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LINGUISTICA, LINGUA E TRADUZIONE – RIASSUNTO

CAP.1

1.1 Le origini della linguistica moderna possono essere trovate anche nel mondo antico. Platone nel Cratilo
tratta di questioni legate al linguaggio e indaga sul rapporto esistente fra nomi assegnati alle cose stesse. Si
fa precursore della linguistica moderna, che si svilupperà poi nel XX secolo. Nelle sue opere si vedrà la
convenzionalità e l’arbitrarietà del segno linguistico e del rapporto che esso intrattiene con la realtà esterna.
Socrate accetta la convenzionalità del linguaggio, ma rifiuta categoricamente la totale arbitrarietà del segno
linguistico. Aristotele può essere considerato come precursore della linguistica moderna, poiché ha
sostenuto l’arbitrarietà del linguaggio, il che lo condusse a proporre una nozione di lingua come strumento
del pensiero, analoga a quella che è possibile rintracciare negli studi fatti in epoche più recenti. Durante il
Medioevo, Dante Alighieri, nel De vulgari eloquentia, fa la classificazione delle lingue europee e può essere
interpretata come la esemplificazione di un interesse linguistico. Nel XVI-XVII secolo ci sono avvicendamenti
politici, sociali e religiosi che segnarono la storia europea, come ad esempio la scoperta del Nuovo Mondo
(a partire dal 1492), grazie alla quale si intensificarono i rapporti con l’Oriente e quindi ci fu una grande
possibilità di entrare in contatto con innumerevoli lingue nuove (India: Sanscrito). Ciò ha dato una spinta
vigorosa allo sviluppo della linguistica moderna.

Grimm  legge della rotazione consonantica, che regola la modifica delle consonanti dall’indoeuropeo al
proto-germanico

Verner  rende conto dell’eccezioni presenti nella prima legge

Hermann Grassmann legge della dissimilazione delle iniziali aspirate

Queste leggi posero le basi per la costruzione di una scienza del linguaggio. I linguisti iniziarono a dedicarsi
non solo all’evoluzione fonetica, ma anche allo studio della lingua parlata, dando importanza alla
dialettologia e all’analisi dell’influenza esercitata dai sotto-strati linguistici. La linguistica moderna si sviluppa
definitivamente nel XX secolo, ramificandosi in innumerevoli discipline.

- Fonetica: studia i foni, quindi le caratteristiche dei suoni linguistici prodotti dagli organi fonatori,
divisa in articolatoria (modo d’articolazione); acustica (il suono); uditiva (percezione).
- Ortografia: una parte studia le lettere e come vengono utilizzate per rappresentare suoni e formare
parole; un’altra studia il sistema ortografico corretto o accettato di una lingua secondo delle norme
- Morfologia: studio della struttura delle parole o morfemi, l’unità più piccola dotata di significato o
di funzione grammaticale
- Sintassi: studia la struttura della frase e le combinazioni di parole
- Semantica: studia il significato delle parole
- Pragmatica: studia la prosodia e le implicature della frase

Tipi di linguistica:

- Linguistica storica, studio diacronico della lingua


- Linguistica tipologica, categorizza i dati e individua i principi organizzativi dei sistemi linguistici per
spiegare la variazione delle lingue
- Linguistica generativa, interessata agli universali linguistici e a questioni grammaticali
- Linguistica strutturale, studio sincronico della lingua, interessata a individuare i sistemi che
soggiacciono alle espressioni linguistiche diverse
- Linguistica funzionale, si concentra sui bisogni che gli utenti del linguaggio cercano di soddisfare
usando la lingua
- Linguistica testuale, che si preoccupa di definire le caratteristiche che permettono a un testo di
essere considerato tale
- Linguistica pragmatica, studia il modo in cui i parlanti fanno uso della lingua e degli effetti che
ottengono
- Psicolinguistica, che studia i rapporti tra linguaggio e mente
- Sociolinguistica, che studia le connessioni tra uso del linguaggio e elementi extra-linguistici

Linguistica informale: tutto tranne la linguistica generativa

Linguistica formale: linguistica generativa

Differenza principale  concezione del linguaggio (sistema autonomo per la generativa, sistema in un
contesto extra-testuale che ne determina l’uso per il resto) e i testi studiati (astratti per la generativa, reali
per il resto)

1.2 Molte delle discipline che rientrano nel secondo filone fanno parte della linguistica applicata
originariamente interessata all’educazione linguistica e all’apprendimento delle lingue straniere. Ora copre
vaste aree di interesse come le differenze tra l’oralità e la scrittura, l’analisi del discorso e della
conversazione, le relazioni tra lingua e genere, il modo in cui la lingua viene usata in media di vario tipo, il
modo in cui si inserisce nella società e il modo in cui essere trasformata in fase di traduzione. Si prefigge
dunque di indagare i meccanismi che sottostanno alla comunicazione umana individuandone le difficoltà al
fine di trovare strategie per porvi rimedio. Un forte impulso alla linguistica applicata si ebbe durante il XX
secolo, in seguito a trasformazioni sociali, politiche e culturali che permisero agli studiosi di inserirsi in un
ambiente intellettuale in rapida evoluzione. Entro la fine del XIX secolo, molti intellettuali iniziarono a
percepire i valori borghesi come intollerabilmente grossolani. Si sviluppò, grazie all’Estetismo e al
Decadentismo, un ambiente in cui l’enfasi era posta sull’importanza dell’indipendenza del conformismo
oppressivo dell’epoca vittoriana l’ottimismo progressista giunse a una fine: le certezze religiose iniziarono a
declinare, il vecchio ordine rurale e i suoi valori svanirono mentre nascevano nuove tecnologie, con anche
l’elaborazione di teorie inerenti alla psicologia e all’inconscio (William Jones introduce il flusso di coscienza),
oltre che ad una curiosità per i recessi più oscuri dell’Io e dell’Inconscio (Freud). È un periodo in cui le
incertezze trovano espressione in un senso di ambiguità sessuale, incarnato nelle teorie di Freud e nella
rappresentazione mutata dei sessi nella new woman fiction e nella letteratura omosessuale. All’inizio del
‘900, nuovi drammi legati alle relazioni sociali e sessuali portano al bisogno di rottura con le convenzioni del
Vittorianesimo. Durante la belle époque, avviene invece un riesame delle precedenti nozioni dell’universo,
incertezze politiche. L’incertezza fece ingresso nella scienza con la teoria della relatività di Einstein, con
l’abolizione di nozioni universali, suggerisce che il discorso scientifico, come quello letterario, è una
costruzione che gli uomini utilizzano per dare senso al mondo. La scoperta linguistica d tutti i simboli rese
possibile considerare i discorsi della scienza e della letteratura come codici equivalenti all’interno di uno
stesso sistema linguistico che contribuiva alla formazione dell’individuo. A partire dall’elaborazione della
teoria freudiana dell’inconscio, il linguaggio era stato riconosciuto come fondamentale nella costituzione
dell’individuo e del suo inconscio, dove giocava un ruolo centrale nella repressione di quegli elementi e quei
desideri che l’Io non poteva accettare, permettendo poi a quegli stessi di riemergere attraverso sintomi
nevrotici, sogni e lapsus.

1.3 Fu Saussure a elaborare alcune dicotomie che sarebbero in seguito divenute fondamentali in linguistica,
come la distinzione tra langue (linguaggio inteso come sistema condiviso) e parole (espressione linguistica
dei parlanti). In particolare, uno dei concetti chiave era che il linguaggio è un sistema in cui il significato è il
prodotto di una differenza fonologica e grafologica che permette di distinguere un segno linguistico da tutti
gli altri segni a disposizione nel sistema. Analogamente, essendo il linguaggio fenomeno culturale (=produce
il significato creando differenze e analogie), comprendiamo il segno “ragazza” come “non ragazzo, non
uomo”. Saussure da anche la nozione secondo la quale ogni segno linguistico consta di due entità: il
significante (aspetto fonologico o grafico di un segno, che rimanda all’impressione psicologica di un fonema
o grafema) e un significato (concetto che si vuole esprimere). La relazione tra i due è il risultato di un atto
arbitrario e convenzionale dell’uomo. In tutti gli ambiti si riconobbe l’assenza di quella verità che la scienza,
la filosofia e la religione avevano proposto come universali nel corso dei secoli e tale conclusione si
raggiunse anche grazie a movimenti artistici come il cubismo, la cui interruzione arbitraria della continuità,
che era sempre stata concepita in termini di unità, dell’immagine suggeriva una preponderante irrilevanza
del fascino tradizionale esercitato dal soggetto e dalla credibilità delle sue imitazioni. I pittori cubisti non
erano dediti a copiare forme, strutture, colori e spazi ma tentavano di mostrare che il significato risiedeva
nella struttura stilistica del dipinto. Si percepiva già lo spirito del modernismo stimolato da nuove idee
sviluppatesi nell’ambito dell’antropologia, della psicologia, della filosofia, della teoria politica e della
psicoanalisi. Lo spirito stimolante di questa età moderna subì un cambiamento quando dovette confrontarsi
con la Prima Guerra Mondiale. Il modernismo iniziò così ad essere segnato dal suo tono più fragile e se da
un lato questo coincise con la liberazione sperimentale delle forme e con una maggiore attenzione alla
coscienza, dall’altra veniva percepito come una reazione alla frammentazione tanto della cultura tanto
quanto della psiche, alla violenza e al senso della storia come catastrofe che la guerra aveva portato. Entro
la fine degli anni ’20, il senso di incertezza storica, il disinganno politico e il pessimismo politico e sociale
erano cresciuti a dismisura, fomentati dal crollo della borsa del ’29 e della salita al potere di Stalin, dal
propagarsi del nazismo e del fascismo e della guerra civile spagnola 1936. La prosa proletaria era colma di
un senso di crisi storica, politica e psicologica da cui l’impegno politico sembrava inizialmente offrire una via
d’uscita. Mentre vari totalitarismi videro la luce, l’impegno della letteratura prese forma del Realismo
storico. Dopo il collasso delle argomentazioni marxiste a favore del realismo proletario, esso sfociò tuttavia
in una tendenza verso la fantasia, la parodia e la satira, attraverso cui le psicosi e le assurdità del mondo
potevano trovare espressione. Alla fine del conflitto mondiale, gli scrittori dovettero confrontarsi con un
mondo che appariva in frantumi. Una volta riconosciuto il vuoto, l’assenza di senso e l’assurdità del mondo,
l’Esistenzialismo esortò gli scrittori a ricostruire il mondo che, durante la guerra, era stato corrotto e
derubato della sua trasparenza, al fine di rivalorizzare il segno linguistico che era diventato un’arma. Con il
Modernismo e il Postmodernismo la realtà iniziò a essere precipitata sempre di più come una costruzione
dell’essere umano e del suo linguaggio, mentre l’idea di una verità fondamentale assoluta venne sostituita
dalla nozione di verità come ipotesi di lavoro (qualcosa è in grado di spiegare un fenomeno fino a che non si
scopre qualche altro elemento in grado di mutare la teoria precedente). Il riconoscimento della complicità
di linguaggio, pensiero e realtà portò allo sviluppo di due dei principali movimenti del XX secolo lo
Strutturalismo e il Post-strutturalismo.

1.4 Le teorie strutturaliste e post-strutturaliste che si svilupparono durante la seconda metà del ventesimo
secolo resero problematiche nozioni quali realtà, cultura e traduzione.

Roland Barthes (1915-1980)  nozione di morte dell’autore dove dice che un autore appena inizia a
scrivere perde la sua identità e diventa semplicemente un costrutto linguistico/un Io che esiste solamente
all’interno dell’atto linguistico che lo definisce.

Con lo strutturalismo e il post-strutturalismo, il testo inizia ad essere visto come la distruzione dell’autorità e
dell’origine. Pertanto, si imposta una prospettiva totalmente differente, secondo la quale la verità della
scrittura corrisponde ad un elemento insito non tanto nell’autore quanto nel lettore. Per gli strutturalisti il
significato di ogni unità facente parte di un qualsiasi sistema risulta determinato dalla relazione che una
particolare unità intrattiene con tutte le altre unità appartenenti allo stesso sistema. Gli strutturalisti
insistono sul fatto che un segmento testuale acquista un significato solo sulla base del posto che occupa
all’interno del sistema nella sua interezza e pongono l’enfasi sulla possibilità e la necessità di ridurre queste
relazioni a opposizioni binarie. Gli strutturalisti cercarono così di applicare il modello linguistico di Saussure
ad altre aree dell’esperienza umana.

Levi-Strauss (1908-2009)  sviluppa un'analisi del totemismo, del mito e delle relazioni di parentela
basandosi sulle opposizioni fonemiche di Saussure. È il primo ad applicare la linguistica Saussuriana alle
scienze sociali nel tentativo di scoprire le strutture mentali profonde che sottostanno alle strutture sociali
allargate come sistemi di parentela, la mitologia, la magia, il sistema dei sacrifici. Sostiene che i vari sistemi
simbolici alla base di ogni cultura possono essere trattati alla stregua di linguaggi naturali, in virtù del loro
forte simbolismo e della loro origine comune nei meccanismi mentali dell'inconscio, che si presenta
semplicemente come un inconscio formale e strutturale, in grado di organizzare i fenomeni senza assegnare
loro un significato. Poiché si presuppone che questo inconscio coincide con l'origine di tutti i vari sistemi che
costituiscono la cultura, la sua esistenza giustifica l'intera impresa di riformulare l'antropologia come una
semiologia sulla base dell'assunto che i fenomeni culturali sono segni e possono quindi essere trattati come
linguaggio.

Foucault (1926-1984)  si avvale di metodi influenzati dall' approccio strutturalista allo studio della storia
nel tentativo di scrivere la storia del presente partendo da una trattazione della follia. Prima applicazione
dello strutturalismo alla storiografia, attraverso un movimento che lui chiama “ribaltamento” demolisce
molte delle supposizioni convenzionali sulla follia e mostra come essa sia stata in realtà creata attraverso la
pratica dell'internamento, che permise alla società sana di definire ciò che doveva essere considerato ‘sano’
e ‘subumano’ e creò le condizioni in cui la follia potesse fiorire.

Lacan (1901-1981)  sviluppa l'idea strutturalista che l’Io della persona non è un dato di fatto ma inizia a
esistere solo ed esclusivamente nel momento in cui un Altro si rivolge all’individuo ed esso si mette
relazione con questo Altro. Filosofia generale della genesi dell’individuo come essere umano applicando i
modelli linguistici sviluppati dallo strutturalismo ai dati della psicanalisi: è il linguaggio che trasforma l'essere
biologico in essere umano, mettendogli a disposizione un’identità, ed è per questo che il concetto di un vero
Io, proprio della tradizione filosofica occidentale, appare ora insostenibile, giacché il significato puro
dell'essere umano risulta fin dal principio inscritto nel linguaggio e non può essere scisso dal suo
significante. L'identità costruita dalla tradizione occidentale è sostituita dall'idea di un’identità decostruita,
costituita dalla somma dei frammenti di identità determinati dalle strutture tipiche dell’ordine simbolico del
linguaggio. Secondo Lacan qualsiasi discorso umano deriva da una richiesta di riconoscimento da parte
dell'altro e tende dunque all’aggressione e alla coercizione. Proprio come l'individuo incapace di percepire
la verità su se stesso, qualsiasi altra verità risulta inafferrabile, in quanto sarà sempre più mediata dal
linguaggio, che ridurrà la sua essenza a simboli.

Lo strutturalismo rappresentava una reazione all’alienazione delle società moderne nel tentativo di andare
oltre la divisione che le varie scienze e tecnologie avevano imposto al mondo. Esprimeva uno sforzo nella
direzione di un'unificazione della mole di nuove informazioni messe a disposizione dalle nuove discipline e
si presentava come un metodo possibile per superare la compartimentalizzazione di sistemi particolari al
fine di comprendere la struttura generale e le leggi generali che determinano il funzionamento di qualsiasi
sistema. Cercando di portare alla luce il fatto che quanto era stato considerato naturale era in realtà un
costrutto, mirava a denunciare come false le rivendicazioni avanzate da questi sistemi di essere i depositari
di verità universali, mettendo in guardia i lettori sulle conseguenze implicate dal fatto di considerare la
‘cultura’ come se fosse ‘natura’, incoraggiandoli a sospettare di qualsiasi sistema e di qualsiasi linguaggio. Il
punto di partenza dello strutturalismo era che il linguaggio coincide con un sistema sociale e che al
contrario ogni attività sociale potrebbe essere intesa come un linguaggio particolare o un codice. I significati
assunti dai fenomeni culturali e sociali, infatti, ne fanno dei segni e dunque possiedono una dimensione
sociale e sono arbitrarie e convenzionali.

Jonathan Culler (1975) lo strutturalismo può essere definito come una teoria della lettura che, partendo
dagli effetti che certi atti hanno, cercò di chiarire il processo che conduce questi atti/azioni ad assumere
particolari significati e ad avere specifici effetti. Lo strutturalismo anticipo così il ruolo centrale che il lettore
iniziò ad avere all'interno delle discussioni intellettuali; è proprio al lettore dell'opera letteraria
(precedentemente marginalizzato a favore o dell'autore o del testo) che viene assegnata una posizione
primaria nel processo critico e interpretativo.
1.4.1 Jakobson stabilì un collegamento fra il Formalismo russo e lo Strutturalismo vero e proprio. Nei suoi
Essais, pone una distinzione fondamentale tra la metafora e la metonimia, che per lui corrispondono ai due
principali tipi di afasia individuati e alle due figure su cui diversi stili letterari si basano. Partendo dalla
nozione che ogni atto linguistico implica una selezione lungo la linea orizzontale dell’asse sintagmatico del
linguaggio di certe entità linguistiche fra le innumerevoli alternative possibili, e la loro combinazione lungo
la linea verticale dell’asse paradigmatico del linguaggio in entità linguistiche più complesse, riconobbe che i
due tipi principali di afasia (emissiva e ricettiva) coinvolgevano rispettivamente processi di selezione e di
combinazione:

1. Poiché il primo tipo di afasia incide sull’abilità di sostituire un elemento con un altro (es incapacità di
utilizzare sinonimi) la denominò disordine dell’identità e la collegò alla metonimia, in quanto questa
figura retorica è ampiamente utilizzata dagli afasici le cui attività di selezione sono alterate (es ‘fumo’
sostituita con ‘pipa’ ecc).
2. Nel secondo tipo non sussiste una perdita di intere parole, ma un’alterazione dell’abilità di costruire
proposizioni disturbo della contiguità/agrammatismo. La ‘parola’ è l’unica unità linguistica lasciata
intatta dalla tendenza alla semplificazione eccessiva che conduce il paziente a regredire alle fasi iniziali
dello sviluppo infantile o, nel caso dell’afasia universale, a uno stadio pre-linguistico. Mentre la metafora
risulta impossibile nel disordine dell’identità, la metonimia è impossibile in quello della contiguità, in cui
i pazienti operano delle sostituzioni lungo l’asse verticale della metafora.

Analizzando i fattori fondamentali delle comunicazioni linguistiche, riconobbe che in ogni atto linguistico
sono coinvolti più elementi: un emittente e un ricevente fra cui il messaggio passa, un contatto (mezzo
fisico), un codice in cui il messaggio è espresso e un contesto cui il messaggio si riferisce. La relazione tra
questi elementi è variabile, e a seconda di quali di questi fattori sono enfatizzati nell’atto comunicativo,
l'atto stesso assumerà una funzione differente. Il modello di Jakobson pone quindi l’enfasi sull’importanza
del contesto e sull’idea che per decodificare un messaggio correttamente è necessario tenere in
considerazione diversi elementi. Nel suo articolo Linguistic aspects of translation analizza lo stretto legame
esistente tra linguistica e traduzione identificando tre tipi principali di traduzione:

 Riformulazione/riverbalizzazione (traduzione intralinguistica)  il traduttore interpreta i segni linguistici


di una lingua attraverso segni diversi della stessa lingua
 Traduzione vera e propria (interlinguistica) il traduttore interpreta i segni linguistici di una lingua
attraverso i segni di un'altra lingua
 Trasmutazione (traduzione intersemiotica) il traduttore interpreta i segni di una lingua attraverso
segni non linguistici.

Enfatizzando il ruolo giocato dal ricevente del messaggio, Jakobson e gli strutturalisti cercarono di rivelare le
strutture che rendono possibile il significato e tentarono di smascherare il fatto che i significati che gli esseri
umani si sono abituati a considerare come prodotti naturali sono in realtà il risultato di specifiche
convenzioni storiche, sociali, culturali e linguistiche, giacché il modo in cui gli individui interpretano la realtà
dipende dal linguaggio che i soggetti hanno a loro disposizione. Gli strutturalisti svilupparono il concetto che
Julia Kristeva definì “intertestualità” cioè l'inserzione da parte dell’autore di altri testi o parti di testi nel
proprio lavoro. Qualsiasi testo è fondamentalmente un assemblaggio di frammenti di testi precedenti;
qualsiasi percezione della realtà è filtrata attraverso versioni precedenti di quella stessa realtà e ogni nuova
versione è un ri-assemblaggio di vecchi elementi. Questa idea che i significati assegnati alla realtà sono
convenzionalmente, storicamente e socialmente determinati corrisponde essenzialmente a un rifiuto della
nozione di soggetto e pone la relazione tra il soggetto e il mondo come dipendente da una serie di
convenzioni. Come nel pensiero di Martin Heidegger, l'uomo è identificato con un ulteriore prodotto del
linguaggio. Si tratta dunque di un soggetto sminuito, che è in grado di compiere gli atti linguistici solo perché
esistono vari sistemi convenzionali di cui lui non ha il controllo e corrisponde a un segno.
1.4.2 Categorizzò i segni in:

 Icone: un segno che assomiglia al suo oggetto


 Indici: un segno che è in qualche modo collegato all’oggetto cui si riferisce
 Simboli: sostituzioni arbitrarie di un oggetto con un altro segno

Peirce descrisse un’altra serie di relazioni:

 Il segno: sta per qualcosa e crea nella mente della persona cui è diretto un segno equivalente
 L’interpretante: il segno equivalente o l’idea creata nella mente della persona dal primo segno che
viene tradotto in un segno differente
 L’oggetto stesso che può essere dinamico (un oggetto che determina il segno solo in relazione alla
sua rappresentazione) o immediato (un oggetto che appare precisamente come il segno stesso lo
rappresenta)

Un interpretante può facilmente diventare un segno per un altro oggetto, questa semiosi è un processo
virtualmente infinito e illimitato e finirà per sostituire l’uomo con il segno. Dichiarando la morte dell’autore,
lo strutturalismo rese il concetto stesso di natura umana problematico, poiché quella che era vista un tempo
come umanità si era mostrata corrispondere ad un costrutto, al prodotto di particolari sistemi sociali,
politici, filosofici che non erano eterni e immanenti, ma storicamente e culturalmente.

1.4.3 Sviluppa una grammatica trasformazionale che, dalla struttura superficiale di una frase, riesce a
trovare la struttura profonda che vi soggiace. Contrariamente alla scuola comportamentista secondo la
quale il linguaggio è semplicemente una forma di comportamento acquisita grazie una ricompensa per la
produzione di frasi corrette, Chomsky sosteneva che il linguaggio è ciò che rende gli esseri umani quello che
sono, in opposizione ad altre specie che non risultano in grado di padroneggiarlo, e costituisce la base del
pensiero umano. Nel suo Reflections on language Chomsky dice che il linguaggio è uno specchio della
mente e studiando il linguaggio è possibile individuare i principi astratti che governano le sue strutture e il
suo utilizzo, principi la cui universalità coincide con una necessità biologica derivante dalle caratteristiche
mentali dei sistemi neurologici della specie. Chomsky si focalizza essenzialmente sulla competenza a
discapito dell’esecuzione, al fine di svelare i sistemi che soggiacciono al linguaggio e lo determinano.
Nozione di Grammatica Universale🡪 il sistema di principi, condizioni, regole che caratterizzano tutte le
lingue umane. Alla nascita l'essere umano possiede principi di base di tutte le lingue ed è solo con
l'esposizione a una lingua particolare che il bambino determina i parametri lasciati aperti dalla grammatica
universale e impara così una lingua materna piuttosto che un'altra. Poiché né l’imitazione né
l'insegnamento ricoprono un ruolo primario nell’apprendimento della lingua madre, solo i dati empirici a
disposizione del bambino, che possono essere positivi (le sequenze effettivamente udite dal bambino),
negativi (correzione degli errori commessi) o negativi indiretti (dati dall’assenza di certe forme nelle frasi che
il bambino sente), possono determinare la lingua. È su questa distinzione fra struttura interna e forma
superficiale che anche il teorico della traduzione Ramanujan si basò per sviluppare il concetto di forma
poetica “interna” ed “esterna”: in qualsiasi linguaggio la produzione del discorso risulta dall'uso (infinito) di
alcuni mezzi (finiti) e che mezzi particolari messi a disposizione dal linguaggio sono caratteristici di quel
linguaggio particolare. Cercò quindi di tradurre non solo le parole, le frasi, le tematiche esplicite della
poesia, ma anche i principi che danno forma al testo fonte, nel tentativo di passare dal livello del significato
letterale (superficiale) a quello del significato strutturale (profondo).

1.4.4 In Semantique structurale: recherche de methode (1966) tenta di sviluppare una grammatica della
narrativa che si pone come universale e generativa. Propone: L’attante come elemento che espleta una
funzione sintattica nella frase che sta alla base stessa della narrativa e alla quale quest’ultima può essere
ridotta: la sua struttura elementare. Secondo Gremais una narrativa è un insieme significativo che può
essere compreso in termini di relazioni tra attanti e poiché ogni attante rappresenta una funzione sintattica,
il modello attanziale diventa l'estrapolazione di una struttura sintattica organizzata sulla base di tre coppie in
contrapposizione di attanti:

 Soggetto/oggetto
 Aiutante (adiuvante)/opponente
 Destinante(destinatore)/ destinatario

Gli attanti possono chiaramente essere astratti o collettivi, possono coincidere con personaggi specifici e
possono essere umani, animali o anche oggetti inanimati. Caratteristici della struttura profonda della
narrativa, sono attualizzati e concretizzati, a livello superficiale, dagli attori. Un attante potrebbe essere
rappresentato da più attori e viceversa diversi attanti potrebbero essere interpretati dal medesimo attore.
Generalmente le tre coppie descrivono i tre schemi di base della narrativa:

 Ricerca o obiettivo si focalizza sulla relazione fra Soggetto e Oggetto. Essendo l’elemento orientato
verso un Oggetto, il Soggetto può essere considerato come il Soggetto desideroso che agisce nel
tentativo di raggiungere il desiderato Oggetto.
 Assistenza o impedimento  si riferisce a quegli elementi cui si fa ricorso per realizzare il desiderio del
Soggetto o per impedirne la sua realizzazione (coppia ambigua considerato che l’Aiutante può diventare
un Opponente o che potrebbe coprire entrambi i ruoli).
 Comunicazione  è la più ambigua di tutte, poiché coinvolge raramente elementi che sono raramente
lessicalizzati (come personaggi particolari) e consiste abbastanza spesso di una serie di motivazioni
generali che determinano le azioni del Soggetto. Il Destinante indica l’elemento che spinge il Soggetto
ad agire e corrisponde all’agente, mentre il Destinatario coincide con l’elemento che trae beneficio
dall’azione.

Secondo Gremais, ogni narrativa può fondamentalmente essere ridotta a un rapporto tra attanti. Proprio a
causa del loro interesse per le strutture universali riconosciute alla base degli artefatti più svariati, gli
strutturalisti non si dimostrano interessati all’artefatto stesso poiché per loro qualsiasi artefatto era da
considerarsi un semplice pretesto per indagare il processo di costruzione del significato. Seguendo i passi di
Saussure, adottarono un approccio sincronico al loro oggetto di studio: concentrandosi sulle strutture
universali lo privarono del contesto storico e lo posero al di fuori del continuum temporale. Rifiutarono la
nozione di causalità a favore delle “leggi di trasformazione”, in base alle quali una struttura avrebbe potuto
riprodursi, trasformata, in un’altra struttura, anche se il processo di trasformazione non veniva preso in
considerazione. Strutturalismo🡪 serie di teorie intente a chiarire il ruolo del ricevente (con la fine del New
Criticism, la posizione del lettore ha assunto via via un ruolo centrale nelle teorie elaborate da vari studiosi).

1.5 Lo scopo del post-strutturalismo era mettere l’enfasi sul testo in sé, sempre più percepito come un’entità
in cui i significati si moltiplicavano, indipendentemente dalla volontà dell’autore. La sistematizzazione dello
Strutturalismo e la sua ossessione per le strutture finì per trasformarlo in uno di quei sistemi dogmatici e
scientifici che si proponeva di smascherare e così aprì le porte all’avvento del Post-strutturalismo. Lo scopo
di quest’ultimo era indagare il modo in cui il progetto strutturalista di sviluppare una grammatica che
rendesse conto della forma e del significato delle opere letterarie appariva sovvertito dalle opere stesse.

1.5.1 J. Derrida mette in discussione degli assunti occidentali e la sua decostruzione della nozione di
struttura condusse dallo Strutturalismo al Post-strutturalismo. Il decostruzionismo si pone in
contrapposizione a qualsiasi dogmatismo e assume come obiettivo quello di porre in discussione la
naturalità della nostra concezione di verità. Scopo centrale del decostruzionismo di Deridda è quello di
interrompere la metafisica della presenza che sta alle radici della filosofia occidentale e portare alla luce il
fatto che la “presenza” non è un dato di fatto ma un prodotto che, per funzionare, deve già possedere le
qualità che appartengono al suo opposto. (Sulla metafisica della presenza si sono basate per secoli varie
opposizioni come contenuto/forma, spirito/corpo, conscio/inconscio, lingua parlata/lingua scritta,
normale/patologico, uomo/donna, accordando una posizione privilegiata alla “presenza” intrinseca al primo
termine e definendo il secondo in termini di mancanza, vuoto, assenza). Secondo Derrida la dicotomia posta
da Saussure fra significato e significante è basata sulla metafisica della presenza e lo stato privilegiato
assegnato alla lingua parlata. Eppure, Saussure, per quanto consideri la lingua scritta come una semplice
rappresentazione della lingua parlata, usa esempi che si rifanno alla lingua scritta per spiegare la natura del
segno linguistico, ammettendo così una forma più generale di scrittura chiamata da Derrida archi-écriture.
Derrida propone una metafisica dell’assenza, cioè una metafisica che si concentra sull’elemento “inferiore”
e ribalta le opposizioni classiche, facendo in modo di produrre così un dislocamento generale del sistema e
crea nuove associazioni che erano state nascoste.

1.5.2 Robert Barthes è una delle figure principali della critica reader-oriented. Definisce la pratica della
lettura come un lavoro assiduo di approssimazione e di revisione, durante il quale il lettore prima trova e
nomina i significati, poi li de-nomina per poi rinominarli alla luce dei nuovi elementi trovati nel testo.
Abbandonò il proprio Strutturalismo rigoroso per diventare un campione del Post-strutturalismo; S/Z (1970)
è una combinazione di caratteristiche strutturaliste e post-strutturaliste. Propende maggiormente per lo
strutturalismo l’idea che nel testo scritto risulta impossibile rispondere alla domanda chi parla?, all’interno
del testo nessuno parla, poiché ciò che accade nella narrativa è solo il linguaggio.

Rifiuto generale della nozione di soggetto  se l’autore si limita ad assemblare elementi pre-esistenti, se gli
atti linguistici compiuti dagli esseri umani risultano possibili è solo perché esiste una serie di sistemi di cui il
soggetto non ha alcun controllo e se l’autore può creare il proprio lavoro è esclusivamente perché opera
all’interno di un sistema di convenzioni che rende la creazione di un lavoro/atto linguistico possibile,
delimitando e determinando le possibili varietà di discorso, allora il controllo che l’autore può esercitare sul
suo materiale appare ridotto e sminuito nel momento in cui inizia a scrivere l’autore diventa un prodotto
linguistico ed è il linguaggio che parla. L’autore è morto, è il soggetto dell’atto linguistico, dietro al quale non
c’è alcuna persona reale ma una mera costruzione linguistica, cioè è il lettore che fornisce unità e significato
al testo non il suo autore. (sposta l’attenzione dall’autore e dal testo al lettore). Gli strutturalisti si posero
come lettori ideali che, attraverso un approccio rigoroso ai fenomeni sociali, avrebbero scoperto le profonde
strutture universali. Lo scopo iniziale dello Strutturalismo letterario era di studiare la relazione fra il sistema
della letteratura e la cultura a cui apparteneva; si dimostrò perciò meno interessato all’interpretazione di un
testo rispetto all’indagine della “letterarietà” e della definizione di una poetica o di un modello di sistema
letterario che avrebbe dato agli studi di letteratura una base scientifica. Così facendo, lo Strutturalismo
avrebbe dato vita alla nuova science de la littérature. Per questa ragione, lo Strutturalismo ricercava
l’unificazione delle nuove scienze.

Questo interesse si riflette anche nell’elaborazione del concetto di grado zero della scrittura elaborato da
Barthes: propone quella che chiama écriture blanche come il grado zero della scrittura che, non essendo
sottomessa ad alcun ordine sociale, anticipa a suo avviso uno stato omogeneo della società. Per disturbare
la società borghese e portarla alla disgregazione, Barthes proponeva una scrittura spoglia di tutte le nozioni
e i pregiudizi accettati come comuni, descrivendo l’autore contemporaneo come una figura tragica che deve
ora lottare contro quei segni ancestrali e potenti che da un passato ormai alieno gli impongono la
letteratura come un rituale. Benché Barthes avrebbe presto abbandonato l’idea di un linguaggio neutrale e
oggettivo. Iniziò a elaborare un concetto molto vicino a quello di intertestualità, riconoscendo che qualsiasi
linguaggio è un fenomeno sociale che esiste in una cultura particolare e che i suoi significati sono
determinati dai significati che gli sono stati associati in precedenza:

Mythologies (1957)  critica ideologica del linguaggio dei mezzi di comunicazione di massa e, applicando il
metodo semiotico “scientifico” al linguaggio della mitologia di tutti i giorni, realizzò un’analisi dei messaggi
nascosti che i mass media utilizzano per promuovere le ideologie capitaliste e borghesi-> cercava di
mostrare al lettore che anche l’immagine più innocente può divenire promotrice dei miti borghesi. Per lui il
linguaggio si riduce sempre a una sorta di propaganda, viene sempre sfruttato per vendere qualcosa.
Le systéme de la mode (1967)  applica il metodo semiologico a ciò che concepisce come il linguaggio della
moda, che interpretava ugualmente come promotore dei miti e dell’ideologia borghese. Presto realizza che
tanto il linguaggio capitalista quanto quello rivoluzionario perpetuavano i propri miti e riconobbe
l’impossibilità di sfuggire ai modelli borghesi. Nessun linguaggio è mai completamente oggettivo, giacché
qualsiasi utilizzo del linguaggio trasforma qualunque descrizione oggettiva della realtà in un’interpretazione.
Si dimostrò poi che il linguaggio scientifico era esso stesso metaforico e semplicemente corrispondeva,
proprio come il linguaggio poetico della letteratura, a un modo di strutturare la realtà.

Identifica i codici che a suo avviso si potevano reperire in ogni narrativa (ma sosteneva che generi testuali
diversi sfruttano certi codici più di altri) e ne individua due sequenziali e irreversibili:

 Il codice proairetico  segnala sequenze che iniziano, si sviluppano e terminano. Potrebbero non
essere descritte interamente in una singola sezione, ma potrebbero essere disperse lungo tutto il testo.
 Il codice ermeneutico  determina il modo in cui viene presentata la soluzione al mistero intorno al
quale si sviluppa il testo. Può essere comunicato immediatamente o posticipatamente, grazie all’uso di
falsi indizi, risposte parziali. Il codice ermeneutico si compone delle parti di un enigma (formulazione,
sospensione, conferma, ritardo, inganno, soluzione) e il ritardo ermeneutico che si viene a creare crea
suspence e orchestra l’intero processo interpretativo, obbligando il lettore a compiere il movimento di
“nominazione – denominazione - rinominazione” dei significati del testo.

Esistono anche tre codici non-sequenziali e reversibili:

 Il codice semico  indica il modo in cui un personaggio viene costruito attraverso sèmi particolari.
Questi tratti possono o meno essere presentati in una sezione singola e convergono verso il suo nome
proprio, che viene sfruttato per dare l’impressione che il punto di ancoraggio in cui i sèmi convergono
costituisca davvero una precisa individualità, un personaggio definito dalle sue peculiarità.
 Il codice referenziale(culturale) utilizzato dall’autore per dare al lettore informazioni sul mondo e
nella narrativa realista è ampiamente sfruttato per creare un’aria di verosimiglianza e indurre il lettore a
confondere “cultura” (il testo) con “natura” (il mondo).
 Il codice simbolico determina il valore simbolico assunto da particolari segmenti o parole all’interno
del testo.

CAP 2

Dopo decenni dominati da una visione del linguaggio come un sistema astratto, gli studiosi iniziarono a
porre l’enfasi sulla relazione fra linguaggio e contesto.

2.1 L’approccio formale al linguaggio tipico dei linguisti del passato stava alla base di uno degli approcci
fondamentali allo studio del lessico anche in ambito traduttivo. Lo studio del lessico è stato il dominio
della branca della linguistica cui si riferisce come semantica, ossia una disciplina che Guy Cook lo
definisce come lo studio delle equivalenze tra unità linguistiche ed entità o eventi nel mondo. Centrale
nella disciplina è lo studio del significato, o come afferma Leech, dei significati, dal momento che per lui
è possibile parlare di significato e per questo si può parlare di significato:
 Concettuale
 Connotativo
 Sociale
 Affettivo
 Riflesso
 Collocazionale
 Associativo
 Tematico
Per gestire il significato di elementi lessicali isolati, Katz e Foder nel 1973 elaborarono la loro analisi
componenziale, un modello di significato in base al quale una parola può essere composta nei suoi vari
componenti finché non si riduce ai suoi elementi contrastivi fondamentali (es. “uomo” può essere definita
“+ maschio”, “+adulto”, “+umano”, e contrasterebbe con la parola “ragazzo” che sarebbe “- adulto” e con
“donna” che sarebbe “- uomo”). È fondamentale tenere a mente che le parole potrebbero contrapporsi ad
altre parole su più dimensioni simultaneamente. Le relazioni che le parole, una volta ridotte ai loro
componenti fondamentali, intrattengono con altre parole sulla base dei componenti che hanno meno in
comune sono sinonimia (quando hanno lo stesso significato) e antinomia (quando hanno significato
opposto, anche se Leech suggerisce di parlare come “esclusione di significato o compatibilità” piuttosto che
di opposizione) Da un punto di vista pragmatico, si potrebbe dire che le parole possono anche porsi in
relazione tra di loro attraverso rapporti di implicazione (la terra ruota intorno al sole implica “la terra si
muove”), presupposizione (“Il figlio di Mary si chiama Matthew” presuppone: Mary ha un figlio),
inconsistenza logica (“La terra si muove” e è inconsistente come “la terra è immobile”). È inoltre possibile
individuare, fra i rapporti di significato fra lessemi, diverse relazioni, quali la iponimia o inclusione
semantica (si ha quando una formula componenziale contiene tutti i tratti presenti in un’altra formula), co-
iponimia (un termine condivide con un altro termine alcuni componenti di un iperonimo comune, ma
possiede componenti distintivi che sono esclusi dall’altro termine), iperonimia (ha maggiore estensione di
significato), omonimia (parità di identico significante corrispondono significati differenti ma
etimologicamente correlati), polisemia (quando a uno stesso significante corrispondono significati differenti
ma etimologicamente correlati), enantiosemia (quando i significati diversi dello stesso termine sono in
opposizione), meronimia (quando una parte sta a indicare il tutto; che al suo interno prevede sette
categorie fra cui: componente-oggetto, membro-insieme, parte-massa, materia-oggetto, caratteristica-
attività, luogo-zona geografica, fase-processo), antonimia (quando i lessemi hanno un significato contrario e
possono indicare: estremità opposte di un continuum, un rapporto di complementarità nel quale un
lessema nega l’altro, un rapporto di inversione nel quale i due lessemi esprimono la stessa relazione
semantica da due punti di vista opposti), Conversione (in coppie lessicali come ‘genitore’ e ‘figlio’),
opposizioni cicliche (nel caso di gerarchie, come i giorni o i mesi), opposizioni relazionali (contrasto tra
direzioni). Come suggerisce Leech è possibile identificare:

I. Tassonomia binaria in cui alcune espressioni saranno definite come contraddizioni (es. ‘l’animale
morto era ancora vivo’)
II. II. Tassonomia multipla

Nonostante i semiologi ragionino in termini di tassonomie, molte contrapposizioni binarie sarebbero meglio
concepite nei termini di scale graduate tra due estremi. Charles Fillmore elaborò la grammatica dei casi,
orientata alla funzione assunta dal linguaggio, che non prendeva in considerazione il contesto in cui era
inserito il testo oggetto di studio. La filosofia sullo studio del linguaggio pur concentrandosi sull’idea di
linguaggio in uso, ha contribuito a fare affidamento sull’intuizione del singolo linguista, ignorando qualsiasi
altro aspetto.

II.2. Nell’analisi del discorso, si dà una maggiore importanza all'analisi di dati reali, compresi quelli relativi
alla lingua parlata. Una delle innovazioni principali introdotte dall’analisi del discorso è l'attenzione
concessa all’analisi della lingua parlata, i cui meccanismi sono stati spesso identificati come essenziali
anche nei testi scritti. L’enfasi dell'analisi del discorso è stata posta sull’analisi del linguaggio utilizzato
naturalmente e sulle strutture linguistiche che si trovano oltre il livello della frase. Questa nuova
prospettiva ha rappresentato una trasformazione epocale negli studi linguistici, poiché i primi tentativi
di analizzare “ciò che è possibile fare con le parole” erano principalmente basati su dati inventati.
L’enfasi posta da Widdowson sulla distinzione fra la correttezza formale del codice (usage), utilizzato
per esemplificare le categorie linguistiche e l’appropriatezza dell’uso nelle interazioni sociali (use), che,
al contrario, si riferisce al linguaggio usato per comunicare e indica il ricorso a frasi (sentences)
nell’esecuzione di enunciati (utterances), conduce al concetto di linguaggio come un fenomeno sociale
e sottolinea l’importanza della nozione di “comunicazione” e di quella che Hymes definì “competenza
linguistica”.

Hymes negli anni ’70 del XX secolo inaugura la disciplina dell’etnografia della comunicazione che,
sviluppando alcune nozioni originariamente elaborate nell’ambito dell’antropologia, analizza il linguaggio
utilizzato in contesti reali da parlanti reali e, attraverso un’attenta osservazione, cerca di identificare i vari
componenti di un evento comunicativo. La metodologia fondamentale è l’osservazione diretta e
partecipativa, il che implica un contatto costante fra l’osservatore e la comunità che vuole studiare, un certo
grado di partecipazione nella vita di quella comunità particolare e un ambiente naturale. Questa si prefigge
di comprendere un modo specifico di vivere e di usare il linguaggio. La raccolta di dati orali sollevò la
questione del paradosso dell’osservatore, secondo cui la sola presenza di un osservatore impedisce che
l’ambiente sia completamente naturale. L’etnografia della comunicazione si pone così come un’analisi
interculturale del linguaggio che corrisponde allo studio del modo in cui il linguaggio viene usato per
risultare contestualmente appropriato. Gli etnografi della comunicazione individuano tre unità rilevanti che
sono:

- La situazione linguistica (il contesto sociale che implica atteggiamenti e comportamenti verbali e
non verbali diversi a seconda della comunità)
- L’evento linguistico (determinato dall’uso del linguaggio e che coinvolge attività che non potrebbero
essere svolte al di fuori del, o senza il linguaggio)
- L’atto linguistico (es. salutare, scusarsi), determinato dalla situazione, divisa in setting (comprese le
coordinate spaziali e temporali in cui l'evento linguistico è ambientato), e in scena (una visione
culturale di un evento relativo a una particolare visione del mondo), i partecipanti (parlante,
emittente, ricevente, destinatario; sono coloro che intervengono nell’evento comunicativo), e dallo
scopo (scopi-risultati, scopi-fini). Secondo Hymes, per definire un evento linguistico, occorre
comprendere gli scopi, che possono essere coscienti oppure non coscienti. I primi sono riconosciuti
come tali dagli interlocutori e la loro corretta decodifica è fondamentale per la conversazione, i
secondi invece regolano i rapporti personali fra gli interlocutori e si riferiscono per esempio alle
formule di rispetto, la scelta del registro adottato nell’interazione. Ci sono poi gli aspetti sequenziali
(forma e contenuto del messaggio, che si riferiscono alle prese posizioni che i parlanti si formano in
base a cosa è già stato detto), la chiave interpretativa (si riferisce al tono utilizzato dal parlante e al
fatto che le espressioni puramente linguistiche possono essere simultaneamente valutate,
commentate o smentite dallo stesso parlante nel momento in cui le emette, per mezzo di
espedienti quali ironia, sarcasmo, gesti, tono di voce e altri elementi paralinguistici. Si tratta di atti
linguistici indiretti le cui presupposizioni cambiano da lingua a lingua), gli strumenti (canale, forme
di lingua parlata, ovvero i canali di trasmissione del messaggio e le forme di parlato, cioè le varietà
linguistiche a disposizione della società), le norme (norme di interazione, norme di interpretazione,
che sono le regole, esplicite e implicite che determinano il comportamento linguistico della
comunità e determinano tanto la codifica quanto la decodifica degli atti linguistici. È possibile
riferirsi al principio di cooperazione elaborato da Grice: infatti, la presupposizione, inconscia, che
l’interlocutore segua il principio di cooperazione, permette agli interlocutori di fare delle inferenze
di significato, che altrimenti non sarebbero accessibili), e i generi (un'unità di discorso con
particolari caratteristiche formali e di contenuto. Generi sono, oltre a quelli tipici della letteratura,
anche quelli che si riferiscono alle diverse tipologie testuali quali le barzellette, il gossip,
l'interrogazione, la lista della spesa). Il genere costituisce un elemento importante in qualsiasi tipo
di analisi, perché influenza notevolmente la produzione linguistica.

L’etnografia della comunicazione costituisce contribuisce alla percezione del linguaggio come un’attività
profondamente inserita nella società e nella cultura di una comunità.
2.2 Il termine pragmatica venne introdotto per la prima volta dal linguista americano C.S. Peirce, ma fu
Charles Morris negli anni ’30 che iniziò ad applicare il termine ai comportamenti linguistici. Oggigiorno
l'espressione viene utilizzata per fare riferimento allo studio del significato che deriva dal contesto degli
enunciati più che dal significato contenuto nelle forme linguistiche. La pragmatica studia la lingua in uso
e l'uso che i parlanti fanno di parole o espressioni particolari, che naturalmente potrebbero discostarsi
dal significato letterale di quel particolare elemento linguistico. Questa disciplina deriva da un approccio
filosofico al linguaggio e si sviluppa dalla teoria degli atti linguistici elaborata da Austin e Searle. La
nozione fondamentale della teoria degli atti linguistici è che quando ci si esprime non si producono solo
degli enunciati contenenti strutture grammaticali e parole ma, attraverso quegli enunciati, si compiono
anche delle azioni. È la natura dell'evento linguistico stesso che determina l'interpretazione di un
enunciato nei termini di azioni compiute attraverso gli atti linguistici. Quando si analizza un atto
linguistico occorre essere in grado di identificare l'atto locutorio (l’atto di base dell'enunciato), l'atto
illocutorio (la funzione o la forza illocutoria dell'atto stesso) e l’atto perlocutorio (gli effetti dell’atto
stesso). Quando si interpreta un atto linguistico al fine di relazionarsi con le persone circostanti, occorre
identificare gli indicatori della forza illocutoria: quello più ovvio coincide con il verbo che nomina
esplicitamente l’atto illocutorio, come verbi performativi (avvertire o promettere). Altri indicatori come
l'accento, l'ordine delle parole e l’intonazione possono aiutare a interpretare l'enunciato. L’intonazione
rappresenta un'indicazione contestualizzante sul modo in cui il parlante desidera che il suo
interlocutore intenda il messaggio, solitamente dando delle indicazioni sul grado di certezza o di dubbio
espresso dal parlante. Poiché può esprimere funzioni grammaticali e contrasti di significato, essa deve
essere riconosciuta come facente parte dello stesso sistema linguistico. Le funzioni dell’intonazione
sono state ridefinite da vari linguisti, quali:

Paul Tench

- Funzione attitudinale (attitudinal), usata per esprimere l'atteggiamento del parlante nei confronti di
oggetti, persone, idee
- Funzione comunicativa (communicative), grazie alla quale l’alternanza di toni ascendenti e
discendenti viene sfruttata per ricavare informazioni e mantenere diversi tipi di scambi sociali
- Funzione informativa (informational), grazie alla quale generalmente il tono discendente è usato, in
inglese, per le informazioni principali mentre quello ascendente per informazioni considerate
minori o incomplete
- Funzione testuale (textual), permette di creare la struttura del discorso nella sua interezza e indica
per esempio il cambio d’argomento
- Funzione stilistica (stylistic), che permette di riconoscere e distinguere diversi tipi di linguaggio e
genere adottati.

David Crystal

- Emotiva, che esprime atteggiamenti quali l'impazienza o il sarcasmo


- Grammaticale, ruolo simile a quello svolto dalla punteggiatura nel testo scritto
- Informativa, indica che il parlante sta ponendo quanto dice come se fosse informazione nuova
- Testuale, che indica la suddivisione in paragrafi di significato differente
- Psicologica, nel qual caso viene utilizzata per facilitare la memorizzazione
- Indicale, che permette di identificare l'identità personale o sociale del parlante

Ivan Fònagy

- Segmentatrice e demarcativa
- Enfatica
- Grammaticale
- Sintattica
- Modale
- Imitativa
- Appellativa
- Logica
- Predittiva
- Allusiva
- Identificativa
- Di caratterologia vocale
- Espressiva
- Esplorativo-preparativa

Tullio De Mauro, invece, sottolinea come i vari tipi di intonazione possano segnalare:

- Il raggrupparsi delle parole fonologiche in unità più ampie, i sintagmi (gruppi unitari di parole
distinti in una frase)
- I rapporti, o alcuni rapporti, tra i sintagmi, come rapporti di predicazione o di incidentalità
- Il rilievo che si vuole dare, la focalizzazione o messa in rilievo di una tra le tante parole della frase
- Il termine delle frasi
- Particolari valenze delle frasi e/o delle loro enunciazioni: constatazione, esclamazione, dubbio,
interrogazione, minaccia. Al di là delle lingue tonali, come il cinese, in cui la variazione di tono di
una sillaba determina il significato o la classe grammaticale di appartenenza della parola, anche in
lingue come l'inglese e l’italiano l'accento della parola ne determina il senso (come nel caso di
àncora e ancòra) e/o la classe grammaticale (dìrect / dirèct). L’intonazione è determinata da due
toni principali, quello ascendente e quello discendente, e dalla combinazione degli stessi Il gruppo
tonale, vale a dire l'unità fonologica che consiste in una sequenza di unità ritmiche (piedi), contiene
una sillaba forte, cioè accentata, e una sillaba debole, cioè atona, e indica il modo in cui il parlante
sta organizzando le sue unità. Un gruppo tonico è l'espressione di un’unità di informazione e la
prominenza tonica segnala il culmine della nuova informazione, dando la possibilità al parlante di
creare il significato.

David Brazil

- Il referring tone (ascendente, discendente, ascendente) che indica un sapere condiviso


- Il proclaiming tone (discendente, ascendente, discendente) che indica un’informazione considerata
nuova
- Il level tone (indicante una curva melodica piana) suggerisce che il parlante è più focalizzato sul
linguaggio che non sull'informazione e cerca di mantenere un tono obiettivo senza aggiungere
significati tramite l'adozione di curve melodiche particolari. L’altezza tonale (pitch level) rappresenta
una scelta densa di significato: un’altezza tonale alta è contrastiva, quella bassa è equitativa, e
indica equivalenza, mentre un’altezza media è additiva, cioè aggiunge semplicemente delle
informazioni. “he gambled and lost” può significare cose diverse a seconda dell’intonazione:
contrastiva: // p he GAMbled // and lost (contrariamente l’aspettativa il soggetto a scommesso ha
perso), additiva (la frase si riferisce semplicemente al fatto che il soggetto abbia scommesso e
perso), equativa (come ci si aspetterebbe, il soggetto ha scommesso e perso).

Per interpretare un atto linguistico specifico, realizzato attraverso l’uso della lingua parlata, i partecipanti
devono decodificare correttamente quelle che Grice chiama implicature conversazionali, cioè tutti quei
significati che gli ascoltatori inferiscono dagli enunciati. Queste sono basate sul principio di cooperazione, si
inseriscono in una conversazione e dipendono, per la loro interpretazione, dal contesto. Si suddividono in:

I. Implicature conversazionali generalizzate, che si riferiscono a situazioni in cui non è necessaria


alcuna conoscenza speciale per poter valutare il significato aggiunto.
II. Implicature conversazionali scalari, grazie alle quali certe informazioni vengono comunicate
selezionando parole che esprimono un determinato valore all’interno di una scala di valori più
ampia. (Esempio: “la maggior parte di” / “alcuni” “molti” pochi, spesso ecc..
III. Implicature conversazionali particolareggiate, che si riferiscono al contesto specifico all’interno
del quale si articola la conversazione e da cui si potranno trarre informazioni per decodificare
l’implicatura
IV. Implicature convenzionali, che non si basano sul principio di cooperazione, non sono
necessariamente in una conversazione e non dipendono da un contesto specifico; sono
associate a parole specifiche come MA (che indica contrasto), ADDIRITTURA (accadimento di
qualcosa) e POI (aspettativa di cambiamento)

Un esempio di implicatura è la tautologia, infatti in enunciati come boys will be boys, non vi è valore
informativo o comunicativo, ma esprimono qualcosa di assolutamente ovvio. Se la tautologia è utilizzata
durante uno scambio comunicativo, mostra chiaramente l’intenzione del parlante di comunicare più di
quanto non sia effettivamente espresso dalle parole utilizzate. Affinché il risultato risulti efficace, la
collaborazione fra emittente e ricevente risulta fondamentale, poiché accettando le presupposizioni del
parlante, l’ascoltatore generalmente presuppone che il parlante non voglia sviarlo. Questa osservazione
condusse Grice a elaborare il principio di cooperazione, che permette al ricevente di un messaggio di
interpretare i significati aggiuntivi trasmessi attraverso le implicature e che il ricevente deve decodificare
sulla base delle sue conoscenze pregresse. Grice distingue le 4 massime secondo le quali il principio si
declina: massima della quantità (fornisce un contributo conversazionale opportuno, ossia tanto informativo
quanto richiesto, senza dare di più), massima della qualità (evita di dire ciò che reputi falso, di dire ciò della
cui fondatezza sei incerto o per cui non hai prove), massima della relazione (il tuo contributo deve essere
pertinente e non uscire di tema), massima della modalità (evita ambiguità di ogni sorta e l’oscurità di
espressione, oltre che alla prolissità non necessaria, e permette di essere ordinato nell’espressione).
Secondo Grice, al fine di aiutare gli interlocutori nella decodificazione del messaggio, i parlanti ricorrono
spesso ad affermazioni vaghe (hedges), ovvero espressioni che indeboliscono la forza illocutoria di
un’affermazione e che si pongono come note cautelative in relazione al modo in cui l’enunciato potrebbe
essere interpretato.

- nella massima della qualità: “per quanto ne so..”, “potrei sbagliarmi” ecc.;
- nella massima della quantità: “come forse già sapete”;
- nella massima della relazione: “non so se quello che sto dicendo ha importanza, in questo
contesto..”;
- nella massima della modalità: “non so se quello che sto per dire ha senso..”.

Nel momento in cui ci si accinge a decodificare un messaggio, occorre anche considerare l’impatto che la
cortesia ha sulla comunicazione. Secondo Penelope Brown e Stephen Levinson, molte delle inferenze su cui
si basano gli atti comunicativi poggiano sulle nozioni di “faccia” e “cortesia”. Il concetto di faccia si riferisce
all’astrazione e istituzionalizzazione del proprio “sé” da parte del parlante (Goffman). Si tratta di un concetto
da intendersi a livello sociale, che può declinarsi in modo difensivo (il parlante cerca di salvaguardare la
propria faccia) o protettivo (cerca di salvaguardare la faccia degli altri minimizzando quegli atti linguistici
che potrebbero porre una minaccia alla faccia altrui, face-threatening acts). Secondo Levinson, è possibile
distinguere fra faccia positiva (desiderio di piacere agli altri e venirne accettati e approvati), faccia negativa
(un individuo desidera poter vivere la propria vita senza che gli altri gli facciano pressioni). Anche la cortesia
può essere sia positiva che negativa, poiché ha come scopo di preservare la faccia positiva o negativa
dell’individuo. Entrambi i tipi prevedono strategie particolari: la cortesia positiva viene espressa attraverso
la dimostrazione di interesse, il riferimento a un bagaglio comune e il tentativo di ottenere approvazione o
comprensione; la cortesia negativa viene espressa attraverso l’utilizzo di formule conversazionali indirette e
il tentativo di minimizzare l’imposizione chiedono perdono per il disagio che potremmo causare
2.4 L’analisi della conversazione rappresenta un’altra disciplina nata con lo scopo di identificare e
sistematizzare i principi fondamentali della lingua parlata. L’analisi della conversazione si focalizza sulle
strutture della lingua parlata durante l’interazione tra i parlanti, il che significa che non studia solo la
conversazione informale, ma anche la lingua parlata così come viene utilizzata in ambienti professionali.
Quello dell’analisi conversazionale rappresenta un approccio basato sull’analisi dei dati e non richiede
necessariamente una partecipazione alla vita di una data comunità. Lo scopo è quello di de-familiarizzare
ciò che normalmente viene preso per scontato al fine di comprendere meglio i meccanismi che
costituiscono i fondamenti degli scambi comunicativi faccia a faccia. L’analisi conversazionale è soprattutto
interessata alla descrizione delle sequenze prodotte e indaga le strategie che i partecipanti adottano per
espletare il proprio turno o riparare ad un problema occorso durante il diritto alla parola oppure più in
generale nel corso dello scambio comunicativo. Nelle comunicazioni in ambienti interculturali potrebbero
operare sistemi di gestione dei turni differenti, in genere, per iniziare il turno i partecipanti devono
identificare il momento in cui il parlante precedente conclude il suo turno. Ci sono due meccanismi
principali che regolano l’allocazione dei turni:

I. L’etero-selezione, quando il parlante attuale può selezionare quello successivo, nel qual caso il passaggio
di turno può avvenire tramite designazione esplicita, che può compiersi mediante la direzionalità dello
sguardo o nominando o riferendosi direttamente al parlante successivo, o implicita, che può prevedere una
domanda o la produzione della prima parte di una sequenza complementare.

II. L’autoselezione, quando il parlante successivo seleziona se stesso intervenendo nella conversazione. La
persona che vuole attribuirsi il diritto alla parola deve essere consapevole che il parlante attuale potrebbe
decidere di continuare il proprio turno e potrebbe segnalare questa intenzione utilizzando un segnale
discorsivo di incompletezza (“ma”, “e”), che indica la volontà dell’interlocutore di procedere con la
produzione del proprio turno, o iniziando con un marcatore di incompletezza (“se”)

III. Rifiutandosi di concludere il proprio turno.

Nonostante l’indicazione generale fornita da Sacks sia “un parlante per volta”, in contesti naturali potrebbe
in realtà accadere che più una persona parli allo stesso tempo, con sovrapposizioni (quando più di un
parlante seleziona se stesso credendo che il primo interlocutore abbia terminato il turno), o interruzioni
(avvengono in momenti che non potrebbero mai essere interpretati come punti di rilevanza transazionale
rappresentano quindi atti linguistici ostili, intesi a negare il diritto del parlante attuale alla parola).

Secondo William Labov, l’allocazione ordinata dei turni non è sufficiente a garantire l'esistenza di
un'interazione significativa. L'interazione parlata è spesso strutturata sulla base di coppie di enunciati
adiacenti e complementari, in cui il secondo elemento dipende dal primo. Se la prima enunciazione è una
domanda, la successiva sarà interpretata o come una risposta (come una sequenza necessaria per mettere il
parlante nelle condizioni di rispondere alla domanda), oppure, nel caso di una prima parte posta come un
saluto, si provvederà una seconda parte che risponda a questo saluto. Se la seconda parte della sequenza
manca, indica che probabilmente il parlante non ha prodotto la seconda parte della sequenza
coscientemente e ha qualche scopo al fine di mandare un messaggio implicito al suo interlocutore, che
dovrà decodificarlo e inferire ciò che il parlante aveva intenzione di esprimere (ad esempio ira). L’alternanza
di turni che regola lo scambio di sequenze complementari è organizzata secondo un sistema preferenziale,
in base al quale se il primo turno dà al parlante che deve produrre il secondo turno una scelta per quanto
concerne la propria risposta (inviti, offerte, suggerimenti, proposte), occorrerà compiere una scelta fra una
risposta “preferita” e una “non preferita”. Per esempio, la risposta preferenziale a un invito o a una proposta
è l’accettazione, mentre solitamente un rifiuto è considerato una risposta non preferenziale ed è
tipicamente realizzato elaborando strategie mitigatrici. Le risposte preferenziali sono immediate e brevi,
mentre quelle non preferenziali sono più elaborate ed esitanti e potrebbero essere introdotte da marcatori
discorsivi come “beh”.
2.4 La sociolinguistica interazionale prende in considerazione il modo in cui le persone utilizzano il
linguaggio nel tentativo di spiegare queste differenze, ponendole in relazione con differenze non linguistiche
come classe, razza, genere ecc. Si basa sugli studi di sociolinguistica che si occupano principalmente di
questioni legate alla pronuncia e gli aspetti grammaticali. Nonostante ciò, la sociolinguistica interazionale si
focalizza anche su altri fenomeni che svolgono un ruolo importante nell’organizzazione dell’interazione
parlata, analizzando per esempio meccanismi come la turnazione. La turnazione si basa sul presupposto
che lo scambio di battute tra persone appartenenti a contesti culturali diversi non si riduce solo a elementi
linguistici superficiali ma è da mettersi in relazione ai presupposti che gli utenti di una lingua hanno
formulato riguardo al tipo di evento comunicativo qui stanno partecipando. Il tipo di osservazione
perseguito dalla sociolinguistica interazionale porta in primo piano la questione della comunicazione
interculturale ed enfatizza il fatto che le stesse strutture formali, compresa l’intonazione, potrebbero servire
a scopi diversi all'interno di gruppi di parlanti differenti. Lo studio condotto da Daniel N. Maltz e Rith A.
Borker analizza i diversi significati che comportamenti non linguistici potrebbero avere in contesti
interculturali concentrandosi per esempio sullo sguardo, sull’intonazione e su elementi paralinguistici come
l’esitazione, le pause e i contrasti di volume. Tale studio suggerisce che quando le donne utilizzano risposte
minimali come “si” o “no”, vogliono esprimere concisamente il significato di “sto ascoltando, vai avanti!”. Al
contrario, gli uomini utilizzano queste risposte per esprimere il loro assenso. Analogamente, è stato
suggerito che le donne hanno maggiori probabilità di interpretare il back channel (smorfie, scrolalte di
spalle, piccoli rumori etc) come un insieme di segnali specifici portatori di significato. vocalizzazioni come
“mmmm…” vengono solitamente interpretate dalle donne come un segnale che l’ascoltatore è in ascolto,
mentre negli uomini vengono interpretate dagli uomini come un segno di assenso.

2.5 L’analisi critica del discorso si concentra sulla dimensione ideologica del discorso e sui suoi secondi fini,
spesso nascosti.

Fairclough si focalizza sulle convenzioni implicite secondo le quali le persone interagiscono linguisticamente,
che lo studioso chiama “supposizioni del senso comune” che coincidono con ideologie specifiche, definite
come proposizioni che generalmente figurano come presupposti impliciti di un testo. Poiché l'ideologia
contribuisce alla produzione e alla riproduzione di relazioni di potere basate sull’ineguaglianza, essa viene
concepita dall'autore come un mezzo grazie al quale le relazioni sociali esistenti e le differenze nella
distribuzione del potere sono legittimate. È ben cosciente del fatto che il potere non si riduce
semplicemente una questione linguistica; tuttavia, riconosce che poiché il linguaggio partecipa
all'imposizione del potere, è importante studiare capire i suoi meccanismi per poter effettivamente sperare
di cambiare il linguaggio stesso. Fairclough si focalizza sul modo in cui il linguaggio viene utilizzato per
imporre o destabilizzare il potere e pone una differenza fondamentale tra il potere del discorso
(osservabile, per esempio, in interazioni sbilanciate a livello di potere e in casi in cui persone senza alcun
potere hanno un background culturale e linguistico diverso dalle persone che detengono il potere) e il
potere dietro al discorso (per esempio nel processo di standardizzazione della Received Pronunciation
dell'inglese britannico con la conseguente stigmatizzazione di altre forme, percepite come devianti).
Secondo Fairclough, quando le convenzioni sono regolarmente applicate al discorso, finiscono per
personificare dei presupposti ideologici che in seguito diventano senso comune e contribuiscono a
sostenere le relazioni di potere vigenti. L'ideologia è maggiormente efficace quando è apportata al discorso
non in modo esplicito ma come il presupposto che da un lato conduce gli autori a testualizzare il mondo
circostante in un certo modo e dall'altro porta i lettori a interpretare il testo secondo certi canoni.

Van Dijk invece cerca di colmare la distanza tra una microanalisi del soggetto (esemplificata) e una macro-
analisi (focalizzata su nozioni come potere, dominanza, ineguaglianza fra gruppi sociali diversi), tenendo
sempre a mente che nelle interazioni quotidiane e in molti testi scritti il micro livello e il macro livello
formano un tutto e funzionano sinergicamente.
Halliday costituisce la cosiddetta anti-lingua, ossia un discorso di opposizione utilizzato come alternativa
consapevole al discorso dominante, che corrisponde a un modo per ottenere una distribuzione del potere
più giusta nelle nostre società. L’anti-lingua potrebbe essere considerata un corrispondente del linguaggio
acratico di Barthes, cioè l’espressione di una rappresentazione della realtà relativa in forte contrasto con il
linguaggio encratico che le società dominanti impongono come universalmente vero, assicurando la sua
supremazia all’interno della società in cui viene parlato.

Barthes da la nozione di guerra dei linguaggi, secondo il quale per avere la propria versione della realtà
riconosciuta come veritiera e naturale, ogni società cerca di ottenere l'egemonia in relazione ad altri modi di
strutturare la società, imponendo dei modelli di intelligibilità e trasformando il proprio linguaggio, un tempo
acritico, in un linguaggio encratico. Secondo lo studioso, ogni giorno in una singola persona si accumulano
innumerevoli linguaggi, ognuno dei quali cerca di escludere gli altri, ed è proprio questa esplosione
dell’abilità di ascolto che rende l'individuo un essere alienato e lo costringe a lottare per non venire
sommerso dal linguaggio dell'altro. Per lui è la divisione della società borghese a creare e perpetuare la
divisione dei linguaggi per mantenere il proprio potere. Per questo motivo individua l'origine
dell'alienazione dell'individuo nelle nostre istituzioni culturali.

Sempre Fairclough, durante l'analisi dei testi, dice che il focus dello studioso dovrebbe costantemente
concentrarsi tanto su quello che è presente nel testo dato che i tipi di discorso che costituiscono la base del
testo stesso possono essere identificati con i micro e macro-livelli del discorso. Suggerisce che l'analista
debba porsi una serie di domande relative al testo analizzato, per esempio:

- Quale tipo di valore empirico le parole di un testo assumono, valutando se nel linguaggio dei
giornali o in quello pubblicitario il testo presenta parole che sono ideologicamente contestabili
- Se vengono sfruttate strategie di rewording o riformulazione
- Overwording (identificare qualcuno o qualcosa utilizzando un numero di parole che attira
l'attenzione sul soggetto stesso, identificandolo come differente e/o deviante)
- Oppositional wording

Poi dovrebbe identificare i valori relazionali delle parole, individuando quali relazioni di significato
ideologico collegano le parole presenti in un testo (es. nel caso dell’iponimia, per esempio, la parola
“totalitario” potrebbe essere inclusa nel significato assegnato a comunismo o fascismo); se ci sono parole
che si combinano con elementi negativi o positivi particolari; se i termini utilizzati operano un trasferimento
metaforico di una parola da un dominio all'altro (come nel caso della descrizione di popolazioni africane in
termini animalistici, spesso trovata nella letteratura colonialista o coloniale o come nel linguaggio dello
sport); se nel testo si fa ricorso a eufemismi con cui l'autore cerca di evitare di esprimere il valore negativo
associato a nozioni particolari (per esempio, gli eufemismi sono spesso utilizzati nel nukespeak, il discorso
sull’energia nucleare e le sue implicazioni militari e il modo in cui tale discorso prende spesso la forma di un
neologistico “politichese”, al fine di sradicare le associazioni negative attivate dal discorso stesso).

L'analista dovrebbe individuare poi il livello di formalità/informalità delle parole utilizzate nel testo, in
quanto esiste un legame tra la formalità della situazione, la formalità delle relazioni sociali e la formalità
del linguaggio utilizzato.

Spostandosi sul piano grammaticale, Fairclough suggerisce che l’analista dovrebbe porre domande analoghe
in relazione al valore empirico delle caratteristiche grammaticali presenti nel testo e ne dovrebbe analizzare:

 Il tipo di processi e di partecipanti che predominano


 Se sono le azioni, gli eventi o gli attributi ad essere enfatizzati
 Se l’agente viene posto in primo piano o relegato al secondo piano
 Se il testo ricorre alla normalizzazione
 Quali forme verbali sono quelle prescelte
 Se gli enunciati siano principalmente negativi o positivi

Dopo di che, si dovrebbero studiare i valori relazionali degli aspetti grammaticali come, ad esempio, quale
modo verbale sia maggiormente utilizzato, se siano presenti caratteristiche importanti di modalità
relazionale, quali pronomi appaiono di preferenza. (es. opposizione tra noi e voi). Successivamente, si
individuano i valori espressivi degli aspetti grammaticali, focalizzandosi sul tipo di modalità adottata, il
ricorso ad avverbi, il modo in cui le frasi sono collegate fra di loro e analizzando i connettori logici usati, (e
quali presupposti logici suggeriscono), se le frasi complesse sono organizzate in base a costruzioni
paratattiche o ipotattiche e che tipo di coesione è stata raggiunta

Per quanto riguarda la struttura testuale, Fairclough suggerisce all’analista di concentrarsi sulle proprietà
organizzative del testo nella sua interezza, differenziando il Dialogo e il Monologo. Per quanto riguarda il
dialogo, l’analista dovrebbe concentrarsi su:

 Sistema di turnazione
 Controllo che un partecipante può esercitare su un contributo degli altri parlanti
 Tolleranza in relazione a sovrapposizioni e silenzi
 Ricorso a formulazioni

Per il monologo (casi di articoli di giornale o discorsi ufficiali), invece, durante la fase di Interpretazione, gli
analisti critici del discorso dovrebbero focalizzare l’attenzione su:

 Forma superficiale degli enunciati


 Significato degli enunciati
 Coerenza locale degli enunciati
 Struttura del testo

In più dovrebbero collegare il testo a un repertorio di schemi, ossia le rappresentazioni dei modelli di
organizzazione tipicamente associate a tipi diversi di discorso, e individuare il contesto situazionale (cosa e
chi, il rapporto che li lega, il ruolo assunto dal linguaggio), il contesto intertestuale, i presupposti che i
lettori saranno pronti ad attivare e i tipi di atti linguistici coinvolti. Durante la fase di spiegazione, l’analista
dovrebbe cercare di raffigurare il discorso come parte di un processo e di una pratica sociale, mostrando il
modo in cui è determinato dalle strutture sociali e sottolineando quali effetti riproduttivi i discorsi possono
avere su quelle stesse strutture soprattutto in cui si realizzi un accumulo. Detto ciò, possiamo presupporre
che lo scopo è quello di identificare gli elementi sociali che determinano il discorso, le ideologie che
sottostanno al discorso e gli effetti che intende produrre. Difatti, gli analisti del discorso affrontano l'analisi
di tipologie testuali (scritte e parlate) diverse al fine di indagare questioni come l’ineguaglianza fra i sessi,
l’etnocentrismo, il razzismo e l’attenzione è rivolta al modo in cui il linguaggio viene utilizzato per costruire,
decostruire e ricostruire identità culturali.

2.6 Gli autori possono utilizzare per organizzare le informazioni all’interno del testo e infondere in esso
particolari ideologie (strategie morfosintattiche).

 Paratassi vs ipotassi  la scelta fra una costruzione paratattica e una ipotattica, determina l’enfasi
data a certi elementi a discapito di altri e può essere considerata parte integrante della forza
ideologica del testo stesso. Attraverso la paratassi (processi di coordinazione) e l’ipotassi (processi di
subordinazione) gli autori possono focalizzarsi su quegli elementi che considerano importanti da un
punto di vista informativo, portandoli in primo piano, e lasceranno in secondo piano altri elementi
poco importanti. Scegliendo una particolare struttura e decidendo in che modo segmentare il
proprio discorso compiono scelte importanti, decidendo se promuovere una proposizione sopra le
altre o se porla allo stesso livello, semplicemente aggiungendone un'altra. Nel primo caso si parla di
salienza, e una differenza nella costruzione indica anche una differenza di significato, giacché
l’ineguaglianza sintattica creata dall’ipotassi è sempre accompagnata da un’ineguaglianza
semantica. Il secondo aspetto è la sequenzialità e si riferisce all'importanza che l'ordine in cui i vari
elementi sono presentati nel testo assume.
 Forma attiva vs forma passiva si può comunicare particolari posizioni ideologiche attraverso la
passivazione (in cui la responsabilità dell’azione diviene sempre meno esplicita, il soggetto diviene
complemento d'agente e dunque ha meno enfasi e la responsabilità dell'azione viene occultata).
 Costruzioni verbali vs costruzioni nominali  la nominalizzazione si riferisce alla possibilità
strutturale di realizzare sintatticamente dei predicati come sostantivi (denominati nominali derivati).
Il ricorso a forme nominali permette l'obliterazione di certe informazioni, oscurando così la
responsabilità dell’azione descritta.
 Verbi transitivi vs verbi intransitivi la transitività non indica semplicemente la possibilità per un
verbo di avere un soggetto ma si riferisce al fatto che nel caso di un verbo intransitivo gli effetti
dell’azione rappresentata si ripercuotono solo sul soggetto, mentre nel caso di un verbo transitivo
hanno delle ripercussioni anche su altre entità e sulla realtà che circonda il soggetto. La transitività
offre agli utenti del linguaggio diverse possibilità riguardo al modo in cui possono descrivere la
realtà. Halliday afferma che “la transitività non indica solo la possibilità di avere un oggetto, ma che
nel caso di un verbo intransitivo, si ripercuotono solo sul soggetto”.

2.7 Gli autori hanno anche una serie di strategie lessicali che gli permettono di infondere, nei testi, letture a
volte talmente ideologizzate del mondo e della realtà. La prosodia semantica si fonda sul concetto di
combinazione lessicale di William Louw e John Sinclair e indica il fatto che elementi lessicali particolari sono
solitamente associati a eventi piacevoli oppure spiacevoli. La valutazione favorevole o sfavorevole
dell'autore trova espressione in un elemento particolare associato a uno o più elementi con cui compare
spesso in combinazioni lessicali particolari, ad esempio, il verbo cosa che è sfavorevole dato che si combina
generalmente con elementi lessicali particolari, talvolta l'autore potrebbe utilizzare la prosodia semantica
per esprimere i propri sentimenti e atteggiamenti o per influenzare quelli del ricevente seppur in modo
sottile e subliminale. ES: prosodia particolare in certe occasioni ma non in altre “to happen” che può essere
trovato in situazioni spiacevoli, neutre o piacevoli. L’information packaging è invece il modo in cui le
informazioni nei testi vengono organizzate. È oggetto di studio della grammatica funzionale di Halliday, il cui
scopo è di capire in che modo il sistema linguistico permette agli autori di codificare e decodificare
significati coerenti. La grammatica ci permette di comprendere perché alcuni testi sono più efficaci di altri
nel comunicare informazioni o persuadere le persone a fare qualche cosa, e può aiutarci a comprendere la
natura della propaganda e le ragioni che sottostanno al successo di campagne politiche, pubblicitarie ecc. Ci
sono numerose occasioni in cui la priorità viene data a scopi differenti oltre alla sola trasmissione di
informazioni. Generalmente la struttura tematica e la struttura informativa, nella quale i due sistemi di
analisi correlati coinvolti nell'organizzazione e nella struttura di un enunciato, coincidono. In un enunciato
non marcato, il dato, ossia la conoscenza condivisa su cui l'autore vuole portare l'attenzione del ricevente,
viene posto all'inizio dell'enunciato e seguito dall’informazione nuova. Questa struttura informativa di dato
e informazione nuova trova un parallelo nella struttura dell’enunciato in cui il tema viene posto all'inizio e
fatto seguire dal rema: in un enunciato non marcato, il tema coincide con il dato e il rema con il nuovo.
Solitamente, il rema ha un dinamismo comunicativo maggiore del tema e mantiene alto il livello di interesse
del ricevente. Il rema può apparire in posizione finale (“Jack ha pagato il conto e siccome era molto caro, ha
contribuito anche Mary”). Nelle lingue che palesano un ordine delle parole piuttosto libero come l'italiano,
si verrà a creare una tensione minore fra i requisiti della sintassi e quelli delle funzioni comunicative. Il
termine tematizzazione fa riferimento alla tendenza generale che conduce gli autori organizzare le frasi in
modo da attirare l'attenzione su quanto si considera comunicativamente importante. Se il rema viene posto
in posizione tematica, quella che in realtà corrisponde a un’informazione nuova, è presentato come
informazione data e assume il ruolo di conoscenza condivisa.
Althusser afferma che l'ideologia fornisce una struttura concettuale attraverso cui le persone interpretano
le proprie condizioni materiali e determina e produce la cultura e l'identità stessa degli individui. È il
contesto a dare ai riceventi un’idea sul modo in cui gli elementi lessicali sono utilizzati, se denotativamente
o connotativamente. Con la denotazione, il modo in cui gli elementi lessicali si riferiscono a un referente nel
mondo reale. In base al contesto in cui l'elemento si trova, lo stesso termine può assumere dei valori
connotativi differenti, suggerendo al ricevente del messaggio caratteristiche più o meno piacevoli. Ad
esempio, il significato denotativo di “cane” ricopre solo quello che viene denominato significato prototipico,
ovvero animale a quattro zampe ecc. Con la connotazione, viene espresso un significato aggiuntivo di un
elemento lessicale, che permette agli autori di trascendere il significato prototipico di una parola,
caricandolo con particolari significati (il termine rat può essere associato a malattie, sporcizia, cattiveria
oppure all'avanzamento della ricerca scientifica).

Alan Partington, in riferimento alla lingua inglese, attraverso la connotazione trova espressioni di tre diversi
fenomeni:

- Class and regional origin, age, sex and relationships between speakers (“awful”)
- The speaker’s favourable or unfavourable evaluation
- Particolar denotations assumed by lexical items within a specific culture.

Dal momento che i vari modi in cui l'ideologia si esprime nella nostra cultura corrispondono al modo in cui
utilizziamo il linguaggio per rappresentare il mondo che ci circonda e la nostra posizione in esso infatti,
secondo Roger Fowler, qualsiasi aspetto della struttura linguistica può trasmettere un significato ideologico.
Il linguaggio può costruire l'altro a più livelli, per esempio in termini di genere, relegando la donna al ruolo
di altro femminile, o in termini di razza, relegando certe comunità alla posizione dell'altro subumano. Per
esempio, in inglese e nelle lingue romanze il genere maschile è spesso considerato il termine universale in
opposizione al femminile, considerato particolare e quasi un'eccezione. Si parla di uomo nel senso generale
di umanità, quando ci si riferisce a qualcuno si utilizza un pronome maschile... Questo sessismo è intrinseco
alla struttura delle nostre lingue e non può essere sradicato con facilità. Eppure, gli sforzi per pianificare la
lingua in modo da limitare gli elementi sessisti in essa sono ormai una costante. Lincoln Konkle dice che
l'unica speranza sarebbe quella di distruggere tutti i significati patriarcali che vengono utilizzati per il
femminile e per il maschile, ricominciare da capo, creare nuove rappresentazioni di genere non basate su
un'etimologia di inferiorità e superiorità. Tuttavia, non prende in considerazione il fatto che il significato è
contestuale e che non può essere considerato intrinseco al linguaggio come tale ma dipende principalmente
dal contesto in cui il linguaggio viene utilizzato. L’uso di elementi lessicali fortemente connotativi è tipico del
linguaggio dei media, che spesso esprime l’ideologia dell’autore attraverso le scelte lessicali. Christine
Brooke-Rose dice che il linguaggio NON È MAI INNOCENTE, ma è sempre utilizzato per vendere qualcosa e è
sempre portatore di un’ideologia particolare. Fowler dice che la lingua non è neutra, ma un mediatore
altamente costruttivo. La notizia è una rappresentazione del mondo in lingua e, dato che la lingua è un
codice semiotico, impone una struttura di valori. La linguistica critica e l’analisi critica del discorso studiano i
meccanismi linguistici utilizzati per trasmettere una certa ideologia del linguaggio, pongono l’enfasi sulla
nozione che il significato non è indipendente dal contesto e che dipende dalle conoscenze condivise dai
partecipanti dell’atto comunicativo.

CAP 3

La sociolinguistica studia il legame tra la lingua e la società in cui viene utilizzata. Il linguaggio verbale qui
appare non solo come il risultato di capacità innate degli esseri umani, ma si realizza nella vita sociale e
nelle interazioni che i parlanti intrattengono con quanti li circondano. Sono proprio i fattori sociali a
condizionare i fenomeni linguistici e a portare all’esistenza di diverse varianti linguistiche, e per questo la
nozione di contesto è essenziale. Durante gli ultimi 70-75 anni l’approccio allo studio della lingua è
notevolmente cambiato, grazie all’apporto di studiosi che hanno iniziato a porre l’enfasi sull’idea che per
decodificare un messaggio correttamente è necessario prendere in considerazione sia la situazione specifica
in cui avviene lo scambio comunicativo, sia il retaggio culturale da cui nasce questo scambio. Ci si può
riferire a questo atto comunicativo anche come discorso, che può essere inteso come lingua in uso e come
lingua per la comunicazione. Il discorso è sia un’entità linguistica, sia una costruzione sociale, l’insieme delle
regole del linguaggio che vengono concretamente vissute e si affermano all’interno di spazi intersoggettivi
più o meno ampi. Se concepito nei termini di lingua in uso, ossia il modo in cui la lingua viene utilizzata nella
forma scritta e nella forma orale, il termine discorso implica la nozione di contesto. Inteso come lingua di
comunicazione, invece, ovvero si riferisce al modo in cui comunichiamo, fa riferimento agli scopi che
inducono a scrivere e/o a parlare.

3.1 Il contesto culturale può essere definito come il background culturale totale che sottostà a qualsiasi
testo che determina il suo significato. Da un punto di vista sociolinguistico e antropologico, corrisponde a
ogni aspetto della vita umana che sia socialmente determinato.

Edward Barnett Taylor è il primo a definire la parola cultura e sosteneva che corrispondeva a quell’insieme
complesso di elementi di cui fanno parte la conoscenza, le credenze, l’arte, la legge e i costumi di una data
comunità.

Giuliana Garzone, invece, dice che è possibile individuare due nozioni principali: una fa riferimento agli
aspetti visibili ed empiricamente osservabili della vita di una narrazione/comunità; l’altra si considera come
una definizione più antropologica che si situa ad un livello più alto di generalizzazione e riguarda aspetti più
invisibili come le credenze, i valori…

E.T. Hall distingue cultura alta (esterna all’individuo e si riferisce a un particolare insieme di conoscenze che
possono essere apprese), cultura bassa (interna, collettiva e più che appresa può essere acquisita). Questa
differenziazione richiama quella tra cultura formale e cultura informale e la divisione proposta da Gail L.
Robinson tra cultura esterna e cultura interna. Questa definizione deve essere interpretata nei termini di un
modello mentale condiviso da intere nazioni o comunità.

È possibile individuare vari modelli di una cultura elaborati in ciascuna scuola di pensiero:

- Il modello a tre strati di Trompenaars, dove lo strato più esterno corrisponde ai manufatti, quello
centrale alle norme e ai valori e quello più interno alle presupposizioni di base
- Il modello a cipolla di Hofstede, secondo cui nello strato più esterno sono collocate le pratiche, in
quello successivo i simboli, eroi, riti fino ai valori situati al centro
- Il modello dell’Iceberg di Brake sulla base della triade culturale di Hall, secondo la quale esistono
una cultura tecnica (corrisponde alla comunicazione della scienza e coincide con la punta
dell’iceberg), una cultura formale (identifica il modo di fare le cose generalmente accettato in una
data comunità e si riferisce alle tradizioni, alle regole di comportamento. È strettamente legato
all’appropriatezza e nel modello dell’iceberg corrisponde al livello appena sotto il livello dell’acqua),
una cultura informale (atteggiamenti che i parlanti di una data comunità assumono nei confronti di
certe azioni, della comunicazione, dell’individualismo e nel modello dell’Iceberg si situa ben al di
sotto del livello dell’acqua. È determinata dalla forza illocutoria degli enunciati e dal loro significato
connotativo, per questo rimane invisibile)
- Franz Boas, che iniziò a discutere i legami esistenti tra linguaggio, pensiero e cultura, sostenendo
che la forma del linguaggio adottata viene necessariamente plasmata dallo stato della cultura.
- Bronislaw Malinowski ed Edward Sapir, con la nozione di Relativismo Culturale, secondo la quale il
linguaggio non può esistere al di fuori della cultura. Secondo l’ipotesi Sapir-Whorf, il linguaggio può
essere interpretato solo all’interno di una cultura e non esistono due linguaggi sufficientemente
simili da poter indurre a pensare che essi rappresentino la stessa realtà. Se è vero che il contesto
culturale fa da sfondo e determina certi comportamenti verbali e non verbali che occorrono durante
la comunicazione è pur vero che molto di quanto accade durante un atto comunicativo è
determinato dalla situazione in cui i partecipanti si trovano coinvolti. La versione più assolutista
dell’ipotesi (= linguaggio che determina il modo di pensare), è stata invece più volte contestata.

3.2 La lingua è chiaramente influenzata da innumerevoli aspetti socioculturali e il significato generale di un


testo deve essere compreso in senso pragmatico prendendo in considerazione non solo le intenzioni
dell’emittente del messaggio, ma anche variabili essenziali come i partecipanti all’atto comunicativo,
l’argomento in oggetto, l’ambiente spaziale e temporale. Un testo potrebbe essere visto come una rete di
relazioni, ognuna delle quali assegna significati differenti e che perciò può essere interpretato solo nel
momento in cui vengono poste in relazione le une con gli altri. Il linguaggio può essere concepito come un
sistema il cui scopo è quello di produrre dei significati: un sistema semantico in cui i significati sono espressi
tanto dalle strutture grammaticali quanto dal lessico.

Halliday parla di teoria sistemica, che si propone come una teoria del significato come scelta e conduce ad
un’interpretazione del linguaggio come una serie di reticolati che presentano diverse opzioni concatenate
ma esclusive. Egli sostiene che ogni punto della rete sistemica specifica necessariamente un ambiente e una
serie di possibilità, tra le quali una sola verrà selezionata. Il linguaggio è un tipo particolare di sistema,
poiché fa riferimento all’ambiente socioculturale in cui i parlanti vivono, e può essere inteso come attività
sociale in due accezioni: è correlato al sistema sociale che spesso si definisce come sinonimo di cultura; è
interessato alla connessione con la relazione sociale. Halliday non rifiuta altri approcci di questo tipo ma
cerca di dare una spiegazione al linguaggio in prospettiva sociale, e afferma che l’analisi del discorso
generalmente mira sia a comprendere il testo sia a valutarne l’efficacia. Quest’ultimo scopo è raggiunto
interpretando il testo, il contesto culturale da cui ha avuto origine, il contesto situazionale in cui è inserito e
la relazione sistemica esistente tra testo e contesto.

Malinowski introduce la distinzione tra contesto culturale e contesto situazionale. Il contesto situazionale è
il contesto extra-testuale di un testo ed è necessario comprendere sia gli indizi linguistici sia quelli legati alla
situazione (già implicito nel contesto comunicativo di Jakobson). Conoscere il contesto situazionale implica
interpretare il linguaggio in modo appropriato in relazione al contesto sociale, acquisendo la competenza
comunicativa (di Hymes).

J.R. Firth si focalizzò sulla nozione di contesto situazionale. Cercò di sviluppare lo studio di Malinowski per
individuare la relazione fra uso del linguaggio e contesto e identificò:

- Partecipanti (con status e ruolo)


- Azioni verbali e non dei partecipanti
- Avvenimenti e oggetti rilevanti
- Effetti delle azioni verbali

Hymes elaborò un’altra analisi componenziale del contesto situazionale e identificò:

- Partecipanti
- Forma del messaggio
- Contenuto del messaggio
- Ambiente
- Mezzo di comunicazione
- Intento della comunicazione
- Tono
- Genere
- Norme di interazione
J. House elaborò un modello per l’analisi del contesto in ambito traduttivo e identificò una serie di
dimensioni che risultarono utili per mettere a confronto il testo fonte e quello d’arrivo. Individuò così:

- Dimensioni proprie dell’utente del linguaggio: origine geografica, classe sociale e momento storico
- Dimensioni dell’uso del linguaggio: mezzo (scritta/parlata), partecipazione (dialogo/lettera),
relazione sociale (amicizia/lavoro), atteggiamento sociale (freddezza/intimità), provincia (ambito
dell’argomento).

Questo modello si basa su un confronto sistematico del testo fonte e di quello d’arrivo utilizzando le variabili
identificate da Halliday come determinanti per la scelta di un registro, prevedendo diverse fasi preliminari
necessarie per lo sviluppo di un progetto traduttivo efficace. Secondo House è necessario poi stilare un
profilo del registro che caratterizza il testo fonte, descrivere il genere in cui il testo fonte può essere fatto
rientrare e produrre uno statement of function che aiuti ad individuare l’informazione messa a disposizione
dal testo fonte e la relazione che esiste tra emittente e ricevente. In seguito, il traduttore dovrà produrre lo
stesso processo anche per il testo d’arrivo. I due modelli verranno poi confrontati per evitare errori e
categorizzarli in due gruppi differenti: overtly erroneous errors, mismatches basati sull’aspetto denotative
della lingua o inadeguatezze che si riferiscono al sistema di arrivo e covertly erroneous errors, ovvero errori
provocati da un’interpretazione scorretta della relazione tra genere, registro e contesto situazionale extra-
linguistico. Così, la traduzione può essere valutata e identificata come overt (non pretende di essere un
originale e il lettore d’arrivo realizza di trovarsi di fronte a un testo per cui non era prestito come lettore
ideale) o covert (raggiunge lo stato di testo originale nella cultura d’arrivo)

Il registro coincide con il modo in cui gli autori di un enunciato si esprimono in contesti situazionali
particolari. I registri e i dialetti sono fattori determinanti nella situazione comunicativa. Dal momento che gli
autori utilizzano registri differenti per esprimere significati diversi a seconda dell’attività sociale in cui sono
coinvolti, i registri tendono a riflettere dei tipi di discorso convenzionalmente accettati che differiscono l’uno
dall’altro. Le tre variabili principali che determinano il registro sono:

 Campo, che si riferisce all’argomento discusso o all’attività svolta. Il campo del discorso comprende
quindi l’evento, l’ambientazione temporale e spaziale, i partecipanti, ciò che essi conoscono, ciò
che credono
 Tenore, che indica le relazioni sociali esistenti tra i partecipanti in termini di potere e di status.
Esprime l’atteggiamento dell’autore del messaggio e può essere espresso attraverso una serie di
strategie linguistiche. È possibile parlare di registro formale, informale o neutro a seconda della
relazione che esiste tra i partecipanti all’evento comunicativo. Il registro formale è caratterizzato
dall’utilizzo di una sintassi esplicita e dall’uso di connettivi colti, dalla verbosità che risulta spesso in
incisi e subordinate, da un lessico vario e articolato, dal ricorso a prestiti e dall’uso di forme
impersonali. Un registro informale si caratterizza per la presenza di una sintassi semplice e poco
articolata, per l’uso di connettivi, per il ricorso ad un lessico di base
 Modo, che riguarda il modo in cui il linguaggio è utilizzato, l’organizzazione del testo

La differenziazione tra lingua scritta e lingua parlata si rivela in realtà essenziale. Nonostante il lessico possa
risultare uguale, la grammatica è molto spesso profondamente diversa, e queste differenze risultano
determinanti nella scelta del registro. È possibile asserire che le funzioni informative vengono più facilmente
espletate da testi scritti, mentre le funzioni interpersonali saranno facilmente associate a testi orali. Anni
’50🡪 Firth sottolinea la necessità di studiare anche la lingua parlata. Questo perché alla lingua scritta veniva
affidata la regolamentazione della società e ciò determinò il suo prestigio e la sua autorità. Halliday sostiene
che ci sono diverse ragioni che conducono a usare la lingua scritta, che egli distingue da quelle della lingua
parlata:

- Action and social contact  la scrittura è utilizzata soprattutto per l’azione, per esempio la
segnaletica pubblica, le etichette sulle confezioni di prodotti alimentari, le ricette culinarie, le
cartine geografiche, le bollette, i menù. Ma viene utilizzata anche per i contatti sociali, per esempio
la corrispondenza personale, le email, gli sms
- Information  la lingua scritta viene utilizzata primariamente per trasmettere informazioni, per
esempio i giornali, i libri di testo, gli avvisi pubblicitari
- Entertainment  la lingua scritta viene utilizzata ai fini dell’intrattenimento, per esempio i romanzi,
i fumetti, le riviste

Queste non sono ovviamente categorie nette, in un testo ci può essere più di una funzione. La scrittura
riduce il linguaggio a qualcosa che esiste, piuttosto che a qualcosa che accade, ecco perché Halliday parla di
lingua scritta come un prodotto e di lingua parlata come un processo. La lingua scritta offre una
rappresentazione del mondo sinottica e statica, mentre la lingua parlata ne offre una descrizione dinamica.
In aggiunta, la lingua scritta usa preferibilmente dei gruppi nominali, mentre la lingua parlata preferisce le
proposizioni. Nella lingua parlata, la complessità grammaticale sostituisce in parte la densità lessicale della
lingua scritta ma si presenta come grammaticalmente più semplice. Una delle differenze sostanziali tra
grammatica scritta e grammatica orale si riferisce al fatto che la lingua parlata è più facilmente legata al
contesto rispetto a quella scritta, e dipende dalla situazione. Un’altra distinzione riguarda il modo in cui il
discorso orale viene riportato nella lingua parlata e in quella scritta: esso viene spesso riportato in modo
indiretto, nella conversazione informale, o in apertura o semplicemente a supporto di quanto viene
discusso. Questo può rendere conto del fatto che, nella modalità parlata, le strutture grammaticali possono
essere create da più partecipanti e comprendere più turni conversazionali. In effetti, un approccio
grammatico-discorsivo intende la struttura come un processo collaborativo e di negoziazione. La
grammatica diventa quindi discorso e suggerisce un modello descrittivo alternativo, coinvolgendo parlanti e
ascoltatori, e non solo messaggi. La conversazione contiene una gran quantità di elementi lessicali la cui
funzione è principalmente relazionale o inter-relazionale e non solo transazionale. Durante la
conversazione, il ruolo dei parlanti può cambiare e un parlante può di conseguenza dominare la selezione
del lessico in momenti differenti.

Nella lingua parlata si fa uso di parole più vaghe e generali, si ricorre ad espressioni fisse e all’utilizzo di
espressioni idiomatiche. Queste ultime sono studiate da Strassler e vengono utilizzate più facilmente
quando un parlante dice qualcosa su una terza persona o un’altra entità non umana come un oggetto,
rispetto a quando il parlante si esprime su se stesso o sui suoi ascoltatori. Labov sottolinea la funzione
valutativa delle espressioni idiomatiche, sostenendo che esse si palesano nei momenti cruciali delle storie
quotidiane, quando sia il parlante sia l’ascoltatore valutano gli eventi della narrazione. Nella scelta del
lessico utilizzato, la selezione delle espressioni idiomatiche è condivisa dai partecipanti e arricchisce la
natura interattiva dello scambio comunicativo. Halliday sottolinea che la mancanza di struttura della lingua
parlata corrisponda in realtà ad un mito, dal momento che la stessa è assolutamente strutturata, anche se in
modo diverso da quella scritta: diventa quindi possibile parlare di una grammatica orale, dato che il
linguaggio costituisce un sistema a tre strati in cui il livello semantico interagisce con il livello lessico-
grammaticale e, a seconda che si stia utilizzando la lingua parlata o quella scritta, con quello fonologico o
quello grafologico. L’intonazione può svolgere anche una funzione grammaticale. Il modo in cui i vari
elementi caratteristici della lingua scritta e di quella parlata interagiscono tra di loro dipendono tanto dal
contesto culturale quanto da quello situazionale. Un’interpretazione sbagliata del registro potrebbe portare
a delle incongruità, pertanto può essere definito non solo come sotto-codice di un linguaggio, ma anche
come una variante linguistica che cambia in base alla sua funzione e alla situazione. Esso si collega, pur
differenziandosene, ai dialetti, intesi sia come varietà diatopiche della lingua sia come varietà diastratiche.
Mentre i registri si riferiscono al modo in cui gli individui utilizzano la lingua in determinati contesti
situazionali, i dialetti di riferiscono a caratteristiche inerenti agli utenti stessi e si distinguono a livello
fonetico, fonologico, lessicale e grammaticale, ma non a livello semantico. Le diverse specificità dei dialetti
individuano il parlante sulla base del suo luogo di origine, della sua classe sociale, del suo livello di
scolarizzazione, del suo genere sessuale della sua età. Esistono vari tipi di sotto-dialetti:
- Dialetto standard, che si basa sul processo di standardizzazione intrapreso da varie istituzioni. In
italiano non esiste una vera e propria varietà dialettale standard, poiché il paese è caratterizzato da
un elevato numero di varianti regionali. Caratteristiche generali di questa lingua standard sono la
semplificazione della coordinazione, l’utilizzo del “che” polivalente e “gli” spesso usato al posto del
“a loro”. Da un punto di vista lessicale, si nota il ricorso a un lessico generico e vago, parole
espressive e informali, diminutivi, superlativi. Da un punto di vista verbale, si nota l’uso del passato
prossimo spesso usato come passato remoto, il tempo presente utilizzato come futuro e il passato
prossimo al posto del futuro anteriore
- Idioletto, che esprime la personalità dell’individuo e si riferisce alle abitudini linguistiche peculiari
delle singole persone
- Dialetto temporale, permette ai riceventi di assegnare un testo a un periodo specifico, quindi indica
gli sviluppo della lingua (nel caso dell’inglese, dall’anglosassone all’inglese standard
contemporaneo), e si riferisce a fenomeni come il linguaggio dei bambini e quello giovanile.
Quest’ultimo è particolarmente rilevante per i traduttori che devono essere ben consapevoli delle
sue caratteristiche (e delle sue variabili diatopiche, diafasiche e diastratiche) sia nella lingua di
partenza sia in quella d’arrivo.
- Il dialetto geografico, che si divide in intra-nazionale (permette ai riceventi di identificare il luogo di
origine dell’autore. In Italia è possibile identificare tre tipi
generali di dialetti: settentrionale, toscano e centro-
meridionale. Ognuna di queste categorie si articola in
innumerevoli sotto-categorie) e inter-nazionale (rende
conto della diffusione dell’inglese come lingua
internazionale e delle varie caratteristiche che distinguono
le diverse forme di inglese parlate nel mondo). Con
modello di Braj Kachru è possibile osservare come
all’inner circle appartengano i paesi tradizionalmente di
lingua inglese, all’outer circle i paesi in cui l’inglese non
corrisponde alla lingua materna ma ha assunto una
grande importanza e all’expanding circle i paesi in cui
l’inglese non ha alcun ruolo storico o istituzionale ma è
tuttavia ampiamente utilizzato
- Dialetto sociale, che permette ai riceventi di identificare l’origine sociale degli autori sulla base della
loro affiliazione a una determinata classe sociale. In Italia, si distinguono registri popolari e eruditi.
primo è stato identificato come la verità linguistica studiata a scuola da persone che hanno come
lingua materna un dialetto particolare, ed è fortemente marcato da strutture morfosintattiche
substandard che lo rendono unico. In Gran Bretagna, il dialetto fa capire la classe sociale di una
persona, mentre in Italia esso fa capire da dove proviene una persona.
- Dialetto di genere, che identifica varie differenze nel modo in cui gli uomini e le donne utilizzano il
linguaggio. Le donne parlano essenzialmente per mantenere la loro indipendenza, mentre gli
uomini usano il linguaggio per stabilire un rapporto di intimità. Jennifer Coates sostiene che le
donne tendono ad usare risposte minime, sono meno propense ad interrompere gli interlocutori e
generalmente utilizzano più spesso avverbi e verbi modali, contribuiscono e partecipano alla
discussione, costruendo un discorso cooperativo. Durante la conversazione cui prendono parte sia
uomini che donne, questa differenza crea l’impressione che le donne interrompano il discorso più
facilmente. Ciò non corrisponde a verità, tant’è che gli studi dimostrano che in realtà sono gli
uomini a interrompere con maggiore frequenza il turno del loro interlocutore. In fase di traduzione
occorrerà adottare strategie che permettano di esprimere lo spirito che, nel testo fonte, potrebbe
essere creato dall’uso di questa verità specifica. Le caratteristiche del dialetto di genere possono
essere internazionali e/o interlinguistiche, altre potrebbero non essere considerate tali.
La scelta se utilizzare o meno un dialetto dipende dal contesto situazionale e dalla funzione dell’atto
comunicativo specifico, oltre che dagli obiettivi che i partecipanti allo stesso si prefiggono.

3.3 Secondo Halliday, le componenti linguistiche del significato sono fondamentalmente funzionali. La
lingua “si presenta come si presenta”, anche a livello formale e superficiale, proprio perché deve
raggiungere certi scopi e svolgere determinate funzioni. Chiama meta-funzioni quelle macro-funzioni
semantiche corrispondenti alle rappresentazioni astratte degli scopi che la lingua deve realizzare, che
potrebbero essere viste come una rielaborazione del modello funzionale di Jakobson, secondo cui a
seconda del fattore cui viene data rilevanza nel suo modello comunicativo, l'atto linguistico avrà una
funzione differente. Sovrapponendo i due modelli si potrebbe sintetizzare quanto asserito da Jakobson:

 L’atto linguistico ha una funzione emotiva se l’enfasi è posta sull’emittente del messaggio, quindi
questa funzione ha come scopo quello di esprimere l’atteggiamento dell’autore nei confronti
dell’argomento di cui sta parlando o scrivendo;
 Il linguaggio ha una funzione conativa se si focalizza sul ricevente del messaggio nel tentativo di
ottenere certi risultati da lui o da lei, quindi questa funzione si occupa principalmente delle relazioni
interpersonali tra interlocutori;
 L’atto linguistico ha funzione referenziale quando l’attenzione è focalizzata sul contesto, quindi è
una funzione che assume il linguaggio quando viene utilizzato per dare o scambiarsi informazioni.
 L’atto linguistico ha funzione poetica quando l’enfasi è posta sul messaggio stesso.
 Il linguaggio ha funzione fatica nelle occasioni in cui viene utilizzato per stabilire, mantenere o
eliminare un contatto tra l’emittente e il ricevente del messaggio. Comprende tutte quelle
espressioni che l’emittente utilizza per accertarsi che il ricevente sia fisicamente in grado di ricevere
il messaggio oppure sia concettualmente e intellettualmente capace di seguire quanto viene detto o
scritto dall’autore.
 Il linguaggio ha funzione metalinguistica quando l’enfasi viene data al codice stesso e appare
preponderante nelle situazioni in cui il linguaggio viene utilizzato per parlare del linguaggio stesso e
dei suoi meccanismi.

Partendo da questo modello, Halliday individua tre macro funzioni: la ideale, che rappresenta il linguaggio
utilizzato per comprendere l’ambiente che ci circonda (funzione referenziale. Chi parla o scrive affida alla
lingua le sue conoscenze del mondo; linguaggio utilizzato per dare informazioni); l’interpersonale, utilizzata
per agire su gli altri nell’ambiente (il linguaggio viene utilizzato per esprimere il potenziale di significato del
parlante nel tentativo di influenzare gli atteggiamenti e i comportamenti degli altri); la testuale, che assicura
che ciò che viene detto o scritto sia rilevante e possa porsi in relazione con il contesto nel quale è inserito
(rappresenta il potenziale che l’emittente ha di produrre un testo coerente e coeso nella sua discussione).
Halliday pone in relazione le meta-funzioni con altri aspetti della grammatica, suggerendo:

- La funzione ideale, rappresentata dalla transitività che si riferisce a come sono interpretati e
espressi i processi
- La funzione interpersonale, rappresentata dalla selezione, da parte dell’emittente, di un ruolo
particolare nell’evento comunicativo, dalla scelta di ruoli che assegna al ricevente e dall’espressione
delle proprie valutazioni e predizioni
- La funzione testuale, rappresentata dalle strutture tematiche che esprimono il modo in cui il
messaggio è organizzato

John Firth elaborò la nozione di combinazione lessicale per indicare il fatto che certe parole solitamente si
presentano insieme. Da un punto di vista psicologico, una parola acquisisce perciò certe associazioni sulla
base del significato delle parole con cui tende a co-occorrere nel sistema linguistico e l’interrelazione di
queste combinazioni lessicali permette di percepire certe combinazioni come usuali o inusuali. È possibile
distinguere tra combinazioni lessicali generali, tecniche o personali, oltre al fatto che possono essere fisse
(proverbi, citazioni e idiomi) o variabili. Le famose “unrestricted collocations” di Carter, invece, si riferiscono
a situazioni in cui un singolo elemento lessicale (fat, bright, head) si può unire a una vasta gamma di altri
elementi. La capacità di riconoscere una combinazione lessicale come usuale o inusuale è parte della
competenza linguistica del madrelingua. Tuttavia, anche un parlante nativo non sarà sempre d’accordo
sull’accettabilità o inaccettabilità di una combinazione lessicale, lasciando aperta la possibilità all'autore di
creare delle combinazioni personali adottando quelle che sono generalmente considerate combinazioni
lessicali fisse.

3.4 L’espressione contesto si riferisce al contesto linguistico di un testo, quello che permette ai riceventi di
identificare tutti gli elementi testuali da un punto di vista morfosintattico e che li mette nelle condizioni di
poter riconoscere la relazione che esiste tra un elemento e tutti gli altri elementi del testo. La nozione di
contesto si affida in modo essenziale alla nozione di coesione, che indica tutte quelle funzioni che
permettono di collegare le diverse componenti di un testo. La coesione si realizza nel momento in cui
l’interpretazione di certi elementi di un discorso dipende dall’interpretazione di altri elementi presenti nel
medesimo discorso e si identifica come un concetto relazionale. Rende conto delle relazioni esistenti
all’interno di un discorso e permette di interpretare un elemento ponendolo in relazione ad altri. Di
conseguenza, la coesione si può definire come un sistema attraverso cui elementi che appaiono
strutturalmente scollegati sono in realtà semanticamente connessi.

Halliday e Hasan identificano diverse forme di coesione e sono:

- Coesione grammaticale: le relazioni più semplici e generali di coesione grammaticale sono


rappresentate dalla reference (l’informazione che è necessario recuperare, il significato
referenziale), dai conjoining (connettivi), dalla substitution (sostituzione) e dall’ellipsis (ellissi). La
reference si può suddividere ulteriormente in relazione anaforica (quando l’informazione da
recuperare appare in una sezione precedente del testo; she called. She’s Peter’s sister) e relazione
cataforica (quando l’elemento in questione sarà chiaro solo proseguendo nel testo; I gave it back to
Celia, the bike I borrowed). All’interno di queste due categorie, abbiamo tre tipi diversi di coesivi,
che sono personali (quando il riferimento poggia sulla categoria della persona, identificando il
parlante/ricevente: pronomi soggetti, pronomi e aggettivi possessivi), dimostrativi (o deiettici, con
riferimento realizzato attraverso un sistema di collocazione in base a una scala di prossimità:
this/that, here/there) e comparatività (riferimento indiretto realizzato attraverso una relazione di
uguaglianza o similarità: same, better, more). Anche tra I connettivi qui è possibile individuare
diverse sotto-categorie: additivi (and), avversativi (but), consecutivi (therefore), temporali (then).
Della sostituzione e dell’ellissi, è possibile individuare sostituenti/ellissi nominali, verbali e frasali.
- Coesione lessicale: si suddivide in repetition (che si suddivide a sua volta in ripetizione di parole e
di sequenze parlate), synonyms (che possono essere sinonimi veri e propri o sinonimi con
variazione di classe), parole semanticamente correlate (divise in iponimi, iperonimi e antonimi),
parole aderenti al medesimo campo semantico.

In questa circostanza è necessario riconoscere la differenza tra campo semantico (insieme dei lessemi che
coprono diverse partizioni di uno spazio semantico), sfera semantica (insieme dei lessemi che si riferiscono
a un certo ambito semantico), famiglia semantica (insieme dei lessemi imparentati nel significato e nel
significante, che condividono cioè la medesima radice lessicale), e gerarchia semantica (insieme in cui ogni
lessema è una parte specifica di un termine che gli è superiore in una scala di misura).

La coesione costituisce, pertanto, uno dei due principali elementi che, insieme alla coerenza (configurazione
logica dei contenuti sul piano del significato), definisce le condizioni di testualità di un testo, ovvero di
quella che Halliday identifica con un’esperienza della funzione testuale e che risulta fondamentale per
l’identificazione di un testo come tale.
3.5 W.U. Dressler e R.A. de Beaugrande dicono che la testualità di un testo è definita da due elementi
costruttivi: coerenza e coesione. La testualità sarà determinata anche da altri elementi incentrati sugli
utenti, tra cui l’intenzionalità, l’accettabilità, la situazionalità (collegamento del testo con una situazione
comunicativa specifica), informatività e l’intertestualità (si riferisce al collegamento che il testo intrattiene
con altri testi). L’intertestualità viene spesso sfruttata come un’ulteriore strategia per comunicare più di
quanto il senso letterale delle parole lasci intendere. Questa nozione appare importante nella discussione di
opere letterarie o filmiche, titoli o articoli di giornali, in quanto è diventata spesso una strategia
contribuente al tipo di alterizzazione, eredità dai colonizzatori di tutte le epoche.

3.6 Una volta che il testo è stato identificato come tale, in base alla tassonomia elaborata da E. Werlich può
essere categorizzato come:

 Descrittivo, che a sua volta è suddiviso in descrizioni soggettive (testi narrativi, giornalistici e simili)
e descrizioni oggettive/tecniche (distinzione testi scientifici in cui spesso si trovano costruzioni
impersonali).
 Argomentativo, quando il testo si focalizza sul processo cognitivo di valutazione e l’attenzione si
concentra sulla relazione esistente fra concetti e valutazioni, in particolare attraverso le
rielaborazioni. Anche in questo caso è possibile suddividere testi soggettivi (dibattiti, discussione,
interviste) e oggettivi (argomentazioni, dimostrazioni, discussioni scientifiche)
 Narrativo, quando il testo si riferisce a fatti, avvenimenti, persone e presenta gli eventi di ordine
sequenziale. Questi testi possono essere suddivisi in cronologici (biografie, diari, cronache,
memorie, opere storiche e narrative con flashbacks), servizi di vario tipo (cronache di viaggio,
resoconti di riunioni, dichiarazioni di testimoni), e ludici (fiabe, favole, leggende)
 Istituzionale/Prescrittivo, che si focalizza sul processo cognitivo coinvolto nella preparazione di testi
di vario tipo. Sono usati per dare ordini, fornire informazioni… e possono essere suddivisi in pubblici
(più formali e indiretti come testi legali, istruzioni per l’utente o regole di buone maniere) e privati
(informali e diretti come nei memoranda)
 Espositivo, quando il testo si riferisce ai processi cognitivi della persona. Questi testi possono essere
suddivisi in analitici (trattati, definizioni di vario tipo, Enciclopedia, Dizionario manuale, conferenze
accademiche, articoli scientifici, saggi critici ecc), sintetici (appunti, diagrammi, schemi, sinossi,
indici ecc.) e misti (lettere, resoconti, ecc.)

Cristina Lavin o sottolinea che il canale di comunicazione determina gran parte delle differenze linguistiche e
testuali, e aggiunge anche una categoria di testi non contemplata dal modello originale, ovvero i testi
rappresentativi.

Sabatini distingue tra testi più o meno vincolanti identificando:

1. Testi molto vincolanti: testi scientifici (funzione puramente cognitiva basata su asserzioni
sottoposte esclusivamente a criterio vero/falso), testi normativi (funzione prescrittiva che poggia su
manifestazione di volontà coercitiva regolata da un intero sistema di principi), testi tecnico-operativi
(funzione strumentale-regolativa basata sull’adesione del ricevente alle istruzioni messe a
disposizione dall’emittente)
2. Testi mediamente vincolanti: testi espositivi (funzione esplicativa-argomentativa basata
sull’intenzione di spiegare qualcosa a qualcuno, stabilire trattative su questioni concrete o proporre
e dibattere testi), testi informativi (funzione informativa basata sull’intenzione di mettere
genericamente a disposizione informazioni svolgendo così opera di divulgazione)
3. Testi poco vincolanti: testi d’arte o letterari (funzione espressiva basata sull’intenzione o la
necessità dell’emittente di esprimere il proprio modo di sentire e metterlo a confronto con quello
degli altri)
Queste tipologie si rivelano essenziali tanto nella codifica quanto nella decodifica di testi di vario tipo,
nonché nella ricodifica che i traduttori sono chiamati a realizzare in una lingua e cultura d’arrivo. Durante il
processo traduttivo, occorre tenere a mente che, in lingue diverse, queste tipologie testuali potrebbero
essere caratterizzate da peculiarità che mancano in un’altra lingua. Oltre a parametri come l’orientamento
teorico e la scala generale-specifica, Bhatia identifica altri parametri, tra cui l’applicazione (la motivazione o
la funzione che determina un tipo particolare di genere). Nell’ultima categoria identificata da Bhatia è
possibile inserire:

- L’analisi del registro di Halliday, McIntosh e Stevens: è possibile identificare i registri come diversi
sottocodici di un linguaggio particolare sia sulla base della funzione espletata dal linguaggio in un
testo particolare, sia sulla base della frequenza di particolari elementi lessico-grammaticali
- La descrizione funzionale della lingua di Selinker, Lackstrom e Trimble: la loro ricerca suggerì che, al
contrario dell’inglese standard, nell’inglese per la scienza e la tecnologia la scelta dipende dal grado
di generalità
- La descrizione del linguaggio come discorso di Widdowson, Candlin e colleghi: in questo caso
l’analisi non presta sufficientemente attenzione alle costrizioni socio-culturali, istituzionali e
organizzative che danno una forma precisa al genere scritto in un particolare contesto, così come
non vengono tenute in conto le aspettative che i riceventi hanno nei confronti di un particolare
genere piuttosto che un altro
- La descrizione del linguaggio come una spiegazione, che si riferisce generalmente con il termine di
analisi del genere. Essa integra all’analisi del discorso spiegazioni socio-culturali, istituzionali e
organizzative, combinando aspetti socioculturali e psicolinguistici della produzione
dell’interpretazione testuale con delle notazioni di carattere prettamente linguistico. Gli scopi
comunicativi dell’atto linguistico paiono determinare il genere cui apparterrà il testo e qualsiasi
cambiamento importante nella funzione del testo comporterà inevitabilmente la produzione di un
genere diverso. I testi devono in effetti necessariamente soddisfare alcuni requisiti di accettabilità e
intertestualità, vale a dire, devono condividere alcuni tratti comuni con altri testi appartenenti al
medesimo genere.

CAP 4

Il linguaggio specialistico può essere analizzato da una prospettiva sistematica (focus sulla diafasia della
lingua) o da una prospettiva pragmatica (uso della lingua)

4.1 il linguaggio specialistico si occupa di tutti i micro-linguaggi che distinguono i diversi settori. Cortelazzo
definisce il linguaggio specialistico come una varietà diafasica della lingua standard, dipendente dal contesto
e dalla funzione che deve espletare, utilizzata da un gruppo di parlanti più ristretto della totalità dei parlanti.
I modelli di analisi possono essere differenti, ma quello che ci interessa in questa sede è l’individuazione di
caratteri comuni che possano render conto dell’esistenza della categoria stessa del linguaggio specialistico. I
linguaggi specialistici si svilupparono durante le varie epoche storiche: i primi studi sul linguaggio
commerciale ottennero un grande impulso quando ugonotti e protestanti affluirono in Inghilterra nel XVI
secolo.

È possibile individuare diverse fasi che hanno visto la nascita e l’evoluzione di diversi approcci teorici allo
studio dell’inglese per scopi speciali:

- Analisi del registro  durante gli anni ’60 e ’70. Lo scopo era quello di identificare le caratteristiche
lessicali e grammaticali dei registri al fine di produrre programmi di studio con priorità linguistiche
- Analisi del discorso/retorica  l’enfasi è posta sulla comprensione del modo in cui le frasi si
combinano per creare significato. L’analisi del registro si era incentrata sulla grammatica della frase,
mentre ora l’enfasi era posta sulla comprensione del modo in cui le frasi si potevano combinare per
creare il significato
- Analisi della situazione di arrivo  nonostante non fornì innovazioni importanti, si rivelò un
approccio particolarmente utile in quanto si prefiggeva di fornire conoscenze che permettessero ai
discenti di gestire situazioni target in modo adeguato ed efficace. Si identifica la situazione dìarrivo
nella quale i discenti si dovranno inserire secondo il modello di Munby, dove l’autore identifica i
bisogni effettivi dei discenti a livello comunicativo (analisi delle necessità)
- Abilità e strategie  la nozione fondamentale che sta alla base di ciò è il fatto che a qualsiasi tipo di
linguaggio sottostanno dei processi mentali di codifica e decodifica che permettono ai parlanti di
estrarre, da un discorso, il significato che esso vuole trasmettere
- Approccio basato sull’apprendimento  non si parla più di idea di lingua d’uso, ma di nozione di
apprendimento della lingua. Propone l’idea che la lingua per scopi speciali si declina secondo
modalità e tempi differenti a seconda dei contesti.

È possibile individuare tre filoni distinti che riguardano gli approcci teorici ai linguaggi specialistici:

- Approccio socio-discorsivo  si focalizza principalmente sulla teoria del genere e sulla prospettiva
pedagogica che ne consegue
- Approccio socioculturale  l’enfasi è posta sulle teorie dell’apprendimento e sui loro corollari
pratici
- Approccio socio-politico  si concentra sul fatto che i processi educativi sono il risultato di
determinati contesti storici e sociali.

Non va tuttavia dimenticato che testi specialistici, anche nell’ambito della stessa lingua e cultura, possano
essere caratterizzati da diversi livelli di specializzazione: le principali differenze tra i vari livelli sono infatti
determinate da fattori contestuali (emittente, ricevente, tipo di relazione tra loro). È quindi possibile
identificare:

- Livello intra-specialistico  comunicazione tra specialisti appartenenti allo stesso ambito


disciplinare (gastroenterologo che comunica con un altro gastroenterologo)
- Livello inter-specialistico  uno specialista in un ambito disciplinare comunica con uno specialista
di un ambito disciplinare diverso (chimico, fisico devono comunicare con un medico)
- Livello didattico  uno specialista comunica con un allievo/tirocinante.
- Livello popolare  uno specialista comunica con persone non appartenenti ad alcun ambito
disciplinare. A questo livello vi sono poi ulteriori sottocategorie: libri/programmi televisivi condotti
da esperti a beneficio del pubblico; giornalismo scientifico (comprende tanto la stampa quanto i
programmi televisivi scritti da giornalisti); esposizione informativa (programmi di approfondimento
su economia o politica); interazioni quali medico-paziente o avvocato-cliente.

Tuttavia, nella società contemporanea il divario che sembrava incolmabile tra linguaggio specialistico e
linguaggio comune si va via via attenuando: a livello lessicale, molte terminologie specialistiche vengono
acquisite dai parlanti in modo passivo attraverso documenti di qualsiasi tipo. In fase di traduzione è
necessario fare attenzione alle eventuali differenze nell’utilizzo di certe forme nelle due lingue in esame. Tra
le caratteristiche generali comuni ai linguaggi specialistici si possono individuare:

- Concisione: dare il maggior numero di informazioni possibili con il minor spazio possibile. Realizzata
attraverso la pre-modificazione e la presenza di gruppi nominali complessi, la concisione è
assicurata anche dall’omissione di elementi frasali come articoli determinativi e indeterminativi,
preposizioni, verbi.
- Trasparenza: vi è ampio utilizzo di parole composte che possono essere de-codificate interpretando
meccanicamente il significato dei singoli componenti.
- Precisione: il lessico è specializzato e tecnico, ricco di neologismi (l’avanzamento delle ricerche
scientifiche richiede spesso la creazione di nuovi termini) e parole di origine classica
- Monoreferenzialità: rapporto biunivoco tra parola e significato, che crea un divario tra linguaggio
specialistico e linguaggio ordinario, in quanto in quest’ultimo la polisemia è assai diffusa. Il
medesimo termine però può assumere significati diversi se utilizzato in ambiti specialistici diversi,
ma anche nello stesso campo possono esserci eccezioni. Anche il linguaggio scientifico è stato
riconosciuto come pluri-funzionale. Il suo scopo non è solo quello di informare, ma assume anche
funzioni cognitive atte a convincere il ricevente a fare qualcosa nello specifico, accettare un’ipotesi.
Nell’analizzare un testo scientifico, Swales individua diverse fasi: in un primo momento si stabilisce
quale sia l’ambito di ricerca specifico; poi si riepiloga la ricerca condotta precedentemente
sull’argomento; si prepara la ricerca che si andrà a esporre; si introduce la ricerca attuale.

A seguire, si analizzeranno le micro-scelte che l’autore, in ogni momento, si trova a compiere. Si potrà
inizialmente sugli aspetti lessicali che determinano lo stato speciale di certe lingue, non dimenticando che,
come sostiene Mona Barker, la terminologia specialistica potrebbe in realtà appartenere a diverse categorie
generali, che prevedono lessemi indicanti nozioni generali a tutte le discipline specialistiche, termini
appartenenti alla lingua comune che assumono un significato specializzato in una o più discipline, termini
specialistiche che hanno significati diversi in diverse discipline differenti, parole trattate della lingua
ordinaria che hanno un significato ristretto in discipline diverse, lessemi tratti dalla lingua ordinaria che
vengono utilizzati per descrivere o commentare processi o funzioni in determinati ambiti e che vengono
preferiti ad altre parole tendenzialmente sinonimiche, termini usati per segnalare le intenzioni o le
valutazioni di chi scrive o chi parla.

Dudley-Evans e St. John, invece, una volta identificata la macrocategoria, affermano che si può poi
procedere con l’identificazione di elementi lessicali tipici dei linguaggi specialistici: abbreviazioni, acronimi,
simboli speciali, parole composte (che potranno essere decodificate tramite le strategie indicate da Gotti
sulla base della trasparenza e che possono essere ottenute tramite l’unione di due o più parole, il blending,
la derivazione grazie alla quale nuove parole vengono formate attraverso l’affissazione), l’alto livello di
densità lessicale (ovvero un maggiore numero di parole con un significato preciso rispetto a parole
grammaticali o funzionali come congiunzioni, pronomi), l’uso di parole di origine greca e latina, modificatori
avverbiali, combinazioni lessicali particolari, lexical phrases.

Una volta espletata l’analisi del lessico utilizzato, si potranno poi analizzare le scelte compiute a livello
grammaticale, individuando per esempio l’utilizzo di uno stile impersonale (o del we inclusivo), uso
particolare del participio passato e di altri tempi verbali per indicare universalità o particolarità, uso di
forme passive, presenza di nominalizzazioni e frasi nominali.

A questo punto di potranno analizzare le singole scelte compiute a livello grammaticale: essendo esse
determinate da aspetti funzionali, varieranno a seconda della sezione dell’articolo o della dissertazione nella
quale si compiono.

Alla luce di ciò si può affermare che i linguaggi specialistici, così come qualsiasi altro tipo di linguaggio,
possano definirsi come fenomeni sociali, il che vuol dire che essi sono soggetti alle medesime tendenze di
qualsiasi atto comunicativo.

4.2 David Crystal dice che il linguaggio legale inglese deve espletare più di una funzione simultaneamente. Il
linguaggio, infatti deve essere universalmente applicabile, ma risultare abbastanza specifico da poter essere
applicato a circostanze individuali, e deve essere stabile, ma deve anche essere in gradi di adattarsi alle
nuove circostanze create dallo sviluppo della società nelle quali si inserisce. Questo linguaggio si trova
spesso a fronteggiare richieste contrastanti tra di loro, il che può influire sulle strutture e sulle scelte
linguistiche adottate.

Bathia propone un’analisi del genere legislativo, dove le disposizioni devono incorporare qualsiasi
eventualità che potrebbe presentarsi durante l’applicazione della disposizione stessa. Tutto ciò deve rendere
conto delle complesse strutture grammaticali. Sulla base degli studi svolti, questo linguaggio, che da un lato
condivide caratteristiche generali con gli altri linguaggi specialistici, deve/può avere:

a) Espressioni latine, cui si aggiungono prestiti della lingua francese


b) Parole di origine latina
c) Nominalizzazione
d) Tono impersonale
e) Terminologia formale
f) Tempo presente e passato prossimo
g) Numerali per indicare articoli, dei codici, delle clausole
h) Terminologia specifica convenzionale come alibi
i) Verbi modali che si usano per distinguere l’obbligo della possibilità

In più possiamo trovare:

1. Arcaismi
2. Frasario cerimoniale
3. Lettere maiuscole
4. Assenza di domande
5. Shall deontico (indicare gli obblighi imposti dalla legge
6. Iponimi
7. Assenza di pronomi personali che sono spesso sostituiti da formule nominali esp

A livello sintattico, il linguaggio legale inglese si distingue dagli altri poiché presenta frasi molto lunghe,
tendenza a fondere selezioni linguistiche differenti, che in altri linguaggi appaiono come frasi separate,
prolissità, ripetizione e lunghe liste di voci

4.3 Nel linguaggio medico si può trovare una certa ridondanza, soprattutto nelle parole composte, che per
evitare qualsiasi ambiguità, integrano il concetto utilizzando forme differenti. Lo stesso principio di
ambiguità, che rappresenta una caratteristica generale dei linguaggi specialistici, appare spesso in
contraddizione con il principio di concisione, dove per essere maggiormente comprensibili e trasparenti, le
costruzioni si complicano e le frasi si allungano.

Sager, Dungworth e McDonald indicano come criteri generali tipici del linguaggio l’economia, la precisione
e l’appropriatezza, mentre Hoffman considera l’esattezza, la semplicità, la chiarezza, l’oggettività,
l’astrattezza, la brevità, la neutralità emotiva, l’impersonalità, la mancanza di ambiguità, la presenza di
figure, il ricorso a simboli e l’uso di termini tecnici.

Occorre comunque considerare che il registro non solo è influenzato dal campo, ma anche dal modo e dal
tenore. Le scelte lessicali imposte dal campo specifico potranno dunque subire variazioni più o meno
importanti in base a questi altri due fattori.

Studio ESP  si devono analizzare le caratteristiche grammaticali e lessicali della prosa scientifica, seguendo
il tipo di tecniche descrittive che sarebbero poi state utilizzate da Halliday. Nonostante le analisi di registro e
quelle di genere propugnate da Swales e subito dopo da Bathia siano alla base dell’interesse originale per
English for Special Purposes, la lingua dei corpora ha dato un immenso contributo allo studio dei linguaggi
specialistici.

4.4 Occorre chiarire che per corpus o, al plurale, corpora, per secoli si è intesa una collezione di testi che
comprendesse tutti i documenti disponibili per determinati campi di studio. Gian Luigi Beccaria per corpus
intende una raccolta di dati linguistici che possono costituire la base empirica per l’analisi della lingua
naturale I computer permettono in effetti non solo di immagazzinare immense quantità di dati testuali, ma
anche di interrogare il contenuto di corpus stesso al fine di reperire le informazioni richieste, nonché
realizzare nuove forme di elaborazione e computazione dei dati linguistici. È comunque necessario ricordare
i corpora costituiscono la principale risorsa di dati su cui lavora la linguistica computazionale (quella branca
della linguistica sviluppatasi grazie all’utilizzo dell’elaboratore elettronico come strumento di indagine). La
linguistica dei corpora ha assunto così un’importanza fondamentale anche in ambito traduttivo,
permettendo la creazione di corpora specifici, corpora paralleli. La linguistica dei corpora finisce per
coincidere con un metodo di analisi dei linguistici e può essere utilizzata per sollevare questioni linguistiche
di importanza fondamentale, dando altresì l’opportunità di raggiungere un nuovo tipo di comprensione del
funzionamento della lingua e di adottare nuove prospettive per la sua acquisizione. I dizionari che si
avvalevano del supporto dei corpora per la loro compilazione permettevano l’utilizzo di forme linguistiche
autentiche, al fine di mostrare l’uso effettivo della lingua fatto da parlanti reali. Con la nascita della
linguistica dei corpora e programmi dedicati al trattamento ed esplorazione testuali, grandi quantità di testi
di ogni tipo sono state messe a disposizione in formato elettronico, permettendo così di compiere analisi
quantitative e statistiche della lingua effettivamente prodotta in contesti di vario tipo, dando così la
possibilità di seguire tanto l’evoluzione della lingua, quanto quella dei diversi generi.

4.5 Della creazione dei corpora sempre più complessi e ricchi, naturalmente, beneficiò nell’immediato la
lessicografia. Durante gli anni ’80 del XX secolo, quando iniziarono a comparire i primi corpora di grandi
dimensioni, vennero pubblicati i primi dizionari compilati basandosi sui corpora. I corpora hanno via via
assunto un’importanza fondamentale nella lessicografia contemporanea, ambito in cui si fa ricorso a banche
dati eterogenee e di notevoli dimensioni, in cui i testi selezionati sono rappresentativi di diversi contesti
situazionali e comunicativi, al fine di individuare le tendenze pragmatiche che sottostanno all’uso di
determinati elementi lessicali. L’analisi dei corpora non potrà sostituire gli stessi nell’ambito dello studio del
lessico, ma permettono non solo di analizzare l’effettiva occorrenza dei certi lemmi nella lingua presa in
considerazione, ma anche di specificare in modo preciso la loro frequenza, permettendo di identificare le
costruzioni tipiche di una parola e le sfumature di significato percepibili solo nel momento in cui la parola
viene usata nei contesti specifici.

Anche l’analisi del genere e dello studio dei linguaggi specialistici trae beneficio dai corpora, che
permettono di associare un’alta frequenza di utilizzo di determinate parole e costruzioni in certi tipi di testo
piuttosto che in altri. permette, inoltre, di definire con maggiore precisione il genere testuale in oggetto,
stimolando eventualmente la consultazione delle concordanze, ovvero l’individuazione del cotesto di ogni
parola. In letteratura, ad esempio, l’approccio quantitativo delle opere di vari autori basato sui corpora è
stato ripetutamente sfruttato al fine di individuare le parole chiave di un testo specifico o dell’opera omnia
di un determinato autore, il suo sistema preferenziale, la frequenza di certe categorie semantiche, dando
così la possibilità di approfondire l’analisi dello stesso stile dell’autore. Analogamente, la linguistica dei
corpora è stata spesso sfruttata dall’analisi critica del discorso per evidenziare il rapporto tra linguaggio e
ideologia.

Nella didattica, grazie al ricorso ai corpora, parve possibile mettere a disposizione un quantitativo enorme di
materiale autentico innanzitutto agli insegnamenti, che potevano in questo modo organizzare e strutturare i
loro percorsi didattici e lezioni sulla base dei risultati ottenuti dalla consultazione dei corpora. Agli
insegnanti, inoltre, parve molto utile la creazione dei learner corpora, cioè raccolte di testi prodotti da
studenti di lingua straniera che permettono, tra l’altro, di individuare le difficoltà tipiche di un determinato
gruppo di studenti, offrendo così una base per individuare e prevenire gli errori più frequenti. Un altro tipo
di programma rivelatosi molto utile ai fini didattici è quello che permette di creare concordanze, cioè di
reperire tutte le occorrenze della parola selezionata presenti nei corpus, dando la possibilità di visionare
queste occorrenze inserendo la parola di una riga di contesto. Le concordanze, perciò, permettendo di
indagare fenomeni lessicali come la polisemia, la sinonimia o la quasi-sinonimia, le combinazioni lessicali, le
combinazioni fisse, le frasi idiomatiche. Bisogna tenere a mente che il livello di registro utilizzato in un testo
potrà provocare degli slittamenti di significato e di norme d’uso a seconda del contesto in cui una parola
viene utilizzata.

La tassonomia elaborata da Bloom nel campo generale dell’educazione e della didattica prevede un
passaggio dalla mera memorizzazione alla creazione, rappresentativa invece delle competenze di ordine
elevato, secondo la seguente scala di sviluppo delle abilità cognitive:

- Creazione
- Valutazione
- Analisi
- Applicazione
- Comprensione
- Memorizzazione

La tassonomia pertanto può essere applicata in modo molto concentrato all’apprendimento delle lingue,
prevedendo una maturazione e una crescita del discente che, sulla base delle nozioni rudimentali di una
lingua impara via via a gestire scambi comunicativi sempre più complessi, apprendendo, anche grazie
all’utilizzo dei corpora, a compiere valutazioni riguardo alle forme più adatte da utilizzare. Come Leech
espone, è possibile parlare di un uso diretto e di un uso indiretto dei corpora in ambito didattico: il primo si
riferisce alle situazioni in cui si consulta un corpus in classe per svolgere attività di carattere
lessicogrammaticale; il secondo a una situazione in cui il corpus viene utilizzato dall’insegnante per
elaborare un programma lessico-grammaticale su sui si baseranno poi attività ed esercizi da svolgere con i
discenti.

Ducati e Leone propongono anche una terza casistica, ovvero quando i corpora vengono utilizzati come
strumento di autoformazione dell’insegnante per approfondire le conoscenze della lingua di insegnamento,
maturata attraverso le grammatiche, i dizionari o le letture di altro genere. In ambito traduttivo, un
confronto tra raccolte testuali in lingue differenti (corpora paralleli) permette di vedere come parole,
espressioni fisse o idiomatiche di una lingua data possano essere resa a un’altra.

I corpora possono avere un uso principalmente applicativo (legato all’ingegneria del linguaggio e sfruttato
per progettare strumenti in relazione alle numerose varietà di linguaggio) e analitico (mirato a basare
l’analisi e la descrizione linguistica sulla reale occorrenza di certe forme, sulla distribuzione di certe
strutture)

La tipologia testuale adottata determina non solo i risultati della ricerca ma anche l’identificazione di
categorie di testi omogenei che presuppongono la creazione di corpora specialistici. Occorre precisare che i
corpus può contenere testi appartenenti a due categorie principali:

- Testi digitali nativi


- Versioni digitali di testi apparsi in altri media (trascrizione di testi parlati, ad esempio). Ciò può
essere visto come una traduzione e, come tale, presuppone una trasformazione dell’oggetto
tradotto. Il testo elettronico è sempre suscettibile a perdite, e potrebbe presentare alcune lacune
nelle informazioni. D’altro canto, può essere arricchito da altre informazioni,

in base a queste e ad altre distinzioni, le dimensioni e il profilo contenutistico di un corpus può variare
molto e si stabilisce in funzione alle finalità della ricerca. In linea massima, è possibile distinguere corpora
generali (presentano un insieme di testi rappresentativi dei diversi registri o delle varietà di una lingua
adottate in diversi contesti), corpora omogenei (detti anche specialistici, centrati su singoli generi), corpora
diacronici o storici (raccolgono testi di una determinata lingua appartenenti a periodi storici differenti),
corpora di seconda generazione (raccolta di testi compilate in funzione di interessi di ricerca specifici)
corpora bilingui (presentano una raccolta di testi in una lingua e le rispettive traduzioni), e world wide web
(enorme corpus multilingue che programmi di interrogazione comuni e largamente accessibili possono
setacciare in pochi secondi).

CAP 5

5.1 la pratica e la teoria della traduzione rappresentano una delle preoccupazioni fondamentali dell’essere
umano fin dall’antichità. In effetti, la prima volta che la questione venne affrontata fu nel libro della Genesi,
dove la varietà e la differenza delle lingue umane diventano segno dell’impotenza dell’uomo e del castigo di
Dio nei confronti di quanti avevano cercato di costruire una torre “che arrivi fino al cielo”. Fu la superbia
degli uomini e il loro tentativo di raggiungere Dio ed eguagliare a provocare l’estinzione della lingua comune
e la nascita delle molteplici lingue che il mondo conosce. Inizialmente gli uomini parlavano tutti la
medesima lingua e si comprendevano perfettamente. Questo fintanto che Dio decise di punirli, assegnando
loro lingue diverse e creando conseguentemente la confusione e lo scompiglio che condusse al fallimento
dell’impresa umana. In questo contesto il traduttore si pone come un mediatore non solo tra gli esseri
umani, ma anche tra l’uomo e Dio. Prima dell’invenzione e della diffusione della scrittura, la traduzione era
istantanea e orale; una volta che le comunità umane hanno adottato la scrittura, si è iniziato a pensare alla
traduzione come alla conversione di un testo in una lingua in un altro testo scritto. Le prime riflessioni
sull’arte del traduttore si hanno nella Roma antica: Cicerone elaborò per primo una delle questioni che
avrebbero tormentato i traduttori di tutte le epoche e cioè se sia preferibile una traduzione letterale oppure
una traduzione libera. George Steiner identificò quattro periodi principali nello sviluppo della teoria
traduttiva:

1. La prima fase, in cui gli autori formulavano teorie sulla base delle traduzioni in cui si cimentavano
2. Il periodo dedicato alla ricerca ermeneutica e teorica
3. Anni 50/60 del XX secolo in cui fanno la loro comparsa le teorie linguistiche e iniziano a svilupparsi
la traduzione automatica e le teorie della linguistica venivano applicate anche alla traduzione
4. Tra gli anni 60 e la metà del decennio successivo vi fu una nuova fase di ricerca ermeneutica in cui si
va gradualmente a delineare un interesse interdisciplinare

Nergaard invece segue l’impostazione diacronica delle varie epoche storiche, e studiò lo sviluppo delle
teorie traduttive, individuando:

- Periodo classico
- Medioevo
- Umanesimo e rinascimento
- XVII e XVIII secolo
- Romanticismo
- Vittorianesimo
- Dalla fine del XIX alla fine del XX secolo

La traduzione è come un luogo di incontro in cui si incontrano culture differenti tanto da un punto di vista
diacronico (il passato incontra il presente e ne dà una prospettiva, chiave di lettura) quanto da un punto di
vista sincronico (permette ai riceventi di riflettere su sè stessi attraverso l'Altro che si traduce). L’importanza
di affrontare l’evoluzione della teoria e della pratica della traduzione risiede nel fatto che, come dice Folena,
non si dà teoria senza esperienza storica.

Nel periodo classico è possibile riscontrare il primo interesse reale per le lingue e le culture straniere: il
popolo greco traduceva dalle lingue parlate dai barbari (ma lo faceva principalmente per questioni
pratiche); i romani furono i primi ad assegnare un ruolo importante alla traduzione, considerato un mezzo
per divulgare il sapere e uno strumento di conoscenza utile per migliorare la retorica, attraverso l'imitazione
degli autori greci.
Data la vastità dell’Impero Romano, si riteneva anche che la traduzione rappresentasse un modo per capire
le popolazioni conquistate. I romani realizzarono delle traduzioni romanizzate dalla lingua greca, fortemente
caratterizzate dall’imitazione del suo stile e della sua retorica. Il primo traduttore fu Livio Andronico, con la
traduzione dell’Odissea. Ma è con Cicerone che il lavoro del traduttore inizia ad essere visto come un’opera
di emulazione e interpretazione. Cicerone distingue immediatamente tra interpres, cioè il traduttore che
traduce parola per parola, e l’orator, cioè il traduttore che cerca di produrre un discorso che possa toccare il
ricevente nello stesso modo in cui il testo fonte parla ai suoi riceventi. Cicerone fu il primo teorico di una
traduzione target oriented, cioè, orientata verso il testo d’arrivo, piuttosto che verso quello fonte.

Orazio adottò una prospettiva simile, sostenendo che traducendo parola per parola non si sarebbe riusciti a
tradurre fedelmente un testo. Il fine del traduttore avrebbe dovuto essere quello di creare un testo d’arrivo
piacevole e creativo. San Girolamo tradusse in latino sia l’antico che il nuovo testamento, decidendo di
produrre una traduzione dell’intero vecchio testamento basata direttamente sull’originale ebraico. La
traduzione di Girolamo non venne accettata immediatamente, il concilio di Trento decretò che la vulgata
sarebbe stata la sola bibbia in latino. Il lavoro di Girolamo rimane però il fondamento della moderna pratica
e teoria traduttiva.

Il medioevo fu un periodo caratterizzato da una forte attività di traduzione, a causa soprattutto della
diffusione delle lingue volgari e dell’influenza di lingue e culture orientali. Venne fondato il primo centro
importante per la pratica e la teoria della traduzione in Spagna, a Toledo (Escuela de Traductores de Toledo).
La maggior parte degli scrittori riteneva la traduzione di testi poetici impossibile e, di conseguenza, la
traduzione veniva utilizzata soprattutto per fini pratici e per diffondere lingue diverse dal latino, mentre non
le veniva riconosciuto alcun valore artistico.

Nel periodo dell’Umanesimo e del Rinascimento, Leonardo Bruni creò uno dei primi trattati teorici sulla
traduzione, che viene vista non solo come un esercizio di stile, ma anche come un’attività ermeneutica. Fu
in realtà il primo ad utilizzare il verbo traducere e nel suo trattato indicò quattro regole che i traduttori
avrebbero dovuto seguire al fine di ottenere un prodotto finale efficace e convincente: rispetto filologico,
comprensione del testo fonte, competenza linguistica tanto nella lingua fonte quando in quella d’arrivo e
eleganza stilistica. Martin Lutero, invece, tradusse il nuovo e l’antico testamento in tedesco: la sua tendenza
è quella di produrre un testo che si adegui alla lingua e alla cultura d’arrivo, il suo metodo traduttivo cerca
costantemente un compromesso tra una traduzione libera e una letterale, ovvero una traduzione d’arrivo
che si conforma alle caratteristiche formali del testo fonte pur tenendo in considerazione la grammatica
della lingua d’arrivo. William Tyndale tradusse dall’originale ebraico il testo sacro in inglese moderno ed è
stato molto influenzato da Lutero. D’altrettanto rilievo è Etienne Dolet, che fu il promotore di una
traduzione più incentrata sull’interazione dell’autore che non sul suo linguaggio. Individua cinque principi:

- Il traduttore deve comprendere perfettamente il significato e il materiale dell’autore originale, per


sentirsi libero di chiarire passaggi poco chiari e incomprensibili
- Il traduttore deve possedere una conoscenza perfetta tanto della lingua fonte quanto di quella
d’arrivo
- Il traduttore deve evitare una traduzione parola per parola
- Il traduttore dovrebbe evitare latinismi e parole insolite
- Il traduttore deve mettere insieme e collegare le parole in modo eloquente evitando qualsiasi tipo
di ineleganza

Lawrence Venuti parla di strategia di addomesticamento, cioè un approccio traduttivo che cerca di
smorzare al massimo le differenze tra testo fonte e testo d’arrivo per rendere il prodotto familiare e
riconoscibile ai riceventi. George Chapman individua tre principi fondamentali per i traduttori: evitare una
traduzione parola per parola, tentare di ricreare lo spirito dell’originale e evitare traduzioni troppo libere
utilizzando altre versioni e glosse combinate in modo non coeso
Tra il XVII e il XVIII secolo, si nota l’insorgere di un atteggiamento libertino della traduzione letteraria,
dando origine a les belles infidèles, ovvero traduzioni libere in cui la qualità estetica del testo d’arrivo viene
ritenuta maggiormente importante rispetto alla fedeltà semantica. Si presentano come delle versioni riviste
e corrette ad opera di traduttori ben coscienti della superiorità della loro lingua e del loro giudizio, realizzate
al fine di compiacere i lettori e conformarsi al gusto e alle maniere dell’epoca. La traduzione dei testi laici
era caratterizza infatti da una libertà senza precedenti.

John Dryden, nelle sue prefazioni alle traduzioni di Virgilio e Ovidio, propone una distinzione importante fra
parafrasi (intesa come una traduzione de sensu simile a quella rintracciabile nelle opere di Cicerone e San
Girolamo, una traduzione trasparente seppur creativa, vicina al testo fonte, nonostante sia indipendente da
esso), metafrasi (ovvero una traduzione letterale) e imitazione (riscrittura piuttosto radicale o adattamento
libero del testo originale). Dryden ritiene che solo un poeta possa tradurre un vero poeta, anticipando le
condizioni di un approccio alla traduzione orientato verso il testo, la lingua e la cultura d’arrivo. Sottolinea la
necessità di tenere sempre in considerazione la cultura dei riceventi, anticipando il concetto di equivalenza
dinamica introdotto da Eugene Nida, cioè la creazione di un testo d’arrivo che produca sul lettore d’arrivo il
medesimo effetto prodotto dal testo fonte sul lettore fonte. Dryden sottolinea la necessità, per il traduttore,
di conoscere a fondo il mondo contemporaneo.

Alexander Pope, che tradusse l’iliade e l’odissea, adattò l’esametro classico al distico giambico in rima. Il suo
lavoro anticipa la nozione di traduzione assimilativa e solleva questioni legate al potere che può essere
esercitato attraverso l’opera di traduzione.

Alexander Fraser Tytler indica tre principi generali che sarebbe importante che i traduttori seguissero: la
traduzione dovrebbe offrire una trascrizione completa delle idee del testo fonte; lo stile dovrebbe essere
dello stesso carattere di quello del testo originale; la traduzione dovrebbe avere la stessa naturalezza
dell’originale

Locke enfatizza l’arbitrarietà del legame che esiste tra l’idea (oggetto mentale), e il segno (parola stessa), da
cui deriva la nozione di soggettività di qualsiasi atto interpretativo e traduttivo di conseguenza.

George Berkeley introdusse la nozione di polisemia, cioè il fatto che una medesima parola possa essere il
veicolo di molti significati e idee. Inoltre, l’autore introduce anche il concetto secondo cui le parole non
designano solo oggetti, ma possono anche produrre emozioni, spesso in base alla soggettività psicologica
dell’individuo che le sta utilizzando.

Nel periodo romantico, i contatti con le culture e le letterature straniere portarono a un’intensificazione
dell’attività traduttiva e delle riflessioni teoriche sulla stessa. È possibile individuare due posizioni principali
riguardanti la pratica traduttiva: da un lato essa veniva considerata come una categoria di pensiero e il
traduttore era ritenuto un genio creativo in grado di arricchire la letteratura e la lingua della cultura per la
quale stava traducendo; dall’altro lato la traduzione veniva reputata una pura attività meccanica grazie alla
quale un testo o un autore potevano essere fatti conoscere ad un pubblico straniero.

Per i romantici, tradurre significava considerare le lingue non come delle combinazioni di parole ma come
sistemi di corrispondenze e riferimenti interni in cui ogni segno costituiva un punto di intersezione di idee
differenti. In questo periodo, si avanza la questione della possibilità o meno di tradurre il testo poetico.

Stephane Mallarme fa una distinzione tra la parola, che coincide con il puro pensiero, e il silenzio della
poesia, che prevede un traduttore in sintonia con questa facoltà.

Nergaard sottolinea che dal periodo romantico in avanti, si sviluppa una teoria della traduzione alla cui base
viene posta proprio l’irriducibile differenza tra le lingue. Nonostante le varie difformità, le lingue sono
riconosciute come comparabili e la traduzione appare come un lavoro focalizzato sulla differenza fra le varie
lingue, piuttosto che sulla loro analogia.
Wolfang Goethe inizia a parlare di tre fasi del processo traduttivo:

1. Addomesticamento  il testo fonte è completamente assorbito nella lingua e nella cultura d’arrivo
2. Straniamento  il traduttore si cancella e adatta la sua cultura alla lingua e alla cultura del testo
fonte
3. Sintesi ideale  la produzione di una traduzione che rispetti il testo fonte pur rappresentando un
testo indipendente nella cultura d’arrivo.

In questo periodo, l’atto traduttivo viene rivestito di significati politici e ideologici, in quanto viene percepito
come essenziale nella definizione dell’identità linguistica e culturale. Per ciò che concerne la tradizione
britannica, si percepiva un certo scetticismo nei confronti della traduzione letteraria, a causa della
concezione nazionalistica della lingua inglese, che veniva vista come un elemento stabile e unitario in grado
di contribuire alla solidità e all’integrità dello stato. I romantici britannici furono traduttori molto produttivi.
Lord Byron tradusse diversi testi dall’italiano, Percy Shelley si cimentò in traduzioni dall’italiano, dallo
spagnolo, dal tedesco, dal latino e dall’antico greco…

Quest’ultimo concepiva la traduzione come la ricreazione della forma e del contenuto di un testo che
avrebbe dovuto iniziare dal suo seme originale.

Nel periodo vittoriano, il dibattito maggiormente discusso in questo periodo riguardava la traduzione
dell’opera di Omero, e nacquero due posizioni contrapposte. Mattew Arnold poneva una traduzione
trasparente di stampo neo-classico, da prodursi in esametri; il testo d’arrivo ricopriva un’importanza minore,
giacché il traduttore doveva concentrarsi essenzialmente sul testo fonte. Francis Newman proponeva una
traduzione sperimentale che avrebbe dovuto adeguarsi alla forma della ballata che avrebbe potuto essere
fruita da un pubblico più esteso; divenne famoso per il suo tentativo di rendere più accessibile la letteratura
in traduzione. William Morris propose una traduzione dell’Odissea, pieno di arcaismi, espressioni
enigmatiche e stile retorico, che dovevano produrre, nelle intenzioni del traduttore, uno straniamento, utile
alla ricerca l’Alterità del testo originale.

La fine del XIX secolo e gli inizi del XX videro la nascita di teorie e nuovi movimenti. Con Peirce nasce la
semiotica moderna, un concetto di traduzione concepito come un processo mentale grazie al quale i
parlanti interpretano i significati di un dato segno. La teoria freudiana rivoluzionò l’identità dell’individuo,
proponendo che l’essere umano vive inconsciamente. La teoria di Freud poneva implicitamente in
discussione l’operato tanto degli autori originali quanto dei traduttori: vi è l’idea che l’inconscio utilizzi una
forma di traduzione incomprensibile per esprimere il materiale mentale che il soggetto rimuove e reprime
al fine di permettere all’individuo di svilupparsi in un membro funzionale della società. Quando la psicanalisi
intende comunicare il linguaggio non verbale interiore dell’inconscio del paziente al mondo esterno, al fine
di analizzarlo in dettaglio, compie una traduzione intersemiotica. L’analista ricopre il ruolo del traduttore, cui
è assegnato il compito di interpretare e ricodificare il sogno stesso. Ci sono poi teorie più recenti degli studi
traduttivi in cui si incoraggiano i traduttori ad affrontare ogni testo come un caso individuale: questo è in
realtà uno dei punti cardinali della disciplina dei translation studies.

Negli anni ’30 del XX secolo l’interesse era principalmente rivolto a questioni filosofiche fenomenologiche
ed ermeneutiche, mentre negli anni ‘40/’50 gli studiosi si concentrarono principalmente su questioni di
traducibilità e sulla possibilità di riconciliare le differenze esistenti tra lingue e culture diverse. Nel secondo
dopoguerra, emerge un atteggiamento più metodico e sistematico nei confronti della traduzione, sviluppato
conducendo da un’idea di scienza della traduzione alla nascita dei translation studies. Nergaard individua
tra fasi principali che hanno condotto all’insediamento di tale disciplina, ovvero la fase incentrata sulla
scienza della traduzione. Qui si nota l’influenza della linguistica di Halliday e la preferenza per una
traduzione semantica piuttosto che comunicativa. Grande interesse era dato alla traduzione automatica
fatta dai primi computer che avrebbe poi visto lo sviluppo della linguistica dei corpora e alla traduzione di
testi tecnico-scientifici. La traduzione era intesa come traduzione orientata principalmente verso il testo
fonte, realizzata adottando una strategia di resa letterale, se non parola per parola o interlineare. Segue poi
un momento, tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, quando ci si dedicò maggiormente alla teoria
della traduzione, dove gli studiosi si concentravano non più sulle singole parole, ma sul testo, in particolare
il testo letterario. Compare, quindi, la translation theory: si accentua l’interesse per la nozione di
intertestualità che lo strutturalismo aveva introdotto.

Gideon Toury parla di convenzioni traduttive suddividendole in:

- Iniziali: il traduttore ricorre per decidere se aderire alle convenzioni del testo fonte, adottare le
convenzioni del testo d’arrivo o fare riferimento alle convenzioni di entrambi i sistemi
- Preliminari: si individuano fattori come quelli che regolano la selezione delle opere da tradurre e le
strategie di traduzione da adottare
- Operative: convenzioni che si riferiscono in modo specifico alle decisioni prese durante il processo
di traduzione

La nozione di polisistema deve essere intesa come facente riferimento a tutti i sistemi letterari, comprese
tanto le forme alte quanto quelle basse. Mentre in principio gli studiosi di traduzione credevano nell’abilità
soggettiva del traduttore di creare un equivalente del testo originale, i fautori della teoria polisistemica
partono da premesse opposte, credendo che le convenzioni sociali e letterarie della cultura d’arrivo
costituiscano il senso estetico del traduttore e quindi lo influenzino nelle sue scelte e nelle strategie
adottate. Nello stesso periodo, Eugene Nida sviluppa la nozione di equivalenza dinamica, cioè la creazione
di espressioni nella lingua d’arrivo che riflettano il modo in cui i parlanti della cultura d’arrivo
esprimerebbero il medesimo concetto espresso nel testo fonte. Le teorie elaborate dai vari studiosi non
avevano tanto un valore prescrittivo, quanto un valore descrittivo, finalizzato alla comprensione del
fenomeno traduttivo in sé. Negli anni ’80 del XX secolo è possibile notare lo sviluppo dei Translation Studies
che prevedono uno slittamento di focus dal testo alla cultura. Grazie a loro, il testo d’arrivo è sempre più
concepito come un’entità autonoma e si assiste ad una proliferazione internazionale della disciplina, con la
conseguente identificazione di nuovi ambiti di studio applicativo quali la traduzione audio-visiva, il
fansubbing.

5.2 I traduttori sono limitati nelle loro scelte da una serie di convenzioni che appartengono tanto al testo
fonte quanto a quello d'arrivo. Il traduttore coincide con il soggetto linguistico dell'enunciazione dietro cui è
impossibile identificare un individuo ma solo un doppio vuoto: la persona rappresentata dagli enunciati del
traduttore non è il traduttore stesso, ma l’autore, che a sua volta si è trasformato in un semplice soggetto ed
è scomparso dal testo come persona. Il traduttore perde doppiamente la sua autonomia sia come autore
della traduzione, in quanto coincide con il risultato di un sistema di convenzioni e la sua traduzione dipende
da sistemi che non può controllare, sia che come autore del testo stesso nella cui produzione originale non
prende parte. Ma proprio perché assume il doppio ruolo di ricevente ed emittente del messaggio il suo
intervento diventa essenziale. Il linguaggio inizia a essere considerato un elemento centrale nella creazione
della realtà.

Secondo i translation studies, l'equivalenza tra il testo fonte e la sua traduzione è un concetto relativo, dato
che di uno stesso testo possono essere realizzate tradizioni diverse sia a livello formale sia a livello
funzionale; saranno dunque i traduttori a decidere in base al testo da tradurre la sua funzione e il contesto
storico e socioculturale in cui ha origine e in cui si deve inserire, il grado di equivalenza che sarebbe da
utilizzare.

Con James Holmes, c’è un punto di svolta: si vuole elevare il lavoro di ricerca in ambito traduttivo allo stato
di una disciplina a sé stante, sostenendo che la pratica non dovrebbe mai essere dissociata dalla teoria e che
proprio la teoria della traduzione avrebbe potuto aprire nuove possibilità di sviluppo anche in altri campi.
Translation studies viene utilizzato per la prima volta come vero e proprio settore di studio, interessato alla
descrizione di traduzioni esistenti o alla descrizione delle funzioni svolte dalla traduzione in situazioni
socioculturali differenti, o anche alla descrizione dei processi mentali coinvolti durante la pratica traduttiva;
esamina l'uso della traduzione nei campi più disparati e gli strumenti che i traduttori hanno a loro
disposizione. La prima fase dei Translation Studies era influenzata dal formalismo russo: si da un’importanza
maggiore alla letterararietà come una disciplina indipendente e si considerava ogni testo nella sua
specificità analizzandolo sia sincronicamente che diacronicamente. Altro cambio di paradigma si ha durante
gli anni ‘70/’80, quando i ricercatori abbandonano la visione del linguaggio come un sistema astratto
sostenuto da Chomsky (che poneva all’enfasi sulla competenza ideale dei parlanti) e Bloomfield, secondo
cui linguaggio doveva essere analizzato in isolamento a prescindere dal contesto in cui aveva avuto origine,
per enfatizzare lo stretto legame tra linguaggio e contesto in cui viene prodotto e analizzato.

La traduzione di espressioni legate alla trama culturale di una lingua rappresenta una delle grandi sfide del
traduttore, che deve agire da mediatore culturale nel tentativo di trasmettere nel testo d’arrivo non solo la
lingua ma anche la cultura del testo fonte. Diventa essenziale che il traduttore abbia un solido background
nella cultura di appartenenza. Lefevere afferma che i traduttori dovrebbero tenere in conto le griglie
presenti tanto nel sistema di partenza quanto in quello d’arrivo per evitare di imporre griglie dell’uno sulla
realtà dell’altro. Questa imposizione potrebbe essere vista come un caso di “trapianto culturale”, e
corrisponde a uno degli estremi della scala ideale che può essere utilizzata per rappresentare i vari gradi di
trasposizione culturale cui il traduttore può fare riferimento nel proprio lavoro. Nel caso del trapianto, il
testo viene quasi riscritto da una prospettiva tipica della cultura d’arrivo, risultando in un prodotto che
potrebbe essere definito con più agilità come un adattamento. L’adattamento può essere:

- Locale: sussistono dei problemi legati solo a certe sezioni del testo fonte che richiedono un
intervento localizzato, temporaneo e parziale
- Globale: sussistono dei fattori esterni al testo fonte che implicano una revisione più estesa del testo
nella lingua d’arrivo

I fattori principali che potrebbero portare il traduttore a ricorrere alla strategia dell’adattamento sono:

- Un breakdown nel passaggio da un codice all’altro, perché non esistono equivalenti nella lingua
d’arrivo
- Inadeguatezza culturale o situazionale, quando il contesto cui il testo fonte fa riferimento non esiste
nella cultura d’arrivo
- Cambiamento di genere, cioè quando la traduzione della lingua di partenza a quella d’arrivo
prevede anche il cambiamento del tipo di discorso generale
- Rottura del processo comunicativo dovuta all’evoluzione del periodo storico e/o al fatto che un
nuovo approccio potrebbe essere subentrato

Tra i vari modi in cui l’adattamento può essere realizzato, ricordiamo:

- Trascrizione originale: la riproduzione parola per parola di alcune parti del testo nella lingua fonte.
Si nota lo sforzo fatto dal traduttore per mantenersi il più vicino possibile al testo di partenza tanto
nella forma quanto nel contenuto
- Omissione: eliminazione o riduzione di parti del testo
- Espansione: ciò che viene lasciato implicito nel testo fonte viene esplicitato in quello d’arrivo o nel
corpo principale del testo o in note e glossari forniti dal traduttore
- Esotismo: sostituzione di parti del testo fonte in cui l’autore ricorre all’utilizzo di slang, dialetti ecc..
con degli elementi a grandi linee equivalenti nella lingua d’arrivo
- Aggiornamento: sostituzione di informazioni obsolete che risultano ormai oscure con dei
corrispettivi moderni
- Equivalenza situazionale: inserimento di un contesto più familiare alla cultura e ai riceventi d’arrivo
rispetto a quello della cultura di partenza
- Creazione: sostituzione più sostanziale e globale del testo fonte che preserva solamente le idee, il
messaggio e le funzioni essenziali dello stesso

Grazie all’esotismo e ai calchi, le caratteristiche grammaticali e culturali del testo fonte sono costantemente
importate nel testo tradotto con un adattamento minimo al sistema morfosintattico della lingua d’arrivo.
L’esotismo può essere sfruttato per costruire i parlanti della lingua fonte come altri e, quando utilizzato dai
parlanti stessi della lingua in questione, può servire ad affermare l’identità e la legittimità di una data
cultura. Tra questi due estremi ci sono due grandi intermedi: il prestito culturale e la traduzione
comunicativa. Il primo indica un prestito linguistico grazie al quale nella lingua d’arrivo viene utilizzata una
parola presa dalla lingua di partenza al fine di esprimere un concetto o referente inesistente nella cultura
d’arrivo, appare insidioso per i traduttori. Qualsiasi forma di traduzione coinvolge sempre e comunque una
perdita. L’elemento lessicali preso in prestito e apparentemente usato in modo identico può assumere valori
diversi nelle due lingue: i prestiti sono legati alla cultura e potrebbero essere determinati non solo dalla
cultura di partenza ma anche da quella d’arrivo. La traduzione comunicativa si riferisce ad una pratica
traduttiva in cui il traduttore ha come fine principale del suo operato la trasmissione del medesimo
contenuto, indipendentemente dalle peculiarità stilistiche e culturali del testo fonte. La traduzione
comunicativa potrebbe definirsi come la creazione, nel testo d’arrivo, di una situazione equivalente a quella
presentata nel testo fonte. Questa strategia è essenziale nel momento in cui si deve affrontare la traduzione
di espressioni idiomatiche. Si parla anche di traduzione idiomatica, nel senso di una traduzione che si
conforma alla lingua, agli usi, alle convenzioni e alle norme della cultura d’arrivo, nel tentativo di non
deludere le aspettative dei riceventi.

5.3 Occorre innanzitutto sottolineare che, per quanto i termini strategia e procedura vengano spesso
utilizzati come sinonimi, sono diversi. La strategia si riferisce generalmente a un approccio più generale alla
traduzione nei termini di progetto traduttivo, coinvolgendo per esempio la scelta fra un approccio
addomesticante piuttosto che straniante. In questo senso, si potrà discutere di:

- Traduzione libera: adattamento, resa non tanto della forma del testo fonte quanto del suo
significato e funzione
- Traduzione idiomatica: un testo d'arrivo conforme agli usi della lingua target, prendendo in
considerazione il contesto socioculturale nella cultura d'arrivo
- Traduzione letterale: una traduzione conforme alle caratteristiche formali del testo fonte pur
tenendo in considerazione le caratteristiche linguistiche del testo d’arrivo. È una strategia straniante
che spesso ricorre a prestiti lessicali e a calchi sintattici

Un ulteriore modello prevede invece due macro-categorie:

- Traduzione diretta: con prestito (la parola del testo fonte trasferita direttamente nel testo e nella
lingua d'arrivo), calco (termine, espressione o struttura trasferito nel testo d’arrivo con un
adeguamento al sistema lessico morfosintattico della lingua target) e traduzione parola per parola
(approvata degli autori a meno che non produca un sintagma privo di senso nel testo di arrivo
oppure risulti impossibile da effettuare a causa di ragioni strutturali)
- Traduzione obliqua: con trasposizione (trasformazione di una parte del discorso di una classe in
una differente, quando il traduttore decide di utilizzare una nominalizzazione andando a sostituire
un verbo o una forma verbale con un sostantivo oppure fa ricorso a una denominalizzazione,
trasformando un sostantivo o una frase nominale in un verbo o in una frase verbale. Procedura
analoga alla ricategorizzazione, ossia l'equivalenza che si ottiene tra due lingue cambiando la
categoria grammaticale di riferimento)
- Modulazione: cambiamento della semantica e del punto di vista espresso nel testo fonte
- Equivalenza: descrizione di una stessa situazione che utilizza strumenti stilistici o strutturali
differenti
- Adattamento: il traduttore cambia il riferimento culturale presente nel testo fonte al fine di
renderlo fruibile al lettore del testo d'arrivo.

Ricordiamo che adattamento possono assumere più significati, indicando la traduzione più generale ma
anche una trasformazione del medium. Può riferirsi anche una procedura traduttiva specifica, con
l’adattamento del testo d’arrivo in base al contesto.

Il termine procedura si riferisce al trasferimento linguistico di elementi portatori di significato da un testo


fonte in un testo d’arrivo una volta che il traduttore ha formulato un’equivalenza tra i due testi.

L’equivalenza, invece, indica, in ambito traduttivo, una relazione tra le unità di discorso del testo fonte e le
corrispondenti unità del testo d’arrivo. I casi più evidenti sono i prestiti linguistici e i calchi. Se non ci sono
problematiche, un termine deve essere tradotto con il suo equivalente diretto. Nell’adottare questa
strategia, bisogna fare attenzione ai falsi amici totali o parziali (blue eyes non è occhi blu, ma occhi azzurri).
Le espressioni riportate di sotto, come detto da Browne e Natali, dovrebbero essere tradotte:

- L’arte come imitazione della realtà = art as imitation of nature


- La realtà è dura = life is hard
- La sua malattia è una realtà = her illness is genuine
- Progetti che diventano realtà = plans which are realised
- Spesso la realtà ci sfugge = often we don’t see things as they really are
- Ha il senso della realtà = he is realistic
- Bisogna tenere in considerazione la realtà locale = we must keep local needs in mind
- Gli editori devono conoscere bene la realtà sociale = publishers need to have thorough knowledge
of the social scene
- La realtà economica = the economic situation

Talvolta, la nozione di equivalenza corrisponde a un’idea più generale di resa di un testo fonte in uno
d’arrivo, e la medesima espressione può altresì indicare la sostituzione di un’espressione di una formula
fissa della lingua fonte in una equivalente nel testo d’arrivo

La divergenza, invece, implica la scelta di un traducente adeguato all’interno di una serie di potenziali
alternative. Oltre all’aspetto lessicale, si riferisce anche alle costruzioni grammaticali adottate, poiché
talvolta più di un paradigma nel testo d’arrivo potrebbe tradurre in modo appropriato il paradigma del testo
fonte. “se dovesse succedere” può essere tradotto come “should it happen, if it should happen, were it to
happen, if it were to happen…

L’amplificazione vede l’aggiunta di un elemento al testo fonte al fine di renderlo maggiormente


comprensibile ai riceventi. Potrebbe, inoltre, rivelarsi utile ricorrere a questa strategia nelle situazioni in cui
la lingua di partenza da per scontate alcune componenti che possono essere culturali, semantiche,
linguistiche o una combinazione di queste.

L’esplicitazione può essere considerata una forma particolare di amplificazione, in quanto prevede
l’introduzione, nel testo d’arrivo, di informazioni aggiuntive al fine di spiegare o chiarire degli elementi del
testo fonte che rimarrebbero altrimenti incomprensibili al lettore d’arrivo. Queste spiegazioni si evincono
dal contesto situazionale o dal contesto in cui compare l’enunciato. Comunque, i traduttori devono
considerare attentamente la necessità dell’aggiunta e le sue conseguenze.

In ogni caso, quando si decide di ricorrere a una procedura piuttosto che un'altra la scelta rimane tra le due
macrocategorie traduttive identificate da Venuti:
- Straniamento: creazione di un testo d'arrivo che il lettore possa percepire come Altro a livello
culturale e linguistico in quanto le differenze tra culture di partenza e cultura d’arrivo non sono
alterate
- Addomesticamento: tesa a limitare le differenze tra testo fonte e testo d'arrivo per rendere il
prodotto familiare e riconoscibile ai riceventi.

Questo concetto porta in primo piano la questione della fedeltà o dell’infedeltà della traduzione.

Robert Lowell si fa promotore di un approccio addomesticante e modernizzante del testo fonte che
dovrebbe essere adattato alla cultura di arrivo.

Stanley Kunitz parla invece di lealtà al testo fonte soprattutto nel caso in cui questo sia compatibile con la
produzione di un testo accettabile nella lingua d'arrivo.

Giovanni Pascoli propugnava il mantenimento dello spirito del testo originale, distinguendo fra traduzione
vera e propria, ossia l'opera di chi vuol rendere il pensiero dello scrittore, e interpretazione, ossia l'opera di
chi si contenta di esprimere le proposizioni soltanto. Si tratta alla fine di valutare il livello di equivalenza che
distingue il testo d’arrivo in relazione al testo fonte.

La diffusione si riferisce al fenomeno per il quale un'espressione del testo fonte viene elaborata dal punto di
vista linguistico per essere resa in termini che siano riconoscibili dei riceventi della lingua d'arrivo, es.
esclamazione “magari!” tradotta if only I could. La diluzione appare dunque corrispondente, in quanto
presuppone un’espansione del testo d'arrivo a causa dell'esistenza di una corrispondenza che però nella
lingua d'arrivo è caratterizzato da un maggior numero di parole. “at best” tradotto con “nella migliore delle
ipotesi”

Malone individua altre quattro procedure antitetiche che corrispondono a quelle appena citate:

- Sostituzione, detta anche antitesi di equivalenza: la traduzione non presenta alcuna somiglianza con
il testo fonte né da un punto di vista morfosintattico né da una prospettiva semantica. Riguarda
tutte quelle occasioni in cui il traduttore si trova a dover sostituire un’espressione del testo fonte
con una della lingua d'arrivo completamente diversa, anche se quest'ultima non ha alcuna affinità
fonetica, grammaticale o semantica con la precedente. Si potrebbe considerare la modulazione un
esempio di sostituzione, essendo la trasformazione della struttura della frase nella lingua d'arrivo
sostituendo certi elementi lessicali e sintattici: è possibile adottare una forma attiva al posto di una
passiva, sostituire una parte con il tutto etc.
- Convergenza, detta anche antitesi di divergenza: processo grazie al quale il traduttore identifica il
termine in cui convergono due o più parole della lingua di partenza, es. non esistendo un pronome
di cortesia a sé stante, le forme italiane tu, lei, loro, voi corrispondono tutte all'inglese you, il che
significa che occorrerà comunicare altrimenti il livello di formalità del testo.
- Riduzione, detta anche antitesi dell'amplificazione: omissione di alcuni elementi nel testo di arrivo
perché risulterebbero ridondanti o ingannevoli; il traduttore dovrà però fare attenzione a non
tradire il testo fonte prendendo decisioni discordanti con i fini dell’autore. Nonostante il traduttore
possa percepire il testo come ridondante non è suo compito decidere per pure questioni stilistiche
di modificare quanto scritto dall’autore, che ha adottato un iteratio con cognizione di causa
plausibilmente per ottenere un effetto particolare. Si può dunque vedere come questa procedura
sia analoga alla concisione (il testo di arrivo risulta più economico rispetto a quello fonte, in virtù
del fatto che il medesimo concetto viene reso con un numero di parole inferiore)
- Condensazione, detta anche antitesi della diffusione: testo d’arrivo più economico di quello fonte
da un punto di vista linguistico, in quanto utilizza un numero inferiore di parole rispetto all'originale.
Procedura analoga a quella di concentramento, che si applica nei casi in cui il testo d’arrivo appare
più economico a causa di corrispondenze linguistiche caratterizzate da un numero di elementi
minore nella lingua target (Innamorarsi tradotto con to fall in love).

Delisle accorpa tutte queste procedure (condensazione, concentramento e riduzione) in una categoria più
generalizzata con il nome di economia: in senso generale, la produzione di un testo d’arrivo più sintetico
rispetto all'originale. Di questa categoria fa anche parte l'implicitazione, in base alla quale informazioni date
nel testo fonte vengono omesse perché considerate ridondanti o facilmente deducibili dal contesto.

Infine, Malone si concentra sul tipo diverso di costruzione della frase inglese rispetto a quella di altre lingue,
proponendo la procedura del riordino, ovvero il modo in cui si posizionano le parole all'interno del contesto
rispetto alla lingua. Ad esempio, l'uso frequente in inglese della forma passiva rende spesso necessario un
riordino in traduzione italiana (si sentono voci / voices can be heard). La strategia di riordino implica spesso
un cambiamento della sequenza tema/rema, che potrebbero avere anche forti implicazioni ideologiche nel
caso di voci attive e passive. Il traduttore dovrà prestare valutare le conseguenze che la costruzione di una
frase come subordinata piuttosto che coordinata, l’inserimento di un si passivante o la tematizzazione di un
aspetto piuttosto che un altro nella lingua d’arrivo, potrebbero avere anche sull’impianto ideologico del
testo tradotto. Il riordino può anche esulare da questioni puramente morfo-sintattiche: è il caso delle
combinazioni lessicali, che potrebbero non corrispondere perfettamente o potrebbero corrispondere solo
parzialmente (safe and sound – sano e salvo). Chiaramente, la forma più semplice di riordino è inerente alla
sequenza aggettivo-sostantivo, in base alla quale black dog, ad esempio, viene tradotto con cane nero.

La word for word translation si riferisce a traduzioni letterali in cui tutti gli elementi del testo fonte vengono
trasposti nel testo d’arrivo senza neanche cambiare l'ordine in cui essi compaiono nel contesto. Questa
procedura veniva spesso adottata nella resa dei testi religiosi letterari in cui si voleva limitare al massimo
l’ingerenza del traduttore sul prodotto finale, pur incorrendo nel rischio di produrre una tradizione che
privilegiando l'aspetto formale rispetto al significato avrebbe potuto condurre a errori di interpretazione e
resa semantica. La traduzione letterale portata all'estremo, in cui la strategia di riordino viene ignorata,
viene chiamata traduzione a calco, in cui il traduttore mira a riprodurre tutti gli aspetti semantici,
etimologici e temporali del testo fonte. Nella traduzione interlineare, l'ordine dei vari elementi non muta,
incorrendo talvolta in rese approssimative ambigue. Nonostante questa strategia sia stata abbandonata
proprio per ovviare a tutti i problemi di resa che comportava, in certi ambiti è l'unica strategia possibile per
creare un prodotto finale che rispetti le istanze di cui l'autore del testo fonte si è fatto portavoce, come ad
esempio i testi fortemente ideologici (come quelli scaturiti dal mondo postcoloniale in cui una traduzione a
calco delle lingue native degli autori in inglese è spesso alla base delle opere stesse)

La compensazione crea un equilibrio che inevitabilmente si rischia di perdere per i casi di translation loss.

Negli anni ‘70/’80 del XX secolo si presenta un incoraggiamento ad un approccio più flessibile alla
traduzione, che inizia ora a essere concepita come una riscrittura. Lefevere diceva che i riscrittori tendono a
cambiare gli originali al fine di adattarli dall’ideologia e alla poetica vigente in una data società e in un
particolare periodo storico. La riscrittura prende anche forti connotazioni ideologiche, in quanto alcuni
elementi del testo fonte vengono omessi al fine di conformare maggiormente l’originale alla cultura della
società d’arrivo. La riscrittura può essere concepita come un’esemplificazione di tutte le manipolazioni
testuali. Tra quest’ultime, sono da annoverare tipi diversi di adattamenti, come la trasposizione
cinematografica o teatrale di testi letterari.

La nozione di svolta culturale afferma che una traduzione non può coincidere semplicemente con una
transcodifica linguistica, ma deve porsi necessariamente anche come un trasferimento culturale. L’aspetto
culturale ricopre un ruolo essenziale nel modo in cui la lingua viene utilizzata e recepita all’interno di una
data società, dal momento in cui il medesimo messaggio viene reso in un altro contesto linguistico e
culturale, dove i parlanti potrebbero utilizzare i medesimi elementi linguistici in modo e con finalità
differenti.
Gideon Toury, esponente dell’approccio target-oriented secondo cui il traduttore opera principalmente
nell’interesse della cultura e della lingua d’arrivo, adotta una visione polisistemica della traduzione, grazie
alla quale si possono analizzare e portare in evidenza vari sviluppi linguistici e relazioni inter-letterarie
all’interno dello stesso sistema.

La nozione di equivalenza ideale tra testo fonte e testo d’arrivo è stata abbandonata. La perdita traduttiva è
stata accettata e corrisponde ad una replica incompleta del testo fonte in quello d’arrivo, con la perdita di
alcune caratteristiche testuali e culturali. La vera omonimia si presenta molto raramente e non può esistere
una piena equivalenza. Questo aspetto è ben esemplificato da quanto detto sul prestito linguistico, che
introduce nel testo d’arrivo tendenzialmente un tocco di foreignness che non è presente in quello fonte e
che può produrre un effetto di straniamento e di esotismo per i riceventi. Esemplare è il fenomeno di code-
mixing.

Molti aspetti della traduzione dipendono non solo dalla tipologia testuale ma anche dalla funzione tanto del
linguaggio utilizzato quanto del testo nella sua interezza. Nella traduzione della prosa letteraria, ad esempio,
il traduttore deve necessariamente considerare il testo come un’entità completa. Hilaire Belloc sosteneva
che:

- Il traduttore deve considerare il testo come unità integrale e tradurlo in sezioni, piuttosto che parola
per parola
- Il traduttore deve rendere tutti gli idiomi in un’altra forma nel testo d’arrivo, ma mantenendo il
significato
- Il traduttore deve rendere tutte le intezioni
- Il traduttore deve fare attenzione ai falsi amici totali e parziali
- Il traduttore non deve mai abbellire il testo

Theodor Savory elabora una guida alla traduzione letteraria, che afferma che una traduzione:

- Deve riportare le parole dell’originale


- Deve rendere l’idea dell’originale
- Deve essere letta come un lavoro originale
- Deve essere letta come traslazione
- Deve riflettere lo stile dell’originale
- Deve possedere un proprio stile
- Deve essere letta come contemporanea all’originale
- Deve essere letta come contemporanea a se stessa
- Può aggiungere o omettere alcune cose dell’originale
- Potrebbe non aggiungere o omettere mai alcune cose dell’originale
- Se il testo è in versi, deve essere tradotto in prosa
- Se il testo è in versi, deve essere tradotto in versi

Eppure, la SkoposTheorie non prende in considerazione la complessità culturale del processo traduttivo. La
teoria tende ad ignorare non solo il fatto che il testo target possa spesso mantenere solo alcune delle
funzioni originali, ma che sia anche in grado di assumere funzioni diverse all’interno della cultura target. Lo
scopo determina le strategie e le procedure traduttive, che possono essere adottate nel tentativo di
produrre un testo d’arrivo che sia funzionalmente adeguato. La skopostheorie prevede traduzioni differenti
sulla base del diverso scopo del testo tradotto e anche delle condizioni esterne che possono influenzare il
processo.

La nozione di scopo e della funzione specifica del testo è strettamente collegata al discorso più generale
della funzione più ampia della traduzione. C’è una distinzione tra la concezione di funzione della traduzione
di Walter Benjamin e quella di altri studiosi di traduzione. Benjamin reclama lo status di forma indipendente
di traduzione: il traduttore non dovrebbe preoccuparsi di ciò che il testo fonte significa, dal momento che il
suo lavoro dovrebbe serve the purpose of expressing the innermost relationship of languages to one
another. Lo scopo del traduttore diventa pertanto quello di liberare la lingua pura (tutte le lingue viste come
una sola) del testo fonte.

Holmes sostiene che la traduzione può avere sia una funzione meta letteraria (interpretazione del testo
fonte), sia una funzione primariamente letteraria (la creazione di un testo indipendente).

Roberta Roberts sostiene che la relazione tra il testo fonte e il testo d’arrivo potrebbe dunque essere molto
diversa e potrebbe prevedere una funziona basata sulla mimesis (il traduttore cerca di mantenere la forma
dell’originale, adottando spesso strategie di straniamento che mantengano l’alterità del testo fonte),
sull’analogia (il traduttore si conforma alla lingua e alla cultura d’arrivo adottando strategie di
addomesticamento al fine di rendere il testo fonte percepibile dai riceventi d’arrivo come naturale),
sull’organicità (il traduttore rimane fedele al contenuto semantico del testo fonte) o sulla deviazione
(produce traduzioni libere che non presentano forti legami con il testo fonte).

Christiane Nord suggerisce che un testo tradotto può avere prevalentemente una funzione
documentaristica (documento della relazione esistente tra l’emittente e il ricevente della cultura di
partenza) o strumentale (serve cioè come strumento indipendente per la trasmissione di un significato
attraverso un nuovo atto comunicativo inserito nella cultura d’arrivo, i cui riceventi non sono
necessariamente consci che il testo con cui si stanno confrontando era stato utilizzato in precedenza in una
situazione comunicativa diversa). La decisione del livello di aderenza al testo fonte è primaria e determina la
visione dello scopo stesso della traduzione che sarà a sua volta stabilita da fattori anche extra-testuali.
Questi fattori dovrebbero comprendere la specificazione delle funzioni del testo, del ricevente, della
ricezione temporale e geografica del testo, del motivo alla base della produzione del testo fonte e della sua
traduzione in un testo d’arrivo. I translation studies ritengono che le traduzioni siano prodotti della cultura
d’arrivo, enfatizzando che un testo d’arrivo particolare potrebbe rispettare alcune caratteristiche del testo
fonte e non altre. L’equivalenza assoluta tra due testi, due lingue e due culture non è concepibile.

CAP 6

6.1 Un mediatore, al contrario di un traduttore tradizionale, cerca di ricreare delle strutture connesse alla
cultura ogni qualvolta questa operazione si renderà necessaria, accetterà che la differenza costituisce la
norma e che non esiste un’unica traduzione corretta. Toury sostiene l’idea secondo cui la correttezza è un
concetto fluido, che cambia insieme alle norme socioculturali della cultura ricevente. Non ci può essere
uguaglianza fra i vari sistemi e le differenti tipologie letterarie. Ovviamente, i traduttori hanno a disposizione
una serie di strategie. Il meta – modello ideato da Bandler e Grinder identifica la generalizzazione (definita
come dei casi in cui un esempio assurge a rappresentante di un dato numero di possibilità), la cancellazione
(può essere sia sintattica che semantica e potrebbe essere utilizzata per diminuire la densità lessicale) e la
distorsione (comprende tanto la generalizzazione quanto la cancellazione e si riferisce per esempio alla
normalizzazione, che costituisce una forma di cancellazione, e alla presupposizione, che corrisponde a una
distorsione della realtà). Il meta – modello, grazie alla sua malleabilità, può trovare efficaci applicazioni
anche in ambito traduttivo. Dal momento che le categorie sono tutte legate alla cultura, ci saranno
differenze in termini di generalizzazione ma, in traduzione il ricorso ad un iperonimo può rivelarsi utile.
Analogamente, attraverso una manipolazione discreta del testo (o l’inserimento di un commento al di fuori
del suo corpo centrale), il traduttore potrebbe aggiungere un’espressione al fine di rendere le strutture della
cultura di partenza ugualmente accettabili al lettore target. Il traduttore potrebbe ri-creare un’equivalenza
culturale sostituendo un’istituzione tipica di una cultura con una equivalente della cultura d’arrivo, oppure
sfruttando l’intertestualità, o creando uno scenario completamente immaginario dove sia possibile reperire
istituzioni e personaggi appartenenti alla cultura d’arrivo.

Secondo Baker, il traduttore potrebbe decidere di omettere o sostituire interi segmenti testuali che violano
le aspettative del ricevente sul modo in cui un argomento tabù viene trattato: la distorsione permette di
dirigere l’attenzione del ricevente su quanto l’emittente considera importante. Si può verificare attraverso
una traduzione fedele o una traduzione in cui quanto veniva lasciato implicito nel testo fonte viene reso
esplicito in quello target (o viceversa). In quest’ultimo caso, il traduttore fa riferimento alle procedure
traduttive di esplicitazione e implicitazione, utilizzandole in sinergia con altre procedure come il chunking
(diviso in chunking up, che presuppone uno spostamento dallo specifico al generale, per esempio con un
iperonimo e chunking down, con lo spostamento dal generale allo specifico, per esempio con un iponimo). I
traduttori, gli interpreti o i parlanti di una lingua seconda devono perciò prestare particolare attenzione a
tutti quegli aspetti determinati della cultura: è necessario essere consapevoli delle diverse relazioni che
parlanti di culture diverse potrebbero avere con l’ambiente fisico che li circonda e che nelle culture
occidentali determina l’identità individuale. La nozione di spazio va a influenzare pure lo stile linguistico
adottato: nel caso di situazioni interculturali è importante considerare anche il codice di regole che definisce
l’abbigliamento appropriato, essendo che il significato simbolico acquisito dall’abbigliamento cambia da una
cultura all’altra. La categoria temporale invece è importante perché esistono sostanziali differenze tra le
culture mono-croniche (in cui il tempo costituisce la struttura all’interno della quale si inseriscono le azioni,
rivolgendo l’attenzione alle stesse e ai programmi in base ai quali le azioni devono essere svolte), e le
culture poli-croniche. Culture diverse possono avere un concetto fisso o un concetto fluido del tempo, il che
stabilisce in che modo la nozione di puntualità venga definita e quale sia il livello di tolleranza che ci si può
aspettare in caso di ritardo. Anche l’olfatto è un elemento culturale, in quanto ciò che costituisce un odore o
un profumo è determinato dall’ambiente in cui si cresce. Un’ulteriore questione legata al significato che le
persone assegnano alla categoria temporale si riferisce alla possibilità di appartenere a una cultura
“orientata verso il passato” (dove la tradizione è sovrana, come in Cina) o una cultura “orientata verso il
presente” (dove è importante il qui e ora) o ancora “orientata verso il futuro” (culture più immaginative,
dove i membri fanno piani a lungo termine, come gli USA). Inoltre, l’orientamento che le persone assumono
nei confronti del potere è altrettanto fondamentale. I mediatori culturali dovrebbero anche prestare
attenzione alla possibilità che una cultura sia competitiva piuttosto che cooperativa. Infine, occorre valutare
fino a che punto una cultura sia a proprio agio nel gestire l’ambiguità, l’incertezza e il cambiamento, e se si
possa definire come cultura ad alta contestualizzazione, che si affida al contesto, dando per scontate
numerose informazioni, oppure a bassa contestualizzazione, cioè una cultura che non si affida al contesto e
sarà portata a dare il maggior numero possibile di informazioni, e fa uso di abbreviazioni. Quello che Hall
definì cultural contexting, ovvero il processo di contestualizzazione culturale, appare fondamentale e
stabilisce il traduttore come responsabile della mediazione tra interlocutori di culture diverse.

Il traduttore deve essere coinvolto a livello linguistico e culturale al fine di ovviare ai problemi che
potrebbero sorgere a causa delle differenze tra gli interlocutori. In ambito tecnico-scientifico, l’intervento
dei traduttori è stato spesso percepito come superfluo ed è per questa ragione che la traduzione dei testi
pubblicitari non può rientrare semplicemente in una categoria generale etichettata come traduzione
tecnica. Mansfield sostiene che si può parlare di:

- Basic-advert: utilizzato dai proprietari privati, consiste in una breve descrizione della proprietà e
nell’indicazione della zona in cui è collocata senza immagini
- Traditional advert: utilizzato dalle agenzie che forniscono un’immagine, una descrizione
dell’immobile, la locazione e il prezzo
- Descriptive advert: corrisponde al profilo immobiliare reperibile in riviste specializzate,
caratterizzato dall’assenza di abbreviazioni e da un’immagine più grande
- Standard advert: lo scopo è l’attenzione dei lettori. Presenta un titolo o uno slogan che riassume i
vantaggi della proprietà in vendita e la presenza di esseri umani nell’immagine

È importante considerare quale mezzo ogni paese preferisca, in quanto le culture ad alta
contestualizzazione tendenzialmente scelgono una comunicazione più personale rispetto a quelle a bassa
contestualizzazione, che optano più facilmente per la comunicazione di informazioni scritte ed esplicite.

Le differenze culturali sono fondamentali anche quando i partecipanti condividono la medesima lingua. C’è
una profonda differenza, addirittura all’interno della stessa società occidentale, nel modo in cui certe
culture si atteggiano. Le conseguenze che questo aspetto può avere in una comunicazione faccia a faccia
appaiono evidenti: Tannen parla di high involvement e high considerateness conversational patterns, cioè
modelli conversazionali in cui emerge in modo preponderante il coinvolgimento emotivo e la premura tipici
non solo delle varietà interlinguistiche ma anche di quelle intralinguistiche. I parlanti che adottano il primo
modello tenderanno a parlare di più, a interrompere più spesso l’interlocutore, parleranno ad una velocità
più elevata e useranno un tono più alto e una varietà più ampia di toni.

L’interpretazione degli aspetti prosodici e paralinguistici assume altrettanta importanza, poiché essi
potrebbero venire intesi come segnali di alterazione, rabbia o sincerità, anche in un linguaggio non verbale.
Un ulteriore aspetto che potrebbe rivelarsi importante in una conversazione e di cui il traduttore deve
essere assolutamente consapevole è l’importanza che una data cultura assegna alle varie massime descritte
da Grice nel principio della cooperazione e la tolleranza dimostrata nei confronti della loro violazione.
Un’altra occasione che richiede particolare attenzione da parte del mediatore è il ricorso all’ironia da parte
di un parlante, dal momento che essa potrebbe non funzionare nella cultura dell’interlocutore. Non si può
dare per scontato che il medesimo atto linguistico si faccia portatore dei medesimi significati e delle
medesime implicazioni in ambienti socioculturali differenti. Nel caso di richieste d’aiuto, favori e simili, i
traduttori dovranno poi ricorrere a strategie in grado di ammortizzare l’impatto che la richiesta avanzata
potrebbe avere in base ai ruoli sociali degli interlocutori, la delicatezza della loro richiesta, il contesto sociale
e l’urgenza trasmessa. I traduttori, al fine di porsi come veri mediatori culturali, devono essere in grado non
solo di cambiare mentalità e aderire sia alla cultura fonte sia alla cultura d’arrivo virtuale, ma dovrebbero
anche assumere una terza posizione percettiva in grado di rimanere dissociata da entrambe le culture.

6.2 I cultural studies posero qualsiasi tipo di comunicazione interculturale come una forma di traduzione,
identificando il traduttore come mediatore culturale. Uno dei principi fondamentali della disciplina è che
risulta possibile ottenere una vera comunicazione solo nel momento in cui i parlanti sono consapevoli del
contesto culturale in cui la lingua viene utilizzata. Anche secondo questi studi, per comunicare veramente
non è sufficiente conoscere la lingua, ma occorre avere una conoscenza approfondita anche della cultura,
del contesto nel quale la lingua è impiegata e delle implicazioni che certi comportamenti linguistici possono
avere in una determinata comunità. Gli studi culturali cercano di portare alla luce i meccanismi che
determinano la comunicazione tra l’emittente e il ricevente di un messaggio. Uno degli scopi dei cultural
studies è lo studio delle relazioni che sottostanno a innumerevoli forme di scambio comunicativo. Nascono
nel 1964, e si interessarono inizialmente alla cultura della classe operaia e a quella orale. Hoggart e Williams
affermano che lo scopo dei cultural studies era quello di sostenere la cultura della gente comune in
contrapposizione a quella canonica tipica delle classi medie e alte. Dopo una fase iniziale degli anni 60,
durante la quale i cultural studies britannici vennero influenzati dalla nuova sinistra, affrontarono una fase
strutturalista e poi una post-strutturalista durante gli anni 80. Fu in questi anni che ci si concentrò su
questioni legate all’identità femminile e omossessuale e all’identità degli immigrati (= questo a causa dei
numerosi migranti che giunsero in Gran Bretagna e al race relations act, che vietava l’immigrazione di altri
cittadini di colore). Fu proprio nel 1979 che, come conseguenza della crisi politica attraversata dalla sinistra
durante gli ultimi anni, Margaret Thatcher venne eletta primo ministro, e incoraggiò con decisione
l’individualismo, portando così a tagli drastici all’apporto del welfare. Successivamente, fu emanato il British
National Act, con cui il diritto alla cittadinanza britannica veniva negato ai figli di coppie immigrate. Un
secondo Immigration Act intensificò i controlli sull’immigrazione. Hall esortava i suoi lettori e connazionali a
prendere atto delle differenze culturali tra le varie sezioni della popolazione britannica. I cultural studies,
condividendo inizialmente i fini degli strutturalisti, si pongono costantemente in contrapposizione a molte
delle istituzioni accademiche vigenti, e mirano ad abbattere l’idea di canone in tutte le sue manifestazioni,
prediligendo quindi lo studio di vari tipi di discorso, ponendo l’enfasi sul fatto che non esiste un singolo
discorso culturale privilegiato, monopolio di una élite ristretta.

Il termine cultura indica un’entità complessa e pluridimensionale che comprende i prodotti di gruppi che si
distinguono notevolmente per la classe sociale, l’etnia, l’età e il genere. I cultural studies analizzano culture
disparate come la cultura alta, quella bassa, quella popolare, la cultura rock, quella omosessuale, la black
culture, la cultura coloniale e postcoloniale, quella postmoderna.. I fondatori dei cultural studies
sembravano confermare il fatto che la cultura non poteva più essere intesa come univoca, ma doveva essere
vista come un insieme di voci e di linguaggi differenti. È possibile fare molte distinzioni per quel che
concerne la definizione di cultura:

- Antropologica  cultura come forma di comportamento sociale legato ad abitudini, usanze, valori
etc
- Formale / informale
- Cultura vera e propria (programmi culturali di un’intera nazione) / sotto-cultura (associata da
Hoffstede alla professione, retaggio geografico, genere sessuale, età e organizzazioni cui membri
appartengono)

A causa delle difficoltà nello stabilire una definizione di cultura, l’oggetto di studio dei cultural studies
appare ugualmente ambiguo. L’approccio metodologico della disciplina si configura come molto eterogeneo
e poco sistematico, in quanto la disciplina non sviluppa una teoria specifica, ma prende in prestito da altre
discipline delle scienze sociali e da tutte le branche degli studi umanistici e artistici. Lo scopo dei cultural
studies può pertanto definirsi non solo come lo studio di un’entità autonoma e indipendente, ma anche
come l’analisi della cultura che si manifesta nei contesti sociali di una società particolare in un momento
specifico. Tra gli interessi che da sempre accarezzano i cultural studies si ritrova l’analisi di questioni
identitarie a più livelli, che ha assunto spesso la forma di una centralità concessa allo studio della letteratura
della diaspora e della migrazione. Un importante filone culturale e letterario è rappresentato dalle opere di
autori migranti.

6.3 Nel romanzo Between di Brooke-Rose, il plurilinguismo è portato all’estremo al fine di cercare un
romanzo la cui protagonista può solo e sempre rimanere nel mezzo, intrappolata tra paesi, lingue e culture
diverse. Dopo i quattro romanzi che aderivano ai canoni del realismo, in cui Brooke-Rose aveva introdotto la
nozione secondo la quale la compresenza di diversi linguaggi nello stesso individuo porta ad una
frammentazione della personalità, l’autrice propone l’idea che quell’entità che la tradizione occidentale
considerava come identità non corrisponde a un valore trascendentale ma al prodotto dei vari linguaggi cui
l’individuo viene esposto nel corso della propria vita. Il romanzo offre importanti riflessioni ontologiche,
individuando i limiti di molte delle teorie che furono dimostrate inadeguate e parziali nel corso del XX
secolo. L’idea romantica di una comunicazione profonda tra esseri umani viene smascherata come un ideale
irraggiungibile. Il romanzo è scritto in numerose lingue, che provocano spesso cambiamenti di
ambientazione, sia geografica che temporale, anche all’interno della medesima frase. Il tono impersonale
della narrativa trova una giustificazione nel fatto che il personaggio, essendo un interprete,
presumibilmente utilizza il linguaggio in modo estremamente preciso. I numerosi aspetti della sua vita
vengono riferiti durante tutto il romanzo come se appartenessero a un’altra persona, con la perdita
dell’identità come risultato, causata dall’esposizione a troppi linguaggi e a troppe lingue diverse. Inoltre,
questa woman of uncertain age non è mai presentata con il suo nome. Il personaggio si trasforma quindi in
persona differenti a seconda dell’interlocutore e della lingua nella quale si esprime. La nozione secondo la
quale l’esposizione a diversi linguaggi provoca una scissione nell’identità del soggetto rimane al centro della
produzione dell’autrice e costituisce la tematica centrale di Between. La donna che Brooke-Rose pone al
centro della sua narrazione non può in realtà essere definita protagonista con facilità né narratrice in senso
canonico, giacché non racconta nulla: la donna non formula mai delle idee originali ma traspone
semplicemente quelle di altre persone da una lingua all’altra. Intrappolata tra diversi ambiti della
conoscenza umana, il personaggio ritiene di non appartenere ad alcun campo specifico, just translation. Per
poter tradurre con successo, le viene richiesto di abbandonare la propria identità per assumere quella
dell’autore che sta traducendo, ed è questo incessante cambio identitario a provocare la perdita della sua
identità. Il traduttore pare dunque coincidere semplicemente con il soggetto linguistico dell’enunciato
dietro al quale non si trova una persona, ma una doppia assenza: la persona rappresentata dall’enunciato
del traduttore non è ovviamente il traduttore stesso, ma la persona che corrisponde al nome di autore.
Quest’ultimo perde la propria autorialità sul testo due volte: sia come autore della traduzione, sia come
autore del testo stesso. In Between si indaga la sensazione di alienazione che viaggiare in un paese di cui
non si conosce la lingua può far scaturire; la poliglossia è fondamentalmente sfruttata a livello di
significante, poiché è spesso il significante di una parola straniera, il cui significato è sconosciuto, che
stimola la sostituzione del termine con uno omofono (il cui significato è in realtà differente). L’autrice
sostituisce al narratore tradizionale un personaggio che, attraverso la mancanza di un nome proprio, risulta
disperso e si riduce a un semplice punto focale. In Between il linguaggio coincide sia con il testo sia con il
soggetto del testo; quindi, il personaggio può essere definito come un costrutto linguistico non solo perché
è una creatura scaturita dalla penna dell’autrice, ma anche perché condivide le caratteristiche fondamentali
della scrittura che Barthes avrebbe in seguito posto in evidenza. La perdita di identità che la scrittura
presuppone appare effettivamente come l’unico modo per annullare il potere intimidatorio del linguaggio e
per crearne uno nuovo in cui a circolare non è tanto il dominio quanto il desiderio sia dell’autore sia del
lettore. Between richiede la partecipazione di quello che Barthes chiamerebbe un lettore aristocratico,
contrapposto al lettore volgare, che invece si focalizza sulla lettura solo al fine di comprendere la trama e
l’epilogo dell’azione narrata.

NUOVO MODELLO DI TRADUZIONE

1. Fase pre-traduttiva: analisi del testo fonte. Si identifica il genere e i suoi elementi costitutivi
nella lingua/cultura fonte a livello lessicale (neologismi, parole greche o latine, forme
composte, numerali…), morfo sintattico (paratassi, ipotassi, forma attiva e passiva, verbi
transitivi e intransitivi…) e testuale (livelli narrativi, relazione tra linguaggio e visual, gli
elementi coesivi, le varie sezioni del testo); si identificano i campi semantici (riferimenti
culturali e intertestuali); si valuta gli strumenti a disposizione del traduttore; si identifica la
funzione del testo o delle sue parti (e si identifica la forza illocutiva e perlocutiva delle varie
sezioni); si identifica il lettore ideale del testo fonte.
2. Fase di transizione: si identifica il lettore, la funzione del testo d’arrivo e si seleziona la
strategia generale di traduzione
3. Fase traduttiva: produzione di un testo d’arrivo. Si identifica il genere e i suoi elementi
costitutivi nella lingua/cultura d’arrivo a livello lessicale, morfosintattico e testuale; valutare
il ricorso a strumenti di traduzione assistita e iniziare la costruzione di una memoria
specifica per il progetto traduttivo in oggetto; si identificano gli elementi linguistici inerenti
ai campi semantici del testo fonte e di quello d’arrivo; si selezionano le procedure traduttive
maggiormente utili per rendere campi semantici, riferimenti culturali e intertestuali.
4. Fase post-traduttiva: revisione del testo tradotto. Si controlla la coerenza e la coesione, si
verificano le inevitabili perdite avvenute; si valutano le possibili strategie di compensazione,
si controlla se alcuni elementi possono risultare tabù, blasfemi nella cultura d’arrivo;
controllo anche che le isotopie principali siano state mantenute; controllo ortografia e
grammatica.
Secondo questo modello, il traduttore sarà così in grado non solo di valutare attentamente tutti gli elementi
presenti nel testo fonte, ma avrà altresì modo di riflettere sulla strategia migliore per trasferirli in una lingua
e in una cultura altra.

Le differenze tra diverse concezioni di cultura trovano un parallelo in ambito traduttivo, facendo la loro
comparsa nella categorizzazione proposta da Vermeer, che distingue tra para-cultura (cultura di gruppi
etnici e nazionali) e diacultura (nozione sociologica di sottocultura)

Umberto Eco osserva che i due aspetti della cultura appaiono particolarmente significativi per i traduttori.
Non si tratta solo di un problema di interpretazione e valutazione di un culturema particolare, ma di trovare
mezzi adeguati a trasporlo in una cultura diversa. Questo processo costituisce sempre una difficile impresa,
poiché anche quando il culturema sembra trasponibile potrebbe assumere uno o più significati diversi nella
cultura d’arrivo. Di conseguenza, la pratica della traduzione deve assumere caratteristiche diverse per ogni
situazione. Un progetto traduttivo deve perciò valutare numerosi aspetti del testo. Se, come sostiene
Barthes, cambiare il linguaggio di una società significa cambiare la società stessa, il traduttore finisce per
contribuire in modo stimolante e fondamentale alla creazione di una nuova realtà. Venuti sottolinea come la
traduzione abbia un enorme potere nella costruzione di culture straniere per i lettori d’arrivo, in quanto può
creare degli stereotipi che, più che rappresentare la cultura alta, in realtà riflettono dei valori domestici. Se
le traduzioni possono mantenere le relazioni sociali esistenti rendendo il testo straniero completamente
intelligibile al lettore domestico, esse possono altresì condurre al cambiamento sociale. Per sfuggire
all’etnocentrismo, un progetto traduttivo dovrà prendere in considerazione gli interessi di un numero
maggiore di persone.

CAP 7

7.1 Si parla di etnocentrismo anche in traduzioni più mondane, come quelle del testo pubblicitario. Il
concetto di globalizzazione ha influenzato il contesto in cui si inserisce la traduzione dei testi pubblicitari,
finendo per mutare la concezione stessa del tipo di lavoro richiesto ai traduttori in questo ambito, giacché
può essere definito come puramente tecnico solo in rari casi. La pubblicità diventa una chiara
esemplificazione del legame di interdipendenza tra linguaggio e realtà. La dimensione economica è
essenziale e anche la traduzione del testo pubblicitario può essere vista in termini puramente economici,
ma vendere lo stesso prodotto in paesi diversi non significa vendere la stessa realtà usando delle etichette
linguistiche differenti. La campagna pubblicitaria andrà ridisegnata apportando modifiche non solo al testo
verbale, ma anche alle immagini, oppure andrà ripensata in modo da porre l’enfasi su selling points diversi
da quelli concepiti originariamente. Essenziale per il traduttore è conoscere a fondo la legislazione del paese
d’arrivo, aspetto che rientra nella cultura di un popolo.

Anni fa era proibito il ricorso a lingue straniere, ma ad oggi la situazione è cambiata: in Quebec, i cartelloni
pubblicitari devono essere bilingui, ad esempio. Inoltre, numerose parole straniere fanno la comparsa nelle
pubblicità italiane e addirittura interi spot sono lasciati in lingua inglese e provvisti di sottotitoli, una cosa
assolutamente impensabile negli anni 30, quando il proibizionismo linguistico fascista sembrava aver
raggiunto il suo apice.

La mancata osservanza di certi costumi o di certe regolamentazioni potrebbe a tutti gli effetti
compromettere irrimediabilmente una campagna pubblicitaria. La dimensione ideologica della traduzione
non deve mai essere trascurata: di conseguenza, la traduzione può agire nel rispetto dell’ideologia proposta
dal testo fonte o in opposizione a essa. Partendo dal presupposto che i traduttori tendono a cambiare
l’originale per adattarlo alle ideologie a loro più vicine, è possibile individuare tre tendenze generali nei
confronti della traduzione pubblicitaria:
- La compagnia può tendere alla centralizzazione e utilizzare traduttori in loco, distanti dal paese
d’arrivo linguisticamente e culturalmente MA parlanti nativi della lingua d’arrivo (compagnia
etnocentrica: ancorata alla cultura fonte)
- Compagnia policentrica, che cerca di adattare le campagne pubblicitarie al paese ricevente,
assegnando il lavoro a traduttori basati nel paese d’arrivo
- Compagnia geocentrica, determinata a trascendere le frontiere geografiche e culturali creando
delle compagnie globali. Qui, il linguaggio verbale è ridotto al minimo e le pubblicità si affidano a
delle immagini

La famosa pubblicità della nike può porre problemi a più livelli: lo slogan “Just Do It” pone diverse difficoltà
linguistiche, visto che trovare un corrispondente è difficile, e soprattutto la traduzione potrebbe portare a
risultati negativi.

Se è vero che le origini della pubblicità si collocano in un tempo remoto, è solo con la rivoluzione industriale
e la produzione di massa che ha iniziato ad acquisire l’importanza che ricopre nella società contemporanea.
Nel testo pubblicitario il linguaggio è affiancato dal linguaggio non-verbale e visivo. Fra gli elementi verbali
del testo pubblicitario è possibile identificare:

- L’headline (titolo)
- La body-copy (la parte centrale del messaggio pubblicitario che si presenta spesso suddivisa in
paragrafi)
- Lo slogan (la frase conclusiva)
- Gli standing details (presentano le informazioni utilitaristiche, spesso scritte in carattere di
dimensioni minori, attraverso cui l’azienda spiega al consumatore come contattarla V. Il logo🡪 il
nome dell’azienda produttrice)
- Il trademark (il simbolo dell’azienda)

Ognuno di questi elementi espleta chiaramente una funzione differente:

- Il titolo dovrà attirare l’attenzione dei lettori, riassumere il contenuto del messaggio e stimolare il
processo di memorizzazione
- La body-copy dovrà spiegare ciò che viene presentato dal titolo.
- Il logo, il trademark e lo slogan (pay-off) avranno il compito di apporre una firma al testo
pubblicitario
- Gli standing details cercheranno di elicitare una risposta da parte del potenziale acquirente

È possibile anche individuare diversi elementi degli aspetti non-verbali, ovvero il visual, l’immagine
principale che è composta da:

- setting (può essere interno o esterno ed è composto da due categorie che possono essere
entrambe: familiari e reali, nostalgiche e/o immaginarie, fantastiche e/o esotiche),
- props (gli arredi scenici che possono essere funzionali, ovvero parte della scena, funzionali e
metaforici, ovvero oggetto parte della scena ma assume con altri significati, o metaforici, ovvero
oggetto che suggerisce significati aggiuntivi)
- persone (la cui presenza è determinata dalla distanza, definita in termini di inquadrature come
close, medium close shot, medium shot, medium long shot, long shot, very long shot),
- packshot (l’immagine del prodotto stesso. È possibile parlare di close distance, middle distance,
long distance, close-up, blow-up, cropping, focus and depth of vision)

Tra gli elementi verbali e quelli non-verbali possono esistere diversi tipi di relazioni. Immagine e parola
possono essere legati da una relazione basata sulla ripetizione (cioè un elemento illustra l’altro),
completamento (quando un elemento sviluppa l’altro fornendo informazioni aggiuntive), opposizione
(quando gli elementi visivi e quelli verbali si fanno portatori di messaggi contradditori).

Il modo in cui gli elementi non-verbali si relazionano tra di loro e con il testo verbale è strutturato, tanto che
si parla di grammatica del visual design, dove l’uso dei colori diventa essenziale. Ogni colore si fa portatore
di significati simbolici che saranno determinati dalla cultura in cui vengono utilizzati, finendo per stimolare
emozioni particolari e dunque suggerire specifiche associazioni. Alcuni sono:

- Blu: freschezza, verità


- Rosso: amore, dinamismo, energia
- Giallo: vitalità, estate
- Verde: primavera, freschezza, vitalità, vita a contatto con la natura
- Rosa: figura femminile
- Nero: sofisticazione, seduzione

Il modo in cui i colori vivaci e i colori cupi vengono utilizzati aiuta a sottolineare certi aspetti dei componenti
visivi, portandoli in primo piano. Il colore serve di supporto al modo in cui l’informazione è organizzata. Il
tema visivo del testo pubblicitario appare in tinte cupe mentre il rema in tinte chiare e vivaci. All’interno dei
product-ads, ovvero quelle pubblicità mirate a vendere un prodotto materiale è possibile identificare:

- Product-information format: il prodotto è al centro del focus del testo pubblicitario e le sue virtù e
qualità sono enfatizzate e illustrate. Incoraggia il consumatore ad acquistare un prodotto particolare
dando una o più ragioni per farlo, generalmente è utilizzata per pubblicizzare prodotti di tipo
utilitaristico
- Product-image format: il prodotto è associato a certe immagini che non gli verrebbero
normalmente attribuite
- Personalised format: si crea tra il prodotto e la personalità umana una relazione diretta e il
prodotto viene rappresentato come un compagno intimo degli esseri umani che compaiono
all’interno della pubblicità
- Lifestyle format: il prodotto viene associato a uno stile di vita particolare

O’Donnel e Todd affermano che questi formati sono utilizzati in testi chiamati soft-sell, approccio molto più
emotivo e discreto, in cui il legame tra linguaggio e ideologia appare molto più stabile e forte, modello
generalmente utilizzato per proporre ai riceventi prodotti non necessari. Questa tecnica permette di agire a
livelli più subliminali e indiretti, facendo leva sulle reazioni emotive del pubblico. In tutte queste situazioni di
soft-sell si insidieranno tecniche specifiche:

- Tecnica di endorsement: utilizzata in concomitanza con un life-style format. Una celebrità dichiara
quanto sia meraviglioso il prodotto
- Tecnica weasel words: utilizza parole vuote di significato ma piene di colore. “più bianco del
bianco”
- Tecnica statistica: offre prove statistiche delle qualità del prodotto, pur non dando alcuna
indicazione dell'ampiezza del campione studiato o sulle modalità secondo le quali l’indagine è stata
condotta
- Tecnica dell’esperto: sfrutta il fascino esercitato dagli specialisti e dagli uomini di scienza
- Tecnica dell’ingrediente misterioso: suggerisce la scoperta di qualche nuovo ingrediente che ha
condotto a un ulteriore miglioramento
- Tecnica del compliment the user: il consumatore viene adulato e fatto sentire in diritto di utilizzare
il prodotto stesso
- Tecnica nostalgica: si stimola un legame tra il ricordo piacevole suscitato dalla pubblicità e il
prodotto stesso.
I testi pubblicitari spesso fanno appello agli istinti e a universali psicologici come l’invidia o la paura e
sfruttano l’emotional selling preposition, una decisione strategica secondo la quale il potenziale acquirente
non viene persuaso all’acquisto tramite la spiegazione dei vantaggi derivanti dall’utilizzo di un certo
prodotto in termini pratici ma facendo appello ai loro sentimenti e alle loro emozioni. A seconda del
ricevente ideale o implicito, la campagna pubblicitaria potrà prendere in prestito e integrare elementi
provenienti da media diversi, presentando le proprie pubblicità come mini soap-operas, telegiornali fittizi o
mini-documentari. È possibile parlare di infomercial, un genere ibrido che si definisce come una pubblicità
resa per sembrare un documentario o un chat show. Il testo pubblicitario si pone come una chiara
esemplificazione non solo del legame esistente tra linguaggio e cultura ma della creatività stessa del
linguaggio, le cui potenzialità vengono sfruttate ai massimi livelli. Le caratteristiche generali degli elementi
verbali del testo pubblicitario sono state oggetto di innumerevoli studi a livello grammaticale ed è possibile
identificare:

- Uso di una grammatica disgiuntiva e abbreviata


- Ricorso a frasi brevi
- Uso di costruzioni paratattiche
- Assenza di forme passive
- Uso del tempo presente
- Assenza del tempo passato
- Forme imperative
- Costruzioni interrogative
- Frasi introdotte da quando/se/perché
- Utilizzo di una gamma ridotta di verbi e aggettivi
- Uso occasionale di aggettivi alla forma comparativa o superlativa
- Ricorso alla condensazione tramite la creazione di densi gruppi nominali dove è possibile trovare
intere frasi e composti, gruppi aggettivali incassati, gruppi avverbiali incassati o frasi infinitive
incassate

Il linguaggio pubblicitario fa spesso usi di iconicità basata sulla forma di alcune lettere o espressa tramite
icone verbali. In aggiunta, si caratterizza per la sua semplicità, i suoi aspetti colloquiali e la sua vicinanza alla
lingua orale, in cui si troveranno spesso un grande coinvolgimento interpersonale, un linguaggio soggettivo
ed emotivo, una particolare immediatezza e numerosi riferimenti a un background condiviso. Anche in
ambito pubblicitario si troverà spesso:

- Espressioni onomatopeiche
- Simbolismo fonetico
- Enfasi sul ritmo
- Prosodia
- Ridondanza
- Forti elementi di coesione grammaticale e lessicale
- Allitterazione
- Uso di rime perfette e/o imperfette
- Uso creativo e non ortodosso della lingua
- Ricorso a neologismi
- Cambi da una classe grammaticale all’altra
- Utilizzo di parole composte e parole macedonia
- Polisemia
- Puns
- Alterazione di frasi conosciute
- Modificazioni ortografiche
- Riferimenti intertestuali
- Usi figurativi del linguaggio
- Uso di parallelismi sintattici

Al traduttore di un testo pubblicitario competono innumerevoli responsabilità: deve avere conoscenze


tecnico-scientifiche specifiche. Inoltre, le difficoltà culturali costringono il traduttore a operare anche in
ambito sociologico, sociolinguistico e, nel caso in cui la campagna necessita di un cambiamento di
immagine, pure grafico e tipografico.

7.2 La traduzione del testo poetico richiede strategie del tutto particolari. A lungo si è dibattuto sulla
possibilità o l’impossibilità di tradurre il testo poetico: Samuel Johnson sosteneva che la poesia non possa
essere tradotta e José Ortega y Gasset credeva che la traduzione letteraria fosse impossibile, in quanto ogni
lingua è caratterizzata da una forma interna e uno stile linguistico che non può essere riprodotto in un altro
idioma.

J.C. Catford sostiene invece l’esistenza di due tipi di intrasferibilità del testo poetico da una lingua all’altra
ovvero:

 Intraducibilità linguistica determinata dall’impossibilità di trovare una lingua target equivalente a


causa delle differenze tra le due lingue coinvolte
 Intraducibilità culturale dovuta all’assenza nella lingua e nella cultura d’arrivo di una caratteristica
situazionale appropriata a quella presentata nel testo fonte

Si riscontra una situazione di intraducibilità quando non è possibile trovare, nella lingua d’arrivo, un
sostituto lessicale o sintattico per un elemento presente nel testo fonte. L’intraducibilità culturale appare
più problematica, in quanto presuppone l’assenza nella cultura d’arrivo di un elemento situazionale che
risulta al contrario importante nella cultura di partenza.

Popovic definisce l’intraducibilità senza operare una netta distinzione tra l’aspetto linguistico e quello
culturale, e propone due tipi di categorie:

- Impossibilità di sostituire alcuni degli elementi linguistici del testo fonte in un testo d’arrivo
adeguato a causa della mancanza di denotazione o di connotazione.
- Situazione in cui la relazione tra il soggetto e l’espressione linguistica che ha scelto nella produzione
del testo fonte non trova un’espressione linguistica adeguata nel testo d’arrivo.

Jiri Levy sottolinea l’importanza che riveste l’intuizione nel processo traduttivo, sostenendo che l’aspetto
pragmatico della traduzione determina spesso il risultato finale.

George Steiner pone l’enfasi sul fatto che in alcuni casi l’intraducibilità di un testo è determinata dalla
percezione di certi testi come sacri.

Luigi Pirandello sostiene che, poiché il testo poetico è il risultato di una sinergia di suoni e contenuti, non è
ripetibile in quanto mutando il corpo, cioè il pensiero, si mura anche l’anima, cioè la forma.

John Middleton Murry crede che il testo poetico possa solo essere tradotto in un testo in prosa e l’aspetto
essenziale è la fedeltà al messaggio trasmesso dal testo fonte.

Dryden sosteneva che tutti i significati e i concetti sono traducibili e che quanto viene detto in una lingua
può essere comunicato in un’altra lingua. A suo avviso, per tradurre un poema, il traduttore doveva essere
anche poeta.

Benedetto Croce fu uno dei fautori principali dell’intraducibilità del verso poetico e distingue una
traduzione didattica, che ha come funzione essenziale la comprensione da parte del lettore del testo
poetico, e una traduzione poetica, cha a suo avviso è caratterizzata da un alto valore artistico.
Roman Jakobson teorizzò dei processi traduttivi in cui affrontò il discorso del testo poetico, sostenendo
l’impossibilità di tradurre poesia perfettamente, dal momento che la corrispondenza tra significato e suono
non può essere riprodotta in modo esatto in una lingua differente.

Joseph Brodsky riteneva che i suoi traduttori avrebbero dovuto ricreare l’esatta prosodia della poesia russa,
e producendo egli stesso diverse traduzioni, riuscì ad avvicinare la prosodia russa a quella inglese.

Holmes credeva cha la traduzione coincide con il luogo di incontro in cui non solo due lingue ma anche due
culture differenti entrano in contatto “meta-poema”. Propone 4 strategie traduttive:

- Traduzione mimetica: la forma originale viene mantenuta


- Traduzione analogica: si fa ricorso alle corrispondenze culturali
- Traduzione organica: il materiale semantico prende una sua struttura poetica unica e indipendente
- Traduzione deviante: la forma adattata non corrisponde all’originale

Jones propose 4 diversi tipi di traduzione poetica:

- Traduzione letterale
- Approssimazione
- Adattamento
- Imitazione

Lefevere descrive 7 tipi di traduzione differenti, a seconda delle diverse metodologie o strategie adottate,
identificando:

- Traduzione fonemica: il traduttore cerca di riprodurre i suoni della lingua fonte nella lingua d’arrivo
- Traduzione letterale: traduzione parola per parola. Spesso distorce il significato del testo
- Traduzione metrica: il traduttore cerca di riprodurre il metro originariamente utilizzato nel testo
fonte
- Traduzione della poesia in prosa: distorsione del senso, del valore comunicativo e della sintassi
dell’opera fonte
- Traduzione in rima: nonostante possa risultare utile in circostanze particolari potrebbe condurre alla
produzione di una caricatura della poesia originale
- Traduzione in blank verse: il verso eroico della letteratura inglese che corrisponde ad un verso senza
rima prodotto in pentametro giambico, con restrizioni imposte al traduttore dalla scelta della
struttura
- Interpretazione: la forma del testo fonte è multata al fine di comunicare il medesimo significato
- Imitazione: poesia in cui solo il titolo e il punto di partenza del testo fonte vengono mantenuti

Abbasi e Manafi Anari sostengono che le categorie identificate acquisiscono valenze diverse nel caso in cui
la strategia generale adottata sia volta alla realizzazione di una traduzione letterale piuttosto che libera. Si
possono pertanto identificare diverse procedure:

- Traduzione letterale traduzione fonemica; imitazione della strofa; imitazione del metro; imitazione
dello schema rimico; traduzione letterale in blank verse
- Traduzione libera: traduzione rimica (talvolta questa strategia obbliga il traduttore a sacrificare la
resa del contenuto a favore della bellezza formale del testo d’arrivo); traduzione libera in blank
verse; interpretazione

Le carenze tipiche degli approcci alla traduzione del testo poetico sono determinate dal fatto che i traduttori
si focalizzano su uno o più elementi del testo fonte a discapito della sua totalità.

7.3 La traduzione del testo teatrale è stata piuttosto trascurata. A teatro questioni di rappresentabilità
(coerenza del testo con la sua rappresentazione o mise en scene), recitabilità (qualità della parola nel
contesto teatrale) e registro assumono un’importanza centrale. Per poter essere efficaci, i traduttori
dovranno prendere in considerazione anche questi aspetti e tenere in conto la relazione che si instaura tra il
linguaggio verbale e quello non verbale. È necessario tenere sempre a mente che un testo teatrale è scritto
per essere rappresentato, il pubblico non seguirà solo la forma scritta della sceneggiatura ma anche, e
spesso principalmente, la sua forma parlata e rappresentata sul palcoscenico. Questo aspetto ha
conseguenze enormi sull’atto traduttivo: nella traduzione dei testi teatrali pertanto è necessario tenere in
considerazione anche le differenze tra lingua scritta e lingua parlata. Il linguaggio utilizzato sarà ricco di
costruzioni paratattiche, di pause, di ellissi, di parole semanticamente vuote e di back-channel noises e
vocalizzazioni di diverso tipo. Peter Newmark pone l’enfasi proprio sulla rappresentabilità e la recitabilità
del testo teatrale, ovvero sul fine ultimo della traduzione, cioè una performance di successo. A teatro la
decodifica da parte dello spettatore deve essere immediata, pena la mancata comprensione del testo
teatrale. Susan Bassnett osserva che l’obiettivo di tradurre un testo scritto in una lingua in un testo teatrale
come rappresentato sul palcoscenico in una lingua diversa sia irrealizzabile, in quanto non è possibile
predire in che modo la traduzione verrà realizzata in scena.

BREVE NOTA SULLA TRADUZIONE DEI NOMI PROPRI.

Il nome del personaggio rappresentato nel testo non è semplicemente un nome, ma contribuisce al
significato dell’opera nella sua interezza creando coesione e dando una possibile chiave di lettura dell’opera.
Il ricevente dovrà essere in grado di identificare i riferenti dei nomi stessi. Ci sono delle strategie e
procedure cui il traduttore può fare riferimento:

- Traduzione letterale del nome: si rifà alla procedura di equivalenza e si ricorre soprattutto in quei
casi in cui esiste una versione ufficiale del nome nella lingua d’arrivo. Bisogna tenere sempre a
mente che un nome in inglese potrebbe suggerire sfumature culturali differenti e potrebbe essere
stato scelto dall’autore per la sua polisemia, difficilmente riproducibile in un’altra lingua.
- Report: strategia di traduzione zero che implica il trasferimento nel testo d’arrivo del nome come
appare nel testo fonte. Tale strategia comporta delle difficoltà per il ricevente a livello di
pronunciabilità e ortografia
- Amplificazione del nome che viene in questo caso mantenuto inalterato: Il traduttore introdurrà
quindi o una nota o un glossario al fine di spiegare il significato sottinteso della scelta dell’autore
originale, in modo da rendere il nome maggiormente comprensibile al fruitore d’arrivo
- Traslitterazione: permette di adattare il nome originale alle convenzioni grafiche e fonologiche della
lingua d’arrivo. Per esempio, il nome russo Dmitrij reso in italiano con Dimitri. Il traduttore usa una
variante speciale di equivalenza che assomiglia quasi ad un calco
- Sostituzione: rende il nome del testo fonte con uno completamente differente nella lingua d’arrivo,
come Goofy tradotto con Pippo.

7.4 La traduzione dei testi musicali avviene tanto in forma di sottotitolo quanto in forma doppiata. Tale
traduzione si colloca in realtà a un crocevia dove la traduzione audio-visiva, quella poetica e quella teatrale
convergono, aggiungendo peraltro costrizioni del tutto particolari che richiedono inevitabilmente l’adozione
di procedure e strategie traduttive specifiche. Tradurre testi musicali di qualsiasi genere necessita di un
traduttore che abbia un buon senso musicale, un lessico molto ampio da cui attingere e una buona capacità
di manipolare ludicamente la lingua. Il termine traduzione pare talvolta inadeguato, in quanto si tratta
molto spesso di adattare le parole di un testo originariamente composto in una lingua in un’altra.

Sigmund Spaeth affronta la traduzione operistica già agli inizi del XX secolo, sostenendo che essa può porsi
come un mezzo educativo mirato a colmare le lacune create dalla conoscenza inadeguata dalle lingue
straniere nella popolazione dell’epoca.

W.H. Auden riteneva che la rappresentazione delle opere dovesse essere in lingua originale e che chi avesse
voluto comprendere appieno lo sviluppo della storia avrebbe dovuto leggere la traduzione in lingua d’arrivo
del libretto, prima di assistere alla rappresentazione della stessa. Spesso i testi musicali vengono
effettivamente tradotti per essere cantati e integrati dunque con il prodotto doppiato fruibile dai parlanti
della lingua d’arrivo.

Al traduttore non basterà leggere i versi di un libretto operistico, scandirli e farne una copia in prosodia
inglese perché se porrà a confronto la propria copia con la partitura si accorgerà che spesso la deformazione
musicale del ritmo parlato, che risultava possibili e plausibile nella lingua originale, risulta impossibile in
inglese. Tradurre canzoni originate in lingua inglese in una lingua come l’italiano comporterà
inevitabilmente perdite e necessarie omissioni, sostituzioni, condensazioni e adattamenti.

All’interno degli studi traduttivi, il genere specifico del testo musicale è stato poco studiato. Low parla di
pentathlon principle, il principio che mira a produrre delle traduzioni che un cantante può cantare di fronte
a un pubblico. Nel caso delle canzoni solo sottotitolate, la skopos (scopo) cambia leggermente, in quanto,
pur non escludendo la possibilità di cantare il testo, i sottotitoli hanno la funzione principale di permettere
agli spettatori di arrivo di comprendere il testo.

Ivarsson, Carroll e Chaume sostengono che i testi delle canzoni sottotitolate dovrebbero in ogni caso poter
essere cantati.

Gottlieb crede che le traduzioni sottotitolate delle canzoni dovrebbero essere maggiormente attente a
questioni di forma e di contenuto.

Franzon crede che l’accuratezza semantica possa solo produrre una traduzione difficilmente cantabile,
mentre una traduzione che segue la musica originale non sarà presumibilmente fedele al testo fonte.

Low analizza le discrepanze semantiche che il testo tradotto presenta in relazione al testo fonte, e individua
5 categorie essenziali da tener conto nella traduzione:

- Cantabilità: strettamente legata alla musicalità del testo e alla possibilità di creare un prodotto che
possa essere facilmente cantato in lingua d’arrivo in modo credibile. Parte del compito del
traduttore consiste nell’individuare dove si situino gli accenti musicali e cercare di farli coincidere
con gli accenti delle parole. Dovrà tenere a mente il valore delle note, il ritmo e l’ordine delle parole.
Una strategia che potrebbe rivelarsi utile al fine di produrre un testo cantabile potrebbe in realtà
essere aggiungere o eliminare alcune note o alcune sillabe
- Senso: il significato delle parole del testo della canzone, che può essere mantenuto o alterato. Low
prende in considerazione essenzialmente la manipolazione del significato del testo verbale
originale, giustificando alcuni interventi del traduttore anche in quelle situazioni in cui il testo
d’arrivo appare semanticamente differente da quello fonte. Le ripetizioni possono essere mediate
dal traduttore ed eventualmente omesse o ridotte. Occorre identificare il genere cui il testo
appartiene, la sua funzione e il suo ricevente, tenendo presente che spesso, se il target è
rappresentato da un pubblico giovane, sarà più facile e accettabile lasciare alcuni elementi in una
lingua originale
- Naturalezza: si prendono in considerazione l’ordine delle parole e il registro adottato nel testo
d’arrivo. Una mancata considerazione di questi elementi condurrebbe alla produzione di canzoni
palesemente innaturali, bizzarre o addirittura ridicole. Un ordine delle parole inverso o atipico è
piuttosto comune nei testi poetici: il lettore ha la possibilità di leggere e rileggere il testo poetico,
ma l’ascoltatore non ha questa possibilità, in quanto la natura transitoria della lingua parlata lo
impedisce, e il traduttore dovrà valutare con attenzione la decisione di ricorrere a questo tipo di
strategia. Il registro, nel caso in cui il traduttore cerchi di seguire il testo fonte troppo fedelmente,
potrebbe condurre alla creazione di un testo d’arrivo innaturale. Mentre il traduttore di poesia agirà
da solo e prenderà le sue decisioni in autonomia, nel caso della traduzione di testi cantati tanto il
regista quanto l’autore originale possono influenzare le scelte definitive
- Ritmo: il rispetto del ritmo dell’originale è un obbligo nei confronti del musicista. Appare spesso
necessario mantenere il medesimo numero di sillabe, la lunghezza delle vocali, le pause
- Rima: la rima costituisce una parte importante del testo musicale. Questo fenomeno di omofonia
costituisce spesso un ostacolo per i traduttori, che non dovrebbero fossilizzarsi nel tentativo di
utilizzare gli stessi schemi rimici o il medesimo numero di rime presenti nel testo fonte, così come
non è necessario che le rime compaiano esattamente negli stessi punti. Trasformare una rima
perfetta in una imperfetta non solo non inficia il risultato finale, ma appare la soluzione migliore per
ottenere un prodotto finale in grado di rispettare il significato pur rimanendo all’interno di una
struttura che non si discosta eccessivamente dal testo fonte. Nel caso in cui il testo originale non
presenti rime, il traduttore dovrà valutare se introdurre uno schema rimico nel proprio testo. Le
rime potrebbero facilitare il compito del performer, soprattutto nel caso di rime finali. Nel caso in
cui non sia possibile ricreare una rima perfetta, il traduttore ha in ogni caso la facoltà di utilizzarne
una imperfetta, ricorrendo ad assonanze o allitterazioni.

Appare essenziale che i traduttori mantengano un equilibrio costante nel rispetto dei vari criteri, evitando di
enfatizzare un aspetto a discapito degli altri, dal momento che nessuno dei criteri isolati può essere
considerato assoluto. Il traduttore, pur nel rispetto del testo fonte, dovrebbe focalizzarsi sulle esigenze del
ricevente. Non va mai dimenticato che anche l’espressione musicale appartiene al panorama culturale di
una comunità e ne sarà ampiamente influenzato. La strategia di addomesticamento deve essere integrata
nel principio generale al fine di produrre un testo che possa essere cantato e compreso con facilità. Il testo
musicale nel suo complesso non può in alcun modo essere fatto coincidere solo con un testo informativo.
Anche nel caso del testo poetico, la sua musicalità comunica in certe occasioni più del puro significato delle
parole. Il genere poetico prevede la presenza di immagini solo occasionalmente e il visual ripropone in
forma pittorica il testo scritto, ma spesso le immagini hanno un ruolo aggiuntivo. Il traduttore dovrà tenere
conto di tutti questi elementi al fine di creare un testo che non vada ad alterare la relazione esistente,
nell’opera fonte, tra gli aspetti verbali e non verbali.

CAP 8

8.1 Il testo filmico è basato innanzitutto sulla lingua scritta della sceneggiatura, che spesso è basata a sua
volta su quella di un testo scritto precedente. È questo naturalmente il caso di molti film o sceneggiati
televisivi, che traducono intersemioticamente un romanzo, una novella o un altro tipo di prodotto. Di
conseguenza, quando si parla di traduzione intersemiotica, adattamento cinematografico o trasposizione, si
discute fondamentalmente della possibilità di tradurre un’arte in un'altra.

L'origine della pratica dell’adattamento cinematografico risale inevitabilmente alla creazione, nel 1895, del
cinematografo da parte dei fratelli Lumière. In questo contesto, il film veniva visto come una riproduzione
meccanica e fotografica della realtà in movimento. George Méliés, definito il padre del cinema dopo i
Lumiere, afferma che il cinema rappresentava un punto d’incontro fra scienza e arte, non solo grazie alla
rappresentazione poetica della realtà, ma anche alle tecniche di montaggi ed effetti speciali. Fu proprio lui a
introdurre in questa settima arte numerose innovazioni a livello tecnico e narrativo, tant’è che viene spesso
considerato l’inventore della regia e della tecnica del montaggio. Nonostante il successo internazionale e la
dimostrazione delle immense potenzialità del mezzo cinematografico, il rapporto che nasce tra letteratura e
cinema vede inizialmente la prima predominare sul secondo, poiché si riteneva che quest'ultimo non fosse
degno della definizione di arte, in quanto considerato intrattenimento popolare. Conseguentemente,
l'adattamento cinematografico di un'opera letteraria era inizialmente un processo orientato verso un'unica
direzione, ovvero un passaggio univoco dalla parola all'immagine. Fino agli anni '50, l'idea di fedeltà era
essenziale, in quanto si reputava il cinema utile diffondere la cultura letteraria tra chi non sapeva leggere.
Durante gli anni '60, grazie ai progressi della tecnica e all’affermazione di correnti innovative (tra cui la
Nouvelle Vague francese e il Neorealismo italiano), il cinema si è guadagnato un posto tra le arti maggiori,
riequilibrando il rapporto di svantaggio che si era venuto a creare nei confronti della letteratura. Durante
questo periodo i registi rispettano ancora il testo fonte ma dimostrano altrettanto chiaramente la ricerca di
un linguaggio proprio, conducendo quindi alla legittimazione di un’interpretazione del testo originale.
Durante gli anni '70, si assiste a quello che potrebbe essere definito come effetto di rimbalzo, ovvero un
periodo in cui è il cinema a ispirare la letteratura, conducendo alla pubblicazione di numerosi romanzi
caratterizzati da un aspetto cinematografico grazie al quale gli autori utilizzano forme di montaggio o cut-up,
realizzano dei collage di materiali differenti. Il dialogo fra cinema e letteratura, perciò, appare molto intenso
fin dalle prime fasi di sviluppo del mezzo cinematografico ed è per questo che l'adattamento può offrire un
laboratorio di analisi molto interessante, poiché non solo permette di operare un confronto tra il
funzionamento dei diversi linguaggi (sonoro, visivo, verbale) ma riconosce implicitamente la validità della
traduzione intersemiotica, il luogo in cui cinema e narrativa si incontrano rende espliciti i miti di una società
in un dato momento storico, fornendo una testimonianza di determinati atteggiamenti, credenze e
ideologie presenti in una data cultura. Eppure, nonostante la pratica di tradurre dalla pagina allo schermo
sia, come detto sopra, molto comune fin dagli albori del cinema, oggi essa suscita ancora grandi forme di
resistenza, spesso dovute al fastidio provocato nell’autore o nel ricevente dalle metamorfosi che i testi
letterari subiscono durante il processo di adattamento e dalla concezione elitista della letteratura. Tuttavia,
proprio perché la letteratura e il cinema sono due media espressivi differenti, non sembra giusto dire che il
romanzo deve resistere al cinema. Le arti si sono sempre influenzate tra loro, ed è giusto che l'arte nuova
del cinema influenzi a sua volta le altre forme narrative. Si percepisce dunque la necessità di un mutamento
della prospettiva e del giudizio dell’opera di adattamento. La traduzione intersemiotica dei grandi classici,
come Pride and Prejudice, potrebbe perciò essere vista come un’opera di ritraduzione grazie alla quale un
testo scritto in un dato periodo viene tradotto per essere inserito in una cultura e un momento storico
differente, permettendo quindi di valutare lo sviluppo e l'evoluzione della società in cui è prevista la sua
fruizione. Occorre in ogni caso tenere presente che, anche in questa circostanza, l'idea di intertestualità o,
come la definisce Gérard Genette, trans-testualità, appare fondamentale. Nel caso della traduzione
intersemiotica, i procedimenti coinvolti hanno indubbiamente attirato l'attenzione di diversi semiologi, e fra
i numerosi autori che si sono occupati della trasposizione filmica è possibile citare anche Umberto Eco, che
parla della trasposizione in termini di trasmutazione, vale a dire un’opera di adattamento grazie alla quale
un nuovo testo (in questo caso filmico) viene inserito in un contesto che si definisce nuovo a livello
culturale, temporale e geografico. Le definizioni, come spesso accade, abbondano, e ogni autore, adottando
una terminologia differente, pone l’enfasi su un aspetto piuttosto che un altro. La scrittura è un codice
composto da segni arbitrari e convenzionali. Il cinema può invece essere definito come una lingua che
utilizza segni iconici, cioè che rimandano direttamente all'oggetto preciso a cui ci si riferisce. Starà dunque
allo sceneggiatore e al regista mediare fra queste due forme artistiche, ponendosi in questo modo come
traduttori intralinguistici e intersemiotici che interpretano i segni del testo fonte in segni appartenenti a un
altro sistema. Pertanto, un regista ha l'onere di creare, in un certo modo il proprio vocabolario. Tuttavia,
come ogni traduttore, il regista dovrà sempre tenere a mente il proprio ricevente, poiché l’iconicità del
segno cinematografico non implica che la portata dei significati di una data immagine in movimento sia
immediatamente e totalmente accessibile a qualsiasi spettatore: esistono infatti vari fattori culturali che
intervengono. Si può quindi affermare che il compito essenziale del regista e dello sceneggiatore sia quello
di selezionare aspetti cruciali della narrativa e riproporli per essere adattati a nuovi codici messi a
disposizione dal mezzo cinematografico. La sceneggiatura appare quindi come una forma ibrida fra
letteratura e altri generi, in cui si ritrovano sia i dialoghi sia la descrizione delle scenografie, dei costumi, ecc.
Naturalmente, come in qualsiasi altro processo traduttivo, alcuni aspetti vanno persi in questa
trasformazione da romanzo a film, ma altri elementi vengono guadagnati o profondamente cambiati. Nello
stesso modo in cui non è infatti possibile realizzare una traduzione assolutamente fedele al testo fonte, così
anche nelle traduzioni intersemiotiche non sarà possibile ottenere una traduzione letterale del testo fonte.
L'idea del cinema come di un mezzo comunicativo dotato di un linguaggio proprio è stata in realtà più volte
messa in discussione. Tuttavia, per gli scopi di questa trattazione, si parlerà di un effettivo linguaggio
cinematografico, fatto di elementi verbali, elementi visivi, elementi musicali e sonori, al fine di comprendere
in che modo tale linguaggio possa tradurre il linguaggio verbale. Sicuramente, in questo tipo di analisi
occorre ricordare che la stessa distinzione individuabile nel linguaggio verbale fra il piano della denotazione
(grazie al quale il testo si limita a dare informazioni) e quello della connotazione (rivolto all’espressività,
appare fondamentale anche nel cinema. Tuttavia, mentre nella letteratura la possibilità di trasmettere
immagini efficacemente perturbanti, come possono essere quelle di un film o di un quadro, è legata
all’abilità e alle doti artistiche di ciascun autore, un'immagine cinematografica non può mai essere solo un
atto denotativo. Si vede dunque come, la narratologia assume un’importanza fondamentale anche negli
studi del cinema.

La narratologia, disciplina nata in Francia durante gli anni '60 grazie a Algirdas Greimas, Roland Barthes e
Gérard Genette, offre delle categorie di analisi applicabili con efficacia tanto al testo letterario quanto a
quello filmico. Uno dei concetti essenziali per l'analisi risulta essere la nozione di isotopia, elaborata. Il
termine in semiotica indica le linee di coerenza testuali che collegano due o più narrative e che quindi, nel
contesto della traduzione intersemiotica, consentono di collegare un libro a un film partendo dalla
somiglianza fra alcune (o tutte) delle loro componenti contenutistiche e strutturali. All’interno del concetto
generale di isotopia, vengono individuate tre sottocategorie principali:

- Isotopie tematiche: riguardano le questioni di fondo. In questa categoria rientrano perciò i temi
principali, gli eventi, i personaggi e le loro funzioni
- Isotopie figurative: riguardano i dati oggettivi in cui i temi sono rappresentati. In questa categoria
rientrano i dati che riguardano l'identità dei personaggi, le loro azioni, le coordinate spaziali e
temporali entro cui il racconto si svolge, ecc., ovvero tutti quei fattori che contestualizzano la
narrativa e che possono subire modifiche durante la traduzione intersemiotica, rivelandosi utili per
misurare la distanza che separa i due testi
- Isotopie patemiche o assiologiche: riguardano i comportamenti e lo stato emotivo dei personaggi,
il modo in cui reagiscono agli eventi narrativi, ecc., essenziale per valutare la trasformazione che un
personaggio può subire nel corso dell’adattamento.

Gerard Genette elaborò la sua teoria del discorso narrativo, identificando varie categorie utili alla
discussione del discorso narrativo, dei suoi personaggi, dei narratori, ecc che possono essere applicate
all’analisi degli adattamenti cinematografici. Genette inizia col definire la distinzione fra:

- racconto, con cui si intende il significante, cioè l'enunciato, il discorso o il testo narrativo
- storia, che si riferisce al significato o contenuto narrativo
- narrazione, ossia l’atto narrativo produttore e l'insieme della situazione.

Pone anche una distinzione tra:

- Fabula, vale a dire il modo in cui gli eventi si susseguono cronologicamente


- Intreccio, che si riferisce al modo in cui gli eventi vengono narrati, che non corrisponde
necessariamente all'ordine logico-temporale in cui sono avvenuti.

La storia o la diegesi fanno riferimento alla sequenza in cui gli eventi sono effettivamente accaduti, mentre il
discorso o la narrativa si riferiscono all'ordine in cui gli eventi sono rappresentati nel testo. Tali distinzioni
divengono cruciali nel momento in cui Genette affronta le categorie del discorso narrativo che individua e
corrispondono a:

- Tempo, che a sua volta comprende ordine, durata e frequenza


- Modo
- Voce

Prima di trattare queste categorie è necessario individuare i diversi livelli narrativi elaborati da Genette:
- Livello extra-diegetico: si situa al di fuori dello spazio del racconto stesso e corrisponde così al
racconto primo o diegesi.
- Livello intradiegetico: vale a dire l’atto narrativo che si situa all’interno del racconto e che è
pertanto interno alla diegesi, nel qual caso è possibile parlare anche di un racconto di secondo
grado o meta diegetico.

Fra livelli possono sussistere poi relazioni di diverso tipo:

- Rapporto di causalità diretta tra gli avvenimenti di livello intradiegetico e gli avvenimenti della
diegesi: la funzione si dice pertanto esplicativa, in quanto spiega agli avvenimenti che hanno portato
alla situazione presente
- Rapporto semantico: quando il racconto di secondo livello descrive la stessa storia di quello di
primo livello oppure il suo contrario, instaurando così un rapporto di analogia o un rapporto di
contrasto
- Nessuna esplicita relazione tra i due livelli, il che significa che è l’atto narrativo stesso a compiere
una funzione nella diegesi, indipendentemente dal contenuto del racconto del livello intradiegetico.
Ad esempio, in Le mille e una notte, il testo potrebbe svolgere una funzione di distrazione e/o
ostruzionismo.

Per quanto concerne il tempo del racconto, occorre innanzitutto distinguere fra:

- Racconto ulteriore: quando la storia precede il racconto che, come nella maggior parte dei casi, è al
tempo passato.
- Racconto anteriore: quando il racconto procede la storia ed è dunque al tempo futuro, come la
profezia.
- Racconto simultaneo: quando il racconto si sviluppa simultaneamente alla storia e dunque è al
tempo presente.
- Racconto intercalato: quando il racconto procede in modo non lineare in relazione alla storia e
all’azione, come nel caso del romanzo epistolare o del diario personale.

In seguito, lo studioso tratta del concetto di ordine, individuando due tipi fondamentali di anacronie, la
prolessi (che si riferisce a segmenti narrativi che evocano avvenimenti che avverranno in seguito nella
diegesi) e l’analessi (che si riferisce a segmenti che recuperano avvenimenti già accaduti in passato, come
accade nel caso del flashback). Ogni prolessi e analessi è caratterizzata dalla sua portata (la distanza
dell’avvenimento descritto dal momento presente del racconto) e ampiezza (durata dell’azione descritta).

Genette distingue inoltre queste figure del discorso in base al fatto che gli eventi evocati rimangano

- Interni alla narrativa di primo livello (punto di portata dell’analessi o della prolessi che rimane
dentro al campo temporale del racconto principale)
- Esterni alla narrativa di primo livello (se per esempio un’analessi descrive avvenimenti accaduti
prima dell’inizio del racconto, o, nel caso della prolessi se gli avvenimenti cui essa si riferisce si
svolgono prima o dopo la conclusione del racconto).

Ci sono poi casi misti, ovvero quando l’analessi o la prolessi hanno un’ampiezza che include eventi sia
anteriori che posteriori all’inizio del racconto principale.

L’analessi o la prolessi interna può essere suddivisa in eterodiegetica (quando il contenuto dell’analessi o
prolessi è differente dal contenuto dalla narrativa di primo livello) e omodiegetica (quando il contenuto di
analessi o prolessi coincide con il contenuto della narrativa di primo livello). Quest’ultimo tipo può essere
completiva (se colma una lacuna precedente o futura del testo) o ripetitiva (se descrive eventi che sono
stati già presentati nel testo o verranno descritti in modo esaustivo in seguito).
Le analessi possono inoltre essere complete (quando terminano ricongiungendosi con il racconto principale,
come accade nei casi in cui il racconto inizia in media res per recuperare in seguito le vicende che hanno
condotto al momento presente) o parziali (quando finiscono in una ellissi, caso in cui l’analessi ha lo scopo
di fornire al lettore un’informazione isolata, necessaria alla comprensione di un preciso elemento
dell'azione).

Per quanto riguarda la durata, Genette considera la relazione esistente fra la durata della diegesi (misurata
in anni, giorni, ore e minuti) e la durata del discorso (misurata in pagine, paragrafi e righe). In questo senso,
identifica la velocità della narrativa, che sarà determinata dal rapporto fra la misura temporale della diegesi
e la misura spaziale del discorso. Naturalmente, c’è una differenza fondamentale tra parti narrate e parti
dialogate, visto che le prime anni, mesi e giorni possono essere resi in poche ricche, nelle seconde il tempo
del racconto e quello della diegesi si fanno più vicini. Procede poi a identificare quelli che considera i
quattro ritmi fondamentali della narrativa:

Il primo è l’Ellissi, che si trova quando a una qualsiasi durata della diegesi non corrisponde alcun segmento
del testo. Si distinguono ellissi esplicite (quando il testo dichiara apertamente che è trascorso un certo lasso
di tempo), che a sua volta possono essere determinate (indicano la durata precisa) o indeterminate (durata
vaga); ellissi ottenute tramite pure elisione, quando il lasso di tempo trascorso viene indicato solo nel
momento in cui la narrazione riprende; ellissi implicite, quando il testo non offre nessuna indicazione del
tempo trascorso, però il lettore può inferire la presenza dell’ellissi da qualche particolare; ellissi ipotetiche,
quando l’ellissi non può essere localizzata e la sua esistenza viene segnalata solo tramite un’analessi.

Il secondo è la pausa descrittiva, antitetico all’ellissi, riscontrabile quando un segmento nullo della storia
corrisponde a un segmento del racconto, il cui tempo quindi è infinitamente maggiore di quello della storia.

Il terzo è la scena dialogata o drammatica, in cui la durata della storia e quella del racconto sembrano
equivalersi.

Il quarto è il sommario, una forma variabile in cui il tempo della storia è maggiore del tempo del racconto,
che ha solitamente funzione di attesa e connessione.

Secondo Genette, si potrebbe perciò schematizzare i vari movimenti della durata come segue.

TR: tempo racconto TS: tempo storia

- Ellissi: TR ∞ < TS
- Pausa: TR ∞ > TS
- Scena: TR = TS
- Sommario: TR < TS

La frequenza è il potenziale di ripetizione del racconto e della storia. Si identificano:

- Racconto singolativo: quando il racconto descrive o una volta o “n” volte quanto nella diegesi
accade una volta o “n” volte.
- Racconto ripetitivo: quando ciò che avviene una volta nella diegesi è raccontato “n” volte.
- Racconto iterativo: quando ciò che accade “n” volte nella diegesi è narrato solo una volta.

Il modo riguarda il personaggio attraverso cui occhi tutto viene filtrato. Qui vennero studiati due aspetti del
discorso: distanza del narratore da ciò che sta narrando e prospettiva (o focalizzazione), cioè il punto di
vista del narratore. Genette dà inizio alla sua discussione della prima di queste sottocategorie facendo
riferimento alla distinzione posta tra diegesi (autore che parla a suo nome) e mimesi (autore che viene
citato all’interno di un discorso di un personaggio).

Si individuano tre forme di discorso:


I. Discorso narrativizzato/raccontato: discorso del personaggio non espresso a parole effettivamente
pronunciate, ma attraverso un racconto in cui sono integrate le parole di questo determinato
personaggio
II. Discorso trasposto in stile indiretto: si nota la presenza di un verbo dichiarativo seguito dalle parole
del personaggio che vengono trasposte in stile indiretto
III. Discorso riferito in stile diretto: il narratore cede la parola al suo personaggio

La prospettiva invece si divide in:

- Focalizzazione zero: quando il narratore è onnisciente e avendo una conoscenza totale di quanto
narrato, ne sa più dei personaggi.
- Focalizzazione interna: quando il narratore ne sa quanto il personaggio attraverso gli occhi del
quale gli eventi sono descritti. Tale focalizzazione può essere variabile, ossia quando sono presenti
più personaggi focali; fissa, ossia quando il personaggio focale è lo stesso per tutto il racconto;
multipla, ossia quando diversi personaggi focali evocano gli stessi avvenimenti da punti di vista
diversi.
- Focalizzazione esterna: quando il narratore conosce, o fa finta di conoscere, meno del personaggio.
In questo caso, il personaggio è descritto solo dall'esterno. È utile a creare una parvenza di mistero
intorno al personaggio.

La voce riguarda l’istanza narrativa (colui che racconta), le tracce che lascia all'interno del racconto e quello
che Genette chiama il “narratario”, ovvero il ricevente del messaggio del narratore che si pone al suo stesso
livello diegetico. Il narratore è definito così come colui che racconta e che non deve necessariamente vedere
quanto descritto, è una costruzione fittizia e di conseguenza non deve essere confuso con l'autore reale del
racconto. Il narratore può identificarsi come:

- Eterodiegetico, assente dal racconto che sta narrando


- Omodiegetico, presente nella storia.

Esistono diversi livelli di presenza, differenziando:

- Narratore presente come testimone e /o osservatore


- Narratore autodiegetico: vale a dire presente come eroe del racconto.

Riassumendo, il narratore può essere

 Extra-etero-diegetico se narra, in un racconto in primo livello, di una storia in cui è assente


 Extra-omo/auto-diegetico se racconta, al primo livello, una storia in cui è presente come eroe o
testimone
 Intra-etero-diegetico se narra, in un racconto di secondo livello, una storia da cui è assente
 Intra-omo/auto-diegetico se narra, al secondo livello, una storia in cui è presente come
protagonista o testimone

Le funzioni che può assumere un narratore sono:

- Comunicativa, che si suddivide a sua volta in fatica (quando un narratore si rivolge al suo narratario
per verificare il contatto), conativa (quando il narratore cerca di influenzare il narratario)
- Emotiva, ossia quando il narratore è orientato in modo introspettivo verso sé stesso
- Narrativa, si riferisce a ciò che concerne nel racconto
- Metanarrativa, riguarda ciò che concerne il testo
- Extra-narrativa, il discorso del narratore sviluppa un discorso ideologico
Per quanto alcuni concetti, come il narratore e la focalizzazione, che possono essere utilizzati nella
discussione di testi tanto letterari quanto filmici, ci sono categorie che distinguono gli ultimi dai primi. È
questo il caso della nozione di:

 Ocularizzazione, ovvero la relazione esistente fra ciò che la macchina da presa mostra è ciò che
il personaggio vede, si declina in ocularizzazione zero (quando si ha la visione di un oggetto
senza la mediazione di un personaggio che lo veda), ocularizzazione interna (quando la
macchina da presa sembra sostituirsi agli occhi del personaggio. Può essere primaria, ossia
quando le immagini hanno in sé la traccia di chi le guarda, e secondaria, ossia quando si ha
un’alternanza fra l’immagine effettiva del personaggio che guarda e ciò che viene visto),
ocularizzazione esterna (quando la macchina da presa vede cose che il personaggio non vede)

Esclusivi del testo filmico sono:

 Inquadratura, che corrisponde all'unità base del discorso filmico. Può essere selezionata a
livello profilmico (comprende tutto ciò che sta davanti alla macchina da presa, che è presente
solo per essere filmato e che fa concretamente parte della storia filmata) o filmico (si riferisce al
gioco di codici propriamente cinematografici, come le distanze, la dialettica di campo e fuori
campo, ecc.)
 Il montaggio, che si riferisce all'operazione che mette in relazione tra di loro due o più
inquadrature, scene o sequenze, sulla base di un progetto preciso.

La focalizzazione in termini cinematografici non indica solo l’angolo di visione dei personaggi dal punto di
vista ottico, ma si riferisce anche al loro orientamento, ovvero la prospettiva che un personaggio può avere
in relazione alla storia raccontata o alla vita. Per questo motivo, è determinata da tre aspetti fondamentali,
che sono quello percettivo, quello psicologico e quello ideologico

In ambito cinematografico anche la voce fuori campo rientra in una delle istanze narratoriali, in quanto
rappresenta un narratore intradiegetico. A sua volta, dunque, la voce fuori campo può essere distinta in
voice over (omodiegetico in quanto in prima persona) e voice off (eterodiegetica, in quanto in terza
persona). Inoltre, occorre tenere a mente che in un film la voce narrativa interagisce con suoni e immagini,
secondo tre diverse modalità:

- Ridondanza: in base alla quale voce e immagini comunicano la stessa cosa


- Contrasto: quando la voce e le immagini dicono cose contrapposte (es. ironia, humour)
- Complementarietà: quando le immagini e la voce dicono cose diverse pur completandosi a vicenda.

Durante la creazione di un film, il regista può adottare diverse strategie, ottenendo così tipi diversi di
adattamento. Ci sono tre possibili linee di condotta per entrare in relazione con il testo:

- Essere fedeli e ossequienti al testo fonte


- Decidere di utilizzare il testo come puro pretesto per raccontare una storia diversa da quella del
libro originale
- Offrire una particolare interpretazione critica e personale del testo, rischiando di risultare infedeli
nei confronti del testo originale, ma ricercando una giustificazione sul piano culturale

Geoffrey Wagner parla di trasposizione, commento e analogia, mentre Dwight Swain parla di adattamento
fedele, parziale e libero. Dudley Andrew, invece, si riferisce a adattamento fedele, intersezione (quando
solo alcuni argomenti vengono mantenuti) e prestito (quando il film presenta una ricorrenza di simboli e
miti). Nonostante le nomenclature differenti, si può affermare che:

- Adattamento fedele: trasferimento più accurato possibile del testo letterario a quello filmico
- Intersezione: trasformazione in sequenze filmiche solo di alcune parti del testo fonte, mentre altre
parti potrebbero essere lasciate alla narrazione in voice over
- Prestito: riferimento al testo originale solo come punto di partenza o ispirazione, che porta a una
totale trasformazione dell’essenza del testo originale

Generalmente, la trasposizione filmica corrisponde a uno sforzo di sintesi, teso a concentrare in un paio di
ore pagine e pagine di un romanzo, che rende conto del fatto che una delle procedure traduttive
maggiormente adottate si identifichi spesso con quella che è stata chiamata sottrazione/taglio/omissione.
Il ricorso a questa procedura è dovuto in parte al fatto che i film devono rispettare delle costrizioni
temporali che i romanzi non hanno; in parte è anche causato dal fatto che ci sono scene che non possono
essere filmate o perché presentano degli elementi irrealistici oppure perché esiste una differenza tra quello
che può essere letto e quello che può essere visto.

Il regista può tuttavia ricorrere ad altre procedure traduttive, tra cui:

- Aggiunta: il regista può decidere di aggiungere dei personaggi, degli elementi o delle scene che non
sono presenti nel testo fonte. Possono essere elementi impliciti nel mezzo audio-visivo (come dei
costumi) o arbitrari
- Sintesi drammatica: può prendere la forma tanto di una espansione quanto di una condensazione.
Qui, il regista si focalizza su un determinato elemento che è presente nel testo letterario ma non è
particolarmente sviluppato, oppure su un elemento che è ampiamente trattato nel testo fonte e
che, in quello d’arrivo, è rappresentato in modo meno approfondito
- Shifting: riprende il concetto di analessi e si riferisce a quelle situazioni in cui un avvenimento
specifico viene presentato nel film in un momento differente dello svolgimento dell’azione rispetto
a quanto avveniva nel romanzo (flashback)
- Variazione: cambiamento di elementi specifici del romanzo (es. nome di un personaggio)
- Equivalenza: nel romanzo in cui il regista e lo sceneggiatore credono che alcune scene del romanzo
non possano essere filmate e quindi, piuttosto che eliminarle, creano delle scene equivalenti

8.2 La traduzione intersemiotica non riguarda solo l'adattamento al mezzo cinematografico, ma prevede
anche altre categorie: per esempio, il caso in cui un testo scritto viene tradotto intersemioticamente per
dare origine a un fumetto. Naturalmente, le modalità di trasposizione sono differenti, ma nonostante
questo, proprio perché il fumetto, come il film, costituisce una modalità comunicativa che si affida a più
codici (in quanto contiene elementi tanto verbali quanto visivi), alcune delle osservazioni esplicitate in
precedenza possono essere adottate anche in questa circostanza. Come il film, infatti, il fumetto è in grado
di mostrare, almeno in parte, ciò che un'opera narrativa quale il romanzo può solo descrivere. Per questo
motivo, il fumetto è stato spesso considerato una forma di paraletteratura, vale a dire una produzione che
non viene considerata propriamente letteraria. In effetti, anche la critica italiana si è dimostrata
generalmente poco interessata al genere fino agli anni '80, tant'è che l'unico intellettuale che ne abbia
scritto a livello accademico è stato Umberto Eco. A partire dagli anni '90, tuttavia, grazie le basi gettate da
Eco, si pubblicarono altri saggi teorici sull'argomento. Chiaramente, anche nel caso del fumetto occorre fare
una distinzione che riguarda i vari sottogeneri, in quanto il termine può in realtà essere applicato a più di
una categoria. È così possibile parlare di:

- Vignette isolate: si identificano spesso come forma artistica a sé stante, creando personaggi che
diventeranno in seguito protagonisti di opere molto più complesse. Per esempio, le vignette
satiriche create da Charles Addams, che avrebbero poi dato origine alla famiglia Addams.
- Comic strips: le strisce seriali. La prima striscia pare essere quella di The Yellow Kid, apparsa per la
prima volta nel 1894. È possibile parlare di sette strisce diverse, che sono: gap strip (brevi e
divertenti), gimmick strip (più sofisticate e storicamente specifiche), animal strip (con protagonisti
animali domestici), family strip (incentrate sulla famiglia), storyline strip (vicine alle soap operas),
political/celebrity strip (pop stars, attori, politici etc), pop culture strip (basate sui trend di moda,
cambiamento, preoccupazioni ectc)
- Album classici: come la grande collezione di Asterix.
- Graphic novel: questo format sta assumendo forme sempre più sofisticate. Destinato ad un
pubblico adulto, permette agli autori di creare testi auto conclusivi.

Una delle distinzioni principali che occorre tenere a mente, soprattutto nel momento in cui ci si accinge a
produrre una traduzione, è quella fra i fumetti destinati a un pubblico infantile e quelli destinati invece agli
adulti. È possibile identificare tre macro-categorie:

- Comedy: comprende le strisce che hanno fatto comparsa sui quotidiani americani e che avevano
come eroi principali animali o bambini (es. Disney). Comprende anche sottocategorie come la satira
politica e quella sociale, destinate agli adulti.
- Epics: include per esempio i fumetti di avventura, quelli storici, sportivi, dell'orrore virgola di
fantascienza, la detective stories, erotici, pornografici.
- Tragedy: il sottogenere più recente principalmente sviluppato all’interno della tradizione
giapponese americana.

Naturalmente, se i fumetti sono destinati ad un pubblico giovanile, possono essere suddivisi in fumetti di
“intrattenimento” e fumetti “educativi”. Tutti questi sottogeneri naturalmente sono caratterizzati da una
diversa concezione, una funzione differente, una realizzazione grafica differente e usi specifici della lingua,
tutti aspetti che si ripercuotono inevitabilmente anche sul lato traduttivo. Indubbiamente, un aspetto
importante è costituito proprio dalla traduzione culturale, in quanto non solo i riferimenti culturali e
intertestuali vanno talvolta adattati e sostituiti, ma spesso le istituzioni culturali, politiche e religiose di certi
paesi determinano, come nel caso dei testi pubblicitari, non solo quali segmenti o elementi di testo possono
essere tradotti e quali invece vadano omessi, ma anche quali elementi visivi possono essere mostrati e quali
no. Per esempio, in Arabia Saudita è proibito l'esposizione del corpo femminile nella sua interezza sia in
ambito pubblicitario che nei fumetti.

In relazione ai fumetti, in linea generale è possibile individuare due approcci traduttivo i principali, quello
semiotico (più attento agli aspetti che determinano il fumetto in quanto tale, qua inteso come sistema
semiotico. In questo senso ci si può riferire per esempio al legame esistente fra il testo verbale e quello
visivo) e quello linguistico (focalizzato, per esempio, sulla traduzione dei giochi di parole, dei nomi propri,
delle onomatopee e di quegli altri aspetti linguistici che fanno la loro comparsa nel linguaggio dei fumetti).
Indubbiamente, alcuni degli aspetti tecnici che caratterizzano i fumetti (la nuvoletta, ad esempio),
impongono determinate restrizioni che avvicinano la traduzione del fumetto a quella audiovisiva. Infatti,
anche in questo caso l’atto traduttivo si pone come uno sforzo di sintesi a causa dei limiti materiali imposti
dalla pagina, dalle vignette e dalle nuvolette. Poi, nei fumetti la lingua è palesemente scritta per essere
parlata, in quanto deve riprodurre dialoghi e monologhi interiori. Si tratta quindi di un linguaggio in cui gli
aspetti tipici del parlato, quali contrazioni, scelte lessicali colloquiali e forme grammaticali appartenenti alla
grammatica parlata prendono il sopravvento. Inoltre, il fumetto, attraverso i segni di interpunzione e altri
espedienti tipografici (come la forma del baloon), unitamente allo stile e dimensione dei caratteri, riesce a
evocare il tono, l'altezza, ritmo, volume della dizione.

Non solo, ma lo stesso format con cui un fumetto viene pubblicato in un paese rispetto a un altro (sulle
pagine di un giornale o su fascicoli, a colori o in bianco e nero) determina degli aggiustamenti durante il
processo traduttivo intersemiotico. Un caso molto simile di traduzione intersemiotica è quella che conduce,
sulla base di un testo fonte come un fumetto o una breve storia illustrata, alla realizzazione di un cartone
animato o a un vero e proprio film di animazione. Questo tipo di adattamento prevede spesso
un'operazione di amplificazione, in cui vignette isolate o brevi strisce vengono ampliate, arricchite e
contestualizzate all’interno di un racconto narrativo e preciso (es. Garfield). Occorre anche valutare le
conseguenze che numerosi processi di rimediazione messi a disposizione dalle nuove tecnologie hanno
avuto su questo tipo di produzione. Proprio le nuove tecnologie hanno permesso la crescita di un altro
settore che spesso si pone come traduzione intersemiotica, ovvero quello che, sulla base di un romanzo, un
film o un fumetto, conduce alla realizzazione di un videogioco. Naturalmente, può verificarsi anche il
contrario, trasformando un videogioco in un romanzo o in un film (es. Assassin’s Creed, Silent Hill).

8.3 Con traduzione audiovisiva si intendono tutte le modalità di trasferimento linguistico che si propongono
di tradurre le componenti verbali dei prodotti audiovisivi (cioè di prodotti che comunicano simultaneamente
attraverso il canale acustico e quello visivo), al fine di renderli accessibili a un pubblico più ampio. Questo
tipo di prodotti, per essere fruiti, devono essere sia visti e ascoltati simultaneamente. Proprio a causa di
questa commistione di codici, la traduzione di questi prodotti si discosta da quella di prodotti a stampa e
impone delle costrizioni, nonché l'adozione di strategie differenti. Nei prodotti audiovisivi il contenuto
verbale e quello visivo interagiscono al fine di formare un’interezza di significato. I prodotti audiovisivi,
pertanto, comprendono messaggi verbali (che possono essere recepiti sia acusticamente che visivamente:
parole degli attori, testi delle canzoni, informazioni scritte sullo schermo, crediti di apertura e di chiusura del
prodotto, eventuali didascalie, sottotitoli) e elementi non verbali (effetti sonori, suoni del corpo, musica,
gesti, costumi, trucco, scenografia, colori, effetti speciali, tridimensionalità). Tutti questi elementi
comunicano dei significati aggiuntivi e quindi la traduzione audiovisiva (o TAV) deve tenerne conto. Nel caso
della TAV si parla anche di traduzione multimediale, in quanto i prodotti audiovisivi sono tipicamente creati
e fruiti grazie al supporto di apparati tecnologici diversi.

Traduzione audio-visiva può significare:

- Sottotitolaggio: creazione di sottotitoli che ripropongono in modo più sintetico e in forma scritta gli
elementi verbali di lingua parlata presenti nel testo filmico fonte. Possono essere interlinguistici
(quando si visiona un film in lingua originale con i sottotitoli in lingua d’arrivo), intralinguistici (nel
caso in cui il film originale venga fruito con sottotitoli della lingua fonte che sono utilizzati per
permettere ai non udenti di usufruire del prodotto), simultanei (cui si fa ricorso quando non è
possibile preparare i sottotitoli in anticipo. Interviene uno stenografo che, sotto dettatura
dell’interprete, trascrive i sottotitoli), bilingui (utilizzati in quei paesi dove si parlano più lingue)
- Intertitoli: utilizzati inizialmente nei film muti e caduti in disuso nella loro funzione narrativa con
l’avvento del sonoro
- Doppiaggio o adattamento dei dialoghi: la traccia audio originale viene sostituita in post-
sincronizzazione con una nuova traccia tradotta nella lingua d’arrivo
- Interpretazione consecutiva: l’intervento del parlante viene tradotto quando almeno parte del suo
discorso è giunto al termine
- Interpretazione simultanea: tipica delle assemblee
- Voice-over: si sovrappone alla traccia audio originale in cui vengono proposti dei segmenti doppiati
o dialoghi precedentemente tradotti
- Narrazione: ripresa del voice-over che rielabora il contenuto senza però costrizioni legate al labiale,
pur nel rispetto del ritmo. Rispetto al voice over, presenta più riduzioni e adattamenti e una
maggiore distanza del testo fonte e un più alto grado di formalità
- Commento: a metà strada tra la traduzione e l’adattamento
- Descrizione audio-visiva: per i non vedenti o gli ipovedenti che prende in considerazione
l’eterogeneità del pubblico e offre il più alto grado di precisione descrittiva possibile
- Sopratitolazione: in ambito teatrale permette al pubblico d’arrivo di comprendere l’opera di prosa o
di lirica in questione
- Produzione multilingue: il testo viene redatto in più lingue
Le principali modalità per la traduzione di prodotti di fiction sono sicuramente il doppiaggio e il
sottotitolaggio. L’Europa occidentale è stata divisa in un blocco dedicato al sottotitolaggio e uno dedito al
doppiaggio. Oggigiorno però la situazione non è così nettamente distinta.

Lo scopo del doppiaggio è rendere il dialogo tradotto in modo da sembrare pronunciato dagli attori nella
lingua d’arrivo, e deve sottostare a costrizioni di diversa natura. L’adattatore deve riuscire a includere in una
frase, la cui lunghezza è imposta dai limiti di tempo tipici del prodotto audiovisivo, il significato e le
caratteristiche sintetiche della lingua fonte. Tra le costrizioni cui l’adattatore deve sottostare rientrano:

- La durata della battuta: essenziale che le battute dell’attore e quelle del doppiatore siano
sincronizzate
- I movimenti labiali: i movimenti dovrebbero coincidere con le parole doppiate
- Mimica e gestualità: l’adattatore deve adeguare la battuta alla recitazione
- Lo sfondo della scena: ovvero tutto ciò che circonda l’azione e che funziona come riferimento
culturale

L’adattatore deve anche tenere presente quei rapidi movimenti in cui l’attore non parla ma muove
comunque la bocca, e questa performance deve esprimere la gamma di emozioni dell’originale, come se
dovesse recitare di nuovo, ma in uno spazio più stretto (il doppiatore deve mantenersi fedele alla
recitazione originale). Adattare una sceneggiatura non significa solo rielaborare il testo ma prevede anche la
padronanza di alcuni elementi tecnici inaspettati: al fine di permettere al doppiatore di comprendere ciò
che accade nella scena su cui dovrà lavorare, l’adattatore ridefinisce anche gli elementi visivi della scena,
includendo

- Il codice temporale: indica obbligatoriamente l’inizio di ogni scena;


- Le indicazioni concernenti tutto ciò che aiuta a definire la scena: IC (in campo) indica che il
personaggio è visibile in scena; FC (fuori campo), indica che è assente; DSP (di spalle)
- Indicazioni riguardanti la recitazione: distinzione tra la pausa (/) (chiara interruzione) e la cesura
(…) (sospensione indistinta)
- Sinossi: riassunto della trama e la lista di personaggi

Il doppiaggio tradizionalmente veniva realizzato seguendo queste fasi:

I. Traduzione letterale
II. Adattamento da parte di un traduttore/doppiatore della traduzione, in modo da rendere i dialoghi
percepibili come naturali nella lingua d’arrivo e sincroni con i movimenti labiali degli attori in scena
III. Divisione del film in segmenti e organizzazione dei turni per la registrazione in studio
IV. Visione da parte degli attori doppiatori del film e ascolto della traccia audio originale in cuffia
V. Registrazione completa della versione doppiata, che veniva mixata e posta in sincrono con la traccia
e la colonna sonora

Al giorno d’oggi, l’approccio al doppiaggio è stato sostituito dalla tecnologia digitale, che permette agli attori
di registrarsi dalle proprie postazioni personali mentre un software permetterà poi di editare
simultaneamente le varie tracce. Gli sviluppi tecnologici sono tali che anche i movimenti labiali degli attori
possono essere leggermente modificati per ottenere una sincronizzazione, mentre altri programmi
permettono di adeguare la qualità della voce del doppiatore a quella dell’attore originale.

La peculiarità dei sottotitoli è quella di riprodurre la lingua orale in una forma scritta le cui convenzioni
devono in ogni caso essere rispettate. Si dividono in aperti (quando sono incorporati nel film stesso) e chiusi
(quando vengono selezionati dallo spettatore in un dvd o da un menu teletext). Riducono
considerevolmente il dialogo effettivo, semplicemente perché gli spettatori necessitano di un tempo
sufficiente per leggerli senza correre il rischio di perdere parte dell’azione sullo schermo. Generalmente, la
traduzione dei sottotitoli è target-oriented, giacché la funzione è quella di aiutare il pubblico a comprendere
il film anche a discapito di specificità legate al testo fonte. Rispetto al doppiaggio, il sottotitolaggio permette
di risparmiare tempo e denaro.

Il processo di sottotitolaggio si sviluppa in tre fasi:

I. Elimination: riduzione degli elementi che non cambiano il significato del dialogo nel testo fonte
II. Rendering: si omettono elementi considerati tabù, espressioni tipiche dello slang o espressioni
dialettali
III. Simplification: semplificazione della sintassi originale al fine di rendere i sottotitoli più facilmente
leggibili e comprensibili

Diverse fasi previste durante la creazione dei sottotitoli.

Convenzionalmente, i sottotitoli erano ristretti a un numero di caratteri compreso tra i 30 e i 40, spazi
inclusi, ed erano mostrati in basso allo schermo, in centro, oppure allineati a sinistra. Oggigiorno, queste
restrizioni stanno via via scomparendo. Ogni sottotitolo non dovrebbe generalmente occupare più di due
righe e la sua visibilità sullo schermo non può eccedere i quattro secondi. Data la possibilità ormai acquisita
di posizionare i sottotitoli in qualsiasi punto dello schermo, il termine captioning sta diventando sempre più
diffuso. La pratica di sottotitolaggio elaborata alla fine degli anni 90 prevedeva:

- Ricorrere a unità semantiche complete e definite


- Dove si renda necessaria una comprensione del dialogo, il risultato deve comunque essere coerente
- Ogni sottotitolo dovrebbe essere semanticamente concluso
- Il registro linguistico deve essere appropriato e corrispondere a quello utilizzato nella lingua parlata
- Il linguaggio dovrebbe essere grammaticalmente corretto
- Tutte le informazioni scritte importanti presenti nel testo fonte in sovraimpressione ad altre
immagini dovrebbero essere tradotte e incorporate nel sottotitolo
- Le canzoni dovrebbero essere sottotitolate
- Ripetizione di nomi o frasi comuni facilmente comprensibili non dovrebbero essere sempre
sottotitolate
- I movimenti di entrata e di uscita dei sottotitoli dovrebbero seguire il ritmo del discorso del dialogo
filmico
- Forte correlazione tra il dialogo filmico e il contenuto del sottotitolo
- La lingua fonte e quella d’arrivo dovrebbero essere il più possibile sincronizzate
- Un dialogo a due in un sottotitolo dovrebbe essere allineato a sinistra
- I sottotitoli dovrebbero risultare facilmente leggibili
- I numeri, le date, le misurazioni che dovrebbero essere scritte in numero
- Nessun sottotitolo dovrebbe apparire per meno di un secondo o rimanere sullo schermo per più di
sette secondi
- Il numero delle righe di ogni titolo dovrebbe essere limitato a due
- Ogni volta che righe di lunghezza diversa vengono utilizzate, la riga superiore deve essere più breve

Si ricordano anche i fansubbing, traduzioni amatoriali delle serie televisive che soddisfano le richieste del
pubblico, per evitare le lunghe attese tra una serie e l’altra. Il fansubbing viene percepito anche come una
valida alternativa al doppiaggio, e risale alla fine degli anni 80. L’approccio dei fansubber è più orientato
verso l’adozione di strategie di straniamento, piuttosto che verso l’addomesticamento perseguito da forme
di sottotitolaggio tradizionali e ufficiali, e sono solitamente più rispettose nei confronti del testo fonte. ItaSa
è una delle principali communities di fansubber italiane.

Douglas Adams, oltre a dare importanti indicazioni per la realizzazione della traduzione, offre essenziali
istruzioni tecniche sulla creazione dei sottotitoli e sulla loro sincronizzazione.

a. La parola okay si traduce con ok


b. Hey diventa ehi
c. Le abbreviazioni vanno tradotte per intero
d. Le esclamazioni che si utilizzano nella lingua italiana sono oh, eh e ah e dopo queste è
obbligatorio inserire la virgola
e. Evitare il passato remoto

I backchannel noises (mmm, aah) molto spesso non vengono inseriti nei sottotitoli, perché corrispondono
con gli stessi backchannel noises della lingua d’arrivo. In ogni caso, proprio perché il sottotitolo deve
necessariamente operare una sorta di sintesi per permettere allo spettatore di lettere il testo nei tempi
dettati dal prodotto audio-visivo, questi elementi del discorso possono essere omessi.

Altri dettagli dei sottotitoli creati dai fansubber sono:

- La battuta resta sullo schermo per un massimo di cinque secondi


- il numero delle righe di ogni sottotitolo è limitato a due
- è essenziale che ogni battuta abbia una lunghezza proporzionata a quello che viene detto
- è vietato eliminare la punteggiatura
- quando parla più di un personaggio nella stessa battuta, si mette un trattino seguito da uno spazio
all’inizio del parlato di ognuno, disponendo le battute nell’ordine in cui vengono dette.
- Qualora non sia possibile dividere la battuta, si dispongono più trattini sulla stessa riga.

8.4 La traduzione interlinguistica di prodotti di animazione o cartoni animati condivide molte delle
problematiche presentate dalla traduzione audiovisiva. In effetti, la traduzione di questi prodotti, seppur in
maniera minore, implica, da un lato, gli stessi problemi di sincronizzazione e tempistiche del doppiaggio e,
dall'altro, lo stesso tipo di costrizioni del sottotitolaggio. Nonostante il fumetto non sia strettamente un
prodotto audiovisivo, esso condivide diversi aspetti, costrizioni e strategie con i prodotti audiovisivi veri e
propri. Il fumetto consiste, infatti, in una serie di immagini con dialoghi o monologhi contenuti nelle
nuvolette; consiste di parole, spesso poste al di fuori delle nuvolette e di origine onomatopeica, come
boom, vroom, zzzz. Le tavole grafiche o pannelli, insieme ai dialoghi e ad altri elementi verbali, lavorano
dunque in sinergia per creare un racconto che si sviluppa in tempo reale in modo simile a quello che accade
in un film. Per questa ragione, questa tipologia testuale si pone come punto di contatto fra testi a stampa e
prodotti creati per lo schermo. Tanto nel film quanto nel fumetto il traduttore deve fare attenzione,
rispettivamente, ai tempi del testo filmico fonte e agli spazi imposti dalle nuvolette dei fumetti, che non
sono generalmente modificabili. Oltretutto, molto raramente è possibile inserire note a piè pagina o glosse
laterali. Poi, tanto nel film quanto nel fumetto, nei videogiochi o nei testi illustrati, il traduttore deve
proporre soluzioni che non appaiono in contraddizione con le immagini che il testo accompagna. Questo
aspetto è essenziale, in quanto talvolta determina le scelte traduttive. Questo appare particolarmente vero
nel caso della traduzione di giochi di parole e puns che, nel caso del fumetto, risultano particolarmente
impegnativi proprio a causa della commistione tra codice verbale e codice visivo. I giochi di parole sono
infatti fenomeni prettamente linguistici, ma il traduttore avrà un’urgenza maggiore a mantenere una linea
coerente fra il testo verbale e quello visivo. Al pari di altre tipologie testuali, anche nel caso dei fumetti si
potrà quindi ricorrere a esempio:

 Re-ordering
 Aggiunte, che possono riferirsi a elementi verbali, quanto a elementi tipografici o visivi.
 Traduzione zero, come spesso accade però non metto per le onomatopee.
 Omissioni, che possono riferirsi tanto aspetti verbali quanto a quelli visivi e tipografici.
 De-idiomizzazione, sostituendo un idioma nella lingua fonte con un'espressione non idiomatica
nella lingua d'arrivo
 Esplicitazione

Naturalmente, le strategie e le procedure traduttive dipendono anche dal genere, dal format, dal target,
dalla frequenza di pubblicazione e dalla funzione che il testo ha in originale.

CAP 9

9.1 I linguaggi specialistici inglesi sono caratterizzati da elementi lessicali e tendenze morfo-sintattiche del
tutto particolari che dunque diventano essenziali anche ai fini dei traduttori. Lo scopo del traduttore è
dunque quello di creare un testo di arrivo che si adegui alle caratteristiche del genere nella lingua d’arrivo,
ma conservando tuttavia i significati trasmessi del testo fonte (in questo caso più che mai caratterizzati,
come discusso in precedenza, da precisione).

Il linguaggio giuridico inglese è molto distante dal linguaggio comune: da ciò nascono i movimenti Plain
English, atti a tradurre una lingua comprensibile documenti legali e amministrativi di vario tipo. Questo tipo
di esperienza non è del tutto assente in Italia: con la pubblicazione del Codice di stile nel 1993, si è assistito
a una tendenza simile, grazie alla quale si sono avviate iniziative tese alla semplificazione del linguaggio
giuridico e alla redazione di documenti maggiormente accessibili dagli utenti comuni. Tuttavia, il linguaggio
giuridico non si distacca molto da quello comune. Michele Cortellazzo, a livello morfo-sintattico, nel
linguaggio scritto della legge ha individuato:

- Costruzioni paratattiche
- Costruzioni ipotattiche
- Lessico cristallizzato
- Formule convenzionali (il suindicato ricorso, la sottoscrivente, l’attante)
- Uso di connettivi pesanti (a carico di, a seguito di, a titolo di, ai sensi di, in danno di, in ordine a,
fatto salvo)
- Uso di deittici (tale, codesto)
- Abbondante uso di pronomi relativi (il quale, la cui attività)
- Arcaismi morfologici (cosicché, ivi)
- Verbi frasali (dare luogo, trovare applicazione)
- Ricorso alla frase passiva (utilizzata con l’ausiliare venire)
- Uso del deontico (vorrà fare, farà)
- Uso del si impersonale
- Uso di forme passive
- Uso di soggetti astratti o collettivi
- Uso dell’imperfetto narrativo
- Condensazione sintattica
- Ricorso alla normalizzazione
- Enclisi del clitico al verbo reggente (trattasi, concessegli)
- Ricorso alla sovraestensione dell’infinito in frase completiva (il difensore chiede applicarsi
all’imputato la diminuzione della pena)
- Uso di frasi ridotte participiali (nei limiti per cui si ritiene già raggiunta la prova)
- Omissione dell’articolo (tanto determinativo quanto indeterminativo, come far pervenire memoria,
presentare istanza e in sintagmi preposizionali come risulta in atti, a mezzo lettera raccomandata,
con sentenza in data)
- Ordine non canonico delle parole (adeguata e congrua motivazione, manifesta ubriachezza, la
contraria motivazione)

A livello lessicale, Garavelli individua tre categorie di linguaggio giuridico:

- Tecnicismi specifici, categoria che riunisce i segni che distinguono in modo netto il linguaggio
giuridico dalla lingua comune e comprende parole che compaiono esclusivamente nell’ambito del
diritto (abigeato, anatocismo, contumacia, incensurato)
- Ridefinizioni, ovvero parole della lingua comune che nei testi giuridici acquistano un valore tecnico
attraverso la rideterminazione semantica, con specializzazioni o estensioni del significato (vizio,
fermo e rito)
- Tecnicismi collaterali, che corrispondono a parole specifiche che non sono necessarie alle esigenze
della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica. Sono gli aggettivi di
relazione (criminoso, contravvenzionale, documentale), i nessi preposizionali specifici (ai sensi di, a
carico di, a titolo di, a norma di), le preposizioni particolari (avverso), l’utilizzo di nomi generali in
senso specialistico (vicenda, disegno, soggetto), scelte verbali riferite alle fasi della procedura e alle
relative argomentazioni (presentare, pronunciare, emettere)

A causa della vicinanza tra linguaggio giuridico e comune, in fase di traduzione è necessario fare molta
attenzione a questioni di registro. In particolare, i traduttori devono conoscere le sequenze combinatorie
tipiche del linguaggio giuridico nei contesti culturali di entrambe le lingue. Inoltre, nonostante il linguaggio
legale tenda a porsi come universale, fa ricorso a molti termini sono in realtà culture-bound. Di
conseguenza, è difficile renderle in altre lingue.

Una delle maggiori difficoltà della traduzione di testi giuridici è la differenza, o l’assenza, di concetti giuridici
che possono non essere presenti nella lingua target, e viceversa. Nel confronto tra cultura britannica e
cultura italiana, per esempio, la differenza maggiore risiede nella diversa tipologia di sistema giuridico: il
Regno Unito si basa sul common law, mentre in Italia sul diritto romano (civil law). Sostanzialmente, in italia
ogni questione viene generalmente risolta basandosi sull’interpretazione di una regola esistente, mentre in
Inghilterra è il giudice che stabilisce e formula la regola applicabile.

In Italia esistono vari tipi di linguaggio giuridico, come quello utilizzato nel diritto penale, quello del diritto
civile, diritto amministrativo etc.

Garavelli individua quindi tre principali settori di testi giuridici:

- Testi normativi: costituzioni, convenzioni, decreti-legge, statuti


- Testi applicativi: atti processuali, sentenze, ordinanze
- Testi interpretativi: trattati, manuali e tutti i testi che compongono la dottrina giuridica.

Si distingue quindi un linguaggio giuridico parlato (testi applicativi) e linguaggio giuridico scritto.

Il linguaggio medico costituisce un linguaggio specifico con caratteristiche peculiari. Innanzitutto, è possibile
fare una distinzione tra due macrocategorie, il linguaggio della medicina teorico-scientifica e il linguaggio
della medicina clinica. All’interno di queste, si trovano altre sottocategorie, riferiti a field specifici. Proprio a
causa degli innumerevoli tipi di testo e di sotto-generi con cui è possibile confrontarsi, una volta che si entra
nell’ambito medico, è normale che il traduttore non possa conoscere tutta la terminologia, ma bisognerà
comunque avere la padronanza del vocabolario essenziale. Nota positiva è il fatto che il linguaggio medico
presenta molti termini di origine classica (latino e greco) e anche per la sua trasparenza (se si conosce
quindi il significato di suffissi e affissi, è più facile capire le parole). È sempre raccomandata la presenza di un
esperto affianco al traduttore. Alcune delle strategie traduttive valgono anche qui, ma la contestualizzazione
è sempre essenziale. Caso particolare sono gli acronimi, anche se molto spesso l’italiano li prende
dall’inglese senza alcuna modifica. Tuttavia, davanti a un acronimo, il traduttore può adottare tre scelte:
utilizzare anche in italiano il significato inglese e fornire una traduzione; creare una sigla partendo
dall’equivalente sintagma italiano; ripetere ogni volta il sintagma per esteso. Molti termini medici sono
anche formati dall’unione di più parole: il traduttore dovrà quindi ricorrere al riordino per arrivare a una
traduzione efficace.

9.2 Negli anni ’90, una branca dei Translation Studies si è concentrata sulla traduzione basata sui corpora. A
livello teorico, essi sono utilizzati principalmente per indagare il processo traduttivo per cui viene attribuito
un certo significato a un significante nelle diverse lingue; a livello pratico, i corpora permette di studiare la
lingua per come effettivamente funziona in contesti reali.

Baker distingue tra tre tipi principali di corpora:

- Corpora paralleli: una serie di testi in lingua originale vengono affiancati dalla loro versione tradotta
nelle varie lingue (tipologia più utilizzata)
- Corpora multilingue: due o più corpora monolingue che mettono in evidenza il modo in cui certi
significati vengono espressi nelle diverse lingue (più difficile gestione)
- Corpora comparabili: due raccolte separate di testi nella stessa lingua (uno con i testi originali,
l’altro con le traduzioni nella lingua d’arrivo)

La distinzione tra i primi e i terzi non è sempre cosi netta, per questo si potrebbero utilizzare più per riferirsi
alla struttura del corpus che allo status dei testi inclusi.

Lo sviluppo di un determinato corpus dipende dal tipo di indagine che si vuole compiere: i corpora creati
rendono infatti disponibile il materiale considerato affine al tipo di discorso e al genere testuale che si
intende indagare. Una volta creato, saranno necessari dei criteri di interrogazione, per esempio
concentrandosi sugli aspetti quantitativi (quante volte compare una parola) o focalizzandosi sugli aspetti
qualitativi (in quali contesti si usano certi termini). Le ricerche attraverso i corpus permettono di portare alla
luce le varie differenze linguistiche e, di conseguenza, le differenze culturali. Le scelte che i traduttori
compiono a livello lessicale e morfosintattico sono sicuramente espressione del loro idioletto particolare,
della loro cultura di appartenenza. Nella creazione di un corpus è infatti fondamentale tenere conto del
contesto (sociale e culturale) in cui le traduzioni vengono prodotte. In questo senso, il sistema di
annotazione e tagging che i corpora mettono a disposizione appare utile: arricchiscono il corpus,
identificando la parte del discorso coinvolta. Tale part of speech tagging (POS) identifica una parola del
corpus come una determinata parte del discorso, sulla base della sua definizione e del cotesto in cui
compare. L’annotazione tramite etichette corrisponde dunque a un linguaggio di markup che permette di
distinguere parole che presentano il medesimo spelling in base alla classe di appartenenza e di identificare
la parola come sostantivo, verbo o aggettivo. Cosi facendo, si aggiungono informazioni di interpretazione
linguistica. Però questo sistema di annotazione potrebbe riflettere il punto di vista di colui che l’ha creato.
Queste annotazioni possono essere fonetiche, semantiche, pragmatiche, del discorso, stilistiche o lessicali. A
queste si aggiungono le annotazioni prosodiche (informazioni sull’intonazione, gli accenti etc).

Per essere definito tale, un corpus deve avere caratteristiche di:

- Autenticità: esso rappresenta una parte della lingua in esame, per cui è necessario che i contesti
riportati siano autentici e reali
- Rappresentatività: varietà linguistiche (diafasiche, diastratiche, diatopiche)
- Dimensione e finitezza
- Annotazione: identificare una parola del corpus con una determinata parte del discorso (POS
tagging) sulla base della sua definizione e del cotesto in cui appare.

La linguistica dei corpora costituisce un grande strumento per i traduttori, permettendo loro di creare un
testo che funzioni nella cultura target in modo analogo a come funziona il testo fonte nella cultura d’origine.
Secondo Taft, in qualità di mediatore, il traduttore deve possedere una conoscenza della storia, del folklore,
delle tradizioni e dei costumi, nonché delle autorità, dei valori e dei divieti vigenti in ambo le culture in cui si
trova a mediare. A ciò bisogna aggiungere poi una buona competenza comunicativa in entrambe le lingue;
una conoscenza dell’informatica di base e abilità sociali relative alle norme applicate nei due contesti
socioculturali di riferimento. Una metodologia alternativa ai corpora è la CLIL. Questo sistema prevede
l’apprendimento di una lingua aggiuntiva, comprendendo anche contenuti relativi alla storia, alla scienza,
alla geografia, ecc. All’interno della programmazione CLIL, le forze politiche europee individuano due punti
focali: il multilinguismo e la dimensione culturale.

BREVE NOTA SULLA METODOLOGIA CLIL

Il termine CLIL (Content and Language Integrated Learning) venne coniato nel 1994 all’interno della
Commissione Europea, dopo un’ampia discussione a livello europeo al fine di estendere l’eccellenza
dell’apprendimento delle lingue nei vari istituti di istruzione e prevede l’interrogazione dell’apprendimento
di una lingua aggiunta con i contenuti delle materie studiate. Il programma CLIL iniziò a porre l’enfasi sulla
naturalezza con cui la lingua viene usata nell’ambiente circostante, un aspetto considerato essenziale per
l’acquisizione della lingua. Quindi, come i corpora, la metodologia CLIL permette la creazione di situazioni in
cui l’uso della lingua straniera possa svilupparsi spontaneamente. In questo modo, la metodologia limita la
difficoltà a usare la lingua in modo attivo. Infatti, i docenti CLIL aiutano i discenti a mettere in relazione
quanto appreso con il mondo circostante, ponendo in evidenza dei collegamenti con la comunità e la
cultura cui appartengono i membri della comunità 1 e facendo riflettere sulle somiglianze / dissimilarità con
il modo in cui un determinato aspetto viene percepito e vissuto dai membri della comunità 2. Si nota, cioè,
come la metodologia dei corpora può risultare molto utile anche in ambito CLIL, sia in campo traduttivo che
sociale, dato che diviene una esemplificazione degli sforzi fatti per il raggiungimento di un ambiente
interculturale. Il CLIL nasce come un approccio che comporta lo sviluppo di capacità di apprendimento
sociali, culturali, cognitive, linguistiche, accademiche e di altre abilità, che a loro volta facilitano il
raggiungimento di obiettivi a livello tanto di contenuto quanto di lingua. Tanto la metodologia del CLIL
quanto la l’utilizzo di corpora plurilingue, non dovrebbero essere mere motivazioni strumentali, ma
dovrebbero essere visti come strumenti utili alla creazione di un ambiente di studio in cui l’apprendimento
della lingua va di pari passo con lo sviluppo della competenza culturale e interculturale dei discenti. La
creazione e l’interrogazione dei corpora mette a disposizione materiale didattico autentico che può essere
utilizzato durante l’apprendimento linguistico traduzionale e CLIL.

9.3 La Computer Assisted Translation (traduzione assistita) va dissociata dalla traduzione automatica, la
quale indica una traduzione effettuata da una macchina in grado di suddividere la sintassi e di individuare le
parti del discorso per realizzare un testo d’arrivo che dovrà necessariamente essere revisionato. La
macchina non è in grado di analizzare perfettamente il contesto e non tiene conto delle sequenze
combinatorie in uso, come non valuta gli usi pragmatici della lingua etc. Per questo motivo, la traduzione
potrebbe risultare errata e/o non adeguata alla situazione comunicativa.

Gli strumenti di traduzione assistita riguardano invece mezzi informatici di supporto ai traduttori nel loro
lavoro. Tra questi:

- Software di riconoscimento ottico dei caratteri (Optical Character Recognition): i programmi che
convertono un’immagine che contiene parti di testo, acquisita tramite scanner, in un testo digitale
modificabile con un editor. Ciò permette ai traduttori di risparmiare tempo, trasformando
un’immagine in testo modificabile.
- Strumenti per il riconoscimento e la sintesi vocale: trasformano diversi formati di testo in testi
audio. Sono di grande aiuto soprattutto per soggetti ipovedenti, studenti con disgrafia o dislessia
- Programmi di videoscrittura: permettono di visualizzare un testo su un video, elaborarlo o come
testo formattato o come puro testo, memorizzarlo, modificarlo e stamparlo ecc.
- Elaboratore di testi: permettono di scrivere testi formattati. Appartengono quindi ai programmi di
correzione, modifica, archiviazione di testi scritti da riprodurre per la lettura o la visione. Il prodotto
può essere salvato e archiviato poi in diversi formati.
- Strumenti per la ricerca e la sostituzione del testo: utile soprattutto nel subbing, quando lettere
accentate devono essere sostituite dalle rispettive lettere apostrofate.
- Strumenti per il controllo ortografico e grammaticale
- Risorse su CD-ROM: dizionari monolingue, bilingue, enciclopedici, ad oggi piuttosto obsoleti
- Bitesti: indica un concetto che si colloca a metà tra teoria della traduzione e psicolinguistica e indica
un testo fonte e il corrispettivo testo d’arrivo per come si presenta nella mente del traduttore. In
questo ambito, corrisponde generalmente o a un bitesto creato mano a mano dal traduttore
durante l’espletamento del suo lavoro, o a un bitesto ricostruito da testi fonte e testi d’arrivo
separati
- Corpora
- Strumenti per l’indicizzazione e il motore di ricerca: permette di effettuare ricerche in grandi
raccolte di memoria di memorie di traduzioni per trovare frammenti di frasi, segmenti o interi
paragrafi che corrispondano ai nuovi segmenti da tradurre.
- Programmi di traduzione con l’ausilio di memorie di traduzione: archivi elettronici di unità
traduttive appaiate che presentano da parte il testo fonte e dall’altra la traduzione in lingua d’arrivo.
Al contrario degli strumenti di traduzione automatica, queste mettono a disposizione del traduttore
i prodotti realizzati da esseri umani e si rivelano utili quando il testo è tanto ripetitivo.
- Risorse terminologiche: dizionari, glossari ma anche programmi tecnologici. Sono utili soprattutto
quando la traduzione è affidata a un gruppo di traduttori: questi programmi infatti permettono di
individuare automaticamente i termini presenti nel testo fonte nei glossari/dizionari associati al
progetto traduttivo e di suggerire proposte di traduzione in tempo reale. L’intervento umano resta
essenziale, perché il traduttore ha comunque il compito di accertarsi che la terminologia sia corretta
e, in più, aggiorna costantemente tali archivi.
- Programmi per l’allineamento e la concordanza: esempi di parole o espressioni e il loro significato
in contesto monolingue, bilingue o multilingue
- Dizionari ed enciclopedie online

Alcina dice che bisogna fare distinzioni in base a:

- Il livello di automatizzazione adottato nel corso del progetto traduttivo. Melby opera una
distinzione tra un primo ed un secondo livello di strumenti: al primo livello appartengono quegli
strumenti di cui il traduttore può fare uso quando il testo fonte viene fornito in formato cartaceo, e
comprendono quindi sistemi vocali, di videoscrittura, fax; al secondo livello appartengono quelli che
presuppongono che il testo sia messo a disposizione in formato elettronico e a questo gruppo
appartengono le memorie di traduzione.
- Il momento durante il quale il traduttore fa ricorso agli strumenti di traduzione assistita. Melby
propone una differenziazione tra gli strumenti usati in fase di pre-traduzione, di traduzione e post-
traduzione, nonché quella che lui stesso chiama infrastruttura, riferita ai sistemi di creazioni e
gestione documenti, database terminologici e sistemi di telecomunicazione
Occorre innanzitutto distinguere tra livello terminologico e livello segmentale, tra i quali si individuano i tre
momenti sopra citati. Nella prima categoria rientrano l’estrazione e la ricerca terminologica (si cercano i
termini appropriati); nella seconda categoria rientra la consultazione automatica della terminologia
(mostra il termine d’arrivo maggiormente utilizzato senza che il traduttore debba cercarlo manualmente);
nella terza categoria rientrano il controllo della coerenza terminologica e il controllo della terminologia
non consentita.

Melby, individua poi le funzioni che operano a livello di segmento. Prima della traduzione, bisogna
segmentare il nuovo testo da tradurre, allineare le traduzioni precedenti e stilare un indice. Nella fase di
traduzione, si consulta automaticamente la memoria di traduzione, inserendo nel testo segmenti recuperati
da questi, e si usa la traduzione automatica. Nella post-traduzione, si controlla se mancano segmenti
mancanti, il formato e l’ortografia e la grammatica.

Infine, Melby discute:

- Il workflow della traduzione e della gestione della fatturazione, elementi che rimangono fuori dal
processo traduttivo vero e proprio. Gli strumenti per la gestione del workflow permettono di
monitorare i progressi fatti, i progetti traduttivi assegnati, le date di consegna dei prodotti terminati,
le modifiche e le revisioni ai testi.
- Il livello di conoscenza informatica richiesto, ed è ormai un prerequisito essenziale per ogni
traduttore. Può essere suddivisa in quattro categorie: introduction to computer science (essenziale,
comprende l’approccio agli elementi fisici e logistici del computer, i sistemi di salvataggio, la
gestione dei dati); information technologies e internet (strumenti che permettono di ottenere
informazioni tramite internet e di accedere a strumenti di comunicazione); desktop publishing
(strumenti che permettono di realizzare prodotti di alta qualità); language engineering (sistemi di
videoscrittura, di controllo ortografico…)
- La dimensione della traduzione: si utilizzano strumenti di traduzione assistita. Secondo Neunzig,
possono essere coinvolte tra dimensioni differenti: la didattica della traduzione, la traduzione
professionale e la ricerca nell’ambito degli studi di traduzione.

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