Italia, Torino, Bollati Boringhieri, 2006.
325
A. Gibelli, Guerra e follia. Potere psichiatrico e patologia del rifiuto nella Grande Guerra, in Le
istituzioni segregate nell’Italia liberale, numero monografico della rivista “Movimento operaio e
socialista”, 1980, 4, p. 443.
326
Provincia di Modena, Relazione della Deputazione Provinciale sulla gestione 1917-18, Modena,
G. Ferraguti e C. tipografi, 1918.
134
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
Soliti contrasti
135
Andrea Giuntini
Fra le questioni che la fine della guerra fece tornare di attualità non pote-
va non esserci anche quella del manicomio. Chiuse le ostilità la commissione
già nominata riprendeva a riunirsi e puntava subito a concludere l’acquisto
del terreno a Saliceta individuato in precedenza. L’area, distante 4-5 km. dal
centro di Modena, comprendeva diversi fabbricati colonici e si stendeva per
25-30 ettari, era dotata di un accesso ritenuto adatto e di una buona esposi-
zione. La presenza di acqua abbondante, di cui si decise subito l’approvvi-
gionamento tramite la realizzazione di una serie di pozzi Norton, ne faceva
un sito particolarmente apprezzato. Il compromesso di acquisto venne fir-
mato con il proprietario, Ugo Righi Riva, il 19 maggio 1919 e il rogito il 23
marzo 1920332.
L’analisi dei documenti, rari e frammentari, ma univoci nell’indicare la
direzione di marcia, parla chiaro: all’inizio degli anni Venti regnava la certez-
za assoluta che il manicomio si sarebbe finalmente costruito. Nessun dubbio
turbava le menti dei modenesi, convinti di essere arrivati finalmente all’ulti-
330
APMO, Assistenza ai mentecatti e dementi (ex militari e altri), 9.
331
I documenti che attestano lo svolgimento della vicenda sono in APMO, Atti Amministrazione
Provinciale. Dementi, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1.
332
Per la descrizione del terreno, cfr. ACPM, 2 giugno 1919.
136
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
333
Per l’erigendo manicomio di Modena, contenuta in Atti Amministrazione Provinciale, Dementi,
Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 5, Clinica psichiatrica 1911-1917.
334
ACPM, 26 settembre 1919.
335
APMO, Assistenza ai mentecatti e dementi (ex militari e altri), busta 5.
336
APMO, Atti Amministrazione Provinciale. Dementi, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 5, Clinica psi-
chiatrica 1911-1917.
337
I documenti relativi sono in APMO, Assistenza ai mentecatti e dementi (ex militari e altri), busta 4.
137
Andrea Giuntini
338
Provincia di Modena, Quattro anni di amministrazione fascista 1923-24-25-26. relazione della
Deputazione Provinciale, Modena, G. Ferraguti e C. tipografia, 1926, p. 81.
339
Per una visione più approfondita della questione rimandiamo a F. Cassata, Molti sani e forti.
L’eugenetica in Italia, Bollati Boringhieri, Torino, 2006, pp. 125 e ss. Vedi inoltre A. Scartabellati,
Culture psichiatriche & cultura nazionale. Per una storia sociale (1909-1929), in “Frenis Zero. Scienze
della Mente, Filosofia, Psicoterapia e Creatività”, 2006, 5.
138
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
340
M. Moraglio, Prima e dopo la Grande Guerra. Per un’introduzione al dibattito psichiatrico nell’Italia
del ‘900, in Dalle trincee al manicomio. Esperienza bellica e destino di matti e psichiatri nella Grande
guerra, a cura di A. Scartabellati, Torino, Marco Valerio editore, 2008, p. 74.
139
Andrea Giuntini
Ultimo atto
341
ACPM, 6 aprile 1925.
140
L’ASSISTENZA AI MALATI DI MENTE NELLA PROVINCIA DI MODENA
342
M. Tornabene, Matti di Fascismo, matti di guerra. Gli internati di Racconigi e la seconda guerra
mondiale, in “Passato e presente”, 2006, 73, pp. 41-63.
141
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
Introduzione
143
Simone Fari
346
P. Guarnieri, La storia della psichiatria, un secolo di studi in Italia, Firenze, Leo S. Olschki Edito-
re, 1991.
347
Si considerino ad esempio: R. Canosa, Storia del Manicomio in Italia dall’Unità ad oggi, Milano,
Feltrinelli, 1979; M. Moraglio, Costruire il manicomio. Storia dell’Ospedale psichiatrico di Grugliasco,
Milano, Edizioni Unicopli, 2002; L. Lajolo-M. Tornabene, Memorie del manicomio. L’ospedale di
Collegno a trent’anni dalla 180, Boves, Araba Fenice, 2008.
144
145
146
147
Cerimonia di inaugurazione del Dispensario di Mirandola, 1958
148
149
Manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia
150
151
152
153
154
Manifesto della Congregazione di Carità di San Giovanni in Persiceto (1906)
155
Verbale della adunanza straordinaria della Congregazione di Carità, 6 agosto 1895
156
SAN GIOVANNI IN PERSICETO (1901)
Ex-convento delle monache di
San Michele adibito a ricovero per
vecchi inabili nel 1830 e poi ad
ospedale nel 1886
157
SAN GIOVANNI
IN PERSICETO (inizio 900)
Palazzo SS.Salvatore.
Ai primi del secolo
l’edificio fu dotato di uno
spazio recintato
SAN GIOVANNI
IN PERSICETO (1906)
Cortile della “Succursale
donne alienate croniche”.
L’edificio fu abbattuto nel
secondo dopoguerra
SAN GIOVANNI
IN PERSICETO (1906)
Camerata uomini
158
SAN GIOVANNI
IN PERSICETO
L’ex Casa del Proletariato
di via Guardia Nazionale
15, adattata a Casa di
Ricovero per i poveri
(1927) dal 1932 al 1975
adibita a Ricovero dementi
(1925)
SAN GIOVANNI
INPERSICETO (1964)
Padiglione 5
Nel 1981 fu trasformato
in Casa Protetta.
SAN GIOVANNI
IN PERSICETO (1959)
Padiglione 1 (ex villa
Cuccoli) destinato ai malati
di mente e trasformato
in Comunità alloggio
“XXV Aprile”.
159
Manicomio San Niccolò di Siena
160
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
161
Simone Fari
350
Per una sintesi bibliografica e metodologica della storia delle aziende municipalizzate si
veda: S. Fari-A. Giuntini, Public Utilities, in Forms of Enterprise, ed. by A. Colli and M. Vasta, in
corso di pubblicazione presso l’editore Elgar.
351
Per una descrizione degli istituti di cui si serviva la Provincia di Modena, si consideri una
lettera inviata dall’Amministrazione provinciale di Modena a quella di Imperia, in data 8 set-
tembre 1958, conservata in Archivio della Provincia di Modena (d’ora in avanti APMO), Carteg-
gio di amministrazione generale, 1958, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1.
162
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
352
L’assessore Bellelli, durante la presentazione di un progetto per un centro neurologico dia-
gnostico-dispensariale, così si esprimeva: «La Provincia non deve essere solamente un agente
pagatore essa deve fare in modo che gli ammalati possano essere recuperati e inviati alle fa-
miglie, in modo che l’onere finanziario dell’Amministrazione provinciale per il ricovero degli
stessi nei manicomi venga possibilmente a diminuire» (ACPM, 14 marzo 1953, delibera n. 6,
Assistenza ai dementi. Istituzione centro neurologico diagnostico-dispensariale: a) Istituzione di un di-
spensario centrale; b) Istituzione di dispensari periferici, p. 537).
353
ACPM, 9 e 11 febbraio 1953, Bilancio dell’esercizio finanziario dell’anno 1953. Esame ed approva-
zione, pp. 196-197.
354
A partire dall’immediato dopoguerra, gli amministratori provinciali avviarono estenuanti
trattative, per via epistolare, al fine di ridurre le rette manicomiali coi vari istituti interessati e di
far pagare parte di tali rette a enti mutualistici come l’ONMI (APMO, Carteggio di amministrazio-
ne generale, 1946, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1).
163
Simone Fari
non solo per rendere meno costosa l’assistenza psichiatrica, ma anche per
renderla più efficiente ed accessibile ad un maggior numero di persone. In
questo periodo, gli amministratori modenesi presero quindi coscienza delle
responsabilità che conseguivano alla gestione dell’assistenza psichiatrica. Di
pari passo con la maggior consapevolezza di non avere soltanto il dovere di
pagare le rette manicomiali, ma anche il diritto di gestire autonomamente
l’assistenza dei malati di mente, la provincia cominciò a studiare ed elabora-
re provvedimenti che potessero migliorare l’efficienza di questo servizio. Le
grandi tematiche su cui l’Amministrazione provinciale si soffermò in questi
tredici anni sono almeno tre: 1) la revisione dei costi per le degenze, per i sus-
sidi e per l’assistenza psichiatrica in generale; 2) la messa in discussione dei
rapporti con enti mutualistici per l’assistenza ai malati mentali, in partico-
lare per i minori; 3) la questione strutturale del manicomio e, in particolare,
i rapporti con il San Lazzaro di Reggio Emilia. Queste tre questioni furono
costantemente presenti per tutti i tredici anni qui considerati, tuttavia, a par-
tire dal 1952, in concomitanza con l’elaborazione del progetto di costruzione
della rete di dispensari, la questione del manicomio divenne via via sempre
più rilevante.
164
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
165
Simone Fari
166
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
167
Simone Fari
168
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
367
ACPM, 4 settembre 1954, delibera n. 6, Ospedale Psichiatrico di S. Lazzaro di Reggio Emilia.
Deliberazione Commissariale 24-2-1954 n. 9/599 recante modifiche allo Statuto. Parere, pp. 130-140.
368
ACPM, 30 aprile 1955, delibera n. 173, Istituto Psichiatrico S. Lazzaro in Reggio Emilia. Modifica
all’art. 4 dello statuto organico del Presidente della Repubblica 24-12-1954. Ricorso, pp. 571-572.
369
ACPM, 2 dicembre 1955, delibera n. 51, Istituto Psichiatrico S. Lazzaro di Reggio Emilia. Consi-
glio di amministrazione. Nomina di componente, p. 657.
370
Questa commissione amministrativa, a sua volta, era stata nominata tenendo presente l’an-
tico statuto del 1941 perché, nel frattempo, il Consiglio di Stato aveva accolto il ricorso che, in
precedenza, le Province di Reggio e Modena avevano mosso nei confronti del decreto con cui
il prefetto di Reggio Emilia, nel 1951, aveva nominato un commissario unico del manicomio di
Reggio. La decisione del Consiglio di Stato aveva poi portato all’annullamento di tutti provve-
dimenti che erano conseguiti a quella nomina.
371
Gli altri componenti del Consiglio erano nominati: due dal Comune di Reggio e uno da
quello di Modena. APMO, Atti del Consiglio Provinciale di Modena, 24 maggio 1947, delibera n.
249, Ospedale psichiatrico S. Lazzaro di Reggio Emilia. Designazione di rappresentanti.
169
Simone Fari
372
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1948, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Estratto dal
processo verbale n. 26 di deliberazione della Deputazione Provinciale del 13 aprile 1947.
373
Nei mesi successivi, il progetto di acquisire Villa Igea e di farne un manicomio provinciale
venne continuamente ripreso e accantonato. Infatti, fra il dicembre 1947 e il giugno 1948, le of-
ferte di vendita da parte dei proprietari di Villa Igea si alternarono agli studi di fattibilità della
Deputazione provinciale per verificare la possibilità di aprire un manicomio all’interno della
casa di cura. Tuttavia, alla fine, la Provincia decise di non acquistare Villa Igea, rinunciando
così all’idea di aprire un piccolo manicomio provinciale (APMO, Carteggio di amministrazione
generale, 1948, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Estratto dal processo verbale n. 27 di deliberazione della
Deputazione Provinciale del 20 dicembre 1947; APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1948,
Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Estratto dal processo verbale n. 2 di deliberazione della Deputazione
Provinciale del 24 gennaio 1948; APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1948, Titolo 6, Ru-
brica 5, Fascicolo 1, Estratto dal processo verbale n. 4 di deliberazione della Deputazione Provinciale del
21 febbraio 1948; APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1948, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo
1, Estratto dal processo verbale n. 5 di deliberazione della Deputazione Provinciale del 6 marzo 1948;
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1948, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Estratto dal
processo verbale n. 12 di deliberazione della Deputazione Provinciale del 22 maggio 1948).
374
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1951, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Centro
medico pedagogico, relazione del deputato Zanoli del 10 settembre 1949.
375
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1951, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Estratto dal
processo verbale n. 9 di deliberazione della Deputazione Provinciale del 1° aprile 1950.
170
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
376
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1951, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Estratto dal
processo verbale n. 10 di deliberazione della Deputazione Provinciale del 31 marzo 1951, p. 2.
377
Per legge il mantenimento dei minori mentecatti spettava all’ONMI e non alle province.
171
Simone Fari
378
APMO, Assistenza ai mentecatti e Dementi (ex militari e altri), Relazione dell’ufficio assistenza
(senza titolo e senza data), p. 2.
379
Ivi, p. 126.
380
Si fa esplicito riferimento alla relazione elaborata nel 1947 in Ivi, p. 119.
381
Difatti, alla relazione del 1947 non era seguita nessuna operazione di effettiva revisione, per
cui rimaneva pressoché immutata la situazione dei ricoverati e dei sussidiati.
172
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
382
APMO, Assistenza ai mentecatti e Dementi (ex militari e altri), Relazione dell’ufficio assistenza
(senza titolo e senza data), p. 112.
383
Il progetto originario dell’ufficio assistenza prevedeva la costituzione di un sistema com-
posto da sei dispensari (Modena, Carpi, Mirandola, Vignola, Sassuolo, Pavullo) per i quali non
era prevista la costruzione di appositi fabbricati, ma semplicemente la sistemazione all’interno
degli ospedali civili o, comunque, in strutture provinciali già esistenti (APMO, Assistenza ai
mentecatti e Dementi (ex militari e altri), Relazione dell’ufficio assistenza (senza titolo e senza
data), pp. 116-117.
384
Ivi, p. 115.
385
Ivi, p. 41.
173
Simone Fari
386
ACPM, 9 febbraio 1953, Bilancio di previsione dell’esercizio finanziario dell’anno 1953. Esame ed
approvazione dell’art. 68 «Assistenza agli infermi di mente e loro trasferimenti», pp. 187-188.
387
ACPM, 11 febbraio 1953, Bilancio di previsione dell’esercizio finanziario dell’anno 1953. Esame ed
approvazione dell’art. 68 «Assistenza agli infermi di mente e loro trasferimenti», p. 207.
174
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
non fare niente in questo settore, credo ci corra»388. Nella prospettiva degli
amministratori modenesi, in continuità con quanto era emerso dalla rela-
zione del 1952, la prima cosa da farsi nel campo dell’assistenza psichiatrica
sarebbe consistito nel porre un controllo sanitario e amministrativo ai malati
mentali che sarebbero, poi, dovuti entrare in manicomio. In tal senso, si sa-
rebbe espresso lo stesso assessore Triva, qualche mese dopo: «noi impostia-
mo e proponiamo queste sezioni di dispensari per poter aver in mano dati
del fenomeno nel suo complesso e non solamente dell’assistenza da noi fatta
e perché passino attraverso queste consultazioni tutti quanti gli ammalati
che devono essere ricoverati a Reggio»389.
In realtà, la ricerca di una alternativa concreta al manicomio nasceva
da un esigenza della popolazione, soprattutto di quella della montagna, la
quale si mostrava diffidente e impaurita da questa istituzione. «I montanari
hanno addirittura il terrore di portare i loro malati in manicomio. A questo
proposito vorrei che qualcuno mi spiegasse perché certi malati, che effetti-
vamente sono ricuperabili, se vanno a Reggio debbono avere uno strascico
nella loro fedina penale. Questa è una delle ragioni per cui i montanari han-
no tanta paura di portare i loro ammalati a Reggio. Si sacrificano moltissimo
per mandare i malati nelle case di cura di Villa Rosa e di Villa Igea»390. Alle
parole del consigliere Serradimigni, si ricollegavano quelle dell’assessore
Triva: «quindi i familiari premono insistentemente verso la provincia perché
sostituisca questo tipo di assistenza con un altro tipo di intervento che inte-
gri il sacrificio da essi sostenuto»391.
Il percorso di istituzione della rete dei dispensari in provincia di Modena
fu piuttosto lungo, cominciato nel febbraio 1953, arrivò a conclusione soltan-
to a metà del 1958, quando i tre dispensari di Modena, Mirandola e Pavullo
vennero aperti al pubblico. In realtà, il sistema dei dispensari venne concepi-
to, in gran parte, già nel 1953, tuttavia, alcune lungaggini burocratiche legate
alle autorizzazioni prefettizie, a quelle sanitarie e ai permessi di costruzione
delle sedi dei dispensari trascinarono la vicenda per più di cinque anni. Il pia-
no dei dispensari venne approvato in Consiglio provinciale nel marzo 1953,
tuttavia, gli intralci burocratici imposero una costante revisione del progetto
388
Ivi, p. 213.
389
ACPM, 14 marzo 1953, delibera n. 6, Assistenza dementi. Istituzione Centro Neurologico Diagnosti-
co Dispensariale: a) Istituzione di un dispensario centrale; b) Istituzione di dispensari periferici, p. 553
390
ACPM, 11 febbraio 1953, Bilancio di previsione dell’esercizio finanziario dell’anno 1953. Esame ed
approvazione dell’art. 68 «Assistenza agli infermi di mente e loro trasferimenti», p. 194.
391
Ivi, p. 197.
175
Simone Fari
originario nel corso dei Consigli provinciali che si tennero dal ’54 al ’58.
A partire dal febbraio del 1953, poi, fino al 1958, “prevenzione” divenne
la parola chiave nello sviluppo del progetto dei dispensari di igiene mentale.
Occorreva prevenire la malattia mentale prima che i suoi sintomi più violen-
ti o osceni costringessero l’autorità giudiziaria al ricovero coatto. Tuttavia,
per ottenere il raggiungimento di tale obiettivo era necessario diffondere fra
la popolazione la convinzione che la malattia mentale potesse essere curata
e che essa non costituisse un elemento di vergogna. «C’era addirittura il ter-
rore della malattia, e con esso la preoccupazione fortissima di dire che uno
era ammalato. La paura portava ad andare a farsi visitare proprio quando si
era costretti dall’aggravarsi della malattia che nel frattempo si era sviluppata
qualche volta in modo irrimediabile»392. Per queste ragioni, fin dall’inizio,
venne progettato un sistema di dispensari di igiene e profilassi mentale di-
stribuito equamente sul territorio della provincia. Difatti, fin dalla sua pri-
ma presentazione ufficiale in consiglio provinciale, il sistema dei dispensari
prevedeva l’apertura di tre sedi, dislocate rispettivamente in città (Modena),
nella montagna (Pavullo) e nella “bassa” (Mirandola). La “territorialità” del-
la rete dei dispensari fu considerata un elemento fondamentale della nuova
impostazione che si voleva dare all’assistenza psichiatrica. Gli amministra-
tori locali erano convinti che non sarebbe servito solo un centro neurologico
posto in città, poiché esso si sarebbe semplicemente andato a sostituire o, in
ogni caso, ad affiancare al manicomio di Reggio. Serviva, invece, una serie
di strutture più leggere, ambulatoriali, e ben distribuite sul territorio della
provincia. In questo modo, la popolazione avrebbe potuto accedere più fa-
cilmente a visite e cure psichiatriche, senza dover frequentare il manicomio
e senza dover spostarsi troppo dai luoghi di residenza. Tale concetto venne
ribadito durante la seduta del 6 giugno 1955, quando fu posto in discussio-
ne l’acquisto di un terreno per la costruzione del dispensario di Modena.
In quell’occasione, il consigliere Pacchioni, capogruppo dei democristiani,
propose di avviare in via sperimentale soltanto il dispensario di Modena,
rimandando l’apertura delle due sedi periferiche al momento in cui quello
cittadino avrebbe dato prova di funzionare efficacemente393. L’assessore Tri-
va si oppose alla proposta di Pacchioni sottolineando che i dispensari erano
stati concepiti proprio per essere distribuiti sul territorio provinciale: «tutti e
392
ACPM, 14 marzo 1953, delibera n. 6, Assistenza dementi. Istituzione Centro Neurologico Diagno-
stico Dispensariale: a) Istituzione di un dispensario centrale; b) Istituzione di dispensari periferici, p. 552.
393
Atti a stampa del Consiglio Provinciale di Modena, seduta del 6 giugno 1955, delibera I, Ratifica
di Giunta n. 95/6 del 10-12-1954 «Dispensario di Igiene e Profilassi per malattie nervose» - Acquisto
terreno, pp. 14-20.
176
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
177
Simone Fari
che molta gente al più piccolo accenno del male va senza preoccupazione al
dispensario antitubercolare. Si è sviluppata una determinata coscienza sani-
taria che alcuni anni fa non esisteva»398. Probabilmente, gli amministratori
modenesi sapevano che, a differenza della tubercolosi, la malattia mentale
era più difficile da diagnosticare e da curare, poiché i suoi confini erano meno
visibili e non rintracciabili attraverso un esame organico. Tuttavia, in quella
fase di prima elaborazione, ciò che pareva essere più importante per gli am-
ministratori modenesi era la lotta all’isolamento del malato mentale. Evitare
che i parenti nascondessero i malati mentali e invitare i malati stessi a farsi
visitare significava poter seriamente sottrarre queste persone al ricovero in
manicomio399. A quel punto, l’esigenza economica di risparmiare sulle rette
del manicomio di Reggio coincideva perfettamente con la necessità di evitare
ai malati mentali un’ingiusta, oltre che immotivata, reclusione in manicomio.
Come diceva il consigliere di minoranza Nava alla giunta provinciale: «siete
partiti […] dal concetto di fare un’economia intanto finanziaria. Istituiamo un
centro neurologico perché così avremo occasione di mandare a Reggio un mi-
nore numero di pazzi. Io penso che in questa supposizione ci sia una grande
verità e che le malattie nervose bisogna soprattutto cercare di prevenirle»400.
Partendo dal presupposto che la rete dei dispensari di igiene mentale fu
concepita per prevenire le malattie mentali e per “controllare” i ricoveri pres-
398
ACPM, 14 marzo 1953, delibera n. 6, Assistenza dementi. Istituzione Centro Neurologico Dia-
gnostico Dispensariale: a) Istituzione di un dispensario centrale; b) Istituzione di dispensari periferici,
p. 552. Anche l’assessore Acanfora, qualche anno dopo l’apertura dei dispensari, ammise, in
un’occasione pubblica, che per l’istituzione dei dispensari di igiene mentale ci si era largamente
ispirati a quelli antitubercolari: «così stando le cose il problema delle malattie mentali veniva sul
tappeto un po’ come, alcuni lustri or sono, venne quello della tubercolosi: accertare i casi di ma-
lattie, allora tubercolari, per intervenire precocemente al fine di poter recuperare gli ammalati.
La stessa considerazione facciamo per i malati di mente: cercare di diagnosticare la malattia il
più precocemente possibile, perché, stando appunto ai presidi terapeutici che sono oggi a nostra
disposizione, si può riuscire a curare l’ammalato, e intervenire nell’ammalato stesso prima che
l’ammalato diventi incurabile e finisca poi per dover essere rinchiuso in manicomio» (APMO,
Carteggio di amministrazione generale, 1960, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Servizi provinciali di
igiene e profilassi mentale, 17 febbraio 1960, p. 3).
399
«È proprio questo chiuso che bisogna rompere, questa resistenza alla visita e alla cura tem-
pestiva, al ricovero immediato di fronte al primo apparire, anche più lontano, dei sintomi del
male, che è frutto anche di una particolare mentalità che ci proponiamo di modificare coi di-
spensari di igiene mentale, e seppure abbiamo coscienza che sarà un’azione lunga e difficile, i
cui risultati saranno visibili ed apprezzabili concretamente solo tra qualche anno, ci sostiene la
certezza comprovata dei risultati altrove ottenuti, che è un’azione doverosa e indispensabile
per il bene di molte vite e di molte famiglie» (ACPM, 26 novembre 1955, Bilancio di previsione per
l’esercizio finanziario 1956. Esame ed approvazione, p. 804).
400
ACPM, 14 marzo 1953, delibera n. 6, Assistenza dementi. Istituzione Centro Neurologico Dia-
gnostico Dispensariale: a) Istituzione di un dispensario centrale; b) Istituzione di dispensari periferici, p.
547.
178
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
179
Simone Fari
zio403. Difatti, bandire un concorso per il direttore del servizio dei dispensari
avrebbe ulteriormente frenato l’apertura dei dispensari stessi. Per questa ra-
gione, si decise, provvisoriamente, di assegnare alla clinica neurologica la
direzione del nuovo servizio di igiene e profilassi mentale. Tuttavia, la con-
venzione stipulata fra l’Università e la Provincia, prevedeva esplicitamente
che il servizio appartenesse a quest’ultima e quindi, come tale, dovesse esse-
re sottoposto alla continua supervisione da parte di Giunta e Consiglio pro-
vinciale. D’altra parte, la Provincia, che con il sistema dei dispensari mirava
a svincolarsi dal rapporto di subordinazione con il manicomio di Reggio,
voleva evitare di mettere nuovamente l’assistenza psichiatrica sotto il con-
trollo di un’altra istituzione.
Qualche anno prima, nel 1954, la Provincia di Modena aveva già rifiutato
l’offerta da parte del manicomio di Reggio di gestire direttamente un proprio
servizio dispensariale. Infatti, insieme alla già citata proposta di modifica
dello statuto del manicomio, il commissario prefettizio a capo dell’istituto di
Reggio aveva proposto di mutare la denominazione del proprio frenocomio
in «Istituto neuropsichiatrico di S. Lazzaro, con lo scopo di accogliere, assi-
stere e curare – in apposito reparto – ammalati del sistema nervoso, non alie-
nati, a carico di comuni, di mutue e di altri enti di assistenza»404. In coerenza
col percorso che, già dal 1952, la provincia stava cercando di intraprendere,
lo stesso presidente provinciale, a nome della Giunta, sostenne che «siccome
[tentavano] di creare un organismo similare, per la cura degli ammalati di
mente, [pensavano] che la proposta del commissario dell’ospedale psichia-
trico di S. Lazzaro [fosse] da respingere, in attesa che […] si potesse realmen-
te fare qualcosa nel senso anzidetto»405. Anche in quell’occasione la provincia
prese le distanze da un modello di assistenza psichiatrica che ormai riteneva
sorpassato, lo stesso presidente affermò: «la provincia di Modena [è] l’unica
a non avere un suo manicomio […] io penso che dovremmo cominciare a
studiare una forma nuova. Credo infatti che nessuno di noi avrebbe piacere,
se avesse qualche congiunto ammalato, anche ricuperabile, a mandarlo a S.
Lazzaro, dove senz’altro acquisterebbe la qualifica di pazzo»406.
403
ACPM, 14 aprile 1958, delibera n. 8, Rete dispensariale di igiene e profilassi mentale. Convenzione
con l’Università di Modena. Provvedimenti, pp. 388-391. Alla fine del 1958, la convenzione venne
ratificata per un ulteriore anno (ACPM, 5 dicembre 1958, delibera n. 107, Rete dispensariale di
Igiene e Profilassi Mentale. Convenzione con l’Università di Modena per l’anno 1959, pp. 493-496).
404
ACPM, 4 settembre 1957, delibera n. 7, Ospedale Psichiatrico S. Lazzaro in Reggio Emilia. Deli-
berazione Commissariale 3-4-1954 n. 16-980 recante modifiche allo Statuto. Parere, p. 140.
405
Ivi, p. 141.
406
Ivi, intervento del presidente della Provincia, p. 143.
180
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
181
Simone Fari
Nella seconda metà del 1958, il sistema dei dispensari della provincia
di Modena era ormai entrato pienamente in funzione. Il sistema era orga-
nizzato, come previsto dal progetto originario, su tre dispensari: Modena,
Mirandola e Pavullo410. Nel corso del 1961, ai tre dispensari, dotati di sede
autonoma, si aggiunsero due consultori411: quello di Montefiorino, subordi-
nato al dispensario di Pavullo, e quello di Finale Emilia412, subordinato al
dispensario di Mirandola.
Inizialmente, il sistema dei dispensari aveva una pianta organica piutto-
sto snella e flessibile: 1) un direttore; 2) due medici; 3) tre assistenti sanitarie
visitatrici; 3) tre inservienti413. Le assistenti visitatrici erano una figura profes-
sionale presa a prestito dall’organico dei dispensari antitubercolari. Infatti, le
assistenti visitatrici avevano il compito, come nei dispensari antitubercolari,
di visitare le comunità e i nuclei famigliari “sospetti” per poter individuare
gli eventuali malati. Ben presto, però, alla figura dell’assistente visitatrice
ne venne affiancata un’altra, quella dell’assistente sociale414. Quest’ultima, a
410
Art. 35 del Regolamento per l’esercizio di igiene e profilassi mentale, in APMO, Assistenza ai men-
tecatti e Dementi (ex militari e altri), Dispensari di Igiene Mentale 1952-1958.
411
I due consultori entrarono in funzione a partire dall’aprile 1961, dopo l’assunzione di un ulte-
riore medico psichiatra (ACPM, 5 aprile 1961, delibera n. 84, Servizio dispensariale di Igiene e Profilassi
Mentale. Nuovi Consultori di Finale E. e Montefiorino. Assunzione provvisoria di medico, pp. 419-421).
412
Il consultorio di Finale sarebbe stato “ospitato” all’interno dell’ospedale Santo Spirito, sito
in quello stesso comune (ACPM, 16 novembre 1959, delibera n. 32, Servizi dispensariali di Igiene
Mentale. Istituzione consultorio in Finale Emilia, pp. 369-372).
413
Tabella Organica, Allegato A del Regolamento per l’esercizio di igiene e profilassi mentale, in APMO,
Assistenza ai mentecatti e Dementi (ex militari e altri), Dispensari di Igiene Mentale 195-1958.
414
Un posto di assistente sanitaria visitatrice venne soppresso in favore di un posto di assisten-
te sociale (ACPM, 9 settembre 1960, delibera n. 84, Regolamento per l’esercizio di servizio di Igiene
e Profilassi Mentale. Proposta di modifica, pp. 326-331).
182
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
415
In realtà, finché non vennero istituiti i consultori di Montefiorino e Finale Emilia, a Mirando-
la il dispensario apriva due giorni alla settimana, a differenza di quello di Pavullo che era aperto
solo il sabato mattina. Gli orari erano pubblicati in “La Provincia” (organo della provincia di
Modena), ottobre 1960.
416
Annuncio pubblicato in “La Provincia”, ottobre 1960.
183
Simone Fari
Tabella 1
Numero di “prime visite” effettuate nel sistema dei dispensari
dal 1958 al 1962
Tabella 2
Numero di controlli successivi alla “prima visita” effettuati nel sistema
dei dispensari dal 1958 al 1962
184
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
185
Simone Fari
esposto si può facilmente dedurre che l’istituzione dei servizi di cui trattasi
ha colmato nella provincia di Modena una lacuna notevole nel campo della
profilassi e dell’igiene mentale»421. Inoltre, un anno prima, lo stesso direttore
dei dispensari, Vicini, ricordava: «siamo andati al congresso di Torino l’anno
scorso422. Io rappresentavo la clinica neurologica […] e vi posso dire che la
provincia di Modena è forse la prima che ha creato un dispensario completa-
mente indipendente da altri organi, come gli ospedali psichiatrici, che tutte
le altre province hanno e noi non abbiamo»423.
Sebbene il primo quadriennio di attività dei dispensari fosse stato valu-
tato positivamente da tutte le parti in causa, rimanevano però alcuni pro-
blemi insoluti. Innanzitutto, vi erano problemi nelle relazioni fra la rete dei
dispensari e i medici condotti. Questi ultimi, in particolare, non mandavano
volentieri i propri pazienti al dispensario; se riscontravano malattie men-
tali preferivano suggerire ai famigliari di rivolgersi alle case di cura priva-
te oppure alla clinica neuropsichiatrica dell’ospedale civile. Molti pazienti
che si rivolgevano ai dispensari, poi, chiedevano al medico che li visitava
di non dire nulla al proprio medico condotto424. Questo atteggiamento di
scarsa collaborazione dei medici condotti rifletteva, in realtà, un sentimento
di generale diffidenza nei confronti del sistema dei dispensari che era an-
cora diffuso fra tutti i cittadini della provincia, compresi gli amministratori
degli enti locali425. In questo caso, il sistema dei dispensari, proponendo una
nuova concezione dell’assistenza psichiatrica veniva a scontrarsi con il pre-
giudizio e con il timore che la popolazione aveva ancora nei confronti dei
malati mentali.
Rispetto alla sua concezione originaria, il sistema dei dispensari veniva,
poi, a scontrarsi con un altro problema rilevante. Nel corso dei primi quat-
tro anni di attività, i dispensari finirono per essere fagocitati dal compito di
visitare e diagnosticare chiunque vi si presentasse, rimanendo, però, in tal
421
Ivi, p. 11.
422
Il convegno cui si fa riferimento è quello svoltosi a Torino nei giorni 16-17 maggio 1959,
organizzato dall’Amministrazione provinciale di quella città d’intesa con la Lega Italiana di
Igiene Mentale, sul tema “Finanziamento e struttura del centro di igiene mentale” (ACPM, 27
aprile 1959, delibera n. 58, Convegno a Torino sul tema «Funzioni e strutture del centro di igiene
mentale, pp. 416-417).
423
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1960, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Servizi
provinciali di igiene e profilassi mentale, 17 febbraio 1960, p. 19.
424
Ivi, p. 26.
425
A questo proposito si considerino gli interventi degli amministratori dei piccoli comuni nel
documento citato.
186
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
426
Vicini qui rivolge una critica alla direzione dei dispensari che, nei primi anni, non era nelle
sue mani ma in quelle del direttore della clinica neurologica.
427
I farmaci erano distribuiti gratuitamente grazie ad una convenzione che la Giunta provin-
ciale aveva stipulato con l’ordine dei farmacisti della provincia di Modena (ACPM, 19 gennaio
1960, delibera n. 104, Dispensari d’igiene mentale. Convenzione con l’Ordine dei farmacisti della Pro-
vincia di Modena, pp. 182-186).
428
APMO, Assistenza ai mentecatti e Dementi (ex militari e altri). Dispensari di Igiene Mentale 1959-
1966. Struttura e funzione dei dispensari. Relazione trattata in sede di Giunta il 4 giugno 1966, p. 5.
429
Ivi, p. 6.
430
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1963, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Assistenza.
Relazione attività anno 1962, p. 2.
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188
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189
Simone Fari
portante era che esso «pone[va] le premesse per l’inserimento delle forme
di assistenza extramanicomiale auspicate dall’amministrazione preoccupata
dell’aumento progressivo dei soggetti affetti da disturbi mentali accessibili
di trattamento extra-murale»438. Il centro si poneva, quindi, come il punto di
arrivo di un percorso di assistenza psichiatrica alternativa a quella manico-
miale, cominciata dieci anni prima con il progetto dei dispensari.
Il centro terapeutico si presentava, sulla carta, come un progetto estre-
mamente innovativo. Innanzitutto, esso si proponeva di raggiungere due
obiettivi principali: «a) assistenza e cura ai soggetti non più mentalmente
sani, ma che presenta[va]no fasi iniziali o comunque non troppo gravi di
decadimento o di scompenso psichico per sé non pericolose e tali da consen-
tire un ricupero sociale; b) assistenza psichiatrica all’infanzia»439. Al fine di
raggiungere tali obiettivi, «il centro si [sarebbe articolato] in tre reparti: re-
parto adulti, reparto infantile, centro sociale (comune per adulti e minori) e
prevede[va] il ricovero continuativo per i soggetti che presenta[va]no forme
più gravi e che non [erano] in grado di essere assistiti in famiglia, il ricovero
solo diurno per i soggetti che presenta[va]no forme di media gravità e che
[necessitassero] di assistenza e che [avessero] possibilità di parziale vita in
famiglia, il ricovero solo notturno per i soggetti che presenta[va]no forme
di lieve entità e che [potessero]continuare l’attività lavorativa senza la pos-
sibilità di vita in famiglia»440. Tuttavia, l’aspetto realmente innovativo del
centro terapeutico sarebbe stato il fatto che «nella tecnica della riabilitazione
psichiatrica» si sarebbero realizzate: «1) la psicoterapia individuale di grup-
po e di ambiente; 2) la terapia occupazionale interna ed esterna; 3) la ludo-
terapia nei suoi principali aspetti, quello sportivo e quello ricreativo»441. In
altre parole, vi era l’esplicita volontà di utilizzare delle tecniche terapeutiche
alternative a quelle tradizionali, come, da anni, stava avvenendo all’estero.
In realtà, da alcuni anni, nei dispensari si era tentato l’utilizzo di terapie psi-
chiatriche moderne: nel 1964, infatti, si erano eseguite «la psicoterapia di un
gruppo di malati adulti schizofrenici, la psicoterapia di un gruppo di malati
438
ACPM, 25 settembre 1964, delibera n. 49, Centro Dispensariale di Terapia Malattie Nervose e di
Assistenza Sociale. Provvedimenti, p. 327.
439
Ivi, p. 328.
440
Superato lo schema delle tradizionali attività si parte per la strada della speranza e della salvezza, in
“La Provincia”, 1960-1964.
441
ACPM, 25 settembre 1964, delibera n. 49, Centro Dispensariale di Terapia Malattie Nervose e di
Assistenza Sociale. Provvedimenti, pp. 330-331.
190
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191
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445
Ivi, p. 7.
446
ACPM, 15 febbraio 1967, delibera n. 59, Convenzione con l’Opera Pia Istituti Ospedalieri Neurop-
sichiatrici di S. Lazzaro in Reggio Emilia per assistenza ambulatoriale dei malati di mente della provincia
di Modena, art. 1.
447
Ivi, art. 2.
448
Ivi, art. 3.
192
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
nicomio potesse inviare i propri medici ai dispensari per poter curare gli am-
malati ricoverati o per poter seguire quelli dimessi, dall’altra, ai medici dei
dispensari non era consentito di seguire i propri pazienti in manicomio449.
Una nuova occasione per poter effettuare il potenziamento del sistema
dei dispensari venne dalla cosiddetta legge stralcio “provvidenze per l’assi-
stenza psichiatrica”, approvata dal parlamento il 7 marzo del 1968, in segui-
to alla riforma sanitaria del ministro Mariotti. Tale legge prevedeva l’avvio
della riduzione dei ricoverati all’interno dei manicomi, l’istituzione di centri
di igiene mentale ove non presenti, l’eventuale contributo al potenziamento
di dispensari e centri di igiene mentale. Vicini, in qualità di direttore dei
dispensari, voleva approfittare, il prima possibile, dei contributi offerti dal-
lo Stato. Per questa ragione inviò una relazione al Consiglio provinciale in
cui chiedeva: «a) la costituzione di una equipe di neuropsichiatria infantile;
b) il potenziamento dei servizi psichiatrici centrali; c) l’istituzione di nuovi
presidi psichiatrici nelle zone non servite della provincia [con l’apertura di
nuovi consultori a Carpi e a Zocca]; d) l’istituzione di moderni presidi di
terapia e risocializzazione quali […] un laboratorio protetto»450. La relazio-
ne di Vicini si chiudeva con una frase piuttosto eloquente: «con la presente
proposta questa ripartizione ha inteso delineare il programma minimo per
sopperire alle necessità dell’assistenza psichiatrica nella provincia di Mo-
dena, nell’intento di consentire a codesta spettabile amministrazione di for-
mulare una richiesta accettabile per poter ottenere i contributi dello stato
in un tempo abbastanza sollecito»451. Le sollecitazioni di Vicini sortirono il
proprio effetto, poiché, due mesi dopo, il Consiglio provinciale approvava il
potenziamento del sistema dei dispensari, prevedendo, in particolare, l’as-
sunzione di due nuovi psichiatri, di cui uno infantile, due assistenti sociali
e due assistenti sanitarie, esattamente come aveva suggerito il direttore dei
dispensari452. Poco più di un mese dopo, invece, venne approvata, sempre
dal Consiglio provinciale, l’istituzione di un laboratorio protetto per malati
di mente dimessi dall’ospedale psichiatrico. Si trattava di un esperimento
terapeutico e di reinserimento sociale. Approfittando di un appartamento
vuoto in proprietà della Provincia, si decise di aprirvi all’interno un labora-
torio di cucito e sartoria, nel quale impiegare alcune pazienti che erano state
449
Ivi, art. 4.
450
APMO, Carteggio di amministrazione generale, 1968, Titolo 6, Rubrica 5, Fascicolo 1, Note per il
potenziamento dei servizi d’igiene e profilassi mentale, protocollato l’11 aprile 1968, p. 2.
451
Ivi, p. 4.
452
ACPM, 21 giugno 1968, delibera n. 36, Assistenza Psichiatrica. Provvedimenti.
193
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453
ACPM, 24 luglio 1968, delibera n. 81, Dispensario di Igiene e profilassi mentale. Istituzione di un
servizio di socio terapia occupazionale.
454
A. Del Boca, Manicomi come lager, Torino, Edizioni dell’Albero, 1966.
194
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
Nel luglio del 1968 era stata nominata una commissione con l’incarico
di studiare e realizzare la programmazione psichiatrica nella Provincia di
Modena. Tale commissione, a somiglianza e in continuità con quella che
aveva steso il progetto per l’istituzione del centro terapeutico, sarebbe sta-
ta composta sia da tecnici, sia da politici della maggioranza sia, infine, da
quelli della minoranza. In particolare la commissione era composta: dall’as-
sessore all’igiene, sanità e servizi sociali, da Franco Basaglia, allora direttore
195
Simone Fari
196
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
favorisce l’allentamento fino alla rottura dei legami fra il malato ed i gruppi
sociali cui egli appartiene»458.
La commissione, quindi, non si arroccò in una posizione antimanico-
miale, ma, anzi, propose un piano dettagliato per istituire un servizio psi-
chiatrico provinciale alternativo al manicomio e, quindi, estremamente
all’avanguardia nel panorama nazionale. Durante la seduta del marzo 1970,
l’assessore Sacchi così presentava le linee principali del piano: «La caratteri-
stica principale di questo programma è rappresentata dal “no” pronunciato
nei confronti dell’ospedale psichiatrico. C’è stata la scelta di un’alternativa
all’ospedale psichiatrico nell’intento di creare servizi organici in grado di co-
prire le tre fasi fondamentali in tutto il campo della medicina: prevenzione,
cura, riabilitazione. Abbiamo diviso il territorio della provincia in sette set-
tori disponendo per ciascuno di essi l’istituzione di: un dispensario di igiene
mentale, con eventuali consultori […] un reparto psichiatrico in un ospedale
civile della zona, un istituto o centro che comprenda ospedale di giorno,
ospedale di notte e laboratorio protetto, per la fase di recupero degli amma-
lati e un istituto per lungodegenti, per quegli ammalati, cioè, che abbiano
bisogno di una degenza prolungata e che non siano recuperabili e curabili
nelle istituzioni prima elencate»459. Da questa sintesi del piano psichiatrico,
si comprende bene che si sarebbero dovute mettere in campo notevoli risor-
se economiche ed umane. Difatti, considerando il dispensario di Carpi, la cui
apertura era stata disposta da pochi mesi460, il servizio psichiatrico provin-
ciale poteva avvalersi di quattro dispensari: Modena, Pavullo, Mirandola e,
appunto, Carpi. Per arrivare a sette si sarebbe dovuto disporre, innanzitutto,
la istituzione di tre nuovi dispensari: un altro a Modena, uno a Vignola e uno
a Sassuolo461. Tuttavia, per completare il piano predisposto dalla commissio-
ne, ai dispensari si sarebbero poi dovuti affiancare quei centri che avrebbe-
ro ospitato gli ospedali diurni, notturni e i laboratori protetti462. Per quanto
riguarda i settori della montagna e della pianura questi centri non vennero
praticamente mai presi in considerazione, con l’eccezione del settore di Pa-
vullo dove però si istituì un presidio psichiatrico “atipico”, basato sull’ap-
458
Ivi, pp. 8-9.
ACPM, 26 marzo 1970, delibera n. 16, Programmazione dei servizi psichiatrici nella provincia di
459
Modena. Determinazioni, p. 1.
460
ACPM, 13 maggio 1969, delibera n. 147, Servizi di igiene e profilassi mentale. Istituzione di un
dispensario a Carpi.
Relazione della Commissione di studio per la programmazione dei servizi psichiatrici della provincia,
461
Modena, dattiloscritto conservato nella Biblioteca della Provincia, s.d., pp. 10-20.
462
Ivi, pp. 21-27.
197
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467
ACPM, 26 marzo 1970, delibera n. 16, Programmazione dei servizi psichiatrici nella provincia di
Modena. Determinazioni, p. 8.
468
ACPM, 24 settembre 1969, delibera n. 30, Programmazione dei servizi psichiatrici nella provincia
di Modena. Determinazioni, p. 15.
469
Ivi, p. 8.
470
Ivi, p. 18.
199
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200
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474
Ivi, p. 9.
475
ACPM 24 settembre 1969, delibera n. 30, Programmazione dei servizi psichiatrici nella provincia
di Modena. Determinazioni, p. 2.
201
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202
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
vincia, dovrà essere particolarmente attenta. Non sarebbe la prima volta che
anche certi rapporti impostati con l’università finiscono semplicemente per
allargare le aree di potere di questo o di quel gruppo di cattedratici o di “ba-
roni” universitari». Tuttavia, l’intervento più duro fu quello del capogruppo
socialista il quale, scavalcando a sinistra il PCI, giustificò in questo modo il
proprio voto contrario: «noi socialisti vi diciamo chiaramente che se intende-
te risolvere i problemi della psichiatria italiana, affidandoli a quelle strutture
che noi e che voi contestiamo, evidentemente avete scelto una strada sbaglia-
ta. Così facendo non portiamo l’università a livello di società civile, noi an-
diamo, come società civile, in mano, in casa di quel tipo di università. Allora
il discorso non è più soltanto di merito, ma rappresenta una scelta. Mentre
fuori siamo i contestatori, in questa sede ci troviamo alleati con chi i conte-
statori contestano. Noi quindi, per queste ragioni, votiamo contro». Con un
atteggiamento maggiormente responsabile, invece, il gruppo democristiano
decideva di appoggiare i comunisti in questa delibera, come spiegava il por-
tavoce Bortolotti: «votiamo a favore per coerenza con quanto sottoscritto nel
piano di programmazione dell’assistenza psichiatrica e, soprattutto, tenen-
do conto che questo comporta la possibilità di assistere una quota di popo-
lazione che, altrimenti, non verrebbe assistita, oppure, verrebbe assistita con
quelle poche strutture delle quali disponiamo»479. Fortunatamente, invece,
non essendoci l’intervento di enti esterni, l’istituzione dei due nuovi dispen-
sari periferici a Sassuolo e Vignola venne approvata all’unanimità480.
All’indomani dell’approvazione del piano psichiatrico, la Provincia ave-
va a propria disposizione: 4 psichiatri, 1 psicologo, 3 assistenti sociali e 3
assistenti sanitarie visitatrici. Il piano, invece, prevedeva un organico com-
posto da: 29 psichiatri, 7 psicologi, 36 assistenti sociali e 28 assistenti sanita-
rie visitatrici! Si comprende quindi il perché, durante il decennio 1969-1978,
ci furono più assunzioni nel servizio psichiatrico, di quante ve ne fossero
state in tutto il periodo precedente. Allo stesso modo, si può altrettanto ben
comprendere che quella dell’ampliamento e della qualificazione del perso-
nale psichiatrico fu una delle questioni più dibattute dalle forze politiche
provinciali. Ad esempio, quando nell’aprile 1975 venne predisposto un
ampliamento della pianta organica del personale dei dispensari, il gruppo
democristiano espresse un voto contrario. Secondo le parole del loro porta-
voce: «Il gruppo democristiano voterà contro questa nuova pianta organica
479
Ivi, pp. 6 e 13.
480
ACPM 21 aprile 1970, delibera n. 185, Istituzione di un dispensario di igiene e profilassi mentale
in Vignola e Sassuolo e di un consultorio in Zocca. Provvedimenti.
203
Simone Fari
per i seguenti motivi: primo, perché non si vede una articolazione e un de-
centramento effettivo di questo servizio a livello dei consorzi socio-sanitari,
che già sono stati istituiti. Infatti, il gruppo direzionale a livello provinciale
viene ulteriormente potenziato con la figura del direttore, del primario, ag-
giungendo un sociologo, un sociologo il quale non si capisce quale funzione
possa avere. In secondo luogo, si va a creare una pianta organica veramente
pletorica. […] In terzo luogo, io ritengo che ormai non sia più il momen-
to di potenziare indiscriminatamente questi servizi quanto di verificarne la
utilità»481. In realtà, la maggioranza seguiva la direzione tracciata dal piano
ma, evidentemente, stavano cambiando i tempi. Una vivace discussione, in
tema di qualificazione del personale vi era stata anche qualche anno prima,
quando, nel 1972, la Giunta propose dei corsi per infermieri psichiatrici. Non
è irrilevante precisare che tali corsi sarebbero avvenuti negli ospedali di Co-
lorno e di Gorizia. Difatti, come noto, Basaglia fu direttore di quest’ultimo ma-
nicomio. Inoltre, gran parte degli infermieri che si sarebbero formati in questo
corso, sarebbero stati assunti nel nuovo presidio del settore di Pavullo, ispirato
esplicitamente alla scuola di Basaglia. Tuttavia, la discussione non si concentrò
su questo aspetto quanto piuttosto sui criteri di selezione dei possibili corsisti.
La delibera prevedeva che a scegliere gli infermieri fosse una commissione
composta da due amministratori e due sindacalisti. Sia i democristiani che
i socialisti contestarono il fatto che una commissione così composta non era
molto adatta a selezionare degli infermieri. Alla fine, i socialisti si astennero, a
causa dell’esclusione del proprio sindacato dalla commissione482.
Tra il 1971 e il 1978, il terreno di massimo scontro in materia psichiatrica
prese corpo ebbe, senza ombra di dubbio, a proposito dell’istituzione del
cosiddetto presidio di Gaiato, nel settore di Pavullo. Il presidio di Gaiato,
istituito nel luglio del 1971, con l’approvazione unanime di tutte le forze po-
litiche, doveva rappresentare il prototipo di quei reparti aperti extra-opeda-
lieri, previsti dai piani psichiatrici del 1969. A tal fine, il compito principale
del presidio di Gaiato sarebbe stato quello di prendersi in carico la cura e la
riabilitazione dei malati mentali, residenti nel comprensorio di Pavullo e, da
anni, internati nel manicomio di Reggio Emilia. L’esperimento di Gaiato si
ispirava esplicitamente all’esperienza di Basaglia, si considerino, ad esem-
pio, le parole dei responsabili del presidio: «Chi garantisce che Gaiato non
diventi veramente un manicomio? Prima di tutti, noi dell’equipe ci muovia-
ACPM 29 aprile 1975, delibera n. 30, Servizio di igiene mentale – regolamento e pianta organica –
481
Aggiornamento. Provvedimenti, p. 2.
482
ACPM 7 gennaio 1972, delibera n. 9, Delibera di Giunta n°86/27 del 31/12/1971, riguardante:
corsi per la qualificazione di personale per l’assistenza psichiatrica. Provvedimenti. Ratifica.
204
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
483
M. Mattini, L. Lo Russo, L. Tagliabue, Il servizio psichiatrico nel comprensorio del Frignano: 18
mesi di esperienza e programmazione futura, in Il servizio psichiatrico e le esigenze socio-sanitarie del
comprensorio del Frignano, convegno del 25 maggio 1974 a Pavullo, Amministrazione provinciale
di Modena-Consorzio fra i comuni di Pavullo Fanano Fiumalbo, 1975, p. 30.
S. Righi, Il riccio aperto. In tema di un’esperienza sull’igiene mentale e sull’assistenza psichiatrica,
484
205
Simone Fari
la direzione del PCI, accusò i comunisti modenesi di operare per una nuova
istituzionalizzazione in piccole strutture territoriali»486. Anche i dirigenti pa-
vullesi della Democrazia cristiana identificarono il presidio come un piccolo
manicomio, quando, nel dicembre del 1972, attaccarono dei manifestini in
cui si accusava l’Amministrazione provinciale di aver assunto, presso il cen-
tro di Gaiato, soltanto infermieri con la tessera del PCI487.
Il gruppo democristiano presente nel Consiglio provinciale si espresse,
invece, favorevolmente al presidio di Gaiato, fino al momento dell’approva-
zione del regolamento del presidio nel dicembre del 1972. In quell’occasione,
il capogruppo democristiano Bortolotti sostenne: «Trattandosi di un rego-
lamento che viene proposto per una pratica di finanziamento da rivolgere
al Ministero, ci asterremo per non sembrare contrari anche al contributo. Ci
asteniamo perché questo regolamento non è un regolamento, è una cosa che
non si sa cosa sia; è una dichiarazione di intenti, di principi, che non indi-
ca le norme su cui organizzare l’attività di questo nuovo presidio sanitario.
Il servizio di Gaiato non è stato qualificato. Non è nemmeno detto in che
modo si colleghi con il dispensario di igiene mentale»488. Effettivamente, il
presidio di Gaiato appariva come un esperimento fine a se stesso, scollegato
dalla struttura territoriale dei dispensari che, da molti anni, caratterizzava la
provincia modenese. Fortemente ispirato all’approccio di Basaglia che, però,
non trovava riscontro in nessun altra istituzione psichiatrica provinciale,
il presidio finì per essere un esperimento isolato e temporaneo. Difatti, lo
stesso assessore Righi, nel novembre del 1975, parlava di «definitivo supe-
ramento del centro di Gaiato con l’istituzione di nuove comunità alloggio
e con l’assegnazione al servizio di alcuni posti letto presso l’ospedale civile
di Pavullo»489. Sarebbe così cominciato il processo di chiusura del centro di
Gaiato che si sarebbe definitivamente concluso nel gennaio del 1978490.
S. Righi, Il riccio aperto. In tema di un’esperienza sull’igiene mentale e sull’assistenza psichiatrica,
486
206
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
Nel maggio del 1978 venne promulgata la legge 180 con la quale, oltre
alla chiusura dei manicomi, si decise di togliere l’obbligo dell’assistenza psi-
chiatrica alle province per trasferirlo alle regioni, in quanto ente deputato
all’organizzazione dell’assistenza sanitaria in generale. A sua volta, l’Emilia
Romagna, nel luglio del 1978, aveva promulgato una propria legge, nella
quale chiedeva, alle varie province, di raccogliere dei piani di intervento
sull’assistenza psichiatrica elaborati dai singoli comprensori. Anche in pro-
vincia di Modena, i comprensori, corrispondenti ai settori psichiatrici e alle
future unità sanitarie locali, elaborarono dei piani territoriali per la riorga-
nizzazione dell’assistenza psichiatrica. La discussione di questi piani di in-
tervento comprensoriali fu l’ultima iniziativa di rilievo presa dal Consiglio
provinciale in materia di assistenza psichiatrica. Quella fu anche l’occasione,
da parte degli amministratori provinciali, di fare un bilancio di oltre trent’an-
ni di gestione diretta dell’assistenza psichiatrica, soprattutto in prospettiva
delle linee guida tracciate dalla legge 180.
Riassumendo un concetto da molti condiviso, l’assessore Righi affermò:
«Senza presunzione possiamo affermare che la nuova legislazione si collega
e si innesta anche sulle nostre esperienze e propone un importante indiriz-
zo per lo sviluppo dei servizi di igiene mentale e di assistenza psichiatri-
ca. Troviamo qui codificate le tante iniziative sviluppate per il recupero e
il reinserimento sociale degli emarginati, compresa l’esperienza di Gaiato
e il potenziamento dei centri di igiene mentale, per le quali e nelle quali
si sono impegnate le forze politiche e sociali democratiche, gli enti locali e
importanti gruppi di operatori e di tecnici»491. Tuttavia, l’assessore nutriva
anche diverse perplessità sulla legge e sulla sua possibile applicazione: «a)
questa legge potrebbe non trovare, ovunque nel paese, le condizioni per una
sua generale attuazione poiché non dappertutto esiste un retroterra ricco di
esperienze ed anche di servizi per cui una attuazione distorta o un cattiva
interpretazione non farebbe altro che aumentare gli squilibri tra zona e zona
e potrebbe provocare dei pericolosi riflussi tali da danneggiare anche le si-
tuazioni più avanzate; b) essa si presenta in modo separato rispetto ai tempi
di approvazione e di attuazione della riforma sanitaria e anche della rifor-
ma dell’assistenza». Lo stesso assessore Righi, riconosceva alla legge alcuni
importanti pregi: «Di notevole rilevanza è poi l’introduzione, per legge, del
principio della territorializzazione dei servizi. […] Non è per noi un fatto
491
ACPM, 23 ottobre 1978, delibera n. 78, Piani di intervento comprensoriali per l’assistenza psichia-
trica per il quadriennio 1978-81. Determinazioni, pp. 4-5.
207
Simone Fari
nuovo questa scelta, in quanto fin dal 1958, quando istituimmo i dispensari
di igiene mentale, abbiamo individuato il territorio come sede naturale di
lavoro e di intervento di questi servizi»492. Anche Cocchi, il capogruppo del
Partito comunista, riallacciava la lunga esperienza dell’assistenza psichia-
trica modenese con la legge 180: «È del 1958 l’istituzione da parte di que-
sta provincia dei dispensari di igiene mentale: ed è allora il maturare della
convinzione che bisognava cambiare un sistema, che bisognava cambiare
strada per le competenze appunto dell’assistenza psichiatrica che erano ma-
terie delegate all’Amministrazione provinciale. […] Questo lavoro, queste
scelte, questa sperimentazione hanno permesso alla nostra provincia, alla
realtà sociale, territoriale, agli uomini che abitano in questa provincia di fare
notevoli passi in avanti in termini di consapevolezza, ed ha permesso di fare
notevoli passi in avanti sul terreno vero e proprio degli interventi anche in
materia psichiatrica. […] Noi vogliamo sottolineare questo fatto e lo vo-
gliamo sottolineare non con trionfalismo ma con la consapevolezza che il
merito di quanto è stato fatto non è solo nostro, non è solo delle forze della
maggioranza, ma, ci sia permesso, noi vogliamo sottolineare queste espe-
rienze e queste scelte che hanno appunto una datazione così antica con or-
goglio, un orgoglio che riteniamo legittimo per aver contribuito nel vivo del
fronte della lotta a fare avanzare il rinnovamento dell’intervento nel campo
psichiatrico e per aver contribuito a conquistare queste nuove frontiere che
noi consideriamo di grande valore»493. Infine, sulla stessa lunghezza d’onda
vi era anche parte dell’opposizione che, attraverso il consigliere socialista
Mango, ribadiva: «Gli adempimenti previsti dalla legge nazionale e dalla
legge regionale hanno attecchito in un humus già fecondato. Cioè, c’era e
c’è un retroterra culturale ed operativo che ha consentito di poter svolgere
questo ruolo. Ruolo che perfeziona una serie di iniziative e che ha visto dei
tentativi e degli impegni seri per affrontare in termini moderni il problema
del recupero delle malattie mentali»494.
Al di là dell’entusiastica consapevolezza di aver, in qualche modo, prece-
duto le linee guida della legge 180, gli amministratori provinciali erano, tut-
tavia, consapevoli che l’assistenza psichiatrica provinciale presentava ancora
delle criticità notevoli. A fronte di 4.577 malati mentali assistiti direttamente
dai centri mentali della provincia (di cui 3.483 visitati e seguiti in ambulato-
492
Ivi, pp. 5-6.
493
Ivi, pp. 21-22.
494
Ivi, p. 17.
208
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
Tabella 3
Canali di accesso alle case di cura private nel 1977
Tabella 4
Canali di accesso alla clinica psichiatrica universitaria nel 1977
Indagine conoscitiva sulla realtà istituzionale psichiatrica: considerazioni e proposte, Modena, Am-
495
209
Simone Fari
210
TRA RINNOVAMENTO SOCIALE ED EFFICIENZA ECONOMICA
500
Seminario di studio sulla psichiatria 19 giugno 1981, Modena, dattiloscritto conservato presso la
biblioteca della provincia, 1981.
501
L. Fruggeri, C. Masella, R. Olmi, Storia ed evoluzione dei servizi di igiene mentale a Modena, in
Seminario di studio sulla psichiatria 19 giugno 1981, Modena, dattiloscritto conservato presso la
biblioteca della provincia, 1981, pp. 22-31.
502
L. Lo Russo, Significato e modalità dei servizi di igiene mentale a Modena, in Seminario di studio
sulla psichiatria 19 giugno 1981, Modena, dattiloscritto conservato presso la biblioteca della pro-
vincia, 1981, pp. 32-42.
503
R. Ferrari, L. Tagliabue, A proposito di lungodegenza, in Seminario di studio sulla psichiatria 19
giugno 1981, Modena, dattiloscritto conservato presso la biblioteca della provincia, 1981, pp. 87-
95.
211
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
IPOTESI SU UN MANICOMIO.
IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
A Michele Ranchetti
in memoriam
213
Mauro Bertani
214
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
senziale della storia del San Lazzaro. Nella seconda ci concentreremo invece
su alcune possibili piste di ricerca che, a partire da tale storia, ci pare sia
particolarmente urgente indagare, intrecciate con alcune considerazioni di
natura teorica intorno alle modalità ed allo stile di analisi e interrogazione
che ci pare opportuno adottare nei confronti dei materiali che tale storia ci
ha consegnato.
215
Mauro Bertani
Il San Lazzaro nasce nel 1821, allorché il Duca Francesco IV d’Este emana
una serie di decreti che lo trasformano in “Stabilimento Generale delle Case
de’ Pazzi degli Stati Estensi”505. Come direttore viene nominato un medi-
co, Antonio Galloni, che verrà inoltre incaricato di redigere un progetto di
ristrutturazione e riorganizzazione complessive del San Lazzaro, grazie al
quale esso giungerà ad iscriversi nel più generale processo di riforma delle
istituzioni manicomiali, che aveva avuto tra i suoi protagonisti, alcuni de-
cenni prima, Tuke in Inghilterra, Pinel in Francia, Reil in Germania, Daquin
in Savoia. La genesi del San Lazzaro precede tuttavia di molto i decreti di
Francesco IV e le sue vicende ci mostrano come avesse seguito in maniera
esemplare la trafila percorsa da tante istituzioni analoghe nel resto d’Europa.
Le prime notizie riguardanti un luogo dedicato a San Lazzaro, amministrato
da una congregazione religiosa e destinato ad accogliere i lebbrosi, risalgono
alla seconda metà del XII secolo. Sappiamo inoltre che, in occasione della
pestilenza del 1348, il San Lazzaro funzionò da luogo di ricovero per i con-
tagiati e che con la progressiva sparizione della lebbra il San Lazzaro comin-
ciò a popolarsi di “invalidi, decrepiti, storpi, epilettici, sordomuti, ciechi e
paralitici” e, a partire dal XVI secolo, anche dei primi “pazzi”, annunciando
così la sua vocazione ad accogliere quella vasta ed eterogenea popolazione
“sragionevole” che i nascenti stati moderni si occuperanno di controllare e
governare, entrando così di diritto a far parte, all’inizio dell’età moderna, del
più generale processo di controllo della povertà, del vagabondaggio, della
mendicità. Nasce allora il sistema delle Opere Pie, che raggruppa “Ospitali”,
“Ospizi”, ricoveri, i quali verranno unificati, nel 1754, all’interno di un’unica
amministrazione, e di cui sarà parte anche il San Lazzaro, oramai destinato
però al ricovero dei soli “poveri mentecatti”. Questo complesso dispositivo,
in modo tutt’altro che lineare ed obbedendo ad istanze e strategie sovente
contrastanti (in un’epoca che va dal governo napoleonico alla restaurazione
estense) si inserirà nel movimento di riforma e trasformazione della pubbli-
ca assistenza (1808), che elabora nuovi procedimenti di gestione e controllo
del fenomeno di ciò che si converrà di chiamare la “devianza” in genere, e
promuove con Francesco IV, nel ventennio che va dal 1819 al 1839, la riforma
dell’assistenza sanitaria. È in questo contesto che il San Lazzaro inizierà a
505
Sulla storia del San Lazzaro, oltre alla monografia di Grasselli, si potrà consultare: A. Tam-
burini, Il Frenocomio di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Tipografia di Stefano Calderini e figlio,
1880; Il cerchio del contagio. Il San Lazzaro tra lebbra, povertà e follia, 1178-1980, Reggio Emilia,
Istituti Neuropsichiatrici San Lazzaro, 1980.
216
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
506
La citazione è tratta dal progetto generale di «riforma dello stabilimento di San Lazzaro»
redatto da Galloni ed incorporato nel decreto di riordinamento dell’Istituto promulgato il 20
giugno 1821 dal duca Francesco IV (V. Grasselli, L’Ospedale di San Lazzaro presso Reggio nell’Emi-
lia. Cronistoria documentata, Reggio Emilia, Tipografia Calderini, 1897, p. 91).
A. Galloni, Description du Bâtiment de l’Hôpital de St. Lazare pour les insensés de l’état de Modène,
507
217
Mauro Bertani
218
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
219
Mauro Bertani
220
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
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222
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
223
Mauro Bertani
così riassunti: (a) la medicina degli alienati è una specialità medica, il cui
oggetto, la follia, va trattata in strutture ospedaliere specifiche, da medici do-
tati di conoscenze speciali (b) ogni riforma della cura degli alienati avrebbe
dovuto, per ragioni strettamente scientifiche, emanare dal centro del potere
dello Stato e l’agente fondamentale del processo di riforma avrebbe dovuto
essere la burocrazia dello stato centralizzato (c) dalla necessità di costruire
stabilimenti, in cui fosse possibile sviluppare la nuova “medicina della fol-
lia”, verrà poi l’assioma - destinato ad essere capitale nei successivi sviluppi
della psichiatria e dei processi che la caratterizzeranno a partire dagli anni
‘60-’70, e che G. Lantéri-Laura517 ha definito di «cronicizzazione» - secondo
cui l’ospedale per alienati, come aveva detto Esquirol, è uno strumento di
guarigione di per sé e in quanto tale, nella misura in cui assicura il cambia-
mento completo del loro modo di vivere518. Proprio di qui sorgerà il tenta-
tivo di integrare l’intento terapeutico della nuova branca della medicina al
suo aspetto istituzionale esterno (d) ma soprattutto, il programma delineato
prevede il definitivo affidamento della guarigione degli alienati al medico e
all’istituzione correlata: l’asilo doveva essere cioè il campo in cui si esercita
«un’autorità grandiosa» e specificamente medica. Il medico, infatti, «dovrà
essere rivestito di un’autorità a cui nessuno possa sottrarsi», da lui «tutto
deve essere messo in movimento», deve «regolarizzare tutte le azioni, così
com’è chiamato a essere il regolatore di tutti i pensieri»», come aveva scritto
fin dagli anni ’30 Esquirol. Vediamo così la psichiatria tesa a cercare una
funzione ausiliaria per il nuovo medico degli alienati, una funzione profes-
sionale basata essenzialmente su un’integrazione dell’esperto nell’apparato
dello Stato. La malattia mentale, infatti, associa in un certo senso il medico
all’amministrazione pubblica. Il medico illumina il governo sulle tendenze
degli spiriti, e fornisce una «statistica morale dei popoli». Attraverso l’inte-
resse crescente per le perizie in materia di giustizia criminale, la psichiatria
invade l’ambito giudiziario, creando una psichiatria medico-legale, che fini-
rà per imporsi ai giudici, ai responsabili della morale, agli uomini politici.
Di qui un profondo rimaneggiamento dei rapporti tra psichiatri e legge, ma
anche un vero e proprio rimodellamento interno della nuova disciplina, e
517
G. Lantéri-Laura, La chronicité en psychiatrie, Paris, 1997.
518
J.-E. D. Esquirol, Des maladies mentales considérées sous les rapports médical, hygiénique et médico-
légal, Paris, 1938, vol. II, p. 745. Su tutto quanto segue, e precede, il riferimento imprescindibile
– è persino superfluo rimarcarlo – è costituito da M. Foucault, Le pouvoir psychiatrique. Cours
au Collège de France 1973-1974, Paris, 2003. Ci si potrà inoltre riferire anche a R. Castel, L’ordre
psychiatrique. L’âge d’or de l’aliénisme, Paris, 1976; e a J. Goldstein, Console and Classify. The French
Psychiatric Profession in the Nineteenth Century, Cambridge, 1987.
224
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
più in generale dei rapporti tra medicina e società. Se infatti solo un paio di
decenni prima la medicina politica, come veniva chiamata, si risolveva in
semplice polizia sanitaria fatta di programmi amministrativi di salute pub-
blica, nonché di interventi occasionali da parte della medicina legale, mentre
per il resto i medici si presentavano agli occhi della società disorganizzati e
preda di una certa indisciplina, la crescente specificazione delle entità pato-
logiche consentirà di porre le basi di quello che diventerà un fenomeno de-
stinato a crescere esponenzialmente: la vera superfetazione nosografica che
di lì a poco comincerà ad essere messa in atto, e che consentirà lo sviluppo in
estensione del progetto psichiatrico - destinato a diventare «tecnologia gene-
rale del corpo sociale», con le progressive annessioni - di campi, di oggetti, di
problemi - da esso compiuto.
È questa l’epoca in cui si avvia un processo decisivo nella storia della
costituzione e consolidamento del ceto professione degli psichiatri, dato che
suggella l’ormai avvenuta integrazione della nuova specializzazione medica
all’interno dell’apparato di Stato, come avverrà con la promulgazione della
legge del 1904, della cui elaborazione Tamburini sarà uno dei protagonisti e
il San Lazzaro uno dei laboratori. Tale legge, infatti, prevedeva la creazione
di una rete nazionale di asili diretti da medici, stabilmente distaccati presso
i diversi istituti, dando così origine alla figura dei funzionari statali della
psichiatria, dipendenti dal Ministro degli Interni. La legge inoltre prevedeva
anche varie disposizioni relative agli alienisti in formazione e destinati agli
stabilimenti manicomiali, attribuendo così a questi ultimi lo statuto non solo
di ospedali, ma anche di istituzioni di formazione destinate ad assicurare
l’elaborazione e insieme la trasmissione del nuovo sapere medico. La leg-
ge, si potrebbe dire, analogamente a quanto accaduto nella maggior parte
degli altri paesi europei, nasce dalla sovrapposizione tra gli obiettivi dello
Stato e quelli degli psichiatri, una sovrapposizione che rendeva possibile la
collaborazione necessaria per fondare la professione su basi statuali. Nasce
un sistema asilare organizzato dallo Stato, fondato sull’alleanza tra alienisti
e governo, alla luce di una vera e propria medicina politica, di cui i medici
sapranno abilmente servirsi per alimentare la paura della rivoluzione e delle
classi ritenute pericolose nel ceto di governo. Questa alleanza avrà modo
di saldarsi all’ombra del problema dell’interdizione, avvertito soprattutto
da parte di grandi famiglie, e del problema dell’isolamento. Quest’ultimo,
infatti, sopravanzerà progressivamente il trattamento morale, mostrando di
essere uno strumento assai più energico, efficace ed utile per combattere le
malattie mentali: sottrarre l’alienato alle sue cattive abitudini e soprattutto
alla famiglia, onde consentire il lavoro di ricostruzione mentale da parte del-
225
Mauro Bertani
226
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
227
Mauro Bertani
228
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
descrizione della forma afasica sensoriale, Wernicke sarà uno dei protagoni-
sti della progressiva incorporazione della psicopatologia nella patologia ce-
rebrale. Le malattie mentali vengono infatti concepite come malattie genera-
li del cervello, modi particolari di espressione di disordini biologici cerebra-
li, di processi degenerativi primari degli assoni e delle cellule nervose del
cervello, di cui diventerà possibile delineare un giorno la mappa522. Ma l’ope-
ra destinata ad esercitare la maggior influenza sulla psichiatria (e quindi sulle
istituzioni psichiatriche, in primis il San Lazzaro) tra XIX e XX secolo è sicura-
mente quella di Kraepelin, il vero fondatore della moderna nosografia psi-
chiatrica, fondata su una semiologia non più (unicamente) sintomatologica,
bensì su di un’analisi della patologia e della sua evoluzione di carattere dia-
cronico, che solo uno spazio come il manicomio rendeva possibile. Tra la pri-
ma edizione del 1883 e l’ottava del 1915, il Lehrbuch di Kraepelin costruisce
un sistema classificatorio basato sulla delimitazione ed il raggruppamento
delle forme morbose distinte in malattie mentali acquisite, di origine tossica o
infettiva esogena, e malattie mentali congenite, di origine endogena, consecu-
tive ad una predisposizione. È a queste ultime che Kraepelin riserva gran
parte della sua indagine, giungendo a delimitare una serie di vere e proprie
entità di cui fan parte le forme involutive, la psicosi maniaco-depressiva di
natura bipolare, la paranoia, l’idiozia, l’imbecillità ed una nuova entità, che
compare nella sesta edizione, la dementia praecox. Si tratta di una psicosi carat-
terizzata dalla conservazione, almeno parziale, dell’intelligenza, della memo-
ria e dell’orientamento, ma con alterazione dell’affettività, della volontà, del
giudizio e dell’insieme della personalità, al cui interno Kraepelin distingue
poi la forma ebefrenica, catatonica e paranoide. Tale patologia finirà con l’as-
sumere un ruolo paradigmatico, venendo legata alla convinzione di una ine-
sorabile cronicizzazione, a cui si aggiunge l’idea dell’evoluzione fatalmente
demenziale di ogni psicosi. Ciò conferirà un’ulteriore legittimazione al cre-
scente pessimismo terapeutico, rafforzando così il ruolo puramente recluso-
rio dell’ospedale psichiatrico, a cui viene sempre più conferita la funzione di
struttura di protezione e difesa della società dai suoi elementi disgenici»523.
522
T. Meynert, Psychiatrie. Klinik der Erkrankungen des Vorderhirn, Wien, 1884. Su Meynert e sulla
sua influenza sugli sviluppi ulteriori della neuro-psichiatria si veda, in particolare, P. Pichot, Un
siècle de psychiatrie, Paris, 1996, pp. 73-79.
523
E. Kraepelin, Psychiatrie. Ein Lehrbuch für Studierende und Aertze, Leipzig, 1899; su Kraepe-
lin, le varianti e gli spostamenti all’interno della sua opera, e la sua posterità, si consulterà con
profitto: P. Bercherie, Les fondements de la clinique. Histoire et structure du savoir psychiatrique,
Paris, 1980, pp. 139-152 e 220-232; H. Schott–R. Tölle, Geschichte der Psychiatrie. Krankheitsle-
hren, Irrwege, Behandlungsformen, München, 2006, pp. 116-124, D.F. Allen, L’âge de Kraepelin, in
“L’information psychiatrique”, 1996, 9, pp. 925-933; E.J. Engstrom, Emil Kraepelin: psychiatry and
229
Mauro Bertani
Ed è appunto alla scuola di Monaco che Tamburini e i suoi allievi, per l’essen-
ziale, faranno riferimento, recandovisi a formarsi e a specializzarsi.
Un movimento analogo era stato reso possibile da un altro evento inau-
gurale, la pubblicazione nel 1857 del già citato Traité des dégénérescences di
Morel, con il quale nasceva una teoria, quella della degenerazione, ulte-
riormente sviluppata da autori come Magnan (che l’utilizzerà per spiegare
i deliri acuti e cronici), Legrain, Saury, che finirà con l’investire gli ambiti
dell’antropologia, della criminologia, della medicina legale, per arrivare ad-
dirittura ad orientare le politiche sanitarie ed eugenetiche di numerosi stati
tra XIX e XX secolo. È la prima dottrina psichiatrica unitaria ad aver cercato
di individuare le cause generali di tutti i fenomeni della patologia mentale,
dai più infimi ai più severi. Definita la degenerazione come deviazione pato-
logica della specie da un tipo primitivo, Morel insisterà soprattutto sui rischi
di trasmissione per via ereditaria dei fenomeni patologici conseguenti, de-
stinati ad aggravarsi col passare delle generazioni, e sui rischi di «estinzione
della razza» che essi comportano. Le cause ereditarie risultano responsabili,
così, tanto delle più trascurabili deviazioni delle condotte, quanto dell’alte-
razione del senso morale propria dei «degenerati superiori», quanto delle
anomalie più gravi di cui i nuovi contesti economici e sociali favoriscono la
diffusione, come l’imbecillità, il cretinismo, ecc. Viene così redatto un cata-
logo di patologie che comprende tutta una serie di “stigmate degenerative”
che consentiranno di includervi una popolazione virtualmente illimitata.
Concepita all’interno di uno spettro così ampio, la dottrina della degenera-
zione ha funzionato a lungo come il nucleo più influente di un sapere me-
dico sulla follia, che si avvia a diventare sapere sull’anormalità, assegnando
così nuovi compiti alla psichiatria, sempre più orientata a svolgere funzioni
di dépistage e controllo delle popolazioni, alla ricerca dei fattori predisponen-
ti, delle stigmate, delle sindromi, su cui intervenire per via di profilassi con
misure ispirate all’igienismo, per giungere infine alla messa in atto di vere e
proprie misure di carattere eugenetico, che diventeranno agli inizi del XX se-
colo anche leggi degli Stati. Ne saranno testimonianza, ad esempio, il lavoro
compiuto da Krafft-Ebing, il quale, sulla scorta delle ricerche di autori come
Kaan, Westphal, Moll, Dupré, avvierà uno dei primi tentativi di fornire una
descrizione complessiva delle pratiche sessuali definite come devianti, aber-
ranti o perverse; oppure quello di studiosi come Meige o Pilcz o Wulfing-
Luer, tra gli altri, di iscrivere la patologia mentale come tratto distintivo
della razza ebraica; o ancora di interpretare fenomeni storico-politici come
public affairs in Wilhelmine Germany, ”History of psychiatry”, 1991, 2, pp. 111-132); Id., Clinical
Psychiatry in Imperial Germany. A History of Psychiatric Practice, Ithaca, 2003.
230
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
231
Mauro Bertani
testimonianza del nesso ormai inestricabile tra discorso della scienza e prati-
che di governo e di cui è riprova ed insieme annuncio il testo redatto nel 1911
dallo stesso Petrazzani su Le degenerazioni umane, nel quadro del Trattato di
medicina sociale diretto, tra gli altri, dallo stesso Tamburini, dove si evocava la
necessità di dar vita ad una «medicina delle Stirpi»525. Nel frattempo (1921)
era stata fondata la colonia-scuola “A. Marro”, istituto medico-pedagogico
indirizzato alla profilassi della devianza minorile, mentre venivano edificati
nuovi reparti, sviluppando il manicomio secondo il modello di una comu-
nità separata, ordinata secondo precise regole, organizzata secondo rigorose
partizioni (benestanti – poveri; tranquilli – agitati; puliti – sudici; cronici –
curabili), subordinata ad una specifica organizzazione della gerarchia e ad
una ineguale distribuzione dei poteri. Insomma, uno spazio che in virtù del-
la sua stessa organizzazione, e grazie al perfezionamento dei meccanismi di
custodia, controllo e sorveglianza dei ricoverati, si configurava se non come
spazio terapeutico, perlomeno come luogo di contenimento e riduzione del-
la pericolosità, e di possibile rieducazione (attraverso le pratiche igienistiche,
il lavoro, l’isolamento e, laddove necessario, la coercizione).
Per quanto concerne i quadri teorico-clinici di riferimento, ancora per
molto tempo (almeno fino agli anni Sessanta del ‘900) non sembra possi-
bile rinvenire, all’interno del San Lazzaro, gli effetti di quella che è stata
definita la “rivoluzione psicodinamica”, che nei primi decenni del XX secolo
ha modificato l’assetto clinico ed epistemologico della psichiatria europea,
con l’apparizione e la diffusione della psicoanalisi, delle psichiatrie sociali,
della Daseinanalyse. È inoltre solo a partire dagli anni Trenta (nel 1929 ver-
rà nominato direttore Aldo Bertolani, che resterà in carica fino al 1950) che
cominciano ad essere sperimentate su larga scala nuove tecniche terapeu-
tiche, di cui ancora mal si conoscono le modalità di funzionamento e dalla
dubbia efficacia: la piretoterapia e la malarioterapia, la produzione di acces-
si convulsivi per mezzo di cardiazol (tecnica di von Meduna) o di cloruro
d’ammonio, la provocazione di shock insulinici secondo la tecnica di Sakel,
la pratica dell’elettroshock.
Nel corso del secondo conflitto mondiale il San Lazzaro viene sottoposto
a bombardamenti ripetuti che provocano un centinaio di morti e decine di
feriti, nonché la distruzione o il danneggiamento di numerosi reparti, ren-
dendo necessario il trasferimento dei pazienti in numerose località della pro-
vincia. Solo nel giugno del 1945 potrà riprendere il servizio di ammissione ed
il numero dei ricoverati riprenderà ad aumentare secondo una progressione
525
P. Petrazzani, Le degenerazioni umane. Studio di biologia clinica, Milano, 1911.
232
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233
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528
J. Biehl, Pharmaceutical Governance, in Global Pharmaceutical. Ethics, Markets, Practices, ed. by
A. Petrina, A. Lakoff, A. Kleinman, Durham-London, 2006, pp. 206-239.
529
P. Pignarre, Les malheurs des psys, Paris, 2006, pp. 82 e ss.
234
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II
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242
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535
A. Marie, Le Musée de la folie, in «Je sais tout», 15 octobre 1905; Id., Les dessins stéréotypés des
aliénés, in “Annales médico-psychologiques“, 1912, pp. 311-319; J. Rogues de Fursac, Les écrits et
les dessins dans les maladies mentales et nerveuses, Paris, 1903.
536
M. Reja, L’art chez les fous, Paris, 1908, p. 31.
537
W. Morgenthaler, Ein Geisteskranker als Künstler, Bern, 1921.
538
H. Prinzhorn, Bildnerei der Geisteskranken, Berlin, 1922.
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244
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
245
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logica della follia»543 è cominciata il giorno in cui nella follia non si è più
oscuramente percepito il mormorio appena intelligibile di una Sragione at-
traverso la quale parlava comunque l’assenza del Senso e dell’Essere, bensì
unicamente il pericolo rappresentato dall’alterazione delle facoltà e dall’alie-
nazione di verità solo e del tutto umane, che hanno consentito di individuare
nel folle un soggetto malato, da cui la città doveva essere protetta. La follia
ha cessato, quel giorno, di parlare di un altro mondo per diventare lei stessa
un altro mondo, quello delimitato dallo spazio chiuso dei manicomi, intesi
come luoghi in cui un’intera società si mette al riparo dal rischio dello sca-
tenamento degli istinti, dal pericolo rappresentato dalla forza infinita che si
comincia a sospettare possa provenire dall’oscura co-appartenenza del de-
siderio e della morte. Insomma, la follia è diventata il rovescio della civiltà,
animalità colpevole, effetto dell’esilio dell’uomo dalla sua verità immediata,
alterità pericolosa, e come tale da escludere dal consorzio e dallo scambio,
nel chiuso di spazi destinati ad accogliere esclusivamente quegli insensati,
e nessun altro, poiché la presenza dei folli comincia ad essere incompatibile
persino con i mondi della miseria, del crimine morale, della improduttività
sociale, con cui pure aveva condiviso un tratto di storia e di destino. Tra
la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX (e in questo senso ci pare che la
vicenda del San Lazzaro sia insieme esemplare e del tutto corrente) la fol-
lia si è così resa disponibile per una nuova percezione, all’interno di uno
spazio specifico, quello dell’internamento, che è stato oggetto di una me-
dicalizzazione progressiva. Abbiamo imparato, dopo i racconti edificanti e
le numerose agiografie, che nell’atto di nascita dell’alienistica prima, e poi
della psichiatria, si è trattato di tutt’altro che di una liberazione, o del lento
lavoro di incorporazione della follia all’interno delle forme pacificate della
conoscenza o del suo diventare preda della sollecitudine della filantropia. La
follia è stata piuttosto imprigionata nella più gravosa delle reclusioni, sotto
le specie dell’apparente levità del sapere, quella all’interno di una definizio-
ne medica, univoca, in cui la follia non ha trovato altra verità che non fos-
se quella dello sguardo oggettivante dell’Altro, un medico, il quale, armato
delle sue nosografie e nosologie, delle sue semeiotiche e delle sue eziopato-
genesi, non ha tuttavia fatto la scoperta improvvisa e illuminante che la follia
non è, dopotutto, che follia, ovvero che la sua verità consiste nel non essere
nulla di più di una malattia. Non si è trattato della conquista di una liber-
tà, bensì della definitiva (ancora per noi, oggi) acquisizione di uno statuto,
quello di malattia destinata ad essere curata (nei casi migliori) all’interno
543
M. Foucault, Histoire de la folie à l’âge classique, Paris, 1972, pp. 531-557.
246
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IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
delle forme di vita che sono le nostre, con l’affermazione definitiva di quello
che M. Jay ha chiamato l’«impero dello sguardo»547. Di qui, come ulteriore
corollario, vengono i problemi legati a ciò che si è opposto a tale primato
dello sguardo. Heidegger tenterà di contrapporvi un pensiero che si dedica
all’ascolto del linguaggio, esattamente come, per altre vie, aveva tentato di
fare Freud incentrando la relazione terapeutica sull’ascolto e la decifrazione
comune della parola del paziente, mentre Foucault e Wittgenstein, per parte
loro, cercheranno di esplorare il linguaggio fino ai suoi limiti, laddove si
incontra la questione dell’etica. Ecco, allora, il compito che da esperienze fi-
losofiche pure così diverse possiamo intravedere per il pensiero alle prese
con la crisi del mondo moderno, che non è altro che il suo compimento nel-
la cosiddetta civiltà dell’immagine: mettersi in ascolto del linguaggio e del
luogo (dei luoghi) da cui esso risuona, e riscoprire quell’attività che sopra
ogni altra comporta raccoglimento e concentrazione sulla parola, qualsiasi
parola, senza consumarla e rispettandola nella sua natura di permanen-
te riserva, che lascia essere qualsiasi discorso nella sua alterità assoluta:
leggere, una lettura infinita. Riconvertire lo sguardo alla lettura, questa la
forma di resistenza alla cui meditazione vorremmo invitare, dal momento
che lo sguardo è anche, fenomenologicamente, la modalità fondatrice del-
la relazione con l’altro, come ha sottolineato Sartre548, rispetto al quale si
schiudono due possibilità: la riduzione dell’altro a oggetto, tra gli altri, del
mondo, con tutte le manipolazioni che ciò comporta; oppure l’assunzione
di tale relazione come fondante la stessa coscienza di sé, da cui discendono
ulteriormente due possibilità: o la lotta a morte per il riconoscimento (in
cui lo sguardo dell’altro, replica di quello che a mia volta getto su di lui,
ingenera la dialettica della vergogna, della paura e dell’alienazione in cui
entrambe le coscienze si troveranno proiettate), oppure il riconoscimento
di un comune destino - mortale, finito, provvisorio e precario - in cui si di-
segna l’orizzonte di una politica possibile, in cui l’altro non è fissato e ridot-
to - pornograficamente, secondo il rischio immanente ad ogni trattamento
dell’altro per imago - al ruolo e all’immagine che ho stabilito per lui. E del
resto non è senza significato che allorché Freud interverrà sul dispositivo
psichiatrico tentando di sopprimerne le pretese di oggettività, mostrando
come si trattasse fin dalle origini di una reificazione quasi d’ordine magico,
e che comunque, sotto le specie dei miti dell’obiettività scientifica, affon-
547
Cfr. M. Jay, Force Fields: Between Intellectual History and Culture Critique, London-New York,
2002; Id., Refractions of Violence, London-New York, 2003.
548
J.-P. Sartre, L’essere e il nulla, Milano, Il saggiatore, 1965, parte terza.
249
Mauro Bertani
dava le sue radici in una certa tattica morale conservata nei riti della vita
manicomiale, sia proprio sull’organizzazione dei rapporti rispettivi dello
sguardo e della parola che agirà. Egli, infatti, ha deliberatamente sospeso,
al contrario di Charcot, l’onnipotenza dello sguardo, mostrando come agi-
sca, al suo interno, una pulsione scopica di cui tenterà di disvelare, accanto
agli effetti strutturanti, anche i rischi di pietrificazione e di oggettivazione
nel fantasma. La clinica freudiana sarà allora una clinica della parola e del
discorso, attraverso cui il soggetto possa arrivare a costituirsi nella propria
autonomia, non foss’altro che di soggetto sofferente.
Ecco perché, allora, il pensiero di un trattamento (esposizione, raccolta,
ecc.) di materiali prodotti o creati dai pazienti psichiatrici non può non
provocare il nostro pensiero fino all’inquietudine e all’angoscia, che sono i
segni dell’autenticità dell’esercizio a cui ci dedichiamo.
Attualmente (febbraio 2009) presso il San Lazzaro è in corso di realizza-
zione un museo destinato a raccogliere ed esporre tali documenti/monu-
menti. Storicamente i musei hanno assolto almeno una duplice funzione,
come ricorda Pomian549. Da un lato, luoghi di organizzazione e codificazio-
ne del sapere. Attraverso la costruzione di serie di oggetti, la formazione di
tabulae tassonomiche, la costruzione di distribuzioni e disposizioni episte-
mologiche degli stessi, i musei hanno preso parte a pieno titolo alla costru-
zione dei diversi saperi e delle differenti forme di conoscenza che hanno
accompagnato lo sviluppo delle società occidentali. Inoltre, hanno funzio-
nato da depositi ed archivi per la conservazione e la trasmissione della
pletora degli oggetti sorti dalle attività creatrici e produttive dell’umanità,
talvolta in condizioni di vera e propria panoplia, prima che uno sguardo
ne organizzasse la disposizione e ne decidesse il significato. I musei, tut-
tavia, hanno aspirato anche ad essere i luoghi della memoria, quelli che
assicurano all’umanità la capacità dell’intelletto generale di recuperare in-
formazioni e conoscenze non più attualmente presenti alla percezione, di
riattualizzare esperienze passate, o almeno le tracce di esse. Una mnemo-
tecnica, dunque, una protesi per mezzo della quale le varie comunità uma-
ne si assicurano della propria identità nel tempo. Come tali, i musei hanno
organizzato a loro volta quadri e tassonomie, sistemi di classificazione e
modi di organizzare il partage tra visibile ed invisibile, tra il memorabile e
ciò che è destinato all’oblio, il sistema delle differenze e delle somiglianze.
In altri termini, hanno preso parte, come ha mostrato Hooper-Greenhill550,
549
K. Pomian, Collectionneurs, amateurs et curieux, Paris, Venise: XVIe-XVIIIe siècle, Paris, 1987.
550
E. Hooper-Greenhill, Museums and the Shaping of Knowledge, London-New York, 1992.
250
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
551
J. Derrida, Mal d’archive, Paris, 1995, in particolare pp. 26 e ss.
552
È qui superfluo il riferimento alle analisi di Michel Foucault. Si veda almeno L’archeologia del
sapere, Milano, Rizzoli, 1969 e L’ordine del discorso, Torino, Einaudi, 2004.
251
Mauro Bertani
553
A. Tamburini, Il Frenocomio di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Tipografia di Stefano Calderini e
figlio, 1880, p. 30.
554
Ivi, p. 30-31.
252
IPOTESI SU UN MANICOMIO. IL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA TRA ‘800 E ‘900
253
Mauro Bertani
254
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
I MODENESI RICOVERATI
NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO.
APPUNTI PER UNA RICERCA
555
La ricerca sulle cartelle è condotta dalla dottoressa Elizabeth Gherardi, che ringraziamo per
la disponibilità nell’averci fornito i primi risultati del suo lavoro di spoglio.
556
Per la provincia modenese, è questa la ripartizione dei singoli comuni. Via Emilia: Cam-
pogalliano, Castelfranco Emilia, Formigine, Modena, Nonantola, Spilamberto; Bassa: Bastiglia,
Bomporto, Camposanto, Carpi, Cavezzo, Concordia sulla Secchia, Finale Emilia, Marano sul
Panaro, Medolla, Mirandola, Novi di Modena, Ravarino, San Cesario, San Felice, San Possi-
donio, San Prospero, Savignano sul Panaro, Soliera; collina-montagna: Prignano sulla Secchia,
Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Fanano, Fiorano Modenese, Fiumalbo, Frassinoro, Guiglia,
255
Francesco Paolella
criterio è stato quello di differenziare fra i due sessi. Tutti questi insiemi di
dati sono stati poi distinti secondo grandi gruppi nosografici, ognuno dei qua-
li raccoglie a sua volta diverse diagnosi: ad esempio, il gruppo delle psicosi
deliranti mette insieme la mania nelle diverse specificazioni che si possono in-
contrare nelle cartelle cliniche (furiosa, recidiva, acuta, allucinatoria, religiosa,
gelosa), la pazzia (periodica, del dubbio, non constatata, follia morale, circola-
re), il delirio (di persecuzione, sistematizzato, uremico, acuto, sistematizzato
di persecuzione, sensoriale, sistematizzato religioso, sensoriale acuto). Sempre
nell’ambito della stessa indagine, e con i medesimi criteri, sono stati presi in
esame anche i dati riguardanti i soldati reggiani e modenesi della prima guer-
ra mondiale, che furono ricoverati nel reparto militare del San Lazzaro. Sono
state recuperate cartelle di militari compilate fra il 1915 e il 1930, ben oltre,
quindi, la fine del conflitto. Questo dato ci permette di sottolineare un elemen-
to essenziale: questa ricerca ha dovuto seguire il criterio di archiviazione delle
cartelle cliniche, basato sulla data dell’ultima uscita dal manicomio.
Prendiamo il primo periodo considerato: negli anni compresi fra il 1880 e
il 1900 risultano essere uscite dal San Lazzaro 2.832 persone provenienti dalla
provincia di Modena. Furono 1.467 uomini e 1.365 donne. Per avere un’idea
di quale fosse la presenza dei modenesi fra i reparti del manicomio, possiamo
prendere in considerazione i dati contenuti nell’indagine statistica su tutti i
ricoverati del San Lazzaro tra il 1821 e il 1974, realizzata da Mario Baraldi557.
Sommando tutti gli usciti durante i 21 anni in questione, otteniamo un numero
di 7.458 malati: i modenesi usciti furono dunque il 37,97%. Nello stesso perio-
do, i reggiani usciti risultano invece essere 3.451 (di cui 1.388 uomini e 1.192
donne), il 46,27% del totale. Reggiani e modenesi rappresentavano indicativa-
mente l’84% di tutti i ricoverati in questo manicomio appunto interprovincia-
le. Sia fra i reggiani sia fra i modenesi ci fu una predominanza degli uomini
rispetto alle donne. Anche in questo caso, c’è una sostanziale corrispondenza
con i dati riferiti alla storia complessiva del manicomio: «Costante è stata fra
gli entrati la prevalenza dei maschi sulle femmine. Lo scarto più elevato (+
26%) si è verificato nel 1831, mentre il più basso (+ 2%) nel 1971. L’unico caso
di prevalenza delle donne sugli uomini (+ 2%) avvenne nel 1871»558.
Venendo poi alla provenienza più specifica dei modenesi, sappiamo che
abitavano nella Bassa 1.248 persone (di cui 625 uomini e 623 donne), quindi il
Lama Mocogno, Maranello, Montecreto, Montefiorino, Montese, Palagano, Pavullo nel Frigna-
no, Pievepelago, Polinago, Riolunato, Sassuolo, Serramazzoni, Sestola, Vignola, Zocca.
Cfr. M. Baraldi, Statistica dal 1821 al 1974: movimento dei ricoverati e delle degenze negli Istituti
557
Ospedalieri Neuropsichiatrici del “San Lazzaro” di Reggio Emilia, Reggio Emilia, Age, 1975.
558
Ivi, p. 221.
256
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
44,07% del totale. A provenire dalla zona individuata come via Emilia erano
979 persone (il 34,57% dei modenesi), di cui 488 uomini e 491 donne. Molto
inferiori i numeri che si riferiscono alla zona collinare e montana: 605 usciti
(il 21,36% di tutti i modenesi), di cui 354 uomini e 251 donne. Emerge ancora
una forte somiglianza con la provincia di Reggio: 1.264 persone (707 uomini
e 507 donne) provenienti dalla zona della città, pari al 36,63%; 1.406 persone
(712 uomini e 694 donne) della Bassa, pari al 40,74% dei reggiani; ed infine,
781 persone (di cui 417 uomini e 364 donne) dalla montagna, pari al 22,63%.
Passando alla statistica sulle diverse diagnosi, possiamo dire che a domi-
nare sono le diverse forme di psicosi maniaco-depressiva (lipemania, frenosi,
esaltamento, eccitamento): furono 994 le diagnosi, di cui 466 uomini e 528 don-
ne, pari al 35,1% di tutti i modenesi ricoverati fra il 1880 e il 1900. Troviamo
poi nell’ordine: la pellagra (frenosi pellagrosa, lipemania pellagrosa, mania
pellagrosa, psicosi pellagrosa, demenza pellagrosa, etc.), per 595 persone (di
cui 269 uomini e 326 donne), pari al 21% di tutte le diagnosi; e le psicosi deli-
ranti (mania, pazzia, delirio), con 486 diagnosi (227 per uomini e 259 donne),
pari al 17,16%. Abbiamo di seguito le diagnosi di schizofrenia (come demen-
za di volta in volta primitiva, consecutiva, paralitica, epilettica, agitata, acuta,
cronica, progressiva, etc.), che venne attribuita a 261 persone (di cui 176 uo-
mini e 85 donne), pari al 9,22% del totale; le oligofrenie (imbecillità, stupidità
cronica, idiotismo, cretinismo), con 136 diagnosi (74 uomini e 62 donne) pari
al 4,8%; l’alcoolismo (cronico o recidivo) con 131 diagnosi (di cui 122 uomini e
9 donne), pari al 4,63%; e le diagnosi di epilessia, con 78 persone (54 uomini e
24 donne), pari al 2,75% di tutti i modenesi. Ancora meno frequenti sono la de-
menza senile, con 115 persone coinvolte (52 uomini e 63 donne), pari al 4,06%,
e le psicosi da sifilide cerebrale, con 46 diagnosi (37 uomini e 9 donne), pari
all’1,62%. L’alcoolismo venne diagnosticato agli uomini 13 volte più che alle
donne. Una sproporzione meno marcata, ma pure ben riconoscibile, riguarda
la psicosi da sifilide cerebrale: anche in questo caso, furono molto più gli uo-
mini che le donne a presentarne i sintomi (quattro volte di più).
Ma fra le malattie sociali, che potevano condurre al ricovero in manico-
mio, come appunto alcoolismo e lue, la più grave era senza dubbio la pella-
gra. Il cosiddetto “mal della rosa”, soprattutto a partire dalla metà degli anni
Settanta dell’Ottocento, rappresentò la causa principale del forte aumento di
ammissioni nel San Lazzaro559. La pellagra era l’esito più evidente delle terri-
559
«La popolazione delle campagne delle Province di Reggio e di Modena versava in gravis-
sime condizioni di miseria e si alimentava scarsamente con cibi a base di farina di granoturco
che per di più era guasta. I ricoverati pellagrosi furono numerosi, un centinaio nel solo 1874;
la mortalità fu assai elevata. Nelle campagne la popolazione era in continuo aumento mentre
257
Francesco Paolella
258
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
259
Francesco Paolella
260
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
nel 1° trimestre 1880; 9 entrati nel 2° trimestre 1880; 7 entrati nel 3° trimestre 1880.
567
Per lo stesso periodo risultano 2.580 reggiani usciti dal San Lazzaro (1.388 uomini e 1.192
donne). Dalla zona della via Emilia provenivano 895 persone (di cui 478 uomini e 417 donne),
pari al 34,69% di tutti i reggiani; dalla Bassa 919 persone (di cui 495 uomini e 424 donne), pari al
35,62%; dalla zona collinare e montana, infine, venivano 766 persone (415 uomini e 351 donne),
pari al 29,69%.
261
Francesco Paolella
complesso, la pellagra incide per uno 0,37%). Ci furono anche due donne in
osservazione per perizia psichiatrica. Da notare, oltre all’importante aumen-
to fra le psicosi da alcoolismo, il loro carattere ancora prettamente maschile
(dieci volte più frequenti fra gli uomini).
Furono dunque 109 i soldati modenesi della prima guerra mondiale ri-
coverati al San Lazzaro, mentre dalla provincia di Reggio furono quasi il
doppio, 201568. Ai militari modenesi riconosciuti dai medici del San Lazzaro
come malati di mente (a causa o meno della guerra), furono diagnosticate
soprattutto psicosi maniaco-depressive (in 58 casi), schizofrenia (in 20 casi)
e psicosi deliranti (in 11 casi); 9 militari furono ricoverati per alcoolismo, 4
per psicosi da sifilide e 3 per stato confusionale acuto, uno solo per epilessia,
mentre 3 militari vennero ammessi in osservazione per perizia. Risultati si-
mili si hanno per i militari reggiani.
Sulla storia del San Lazzaro durante gli anni del regime fascista è stata
pubblicata vent’anni fa una ricerca, corredata da un’ampia indagine statisti-
ca sulla popolazione del manicomio in quel periodo569. Vi sono analizzate le
cartelle cliniche di tutti gli usciti in 6 anni campione (1925, 1930, 1935, 1940,
1944, 1945), per un totale di 2.868 cartelle. Anche in questo caso l’attenzione
si è concentrata in primo luogo e ovviamente sulle diverse tipologie diagno-
stiche570, ma lo studio è stato ampliato ad alcuni aspetti anagrafici e clinici
fondamentali, presenti nelle cartelle cliniche: l’età, lo stato civile, la profes-
sione, la durata del ricovero, l’esito, nonché la provenienza. Sulla presenza
dei modenesi, possiamo leggere: «Nato per decreto di Francesco IV d’Este,
il San Lazzaro conserva anche dopo la fine del ducato il carattere di Mani-
568
Si è calcolato che i militari della Grande guerra ricoverati in San Lazzaro furono 5.704. La
guerra provocò una fortissima crescita delle ammissioni (del 60% circa) e delle dimissioni (del
55% circa) rispetto al periodo pre-bellico. Nel 1919 si ebbero invece più dimissioni che am-
missioni e dall’anno successivo il movimento dei malati ritornò più o meno ai livelli di prima
della guerra. Da sottolineare anche che «durante il periodo bellico il numero dei ricoverati non
militari era considerevolmente diminuito, causa anche al fatto che gran parte della popolazione
maschile delle Province di Reggio Emilia e di Modena si trovava sotto le armi» (M. Baraldi,
Statistica dal 1821 al 1974. Movimento dei ricoverati e delle degenze negli Istituti Ospedalieri Neu-
ropsichiatrici “San Lazzaro” di Reggio Emilia dal 1821 al 1974, Reggio Emilia, Age, 1975, p. 184).
Oggi nell’Archivio clinico del Centro di documentazione sono state raccolte più di 4.500 cartelle
cliniche di militari.
569
Cfr. V. Pezzi, Il San Lazzaro negli anni del regime (1920-1945) in “Contributi”, 1986, X, n. 19-20,
pp. 385-596.
570
Sono state adoperate queste tipologie diagnostiche, accogliendo la classificazione delle malat-
tie mentali comunemente accolte nei manuali di psichiatria in uso in Italia negli anni del regime:
isteria e nevrastenia, psicosi maniaco-depressiva, demenza precoce, paranoia, psicosi tossiche
(alcoolismo), idiozia e cretinismo, imbecillità e debolezza morale, psicodegenerazione, deliri in-
fettivi e da esaurimento, epilessia, psicosi involutive, paralisi progressiva, encefalopatie.
262
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
571
Ivi, pp. 540-541.
572
Per un’indagine statistica sui ricoveri per alcoolismo al San Lazzaro, ma solo fra il 1928 e il
1957, cfr. P. Benassi, Rilievi clinico-statistici sugli alcoolisti ricoverati nell’Ospedale Neuropsichiatrico
“S. Lazzaro” di Reggio E. nell’ultimo trentennio in “Rivista Sperimentale di Freniatria”, 196, II,
giugno, pp. 431-442.
263
Francesco Paolella
Appendice documentaria
Anamnesi
M. Benedetto, di Cortile (Carpi), giornaliere, di anni 57, è coniugato ed ha
8 figli tutti sani. Sul suo conto possediamo ben poche notizie anamnestiche.
Pare che vari anni fa egli godesse di discrete condizioni finanziarie e che più
tardi, in seguito a disgrazie sofferte, sia caduto in miseria. Cibasi di pane e
polenta, piuttosto scarsamente. Ignorasi di quanto tempo precedente siano
insorti i primi sintomi di disturbo mentale. Essi insorsero a grado a grado
con cambiamenti nelle idee e nelle consuetudini dell’ammalato.
Stando un figlio da qualche tempo in America, trovandosi privo di noti-
zie di lui, cominciò a dire che certo doveva essere morto e ad angustiarsi. Più
tardi prese a manifestare l’idea di esser stregato, esprimendo i propositi di
farla finita colla vita affogandosi. Un fratello dell’ammalato morì annegato
(suicidio?). E’ stato accolto oggi 18 settembre 1889.
264
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
Diagnosi
Della forma morbosa Frenosi pellagrosa
Delle condizioni causali Cattiva alimentazione
Prognosi riservata
Decorso
È sempre rimasto confuso, torpido, indeciso. Qualche periodo di vera
malinconia, però senza idee deliranti. In uno di questi periodi si fece così
cupo, che fu trasferito [dalla sezione] Agricola, ove era stato mandato, [alla
sezione] Esquirol. È però rimasto sempre tranquillissimo. In compenso, si
è avuto un progressivo indebolimento mentale e, con questo, un peggiora-
mento fisico. Il quale, verso la fine di maggio, si è accelerato per sopravvenu-
to catarro intestinale, ribelle a ogni mezzo di cura. L’infermo si è così ridotto
allo stremo delle forze ed è venuto meno il 31 luglio 1890, con fenomeni di
insufficienza cardiaca (esame cardiaco).
Diari clinici
19 settembre 1889
È un uomo pallido, ed alquanto denutrito. Ha la fisionomia grandemente
confusa. Se non è interrogato non parla. Rivolgendogli invece la parola,
se ne ottiene qualche risposta, ma assai imperfetta, pronunziata a voce
bassa, con favella nettamente inceppata, balbuziente. Apparisce evidente
uno stato di torpore mentale, non accompagnato ad alcuna speciale con-
265
Francesco Paolella
266
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
12 ottobre 1889
Ha una fisionomia alquanto cascante, inespressiva. Il suo sguardo è me-
sto, incerto e i suoi movimenti volontari sono in genere molto pigri e tar-
di. Non ha mai nulla da chiedere. Risponde alle domande alquanto sten-
tatamente. Nella sua mente domina uno stato di profonda apatia. Mangia
però bene. Dorme tranquillamente. Fisicamente è sempre un po’ debole.
20 ottobre 1889
Ha un atteggiamento marcatamente timido, in qualche momento depres-
so. E, in questi ultimi periodi, singhiozza, dice che non uscirà più di qua
perché egli si sente la mente debole e non si ricorda più bene delle cose.
Sta quasi sempre a sedere e si cura poco di ciò che fanno i suoi compagni.
Lamentasi di stitichezza. Mangia bene.
3 novembre 1889
È sempre quieto, torpido nel contegno, a volte però facile a commuoversi
e a farsi un po’ piangente, qualora lo si interroghi. Non chiede mai di
andarsene. Desidera invece qualche modificazione nel suo vitto e un po’
di tabacco da fumare. Fisicamente è sempre un po’ scaduto e la sua anda-
tura mostrarsi alquanto malsicura.
9 novembre 1889
Mostrasi tuttora nelle solite condizioni di calma. Torpore mentale. Accu-
sa un po’ di stipsi.
12 novembre 1889
Nessun cambiamento.
19 novembre 1889
È un po’ tardo di mente ma quietissimo, senza nessun accenno o stato
d’animo melanconico. Aiuta volentieri nei servizi interni della Sezione.
Accenna anche a migliorare lo stato fisico.
5 dicembre 1889
Prosegue nelle già notate condizioni. È pieno di buona volontà per lavo-
rare, ma le sue forze non gli permettono che leggere fatiche. Mentalmente
è tranquillo e discretamente ordinato.
15 dicembre 1889
Persistono sempre le solite condizioni di tranquillità mentale, non di-
sgiunte da una leggera apatia. Fisicamente è un po’ debole.
23 gennaio 1890
Solite condizioni. Passa questa sera alla Sezione Esquirol.
267
Francesco Paolella
Anamnesi
Francesco R., di Finale nella provincia di Modena, è celibe e conta 50
anni di età. S’ignora del tutto se gravitino a suo carico precedenti ereditari.
Egli era d’indole buona, d’intelligenza normale, analfabeta. Il suo mestiere
era quello del facchino. Di corpo robusto, valido; non ha mai sofferto la più
piccola malattia, né mai prima d’ora ha dato segni di alienazione menta-
le. Abitava una casa igienica e si alimentava bene e largamente, ma abusa-
va in modo eminente degli alcoolici. Quando aveva denaro, lo consumava
all’osteria, bevendo in un giorno da 6 o 7 litri di vino e cominciando la gior-
nata bevendo ogni mattina numerosi bicchierini d’acquavite. Nel gennaio
dell’‘85, una volta, trasportando delle balle di canessa [?], incespicò e cadde
a terra riportando una grave contusione alla spalla destra. In seguito a que-
sto fatto, dovette stare inoperoso per 2 mesi. Guarito, ritornò al mestiere.
Alquanti giorni dopo incominciò a dire che nel portare pesi avvertiva alla
spalla già stata malata una speciale sensazione nervosa, che dal dorso gli
montava alla testa. In breve, egli venne nell’idea che i nervi gli si fossero al-
lungati e spostati. Dormiva e mangiava poco. Un giorno, mentre ingoiava un
po’ di minestra, cacciò rauche grida di: «Muoio! Muoio!» Accorso il medico,
nulla trovò di allarmante e neppure di anormale nello stato di salute del R., il
quale interrogato in proposito rispondeva che i nervi spostandosi l’avevano
quasi affogato. Del resto era tranquillo e regolare: però ogni giorno si recava
a casa del medico, lamentandosi delle bizzarrie dei suoi nervi. Perdurando
egli sempre nella sua idea, fu accolto nell’Ospedale del paese e sottoposto
alla cura del bromuro di potassio ed ai comuni calmanti. Quivi si mantenne
sempre buono e quieto, lamentandosi tuttavia di continuo dei suoi nervi
fuori di posto. Dopo un mese di dimora nello Stabilimento, un giorno (4
giorni prima del suo ingresso nel Manicomio) riuscì a fuggire e, brandito un
coltello, andò in traccia di un suo compagno di mestiere e precisamente di
268
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
quello che lo aveva caricato della balla di canessa [?], portando la quale era
caduto. Fu preso e ricondotto a casa. Quivi diede in ismania, gli venne per
calmarlo somministrato del cloralio idrato. Nella notte dormì, la giornata
appresso si mostrava piuttosto tranquillo, ma era confuso e incoerente, in-
tanto andava dicendo che la carne, i nervi, le ossa gli cadevano di dosso in
brani e in pezzi. Il mattino del giorno prima di venir condotto al manicomio,
uscì repentinamente di casa e si buttò nel fiume, il quale avendo pochissima
acqua permise un facile salvataggio.
Il R. è entrato oggi 20 agosto 1885.
Diagnosi
Della forma morbosa Alcoolismo (Delirio sistematizzato allucinatorio di
persecuzione)
Delle condizioni causali Abuso di vino e liquori
Prognosi riservata
269
Francesco Paolella
Diari clinici
21 agosto 1885
Vedi esame obbiettivo.
22 agosto 1885
Nella notte non ha dormito per niente, non ostante il cloralio. Stamattina
dice di sentirsi poco bene, perché i suoi nervi lo tormentano. Mentre gli
si parla, incomincia a tremare, quindi solleva in alto la spalla destra e la
mantiene fissa in questa posizione con rigidezza: «Ecco, i nervi che mi
tirano. Adesso vanno nella testa!» E comincia con violenza a fare oscillare
intorno all’asse verticale il capo celermente, sbuffando. Intanto il tremore
s’aumenta anche nelle braccia e il malato a gambe unite fa intorno dei
piccoli salti. Dopo cinque minuti, a mano a mano essendosi nel frattempo
venuto calmando, ha ripigliato la sua attitudine apatica e sonnolenta. Le
pupille sono asimmetriche, essendo più dilatata la destra. Le mani sono
fredde e bluastre.
L’appetito è discreto. Viene sottoposto alla cura dell’oppio, insieme ad
una dose di vino generoso da diminuirsi gradatamente.
23 agosto 1885
Si lamenta di non aver dormito per nulla durante la notte. Col solito tono
indifferente, ripete dei disturbi che gli arrecano i suoi nervi. Al di fuori di
questa interpretazione erronea delle proprie sensazioni, non rivela nul-
la d’anomalo nella sua intelligenza, eccetto che un profondo torpore. Di
tanto in tanto si manifesta il tremore intenso alle braccia e il girar rapido
della testa intorno all’asse verticale. Il malato però dice che è specialmen-
te di notte che i nervi lo tormentano.
La favella è sempre imbrogliata, quantunque le sillabe vengono tutte pro-
nunciate. Vi è asimmetria pupillare. La lingua è tremula. Vi è il tremore
alle mani. Il malato accusa dolor di capo, poi soggiunge: «Ho la testa
confusa e pesante un quintale».
A momenti prova contrazioni dolorose, specialmente al braccio destro,
che egli spiega come uno strappamento di nervi. Viene notato che l’ele-
vazione del braccio destro non può effettuarsi, forse in seguito alla pre-
gressa contusione (vedi anamnesi).
24 agosto 1885
Durante il giorno il malato sta in disparte dagli altri, muto e intontito.
Per lo più si trova in piedi col capo un po’ flesso, le mani in saccoccia
come se avesse freddo. In letto sta tutto ravvolto, spesso col capo sotto le
coperte. Accusa sempre i soliti disturbi. Oggi però viene trovato un po’
più sveglio di mente. Interrogato se ha dormito nella notte, dice che non
270
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
gli è riuscito perché i nervi gli si raggomitolavano pel capo. Il malato, es-
sendogli chiesto se ricorda quando è entrato e di quello che gli è successo
all’Ospedale di Finale, risponde nel solito modo spiccio e col tono della
massima indifferenza: «No, perché non ho più memoria».
25 agosto 1885
Nella notte ha dormito un poco, dietro una dose di cloralio. Stamane gli
viene somministrato un purgante, non essendo ancora andato del corpo.
Il malato dice di essere sempre molto confuso. La testa è pesante. Il lin-
guaggio ora è più spedito. L’appetito discreto.
27 agosto 1885
È sempre apatico, inerte, sonnolento. Sta allo scarto degli altri. Quando
gli si va presso, guarda in viso stupito, senza dir nulla, risponde lenta-
mente alle domande, però in genere abbastanza regolarmente.
Nella notte dorme pochissimo.
29 agosto 1885
Ripetuto l’esame obbiettivo, si nota: il malato parla ora in modo molto
più spedito che all’epoca del primo esame, quantunque la pronuncia sia
sempre un po’ imbrogliata. L’intelligenza è meno torpida, la memoria più
lucida e sicura, l’attenzione più pronta. Persiste sempre l’insonnia. Il ma-
lato rivela ancora la sua idea delirante dei nervi fuori di posto, ora però
trova in quest’interpretazione la ragione di darsi poco pensiero di quello
che gli succede. Interrogato sopra il suo tremore, sul suo male di capo,
ecc., risponde: «Eh, niente! Sono i nervi!». La sensibilità è sempre ottusa e
specie a destra. Le pupille sono asimmetriche: la destra è più ampia. Vi è
leggero tremore delle mani. Le estremità sono fredde e cianotiche.
Il malato passa oggi al Casino Esquirol.
17 settembre 1885
Esame obbiettivo.
Il malato tranquillo, la mente pronta, ancora un lieve grado di torpore
e di confusione, ma non si notano idee deliranti. Risponde con discreta
prontezza alle domande che gli vengono rivolte e rende conto, abbastan-
za bene, dei disturbi che prova. Il malato attribuisce i suoi disturbi a spo-
stamento di nervi, avvenuto in seguito a forte contusione riportata nella
spalla destra, per cui il malato ripete spesso: «Eh, se non fossero loro, quei
birboni... Eh, quei maledetti, come mi tormentano», volendo sempre allu-
dere ai suoi nervi, che secondo lui si ritorcerebbero e si piegherebbero da
ogni parte, dando luogo a tutti quei movimenti strani ed irresistibili.
I fenomeni fisici che si osservano sono i seguenti: spasmi tonico cloni-
ci all’orbicolare delle palpebre e delle labbra, gli altri muscoli facciali
271
Francesco Paolella
272
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
273
Francesco Paolella
7 gennaio 1890
Dopo che fu, come si è detto al diario precedente, trasportato al Pinel,
dopo pochi giorni, sembrando in realtà più calmo e sereno, fu sciolto e
messo a diretta sorveglianza degli infermieri. Per qualche giorno, e cioè
fino circa ai primi di questo mese, fu abbastanza ordinato nel modo di
parlare e di contenersi, e anche abbastanza disinvolto. Dai primi di que-
sto mese ricadde, però, nella solita malinconia, che in breve si cambiò in
uno stato di penoso concentramento. La sera del giorno sei non ha voluto
quasi toccar cibo. Aveva lo sguardo sinistro, era cupo in volto, non ri-
spondeva alle domande.
Il medico di Sezione, temendo per esperienza un nuovo tentativo, dette
ordine che l’infermo fosse, per la notte, fissato.
Ma come gli infermieri si provarono ad eseguire l’ordine ricevuto, egli
parve sulle prime non opporre resistenza. In brevi, però, cangiato avviso,
s’impuntò a resistere, poi si ribellò e fu necessario far uso della forza.
Nella colluttazione che avvenne, fierissima per parte sua, egli e i tre in-
fermieri che volevano frenarlo, caddero in fascio a terra, tra il pavimento
e un pancone di legno. Nella caduta o nella colluttazione, il R., come si
riscontrò alla visita successiva, ha riportato frattura di una delle ultime
costole destre; sembra, senza probabili complicazioni.
Il giorno dopo l’infermo era leggermente eccitato, e tale pure mostrasi
oggi. Ha il volto acceso, gli occhi iniettati. Parla del resto con ordine, ma
ha lasciato credere intravvedere che non crede di far cosa cattiva se pensa
a disporre come gli pare della propria vita.
Ieri sera e questa mattina ha rifiutato di mangiare.
5 febbraio 1890
Interrogatorio dei giudici.
12 febbraio 1890
Ieri si mostrò di nuovo alquanto pensieroso. Chiesto ieri sera del perché,
rispose che forse ne avrebbe parlato domani.
Questa mattina, infatti, ecco quello che ha raccontato, cominciando col
dichiarare che non poteva spiegarsi liberamente perché la stanza è piena
di gente.
Questa gente sono migliaia e migliaia. Egli ne sente chiarissime le voci,
che scendono dal soffitto, come se venissero dal cielo, dal quale forse
vengono in realtà. Sono voci quasi esclusivamente di uomini. Questi sono
spiriti in parte, ma, senza dubbio, in maggioranza, sono potentati e re,
taluno dei quali morto, talaltro vivente ancora. Fra essi ha riconosciuto
senza dubbio la regina d’Ungheria e la regina d’America.
274
I MODENESI RICOVERATI NELL’ISTITUTO PSICHIATRICO SAN LAZZARO
275
Francesco Paolella
276
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
I MODENESI NELL’OSPEDALE
RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895.
ESODO E CONTROESODO
Premessa
573
S. Vincenzi-M.P. Barbieri, La Pia casa di ricovero. Dalla fondazione all’Unità d’Italia e Gli sviluppi
del Ricovero di Mendicità dal 1860 al 1904.
277
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
Le origini
La Pia casa di ricovero venne aperta a San Giovanni in Persiceto il 12 ot-
tobre 1830 in seguito alla ordinanza di Legazione n. 13041 risalente all’anno
precedente. Sorse nei locali dell’ex-convento delle monache di San Michele
diventato poi ospedale nel 1886. Era uno dei due ricoveri forensi; l’altro ave-
va sede a Budrio. Vennero istituiti nella provincia di Bologna sulla base di
una suddivisione territoriale in settori denominati raggi, che ne definivano
l’ambito di competenza. La capienza venne fissata in 150 posti, riservati sia a
malati già ricoverati presso gli ospedali bolognesi sia a pazienti provenienti
dai Comuni compresi nel raggio di Persiceto in «stato di assoluta miserabi-
lità, mancanti di parenti a soccorrerli ed impotenti a guadagnarsi il vitto sia
per età sia per avanzata malattia». I requisiti per l’ammissione erano: lo stato
di miserabilità attestato dal parroco e lo stato di malattia attestato dal me-
dico. Non erano ammessi maniaci in grado di attentare alla propria e altrui
sicurezza, bambini lattanti e di età inferiore a cinque anni. Le modalità di ac-
cesso, fatta eccezione per il trasferimento da altri stabilimenti, ricalcavano le
procedure adottate per i ricoveri presso gli ospedali bolognesi: presentazione
di una lettera di richiesta indirizzata al priore comunale accompagnata dal
certificato medico e dall’attestazione, rilasciata dal parroco, che certificava lo
stato di miserabilità. La Pia casa di ricovero possedeva quindi la duplice con-
notazione di essere preposta alla cura di malati cronici e all’assistenza dei
miserabili non necessariamente colpiti da malattia. Gli amministratori della
Pia casa di ricovero si insediarono il 30 settembre 1830; fra di essi venivano
scelti i membri che ogni quattro mesi formavano la “Sezione Amministrati-
va pro tempore”. Secondo le indicazioni contenute nell’ordinanza di Lega-
zione, alla scadenza di ogni quadrimestre si procedeva tramite votazione al
rimpiazzo dei membri, con l’avvertenza però di mantenerne in carica alme-
no due, perché potessero opportunamente istruire in un’ottica di continuità
i neo insediati sulle attività precedentemente svolte dall’amministrazione.
Agli amministratori veniva affidata anche l’incombenza di effettuare un tur-
no di sorveglianza diretta nel ricovero per due giorni al mese, affiancati da
dieci donne del paese destinate al controllo nel reparto femminile574.
574
Un documento del 23 novembre 1839 - in Archivio SS. Salvatore, Atti Amministrativi, 1830
e 1847 – definiva l’incarico: «vegliare sopra la moralità delle donne e fanciulle, ammonire dove
non fossero docili ed obbedienti o trascurassero di esercitarsi nei lavori dei quali fossero capaci,
intendere sopra i lavori e dirigerle quando ne abbisognino, consolare con pietose esortazioni
quelle che per avvertenza avessero qualche malcontento, vegliare sopra le fanciulle inspirando
nell’animo loro sentimenti di morale servile educazione, informarsi dalla Maestra e Guardiana
intorno al portamento delle medesime, e quando si verifichi qualche mancanza potrà castigar-
le, ordinando qualche penitenza o privazione d’alcuna parte di cibo, ed in caso di ostinazione
278
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
prefiggere il termine che devonsi custodire in una camera di disciplina, scoprendo nelle donne
e nelle fanciulle qualche grave mancanza, avrà la bontà di darne (comunicazione) all’Ammini-
strazione, la quale adotterà quelle misure di rigore, che troverà all’uopo convenienti, porterà
le di lei osservazioni su la polizia personale delle ricoverate, ed ordinare quelle amende che
troverà convenienti, ascolterà le doglianze o l’esposizione di quei bisogni che potessero aver
le ricoverate, avendo quindi compiacenza di giustificarne i titoli all’Amministrazione per gli
opportuni provvedimenti».
575
Avviso di concorso del 14 marzo 1837 per un posto di medico chirurgo, in Archivio SS. Salva-
tore, Personale Cessato Servizio dalla lettera G alla lettera R, categoria I, classifica 9, anni 1830-1899.
279
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
poteva essere revocato. Il medico invece era considerato dipendente del Rico-
vero col vincolo però di chiedere annualmente, tramite specifica domanda,
la conferma da parte dell’amministrazione. Il compito del medico era quello
di «prestare l’opera sua a tutti indistintamente li ricoverati, siano nelle infer-
merie, siano nelle sale dei sani» effettuando due visite giornaliere. Al punto 6
del capitolato del 1833 si imponeva espresso divieto di «fare esperimento con
nuovi medicinali il di cui lodevole effetto sia tutt’ora dubbio». Al guardiano
erano assegnate le più diverse mansioni dal facchinaggio, alla spesa quoti-
diana, alla preparazione dei cibi in assenza del cuoco, ma anche mansioni di
responsabilità come seguire il medico nelle visite quotidiane, registrare i me-
dicinali ordinati e vigilare sulla corretta somministrazione degli stessi da par-
te degli infermieri. I guardiani erano anche tenuti a preparare «nel proprio
focolare que Decotti, Empiastri o fomenti che la buona economia suggerisce di
fare in casa per uso delle Infermerie» e ad accompagnare i ricoverati sia nelle
passeggiate settimanali, il martedì e il giovedì, sia alle funzioni religiose. Tra
le mansioni del guardiano vi era quella di trasmettere dettagliati rapporti
all’amministrazione in caso di inadempienza o violazione dei regolamenti
da parte dei ricoverati. I guardiani alloggiavano all’interno del Ricovero e
gli veniva richiesto di «praticare una visita almeno nella mezzanotte in ogni
rispettiva sala e nelle infermerie anche più spesso quando vi siano ammalati
gravi». Come per il medico, anche l’impiego di guardiano doveva essere an-
nualmente riconfermato su presentazione di apposita richiesta.
1860 59 80 139
1861 66 86 152
1862 68 71 139
1863 78 65 143
1864 87 69 156
1865 92 65 157
1866 71 58 129
1867 80 56 136
1868 75 65 140
1869 75 64 139
Fonte: Archivio SS. Salvatore, Atti amministrativi, 1870 (Statistica degli in-
dividui ricoverati giornalmente nella Casa di Ricovero)
280
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
281
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
282
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
577
Verbale della Congregazione di carità, 2 settembre 1895.
578
Verbale della Congregazione di carità, 25 ottobre 1895.
283
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
284
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
1908 25 12 37
1909 22 11 33
1910 19 10 29
1911 35 22 57
1912 39 34 73
1913 31 31 62
1914 35 33 68
1915 49 35 75
1916 42 41 83
1917 36 34 70
1918 29 32 61
1919 5 11 16
1920 5 12 17
1921 6 10 16
1922 4 10 14
1923 4 10 14
1924 4 9 13
1925 5 9 14
1926 5 9 14
1927 15 15 30
1928 34 2 36
582
Documento a firma del dottor Ungarelli dal titolo Cenni monografici sull’Ospedale Ricovero.
285
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
1929 33 19 52
1930 31 15 46
1931 37 14 51
1932 33 14 47
1933 30 14 44
1934 25 14 39
1935 23 14 37
1936 21 14 35
1937 19 15 34
1938 42 30 72
1939 35 27 62
1940 29 23 52
1941 23 25 48
1942 33 22 55
1943 27 18 45
1944 16 12 28
1945 46 44 90
1946 69 62 131
1947 56 47 103
1948 62 48 110
1949 61 43 104
1950 66 51 117
1951 67 51 118
1952 87 66 153
1953 88 65 153
1954 90 74 164
1955 78 82 160
1956 84 85 169
1957 77 67 144
1958 41 50 91
1959 31 39 70
286
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
Il controesodo
287
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
TOT. FUORI
REGIONE 39 25 8 23 37 12 2 31 39 41 34 17 10 4 7
288
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
289
Gabriella Boilini-Giorgio Gosetti
Il reinserimento
290
I MODENESI NELL’OSPEDALE RICOVERO DI SAN GIOVANNI IN PERSICETO DAL 1895
584
Nel 2008 la ricerca condotta in provincia di Modena ha permesso di individuare 18 ex-rico-
verati reinseriti, quattro dei quali sono stati video intervistati. Il risultato del lavoro consiste in
un dvd proiettato in occasione del convegno tenutosi a Modena il 16 dicembre 2008 celebrativo
dei trent’anni della legge 180. Oltre al dvd, altro materiale filmato, costituito da interviste ad
operatori ed amministratori protagonisti della fase del reinserimento, è depositato presso l’Isti-
tuzione Minguzzi di Bologna.
291
INDICE DEI NOMI DI PERSONA
293
BENATI R., 133
BERCHERIE P., 229n
BERGSON H., 26
BERTANI A., 34
BERTANI M., 231n
BERTOLANI A., 232
BERTOLANI DEL RIO M., 245 e n
BIAGI L., 218
BIANCHI B., 133n, 134 e n
BIANCHI L., 16, 19-20, 33n, 43-44, 62, 68 e n, 69, 125
BIANCHINI M.L., 23
BIEHL J., 234 e n
BIFFI, 244
BIFFI S., 15
BIGIARELLI Q., 64n
BONACOSSA G.S., 104 e n
BONFIGLIO F., 52, 53n, 66 e n, 71 e n
BONFIGLIOLI L., 48n
BONGIORNO V., 40n, 116n
BONI E., 114
BORELLI A., 130
BORGARELLO G., 51n, 53n
BORTOLAMASI, 114
BORTOLOTTI, 199-200, 203, 206
BOSCHI G., 16n, 22n
BRACCI M., 82n
BRAMBILLA S., 45n
BRAVO A., 50n
BRENTANO F., 27
BRETON A., 243
BRUGIA R., 124
BRUNERI M., 65
BUCCOLA G., 222
BUCKNILL, 60
BURGENER P., 231n
CABRAS P.L., 97n, 98n
CAGOSSI M., 97n
CALDERONI M., 24 e n
CALLONI M., 40n
CALORI CENSIS L., 114n
CAMPANINI E., 97n
CAMPOLI G., 40n
294
CAMPOLIETI N.M., 22n
CAMPONOVO E., 53n
CANELLA G., 65
CANELLA M., 46n
CANOSA R., 40n, 144n, 161n, 226n
CARAVAGGI L., 259n
CARDONA F., 110
CASATI, 135
CASOLI V., 133
CASSATA F., 41n, 44 e n, 45n, 68n, 71n, 134n, 138n
CASSINELLI B., 26n, 37 e n, 38 e n, 39n
CASTEL R., 224n
CAZZAMALLI F., 42 e n
CERAVOLO M., 72
CERFBEER A.E, 99, 103
CERLETTI U., 27, 47, 51, 66, 72
CESARI G., 131
CHARCOT, 250
CHECCHIA N., 31n
CHELI E., 115n, 116n
CHIARUGI V., 37, 47, 57, 102 e n
CHITI S., 98n
CIONINI A., 133
CIPOLLI C., 116n
COCCHI, 208
COGNETTI 22
COLLI A., 162n
COLUCCI S., 78n
COMTE A., 23
CONOLLY J., 60 e n, 74, 213
CONSIGLIO P., 20 e n, 23 e n, 50n
CORBAZ A., 243
CORBELLINI G., 161n, 177n
CORBERI G., 28n, 38n, 39 e n, 65, 66n
CORRADINI M., 131
COSMACINI G., 40n
COTTI M., 110n, 126n, 226n
CROCE B., 16
CURTI, 244
D’ALFONSO N.R., 30 e n
D’ORMEA A., 82
DALL’ACQUA M., 97n
295
DAQUIN, 213, 216
DARWIN C., 20, 23, 36
DE BERNARDI A., 38n, 118n, 125, 129n, 258n
DE CARO D., 51n, 52
DE GIOVANNI A., 26
DE LUCIA G., 40n
DE PERI F., 57n, 59 e n, 75, 76n, 109n, 118n, 129
DE SANCTIS S., 21, 36n, 37, 44n, 222
DE SARLO F., 27 e n, 222
DE ZAN M., 40n
DEL BOCA A., 194n
DEL GRECO F., 20, 25, 26 e n, 40n
DELAY, 233
DELLA PERUTA F., 40n, 57n, 59n, 60n, 76n, 109n, 258n
DENIKER, 233
DERRIDA J., 251 e n
DESMAISONS DUPALLANS J.G., 97, 98 e n, 99n, 102n, 103n, 104n, 105
DI DIODORO D., 12n
DI PIETRO P., 107n, 108n
DI TULLIO B., 39
DISARÒ R., 87n
DONAGGIO A., 45, 70, 116, 132-133, 222
DONATI A., 74
DONEGANI G., 51n
DÖRNER K., 228n
DUBUFFET J., 243
DUPRÉ, 230
ENGSTROM E.J., 229n
ESQUIROL J.-É. D., 97 e n, 102, 213, 218, 224 e n, 239
FAILLA E., 74-75
FALRET J.P., 223n
FARI S., 162n
FEDELE F., 40n
FELSANI G., 48n
FERRARI FRATELLI, 138
FERRARI G.C., 17, 22n, 24, 27, 61 e n , 62, 63n, 65e n, 67n, 71, 120n, 222
FERRARI L., 133
FERRARI M., 258n
FERRARI R., 211n
FERRI E., 21, 29n
FERRI G., 131
FERRIO C., 42n
296
FERRO F.M., 97n, 121n, 125
FIAMBERTI A.M., 77n
FINZI R., 258n
FIORI G., 23
FIORINO V., 118n, 119n, 125, 126n
FORNI G., 284n
FORTIS A., 19
FOUCAULT M., 47n, 57, 224n, 246n, 247, 249, 251n
FRAGNITO O., 80, 81 e n
FRANCESCO III DÍESTE, 99n
FRANCESCO IV DÍESTE, 102n, 108-109, 216, 217n, 262
FRANCESCONI A., 87n
FRANCESCONI, 188-189
FRANK J., 97n
FRANZINELLI M., 37n, 40n
FREUD S., 31, 249
FRIGESSI D., 40n
FRUGGERI L., 211n
FUNAIOLI G., 22 e n, 23n, 38n, 80-81
FUSSEL P., 50n
GALLI DELLA LOGGIA E., 50n
GALLONI A., 102 e n, 103, 104, 216, 217 e n, 218, 238-239
GARDINI S., 124, 130
GARIN E., 19n
GASPARINI N., 46n, 48n
GEMELLI A., 18 e n, 23, 28 e n, 29 e n, 30 e n, 39, 46
GENERALI F., 131
GENTILE G., 16 e n
GEYMONAT L., 40n
GHELFI C., 87n
GHERARDI E., 255n
GIACANELLI F., 19n, 40n, 125, 277
GIACCHI F., 38n
GIANNINONI, 290
GIBELLI A., 12n, 43n, 51n, 133n, 134 e n
GINI C., 41
GIOLITTI G., 126, 226n
GIUNTINI A., 107n, 162n
GOLDSTEIN J., 224n
GOLGI C., 27
GORING C.B., 21
GORNI G., 110n, 120, 139
297
GOZZANO M., 66 e n, 72, 73n
GRAMSCI A., 21, 31
GRASSELLI V., 214 e n, 216n, 217n, 218n
GRIESINGER W., 59-60, 71, 222 e n, 228 e n
GUARNIERI P., 27n, 47n, 116n, 119n, 144n
GUICCIARDI G., 131, 133, 222, 231, 245, 258n
HAECKEL E., 36
HEALY D., 233n, 234
HECKER E., 222 e n
HEIDEGGER M., 248n, 249
HERDER J.G., 34
HINTERHUBER H., 50n
HOCHMANN J., 231n
HOOPER-GREENHILL E., 250n
HUSSERL E., 248 e n
JAY M., 249 e n
JERVIS G., 161n, 177 e n
JONES M., 54n, 235
JUNG C.G., 17 e n
KAAN, 230
KAHLBAUM K.L., 222 e n
KLEINMAN A., 234n
KOBLINSSKY M., 45n
KRAEPELIN E., 25, 28, 222, 223n, 228, 229 e n, 231
KRAFFT-EBING R., 222, 223n, 230
KRAMER P.D., 233n
LABITA V., 32n, 40n
LABORIT H., 233
LAJOLO L., 143n, 144n
LAKOFF A., 233n, 234n
LAMARCK J.P.B.A., 20
LANTÉRI-LAURA G., 224 e n
LATTES L., 26 e n, 38 e n, 39n
LE BON G., 34
LEGRAIN, 230
LEONE A.R., 29n
LEONI M., 72n
LEVI BIANCHINI M., 15, 27
LIÉGEOIS A., 231n
LIPPI D., 97n, 98n
LIVI C., 15, 78, 110 e n, 115-116, 218, 243, 252
LO RUSSO L., 205n, 211n
298
LOMBROSO C., 17 e n, 18 e n, 19-21, 23-24, 27, 29n, 30-32, 33 e n, 34, 35 e n, 36,
38, 39 e n, 40n, 258
LOMBROSO FERRERO G., 25 e n
LONNI A., 125
LORIA, 29n
LUGARO E., 23, 25n, 32 e n, 33 e n, 34, 35n, 36 e n, 37, 116, 131
LUZZI S., 73n
MAFFEO S., 40n
MAGISTRETTI P., 233n
MAGNAN V., 222 e n, 230, 231n
MAIN T., 54n
MAIOCCHI R., 40n
MANENTE S., 34n
MANGIAROTTI O., 22
MANGO, 208
MANGONI L., 40n
MANTEGAZZA P., 29n
MANTOVANI C., 68n, 71n
MANZONI B., 70n
MARAGLIANO D., 259 e n, 260
MARCHELLI D., 102n
MARCHETTI V., 231n
MARHABA S., 24n, 36n,
MARIE A., 243 e n
MARIOTTI L., 72-73, 182, 193
MARLETTA M., 72n
MARMIROLI, 90, 167 e n
MARTINELLI F., 118n
MARX K., 23
MARZI V., 205
MASELLA C., 211n
MATTINI M., 205n
MATTIOLI L., 52n
MAZZA A., 233
MAZZARELLO P., 18n
MEDEA E., 42
MEIGE, 230
MELLINA S., 66 e n
MEYNERT T., 228, 229n
MIGLIOLI M., 97n
MINGAZZINI G., 16
MINUZ F., 58n, 116n
299
MIRAGLIA B., 15
MODENA G., 27, 38n, 41 e n, 45, 63n, 65, 66n
MOLL, 230
MONDELLA F., 40n
MONELLI V., 133
MONELLI, 174
MORAGLIO M., 43 e n, 44n, 120, 126n, 127n, 139 e n, 144n
MOREL A.B., 20, 30, 36-37, 222 e n, 230, 231n
MORGENTHALER W., 243 e n
MORSELLI E., 18n, 21 e n, 22n, 26 e n, 27 e n, 28 e n, 29n, 31, 33 e n, 34, 35n, 37
e n, 39 e n, 116
MOSSO, 29n, 222
MUCCIARELLI G., 40n
MUGGIA G., 42n
MUZZIOLI G., 107n
NACCACHE L., 233n
NAVA C., 133
NORCIO B., 49n
NORDAU M., 21
NOTA A., 114n
OLMI R., 211n
PACCHIONI, 176, 202
PADOVANI G., 45n, 48n, 51, 52n
PAGLIA G., 102n
PALMERINI, 78
PANZERI L., 118n
PAPINI G., 29n
PARLATO G., 19n
PASSIONE R., 47n
PATERLINI M., 258n
PAULHAN J., 243
PELOSO F.P., 40n
PENDE N., 26
PETRAZZANI P., 222, 231, 232 e n
PETRINA A., 234n
PEZZI V., 262n
PICHOT P., 229n
PIERACCINI A., 137
PIGNARRE P., 234 e n
PILCZ, 230
PINEL P., 47, 57, 58, 60, 68, 213, 216, 218, 223, 239
PIO IX (GIOVANNI MARIA MASTAI FERRETTI), 28
300
PIRELLA A., 49n
PIRO S., 226n
PIZZOLI U., 116
POGLIANO C., 19n, 40n
POLI F., 38n
POMIAN K., 250 e n
PORTA V., 233
PORTIGLIOTTI G., 19n
PREZZOLINI G., 27, 29n
PRINZHORN H., 243 e n
PULINI C., 87n
QUARCHIONI M., 40n
RANCHETTI M., 242n
RAZZABONI C., 114-115
REIL, 216
REJA M. (MEUNIER P.-G.), 243 e n
REVELLI N., 49n
RICCARDI P., 114
RIGHI RIVA U., 136
RIGHI S., 205 e n, 206 e n, 207, 210
RIVA E., 222
ROGUES DE FURSAC J., 243 e n
ROKITANSKY, 228
RONCATI F., 124
RONCORONI L., 14n
ROSCIONI L., 56, 57n, 65n
ROSE N., 233n
ROSE S., 233n
ROSSI P., 258n
ROSSINI, 198-199
RUIU L., 53n
SABA SARDI F., 35n
SACCHI, 197, 201
SAKEL, 232
SALOMONE G., 18n
SALTINI V., 290
SAN DONNINO P.L., 131
SANDONNINI P., 114n
SANGUINETTI C., 124
SANTI A., 133
SAPORITO F., 17n, 21 e n, 23 e n, 25 e n, 33 e n
SARTRE J.-P., 249 e n
301
SAURY, 230
SAVA R., 97n
SCARPA S., 205
SCARTABELLATI A., 15n, 19n, 34n, 40n, 120, 121n, 134n, 138n, 139 e n
SCHOTT H., 228n, 229n
SCHULE H., 222, 223n
SCIUTI M., 48 e n
SÉGLAS J., 222 e n
SEGRE R., 50n
SERGI G., 21, 29n, 31
SERRADIMIGNI, 175
SETTI U., 131, 133
SHORTER E., 47n, 54n
SIMON M., 242n
SOGLIANI G., 46n, 80n
SORCINELLI P., 40n, 50n
SPENCER H., 20, 23
SPERAPANI U., 45n
STOCK F., 40n, 111n, 226n
TACOLI L., 131
TAGLIABUE L., 205n, 211n
TAMASSIA A., 244 e n
TAMBRONI R., 131
TAMBURINI A., 18 e n, 19, 21, 22n, 34 , 59 e n, 62, 63n, 65 e n, 67 e n, 68, 71, 116
e n, 120n, 124, 216n, 220n, 221 e n, 222, 223n, 225, 227, 230-232, 240, 244, 245n,
252n, 264
TANZI E., 23, 32 e n, 33 e n, 35n, 36 e n, 37, 55 e n, 59, 63, 116, 222
TAPARELLI B., 133
TARDIEU A., 242 e n
TAROZZI G., 24, 25 e n
TAVERNARI P., 220n
TIRELLI, 117
TÖLLE R., 228n, 229
TONNINI S., 34n
TORNABENE M., 12n, 46n, 50n, 65 e n, 141n, 143n, 144n
TORRESINI L., 49n
TORT P., 231n
TREGENDA M., 44n
TRIVA R., 143, 174, 176, 177 e n, 185
TROILO E., 24 e n
TUKE, 216
TURCI L., 200, 202
302
UNGARELLI, 283, 285n
VACCA L., 259n
VACCARI L.A., 131
VAILATI G., 17
VAIRO F., 31n
VALENSTEIN E.S., 40n
VALENTIN L., 104 e n
VANNOZZI F., 78n, 81n
VASSALE G., 222
VASTA M., 162n
VEDRANI A., 15n, 27 e n, 28, 31
VENTURI S., 34 e n
VERGA A., 15, 37 , 125n
VICARELLI G., 126n
VICINI, 186, 187 e n, 191-193, 196, 198-199
VIDONI G., 28n
VILLA R., 40n, 121n
VINCENZI S., 277 e n, 279
VIOLA G., 26
VISINTINI F., 32n
VOLMAT R., 243
VON ECONOMO, 228
VON MEDUNA, 232
WAGNER-JANUREGG, 66
WEIS E., 23
WERNICKE, 228
WESTPHAL, 230
WITTGENSTEIN L., 249
WOLLFLI A., 243
WULFING-LUER, 230
ZALOSYC A., 231n
ZANCHIN G., 18n
ZANI I., 218
ZANOLI, 169
ZAVOLI S., 73
ZINANI, 202
303
POVERE MENTI
LA CURA DELLA MALATTIA MENTALE
LA CURA DELLA MALATTIA MENTALE NELLA PROVINCIA DI MODENA FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
NELLA PROVINCIA DI MODENA
FRA OTTOCENTO E NOVECENTO
a cura di Andrea Giuntini
POVERE MENTI