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Italiana
Sociolinguistica
Università degli Studi di Firenze
16 pag.
Le caratteristiche manifestate sono involontarie, ad esempio il fatto che sia una persona poco scolarizzata,
per gli errori grammaticali o per l’aggiunta di elementi del parlato. Anche la scrittura in maiuscolo fa capire
la sua scolarizzazione. Lo scrivere come parla è involontario. L’informazione sociolinguistica è di tipo
diastratico.
Cartello di Bergamo.
Viene riprodotto anche attraverso il dialetto. Se ne ricava la presenza di un progetto, per far capire che loro
sono bergamaschi, cercando di creare un senso di identità. In precedenza si pensava fosse legato al
secessionismo leghista. Se ne ricava un’informazione quando manca la volontà, mentre quando c’è
volontarietà e siamo in presenza di un progetto allora c’è comunicazione.
Elemento di variazione. “La gente”; la ‘dʒƐnte (italiano standard); la ‘ʒƐnte (toscano); la ‘dʒƐ:nte (centro-
meridionale); la ‘dʒente (emiliano-romagnolo).
Parlato fiorentino nel primo caso neutro che si trova in tutti i livelli di parlato, mentre il secondo si trova nel
fiorentino meno colto o più veloce. La frase ci dà un’informazione diatopica, perché si capisce che viene da
Firenze.
Caso di Rosario di giù. Si capisce che è un parlante poco istruito e poco colto. L’informazione è quindi di
tipo diastratico.
Caso parotide e dell’appuntamento a Santa Croce. Se ne ricava un progetto dietro al messaggio. Dimensione
diafasica, ciò che riguarda l’informazione dietro ad una frase e ha a che fare con la progettualità.
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1965, Fishman è un sociologo che scrive “Who speaks what language to whom and when”, che riassume la
sociolinguistica. Se si scompone la frase, si forma un triangolo che parte da “what” e poi chiedermi cosa c’è
dietro la comunicazione e ricavarne informazioni, o cosa ha portato il parlante e quale è la situazione e
ricavarne comunicazione.
Primo obiettivo: rispetto a questa varietà, quali sono le correlazioni che definiscono la variazione linguistica
rilevante socialmente che consentono di identificare univocamente caratteristiche di parlanti (who) e delle
situazioni comunicative (to whom/when).
Questa operazione consente di individuare tratti linguistici che identificano specifiche varietà linguistiche.
Se ne ricava che gli interlocutori sono medici che parlano di un paziente. Siamo all’interno della
diafasia con una focalizzazione sull’argomento quindi siamo in presenza di italiano tecnico-
scientifico e in presenza di un “sottocodice”.
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Punto di vista linguistico.
“mese”:
• Analisi lessicale (semantica)
• Analisi morfologica (mes-e/mes-i)
• Analisi fonologica (m-/t-/r-;-s-/-l-)
La relazione tra età e parametro sociale è che un giovane che è più portato a dire ‘meze, mentre un parlante
anziano a dire ‘mese. Il cambiamento è dovuto all’età. Sono generazioni diverse, non si è portati a cambiare
con l’avanzare dell’età.
Quando vedo comportamenti polarizzati tra due generazioni opposte ho una visione orientativa futura. Si ha
una misura sulla diacronia all’interno della sincronia, perché si vede quale sarà il linguaggio e i mutamenti
futuri. “Visione apparente”. Le donne tendono sempre a promuovere atteggiamenti innovativi dal punto di
vista linguistico. Questo elemento progressivo avviene per un’imitazione dal parlare settentrionale.
Diglossia è una situazione linguistica relativamente stabile in cui, in aggiunta al dialetto primario della
lingua, c’è una divergenza, codificata come varietà alta (HV), mezzo di una grande e rispettato corpo di
letterati, contraddistinti da una larga istruzione e formale istruzione, ed è usata perlopiù in scrittura e discorsi
formali ma non è usata in nessuna sezione della comunità per conversazioni ordinarie.
Caratteristiche correlate: HV (high variety) vs LV (low variety) in termini di prestigio/gerarchizzazione
(anche percepita)/patrimonio lessicale.
La differenza funzionale delle varietà discrepanti nella diglossia è fondamentale, e questo la distingue dal
bilinguismo. Bilinguismo: due possibili riferimenti:
Esempio della campagna “Be stupid”, Diesel. Dialetto come lingua dello stupido e incolto, ma più concreto,
vero ed autentico.
Esempio della campagna elettorale di Gerardo Bevilacqua (manifesto). Dialetto come lingua di vicinanza
(noi vs. loro).
“Nostr lait a parla piemonteis”. “Il latte parla piemontese”, quindi ti devi fidare di me, creando un senso di
vicinanza. Averlo creato in dialetto porta il latte ad essere autentico e vero, perché parla come i “vecchi” e i
“nonni”, ed è un prodotto artigianale e non industriale.
“I’ trippaio di Firenze”. Tradizionalità della lingua legata alla tradizione del prodotto. Crea una situazione di
confidenza e familiarità.
Trattoria “La grotta Parri”.
Campagna promozionale di una compagnia telefonica in dialetto.
Bevanda Spritz e la campagna pubblicitaria in dialetto. Modo di socializzare, celebrando un rito comunitario,
perché il dialetto è la lingua di un luogo aperto, come la piazza.
I connotati di lingua e dialetto in Italia continuano ad essere legati alle (pregresse) tradizionali condizioni di
diglossia.
In particolare la rappresentazione del dialetto come varietà di primo apprendimento che esprime intimità, etc.
e che ha come controparte un italiano che ha per correlato la distanza, mancanza di coinvolgimento, etc.
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Fuori dalla rappresentazione “simbolica”, quali sono i valori sociali?
Pasticceria torinese: il commesso prepara un vassoio di biscotteria per il cliente. “Non vi imbroglio, eh! A
sun tant bun!” il passaggio del dialetto avviene al confine di una frase da un’altra (“code-switching”), si ha il
passaggio interfrasale e vuol dire che è intenzionale.
In Sicilia, parlando di evasori fiscali: “Kiddi, kiddi ka, pigghia, amu setti kasi, wottu casi e non pavum
nenti?” Ne volum truvali. Non li vogliono trovare.” La frase in dialetto viene ripetuta in italiano per
Neo-standard:
• Perde la monoreferenzialità;
• Acquista espressione.
Esempi.
1. “flogosi marcata della ghiandola parotide” (+monoreferenzialità; + neutralità);
2. “la malattia che gonfia tutto dietro agli orecchi” (-monoreferenzialità; -neutralità).
Il primo è un “sottocodice”, con un italiano tecnico-scientifico; il secondo è un registro, con un italiano
informale.
Affinità tra sottocodici e gerghi. Si parla di “gergo dei medici” quando è parlata da un gruppo ristretto di
parlanti (ambito d’uso). Inoltre queste varietà è fatta da una tipologia specifica di lessico.
Esempio. In chimica la “base” è un particolare composto che reagendo con un acido forma un sale. Oppure
in fisica la “forza” è ogni causa capace di modificare lo stato di quiete o di moto dei corpi. Vengono perciò
prese parole del lessico comune e ne assumono monoreferenzialità nel linguaggio tecnico.
I gerghi allora sono sottocodici? Vengono prese parole del lessico presso specifici gruppi sociali (linguaggio
della malavita, linguaggio giovanile, etc.).
Esempio. “Concetto di spirantizzazione” vs “messaggio SMS/MTV”. Il primo è uno scambio tra addetti ai
lavori, mentre il secondo tra giovani. Il primo ha una funzione di definire un fenomeno linguistico, con una
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L’italiano come lingua tetto, cioè una varietà ufficiale di riferimento. Non è una varietà da cui si originano i
dialetti come sistemi linguistici. Il dialetto si ha solo in presenza della lingua tetto, e in relazione alla
presenza di una lingua tetto si assiste a una specializzazione e gerarchizzazione delle funzioni del dialetto.
Romanizzazione. Dal “latino parlato” alle varietà italo-romanze.
Esempio. *QUANDO FILIU MEU. Nel milanese la varietà diventa “kuand me fjœ”. Per la varietà veneta
diventa “kuando me fjòlo”. Per quanto riguarda le varietà centrali, si ha a Firenze “kuand(o) i mmi figliòlo” e
a Roma “kuanno er fijo mio”. Nella zona meridionale si ha la varietà napoletana “kuannə fijjəmə” che a
Palermo diventa “kuannu me figghiu”.
Vocalismo. Dal latino al sistema panromanzo.
Esempi. “Filiu(m)” la Ī diventa i. In “pira” e “tela” la Ĭ e la Ē diventano e. In “ferru” invece la Ĕ diventa ɛ.
Per “caru” e “casa” la Ā, Ă diventa a. In “octu” la Ŏ diventa ᴐ. In “voce” e “cruce” la Ō, Ŭ diventano o.
Infine in “luce” la Ū diventa u.
Vocalismo. Il sistema panromanzo e il fiorentino.
Esempi. “Filu” la Ī diventa “filo”. Per “pila” e “tela” la Ĭ e la Ē mutano la parola in “pera” e “tela”. In
“ferru”, il vocalismo di Ĕ, muta la parola in “fɛr:o”. In “caru” e “casa”, il vocalismo di Ā, Ă mutano la parola
in “karo” e “kasa”. In “octu” il vocalismo di Ŏ muta la parola in “ᴐt:o”. Per “voce” e “cruce”, il vocalismo di
Ō, Ŭ, mutano le parole in “voʧe” e “kroʧe”. Mentre per “luce” il vocalismo di Ū muta la parola in “luʧe”.
Vocalismo. Latino e siciliano.
Esempi. (Guarda PowerPoint).
Vocalismo tonico. Particolarità vocaliche dell’area settentrionale.
• lait (Torino) si è formata una “i”, senza assimilazione in area gallo-italica, ma una palatizzazione;
• late (Venezia), la vocale finale non cade perché più stabile, e un’assimilazione come nel fiorentino e
le consonanti geminate “degeminano” e diventano scempie;
• lat:Ə (Napoli) / lat:i (Palermo), vocale finale indistinta a Napoli, ma si ha in area meridionale
estrema con le loro vocali, e il nesso -CT- va incontro ad assimilazione.
Si assimila ovunque tranne che in area gallo-italica. Le vocali finali restano a Firenze, Venezia e area
meridionale estrema.
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“figlio”. Esiti da FĪLIU oppure FĪLIU+ŎLU. In entrambe la prima sillaba è uguale.
A Firenze non cambia. LJ va di fronte ad esiti diversi. A Bologna, Milano, Venezia si trasforma in j (iod),
mentre a Firenze diventa λ:, cioè da semplice ad aperta.
In area meridionale si ha j: quindi una iod intensa.
In area meridionale estrema diventa ɉ:, cioè un’occlusiva palatale intensa.
Al tipo FILIU rimanda anche Genova, dove diventa dʒ, cioè un’affricata palatale.
Nel caso di FĪLIU+ŎLU la vocale accentata è la Ŏ e non la Ī. Quindi a Bologna e Venezia la Ŏ diventa ɔ,
come anche a Firenze, che si mantiene. A Milano si “turba” (arrotonda) e diventa œ e si palatizza. Alla
sillaba finale a Bologna la vocale atona finale cade. Il milanese è diverso perché cade tutta la sillaba. A
Venezia la vocale finale si mantiene sempre. A Firenze si conservano le atone finali.
A Roma e Palermo si mantengono, mentre se a Roma resta la “o”, a Palermo diventa “u”. A Napoli e Bari
diventa indistinta la vocale finale.
A Genova c’è la particolarità che mantiene la vocale finale e diventa “u”.
L’Italia si articola in tre aree immaginarie. Ogni linea è un fenomeno linguistico. Le linee, o meglio i fasci
sono chiamate “isoglosse”, che significa “la stessa lingua”, ma in linguistica è sinonimo di “limite di
diffusione di un fenomeno” (visione tripartita di Rohlfs).
G.B. Pellegrini è stato il primo a definire la lingua-tetto. Ha definito cinque sistemi linguistici:
1. Dialetti settentrionali (isoglossa La Spezia-Rimini);
2. Diletto centro-meridionale (isoglossa Roma-Ancona);
3. E tre aree dove i confini linguistici sono sovrapponibili (friulano, toscano e sardo).
Il toscano è particolare perché è l’unico in area centrale ad aver determinati connotati linguistici.