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DESCRIVERE LA LINGUA DEI SEGNI ITALIANA

CAPITOLO 1 – PER UNA NUOVA DESCRIZIONE DELLA LSI

1. LA PRIMA DESCRIZIONE DELLA LIS E IL MODELLO ASSIMILAZIONISTA

L’interesse per la forma di comunicazione utilizzata dalle persone sorde è presente in Italia e in altri paesi
fin dall’antichità ma non in ambiato linguistico. Il primo grande linguista a sottolineare l’interesse teorico di
queste lingue fu l’americano William Dwigh Whitney, il quale sosteneva che l’audio-oralità non è essenziale
per una lingua. Ma bisognerà attendere l’arrivo di William Stokoe a Gallaudet di Washington (allora unico
college che aveva come missione l’istruzione di studenti sordi) nel 1955 perché prenda avvio un ambito di
ricerca che si è diffuso in tutto il mondo. Stokoe arriva nell’istruzione americana come insegnante di
letteratura inglese, ma si trasforma in pochi anni – da studioso e specialista di inglese medievale – a
esploratore della cultura e del linguaggio delle persone sorde e del loro reale modo di comunicare. Segnare
era stato considerato fino a quel momento una sorta di pantomima, senza struttura interna o coerenza,
qualcosa molto al di sotto del livello di definizione di una lingua. Perfino in un’istituzione come il Gallaudet,
il corpo insegnate era invitato a utilizzare con gli studenti una forma di inglese segnato molto diversa dalla
modalità comunicativa utilizzata dagli stessi studenti fuori dalle aule scolastiche. Stokoe, riesce a
dimostrare che quei gesti considerati imprecisi e approssimativi, hanno invece una struttura, sono
organizzati in un sistema gerarchico autonomo, indipendente dalle lingue vocali e presentano le stesse
caratteristiche distintive di tutti i linguaggi umani. Nel 1960 con Sign Language Structure, mostra,
utilizzando l’apparato esplicativo della linguistica strutturale dominante in quel periodo, la linguisticità della
lingua dei segni americana. In questo senso l’approccio di S. è stato rivoluzionario perché il suo fine non era
pedagogico ma linguistico, in un’epoca in cui erano dominanti una visione del linguaggio come capacità
essenzialmente acustico- vocale e una concezione astratta delle lingue. L’interesse verso le lingue dei segni
in Italia nasce grazie all’influenza americana e agli studi che parallelamente cominciavano a condursi in
Francia con un taglio prevalentemente storico e socioantropologico.
All’epoca, la ricerca era influenzata dalla definizione di lingua proposta da Charles Hockett e largamente
condivisa. Fra i 13 parametri proposti che permettono di caratterizzare le lingue verbali rispetto ad altri
sistemi di comunicazione umani e non umani, ce n’erano alcuni che sembravano applicarsi con qualche
difficoltà anche alla lis. Lo stesso H. riconosceva che le lingue dei segni erano la prova che almeno uno dei
parametri come l’uso del canale fono-articolatorio, poteva non essere così necessario, ma si trattava di
dimostrare che anche le lingue dei segni soddisfacevano tutti gli altri criteri. In particolare ‘’l’arbitrarietà del
segnale’’ e la ‘’doppia articolazione’’. Infatti i sistemi iconici, che rassomigliano fisicamente ai loro referenti,
costringono chi comunica a parlare solo di quegli oggetti, mentre quando un sistema è arbitrario non esiste
un limite a ciò che può essere comunicato. Quindi, nella fase iniziale della ricerca sui segni, era importante
enfatizzare gli elementi arbitrari e minimizzare la presenza dell’iconicità perché sembrava compromettere il
loro riconoscimento come lingue. Analogie e differenze
Come nella combinazione di un numero ristretto di suoni senza significato (i fonemi) si crea un vastissimo
numero di unità dotate di significato (le parole), cos’ dalla combinazione di un numero ristretto di unità
minime (i cheremi) si può produrre un numero amplissimo di unità dotate di significato (i segni). Quaderno.

Si riteneva che i segni non fossero scomponibili in unità minime prive di significato e soprattutto che per
essi non potessero essere applicabili proprietà morfologiche e sintattiche. Tale pregiudizio deriva dal fatto
che, apparentemente, le lingue dei segni non possiedono un sistema flessionale, non usano quasi mai segni
funzionali, come articoli e preposizioni, non sembrano fare chiara distinzione tra nomi e verbi e presentano
un ordine relativamente libero degli elementi della frase. Questi equivoci nascono se si considerano modelli
di riferimenti mutuati dalle lingue vocali, stabilendo parallelismi forzati con le proprietà delle lingue più
note, soprattutto nelle loro forme scritte. Piuttosto che comprendere le specificità delle lingue dei segni, si
evidenziano le possibili analogie e corrispondenze con le lingue vocali. Queste componenti ‘mancanti’
vengono espresse dalle componenti corporee (qu).
Nel volume Linguaggio e sordità (Caselli, Maragna, Volterra) pubblicato nel 1994, si ribadisce che uno degli
obiettivi era sfatare le false convinzioni e pregiudizi esistenti sulla comunicazione usata dalle persone sorde.
- che i gesti usati dai sordi siano solo uno sviluppo della gestualità naturale usata dagli utenti.
- che la comunicazione gestuale usata dai sordi non possieda né una grammatica né una sintassi
- che i segni usati dai sordi siano legati al concreto e non possano esprimere concetti astratti

La comunicazione dei sordi in Italia, ha a lungo sofferto a causa di questi pregiudizi che hanno determinato
una forte discriminazione sociale e, di conseguenza, le ricerche condotte inizialmente sulla LIS hanno
cercato di contrastare queste critiche cadendo talvolta in palesi contraddizioni. Non si può negare che lo
sforzo di dimostrare che le lingue dei segni fossero lingue a tutti gli effetti e meritassero pari dignità delle
lingue vocali abbia portato, talvolta, a imporre delle forzature alla loro descrizione e ad adottare quella che
oggi definiamo una visione ‘’assimilazionista’’. Questa visione ci ha portato a descrivere la LIS in base alla
distinzione classica in fonologia, morfologia, sintassi… ovvero a rintracciare nei segni un’organizzazione in
unità minime (i parametri manuali), a trovare una distinzione tra verbi e nomi, a voler cercare un ordine dei
segni nella frase sulla base di categorie. Pur notando l’importanza di altre componenti non manuali
(espressioni facciali, movimenti della bocca, postura del corpo, movimenti degli occhi…) si finiva con
l’attribuire loro solo un ruolo di accompagnamento alle componenti manuali. Un uso eccessivo di
espressioni facciali o di movimenti del corpo era considerato poco appropriato e le labializzazioni
riscontrate erano viste solo nell’ottica di un’influenza dell’italiano che metteva in discussione l’autonomia
della lis. Tutto ciò poteva avvicinare i segni al mimo e alla gestualità ed era guardato con sospetto, quindi
sembrava difficilmente analizzabile dal punto di vista linguistico. Si riteneva che soltanto i segni fossero
unità analizzabili in termini di unità minime e quindi comparabili alle parole delle lingue parlate e scritte. I
gesti, invece, erano considerati come elementi fortemente iconici, mutevoli e non analizzabili in termini di
parametri formazionali. Quindi veniva accentuata una forte separazione tra gesti e mimica da una parte,
come elementi non linguistici e segni dall’altra, come elementi linguistici.

2. CONTINUITà TRA AZIONE, GESTO, SEGNO E PAROLA.

La prospettiva relativa a una netta distinzione tra gesti e segni è venuta progressivamente modificandosi. In
primo luogo, si è riscontrata l’origine comune di entrambi nell’azione. I gesti fondamentali nelle prime fasi
di acquisizione delle lingue parlate e segnate sono sostanzialmente azioni. Proprio dal repertorio di azioni
che i neonati imparano a eseguire nel primo anno di vita nasce la comunicazione intenzionale e simbolica.
Azioni e gesti precedono e accompagnano l’acquisizione delle prime parole e dei primi segni. (q)

Tra i primi gesti a essere prodotti, sono stati individuati i cosiddetti gesti deittici (mostrare, dare, indicare) e
i gesti rappresentativi che possono riferirsi ad azioni intransitive (fare ciao, nuotare, dormire) oppure ad
azioni transitive che rimandano alla manipolazione di oggetti (telefonare, mangiare). È stato dimostrato che
i significati di questi primi gesti sono gli stessi delle prime parole. Quindi, le prime parole dei bambini
riguardano le azioni e i gesti che sono in grado di eseguire e all’inizio tutti i bambini tendono a comunicare
più con i gesti che con le parole. Anche quando la produzione di parole aumenta, i gesti non scompaiono,
anzi, i bambini producono le combinazioni crossmodali. Combinazioni di 2 parole costituite da un gesto e
da una parola (indicare la sedia e pronunciare ‘mamma’ per dire che quello è il posto della mamma).
Anche successivamente, quando la modalità vocale sembra aver preso il sopravvento, il gesto continua a
svolgere un ruolo importante. In un compito di denominazione di foto utilizzato per valutare la
comprensione e produzione di nomi e predicati, bambini udenti italiani , in età compresa tra 2 e 3 anni,
spesso producevano gesti deittici o rappresentativi in accompagnamento o sostituzione alle parole.
Obiettivo finale del lavoro era analizzare eventuali somiglianze o differenze tra gesti e segni dal punto di
vista delle caratteristiche articolatorie, per verificare se esistevano dei vincoli motori nell’articolazione dei
gesti come esistono nell’articolazione dei segni. Le produzioni dei bambini udenti sono più simili tra loro di
quanto si pensi: stesso numero di mani coinvolte, configurazioni delle mani molto simili, stesso luogo di
esecuzione, stesso movimento.
3. STRATEGIE RAPPRESENTATIVE

Negli ultimi anni si è cominciato a capire che le strategie di rappresentazione simbolica sono 4. (q)

Queste strategie sono molto analoghe a quelle osservate nella produzione gestuale di bambini e adulti
udenti. Sia nel caso dei gesti comunicativi che dei segni, è possibile attraverso la modalità corporea rendere
visibile ciò di cui si parla, adottando la prospettiva del protagonista, personaggio, agente o un punto di vista
esterno dell’osservatore. Nel primo caso, l’attenzione è su chi agisce, che si può rappresentare o attraverso
l’azione di tutto il corpo e semplicemente mostrando il tipo di afferramento o manipolazione adottato
nell’eseguire l’azione. Nel secondo caso, viene posta maggiore attenzione alle caratteristiche del referente ,
rappresentando con la mano i referenti, le loro caratteristiche ed eventualmente la loro posizione o
relazione nello spazio. In una prospettiva assimilazionista, si era notato che molto spesso i gesti prodotti, da
soli o in accompagnamento alle prime parole, da tutti i bambini all’interno di una data cultura divengono
poi anche i segni della lingua dei segni utilizzata all’interno di quella stessa cultura. Alcuni di questi segni
possono essere considerati universali ma altri sono socioculturali. Naturalmente, i segni simili ai gesti degli
utenti sono solo una piccola percentuale del vocabolario di una lingua dei segni, per questo spesso si ha
l’impressione che i segni siano comprensibili a tutti e, soprattutto nel nostro paese, sono stati a lungo
considerati semplici gesti che potevano costituire un semplice accompagnamento alla lingua vocale ma non
sostituirsi ad esse né avere pari dignità.

4. NUOVE PROSPETTIVE TEORICHE

Nelle lingue dei segni, le mani, insieme all’intero corpo e alle espressioni facciali diventano componenti
importanti di una lingua. Tutte queste rappresentazioni possono definirsi iconiche, ma la scelta è arbitraria.
Con alcuni referenti sembra che una strategia venga preferita alle altre e in questi casi molte lingue dei
segni sembrano adottare una stessa strategia rappresentativa (forbice). Si può quindi affermare che
l’iconicità è legata alla rappresentazione contestuale su base sensomotoria ma deve tenere conto di un
dato sistema di norme linguistiche e culturali. In tutte le lingue dei segni sono state identificate, oltre alle
unità lessicali anche espressioni referenziali complesse con tratti fortemente iconici e simultanei (il
cosiddetto lessico produttivo). Queste forme produttive, portatrici di significato, sono state raggruppate in
2 classi:

- Le forme espressive: prevalentemente non manuali attraverso cui il segnante sembra assumere il
ruolo del referente di cui sta parlando o di cui riporta gli enunciati (impersonamento)
- Le forme manuali: veicolano informazioni su caratteristiche percettive salienti dei referenti
simbolizzati come forma, grandezza relativa e disposizione nello spazio (classificatore)

Queste produzioni sono state chiamate con molti nomib diversi

- Enactment (impersonamento)
- Indicatori corporei
- Azione riprodotta
- Proforme
- Segni illustrativi
- Illustrazioni iconiche

Queste unità segniche sono state descritte e formalizzate in modo diverso nel quadro teorico-metodologico
proposto da Cuxac sulla base di studi condotti sulla lingua dei segni francese e successivamente confermato
e applicato alla LIS da studi condotti da Elena Pizzuto e collaboratori. Secondo la ricercatrice italiana, queste
unità sono composte da elementi manuali e non manuali che globalmente mostrano tratti fortemente
iconici e una strutturazione multilineare dell’informazione linguistica che non ha equivalenti nelle lingue
vocali. Con il termine ‘multilinearità’, la ricercatrice voleva sottolineare l’aspetto della simultaneità, ovvero
il fatto che nella stessa unità di tempo possano entrare in gioco più articolatori, ciascuno dei quali veicola
un’informazione specifica e rilevante per l’elaborazione del messaggio linguistico. Nel modello adottato da
Cuxac e Pizzuto, queste unità sono caratterizzate come Strutture di Grande Iconocità, poi ulteriormente
specificate come:

- Trasferimenti di persona
- Situazione
- Forma

Ci sarebbero dunque nelle lingue dei segni 2 modi per significare

1) Una intenzione illustrativa (dire e mostrare usando SGI)


2) Una intenzione non illustrativa (dire senza mostrare usando il lessico standard e segni di
indicazione)

La direzione dello sguardo, secondo questo modello, distinguerebbe le due diverse intenzioni semiotiche e,
di conseguenza, i segni standard dalle strutture di grande iconicità. Nel primo caso, lo sguardo del segnante
è diretto verso l’interlocutore, nel secondo, sulle mani.

Le unità di trasferimento sono sempre in continuità con le unità lessicali e la loro formazione e il loro uso
seguono veicoli linguistici, semantici e pragmatici ben precisi. Sono strategie rappresentative attraverso cui
il segnante può illustrare o specificare in maniera più dettagliata quello che sta segnando. Attraverso le
unità di trasferimento, il segnante può:

- Assumere il ruolo del referente di cui sta parlando


- Descrivere come sono posizionati gli oggetti animati o non animati nello spazio.
- Specificare la forma del referente

La possibilità di ricorrere a queste strategie di rappresentazione, rende le lingue dei segni estremamente
produttive e creative allo stesso tempo.
L’assenza di un sistema di scrittura condiviso, fa sì che gli strumenti di consultazione normalmente
impiegati per le lingue verbali siano meno diffusi e di più difficile fruizione per le lingue dei segni e che, per
la stessa ragione, la LIS per ricostruire le sue etimologie non possa contare su fonti scritte. La lingua dei
segni vive e si evolve come ogni altro sistema linguistico, ma la ricostruzione del suo percorso è legata alla
memoria storica della sua comunità e per questa ragione il processo di variabilità nel tempo ha ritmi
diversi.

CAPITOLO 2 – LA COMUNITà

1. COSA SI INTENDE PER COMUNITà SEGNANTI E CHI SONO I SUOI MEMBRI

Il concetto di comunità è associato a un luogo specifico, a una o più lingue, e a un modo di vedere il mondo
attraverso queste lingue che determina una relazione di identità tra coloro che la costituiscono. Ma le
comunità segnanti non hanno una collocazione geografica ben precisa, ma si costituiscono intorno alla loro
condizione di sordità e riconoscono nella lingua dei segni la propria lingua naturale. Esistono 2 modi di
vivere la sordità che si contrappongono e che danno luogo a situazioni identitarie, linguistiche e sociali
diverse.

1) Condizione di sordità come deficit che avvia percorsi di cura


2) Come status che struttura la comunità.

Nel primo caso, gli sforzi educativi si concentrano sulla lingua vocale escludendo la lingua dei segni. Nel
secondo, si promuove un’educazione bilingue.
All’interno della comunità si utilizza la denominazione unica ‘sordo’ per designare una condizione sociale di
appartenenza, un’identità linguistica, uno spazio positivo. Fuori dalla comunità, la tradizione medica
classifica i sordi sulla bade della perdita uditiva (utilizzando denominazioni come ‘’audioleso’’ o
‘’ipoacusico’’), dell’origine (prelinguistica o postlinguistica ) e dei residui uditivi (sordità profonda/ grave
/lieve).

Ciò che struttura una comunità segnante non è soltanto la sordità, ma il modo di viverla all’interno e
all’esterno della comunità stessa. A partire dal Congresso di Milano nel 1880 che abolì l’uso dei segni in
molti istituti speciali in Italia, oltre alle persone sorde, conoscevano la lingua dei segni soltanto alcuni udenti
familiari dei sordi, pochi educatori religiosi e laici disposti sempre di meno a usarla in aula negli istituti
scolastici speciali per sordi. Dopo la 2GM, la composizione della comunità segnante è cambiata grazie al
mutamento della percezione della lingua dei segni. Oggi, quando parliamo di comunità sorda, non facciamo
riferimento soltanto alle persone sorde, ma anche a quelle persone udenti che sono state esposte alla
lingua dei segni in età precoce perché hanno familiari sordi e agli adulti udenti che hanno frequentato i
corsi di LIS, alcuni dei quali sono poi divenuti professionisti. Nonostante ciò, nei paesi occidentali, a causa
della bassa percentuale di sordi, la maggioranza udente generalmente non conosce la lingua dei segni.
Soltanto in quelle comunità dove i sordi non costituiscono una minoranza e tutti gli utenti imparano anche
la lingua dei segni come una qualsiasi altra lingua, la sordità si associa a una condizione socioculturale
diversa e acquista valore di un normale aggettivo. Esistono diversi casi di comunità segnanti integrate,
come la comunità del villaggio maya nello Yucatec in Messico o la comunità dei beduini Al Sayyid in Israele,
nelle quali la forte presenza di membri sordi ha annullato la contrapposizione sordo/udente.
Nella nostra realtà, abbiamo la possibilità di utilizzare 2 denominazioni:

- Comunità sorda: per riferirci alla comunità di segnanti sordi e udenti con la concezione che senza i
sordi si assisterebbe all’estinzione di questa comunità.
- Comunità segnante: per marcare la presenza degli utenti in questa comunità.

La scelta dell’uno o dell’altro termine è quindi molto legata a una scelta sociopolitica, dal momento che
nell’ultimo decennio il riconoscimento della LIS in Italia è stato ostacolato dal timore di una possibile
ghettizzazione. All’interno della comunità italiana è possibile individuare diverse sfumature secondo

- come viene acquisita/appresa la lingua dei segni, se all’interno della propria famiglia, dai pari o in
corsi formali.
- Come viene vissuta la sordità, se direttamente, come persona sorda o indirettamente come
familiare udente.

Questi aspetti danno luogo a una certa variabilità all’interno della comunità, poiché nonostante i membri
sia sordi che udenti condividano la lingua dei segni, non la acquisiscono/ apprendono negli stessi tempi,
non la percepiscono né la usano allo stesso modo. Per questa ragione, possono vivere la sordità in modo
differente sulla base del tipo di esposizione, educazione, del tipo di lavoro e della natura dei contatti con la
comunità di maggioranza.

Un tratto culturale importante che segnala l’appartenenza alla comunità segnante è il nome di persona che
viene solitamente assegnato o legittimato dai membri della comunità. Il sistema dei nomi propri e della
toponomastica definisce individui e luoghi secondo strategie interpretative socioculturali proprie della
comunità segnante e tipiche della LIS. Ogni segnante, viene infatti designato e riconosciuto da un ‘’segno
nome’’ che generalmente viene assegnato dalla famiglia o dalla comunità.
I nomi di persona o di luogo in segni possono avere origini diverse :

PERSONA LUOGO
Iniziali Rappresentare un monumento
Traduzione del cognome Dettaglio di un monumento
Associati a un nome Simbolo della città
Particolarità fisica Produzione tipica del posto
Abilità di una persona Iniziale
Caratteristica della personalità
Luogo di provenienza geografica
Il mestiere

Le persone sorde vivono una continua battaglia per affermare il proprio diritto dell’autodeterminazione nei
confronti della maggioranza udente, che ha il potere di decidere cosa è giusto e meglio per loro. Questo
tipo di atteggiamento è stato definito audism. Tale concetto è stato coniato per includere tutte le
esperienze di discriminazione che sono vissute sulla base dell’essere sordi. Tra i tanti comportamenti di
audism, vi sono casi di assistenzialismo che mantengono una condizione di disabilità e si basano
sull’assunto implicito che gli udenti siano cognitivamente e linguisticamente superiori ai sordi. In risposta ad
atteggiamenti di audim, Paddy Ladd, un ricercatore sordo britannico, ha coniato la nozione di deafhood, per
sottolineare l’identità linguistico-culturale delle persone sorde promuovendo consapevolezza e definendo
percorsi di autodeterminazione.

2. STORIA DELLA COMUNITà SORDA IN ITALIA

La storia della comunità è caratterizzata da una parte -dagli atteggiamenti che le istituzioni e la maggioranza
udente hanno assunto nei confronti della sordità e dei temi legati all’educazione e, dall’altra, --dal ruolo e
dal contributo dei sordi. Come in altri paesi, la storia dei sordi in Italia coincide con la storia delle istituzioni
educative che, sorte verso la fine del ‘700, rendono possibile il crearsi di comunità più stabili. Prima di
allora, abbiamo scarse notizie storiche sui singoli personaggi, sui loro familiari o educatori. Tuttavia,
sappiamo che già a quell’epoca l’istruzione dei sordi era una necessità per le famiglie che gestivano il
potere, i cui eredi sordi dovevano imparare a parlare e soprattutto a leggere e scrivere in modo da essere
considerati giuridicamente capaci: proprio per questo motivo esistevano educatori dei sordi. È
soltanto con Tommaso Silvestri che abbiamo notizia di una vera e propria classe dove vengono radunati più
alunni sordi nella nostra penisola. Nel 1973 l’avvocato Pasquale di Pietro, allora rettore dell’università di
Roma, amico di Silvestri, finanzia un suo soggiorno a Parigi. Lo scopo era quello di imparare di persona il
metodo di insegnamento dell’abate de l’E’pèe che, ispirato dalle idee illuministe, aveva fondato a Parigi un
istituto con l’obiettivo di elevare, attraverso l’educazione la condizione di tutti i sordi e non solo di quelli
che appartenevano a una ristretta èlite sociale. L’abate francese, partendo dagli stessi segni utilizzati dai
suoi allievi, aveva elaborato un sistema di segni metodici per designare elementi grammaticali del francese
e insegnare la lingua scritta e parlata. Tommaso Silvestri, tornato a Roma raduna a casa di Di Pietro un
piccolo gruppo di bambini sordi e dalla sua opera (1785) appare che egli istruiva i suoi allievi
nell’articolazione e nella lettura labiale, ma sempre con il supporto dei segni come mezzo primario di
comunicazione. Grazie all’esperienza di Silvestri e di molti altri educatori, nella prima metà dell’800
vengono fondati in Italia numerosi istituti gestiti da ordini religiosi in grado di accogliere moltissimi allievi,
anche se l’organizzazione e i metodi erano sicuramente diversi, dal momento che dal punto di vista
territoriale, la nostra penisola era suddivisa in strati con ordinamenti differenti tra loro. Con l’unità d’Italia,
l’istituto pontificio di Roma fu dichiarato di diritto pubblico, passò sotto la giurisdizione del ministero della
Pubblica Istruzione e diventò, insieme a quello di Milano e Palermo, uno dei tre istituti statali per sordi con
il nome di Regio Istituto dei Sordomuti di Roma. Da allora la storia dei sordi si identifica con quella delle
istituzioni educative. Queste erano il luogo in cui i sordi passavano molti anni di scuola, ricevevano
un’educazione e imparavano un mestiere e dove la maggior parte di loro non avendo genitori sordi,
imparava la lingua dei segni non solo dai compagni ma anche dai maestri sordi che erano attivi negli istituti.
In quel periodo era in atto in Europa un’accesa polemica tra i sostenitori del metodo francese, detto anche
mimico-gestuale, e il metodo tedesco, detto anche orale. Quello che distingueva le due fazioni era proprio
l’uso dei segni. Entrambi i metodi puntavano a insegnare ai sordi a parlare, a leggere e a scrivere, ma nel
primo caso per raggiungere l’obiettivo si utilizzavano anche i segni, mentre nel secondo questi ultimi erano
ritenuti nocivi all’apprendimento della lingua parlata e scritta. Inizialmente, gli educatori insegnavano
scegliendo l’una o l’altra impostazione ma accadde che alcuni fra i più noti direttori udenti di istituti per
sordi, inizialmente seguaci del metodo francese, mutano le loro linee pedagogiche avvicinandosi sempre di
più a un’impostazione di tipo orale. Saranno proprio loro i promotori e gli organizzatori del Congresso
Internazionale sull’Educazione dei sordi che si tenne a Milano dal 6 all’11 settembre del 1880, durante il
quale i partecipanti (quasi tutti udenti) stabiliscono che il metodo orale puro deve essere preferito a quello
mimico per l’educazione e l’istruzione dei sordi. Le cause che in Italia hanno portato a questa chiusura nei
confronti della lingua dei segni possono essere ricondotte a questioni di varia natura:

- Motivi politici e ideologici, dal momento che a 20 anni dall’unità d’italia e con il tentativo di
unificare linguisticamente la penisola, ogni tipo di dialetto o minoranza linguistica era da reprimere.
- Ragioni pedagogiche, dal momento che l’Italia in questo settore era molto influenzata dalla scuola
tedesca permeata dall’oralismo più puro
- Cause religiose: in quanto si promuoveva la parola di Dio intesa come il verbo, laddove l’uso dei
segni sembrava troppo legato alla dimensione sensoriale e materiale.

Dopo il Congresso del 1880, i segni vengono ufficialmente banditi dagli istituti ma continuano a essere usati
fuori dalle classi e soprattutto a essere utilizzati tra i sordi adulti nella vita quotidiana, una volta lasciato
l’istituto. Questi infatti, restano spesso in contatto tra loro e cercano di aiutarsi reciprocamente per trovare
condizioni di vita e di lavoro accettabili all’interno della società udente. Per questo motivo, già negli anni
precedenti al congresso, era stata fondata nel 1874, con il supporto degli stessi educatori, una prima
società di mutuo soccorso a Milano. Oltre a essere un centro di aggregazione, questa società aveva
l’obiettivo di fornire assistenza economica e una forma di supporto ai propri associati. In tutta la prima
metà del ‘900, i sordi si battono per innalzare il livello dell’istruzione. Le materie insegnate negli istituti
italiani durante l’intero corso di studi erano le stesse che formano i programmi dell’insegnamento
elementare, ma a un livello più basso e ripartito in 4 classi per la durata complessiva di 8 anni. Tra i mestieri
più comunemente insegnati negli istituti sono riportati quelli di tipografo, rilegatore, falegname, sarto,
disegnatore, intagliatore, fabbro e calzolaio per i maschi e sarta, stiratrice, ricamatrice per le donne.
Quando tornavano in famiglia dopo il periodo dei istruzione, molti sordi avevano talvolta difficoltà a
comunicare con la famiglia di origine e ad adattarsi all’ambiente circostante per diversi motivi, ad esempio,
negli istituti si insegnava l’italiano parlato e scritto mentre nell’ambiente di origine si utilizzava ancora il
dialetto. Non è quindi un caso che molti di loro preferissero spesso rimanere nella città nella quale erano
stati educati, anche per mantenere i contatti e le amicizie consolidatesi durante gli anni di studio.
Subito dopo la 1GM, riprendono i legami tra le varie associazioni e società di mutuo soccorso e i sordi
cominciano a incontrarsi e a promuovere una serie di iniziative culturali, rivendicando miglioramenti
nell’istruzione, nel lavoro e in generale nella società. I primi convegni nazionali organizzati e diretti dai sordi
italiani – allora definiti sordomuti – hanno come obiettivi principali non solo l’estensione legale dell’obbligo
scolastico per tutti i sordi ma anche la riforma dell’art. 340 del Codice Civile, in modo da ottenere l’esercizio
dei diritti civili e sociali dai quali erano ancora esclusi. Nel 1932, queste associazioni, in parte religiose in
parte laiche, si unificarono in un’unica associazione denominata Ente Nazionale Sordomuti (oggi
ENS(sordi)). Questi circoli e associazioni di ex alunni rappresentavano dei centri di riferimento e di
aggregazione dove venivano organizzate varie attività sportive, turistiche, teatrali…
L’avvento della Repubblica nel 1948 non apportò cambiamenti immediati ma tra ilo ’49 e il ’53 nascono le
prime scuole speciali e le classi cosiddette ‘differenziali’, che aumentano negli anni successivi. Solo nel 46
grazie all’impegno del sordo padovano Antonio Magarotto e altri nasce il primo Istituto di Studi Medi e
Superiori per Sordomuti a Padova, seguito da altri a Torino e a Roma.
La legge 517 del 1977 da la possibilità ai bambini sordi di continuare a frequentare le apposite scuole
speciali, ma anche di accedere alle classi ordinarie delle scuole elementari e medie pubbliche introducendo
la possibilità di scegliere tra scuola ordinaria e scuola speciale. La possibilità di frequentare insieme agli
studenti tutti gli ordini e tipi diversi di scuola, offre agli alunni sordi un livello di istruzione più alto e
sicuramente molte più possibilità lavorative, l’accesso all’università… ma allo stesso tempo da sì che gli
alunni sordi si sentano isolati rispetto ai compagni udenti e non capiti dai docenti che spesso non hanno mai
incontrato uno studente sordo prima. Gli interventi di natura logopedica e ortofonica, fino ad allora di
competenza delle strutture educative, spettano ora al Servizio Sanitario Nazionale, con la conseguenza che
da questo momento è prevalentemente l’ambiente medico e riabilitativo a occuparsi dell’acquisizione della
lingua parlata, della lettura labiale e del recupero uditivo da parte dei bambini sordi. Inoltre, gli istituti
speciali e circoli dove tradizionalmente la lingua dei segni era acquisita e praticata, progressivamente si
andavano svuotando e le possibilità e i contesti di utilizzo dei segni si modificavano.

3. PERCEZIONE E ATTEGGIAMENTO LINGUISTICO

Quando, verso la fine degli anni 70, la lingua dei segni divenne oggetto di studio in Italia, i sordi si
percepivano come ‘’non normali’’, ‘’portatori di una patologia’’ ed erano privi di consapevolezza della
propria lingua. Con gli utenti condividevano la convinzione che la comunicazione gestuale non possedesse
una struttura e una grammatica complessa come quelle delle lingue vocali. Era assimilata al gesto che
veniva accompagnato alla parola degli utenti, e non aveva neanche un nome: veniva chiamata ‘’mimica’’ o
‘’linguaggio dei gesti’’. Esclusa dall’educazione formale dominata da approcci oralisti, la lingua dei segni
veniva utilizzata solo in contesti familiari e informali. La lingua dei segni era considerata quasi un vizio e per
questo la si riteneva poco adeguata a contesti ufficiali o educativi, dove invece veniva utilizzato l’italiano
segnato: si parlava e contemporaneamente si utilizzavano i gesti ma seguendo la struttura dell’italiano
parlato. In ogni caso, quando comunicavano con gli udenti, i sordi accompagnavano il segnato con la voce
indipendentemente dalla competenza nella lingua dei segni della persona udente. Inoltre, per occupare una
posizione di prestigio all’interno delle strutture associative dei sordi era necessario saper parlare ‘bene’. Di
conseguenza, le persone sorde non avevano un reale e completo accesso agli eventi ufficiali e alle
manifestazioni pubbliche organizzate dalle stesse organizzazioni dei sordi.
La percezione e l’atteggiamento nei confronti della lingua dei segni sono cambiati nel corso degli ultimi 40
anni sia da parte della comunità segnante sia da parte della maggioranza udente, grazie al contributo della
ricerca sulla lingua dei segni. La totale assenza di consapevolezza linguistica, aveva una serie di
conseguenze importanti sul piano linguistico e identitario. Era convinzione dominante che le lingue dei
segni avrebbero interferito negativamente con l’apprendimento delle lingue vocali. L’esistenza stessa e
l’uso della lds come codice autonomo tendevano a essere negati o minimizzati non solo dalle scuole o dagli
istituti speciali che si dichiaravano ufficialmente oralisti, ma persino dai sordi stessi. È evidente, dunque,
che in questa fase la lds era percepita dagli utenti come necessaria ma priva di valore sociale e linguistico.
L’emergere della consapevolezza linguistica, fu fondante rispetto all’identità socioculturale della comunità
e, quindi, all’autorappresentazione e al riconoscimento della legittimità dei propri bisogni. Si trattava di un
vero e proprio ripensamento della scala dei valori: se prima la difficoltà di partecipazione alla vita sociale
della maggioranza udente era percepita come conseguenza di una scarsa padronanza della lingua italiana,
successivamente questa difficoltà fu attribuita alla mancanza o inadeguatezza del servizio di interpretariato,
o dei sottotitoli, o all’inesistenza di progetti per un’educazione bilingue fin dall’infanzia per i bambini sordi.
L’adozione di questa nuova prospettiva, segna il passaggio da un modello paternalistico assistenziale (dove
erano gli udenti ad occuparsi dei sordi) a un modello orientato a garantire l’empowerment
(l’autodeterminazione) della persona.
La scoperta che la propria lingua è un codice autonomo ha dato impulso a una vera e propria attività di
riflessione metalinguistica e a un ripensamento della propria identità in termini positivi, cioè di alterità
linguistica e culturale. Per quanto riguarda la maggioranza udente, si comincia a sviluppare la
consapevolezza dell’esistenza della lds. Fino a quel momento, infatti, le persone sorde erano cresciute
provando vergogna a esprimersi in segni, soprattutto in pubblico, nella convinzione che non fossero in
grado di esprimere i concetti quanto l’italiano e soprattutto non avessero pari prestigio. Oggi la LIS è usata
in diversi contesti comunicativi formali e informali. I sordi possono accedere a conferenze, congressi,
incontri di ogni genere e possono utilizzare il servizio di interpretariato in qualsiasi situazione. Per la prima
volta nella storia dei sordi, la lds assume uno status pubblico sociale riconosciuto. I sordi hanno cominciato
a riflettere sulle regole di funzionamento della propria lingua e a codificare una grammatica. In passato, non
c’era stata questa necessita proprio perché questa forma di comunicazione non era neanche considerata
una lingua. Tuttavia, è importante riconoscere che l’emergere della consapevolezza linguistica non ha
coinvolto i membri della comunità allo stesso modo: qualsiasi comunità è eterogenea, vi possono essere
atteggiamenti linguistici e percezioni della propria sordità differenti. Rispetto al passato, però, la comunità
segnante è più aperta e tende ad accogliere nuovi udenti che imparano la lds o i sordi che da piccoli hanno
eseguito un percorso educativo esclusivamente oralista e che si sono avvicinati nell’adolescenza o età
adulta alla LIS. In questo modo, la lds non è più solo dei sordi.

4. I MEDIA, I SERVIZI E LE NUOVE TECNOLOGIE

I media, i servizi e le nuove tecnologie stanno contribuendo in modo differente ma importante


all’accessibilità della LIS. Intorno alla fine degli anni 80, compaiono in Italia il servizio televideo e i primi
sottotitoli di film. Sono oggi trascorsi più di 30 anni dalla loro comparsa ma i sottotitoli continuano a coprire
meno della metà dell’offerta giornaliera sui canali nazionali e l’offerta più consistente proviene da canali
privati o piattaforme online. Alla fine degli anni 80, a partire dalla diffusione del FAX e del DTS (dispositivo
telefonico per sordi, un apparecchio collegato alla linea telefonica che consentiva di comunicare scrivendo
messaggi ad apparecchi analoghi), i sordi hanno potuto utilizzare linee telefoniche, prima loro precluse
senza intervento di una persona udente. La diffusione del telefono cellulare, con la possibilità di usare SMS,
ha contribuito in maniera sostanziale all’autonomia delle persone sorde e a un allargamento delle relazioni.
Inoltre gli smartphone permettono loro di effettuare videochiamate e di registrare messaggi video senza
dover fare ricorso a servizi ulteriori o a terze persone.
Anche sul piano educativo, l’introduzione delle nuove tecnologie ha reso possibili grandi innovazioni e
cambiamenti: attraverso i videodischi interattivi, i sordi potevano ampliare le loro conoscenze attraverso la
modalità visiva con testi scritti in italiano e spiegazioni in LIS o videodocumentari e chiarimenti grafici. Si
trattava di un primo supporto tecnologico al modello di educazione bilingue che prevedeva l’esposizione
simultanea all’italiano e alla LIS.
Infine, è importante sottolineare il ruolo delle tecnologie digitali nella strutturazione e nel mantenimento
delle relazioni sociali. Tra i media digitali, bisogna citare primariamente i social network, siti web o
applicazioni basati sulla costruzione e sul mantenimento di legami sociali. Possiamo distinguere 2 modalità
di socializzazione: diretta e indiretta, secondo il tipo di interazione.

- Da una parte, una piattaforma come Youtube consente ai segnanti di inserire video di natura
differente per informare , divertire o semplicemente esibirsi.
- Dall’altra, una modalità di socializzazione diretta che ha consentito di andare oltre le barriere
geografiche permettendo agli utenti di partecipare a una rete sociale basate sulla condivisione di
esperienze di vario tipo. (fb)

Va ricordato che gli spazi fisici in cui solitamente si riunivano i sordi erano quelli dei circoli spesso legati alle
varie sezioni dell’ENS o di altre associazioni oppure gli istituti scolastici. Le nuove tecnologie hanno
inaugurato nuovi spazi d’incontro . i membri della comunità hanno dunque la possibilità di comunicare
segnando tramite le videochat o di partecipare a vari forum inviando la propria opinione via video.
5. LE ESPRESSIONI ARTISTICHE DELLA COMUNITà

Per quanto riguarda le arti figurative, si distinguono all’interno della comunità, sordi che hanno intrapreso
uno specifico percorso professionale nell’ambito delle arti figurative e sordi che non hanno una formazione
specifica ma che sentono il bisogno di esprimersi attraverso l’arte. Oltre ai soggetti classici dell’arte, alcune
tematiche intraprese dagli artisti sordi sono legate alla sordità, alla propria quotidianità, alla vita intesa
come partecipazione e lotta. Spesso vengono affrontate tematiche politiche legate soprattutto alla
rivendicazione dei diritti. L’artista francese Arnaud Balard, ha creato una bandiera raffigurante una mano
con 3 colori (turchese, giallo e blu) per rappresentare una qualsiasi lds del mondo. Questa bandiera è stata
portata in marcia da Parigi fino a Milano nel 2013 per rivendicare il riconoscimento delle lds nel mondo. Per
quanto riguarda il teatro, una delle prime formazioni amatoriali si costituisce a Milano nel 1957 con
l’attività della Filodrammatica silenziosa milanese successivamente chiamata Compagnia teatrale senza
parole. Le esperienze della compagnia milanese constano di commedie, alcune delle quali originali, e di
performance basate su testi classici ma riletti attraverso il filtro della cultura sorda. Ricordiamo poi la
compagnia romana Laboratorio Zero, formatasi dopo la metà degli anni 70 e che proponeva per lo più
riadattamenti in italiano segnato e poi traduzioni in LIS di opere teatrali classiche. Parallelamente all’azione
sulla scena, si eseguiva, da dietro le quinte o dalla prima fila della platea, una lettura del copione per
garantire l’accessibilità al pubblico udente non segnante. Solo in tempi più recenti abbiamo riscontrato la
nascita di un vero e proprio teatro in LIS, in cui il testo messo in scena è concepito in lds e porta con sé
elementi culturali e peculiarità linguistiche che risultano intraducibili nella lingua vocale.
Altri generi artistici come racconti, poesie e persino canzoni in lds sono sempre più numerosi sulla rete e
sono segno della nuova consapevolezza della comunità e insieme strumento per raccontarsi, promuovere la
propria identità, lottare contro l’indifferenza della maggioranza o semplicemente mostrare quello che può
dire e fare la propria lingua.
In LIS, abbiamo anche una produzione poetica, intesa come produzione spontanea o basata su traduzioni
da altre lds, oppure da altri testi letterari. Le poesie raccontano spesso l’esperienza della sordità e della
quotidianità attraverso la LIS. Non è neanche insolito trovare interpretazioni in LIS di canzoni pop fatte da
interpreti o fa sordi.
Nel corso degli ultimi anni, la produzione artistica ha conquistato una dimensione sempre più pubblica e
collettiva non solo negli spazi sociali condivisi sul web, ma anche nell’ambito di eventi o spettacoli
appositamente organizzati, per es il Festival Nazionale Teatro del Sordo che si tiene ogni 2 anni. Lunga è la
storia che lega il cinema alla sordità: va ricordato, infatti, che ai tempi del cinema muto, gli attori sordi
avevano un ruolo importante e che nel corso del tempo numerose pellicole hanno trattato il tema della
sordità e della lingua dei segni.
Anche nell’ambito documentaristico, negli ultimi anni sono stati prodotti diversi lavori che affrontano la
questione della sordità e il ruolo che la LIS ha nella vita dei sordi.

Concludendo, possiamo affermare che quello della produzione artistica della comunità segnante è un
ambito in evoluzione che mostra quanto il corpo sia centrale in una lingua visiva e quanto siano collegate
tra di loro espressioni artistiche quali la danza, la poesia, la musica e il teatro quando è il corpo il veicolo
principale di queste espressioni.
CAPITOLO 3 – LE UNITà COSTITUTIVE DELLA LIS

1. IL SISTEMA ARTICOLATORIO DELLA LIS

Un segno linguistico si compone di unità che presentano differenze sostanziali se osservate in una lingua
vocale o in una lds. Tali differenze sono principalmente dovute alla modalità, al canale comunicativo in cui
le 2 lingue sono articolate, ma anche al loro legame con il sistema della gestualità che condividono. È
evidente che l’appartato fonoarticolatorio è estremamente più circoscritto rispetto a quello interessato
nell’articolazione delle lds. Quando parliamo, infatti, i muscoli coinvolti sono sostanzialmente quelli nel
collo e nella bocca e tutto il processo avviene attraverso il movimento di pochi articolatori. Quando
segniamo, invece, i muscoli coinvolti sono numerosissimi e in parte coincidono con quelli che intervengono
nella mimica facciale e nella gestualità coverbale. Dal punto di vista articolatorio, un segno può essere
costituito solo da componenti manuali, solo da componenti corporee o da una combinazione di parametri
manuali e corporee. Il livello manuale può essere descritto sulla base di 4 parametri:

1) La configurazione
2) L’orientamento
3) Il luogo
4) Il movimento

Le quattro unità a livello corporeo sono invece:

- L’espressione facciale: sono coinvolti tutti i muscoli del volto che interessano le sopracciglia, gli
occhi, il naso, gli zigomi, l’apertura della mandibola.
- Le componenti orali: è il parametro che interessa la mandibola, le guance, le labbra, i denti e la
lingua: i gesti labiali consistono nell’articolazione di tutta o di una parte della parola. Esistono 2
diverse definizioni delle componenti orali:
1) i gesti labiali o componenti orali speciali: per designare quei movimenti della bocca che non
presentano nessuna relazione con la lingua vocale.
2) Le labializzazioni o componenti orali del parlato: per designare i movimenti della bocca
derivati dalla lingua vocale.
- I movimenti del busto: includono tutte le posizioni della testa, delle spalle e del busto: inclinazione,
torsione, avanzamento, arretramento, innalzamento delle spalle…
- La direzione dello sguardo: la traiettoria degli occhi. Mentre si segna, gli occhi possono puntare
verso le mani, l’interlocutore o lo spazio neutro (spazio vuoto davanti al segnante).

2. UNITà DI SENSO

Ciascun parametro può portare informazioni iconiche che contribuiscono a creare il significato di un segno.

- La configurazione e l’orientamento si presentano insieme e concorrono all’iconicità del segno.


Questi parametri rappresentano la forma dell’oggetto nella sua interezza oppure parzialmente.
Attraverso il parametro della configurazione è anche possibile rappresentare l’afferramento di tutto
l’oggetto (bicchiere) o di una delle sue parti (macchina). In altri casi, attraverso la dattilologia,
vengono rappresentate tutte o alcune delle lettere che compongono una parola della lingua vocale.
La configurazione può infine anche collegarsi al sistema di numerazione (settimana).

- Anche il parametro di luogo può dare informazioni di natura iconica specie quando il segno è
articolato sul corpo. In questi casi, infatti, si fa spesso riferimento a oggetti, organi o sentimenti che
sono ricondotti fisicamente o metaforicamente a quella specifica zona (orologio). Oppure il segno
può essere eseguito nello spazio davanti al segnante e avere comunque un valore iconico in quanto
replica l’azione reale (buttare). I diversi luoghi dello spazio neutro possono dare informazioni di tipo
iconico relativamente ai referenti, come ad esempio i segni che si producono nella parte alta dello
spazio neutro (sole) o nella parte bassa (tavolo). Un altro luogo di articolazione possibile è la mano
non dominante. In alcuni casi, questo luogo serve da appoggio per l’altra mano (interprete), in altri,
unitamente alla configurazione e all’orientamento, rimanda iconicamente a una possibile azione
che tipicamente riguarda il referente (grattare il formaggio).

- Il movimento è un parametro che può rimandare a un’azione o a una gestualità tipica (vigile
urbano) o anche rappresentare il movimento tipico di un fenomeno o di un oggetto. Anche il
movimento può risultare marcato, come nel caso del segno ‘scrittura’ che cambia direzione per
distinguere tra i sistemi utilizzati per le lingue alfabetiche o per le lingue orientali.

- Il parametro dell’espressione facciale, può rimandare a uno stato ‘animo o a un atteggiamento. È


però anche molto presente nei segni che esprimono un giudizio, un’opinione, una valutazione o
una qualità.

- Il parametro della componente orale può essere collegato all’italiano come nel segno di ‘volere’
(articolazione labiale tipica del suono v) o rappresentare gradazioni fisiche (la dimensione grande o
piccola di un’entità).

- I parametri della direzione dello sguardo e del movimento del busto possono fornire informazioni
sui partecipanti all’interazione o dare informazioni di tipo deittico-spaziale.

3. MECCANISMI DI SIGNIFICAZIONE

I 3 meccanismi di significazione di cui la LIS si serve sono: indicare, dire e illustrare.

L’indicare usa la modalità espressiva dell’unità deittica, il dire quella dell’unità lessicale e l’illustrare quella
dell’unità di trasferimento. Tutte queste unità, tuttavia, possono coesistere e sono talvolta difficili da
distinguere nettamente.

UD: In molte lingue dei segni quando si riferisce a persone, animali, oggetti o eventi, può essere utilizzato
un segno di indicazione manuale per posizionare simbolicamente i referenti in ‘luoghi’ dello spazio segnico
che consentono anche di richiamare o reintrodurre gli stessi referenti nel discorso. Esistono diversi tipi di
segni deittici:

- La deissi spaziale: definisce lo spazio in relazione alla posizione dei referenti.


- La deissi temporale: definisce il tempo degli eventi rispetto al momento della produzione
- La deissi testuale: richiama o mette in relazione tra loro le varie parti del discorso.

Le UL: elementi fissi che non si modificano, che vengono utilizzati per denominare.

Le UT: segni che rappresentano un oggetto o un evento in base alle caratteristiche che si vogliono mettere
in risalto, anche in relazione agli altri elementi presenti nell’enunciato. Spetto l’UL precede l’UT: ad es, se in
LIS dovrò riferirmi all’oggetto ‘cappello’, utilizzerò l’UL, se invece dovrò riferirmi all’azione che faccio con un
cappello, produrrò prima l’UL e subito dopo l’UT.

Nella LIS, esistono vincoli di natura articolatoria come quelli che impediscono di produrre segni dietro la
schiena; di natura semantico-pragmatica, dato che per rappresentare determinati oggetti o azioni da
diverse prospettive dovrò scegliere di utilizzare una strategia piuttosto che un’altra e, infine di natura
socioculturale, poiché per comprendere il senso di una metafora o di un’espressione idiomatica spesso
occorre condividere le stesse esperienze sociali e culturali.
4. STRATEGIE E PROCESSI NELLA FORMAZIONE DELLE UNITà DI SENSO

Alcune UD, sfruttano la strategia dell’impersonamento, in altre la mano rappresenta l’azione di attirare
l’attenzione sul proprio corpo o nello spazio intorno all’oggetto che rappresentano e, attraverso i parametri,
ne riprendono la forma, ne indicano il luogo o ne riproducono la funzione attraverso il movimento. Un
segno può anche essere disegnato nello spazio. Nel segno ‘io’, è fondamentale il contatto della mano con il
corpo del segnante, mentre gli altri parametri possono variare in base al contesto dell’enunciato. Il luogo di
esecuzione può modificarsi nello spazio in base al contesto dell’enunciato e può essere eseguito sia con una
sola mano che con 2. Nei segni ‘tu’ e ‘voi’ vi è coordinazione tra le mani e la direzione dello sguardo che
sono orientati entrambi nella stessa direzione, mentre questo non succede per i segni di ‘lui/lei’ che vanno
in direzioni diverse. Esistono segni per indicare il possesso, ma il loro uso è intercambiabile con quelli dei
pronomi personali. L’indicazione viene usata anche per riferirsi alle parti del corpo adottando piccole
variazioni nel movimento o nella configurazione.

Per quanto riguarda le UL, alcune rimandano visibilmente all’oggetto che rappresentano, e attraverso i vari
parametri, ne riprendono forma, collocazione spaziale e funzione adottando le diverse strategie di
rappresentazione. Un segno può essere disegnato nello spazio o sul corpo o rappresentare il modo in cui gli
esseri umani usano un oggetto. Un’UL può anche rimandare alla rappresentazione di un concetto astratto
attraverso una metafora, come per il segno ‘università’. I segni possono anche non aver nessun legame
apparente con l’oggetto che rappresentano. Quando nella società avviene un cambiamento, come ad
esempio l’ingresso di uno strumento che prima non esisteva o le persone sorde accedono a una serie di

conoscenze che in passato erano loro precluse, i segnanti iniziano a produrre nuovi segni; se ci sono più
varianti in competizione tra loro, con il tempo quelle maggiormente accettate si diffondono nella comunità
fino a stabilizzarsi. Molto spesso un singolo segno è una combinazione di 2 o più strategie rappresentative
attraverso i parametri che lo costituiscono e anzi, di solito, più strategie sono messe in campo più è
probabile che il segno abbia successo.

Le unità di trasferimento sono state tradizionalmente distinte in 3 tipi:

- Trasferimento di persona
- Trasferimento di forma
- Trasferimento di situazione

I trasferimenti di persona permettono al segnante di assumere il ruolo del referente. Per esempio, il
segnante può mostrare come una persona usa un oggetto in un modo particolare. I TP permettono al
segnante di assumere il ruolo del referente anche solo parzialmente, e integrare in simultanea un’unità
lessicale o un’unità deittica: chiamiamo questo fenomeno semi-TP (camminare portando uno zaino). Il
segnante può anche mostrare attraverso il TP come ha avuto luogo un discorso diretto e
contemporaneamente includere una serie di segni che possono a loro volta essere UD, UL o UT. (mucca
dice sì). I trasferimenti di persona permettono di rappresentare anche più referenti simultaneamente; in
questo caso si parla di doppio trasferimento.

Con i trasferimenti di situazione, si ha l’obiettivo di informare come un referente agisce in relazione con un
altro referente impiegando una o entrambe le mani. Nei segni che si producono con 2 mani il ruolo della
mano non dominante è generalmente quello di mantenere una referenza precedentemente data, mentre
l’altra mano, quella dominante contribuisce a rappresentare il processo dinamico del discorso, per esempio
uno spostamento spaziale.
Nei trasferimenti di forma, alcune configurazioni sono associate a forme e consistenze (tondo, liscio,
piccolo, grosso). Altri sono trasferimenti di taglia dove particolari articolazioni delle dita o delle mani
forniscono dettagli di referenti.

5. FORMAZIONE DEI SEGNI COMPOSTI

I segni composti sono basati sulla combinazione di più segni prodotti sequenzialmente secondo principi
diversi e logiche di economia e fluidità. Si tratta di un processo molto produttivo nella formazione dei segni
in LIS. Un segno composto può essere prodotto attraverso l’abbinamento di 2 segni che si presentano
insieme dando origine a un significato diverso rispetto al significato che avrebbero se si presentassero in
modo distinto; nella loro unione queste unità possono perdere alcune delle caratteristiche articolatorie che
avrebbero se fossero presentate isolatamente.

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