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LINGUISTICA

prof. Arosio Fabrizio

mail: fabrizio.arosio@unimib.it

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LEZIONE 1 - Introduzione

Filosofia del linguaggio


• l’insegnamento di filosofia del linguaggio ha discusso 2 questioni fondamentali:

1. qual è l’origine del linguaggio umano?

2. in che misura parlare lingue diverse conduce a ragionare e a concettualizzare il mondo in


modo diverso?

• il linguaggio si è originato come prodotto sociale/culturale.

• alla base di questa ipotesi c’è l’assunto che il linguaggio sia il prodotto delle abilità cognitive
degli uomini: come gli uomini si possono accordare tra di loro per istituire, ad esempio,
determinate forme di governo, così si accordano per utilizzare una determinata lingua.

Complessità sociale e complessità linguistica


• se il linguaggio è un prodotto sociale/culturale, allora ci potremmo aspettare che il grado di
complessità di una lingua specifica sia correlato al grado di complessità della società che la
parla (si parla di complessità a livello formale).

• non è così: popolazioni completamente isolate e con un livello di organizzazione sociale


comparabile a quello dell’età della pietra parlano lingue con complessità analoga a quella delle
lingue parlate nelle società industrializzate.

Complessità linguistica
Come si misura la «complessità» di una lingua?

• quando si parla di complessità si fa riferimento al sistema grammaticale linguistico, ovvero al


dominio grammaticale specifico del quale predichiamo la complessità.

• in una lingua, ci sono diversi sistemi grammaticali che concorrono al suo funzionamento.

- fonetica: studio degli aspetti connessi alla produzione dei foni - i suoni del linguaggio e le
loro proprietà fisiche.

- fonologia: studio del modo in cui i foni interagiscono all’interno di una lingua, come si
combinano, ecc.

- morfologia: studio della struttura/forma delle parole.

- sintassi: studio di come le parole si combinano tra loro per formare delle frasi.

- semantica: studio del significato delle parole e delle frasi.

- pragmatica: studio di come gli individui interpretano le parole e le frasi in un contesto e


come queste risultino appropriate in un contesto e non in un altro.

• le lingue possono differire in complessità in ognuno di questi domini.

• con ognuna di queste parole possiamo intendere sia una competenza linguistica (abilità), sia la
disciplina che si occupa dello studio di questa abilità.

- es: la fonetica è la disciplina che si occupa della competenza fonetica.

• il canale di trasmissione delle informazioni è tipicamente il suono: quando parliamo,


componiamo stringhe di suoni secondo regole precise che ci dicono come devono essere
articolati i suoni.

• competenza lessicale: studio del modo in cui combiniamo i suoni per formare delle parole.

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• spesso queste competenze interagiscono tra di loro.

- es: la morfologia riguarda la forma delle parole, mentre la sintassi riguarda il modo in cui le
parole devono essere combinate tra di loro all’interno di una frase (spesso la posizione che
una parola occupa all’interno di una frase determina la forma che quella parola deve avere
all’interno di una frase).

(1) Io ammiro te (2) Tu ammiri me

• io/me: entrambi indicano il parlante (chi sta pronunciando la frase).

- nella 1a frase ha forma io, mentre nella 2a ha forma me.

• te/tu: entrambi indicano l’ascoltatore.

- nella 1a frase ha forma te, mentre nella 2a ha forma tu.

• queste forme diverse sono determinate dalla funzione sintattica differente che ha il pronome
nelle due frasi:

- in (1) io/tu è il soggetto della frase (la forma morfologica che assume è chiamata nominativo).

- in (2) me/te è l’oggetto del verbo (la forma morfologica che assume è chiamata accusativo).

• ci sono lingue (latino, tedesco, ecc.) in cui queste differenze morfologiche sono visibili non solo
nei pronomi, ma anche nei costituenti nominali (es: gli articoli).

• si ritiene che le lingue, a livello generale (prese nella loro interezza), condividano uno stesso
grado di complessità. Esse possono avere gradi di complessità differenti nei diversi domini.

- es: lingue che sono più complesse da un punto di vista morfologico, sono meno complesse
da un punto di vista sintattico (e viceversa).

• se ci fossero lingue più complesse di altre:

1. ci aspetteremmo che queste lingue abbiano dei processi di acquisizione più lenti (non è
così perché tutti i bambini, in tutte le lingue e società, arrivano a padroneggiare
completamente la loro lingua madre all’età di 4/5 anni).

2. ci aspetteremmo che queste lingue siano in grado di trasmettere contenuti più ricchi (se
fosse così dovremmo trovare popolazioni in cui le persone hanno concetti semplici/poveri e
altre in cui hanno concetti più articolati, ma non sono state trovate popolazioni con sistemi
concettuali più poveri relativamente al fatto che hanno organizzazioni sociali rudimentali).

es: secondo Everett il Pirahã non permette di parlare di determinate questioni e questa
impossibilità dà luogo ad alcune proprietà che dovrebbe avere quella lingua (non è così).
L’organizzazione socioculturale di questa popolazione, infatti, non impone dei vincoli
sull’organizzazione e sulle proprietà della lingua (l’ipotesi discussa da Everett non ha

fondamenti empirici).

3. ci aspetteremmo che a lingue diverse corrispondano modi di pensare diversi (non è così).

• le lingue si differenziano tra di loro a livello lessicale:

- ci sono lingue che vengono usate prevalentemente in contesti informali, come i dialetti (per
comunicare in famiglia o tra amici)

- ci sono lingue che sono usate prevalentemente in contesti ufficiali (hanno un lessico più
specialistico). le lingue formali, prima di diventare tali, erano dei dialetti.

• se non abbiamo una parola per esprimere un concetto nella nostra lingua:

1. la prenderemo in prestito da un’altra lingua (importare parole da un’altra lingua),

2. utilizzeremo regole di composizione per creare parole nuove a partire da parole esistenti
che fanno già parte del nostro lessico.

• i processi di composizione sono molto produttivi nelle lingue germaniche (inglese, tedesco).

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Morfologia
• la morfologia riguarda la forma delle lessico.

• l’idea è che le parole possano essere scomposte in unità più piccole, i morfemi, che sono le
unità minime dotate di significato.

- es: la parola inesprimibile è composta da diversi morfemi.

• non tutte le parole sono scomponibili.

- es: bar, coca cola, non

Linguaggio come organo?


• posizione alternativa alla posizione che sostiene che il linguaggio sia un prodotto socioculturale.

• posizione che considera il linguaggio come un organo umano, determinato dal corredo
genetico.

• se il linguaggio è simile a una funzione organica, allora ci aspettiamo che:

1. abbia delle caratteristiche tipiche di altre funzioni organiche, come l’iniziare a camminare,
o il tessere la tela per un ragno.

2. abbia una componente innata e non derivi solo e unicamente dall’esperienza.

3. questa facoltà sia comparsa «a un certo punto» nella storia evolutiva dell’homo sapiens.

• se assumiamo questa ipotesi, allora tutti gli individui condividono la stessa lingua: l’effettiva
diversità tra le lingue deve essere spiegata.

• tre caratteristiche distintive più importanti del linguaggio a favore di questa ipotesi (linguaggio
come organo):

1. discretezza

2. gerarchia

3. ricorsione

• i parlanti combinano un certo numero finito di suoni discreti per formare parole (anche queste
sono entità discrete).

• combiniamo le parole in modo creativo per costruire un numero potenzialmente infinito di


enunciati e lo facciamo attraverso delle regole di combinazione che sono ricorsive e che
generano delle strutture gerarchiche.

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LEZIONE 2

• in una lingua il canale di trasmissione delle informazioni è il suono (abilità fonetica).

• siamo anche in grado di:

- rappresentare mentalmente questi suoni e caratterizzare la funzione che hanno nella nostra
lingua.

- legare questi suoni attraverso regole per creare parole (le parole codificano le informazioni, i
suoni no).

• competenza fonologica: possiamo processare sequenze complesse di suoni linguistici.

Il suono
• in una lingua il canale di trasmissione delle informazioni è il suono.

• quando il linguaggio non ha a disposizione il canale uditivo utilizza altri canali, come quello
visivo-gestuale, proprio delle lingue dei segni (parlate dai sordi).

• fisicamente, il suono consiste in una serie di cambiamenti di pressione di un mezzo di


propagazione che è situato tra la fonte del suono e l’ascoltatore.

- un mezzo di propagazione può ad esempio essere l’aria.

• il suono necessita di un mezzo fisico (acqua, aria, metallo, ecc.) per poter essere trasmesso;
non può viaggiare nel vuoto.

• la vibrazione si trasmette nel mezzo di trasmissione e arriva agli organi percettivi


dell’ascoltatore, che recepiscono la perturbazione.

• trasmissione del movimento ondulatorio: la perturbazione si propaga attraverso il movimento


delle molecole d’aria che, urtando l’una contro l’altra, trasmettono la vibrazione e ritornano alla
loro posizione iniziale (vedi figura).

- quando un oggetto vibra trasmette tali vibrazioni alle particelle del mezzo ad esso adiacenti.

- ciascuna particella del mezzo situata nei pressi della fonte viene “spostata” dalla sua
posizione di equilibrio e fatta muovere. A sua volta, questa trasmetterà l’energia alle
particelle ad essa vicine permettendo così la diffusione del suono.

- le particelle del mezzo non si muovono in avanti da sole: la propagazione del suono, infatti,
può essere descritta con un moto ondulatorio dato, per l’appunto, dall’onda acustica.

istante t1

istante t2

istante t3

istante t4

• il suono si muove con un movimento simile a quello delle onde (onda sonora).

• il suono è un’onda elastica che:

- ha bisogno di un mezzo per propagarsi

- si propaga longitudinalmente attraverso un mezzo fisico



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oscillogramma: rappresenta la variazione di pressione nel tempo.

• quando un oggetto vibra spinge e comprime l’aria (il mezzo) ad esso adiacente.

• la zona compressa inizia ad allontanarsi dalla fonte; quando quest’ultima si “allenta” e torna al
suo stato di equilibrio viene creata un’area di bassa pressione definita di rarefazione.

• questo movimento alternato si ripete molte volte, generando nell’aria diverse aree di
compressione e di rarefazione.

• l’alternarsi di tali aree permette all’onda sonora di propagarsi attraverso il mezzo.

• le zone di alta pressione o di bassa pressione presenti nel mezzo fanno riferimento alla densità
di particelle presenti in un determinato volume (più ce ne sono, più la pressione sarà elevata).

• la propagazione del suono avviene tramite la variazione di pressione all’interno del mezzo
stesso.

Proprietà fisiche del suono

periodo (T) intensità (I)


• è l’intervallo di tempo necessario per • è la grandezza che permette di distinguere i
compiere una vibrazione completa.
suoni deboli da quelli forti.

• si misura in secondi (s) o millisecondi (ms).


• si misura in decibel.

frequenza (f) ampiezza


• è il numero di vibrazioni complete che • rappresenta lo spostamento massimo delle
avvengono in un secondo.
molecole d’aria che oscillano intorno alla
• si misura in hertz (Hz).
posizione di equilibrio al passaggio della
• determina la distinzione in
perturbazione acustica.

- suoni acuti (frequenze più elevate)


• all’aumentare di questo spostamento
- suoni gravi (frequenze più basse)
aumenta la forza con cui le molecole
• intervallo di frequenze udibili dall’uomo: colpiscono la membrana timpanica e,
20-20000 Hz (spesso <16000 Hz)
quindi, l’intensità del suono che percepiamo.

lunghezza d’onda (λ) velocità


• è la distanza tra due creste o fra due ventri • il suono si propaga a diverse velocità a
di un’onda.
seconda del mezzo in cui si muove.

• si misura in metri (m).
 - nell’aria: 340 m/s

- nell’acqua: 1500 m/s

- nell’acciaio: 5000 m/s

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Fonetica e fonologia
• suoni linguistici: la sorgente del suono è nel tratto vocale.

• quando produciamo un suono, l’aria che sta nei polmoni passa dalla trachea e risale verso le
corde vocali (pliche vocali), che si mettono in movimento.

• successivamente, l’aria scavalca l’epiglottide ed entra nella faringe e fuoriesce dalla cavità
orale (bocca) o nasale (narici).

apparato fonatorio

• il palato:

- divide la cavità orale da quella nasale

- la sua parte terminale, nota come palato molle o velum, si alza e abbassa mentre parliamo.

quando è alzato, l’aria non può accedere alla quando è abbassato, l’aria può defluire sia
cavità nasale.
nella cavità nasale che in quella orale.


fonetica
• studia le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici.

• si distingue in:

1. fonetica articolatoria: studia il modo in cui sono prodotti i suoni linguistici.

2. fonetica acustica: studia le proprietà fisiche dei suoni linguistici.

3. fonetica percettiva: studia come sono percepiti i suoni del linguaggio.

fonologia
• studia:

- la rappresentazione mentale dei suoni linguistici,

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- le conoscenze sistematiche che “dicono” al parlante come fondere tali suoni e pronunciare
una parola (contesto),

- la struttura e le proprietà delle sequenze di suoni linguistici,

- quali sequenze di suoni sono ammissibili in italiano.

fonetica e fonologia
• per poter parlare dobbiamo sapere articolare i suoni della nostra lingua.

• per saper comprendere ciò che ci viene detto dobbiamo saper riconoscere tali suoni e saperli
interpretare.

• i suoni della nostra lingua sono percepiti in un ambiente ricco di altri segnali acustici e si
susseguono in un flusso ininterrotto (tra le parole di un enunciato non ci sono pause).

• sapere come i suoni vengono prodotti guida il processo del loro riconoscimento.

• un suono non ha un proprio significato ma determina il significato di una parola quando esso è
distintivo.

• coppie minime: coppie di elementi (due parole) che differiscono minimalmente tra loro.

• allofoni: fenomeno fonologico, sono suoni che non hanno funzione distintiva.

es coppie minime: pino - fino - tino

• queste tre stringhe di suoni hanno tre significati diversi e si distinguono per il segmento iniziale.

• si dice che i suoni p/f/t hanno funzione distintiva, cioè distinguono tra diversi significati.

• le parole pino e fino formano una coppia minima (come tino e pino, fino e tino, male e mare…)

es. suoni allofoni: in casa; in tana

• questi suoni non hanno funzione distintiva.

• si tratta di un suono nasale; prende alcune caratteristiche del suono che segue.

es. suoni allofoni: in casa [k]; la casa [h]

• in fiorentino, quando il suono c occorre tra due vocali, deve essere spirantizzato.

• sono due suoni diversi a livello fisico, ma non hanno una funzione distintiva.

• per i fiorentini, queste due parole non sono differenti (hanno lo stesso significato).

• inventario fonologico di una lingua:

- insieme dei suoni che hanno funzione distintiva in quella lingua.

- in italiano sono 30 i suoni che hanno funzione distintiva.

• la rappresentazione mentale di tali suoni è parte della competenza fonologica del parlante.

• foni: realizzazione concreta di qualsiasi suono del linguaggio; sono rappresentati tra parentesi
quadre.

- es: [f] [o] [n] [o]

• fonemi: sono suoni che hanno funzione distintiva (segmenti sonori distintivi) e vengono
rappresentati tra due sbarre.

- es: /f/ /o/ /n/ /e/ /m/ /a/

Apparato fonatorio
possiamo classificare un suono linguistico considerando come viene prodotto:
sordo sonoro
• l’aria passa attraverso la glottide senza far • le corde vocali, per azione meccanica
vibrare le corde vocali. dell’aria in uscita, entrano in vibrazione.

• consonanti sorde: [p], [t], [k]


• vocali e consonanti sonore: [b], [d], [g]

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orale
nasale
• il velum si solleva chiudendo la cavità • il velum è abbassato e l’aria penetra anche
nasale e l’aria esce dalla bocca ([d] e [b]).
nella cavità nasale ([n] e [m]).


• la glottide è lo spazio vuoto della laringe compreso tra le due corde vocali.

• le corde vocali sono due membrane carnose che possono assumere due posizioni:

- in posizione aperta, quando l'aria vi passa attraverso, esse non vibrano ed i suoni prodotti
con le corde vocali in questa posizione sono detti sordi.

- in posizione chiusa, invece, vibrano e i suoni così prodotti si dicono sonori.

• il corso dell’aria può essere ulteriormente modulato dagli articolatori (lingua, labbra, denti,
palato duro, ecc.)

distinzione vocali/consonanti:
vocali (a, e, i, o, u) consonanti (p, b, t, d, g, ...)
• sono molto sonori, prodotti modificando la • sono meno sonori delle vocali.

forma del tratto vocale che rimane più o • possono essere sonori o sordi.

meno aperto mentre il suono viene prodotto.


• sono prodotti restringendo o chiudendo una
• il flusso d’aria è relativamente libero.
parte del tratto vocale.

• le loro caratteristiche sono ottenute dalla • la maggior parte delle consonanti non può
posizione della parte anteriore, centrale e essere prodotta senza una vocale.

media della lingua.

- /i/ è anteriore, alta: l’aria fluisce nella


bocca mentre la parte anteriore della
lingua è in posizione alta.

- /u/ è posteriore.

• un modo di analizzare i suoni linguistici è quello di studiare i loro punti di articolazione.

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LEZIONE 3
• clusters consonantici: suoni che sono formati da più consonanti.

• il suono a frequenza più bassa è detto fondamentale, mentre gli altri sono detti armonici e
hanno frequenze che sono multipli della frequenza fondamentale.

• i suoni possono distinguersi per:

1. sonorità

2. punto di articolazione

3. modo di articolazione

i suoni possono distinguersi per sonorità:

suoni sordi suoni sonori


• le corde vocali non vibrano.
• le corde vocali vibrano.


i suoni possono distinguersi per punto di articolazione:

suono labiodentale suono velare


• il labbro inferiore tocca l’arcata dentale • la lingua si posiziona sul velum, la parte
superiore.
posteriore del palato molle, e ostruisce il
• es: [f] di fino
passaggio dell’aria.

• es: [k] di cara

suono bilabiale

suono alveolare
• le due labbra si toccano.

• es: [m] di mano


• la lingua si accosta agli alveoli.

• alveolo: cavità presente a livello delle ossa


suono dentale mascellari atta a contenere l'elemento
dentario, cioè il dente.

• la punta della lingua viene fatta passare tra i • es: [s] di sole

denti.

• es: [t] di tino

i suoni possono distinguersi per modo di articolazione:

suono occlusivo suono affricativo


• i due articolatori si toccano in modo da • combinazione tra il suono occlusivo e
bloccare completamente, seppure per un fricativo

istante, il flusso d‘aria per poi separarsi • consiste in una occlusione + un’apertura
istantaneamente.
fricativa

• es: pino [p], tino [t], dino [d], bara [b], gara • es: pizza [ts], zero [dz]

[g], cara [k]

suoni nasali
suono fricativo • il velum è abbassato.

• i due articolatori sono estremamente • es: mare, invidia, nave, ragno, sangue

ravvicinati e lasciano un piccolissimo


passaggio per l‘aria producendo una suoni orali
turbolenza (un “fischio”).
• il velum è alzato.

• es: favore [f], vapore [v], sapore [s], sbaglio
[z], scena [ʃ]

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le consonanti

le vocali
• durante la produzione delle vocali l’aria fluisce liberamente (le corde vocali vibrano).

• il suono è modulato dalla posizione della lingua.

• vengono presi in considerazione due parametri posizionali della lingua:

- l’altezza: alta, media, bassa

- la posizione: anteriore, centrale, posteriore

• la configurazione delle labbra concorre anche alla loro modulazione; le labbra possono essere:

- distese (i)

- arrotondate (u)

Suoni e scrittura
• i suoni del linguaggio sono eventi fisici e sono transitori, non hanno persistenza nel tempo.

• la scrittura rende le produzioni linguistiche persistenti nel tempo.

• l’invenzione della scrittura è recente:

- poco prima del 3000 aC in Mesopotamia

- 3000 aC circa in Egitto

- 1300 aC circa in Cina

- 600 aC in Messico (Maya)

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Sistemi di scrittura
• sistema logografico o ideografico: i segni corrispondono a parole (sumero, egizio, maya,
cinese, giapponese)

• sistema sillabico: i segni elementari corrispondono a sillabe (Grecia Micenea, hindi)

• sistema alfabetico: i segni corrispondono ai fonemi (semitico, greco, latino, italiano)

• le ortografie tradizionali delle lingue alfabetiche sono inadeguate per trascrivere univocamente i
suoni linguistici.

grafemi (segni) diversi sono usati per grafemi (segni) uguali sono usati per
rappresentare uno stesso suono.
rappresentare per suoni diversi.

inglese: kit, cat


inglese: cat, city, ceiling

italiano: cane, china


italiano: casa, cisa


• se vogliamo analizzare il sistema dei suoni di una lingua abbiamo bisogno di un alfabeto in cui
suoni e segni siano in corrispondenza biunivoca.

• dobbiamo avere un sistema ortografico che presenta una corrispondenza biunivoca tra un
segno e il suono che rappresenta.

alfabeto fonetico internazionale


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• b: le corde vocali vibrano.

• p: le corde vocali non vibrano.

• v: le corde vocali vibrano.

• f: le corde vocali non vibrano.

• g: le corde vocali vibrano.

• k: le corde vocali non vibrano.

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LEZIONE 4 - FONETICA ACUSTICA

• studia le proprietà fisiche dei suoni linguistici.

• i suoni linguistici vengono registrati e rappresentati graficamente al fine di studiarne le proprietà


fisiche.

vibrazioni tipiche del linguaggio umano (rappresenta la variazione della pressione dell’aria nel tempo) - la pressione
atmosferica di base è rappresentata dalla linea orizzontale
oscillogramma della parola phonetician

• f: fricativa, sorda (le corde vocali non vibrano), labiodentale

• o: vocale (il passaggio dell’aria è libero)

• t: dentale, occlusiva (il passaggio dell’aria è bloccato), sorda

• i suoni linguistici hanno onde complesse con componenti periodiche e aperiodiche.

- vocali: vibrazioni complesse con componenti periodiche (le corde vocali vibrano e il
passaggio non è ostruito).

- consonanti: se sono sonore presentano vibrazioni complesse con componenti periodiche e


aperiodiche (le corde vocali vibrano, ma il passaggio dell’aria è ostruito), se sono sorde
presentano vibrazioni complesse con componenti aperiodiche, a struttura di rumore (i suoni
sono generati dalla costrizione del passaggio dell’aria).

• la fonetica acustica:

- scompone il segnale nelle sue componenti periodiche complesse e queste in componenti


periodiche semplici.

- cerca di individuare le componenti armoniche del segnale.

• le componenti armoniche hanno frequenze multiple della componente fondamentale, che


determina il tono percepito di un suono.

- suoni vocalici: sono onde sonore complesse, con componenti periodiche.

- suoni sonori: hanno onde periodiche (armoniche e non).

- suoni sordi: hanno onde non periodiche (rumori).

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• possiamo paragonare il nostro apparato fonatorio a uno strumento musicale.

• ci sono due elementi:

1. un elemento vibrante o eccitatore, che genera la vibrazione (es: corde vocali)

2. un elemento risonante, che entra in vibrazione a causa della presenza del primo.

• l’elemento risonante rinforza alcune frequenze e ne attenua altre.

• questo processo di risonanza fa sì che i suoni si distribuiscano in formanti.

• formanti: concentrazioni di energia acustica in certe bande di frequenza.

- insieme di vibrazioni armoniche su una fascia di frequenza che sono esaltate da un processo
di risonanza del tratto vocale.

• questa concentrazione di energia in bande di frequenza nel tempo può essere rappresentata
graficamente in uno spettrogramma.

spettrogramma

• il rosso ha un’intensità alta.

• il blu ha un’intensità non alta.

• il nero ha un’intensità altissima.

• gli studiosi di fonetica acustica ricercano pattern regolari nel segnale acustico riconducibili a
fattori articolatori che abbiano rilevanza fonologica, ovvero distintiva.

• uno dei metodi più usati è quello dell’analisi spettrografica.

metodo dell’analisi spettrografica


• lo spettrogramma di un suono è un grafico in cui vengono riportate in ascissa il tempo e in
ordinata le frequenze delle componenti del suono.

• possibilità di individuare i foni che formano una parola ricercando i loro pattern acustici
ricorrenti caratteristici nell’analisi spettrografica.

• nei suoni sonori osserviamo delle concentrazioni di energia chiamate formanti.

- in ogni formante troviamo patterns caratteristici di pressioni e depressioni di energia per


ogni frequenza del segnale acustico (foni).

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suono occlusivo
• i due articolatori si toccano in modo da bloccare completamente, seppure per un istante il
flusso d‘aria per poi separarsi istantaneamente.

- es: pero, tana, bacio, dono, coro, gara

• acusticamente abbiamo un‘esplosione di energia acustica che segue un breve periodo di


silenzio.

• la firma spettrografica di un suono occlusivo è un passaggio istantaneo da poca o nulla


energia acustica ad una massa di elevata energia in una vasta gamma di frequenze.

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LEZIONE 5 - FONETICA PERCETTIVA

• fonetica percettiva:

- analizza la percezione dei suoni del linguaggio (come vengono percepiti e identificati)

- si occupa di percezione e riconoscimento del parlato

• il riconoscimento del parlato non è uguale al riconoscimento di tutti gli altri suoni.

• degli esperimenti (fine anni Sessanta) hanno dimostrato che il riconoscimento del parlato:

- è automatico

- non costa fatica

- è molto veloce

• ai partecipanti, divisi in coppie di distinzioni di suoni in sequenze, veniva chiesto di dire quanti
suoni avessero sentito.

- suoni non linguistici: distinguiamo 1,5 suoni per secondo

- suoni linguistici: distinguiamo 20 fonemi per secondo

• identifichiamo parole nel parlato dopo circa 200ms dall’inizio della loro pronuncia.

la percezione del riconoscimento del parlato è soggetta ad alcuni fenomeni:


fenomeno dell’invarianza

• le manifestazioni acustiche dei fonemi sono variabili ma tale variabilità non viene percepita
dagli ascoltatori.

- lo stesso segnale acustico non è percepito in maniera univoca.

- segnali acustici differenti sono percepiti come uguali.

fenomeno di co-articolazione

• fenomeno che si verifica durante la fonazione, per il quale ogni suono linguistico (fono) subisce
l'influenza del contesto nel quale è articolato, vale a dire dei foni che lo precedono o lo
seguono.

• i fonemi cambiano al variare del contesto.

- italiano: gina - gita (la i assume una qualità nasale quando precede una consonante nasale e
assume una qualità dentale quando precede una consonante dentale)

- inglese: sing - sit

• trasmissione in parallelo (simultaneamente) di informazioni di segmenti che non vengono


realizzati serialmente.

• vantaggi della co-articolazione:

- per il parlante: può parlare più in fretta e non deve scandire ogni fonema e non deve
prepararsi, durante la produzione del fonema, a quella del fonema successivo.

- per l’ascoltatore: ha accesso a informazioni circa l’identità di più segmenti (suoni)


simultaneamente (es: durante l’ascolto di i ha accesso a informazioni che riguardano anche il
segmento successivo).

fenomeno della percezione categoriale


• il nostro sistema percettivo riconduce il continuum dei segnali acustici a categorie discrete.

- es: /b/ e /p/ sono occlusive bilabiali

Paro Baro
• articolazione: il flusso d’aria viene completamente bloccato mediante una breve occlusione, cui
segue un rapido rilascio.

• le due consonanti differiscono per il tempo di attacco della sonorità:

- nella [b], sonora, l’aria viene rilasciata subito, tra gli 0 e 20 ms (millisecondi) dall’occlusione;

- nella [p], invece, l’intervallo è più lungo: il tempo di attacco della sonorità avviene dopo i 60
ms.

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produzione della [b] produzione della [p]


• le corde vocali iniziano a vibrare tra 0 e 20 • le corde vocali iniziano a vibrare dopo 60 ms
ms.
dalla chiusura delle labbra

• la sonorità inizia a 20ms dopo la chiusura
delle labbra

• lo stop corrisponde alla chiusura delle labbra.

• durante la fase di rilascio le labbra si aprono.

• durante l’apertura viene articolata la vocale che segue la consonante (b o p in questo caso).

quando le corde vocali iniziano a vibrare prima di 20 ms percepiamo [b].


quando le corde vocali iniziano a vibrare dopo 60 ms percepiamo [p].

• se le persone percepiscono il suono in maniera continua (come è da un punto di vista


acustico), allora ci aspetteremmo che – facendo ascoltare le sillabe [ba] e [pa] manipolando il
loro VOT ad intervalli compresi tra 20 e 60 ms, i giudizi delle persone alla domanda «che suono
hai sentito» si dovrebbero posizionare su un continuum.

- VOT (voice onset time): è il tempo di attacco della sonorità. È definito come l'intervallo di
tempo che passa tra quando una consonante occlusiva viene rilasciata e quando comincia la
sonorizzazione (cioè la vibrazione delle corde vocali).

• non è quello che succede perché abbiamo una percezione categoriale

• quando si chiede a una persona di riconoscere il suono che ha sentito, gli individui lo
categorizzano o come p o come b e concordano su questo:

- sotto la soglia dei 20ms per tutti i suono è b;

- sopra la soglia dei 20ms tutti sentono il suono come p.

• il segnale fisico acustico è continuo, mentre la sua suddivisione in categorie discrete è opera
del nostro sistema percettivo.

• questo fenomeno di percezione in categorie discrete del continuo è chiamato percezione


categoriale.

• si è ipotizzato che la percezione categoriale fosse una caratteristica unicamente umana (poiché
dipendente dal possesso del linguaggio) e che il fatto di percepire le variazioni continue dei
suoni in maniera categorica fosse imposto dalla necessità di percepire fonemi e quindi
distinguere categorie all’interno delle quali classificare i suoni linguistici.

La percezione categoriale dei suoni dipende dal possedere il linguaggio?


• sono stati condotti studi su partecipanti che non avevano avuto accesso al linguaggio:

- neonati tra 1 e 4 mesi hanno una percezione categoriale.

La percezione categoriale dei suoni è di esclusiva pertinenza dell’uomo?


• vista la presenza della percezione categoriale nei neonati, si è iniziato a ipotizzare che la
percezione categoriale fosse un’abilità percettiva innata dell’uomo che dipende dal suo
patrimonio genetico e che è fortemente associata alla presenza del linguaggio nell’uomo.

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• altri studi hanno dimostrato che la percezione categoriale dei suoni è presente anche negli
animali: nei macachi, nei passeri, nei cincillà e nei grilli.

Cosa percepiamo quando abbiamo un VOT compreso tra 20 e 60 ms?


• degli studi hanno mostrato che il contesto lessicale influenza ciò che sentiamo.

- es: se produciamo un suono occlusivo bilabiale caratterizzato da un VOT compreso tra 20 e


60 ms, prodotto in un contesto in cui quel suono è seguito dalla stringa _ipa, si sente ciò che
forma una parola, in questo caso /p/ di [pipa].

• quindi, il continuum dei suoni è percepito come una successione di unità discrete.

assenza di una relazione biunivoca tra il


suono percepito e la configurazione spettrale
• non sussiste una relazione biunivoca tra il suono percepito e la configurazione spettrale di quel
suono, quindi a una certa percezione di un suono non corrisponde una precisa
configurazione spettrale e viceversa.

- es: se prendiamo la sillaba [ka] con durata di 300ms, il suono viene percepito come /ka/.

se rappresentiamo la sillaba [ka] in uno spettrogramma (oscillogramma) e togliamo dallo

spettro la coda vocalica in modo da ottenere solo /k/, ciò che si sente è un suono

metallico (non si sente più un suono linguistico).

• alcune consonanti, quindi, devono necessariamente essere ascoltate assieme ad una vocale
per poter essere percepite come suoni vocalici.

occlusiva sorda velare k seguita dalla vocale a

riassunto fonetica percettiva


• percepiamo i suoni linguistici ignorando le variazioni legate alla loro coarticolazione.

• percepiamo i suoni categorialmente.

• durante i nostri processi di percezione siamo soggetti ad effetti dipendenti dal contesto
lessicale nel quale questi suoni vengono prodotti.

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LEZIONE 6 - FONOLOGIA

• fonologia: studia le proprietà dei segmenti acustici distintivi e la loro rappresentazione mentale.

• i segmenti che hanno funzione distintiva sono chiamati fonemi.

• due segmenti hanno funzione distintiva quando distinguono due parole con significato
differente.

es: paro - baro

• per individuare i fonemi si confrontano coppie minime di parole che hanno segmenti diversi
nella medesima posizione.

es: paro/baro; paro/pero

• un fonema non corrisponde ad una realtà fisica, ma ad una rappresentazione astratta di un


suono linguistico fisico.

• indichiamo un fonema con una lettera racchiusa tra parentesi a sbarre (slash) /p/ /b/; mentre
indiciamo i foni con parentesi quadre [p] [b].

• i foni sono una manifestazione fisica dei fonemi.

• fonologia: studia i fenomeni soprasegmentali distintivi e la loro rappresentazione mentale.

- fenomeni soprasegmentali: sono fenomeni che riguardano come suona una lingua rispetto
ad un’altra lingua.

• ad esempio, studia la lunghezza dei suoni linguistici, che può essere consonantica o vocalica.

lunghezza consonantica lunghezza vocalica
• in italiano, la lunghezza consonantica ha • in italiano, la lunghezza vocalica non ha
funzione distintiva.
funzione distintiva.

• es: papa/pappa; fato/fatto; nona/nonna 
 • in latino, invece, ha funzione distintiva.

• es: mālus (melo), mălus (malvagio)


• l’accento è distintivo in italiano.

• accento:

- è la prominenza di una certa sillaba rispetto alle sillabe adiacenti.

- la sillaba accentata viene pronunciata con maggior salienza (viene accentuata).

• es: àncora/ancòra

• questi fenomeni vengono chiamati fenomeni soprasegmentali (o sovrasegmentali) perché, per


valutare queste proprietà (lunghezza consonantica/vocalica e accento), dobbiamo prendere in
considerazione le analoghe proprietà dei segmenti adiacenti.

- es: possiamo parlare di lunghezza consonantica e dire che una consonante deve essere
realizzata come consonante lunga se prendiamo in considerazione la lunghezza dei segmenti
adiacenti. Per valutare questa proprietà, quindi, dobbiamo prendere in considerazione le
analoghe proprietà dei segmenti adiacenti.

- es: la prima p di pappa è realizzata come non lunga, cioè è realizzata con lunghezza analoga
ai segmenti adiacenti. La seconda p, invece, è realizzata come lunga perché è più lunga dei
segmenti adiacenti.

• anche l’accento è un fenomeno soprasegmentale perché prende in considerazione la salienza


di una sillaba rispetto a quella delle sillabe adiacenti.

fenomeni soprasegmentali
richiedono, per essere valutati, di prendere in considerazione proprietà di cui gode più di un
segmento.

• segmento: può indicare il singolo suono o la sillaba.

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• se una segmento possiede una certa proprietà e questa rappresenta un fattore distintivo, allora
quella proprietà deve essere una proprietà di libera applicazione.

- in italiano siamo liberi di pronunciare una consonante come lunga o corta e questa libertà ci
permette di usare la lunghezza consonantica come fattore distintivo soprasegmentale (la
stessa cosa vale per l’accento).

• fonologia: studia come i fonemi si fondono per formare parole e come si realizzano in una forma
fonetica.

- forma fonetica: rappresentazione di come le parole devono essere pronunciate.

• es: in italiano non possiamo costruire la parola inbuto, ma possiamo costruire la parola imbuto.

la sequenza nb è una sequenza non grammaticale della fonologia italiana, mentre mb è una

sequenza ammissibile.

• allo stesso modo, non esiste inpallare, ma esiste impallare.

• al contrario, possiamo dire intasare, ma non possiamo dire imtasare.

• es: in piedi — in (preposizione) + piedi (sostantivo):

quando devo pronunciare in piedi all’interno di una frase, in viene pronunciato come im.

in piedi > im piedi

• il segmento n (nasale) ha assunto il punto di articolazione del segmento che segue, in questo
caso la p (bilabiale). La m, infatti, è anche essa bilabiale. Questo non vale per tutti i segmenti
(es: dico in tasca e non im tasca).

• la fonologia si impegna a spiegare fenomeni di questo tipo.

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Fonologia: proprietà
• i fonemi sono distintivi in quanto distinguono una paralo da un’altra.

• i fonemi sono rappresentazioni mentali di foni distintivi.

• i foni (suoni) hanno un insieme di proprietà articolatorie che li distinguono tra loro.

es: paro – baro


• p: occlusivo, bilabiale, non sonoro

• b: occlusivo, bilabiale, sonoro

es: pira – pura


• i: vocale alta, anteriore

• u: vocale alta, posteriore

• possiamo ridurre i fonemi ad un insieme di proprietà primitive che sono distintive.

• queste proprietà primitive che sono distintive vengono chiamate tratti.

• due tratti binari, che possono assumere due valori (uno positivo e uno negativo), possono
essere usati per descrivere quattro oggetti.

- es: il tratto A può essere +A per descrivere l’oggetto x.

il tratto B può essere -B per descrivere l’oggetto x.

insieme di due tratti (tratto A e tratto B)


x y z h
[±A] + - + -
[±B] - + + -

• prendiamo 4 oggetti che vogliamo classificare (x, y, z, h); una certa proprietà A e una certa
proprietà B può essere utilizzata per descrivere x, y, z, h.

• questa proprietà può essere usata in modo binario, ovvero: ognuno di questi oggetti (x, y, z, h)
può essere descritto attraverso la presenza o l’assenza di quella proprietà.

• quindi, posso descrivere i 4 oggetti attraverso la presenza o l’assenza di quella proprietà.

• tratto: proprietà articolatoria primitiva che descrive un certo oggetto.

• i suoni linguistici che hanno funzione distintiva nel nostro sistema fonologico mentale sono
rappresentati come proprietà articolatorie primitive che vengono chiamate tratti.

• questo tipo di modello è molto economico perché, ad esempio, per descrivere quattro suoni
(oggetti), posso ridurli a due proprietà articolatorie e dire se quella proprietà è presente o meno
in quel suono.

• quindi, possiamo elencare i tratti (proprietà articolatorie) che distinguono i fonemi:

paro – baro paro – caro


p: occlusivo, bilabiale, non sonoro
p: occlusivo, bilabiale, non sonoro

b: occlusivo, bilabiale, sonoro


c: occlusivo, velare, non sonoro


• ogni segmento (in questo caso p, b, c) viene specificato da un insieme di proprietà articolatorie
(tratti).

• ogni segmento è individuato da un insieme o fascio di tratti.

• un fascio di tratti individua un certo segmento e lo individua in modo non ambiguo: non ci sono
due segmenti differenti che sono individuati dallo stesso fascio di tratti.

• i tratti sono una rappresentazione mentale di proprietà articolatorie.

due segmenti (suoni) sono distintivi se nel fascio di tratti che caratterizza quei due segmenti ci
sono tratti distintivi.
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• in questo caso la sonorità è un tratto distintivo perché distingue la p dalla b (anche p e c si


distinguono per un unico tratto, ovvero bilabiale/velare).

paro – baro paro – baro


p: occlusivo, bilabiale, non sonoro
p: occlusivo, bilabiale, - sonoro

b: occlusivo, bilabiale, sonoro


b: occlusivo, bilabiale, + sonoro


• i tratti sono binari, quindi possono assumere due valori predefiniti (non sono liberi di assumere
qualsiasi valore).

possiamo definire i fonemi come fasci di tratti binari.

• possiamo elencare un insieme di tratti distintivi binari e definire i fonemi come fasci di questi
tratti.

• possiamo assumere che ci sono dei tratti distintivi primitivi che esprimono proprietà
articolatorie, ad esempio:

- tratto sonoro: un suono può essere più o meno sonoro;

- tratto occlusivo: un suono può essere più o meno occlusivo;

- tratto velare: un suono può essere più o meno velare.

esempio

a /p/ /b/ /k/ /g/


[sonoro] - + - +
[occlusivo] + + + +
[velare] - - + a
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Tre importanti teorie fonologiche

1. TEORIA DEI TRATTI DISTINTIVI BINARI


di Jakobson, Fant & Halle (1952)
• questo modello viene chiamato Teoria dei tratti distintivi binari ed è stata proposto nel 1952 da
Jakobson, Fant e Halle.

• nella prima formulazione di questa teoria i tratti distinguevano caratteristiche articolatorie e


acustiche.

- caratteristiche acustiche: riguardano le proprietà fisiche di un suono e come questo viene


percepito (alto, basso, stridulo, acuto, ecc.).

• il problema è che le proprietà acustiche sono relazionali: lavorano in modo analogo ai fenomeni
soprasegmentali.

- es: si dice che un suono è acuto in relazione a un altro suono (è acuto rispetto a un suono
che non è acuto).

• essendo proprietà relazionali, per definizione non possono essere primitive.

2. TEORIA MOTORIA DELLA PERCEZIONE FONETICA


di Lieberman (1967)
• a partire dagli anni ’60 prende piede la Teoria della percezione fonetica (1967).

• secondo questa teoria, durante la percezione dei suoni l’attenzione viene spostata sulle
caratteristiche articolatorie dei suoni linguistici.

• quindi, durante l’ascolto di un suono linguistico, l’ascoltatore si rappresenta internamente i


movimenti articolatori associati alla produzione di quel suono.

l’oggetto della percezione sono i movimenti fonetici articolatori dei suoni.

• i ricercatori hanno ipotizzato che le proprietà articolatorie potessero essere prese come tratti
distintivi attraverso i quali i fonemi vengono memorizzati.

3. SOUND PATTERN OF ENGLISH

modello di Chomsky & Halle (1968)


• nel 1968 Chomsky e Halle propongono un nuovo modello: Sound Pattern of English.

• le caratteristiche relazionali vengono abbandonate in questo modello perché non sono


appropriate.

• secondo questo modello i tratti distintivi sono tratti binari, che si distinguono per caratteristiche
articolatorie, come il modo o il punto di articolazione.

secondo questo modello, un suono può essere:

+ sonoro le corde vocali vibrano


+ sonorante il passaggio è piuttosto libero
+ continuo il flusso d’aria è ininterrotto
+ laterale l’aria passa ai lati della lingua
+ nasale l’aria esce dal naso
+ arrotondato le labbra sono arrotondate
+ posteriore il corpo della lingua è arretrato
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• es: secondo questo modello il suono /f/ è -sonoro, -sonorante, +continuo, - nasale, -posteriore,
-arrotondato

• la Teoria dei tratti distintivi è alla base della fonologia e ci permette di spiegare la competenza
fonologica dei parlanti.

• le regole fonologiche sono una serie di conoscenze sistematiche che “dicono” al parlante come
pronunciare una certa parola in una certa lingua.

Esperimenti
• sono stati condotti degli esperimenti con il fine di indagare la realtà psicologica dei tratti
distintivi e quindi la realtà psicologica dei modelli linguistici.

• il primo esperimento è stato condotto nel 1955 da Miller e Nicely, quando si faceva riferimento
alla Teoria dei tratti distintivi binari, secondo la quale i tratti esprimevano sia caratteristiche
articolatorie che acustiche.

in cosa consiste l’esperimento:


• a dei soggetti vengono presentate delle sillabe formate da una consonante e da una vocale.

- es. di sillabe: /ma/, /na/, /ka/

• la produzione delle sillabe che i soggetti devono ascoltare è accompagnata da un rumore di


fondo, che rende più difficoltoso il loro riconoscimento.

• compito sperimentale: ai soggetti viene chiesto di identificare e discriminare le sillabe che


hanno sentito in presenza di un rumore di fondo.

- es. di discriminazione: i soggetti sentono le sillabe /ma/ e /na/ e devono dire se la coppia di
sillabe che hanno sentito è uguale o diversa.

• ipotesi di ricerca: il numero di tratti distintivi condiviso dai segmenti è predittivo del numero
degli errori (quanto è maggiore il numero di tratti condivisi, tanto è maggiore il numero degli
errori).

esempio:

/ma/-/na/ differenza: = 1
/ma/-/ka/ differenza: > 1
/ma/: bilabiale, nasale, sonoro
/ma/: bilabiale, nasale, sonoro

/na/: alveolare, nasale, sonoro


/ka/: velare, non nasale, sordo

queste due sillabe differiscono per un tratto queste due sillabe differiscono per un numero
articolatorio. maggiore di tratti.

• i risultati mostrarono che:


- tanto più alta l’intensità del rumore, tanti più errori commessi.

- gli errori si distribuiscono secondo la somiglianza delle sillabe in accordo alla Teoria dei
tratti distintivi.

• ad esempio, in presenza di rumore, non distinguono sequenze /ma/ - /na/, ma distinguono


sequenze /ma/ - /ka/.

- /ka/ è più distante in numero di tratti distintivi da /ma/ rispetto a /na/.

• in generale, i soggetti distinguono maggiormente sillabe che si distinguono per un maggior


numero di tratti distintivi.

• l’ipotesi sperimentale viene confermata dai risultati.

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LEZIONE 7 - FONOLOGIA

• le parole sono memorizzate nel nostro lessico mentale con informazione fonologica (cioè
informazioni che riguardano come devono essere pronunciate).

• l’effettiva produzione delle parole, però, dipende dal contesto in cui vengono prodotte.

- es: nel lessico di un fiorentino la parola /k/asa si realizza in modi differenti in base al contesto:

quando è preceduta dall’articolo “la”, il fiorentino dice la [h]asa;

quando è preceduta dalla preposizione “in”, il fiorentino dice in [k]asa.

- es: nel lessico di un fiorentino la parola [p]asta si realizza in modi differenti in base al

contesto:

quando è preceduta dall’articolo “la”, il fiorentino dice la [ɸ]asta;

quando è preceduta dalla preposizione “in”, il fiorentino dice in [p]asta.

- es: troviamo un fenomeno analogo in italiano con la preposizione in (nasale di tipo alveolare):

diciamo i[m] piedi;

diciamo i[n] nave.

• come le parole vengono pronunciate in un dato contesto, dipende e viene determinato da


regole fonologiche.

• lessico: dizionario mentale; lista di parole con un insieme di conoscenze (insieme di informazioni
linguistiche) ad esse associate.

esempio con la parola casa

casa
fonetica-ortografica ka:sa/casa
classe grammaticale nome
informazione grammaticale singolare/femminile
informazione semantica proprietà di un luogo tale che…
informazione pragmatica usato nel contesto…

• regole fonologiche: regole che determinano come una rappresentazione astratta debba
realizzarsi in una forma fonetica concreta in un dato contesto di produzione linguistica.

• tali regole descrivono i mutamenti che un segmento subisce in un dato contesto:

A -> B/C
il segmento A diviene B nel contesto C

• in fiorentino il segmento /k/ diventa [h] • in fiorentino il segmento /p/ diventa [ɸ]
quando occorre tra due vocali:
quando occorre tra due vocali:

/k/ -> [h] / v_v /p/ -> [ɸ] / v_v


• che significa: /k/ diventa [h] nel contesto • che significa: /p/ diventa [ɸ] nel contesto
intervocalico (tra due vocali).
intervocalico (tra due vocali).


• [k] e [p] sono due suoni occlusivi sordi e diventano fricativi in posizione intervocalica.

• possiamo riformulare la regola fonologica facendo riferimento ai tratti, attraverso i quali


rappresentiamo mentalmente i suoni linguistici.

• questo ci permette di descrivere una regola molto più generale che cattura sia il caso di in
[k]asa/la [h]asa che quello di in [p]asta/la [ɸ]asta.

• possiamo assumere che questi due suoni siano entrambi definiti dal tratto - continuo, cioè
occlusivo (il passaggio dell’aria viene bloccato).

- durante la produzione di un suono occlusivo blocchiamo il passaggio dell’aria.

- assumiamo quindi che ± occlusivo = ±continuo.

• in fiorentino un suono non continuo (cioè occlusivo) deve essere realizzato come un suono
continuo quando occorre in una posizione intervocalica.

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-continuo -> +continuo / v_v


• questa regola dice di sostituire il tratto - continuo con +continuo in un segmento quando
questo occorre tra due segmenti +vocalici.

• dunque, un fenomeno fonologico può riguardare suoni diversi, ma se facciamo riferimento a


tratti distintivi una sola regola può arrivare a comprendere un insieme di fenomeni fonologici
apparentemente distanti tra di loro.

• i tratti distintivi descrivono classi naturali di suoni.

• secondo questa prospettiva, possiamo individuare una classe naturale di suoni, ovvero un
insieme di suoni caratterizzati da un numero di tratti minore a quello necessario per la
caratterizzazione di ognuno di essi.

es: /k/e /p/ appartengono alla classe naturale dei suoni occlusivi, sordi (2 tratti).

/k/: occlusivo, sordo, velare (3 tratti).

/p/: occlusivo, sordo, bilabiale (3 tratti).


• i membri di una classe naturale mostrano gli stessi fenomeni fonologici.

- es: /k/e /p/ in fiorentino.

• i tratti distintivi regolano fenomeni di produzione e comprensione linguistica (in fiorentino come
in italiano).

- es: in italiano in piedi si dice i[m] piedi.

- es: in italiano in barca si dice i[m] barca.

• in questi due casi un suono alveolare (in) si trasforma in un suono bilabiale: la labialità di /p/ e /
b/ si diffonde al segmento adiacente, che è alveolare nasale.

• in realtà questo fenomeno non riguarda solo la trasformazione di questo suono.

- es: in italiano di in gola si dice i[ŋ] gola.

• in questo caso un suono alveolare (in) si trasforma in un suono velare: la velarità di /g/ si
diffonde al segmento adiacente alveolare nasale.

• altri esempi sono:

- es: in italiano tram trentotto si dice tra[n] trentotto.

• in questo caso un suono nasale bilabiale (tram) si trasforma in un suono nasale alveolare (tran).

• sia [m] che [n] sono nasali.

regola fonologica: un suono nasale che ha un certo punto di articolazione assume il punto di
articolazione della constante che segue.

nasale -> nasale[luogoα] / _consonante[luogo α]


in italiano un suono nasale deve essere realizzato come suono nasale che ha come punto di
articolazione α nel contesto nel quale quel suono precede una consonante che ha luogo di
articolazione α.

• questa regola riguarda tutti i suoni nasali.

• le regole fonologiche determinano:

- come le parole debbano realizzarsi in un contesto di produzione;

- quale forma possono avere le parole (classi di parole possibili in Italiano), e quindi quali
parole sono possibili e quali non lo sono.

• ad esempio, la regola fonologica prima descritta secondo la quale un suono nasale che ha un
certo punto di articolazione assume il punto di articolazione della constante che segue,
determina che in italiano possa esistere la parola li[n]do, ma non la parola li[m]do perché la d è
alveolare, mentre la m è nasale bilabiale.

• allo stesso modo, in italiano esiste la parola am[b]ito, al contrario della parola a[n]bito perché la
b è bilabiale, mentre la n è alveolare.

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Fonologia: elementi soprasegmentali


• la forma sonora di un una lingua (come suona una lingua) dipende:

- dalla lunghezza

- dall’intensità

- dall’altezza tonale

• con cui viene realizzato un segmento (suono singolo o sillaba).

• questi elementi possono essere distintivi e sono detti soprasegmentali perché hanno proprietà
relazionali (es: un suono può essere definito come lungo se confrontato con la lunghezza degli
altri suoni).

lunghezza di un segmento
• in italiano la lunghezza consonantica è distintiva (la lunghezza distingue parole differenti):

- es: cane/canne sono due parole differenti (la n è lunga in canne).

• nel sistema ortografico dell’italiano, l’allungamento viene rappresentato con il raddoppiamento


della consonante.

• in italiano la lunghezza vocalica non è distintiva (lo è in latino e in tailandese).

• in italiano la lunghezza vocalica ha distribuzione prevedibile: ci sono delle regole violabili che ci
dicono quando possiamo trovare o realizzare una vocale lunga in una parola.

- in italiano la vocale lunga occorre tipicamente nelle sillabe accentate non finali (cioè che non
stanno alla fine della parola) che non finiscono con una consonante.

• es: [kasa:le] / [ka:sa]

- la sillaba sa in [kasale] è accentata, non è finale e non finisce con una consonante, quindi la
vocale è lunga (viene indicato con i due punti).

- la sillaba ka in [ka:sa] è accentata, non è finale e non finisce con una consonante, quindi la
vocale è lunga (viene indicato con i due punti).

intensità di un segmento
• oltre alla lunghezza, anche l’intensità è una proprietà distintiva.

• l’intensità riguarda la forza e il volume (energia acustica) con la quale viene realizzato un certo
segmento.

• l’intensità concorre ai fenomeni di accentuazione.

altezza tonale di un segmento


• fa riferimento alla frequenza con cui viene prodotto un suono.

• riguarda la variazione relativa di frequenza fondamentale di un segmento e ha carattere


distintivo.

- frequenza fondamentale: è la frequenza più bassa con la quale un certo segmento (suono
linguistico) viene prodotto.

• le lingue tonali sono lingue in cui l’altezza tonale è distintiva, come cantonese e thai (in italiano
l’altezza tonale non è distintiva).

• le variazioni di tono possono essere ascendenti o discendenti nella produzione dei segmenti.

• l’altezza tonale deve essere distinta dall’intonazione, che è una caratteristica dell’intero
enunciato e non della singola parola.

- in italiano, l’intonazione è distintiva (ci permette di distinguere le domande dalle affermazioni).

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LEZIONE 8 - FONOLOGIA

L’accento
• lunghezza, intensità e altezza tonale di un segmento concorrono ai fenomeni di accentuazione
per determinare la posizione dell’accento.

• l’accento è il rilievo di una sillaba rispetto alle altre per durata, intensità (volume) e tono, che
si manifestano sulla vocale contenuta nella sillaba.

• i tre fattori determinano in modo diverso l’accento in lingue diverse.

• la posizione dell’accento in una parola è specificata nel lessico in italiano (si usa un segno che
appartiene al sistema ortografico dell’italiano).

• mentre in alcune lingue la distribuzione dell’accento non è libera, in Italiano è libera e dunque
può avere funzione distintiva.

- es: áncora/ancóra

prìncipi/princìpi

• poiché in italiano l’accento distingue parole differenti, la posizione dell’accento in una parola
deve essere specificata nel lessico mentale, in cui memorizziamo le parole e le informazioni ad
esse pertinenti.

La sillaba
• sillaba: raggruppamento naturale di segmenti nei quali dividiamo una parola.

• ciascun parlante sa che le parole della sua lingua possono essere suddivise in gruppi di suoni.

- es: trasparente > tra-spa-ren-te

• si tratta di un’abilità naturale che conosciamo implicitamente e che nessuno ci ha insegnato.

• non solo la applichiamo a parole che appartengono al nostro lessico, ma anche a parole che
non esistono, ma potrebbero esistere (sono ammissibili).

- es: galcandara > gal-can-da-ra

• la divisione in sillabe è un’operazione naturale: è sfruttata in poesie, canti e filastrocche perché


determina la struttura ritmica di una certa frase.

• la suddivisione in sillabe ha un ruolo importante durante l’acquisizione del linguaggio: durante le


fasi di acquisizione del linguaggio i bambini passano attraverso la fase della lallazione, che
inizia intorno ai 2-3 mesi.

• durante il periodo della lallazione i bambini cominciano a produrre delle sillabe in isolamento
e poi delle sequenze di sillabe. In questo modo il bambino impara a manipolare, a produrre e
a classificare i suoni della sua lingua e sequenze un po’ più grandi dei singoli suoni (le sillabe).

• sillaba: è un gruppo di suoni raccolti attorno ad un nucleo vocalico.

- in italiano abbiamo una vocale per ogni sillaba (ogni sillaba contiene un nucleo vocalico).

• questa definizione risulta un po’ vaga in quanto non spiega la divisione e l’assegnazione delle
consonanti a una sillaba piuttosto che ad un’altra.

• ecco perché occorre una definizione più esplicativa di tipo acustico.

• sillaba: gruppo di suoni raccolti attorno ad un nucleo vocalico, secondo una scala di
sonorità.
• possiamo ordinare i suoni della nostra lingua secondo una scala di sonorità, ovvero una scala di
intensità sonora con la quale un suono viene prodotto.

scala di sonorità

vocali > nasali > fricative > affricative > occlusive

• all’interno di queste categorie possiamo avere la distinzione sonore/sorde, in cui sonore>sorde.

Pagina 30

suddivisione in sillabe di una parola

c: ha sonorità minima
o: ha sonorità massima

• con: occlusiva sorda — vocale — nasale

• tro: occlusiva sorda — fricativa — vocale

• can: occlusiva sorda— vocale — nasale

• to: occlusiva sorda — vocale

• ognuna di queste sillabe contiene:

- un suono che ha sonorità minima;

- un nucleo vocalico, che ha sonorità massima;

- un suono che ha sonorità minore rispetto al nucleo.

• i suoni che hanno sonorità minima all’interno della sequenza rappresentano l’inizio di una
nuova sillaba. I suoni che precedono questi suoni rappresentano la fine della sillaba
precedente.

• il nucleo vocalico di una sillaba può essere preceduto da una o più consonanti che
costituiscono l’incipit, ma può anche essere seguito da una consonante detta coda.

incipit
nucleo vocalico
coda
Pagina 31

• es: trat-to

- trat: questa sillaba ha forma ccvc (consonante/consonante/vocale/consonante).

- to: questa sillaba ha forma cv (consonante/vocale).

• la scala di sonorità ci impone anche delle condizioni sull’accettabilità delle parole (ci dice quali
parole sono o non sono ammesse in una lingua).

• regole fonotattiche: ci dicono quali parole sono ammissibili e quali non lo sono in una certa
lingua.

- es: tratto è una parola ammissibile in italiano perché è formata da sillabe ammissibili, ovvero
sillabe che rispettano la scala di sonorità.

• la scala di sonorità prevede che i suoni all’interno di una sillaba debbano salire rapidamente
verso il nucleo e poi scendere lentamente e quando si incontra un punto di minimo inizia una
nuova sillaba.

- es: rtatto non è una parola ammissibile in italiano perché la prima sillaba viola la scala di
sonorità (c’è un suono più sonoro che precede un suono meno sonoro; il punto di minimo è
in seconda posizione, mentre dovrebbe essere in prima posizione).

• la scala di sonorità è rispettata in ogni lingua.

• ci sono regole specifiche in ogni lingua che determinano diverse forme di sillabe nelle diverse
lingue.

• in italiano in coda sono ammissibili solo consonanti sonoranti.

- consonanti sonoranti: l’aria fluisce più liberamente che nelle fricative o nelle occlusive.

• in italiano le consonanti non sonoranti in coda sono presenti solo in parole prese da altre lingue.

- es: stop
• sillaba: insieme unitario di segmenti suddivisi in incipit, nucleo, coda e ordinati secondo una
certa scala di sonorità.

incipit < nucleo > coda

• l’incipit e la coda hanno sonorità minore del nucleo.

• una sillaba deve sempre avere un nucleo vocalico; poi può avere o meno l’incipit e una coda.

• le sillabe, quindi, possono essere di diversi tipi:

- sillabe di tipo v (vocale)

- sillabe del tipo cv (consonante/vocale)

- sillabe del tipo cvc (consonante/vocale/consonante)

• esistono poi altri tipi di sillabe, come ccv, ccvc, ecc.

• nella lallazione vengono prodotte sillabe di tipo cv.

• nei pazienti con deficit fonologici vengono prodotte sillabe di tipo cv.

• in tutte le lingue è presente la sillaba cv (in alcune lingue è la sola possibile).

• in alcune lingue non sono ammesse code, mentre in altre è obbligatorio l’incipit.

• in hawaiano sono ammissibili solo sillabe di tipi cv e v.

In quale rapporto stanno l’incipit, il nucleo e la coda?


• l’incipit richiede un nucleo.

• la coda richiede un nucleo.

• il nucleo e la coda stanno in una relazione particolare tra di loro e formano una struttura
chiamata rima, che a sua volta può essere in relazione con l’incipit.

• la sillaba ha una struttura gerarchica interna:

- il nucleo è in relazione con la coda.

- il nucleo + la coda (rima) sono in relazione con l’incipit.

- l’incipit non può mai entrare in relazione con la coda.

• la sillaba non ha una struttura ricorsiva: non posso incastrare una sillaba all’interno di un’altra
sillaba e ottenere una sillaba più complessa.

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• la rima determina proprietà importanti della sillaba:

- determina il posizionamento dell’accento in una parola;

- determina alcuni fenomeni fonologici che vengono sfruttati nelle poesie/canzoni, ecc.

schema della sillaba (l’incipit è segnato come “attacco”)


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LEZIONE 9 - FONOLOGIA

• una lingua è caratterizzata anche da proprietà prosodiche, ovvero proprietà acustiche che
riguardano il ritmo e l’intonazione delle frasi che appartengono a quella lingua.

- ritmo: si riferisce all’occorrenza regolare nel tempo di un evento (questo evento può essere
l’accento o il tipo di sillaba).

• le lingue si differenziano tra di loro anche per le proprietà prosodiche.

• esistono diverse classi ritmiche delle lingue:

- lingue come l’italiano suonano come una mitragliatrice.

- lingue come l’inglese assomigliano al Codice Morse.

• il ritmo a mitragliatrice è determinato dall’occorrenza regolare di determinate unità sillabiche

esempio
cv cv cv cv cv cv cv

pa ta ta ri sa ti na

• la maggior parte delle parole in italiano sono formate da ripetizione di sillabe cv.

- secondo uno studio (1994), circa il 57% delle sillabe è di tipo cv in italiano; questo determina
il ritmo a mitragliatrice dell’italiano.

occorrenza (%) dei tipi di sillabe in italiano

• in inglese vi sono più consonanti che intervengono tra due vocali

- es: tran-sit

• le sillabe hanno dunque lunghezza variabile e questo è causa dell’impressione di un ritmo a


Codice a Morse.

• anche la distribuzione dell’accento sulle parole nei costituenti frasali determina il ritmo di una
lingua.

• in italiano la maggior parte delle parole ha l’accento che cade sulla penultima sillaba di una
parola (penultimate stress pattern), mentre in inglese la maggior parte delle parole ha l’accento
che cade sulla prima sillaba.

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la forma fonologica di una lingua dipende da:

• tratti (proprietà acustiche determinate dal punto di articolazione che caratterizzano i


singoli suoni)

• regole fonotattiche (regole che ci dicono come i suoni possono combinarsi tra di loro)

• regole fonologiche (regole che ci dicono come i suoni debbano realizzarsi all’interno di
un contesto più ampio rispetto al singolo suono)

• accento (è una proprietà soprasegmentale)

• intonazione (riguarda la melodia con la quale una certa frase deve essere pronunciata)

• gli enunciati di una lingua non sono costituiti semplicemente da sequenze di fasci di tratti che
formano le parole, ma da sequenze di fasci che formano parole la cui realizzazione dipende
dal contesto di produzione.

• per analizzare la forma fonologica dei morfemi, delle parole e degli enunciati dobbiamo integrare
informazioni segmentali ed informazioni soprasegmentali.

- le proprietà relazionali (soprasegmentali) hanno una natura differente dai tratti attraverso i
quali memorizziamo i fonemi della nostra lingua. I tratti sono primitivi, hanno un valore
assoluto (un suono non può essere rappresentato nel nostro inventario fonologico dei suoni
con un tratto che dice “lungo” perché quel suono non è in assoluto più lungo, ma lo è in
relazione al segmento adiacente).

• abbiamo bisogno di un sistema in cui integrare informazioni che riguardano i tratti e


informazioni che prendono in considerazione le proprietà che riguardano i tratti adiacenti.

• sono stati proposti diversi modelli: i primi modelli sono stati chiamati modelli lineari.

1. MODELLI LINEARI

di Chomsky & Halle (1968)


• sono modelli nei quali si è cercato di codificare le proprietà soprasegmentali a livello dei singoli
tratti (suoni).

esempio: la casa

• ogni lettera ha il suo fascio di tratti che la caratterizza.

• la vocale a è lunga nella seconda sillaba di la casa.

- in un modello lineare ciò viene indicato con il tratto + lungo, ma abbiamo detto che è
incorretto perché è una proprietà che per essere effettivamente distintiva deve prendere in
considerazione la lunghezza dei segmenti adiacenti.

• c’è bisogno di un sistema in cui questa proprietà non sia codificata a livello dei singoli suoni,
ma a un livello più ampio.

problemi dei modelli lineari:


• alcuni tratti coinvolgono più segmenti e/o sono relativi a tratti che caratterizzano i
segmenti adiacenti (sono sempre relativi al contesto e mai assoluti).

• la variazione tonale, in particolare, può coinvolgere più segmenti/suoni (ad esempio


quando poniamo una domanda).

• c’è bisogno di un modo per rappresentare proprietà che riguardano i singoli suoni, ma che
per essere valutate e determinate devono prendere in considerazione le proprietà dei
suoni adiacenti.

• c’è bisogno di un sistema nel quale posso aggiungere nuove proprietà a segmenti più
ampi di un singolo suono (es: due suoni, tre suoni, e così via).

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2. MODELLI NON LINEARI

di Goldsmith (1976)
• viene proposto un modello non lineare, secondo il quale i tratti segmentali e i tratti
soprasegmentali rispondono a principi organizzativi differenti e devono essere rappresentati su
piani distinti sincronizzati.

• secondo questo modello abbiamo un livello scheletrico che rappresenta le unità segmentali
temporali di un enunciato sulle quali vengono rappresentati i suoni, ovverosia i fasci di tratti che
caratterizzano i vari fonemi.

- sugli elementi della rappresentazione scheletrica rappresentiamo fasci di tratti.

• le x sono le unità segmentali temporali sulle quali rappresentiamo i suoni che formano gli
enunciati.

• possiamo rappresentare:

- i fasci che rappresentano un singolo segmento su un’unità segmentale.

- i fasci che rappresentano un singolo segmento su più unità segmentali.

• quindi, possiamo rappresentare più segmenti sonori su una singola unità.

esempio per quanto riguarda la lunghezza vocalica

• la lunghezza in italiano è distintiva quando riguarda le consonanti, ma anche le vocali possono


essere lunghe/corte.

• nella parola fato la a è lunga, cioè ha lunghezza maggiore rispetto ai suoni adiacenti.

- f: è rappresentata su un’unità segmentale.

- a: è rappresentata su due unità segmentali.

- t: è rappresentata su un’unità segmentale.

- o: è rappresentata su un’unità segmentale.

• questo sistema rende conto della lunghezza vocalica (alcune vocali possano essere lunghe).

esempio per quanto riguarda la lunghezza consonantica

• questo sistema rende conto anche della lunghezza consonantica (alcune consonanti possono
essere lunghe).

• nella parola fatto la t è lunga, cioè ha lunghezza maggiore rispetto ai suoni adiacenti.

- f: è rappresentata su un’unità segmentale.

- a: è rappresentata su un’unità segmentale.

- t: è rappresentata su due unità segmentali.

- o: è rappresentata su un’unità segmentale.

vocali brevi/lunghe nei modelli non lineari consonanti brevi/lunghe nei modelli non lineari
v= vocale; c = consonante v= vocale; c = consonante

• le vocali brevi sono vocali che vengono • le consonanti brevi sono consonanti che
realizzate su un’unità segmentale vengono realizzate su un’unità segmentale
temporale.
temporale.

• le vocali lunghe sono vocali che vengono • le consonanti lunghe sono consonanti che
realizzate su due unità segmentali vengono realizzate su due unità segmentali
temporali.
 temporali.

Pagina 36

fenomeno di produzione di gruppi consonantici

• in una sillaba possiamo realizzare più suoni consonantici nell’attacco, come nella parola plico:

- prima sillaba: pli (occupa la posizione di incipit)


- seconda sillaba: co

- nucleo vocalico: i
• nella parola plico, “pl” ha la stessa lunghezza/durata di “c” e “o” (prese singolarmente). Questo
accade perché le due consonanti (pl) vengono realizzate su un’unica unità segmentale
temporale.

• la i è lunga.

rappresentazione di regole fonologiche


• i modelli lineari permettono anche di formulare delle regole fonologiche.

• prendiamo ad esempio la regola: un segmento nasale deve essere realizzato come un


segmento nasale che ha il punto di articolazione della consonante che segue quel segmento
nasale (tutte le nasali prendono i punti di articolazione delle consonanti che seguono).

• /np/ deve essere realizzato come [mp]: in piedi viene realizzato come i[m] piedi

• questa regola fonologica può essere riformulata in un modello lineare: quando un segmento è
nasale, allora il tratto che caratterizza il segmento che segue (in questo caso labiale) deve
essere realizzato anche sul segmento nasale.

• la labialità del segmento che segue il segmento nasale si espande al segmento precedente.

posizionamento dell’accento
• possiamo sfruttare i modelli lineari anche per capire come avviene il posizionamento
dell’accento in italiano.

• nucleo e coda formano la rima; la struttura della rima determina il peso sillabico:

la sillaba è pesante se la sua rima è pesante.

• una rima è pesante se è realizzata su due unità scheletriche, leggera se è realizzata su una sola
unità scheletrica.

• il peso sillabico è determinato dai segmenti della rima ed è alla base di alcune importanti regole
fonologiche, quali ad esempio il posizionamento dell’accento.

regola: una sillaba pesante tende ad essere accentuata.


es: áncora / ancóra

áncora ancóra


• quando una sillaba viene realizzata su due unità scheletriche tende ad essere accentuata.

• ogni sillaba accentata è una sillaba pesante, ma non è vero che ogni sillaba pesante è una
sillaba accentata.

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• nella parola áncora l’accento cade sulla prima sillaba.

- án: sillaba formata da nucleo vocalico + coda. Nucleo e coda formano la rima della prima
sillaba, che è pesante in quanto viene realizzata su due unità scheletriche temporali e quindi
può essere accentuata.

- co: sillaba formata da nucleo vocalico (non ha una coda). Il nucleo vocalico viene realizzato
su una sola unità scheletrica temporale, quindi è leggera e non può essere accentuata.

- ra: sillaba formata da nucleo vocalico (non ha una coda). Il nucleo vocalico viene realizzato
su una sola unità scheletrica temporale, quindi è leggera e non può essere accentuata.

• nella parola ancóra l’accento cade sulla penultima sillaba.

- an: questa sillaba è pesante, ma questo non significa che debba per forza essere
accentuata.

- có: il nucleo vocalico è occupato da una vocale (o) lunga, che viene realizzata su due unità
scheletriche temporali. Questo significa che la rima è pesante e quindi viene accentuata.

- ra: sillaba formata da nucleo vocalico (non ha una coda). Il nucleo vocalico viene realizzato
su una sola unità scheletrica temporale, quindi è leggera e non può essere accentuata.

• in generale in Italiano:

- se c’è una coda la vocale è breve;

- se la coda non c’è la vocale si allunga.

le parole si differenziano per la posizione dell’accento:

parole tronche parole sdrucciole


• hanno l’accento sull'ultima sillaba.
• hanno l’accento sulla terzultima sillaba.

- es: papà, lunedì, maturità


- es: áncora, antipático,

• le parole tronche costituiscono circa il 16% • le parole sdrucciole costituiscono circa l’8%
delle parole italiane.
delle parole italiane.

parole piane parole bisdrucciole


• hanno l’accento sulla penultima sillaba.
• hanno l’accento sulla quartultima sillaba.

- es: cála, cicála, ancóra


- es: dóndolano

• le parole piane costituiscono circa il 74% • sono molto rare.



delle parole italiane (sono le più frequenti).

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• la posizione dell’accento determina come una lingua suona.

• come una lingua suona è determinato anche da altre proprietà (proprietà prosodiche), che
dipendono dall’intonazione e dal ritmo. Questi fenomeni sono studiati dalla fonologia
dell’intonazione, una fonologia che studia fattori distintivi che si applicano a segmenti più ampi
di una parola (segmenti frasali).

- prosodia: proprietà acustiche di una lingua che dipendono da intonazione e ritmo

registrazione della frase “Maria ha telefonato” con tono contrastivo


registrazione della frase “Maria ha telefonato” con tono non contrastivo (o piatto)

• grafico che rappresenta la frequenza fondamentale dei suoni con i quali è prodotta la frase
“Maria ha telefonato” nel tempo.

• tono contrastivo: sottolineo il fatto che Maria ha telefonato, e non qualcun altro che mi
aspettavo dovesse telefonare.

• le variazioni tonali sono strategie impiegate per comunicare informazioni che non sono
direttamente codificate dal significato delle parole.

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LEZIONI 10 E 13 - ESERCIZI DI FONETICA E FONOLOGIA

consonanti
2. i due segmenti iniziali delle parole panca e manca differiscono per…

- modo di articolazione — p è occlusiva, m è nasale.

- sonorità — p non è sonoro, m è sonoro.

- non differiscono per il punto di articolazione, che per entrambe è bilabiale.

3. i due segmenti iniziali delle parole gatto e patto differiscono per…

- punto di articolazione — p è bilabiale, g è velare.

- sonorità — g è sonoro, p non è sonoro.

- non differiscono per il modo di articolazione, sono entrambi occlusivi.

4. i due segmenti iniziali delle parole gatto e fallo differiscono per…

- punto di articolazione — g è velare, f è labiodentale.

- sonorità — g è sonoro, f è sordo.

- modo di articolazione — g è occlusivo, f è fricativo.

5. i due segmenti iniziali delle parole vallo e fallo differiscono per…

- sonorità — v è sonoro, f è sordo.

- non differiscono per il punto di articolazione, sono entrambi labiodentali.

6. i due segmenti iniziali delle parole palla e balla differiscono per…

- sonorità — p è sordo, b è sonoro.

- non differiscono per il modo di articolazione, sono entrambi occlusivi.

- non differiscono per il punto di articolazione, sono entrambi bilabiali.

7. i due segmenti iniziali delle parole tane e pane differiscono per…

- punto di articolazione

8. i due segmenti iniziali delle parole callo e gallo differiscono per…

vocali

1. cosa hanno in comune le vocali [i] e [u]?

- sono entrambe alte.

2. cosa hanno in comune le vocali [e] e [o]?

- sono entrambe medie.

3. i due segmenti iniziali delle parole lume e lime differiscono per…

- la posizione orizzontale della lingua — u è una vocale alta posteriore, i è una vocale alta
anteriore.

4. i due segmenti iniziali delle parole ossi e assi differiscono per…

- la posizione orizzontale e verticale della lingua — o è posteriore media, a è centrale bassa

5. i due segmenti iniziali delle parole iva e uva differiscono per…

- la posizione orizzontale della lingua — i è anteriore e u è posteriore

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• suoni che appartengono a una stessa famiglia di suoni sono soggetti agli stessi fenomeni
fonologici.

- es: caso delle nasali

- es: caso delle occlusive in fiorentino

*anche f e v sono fricative


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fonetica acustica

• nello spettrogramma qui sopra, nell’intervallo tra 0 e 100 ms, è rappresentata:

1) una consonante occlusiva (risposta corretta)

2) una vocale alta (tra 100 e 350 ms, poiché appaiono tante fasce di frequenza caratterizzate
da una intensità alta e fasce di concentrazione, i formanti)

3) una consonante fricativa (in questo caso troviamo molto più rumore, appaiono delle fasce
di frequenza disordinate)

4) un dittongo

fonologia - regole fonologiche

1. nelle espressioni a) e b) la parola casta viene pronunciata in due modi differenti in fiorentino.

a) in casta

b) la casta

scrivete le due realizzazioni fonetiche del fonema iniziale della parola casta, descrivete il

fenomeno e scrivete la regola fonologica responsabile del fenomeno.

2. nelle espressioni a) e b) la parola palla viene pronunciata in due modi differenti in fiorentino.

a) con palla

b) nella palla

scrivete le due realizzazioni fonetiche del fonema iniziale della parola palla, descrivete il

fenomeno e scrivete la regola fonologica responsabile del fenomeno.

3. cosa dice la seguente regola fonologica? A -> B/C (il segmento A deve essere realizzato come
B nel contesto C)

4. nella espressioni a) e b) la parola in viene pronunciata in due modi differenti in italiano.

a) in palla

b) in tasca

descrivete il fenomeno e scrivete la regola fonologica responsabile del fenomeno.

5. nella espressioni a) e b) la parola in viene pronunciata in due modi differenti in italiano.

a) in nave

b) in moto

descrivete il fenomeno e scrivete la regola fonologica responsabile del fenomeno.

6. è corretta la seguente trasformazione fonologica? in nave -> i[m] nave

- no.

7. quale regola fonologica è responsabile dei cambiamenti descritti?

8. perché in Italiano non esiste la parola inputato?

- perché la n dovrebbe assumere il punto di articolazione della p (bilabiale).

9. perché in Italiano non esiste la parola imtascato?

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10. elencate le sillabe che compongono la parola dente e rappresentate la struttura di ciascuna
sillaba.

11. elencate le sillabe che compongono la parola orco e rappresentate la struttura di ciascuna
sillaba.

12. nel seguente grafico rappresentate come la divisione in sillabe della seguente parola rispetti la
regola di scala di sonorità

in ascisse sono rappresentati i suoni, in ordinate i gradi di sonorità

13. nel seguente grafico rappresentate come la divisione in sillabe della seguente parola rispetti la
regola di scala di sonorità

in ascisse sono rappresentati i suoni, in ordinate i gradi di sonorità

• p: suono occlusivo sordo (0)


• n: suono nasale sonoro (1)

• a: suono vocalico, ha massima sonorità (2)


• t: suono occlusivo sordo (0)

• t: suono occlusivo sordo (0)


• e: suono vocalico, ha massima sonorità (2)

• e: suono vocalico, ha massima sonorità (2)

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14. nella frase “Leo ha detto che desideri vincere al totocalcio" dove cade l’accento sulla parola
desideri? Perché? Rappresentatene la divisione in sillabe e rappresentate come i fonemi
vengono realizzati sulla rappresentazione scheletrica temporale.

- l’accento cade sulla seconda sillaba (desíderi) perché la rima è pesante (occupa due unità
temporali).

15. nella frase “Leo aveva molti desideri. Voleva…" dove cade l’accento sulla parola desideri?
Perché? Rappresentatene la divisione in sillabe e rappresentate come i fonemi vengono
realizzati sulla rappresentazione scheletrica temporale.

- l’accento cade sulla penultima sillaba (desidéri) perché la rima è pesante (occupa due
unità temporali).

altri esempi:
…voleva andare in vacanza e giocare a palla sulla spiaggia.
Pagina 44

LEZIONE 14 e 15 - MORFOLOGIA

• il linguaggio è caratterizzato da abilità specifiche:

- abilità morfologiche: ci dicono come formare nuove parole a partire da parole già esistenti e
la loro struttura interna.

- abilità sintattiche: riguardano la combinazione delle parole.

- abilità pragmatica: riguarda il contesto d’uso.

- abilità semantica
• abilità sintattiche e morfologiche sono in stretta relazione tra di loro: si parla di abilità morfo-
sintattiche.

• i parlanti associano significati alle frasi che hanno generato attraverso le abilità sintattiche
(abilità semantica) e sanno quando quei significati possono essere usati in un certo contesto e
non in un altro (abilità pragmatica, riguarda il contesto d’uso della lingua).

• morfologia: studia i processi di formazione delle parole e la loro struttura interna.

• il legame tra la forma di una parola e l’oggetto che essa denota è arbitrario.

- es: mela (italiano), apfel (tedesco), apple (inglese)

• onomatopee: parole la cui forma ricorda l’oggetto che denotano.

- es: miagolare (il suono della parola ricorda il miagolio)

• c’è comunque molta variabilità interculturale: il cane abbaia, the dog barks…

• se il legame è arbitrario allora va imparato attraverso un processo di acquisizione del lessico.

Quante parole conosciamo dell’Italiano?


argomento a priori
• conosciamo alcune forme base e le loro variazioni.

- es: cantare: canto, canti, canta, cantavo, canticchiare, cantante, cantabile, incantabile, ecc.

• di queste parole conosciamo il significato, l’uso, le proprietà fonologiche, ecc.

• queste parole non sono tutte singolarmente immagazzinate nel nostro lessico mentale, poiché
non sarebbe economico.

• è più economico immagazzinare la forme base e le regole di formazione delle forme ad esse
collegate.

• questo sistema è più economico perché le regole di derivazione delle forme collegate possono
essere applicate a più forme base.

- es: suon-o, suon-i, suon-av-o, suon-abile, suon-ante, ecc.

cant-o, cant-i, cant-av-o, cant-abile, cant-ante, ecc.

Nel nostro lessico mentale memorizziamo le forme base e alcune regole di derivazione di
parole a partire dalle forme base.

argomento empirico
• possiamo inventare nuove parole a partire da parole conosciute.

- es: sbriciolacarta

• tali parole, in quanto nuove, non possono essere già presenti nel nostro magazzino mentale.

• inoltre, conosciamo i meccanismi per formare parole complesse a partire da parole semplici, ma
anche da parole non esistenti ma ammissibili.

- es: +aio denota il venditore dell’oggetto denotato dal nome che modifica.

libro > libraio


benzina > benzinaio

- es: pacio (parola inventata per oggetto immaginario) > paciaio (venditore dell’oggetto
immaginario)

• ciò suggerisce che nel nostro lessico mentale abbiamo memorizzate forme base e regole per
generarne altre ad esse associate (argomento empirico).

• queste forme base vengono dette lessemi e sono memorizzate nel lessico.

Pagina 45

argomenti per l’ipotesi “abbiamo forme base e regole di formazione di nuove forme”:

argomento a priori argomento empirico


• secondo l’argomento a priori, c’è una • secondo l’argomento a priori, c’è il fatto che
giustificazione economica.
possiamo creare parole nuove composte a
partire da altre parole.


Quanti lessemi appartengono al nostro lessico mentale?


• uno studente liceale di 17 anni conosce circa 60.000 lessemi.

• esiste un periodo critico per l’acquisizione del linguaggio, ovvero sia una finestra temporale
entro la quale il linguaggio deve essere acquisito, e questo avviene attraverso l’esposizione al
linguaggio.

• dopo tale periodo critico impariamo le lingue secondo strategie differenti, che fanno uso quasi
esclusivamente di abilità cognitive e non di abilità linguistiche specifiche.

• il periodo critico si chiude intorno all’adolescenza, ma i ricercatori hanno dimostrato che


esistono periodi critici differenti per le diverse abilità linguistiche:

1. periodo critico per la fonetica e la fonologia

2. periodo critico per l’acquisizione della sintassi e della morfo-sintassi

3. periodo critico per la semantica

4. periodo critico per la pragmatica

• il periodo periodo critico per la fonetica e la fonologia è il più ristretto e si chiude attorno ai
2-3 anni.

• le parole sono le più piccole unità linguistiche che possono essere inserite in una frase.

- es: bar, in, sopra, Maria sono parole.

• nelle lingue abbiamo parole semplici e parole complesse:

- es. parole semplici: lettere, portare

- es. parole complesse: portalettere (è una parola composta — porta + lettere)

letterato (è una parola derivata — letter + ato)

• in realtà, in italiano le stesse parole semplici sono spesso scomponibili in parti.

- es: la parola lettera può apparire alla forma singolare letter-a o alla forma plurale letter-e.

• in queste parole troviamo una forma base che può essere modificata da un’espressione dotata
di significato più piccola di una parola. Queste espressioni sono unità minime dotate di
significato che non possono essere usate in isolamento. Esse sono dette morfemi.

- es: -e è un morfema che si applica ad una parola (un nome) e ne modifica le informazioni di
numero.

• tali morfemi sono detti anche morfemi flessivi perché non cambiano il significato o la categoria
sintattica della parola alla quale si applicano, ma contribuiscono ad alcuni aspetti del suo
significato.

• oltre ai morfemi flessivi, in italiano abbiamo anche morfemi derivazionali: essi cambiano il
significato e/o la categoria sintattica della parola alla quale si applicano.

i morfemi derivazionali si distinguono in:


prefissi infissi
• si applicano all’inizio di una parola.
• si applicano all’interno di una parola.

• il processo di prefissazione è ricorsivo (può • in italiano sono pochi, mentre nelle lingue
essere applicato nuovamente al risultato di africane parecchi.

una sua precedente applicazione), ad • es: cant-icchi-are.

esempio ex-con-vivente.

• es: console > ex-console; usuale > in-usuale

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suffissi
si applicano alla fine di una parola.

es: libr-aio, letter-ato


• le parole possono contenere prefissi, infissi e suffissi.

- es: ex-libr-aio

• conosciamo l’ordine in cui i morfemi derivazionali si attaccano alle parole:

- prima bisogna attaccare il prefisso, poi il suffisso: corri > percorri > percorribile

- prima bisogna attaccare il suffisso, poi il prefisso: mangi > mangiabile > immangiabile

• non tutte le combinazioni sono ammesse.

Riepilogo morfemi
morfemi
unità minime dotate di significato che non possono essere usate in isolamento.

si dividono in morfemi flessivi e morfemi derivazionali.

morfemi flessivi morfemi derivazionali


• non cambiano il significato o la categoria • cambiano il significato e/o la categoria
grammaticale della parola alla quale si grammaticale della parola alla quale si
applicano, ma contribuiscono ad alcuni applicano.

aspetti del suo significato.


• si distinguono in:

• es: letter-a ; letter-e - prefissi — si applicano all’inizio di una


• in italiano i morfemi flessivi sono sempre parola (processo ricorsivo).

alla fine di una parola.


- infissi — si applicano all’interno di una
parola.

- suffissi — si applicano alla fine di una


parola.


• vi sono lingue dove:

1. la suffissazione è molto produttiva (italiano e inglese).

2. la prefissazione non esiste (turco).

• nelle lingue in cui non esiste la prefissazione abbiamo un ordine delle parole in cui l’oggetto
precede il verbo (O-V) e il nome precede la proposizione che introduce quel nome (N-P).

ordine parole lingue tipo 2: bar al Maria vedo

ordine parole lingue tipo 1: vedo Maria al bar

teoria dei principi e dei parametri - Chomsky

ci sono due grandi posizioni a livello di teorie linguistiche, di cui Chomsky è stato lo spartiacque:

tradizione innatista tradizione non innatista
• la nostra competenza linguistica fa uso di • tutta la competenza linguistica si basa su
conoscenze innate.
competenze acquisite durante un processo
cognitivo che fa uso di abilità cognitive più
generali.


• secondo la posizione innatista la nostra competenza linguistica sarebbe la manifestazione di


una conoscenza linguistica innata, ovvero ci sarebbero dei principi universali che fanno sì che
le lingue vengano acquisite in un certo modo e non in un altro. Se si tratta di una condizione
innata, allora deve essere codificata geneticamente.

Pagina 47

Se sono codificate a livello genetico e quindi fanno parte di tutti gli uomini, come possiamo spiegare la
grande variabilità linguistica che troviamo?

• ad esempio ci sono lingue in cui l’oggetto precede il verbo e lingue in cui l’oggetto segue il
verbo (ad esempio l’italiano).

- l’italiano è una lingua SVO (soggetto - verbo - oggetto)

• questa è solo una delle differenze che troviamo fra le varie lingue.

• per conciliare questa variabilità con l’idea che la nostra competenza linguistica sia in qualche
modo determinata da come siamo fatti (tradizione innatista) e in particolare da come è fatto il
nostro cervello (e questo dipende dal nostro patrimonio genetico), Chomsky ha introdotto il
concetto di variazione parametrica e ha elaborato la teoria dei principi e dei parametri.

• secondo questa teoria ci sarebbero dei principi universali che governano l’acquisizione del
linguaggio (e quindi di ogni lingua) che determinano proprietà che sono comuni a tutte le
lingue del mondo e delle variazioni parametriche che riguardano questi principi universali.

- variazioni parametriche: le lingue possono variare rispetto a un dato fenomeno relativamente


a due valori che un dato parametro può avere.

• uno di questi parametri ad esempio è stato impiegato per spiegare la differenza che sussiste tra
lingue di tipo 1 (italiano, inglese…) e lingue di tipo 2 (turco, giapponese…).

• nelle lingue di tipo 1 (italiano, inglese, ecc.) il nome segue una preposizione e l’oggetto segue il
verbo:

- es: con Maria ; a Milano

- es: mangio una mela

• nelle lingue in cui troviamo l’ordine inverso (prima l’oggetto e poi il verbo), troviamo anche prima
il nome e poi la preposizione che regge quel nome.

• è stato il linguista americano Greenberg a indagare quali sono le caratteristiche comuni a


famiglie di lingue, in questo caso:

- lingue che sono OV sono sono anche lingue che sono NP

- lingue che sono VO sono anche lingue che sono PN

• all’interno della teoria dei principi e dei parametri Chomsky ha introdotto il concetto di
parametro e ha ipotizzato che nelle varie lingue ci sono parole che svolgono una funzione di
selezionatore e parole che svolgono la funzione di selezionato.

- es: il verbo è un selezionatore e seleziona il suo oggetto

- es: la preposizione è un selezionatore e seleziona un nome

• le lingue possono essere lingue nelle quali il selezionato precede il selezionatore oppure lingue
nelle quali il selezionato segue il selezionatore.

• una correlazione che troviamo consiste nel fatto che le lingue in cui non troviamo suffissazione
sono anche lingue nelle quali il selezionato precede il selezionatore.

• la prefissazione non cambia la categoria lessicale della base

- es: fortunato (aggettivo) > sfortunato (aggettivo)

• la suffissazione, al contrario può cambiare la categoria lessicale della base

- es: mangia (verbo) > mangiabile (aggettivo)

Che natura hanno le regole di derivazione?


• le regole di derivazione sono diverse per diverse parti del discorso (i nomi avranno regole di un
certo tipo, mentre i verbi saranno soggetti a regole di un altro tipo, ecc.).

• in generale possiamo dire che queste regole hanno tutte forma funzionale:

regola morfologica (a) : a(base) = uscita


• cioè, abbiamo una certa regola morfologica a che si applica ad una base per determinare una
certa uscita.

• una certa funzione viene applicata ad un certo argomento e alla fine avremo un risultato.

• ad esempio, secondo questa regola morfologica, la lettera s verrà attaccata alla base fortunato
e darà come risultato l’uscita sfortunato.

s(fortunatoAGG) = sfortunatoAGG
• le regole morfologiche hanno delle restrizioni di applicazione: in questo caso la lettera s, che
trasforma un aggettivo nel suo opposto, si applica agli aggettivi. Questa funzione, quindi, andrà
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a controllare la natura della sua base. La regola ci dice anche che, trattandosi di un prefisso, la s
deve attaccarsi all’inizio della parola.

• in questo caso, invece, la regola morfologica ci permette di trasformare un verbo in un


aggettivo. La regola ci dice anche che, trattandosi di un suffisso, bile deve attaccarsi alla fine
della parola.

bile(mangVERBO) = mangiabileAGG

• abbiamo detto che ci sono alcune restrizioni sull’applicazione delle regole. Abbiamo:

regole sintattiche regole semantiche
• ci dicono, ad esempio, che il suffisso ista si • sono restrizioni che riguardano il significato.

applica ai nomi e non ai verbi


• non posso dire exexmarito o exexvivente
- es: bar > bar-ista; cantare > cantista

• ci dicono, ad esempio, che il suffisso tore si


regole fonologiche

applica a verbi che sono agentivi, cioè verbi
che denotano un evento che contempla un
agente (qualcuno che dia il via a
quell’evento).

- es: correre > corridore; avere > avetore


Marco cucina una torta. Marco ama Maria.


• il morfema -a mi dice che il verbo è al • il morfema -a mi dice che il verbo è al
presente indicativo alla 3a persona singolare.
presente indicativo alla 1a persona singolare.

Marco sta cucinando una torta.


Marco sta amando Maria.

• il morfema -ando mi dice che il verbo è al • questa frase viola una restrizione semantica-
gerundio presente (detta anche forma sintattica di applicabilità di questo morfema
progressiva).
flessivo poiché la forma progressiva
• il morfema -ando codifica che l’evento ha (gerundio) può essere costruito solo con
luogo al presente ed è in corso nel momento verbi di tipo agentivo, ovvero verbi che
in cui la frase viene pronunciata.
denotano un evento nel quale c’è un agente
• si tratta di una forma alternativa che marca il (qualcuno che fa qualcosa di attivo).

modo nel quale l’evento che viene descritto • amare denota uno stato più che un evento.

dal verbo ha luogo nel presente.


• dicendo Marco sta amando Maria
sottolineiamo qualcosa di diverso dal fatto
che Marco ama Maria.

La violazione di alcune restrizioni semantiche può essere sfruttata a fini comunicativi.

parole composte
• in italiano abbiamo la possibilità di comporre due parole per formare una parola nuova
attraverso un processo di composizione (possono essere parole che appartengono a classi
grammaticali differenti).

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porta-borse (V+N)
mangia-nastri (V+N)
motore a scoppio (N+P+N)

alto-mare (A+N)
retro-bottega (P+N)

• il risultato che abbiamo di queste modificazioni è sempre un nome.

• in italiano le composizioni più comuni sono del tipo V+N.

- es: cavatappi

• nelle lingue germaniche la composizione N+N è molto produttiva.

- es: armchair

• nelle lingue germaniche, ma non in italiano, possiamo anche avere composizioni del tipo
N+N+N. In questo caso le parole composte possono essere ambigue: diverse strutture sono
associate a diversi significati.

- es: kitchen towel rack (cucina strofinaccio appendino)


[[Kitchen towel] rack] > appendino per [strofinaccio da cucina]

[Kitchen [towel rack]] > [appendino per strofinaccio] da cucina

• diversi raggruppamenti sono associate a diverse forme prosodiche: è possibile capire cosa
intende il parlante da dove cade l’accento nella pronuncia del nome composto.

• lingue diverse mostrano ordini diversi nella composizione: l’ordine rispecchia l’ordine sintattico
della modificazione.

italiano lingue germaniche

• l’aggettivo segue il nome, quindi nella • l’aggettivo precede il nome.

creazione di una parola nuova che unisce - es: an intelligent guy

aggettivo e nome (A+N), la modificazione • nelle lingue germaniche, nelle parole


aggettivale segue il nome.
composte, il modificatore precede la base.

- es: un ragazzo intelligente


• il modificatore precede il nome

• come nel caso A+N, nelle parole composte - es: apple pie (denoto una torta di mele)

in italiano, il modificatore segue la base.


- es: pie apple (denoto una certa mela che
- es: mela verde (denoto il frutto) — verde viene usata per fare le torte)

è il modificatore di mela
- stationmaster (denoto il capo della
- es: verde mela (denoto il colore)
stazione)

- es: capostazione (denoto il capo della • il tedesco, un’altra lingua germanica, si


stazione)
comporta come l’inglese (sono entrambe
lingue germaniche).


• siamo spesso confusi su come dobbiamo scrivere le parole composte.

- es: portalettere / porta-lettere / porta lettere

• questa indecisione ci fa dubitare che in realtà con la composizione creiamo una nuova parola.

• come si scrive una parola dipende da regole ortografiche di natura prescrittiva.

• questo dubbio non riguarda la conoscenza della lingua, che è implicita e spontanea, ma
piuttosto la natura prescrittiva della nostra abilità di leggere e scrivere che, al contrario del
linguaggio, deve essere appresa attraverso un’istruzione esplicita (per questo non abbiamo
un’intuizione implicita su come scrivere le parole composte).

• possiamo affidarci alle nostre conoscenze linguistiche per capire come dobbiamo scrivere le
parole composte.

Una parola è il più piccolo elemento che può essere inserito in una frase all’interno del quale non
possiamo inserire altri elementi.

• per capire se porta-lettere è una parola o meno possiamo affidarci a questa definizione.

- es: bravo porta lettere è corretto, al contrario di porta bravo lettere

• dunque, porta-lettere è una parola, indipendentemente da come la scriviamo.

• abbiamo detto che, in realtà, anche le parole “semplici” semplici non sono.

- es: ragazzo, ragazza, ragazz-i, ragazz-e,

• abbiamo chiamato -i, -e morfemi flessivi: i morfemi flessivi possono contribuire al significato di
una parola senza modificarla sostanzialmente e senza modificarne la categoria grammaticale cui
essa appartiene.

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• in italiano i morfemi flessivi sono sempre alla fine di una parola.

morfemi flessivi
morfemi di NUMERO bello/i - bella/e

morfemi di CASO tu/te - io/me

morfemi di TEMPO cucino/cucinavo

morfemi di ASPETTO cucinavo/cucinai

morfemi di MODO cucino/cucinerei

Quale è la natura delle regole di flessione?


• la natura delle regole di flessione dipende dal tipo di flessione.

• consideriamo i costituenti:

- una ragazza istruita (articolo - nome - aggettivo)

- delle ragazze istruite (articolo - nome - aggettivo)

• in essi un articolo ed un aggettivo si accordano in genere ed in numero con un nome che può
essere singolare o flesso al plurale.

• la morfologia del nome da una parte, e dell’articolo e dell’aggettivo dall’altra, sembrano regolate
da principi differenti.

• intuitivamente accordiamo aggettivo ed articolo con il nome e non viceversa.

• analogamente, nelle frasi:

- il gatto corre
- i gatti corrono

• il verbo correre si accorda in numero e persona con il nome che può essere flesso al singolare o
al plurale.

• se riflettiamo su ciò che determina il valore flessivo di un nome da un lato, e degli elementi che
con esso devono accordarsi (articoli, aggettivi, verbi) dall’altro, osserviamo che la flessione del
nome (negli esempi sopra) dipende da una libera scelta di chi parla; se chi parla decide di
identificare una pluralità di individui usando un certo nome userà la forma flessa al plurale di
quel nome.

• al contrario, il valore flessivo dell’aggettivo, dell’articolo, e del verbo (negli esempi sopra) non
dipende da una libera scelta del parlante ma da principi grammaticali.

• in Italiano, i nomi hanno morfologia flessiva per il numero plurale, ma non per il genere.

• questo comporta che le distinzioni di genere di un nome siano distinzioni codificate a livello
lessicale, ovvero abbiamo due parole distinte (una per genere).

- es: abbiamo la parola maschile ragazzo e la parola femminile ragazza memorizzate nel nostro
lessico mentale.

- es: il lessema madre codifica implicitamente anche informazione sul suo genere
grammaticale femminile (lo stesso vale per il lessema padre).

• le informazioni di numero, invece, sono informazioni codificate a livello flessivo e vengono


derivate attraverso un processo morfologico: esiste una regola morfologica che trasforma
ragazzo in ragazzi e ragazza in ragazze.

• l’informazione di genere grammaticale codificata a livello del lessema non corrisponde ad


un’informazione di genere semantico (che riguarda il genere biologico dell’individuo o
dell’oggetto denotato dalla parola).

- es: l’individuo denotato dalla parola padre ha genere biologico maschile, mentre l’individuo
denotato dalla parola madre ha genere biologico femminile, ma ci sono casi in cui al genere
grammaticale di una parola non corrisponde un’informazione di genere biologico.

• ad esempio le parole sedia e tavolo hanno generi grammaticali differenti, ma non denotano
oggetti che hanno differenti generi naturali/biologici come nel caso di madre e padre.

Pagina 51

• le informazioni di genere grammaticale sono informazioni che vengono codificate a livello


lessicale, cioè le impariamo quando impariamo la nostra lingua.

• in tale ottica, le parole bambino e bambina vanno dunque considerate come due lessemi distinti
memorizzati nel nostro lessico mentale (non dobbiamo considerare -o e -a come due lessemi
flessivi per la forma maschile e la forma femminile delle nostre parole).

• dunque, nella frase Le ragazze istruite hanno aiutato le lavoratrici il parlante sceglie di usare il
lessema femminile ragazza alla forma plurale perché decide di parlare di una pluralità di individui
di genere femminile che hanno una certa proprietà codificata da tale lessema.

• l’aggettivo istruite e l’articolo le entrano il relazione con la parola ragazze. Tali relazioni
determinano che essi debbano ricevere morfemi flessivi di genere femminile e numero plurale.

• l’applicazione di questi morfemi ad articolo ed aggettivo non è dunque a discrezione del


parlante, ma è determinata dalla relazione sintattica che queste parole hanno con il nome che
rispettivamente introducono e modificano.

Morfologia flessiva: morfologizza categorie grammaticali che la grammatica richiede che


siano obbligatoriamente espresse. Le lingue possono differire nell’insieme delle categorie
che debbono essere necessariamente espresse.

• la stessa cosa accade per i verbi: il valore del morfema flessivo viene determinato dalla natura
del soggetto della frase.

- Leo saluta-3aSING i ragazzi.

- I ragazzi salutano-3aPLUR Leo.

• la morfologia flessiva esprime tratti (informazioni) che sono rilevanti per la sintassi, cioè per
compiere alcune operazioni di accordo sintattico.

• in italiano la flessione verbale, aggettivale e dell’articolo sono obbligatorie e dipendono da


regole sintattiche.

• la flessione del nome è a discrezione del parlante e codifica informazioni di numero.

• la flessione dell’aggettivo, articolo e verbo è detta contestuale: il contesto sintattico determina


il valore flessivo.

Quale relazione esiste tra morfologia derivazionale e contestuale?


modello della SPLIT MORPHOLOGY

di Anderson (1977)
• secondo questo modello:

- i processi derivazionali hanno luogo prima che un’espressione venga inserita in una
derivazione sintattica (prima che si inizi a costruire una frase).

- i processi flessivi contestuali hanno luogo nella componente sintattica (durante la


produzione di una frase).

• se ciò è vero, questo sistema predice che in una frase dovremmo trovare un ordine delle
marcature sulla parola, cioè un ordine di applicazione dei morfemi sulle parole. L’ordine deve
essere:

1. lessema (estraiamo il lessema dal nostro lessico)

2. morfema derivazionale (applichiamo una operazione derivazionale)

3. morfema flessivo (inserisco la parola all’interno di una frase e il contesto sintattico darà
luogo a una certa forma flessiva della parola)

• ad esempio, per ottenere la frase Ieri io canticchiavo:

1. Io cant- (accedo al lessico ed estraggo il lessema)

2. Io cant-icchi (applico un morfema derivazionale)

3. Io cant-icchi-av-o (attacco il morfema flessivo -av e unisco canticchiav- con il soggetto, che
richiede che questo verbo esca alla forma canticchiavo).

• una frase del tipo Ieri io cant-avo-icchi viola questo ordine e per questo è agrammaticale.

• anche il caso morfologico dipende da principi grammaticali contestuali: è il contesto sintattico


che determina il caso morfologico.

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- io/tu — nominativo

- me/te — accusativo

• il contesto sintattico nel quale questo pronome è stato inserito determina la morfologia di quel
pronome.

L’ordine predetto è: LESSEMA - MORFEMA DERIVAZIONALE - MORFEMA DI CASO


in italiano il morfema di caso è visibile sui pronomi
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LEZIONE 16 e 17 - COSTITUENTI

APPUNTI SULLA SINTASSI E SUI COSTITUENTI

• costituente: raggruppamento naturale di parole

Linguaggio come organo?


Se il linguaggio è simile a una funzione organica, allora ci aspettiamo che abbia una componente
innata e non derivi solo e unicamente dall’esperienza.

Quale natura hanno le regole grammaticali?


Se le regole grammaticali derivano dall’esperienza e sono un prodotto socioculturale, allora
dovremmo trovare diversi tipi di regole che sono state generate da diverse convenzioni
socioculturali (differenti tipi di società producono differenti tipi di regole grammaticali).

Pensare che il linguaggio abbia regole basate sull’ordine lineare delle parole sarebbe più plausibile
secondo l’ipotesi che le regole del linguaggio sono un prodotto socioculturale, in quanto
sembrano abbastanza semplici.

Discutiamo l’esempio di regola che determina il significato dei pronomi. Quale regole determinano il
significato di un pronome?

• un pronome è un’espressione anaforica, ovvero un’espressione il cui significato dipende dal


significato di un’altra espressione che è stata precedentemente introdotta nel discorso.

Lucai è intelligente. Luii ha anche studiato molto.

• il pronome lui si riferisce allo stesso individuo a cui si riferisce l’individuo denotato dal nome
Luca.

• i linguisti indicano l’identità di riferimento di due espressioni — in questo caso Luca e lui —
attraverso il coindiciamento, ovvero lui e Luca hanno un indice i. Questo indice ci dice che
queste due espressioni si riferiscono a uno stesso individuo.

• i pronomi ricevono significato attraverso un legame anaforico. Il legame è però soggetto a delle
restrizioni: il pronome e il suo antecedente anaforico devono accordarsi in numero, genere e
persona.

Le regole del linguaggio

• le regole del linguaggio non sono regole prescrittive.

- regole prescrittive: sono regole che hanno oggetto di istruzione esplicita, che apprendiamo
durante il percorso scolastico.

• esempi di regole prescrittive:

- non si può dire a me mi piace;

- nell’antecedente di un enunciato ipotetico controfattuale bisogna mettere un verbo al modo


congiuntivo, e nel conseguente al modo condizionale;

- i nomi propri non devono essere preceduti da una articolo.

• queste sono regole che ci sono state insegnate e prescrivono come dobbiamo combinare le
parole, ma sono spesso violate dai parlanti.

• le regole del linguaggio hanno natura completamente differente: le regole del linguaggio sono
regole che non ci vengono insegnate, sono implicitamente conosciute da tutti i parlanti nativi di
una data lingua.

Quale natura hanno le regole del linguaggio?


Un cane morde il bambino.
• in questa frase abbiamo un certo numero di parole combinate tra loro per ottenere una
sequenza che giudichiamo essere una sequenza corretta di parole della nostra lingua. È una
sequenza finita, grammaticale e che può essere vera o falsa a seconda delle circostanze che
descrive.

• le parole da cui siamo partiti possono essere, in linea teorica, combinate in modi diversi:

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1. Un cane morde il bambino.

2. Un bambino morde il cane.

3. Un morde bambino cane il.

• non tutte le combinazioni sono ammissibili: la frase in 3 è agrammaticale.

• consideriamo come regole del linguaggio le varie possibilità di combinazione di elementi del
linguaggio che danno luogo ad espressioni che sono ben formate, ovverosia che sono esperite
o sentite come frasi grammaticalmente possibili di una determinata lingua da parte dei parlanti.

• la grammatica può essere vista come un filtro delle combinazioni possibili di elementi primitivi
(parole, morfemi, suoni…).

Come si «imparano» le regole linguistiche?


il comportamentismo verbale
• potremmo ipotizzare che un bambino, nella fase di acquisizione del linguaggio:

1. si basi sull’input linguistico a cui è esposto,

2. cerchi di desumere da quell’input delle regolarità,

3. formuli delle ipotesi sulle possibili regole,

4. produca delle frasi ottenute applicando le regole ipotizzate.

- se la frase prodotta è corretta, avrà un feedback positivo.

- se la frase prodotta è sbagliata, avrà un feedback negativo e


ricomincerà a formulare nuove ipotesi da testare.

• questo tipo di approccio è un approccio che ha caratterizzato la teoria di acquisizione del


linguaggio in ambito comportamentista e che ha come suo principale rappresentante lo
psicologo americano Skinner (verbal behavior, 1957).

• secondo il comportamentismo, il meccanismo per apprendere il linguaggio è lo stesso usato per


apprendere a giocare a scacchi, a fare i calcoli, ecc.

• è un meccanismo del rinforzo dell’associazione tra stimolo e risposta. I bambini:

- ricevono un rinforzo positivo (segni di approvazione) per frasi/parole corrette.

- ricevono un rinforzo negativo (segni di disapprovazione) per frasi/parole non corrette.

• il comportamentismo verbale non può essere corretto perché:

1. il bambino produce frasi ed espressioni che non ha mai sentito e per i quali non ha mai
avuto un rinforzo;

2. il bambino non riceve quasi mai feedback negativi quando produce espressioni non
grammaticali perché i genitori e le persone con le quali il bambino interagisce sono
interessate ai contenuti delle produzioni del bambino, e non alla loro forma (questo accade
nelle prime fasi dello sviluppo del linguaggio del bambino).

3. gli studi hanno mostrato che il feedback negativo non ha effetti (i bambini perseverano nei
loro errori).

Coreferenza pronominale e riferimento disgiunto


• consideriamo ora le frasi:

1. Charlie Brown dice che lui è stanco.

2. Charlie Brown dice che (prolui) è stanco.

• la frase 2 contiene un pronome sottointeso, latente, che non viene pronunciato dai parlanti.

• le frasi 1 e 2 hanno un significato che è molto simile, ma non è esattamente lo stesso.

Chi è “lui"? Ossia, chi è stanco?


• ci sono due possibilità:

A. Charlie Brown dice di se stesso di essere stanco.

B. Charlie Brown dice di un altro individuo che quell’individuo è stanco.

• nel caso in cui (1) ha il significato riportato in (A) si parla di coreferenza pronominale, ossia il
pronome lui ha lo stesso riferimento (=coreferenza) di un altro sintagma nominale (Charlie
Brown) nella stessa frase, ovvero lui e Charlie Brown e denotano lo stesso individuo.

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• nel caso in cui (1) ha il significato riportato in (B) si parla di riferimento disgiunto, ossia il
pronome lui ha un riferimento differente da un altro sintagma nominale (Charlie Brown) nella
stessa frase.

la frase 1 — Charlie Brown dice che lui è stanco — può voler dire due cose:

Charlie Brown dice di se stesso di Charlie Brown dice di un altro individuo


essere stanco.
che quell’individuo è stanco.

questo è possibile perché il pronome lui può riferirsi a due individui: a Charlie Brown o a Snoopy.

coreferenza pronominale riferimento disgiunto
• il pronome lui si riferisce a Charlie Brown.
• il pronome lui si riferisce a Snoopy.

• il pronome ha lo stesso riferimento del • il pronome e il sintagma Charlie Brown si


sintagma Charlie Brown. riferiscono ad individui diversi.

• consideriamo ora la frase:


3. Lui dice che Charlie Brown è stanco.

Chi è “lui"? Ossia, chi dice che Charlie Brown è stanco?


• in questo caso lui può riferirsi solo e unicamente ad un altro individuo, e non può riferirsi a
Charlie Brown stesso.

• la frase in (3) non può voler dire «Charlie Brown dice di se stesso di essere stanco».

• nella frase in (3) non ci può essere lo stesso riferimento tra il pronome lui e il nome Charlie
Brown.

la frase 3 — Lui dice che Charlie Brown è stanco — può solo riferirsi ad un altro individuo:

la frase descrive correttamente questa SOLO riferimento disgiunto


situazione:

• in questo caso il pronome ha significato


disgiunto.

• lui e Charlie Brown non sono lo stesso


individuo (lui in questo caso è Snoopy).

• il pronome può solo riferirsi ad un altro


individuo.

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Quale regola dice quando un pronome può avere lo stesso riferimento di un nome?
(1) Charlie Brown dice che lui è stanco. [lui può essere Charlie Brown]

(3) Lui dice che Charlie Brown è stanco. [lui non può essere Charlie Brown]

• ipotesi di regola lineare: potremmo ipotizzare che siccome un pronome sta al posto di un
nome, deve prima esserci il nome perché il pronome possa corifervisi.

• in realtà questa regola è sbagliata.

(4) Quando lui è stanco, Charlie Brown ha mal di testa. — riferimento congiunto: lui occorre prima
di Charlie Brown, eppure entrambi hanno lo stesso riferimento.

(5) A Charlie Brown lui non rivolge la parola. — riferimento disgiunto: Charlie Brown occorre prima
di lui, eppure non possono essere lo stesso individuo.

• per formulare una regola corretta occorre identificare una struttura gerarchica per decidere
quando un pronome ed un nome possono avere lo stesso riferimento.

Il costituente
• i costituenti:

- sono delle sequenze che formano delle unità naturali di parole.

- sono le unità gerarchiche di base di una frase.

• possiamo identificare i costituenti attraverso delle operazioni sintattiche, ovverosia delle


operazioni che compiamo normalmente mentre parliamo.

• queste operazioni applicano una trasformazione ad un gruppo di parole di una frase: se il


risultato della trasformazione è una frase grammaticale allora il gruppo di parole è un
costituente.

• secondo i linguisti, la seconda frase (chiamata frase scissa) — È Charlie Brown che è stanco —
è stata generata a partire dalla prima per mezzo dell’applicazione di una regola linguistica.

• le frasi scisse vengono ottenute da delle frasi «normali», spostando degli elementi X, e
mettendoli all’interno di questa struttura:

• possiamo utilizzare la costruzione della frase scissa come un test di costituenza.

Test della frase scissa

Lucy dice dice che tu vincerai la difficile gara.

È Lucy che __ dice che tu vincerai la difficile gara.


È la difficile gara che Lucy dice che tu vincerai __.
È che tu vincerai la difficile gara che Lucy dice __.

• il costituente più grande di tutti è la frase stessa, visto che essa è senza dubbio un gruppo di
parole che forma un’unità naturale.

• l’underscore __ indica la posizione che è occupata nella frase di partenza dalla sequenza di
parole X che viene spostata

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• “dice che tu” non forma un gruppo naturale di parole, infatti la frase scissa è agrammaticale:

È dice che tu che Gianni __ vincerai la gara.


• solo i costituenti, gruppi naturali di parole, superano il test della frase scissa.

Altri esempi
• frase: Snoopy guarda lui.
• frase scissa: È lui che Snoopy guarda __ .

[lui non può essere Snoopy]


• frase scissa: È Snoopy che __ guarda lui .


• frase: Lui guarda Snoopy.


• frase scissa: È Snoopy che lui guarda __ .

[lui non può essere Snoopy]


• frase scissa: È lui __ che guarda Snoopy .


• un gruppo di parole è un costituente relativamente alla frase in cui quel gruppo di parole
occorre. Ad esempio, il pronome lui e il nome Snoopy non sono in assoluto costituenti (non lo
sono a priori).

• frase: Snoopy guarda il tramonto con lui.


• frase scissa non ammissibile: È lui che
[lui non può essere Snoopy]
Snoopy guarda il tramonto con __ .

• frase scissa ammissibile: È con lui che


Snoopy guarda il tramonto __ .


La regola per la coreferenza pronominale


Quale regola dice quando un pronome può avere lo stesso riferimento di un nome?

Charlie Brown dice che lui è stanco. Lui dice che Charlie Brown è stanco.
[lui può essere Charlie Brown]
[lui non può essere Charlie Brown]


• come abbiamo visto, una regola lineare non è corretta.

• la nozione di costituente è una nozione rilevante per capire quando un nome e un pronome
possono avere lo stesso riferimento. 


Consideriamo le frasi
lui può essere Charlie Brown lui non può essere Charlie Brown
1. Charlie Brown dice che lui è stanco.
3. Lui dice che Charlie Brown è stanco.

2. Quando lui è stanco, Charlie Brown ha 4. A Charlie Brown lui non rivolge la
mal di testa.
parola.


• bisogna identificare il costituente più piccolo che contiene il pronome applicando il test della
frase scissa.

• frase 1: Charlie Brown dice che lui è stanco.


• frase scissa: È che lui è stanco che Charlie Brown dice __.

• in (1) il più piccolo costituente che contiene il pronome è il gruppo di parole “che lui è stanco”.

• frase 2: Quando lui è stanco, Charlie Brown ha mal di testa.

• frase scissa: È quando lui è stanco che __ Charlie Brown ha mal di testa.

• in (2) il più piccolo costituente che contiene il pronome è il gruppo di parole “quando lui è
stanco”.


Notiamo che in (1) e in (2) il più piccolo costituente che contiene il pronome non contiene il
nome Charlie Brown. Possiamo ipotizzare che quando il più piccolo costituente che
contiene il pronome NON contiene il nome, il pronome può riferirsi alla stessa persona a
cui si riferisce il nome. Ovverosia quando il nome non è contenuto nel più piccolo
costituente che contiene anche il pronome, il pronome può essere coreferente con il nome e
dunque il pronome può riferirsi al nome.

Pagina 58

• frase 3: Lui dice che Charlie Brown è stanco.

• frase scissa: Lui dice che Charlie Brown è stanco.

• in (3) il più piccolo costituente che contiene il pronome è tutta la frase.

• frase 4: A Charlie Brown lui non rivolge la parola.

• frase scissa: A Charlie Brown lui non rivolge la parola.

• in (4) il più piccolo costituente che contiene il pronome è tutta la frase.

Notiamo che in (3) e in (4) il più piccolo costituente che contiene il pronome contiene anche
il nome Charlie Brown. Possiamo ipotizzare che quando il più piccolo costituente che
contiene il pronome contiene il nome, il pronome NON può riferirsi alla stessa persona a
cui si riferisce il nome.

Acquisizione e povertà dello stimolo


• queste considerazioni che riguardano la natura delle regole grammaticali sono state sfruttate dai
linguisti per sostenere che il linguaggio abbia una componente innata e che ci debba essere
una predisposizione genetica per l’acquisizione e la crescita delle regole sintattiche che ci
permettono di sviluppare la nostra competenza linguistica.

• dal punto di vista della tabula rasa, individuare una regola come quella della coreferenza
pronominale è estremamente complesso perché la cosa più semplice e intuitiva che potrebbe
fare il bambino alla nascita è quella di affidarsi all’ordine lineare delle parole (abbiamo però
visto che le informazioni di ordine lineare non funzionano e sono forvianti).

• la natura delle regole grammaticali è estremamente complessa e non è evidente direttamente.

• lo stimolo è troppo povero perché un bambino possa acquisire una regola così complessa dal
punto di vista combinatorio (che fa uso di relazioni di tipo gerarchico-stutturale).

• è sorprendente come i bambini riescano a padroneggiare una regola così complessa.

• i bambini monolingue italiano a 3 anni sanno che la frase in (1) non può essere usata per
descrivere la situazione raffigurata in B (esperimento condotto dalla ricercatrice che ha lavorato
sui fenomeni di coreferenza pronominale nei bambini in diverse lingue del mondo).

1. Snoopy guarda lui.

• come abbiamo detto, i linguisti (e Chomsky in particolare) sostengono che le regole siano
troppo complesse per essere apprese da un bambino sulla base degli stimoli a cui è esposto
nel tempo breve in cui le apprende.

• lo stimolo è troppo povero per poter condurre il bambino alla regola giusta.

• la ragione per cui lo stimolo sarebbe troppo povero è che la regola viene computata su una
struttura astratta che non ha un riflesso sull’organizzazione fisica della frase.

• quindi, la regola di coreferenza non sarebbe appresa, ma sarebbe invece parte del patrimonio
genetico del bambino (nei nostri geni è codificato come si svilupperà il nostro cervello e come
si svilupperà il nostro cervello determinerà come alcune informazioni verranno processate).

• se la regola di coreferenza fa parte del patrimonio genetico, ci si aspetta che essa sia un
universale linguistico, ovvero sia presente in tutte le lingue parlate dagli appartenenti alla nostra
specie.

• questo sembra essere corretto, almeno nelle lingue che sono state studiate finora.

Pagina 59

LEZIONE 18 - COSTITUENTI E SINTAGMI

Test della frase scissa


frase: Snoopy vuole cucinare una frittata.
• voglio verificare che il gruppo di parole “una frittata” sia un costituente.

• test della frase scissa: È una frittata che Snoopy vuole cucinare __

• ottengo una frase grammaticale, quindi “una frittata” è un costituente.

Oltre al test della frase scissa, si possono applicare più test grammaticali per verificare se un gruppo
di parole è un costituente.

Test della proforma


• il test della proforma consiste nel sostituire un gruppo di parole con un pronome. Se posso
sostituire quel gruppo di parole con un pronome, allora quel gruppo di parole è un costituente.

frase: Snoopy vuole cucinare una frittata.


• voglio verificare che il gruppo di parole “una frittata” sia un costituente.

• test della proforma: Snoopy vuole cucinarla.

Snoopy la vuole cucinare.

• ottengo una frase grammaticale, quindi “una frittata” è un costituente.

frase: Snoopy vuole andare a Roma in bici.


• voglio verificare che il gruppo di parole “a Roma” sia un costituente.

• test della proforma: Snoopy vuole andarci in bici. (ci è un pronome clitico).

• ottengo una frase grammaticale, quindi “a Roma” è un costituente.

frase: Snoopy ha parlato di Roma ad un mio amico.

• voglio verificare che il gruppo di parole “di Roma” sia un costituente.

• test della proforma: Snoopy ne ha parlato ad un mio amico.


• ottengo una frase grammaticale, quindi “di Roma” è un costituente.

frase: Snoopy è felice.

• voglio verificare che il gruppo di parole “felice” sia un costituente.

• test della proforma: Snoopy lo è.


• ottengo una frase grammaticale, quindi “felice” è un costituente.

I costituenti possono essere costituenti complessi che contengono al loro interno altri costituenti.
frase: Snoopy vuole cucinare una frittata.
• voglio verificare che il gruppo di parole “cucinare una frittata” sia un costituente.

• test della proforma: Snoopy lo vuole.


Snoopy vuole farlo.

• ottengo una frase grammaticale, quindi “cucinare una frittata” è un costituente.

• si tratta di un costituente complesso in quanto si tratta di un costituente che contiene un altro


costituente: [cucinare [una frittata].

• per alcuni costituenti non abbiamo pronomi in italiano (ciò non vuol dire che quel gruppo di
parole non sia un costituente perché non abbiamo un gruppo di parole per poterlo sostituire).

• in italiano, per alcune classi di espressioni, non abbiamo pronomi (ad esempio le espressioni
temporali).

Pagina 60

Test di enunciabilità in isolamento


• se un gruppo di parole è un costituente può essere pronunciato in isolamento, per esempio
come risposta a una domanda.

frase: Snoopy vuole andare a Parigi in bici con il compagno di corso.

• test: dove vuole andare in bici Snoopy? A Parigi.

• test: con chi vuole andare a Parigi in bici Snoopy? Con il compagno di corso.

• test: come vuole andare a Parigi Snoopy? In bici.

• "a Parigi”, “con il compagno di corso” e “in bici” sono costituenti.

Test di non inseribilità


• se un gruppo di parole è un costituente non possiamo inserire un costituente al suo interno.

frase: Snoopy vuole andare a Parigi in bici con il compagno di corso domani.
• test: Snoopy vuole andare a Parigi in domani bici con il compagno di corso. (questa frase è
agrammaticale)

Test della coordinazione


• solo i gruppi di parole che formano costituenti possono essere coordinati, per esempio
attraverso la congiunzione "e" o la disgiunzione “o”.

• se un gruppo di parole è un costituente, allora posso coordinarlo con un altro gruppo di parole
che è a sua volta un costituente.

- test: Snoopy vuole andare a Parigi in bici o in deltaplano.

- test: Snoopy vuole andare a Parigi e a Roma in bici.

• si possono coordinare solo costituenti dello stesso tipo:

- test: Snoopy vuole andare a Parigi o domani.

• nella nostra grammatica mentale noi sappiamo distinguere fra ciò che è un costituente e ciò che
non lo è.

• sappiamo anche dividere i costituenti in diverse tipologie (i sintagmi nominali, quelli


preposizionali, quelli aggettivali ecc.) e li combiniamo secondo certi schemi che fissano la loro
compatibilità reciproca.

Test dell’ellissi
• possiamo cancellare o elidere gruppi di parole che sono costituenti.

• solo i gruppi di parole che formano costituenti possono essere omessi.

frase: Snoopy will go to Rome and Lucy will go to Rome too.

• test: Snoopy will go to Rome and Lucy will __ too.

frase: Snoopy vorrebbe andare a Parigi ma forse non vorrebbe andare a Parigi.

• test: Snoopy vorrebbe andare a Parigi ma forse non vorrebbe __ .

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Quali sono i confini del costituente verbale?


• costituente verbale: gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.

frase: Snoopy vuole cucinare una frittata.

• “cucinare una frittata” è un costituente.

• il costituente verbale può includere “vuole”?

• applichiamo la proforma:

1. Snoopy vuole cucinare una frittata e anche Linus dice di volerlo (fare).

2. Snoopy vuole cucinare una frittata e anche Linus dice di lo (fare).

• nella frase (1) ho sostituito il verbo e il suo complemento, ma non “vuole”.

• nella frase (2) ho cercato di sostituire anche “vuole”, ma ho ottenuto una frase agrammaticale.

• “vuole” non è parte del gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.

frase: Snoopy will cook an omelette.

• il costituente verbale può includere “will”?

• applichiamo la proforma:

1. Snoopy will cook an omelette and Linus do it too.

2. Snoopy will cook an omelette and Linus will do it too.

• nella frase (1) ho cercato di sostituire anche “will”, ma ho ottenuto una frase agrammaticale.

• nella frase (2) ho sostituito solo “cook an omelette”, ma non “will”.

• “will” non è parte del gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.

• in inglese, l’ausiliare will codifica l’informazione che l’evento avverrà nel futuro.

frase: Snoopy cucinerà una frittata.


• il costituente verbale può includere “rà”?
• applichiamo la proforma:
1. Snoopy cucinerà una frittata e anche Linus lo farà.

2. Snoopy cucinerà una frittata e anche Linus lo faceva.

3. Snoopy cucinerà una frittata e anche Linus lo fare.

• nella frase (1) ho cercato di sostituire anche “rà” con la proforma “farlo”, ma ho comunque
dovuto ripetere “rà”.

• nella frase (2) ho cercato di sostituire “rà”, ma ho dovuto sostituirlo con l’imperfetto (in questo
modo non rispetto il morfema temporale).

• nella frase (3) ho cercato di sostituire anche “rà”, ma ho ottenuto una frase agrammaticale.
• in italiano, il morfema temporale “rà” codifica che l’evento avverrà nel futuro.

• se ripeto “will” nella proforma significa che non lo posso sostituire e quindi non fa parte del
costituente verbale (lo stesso vale per “rà”).

• “rà” svolge la stessa funzione di “will” e quindi mi chiedo se anche lui fa parte del costituente
verbale (come “will”, non ne fa parte, nonostante sia parte integrante del verbo).

• questo significa che quando costruisco la frase “Snoopy cucinerà una frittata”:

- prima costruisco la forma senza tempo “Snoopy cucinare una frittata”,

- poi attacco “rà” per dire che l’evento avviene nel futuro.

• questo “rà” non è parte del costituente verbale, come non lo è “will”.

Spiaggiamento del quantificatore


frase 1: The boys have all watched a baseball game on TV.
frase 2: All the boys have watched a baseball game on TV.
• le frasi (1) e (2) hanno più o meno lo stesso significato.

• nella frase (2) il costituente “The boys” contiene anche “all”.

Come vengono generate queste due frasi?


• le frasi sono generate attraverso l’applicazione di operazioni applicate in successione secondo
delle regole grammaticali che agiscono come filtri sulle possibili combinazioni.

Pagina 62

• quando genero la frase All the boys have watched a baseball game on TV:

1. prima codifico “All the boys watched a baseball game on TV” perché prima codifico
l’evento che voglio descrivere.
2. poi aggiungo il “quando”, ovvero l’informazione temporale (il “quando” in questo caso è
denotato da “have”).

3. successivamente “All the boys” si sposta per un’ulteriore trasformazione e va alla sinistra di
“have” e la frase può essere pronunciata.

4. ci sono però casi in cui, per motivi comunicativi, invece di spostare “All the boys”, si sposta
solamente “the boys” e si lascia “all” nella sua posizione.

• il fenomeno rappresentato in (4) prende il nome di spiaggiamento del quantificatore (quantifier


stranding), perché il quantificatore “all” è stato abbandonato nella sua posizione.

1. All the boys watched a baseball game on TV.

2. Have all the boys watched a baseball game on TV.

3. All the boys have watched a baseball 4. The boys have all watched a baseball
game on TV.
game on TV.


“All” è parte del costituente verbale? (sì)


• “all” predica qualcosa di “The boys”, il soggetto della frase.

• possiamo applicare il test dell’ellissi (possiamo cancellare gruppi di parole che sono costituenti).
- test 1: They have all watched a baseball game on TV?

Loro hanno? (Davvero lo hanno fatto?)

- test 2: They have all watched a baseball game on TV?

Loro hanno tutti?

• nel test (1) cancello la sequenza che contiene “all” e ottengo una frase grammaticale.

• nel test (2) cancello la sequenza che non contiene “all” e ottengo una frase agrammaticale
perché “all” fa parte del gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.

In quale relazione stanno le parole che si raccolgono attorno al verbo?


frase: I poliziotti vogliono inseguire il ladro domani.

• mi chiedo se all’interno del costituente verbale ci sia una struttura lineare e applico dei test di
costituenza per capirlo.

• il costituente verbale contiene più costituenti al suo interno:

- il costituente [ inseguire ]

- il costituente [ il ladro ]

- il costituente [ domani ]

• se il costituente verbale contiene tre elementi e questi sono sullo stesso piano gerarchico
(struttura lineare), allora posso prendere i costituenti singolarmente uno alla volta o tutti e tre
insieme, ma non posso prendere raggruppamenti intermedi.

costituente verbale

I poliziotti vogliono [ inseguire ] [ il ladro ] [ domani ] .

• test della frase scissa: È domani che i poliziotti vogliono inseguire il ladro __ .

• test della frase scissa: È il ladro che i poliziotti vogliono inseguire __ domani.

Pagina 63

• test della proforma: Anche i vigili vogliono farlo.

costituente verbale

I poliziotti vogliono [ inseguire ] [ il ladro ] [ in città ] .

• ad esempio, non posso prendere solo i costituenti [ inseguire ] e [ il ladro ].

- test della proforma: Anche i vigili vogliono farlo.

- test della proforma: I carabinieri vogliono farlo in campagna.

• il test della proforma mi permette di prendere solo i costituenti [ inseguire ] e [ il ladro ], ma non
posso farlo con una struttura lineare. Ecco perché occorre una struttura gerarchica.

• la struttura gerarchica introduce una struttura stratificata su diversi piani gerarchici e mi


permette di avere strutture intermedie.

• posso quindi ipotizzare che [ inseguire ] e [ il ladro ] sono in relazione tra loro e formano un
costituente. Questo, a sua volta, è in relazione con il costituente [ in città ].

- il nodo 1 è formato dal costituente [ inseguire ] e dal costituente [ il ladro ].

- il nodo 2 è formato da tutti e tre i costituenti.

costituente verbale

nodo 2

nodo 1

I poliziotti vogliono [ inseguire ] [ il ladro ] [ in città ] .

• se ho una struttura di questo tipo posso sostituire, con il test della proforma, anche costituenti
intermedi come i costituenti [ inseguire ] e [ il ladro ].

- test della proforma: Anche i vigili vogliono farlo.

- test della proforma: I carabinieri vogliono farlo in campagna.

I linguisti hanno chiamato questa struttura gerarchica, STRUTTURA SINTAGMATICA.

La struttura del sintagma verbale


• la struttura gerarchica del costituente verbale (struttura sintagmatica) è il sintagma verbale.

frase: I poliziotti hanno tutti inseguito il ladro in città.

• la testa del sintagma verbale è il verbo — “inseguito”

• la testa sta in relazione con il complemento del verbo — “il ladro”


• la testa e il suo complemento sono in relazione con l’aggiunto — “in città”
• infine, alla sinistra della struttura, ho lo specificatore “tutti”.

Pagina 64

• ci sono delle posizioni relazionali all’interno della struttura sintagmatica:


1. posizione della testa: è la posizione occupata dalla parola che comanda.

2. posizione del complemento: la testa sta in relazione con il complemento.

3. posizione dell’aggiunto: testa + complemento stanno in relazione con un aggiunto (posso


avere più di un aggiunto).

4. posizione dello specificatore

• la testa è un elemento lessicale (una parola che c’è nel nostro lessico), è cioè formata da
una sola parola.

• il complemento, come gli aggiunti e lo specificatore, invece, sono un raggruppamento di


parole e quindi sono dei costituenti (la testa non è un costituente).

• se un verbo è transitivo sta in relazione con una proiezione del complemento.

• la testa è etichettata come v, mentre la testa e il suo complemento sono etichettate come v’.
Questo accade perché la testa, quando entra in relazione con il suo complemento, muta le
proprietà combinatorie (ad esempio, una volta combinatasi con il complemento non si combina
più con un complemento).

• quando inserisco gli aggiunti e li metto in relazione con v’, che ho ottenuto combinando la testa
con il complemento, non cambiano le proprietà combinatorie perché gli aggiunti apportano
modificazioni di significato e non combinatorie.

• gli aggiunti non sono essenziali per descrivere l’evento di cui voglio parlare, ma sono comunque
importanti. Si dice che sono opzionali (facoltativi) e possono essere di numero potenzialmente
infinito.

• quando metto in relazione gli aggiunti — il gruppo v’ — con lo specificatore cambio nuovamente
le proprietà combinatorie e ottengo il sintagma, ovverosia la proiezione massimale.

• questa struttura è un universale linguistico che dipende dal nostro patrimonio genetico:
possiamo combinare parole per formare frasi solamente seguendo questo schema combinatorio
perché abbiamo un cervello fatto in un modo tale che ci permette solamente di seguire questo
schema. Questo schema combinatorio fa parte del nostro patrimonio genetico.

- per essere così, questa struttura deve essere rintracciabile in tutte le lingue parlate nel
mondo.

struttura del sintagma verbale



Pagina 65

LEZIONE 19 - SINTAGMI

• proiezione massimale: è la proiezione oltre la quale non possiamo aggiungere materiale. Se


aggiungiamo materiale a quel gruppo di parole, otteniamo un gruppo di parole di una diversa
categoria sintattica.

• nel nostro lessico mentale le parole sono classificate in base alla loro categoria sintattica (verbi,
articoli, morfemi, preposizioni, congiunzioni, ecc.).

• per sapere a che categoria sintattica appartiene una parola devo capire con quali altre parole si
combina quella parola.

- es: una parola appartiene alla categoria sintattica “articolo” se si combina con un nome.

Teoria X-barra

struttura sintagmatica

• abbiamo detto che assumiamo questa struttura come universale linguistico.

• questo modello è definito dalla teoria X-barra perché le diverse proiezioni all’interno di questa
struttura si differenziano per delle barre.

• all’interno di questa struttura le proiezioni sono differenti anche dal punto di vista combinatorio,
ad esempio:

- x (testa) richiede di combinarsi con un complemento

- x’ (testa + complemento) non richiede più di combinarsi con un complemento

• x’ può combinarsi con un aggiunto. Gli aggiunti sono facoltativi e iterabili, cioè possiamo
introdurre sempre nuovi aggiunti proprio perché non cambiano le proprietà combinatorie
dell’elemento con cui si combinano (ottengo sempre x’).

• quando però combino lo specificatore con x’ ottengo x’’ o XP, la proiezione massimale.

• quando combino la proiezione massimale con qualcos’altro il risultato non è più un costituente
di tipo X, ma è un costituente di tipo differente, del tipo Y ad esempio.

Pagina 66

frase: I ragazzi hanno tutti ascoltato il concerto in giardino.

• “il concerto” è un gruppo di parole che sta nella posizione di complemento del verbo ed è
anche è un costituente (non è un elemento lessicale) e quindi ha una sua struttura interna, le
parole che lo formano stanno in relazione tra di loro in qualche modo.

• abbiamo detto che la struttura sintagmatica è universale, quindi anche “il concerto” dovrebbe
avere questa struttura, cioè la struttura del sintagma che lo contiene. Potremmo fare lo stesso
ragionamento con “in giardino”, che è anche esso un costituente e come tale ha una struttura
(noi vogliamo dimostrare che questa struttura è quella sintagmatica).

sintagma nominale
“il concerto” ha una struttura sintagmatica?
• ipotizziamo che “concerto” sia la testa del sintagma nominale.

• il complemento è presente ma non è occupato da materiale lessicale (non c’è niente nel
complemento) perché concerto è un nome non relazionale.

• “il” funge da specificatore.

• possiamo dire che anche “il concetto” ha una struttura sintagmatica.

struttura sintagmatica di “il concerto”


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struttura sintagmatica di “il concerto”

• questo è un esempio del fatto che il linguaggio genera espressioni applicando operazioni
combinatorie di tipo ricorsivo (ho incassato all’interno di una struttura una struttura dello
stesso tipo).

immaginiamo ora di avere l’espressione il concerto di Maria.

“di Maria” è il complemento di “concerto”?

• “concerto” non descrive un evento transitivo (Maria non viene concertata, non è l’oggetto
dell'evento).

• il concerto non ha un oggetto, descrive una situazione.

• “di Maria” è un aggiunto.

• la proiezione del complemento è sempre presente anche se non è occupata da materiale


lessicale perché cambiano le proprietà combinatorie della testa: quando la testa entra in
relazione con il complemento da n diventa n’, mentre quando si combina un n’ con un aggiunto
rimane sempre n’.
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immaginiamo ora di avere l’espressione la fondazione di Roma.

“di Roma” è il complemento di “fondazione”?

• “fondazione” è un nome relazionale: descrive un evento transitivo, in cui c’è qualcuno che
fonda qualcos’altro (descrive chi fa che cosa, lasciandoli impliciti).

• “di Roma” è il complemento del nome “fondazione”.

• non c’è una regola generale per capire se un sintagma preposizionale è complemento o
aggiunto di un nome.

Possiamo seguire questo ragionamento:

Se il nome è un nome relazionale, ovvero denota un evento che ha un agente, allora quel
nome può prendere un complemento.

• fondazione: denota un evento che ha un agente che fonda e qualcosa che viene fondato.

• i nomi relazionali come fondazione di solito sono nomi derivati.

• fondazione: deriva dal verbo transitivo fondare

• altri nomi relazionali sono fotografia, studente, ecc.

Pagina 69

LEZIONE 20 - SINTAGMI

• l’espressione la fondazione di Roma vicino al Tevere designa un caso in cui è presente sia
l’aggiunto che il complemento.

nell’espressione la fondazione dei Romani, “dei Romani” è un aggiunto.

• a differenza dei verbi, i nomi si comportano in modo diverso:

- i verbi, quando sono transitivi, vogliono del materiale lessicale nella posizione del
complemento.

- i nomi, invece, li possono avere (non è obbligatorio).

con i nomi:
• ci sono casi in cui questo gruppo di parole • ci sono casi in cui la posizione del
che sta nella posizione di complemento non complemento deve essere riempita da
viene fornito (il parlante non lo ritiene materiale lessicale.

rilevante).
• prendiamo ad esempio l’espressione la
• prendiamo ad esempio l’espressione la fondazione di Roma dei Romani.

fondazione dei Romani.

Pagina 70

• come abbiamo detto, gli aggiunti, al contrario dei complementi, sono iterabili.

• prendiamo l’espressione La fondazione di Roma dei romani vicino al Tevere.

Perché una struttura lineare non è corretta per un sintagma nominale?


frase: Ho ascoltato tre registrazioni di Jacob Collier.
• il pronome partitivo “ne” può sostituire parte del sintagma nominale che è complemento del
verbo. Se può sostituire parte del sintagma nominale che è complemento del verbo, vuol dire
che devo avere modo di raggruppare le parole che fanno parte del complemento del verbo (in
questo caso “tre registrazioni di Jacob Collier”) in sottogruppi. Questo significa che c’è una
struttura gerarchica.

sintagma nominale

Ho ascoltato [ tre ] [ registrazioni ] [ di Jacob Collier ] .

test della proforma: Ne ho ascoltate tre __ .

test della proforma: Ne ho ascoltate tre __ di Jacob Collier .

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• il pronome partitivo ne può sostituire parte del sintagma nominale che è complemento del
verbo. Se la struttura fosse piatta non potremmo sostituire “registrazioni di Jacob Collier”.

• se la struttura fosse lunare non avrei potuto sostituire [ registrazioni ] [di Jacob Collier ] perché
non potrei sostituire raggruppamenti intermedi.

• ho bisogno di una struttura stratificata, in cui [ registrazioni ] entra in relazione con [ Jacob Collier ]
e [ tre ] sta nella posizione di specificatore.

• [ Jacob Collier ] può occupare proiezioni differenti:

- proiezione di complemento: codifica informazioni che ci dicono chi viene registrato.

- proiezione di aggiunto: codifica informazioni che riguardano chi ha registrato o chi possiede
quelle registrazioni (dipende dal contesto).

sintagma nominale

[ tre ] [ registrazioni ] [ di Jacob Collier ]

espressione: l’ascolto del concerto

• anche i sintagmi nominali possono prendere un complemento lessicale: quando un nome deriva
da un verbo relazionale può prendere un complemento lessicale.

• “ascolto” è un nome relazionale perché denota un evento che include qualcuno che ascolta e
qualcosa che viene ascoltato.

• quando parliamo di sintagmi nominali possiamo anche avere nomi propri e nomi non relazionali.

- in italiano i nomi proprio non prendono complemento.

• è più difficile mettere un nome proprio (o il suo complemento, che in questo caso è vuoto), in
relazione con un aggiunto.

- nel caso di “la sedia in giardino” utilizzo l’aggiunto “in giardino” per distinguere quella sedia da
altre sedie.

- nel caso di “Gianni” non è necessario perché il nome proprio denota già un individuo specifico.

Pagina 72

nome proprio
nome non relazionale

Ambiguità

il sintagma “la studentessa della Bicocca” può avere due significati:

La studentessa che studia alla Bicocca La studentessa che studia la Bicocca

• le due interpretazioni sono associate a due rappresentazioni sintagmatiche differenti.

- nel primo caso “della Bicocca” occupa una posizione di aggiunto.

- nel secondo caso “della Bicocca” occupa una posizione di complemento.

Problema

• nell’espressione “Leo ha visto la sua fotografia di Paolo”, “la sua” si trova nella posizione di
proiezione di specificatore (lo specificatore non è iterabile).

• abbiamo detto che in ogni sintagma la testa è una parola, quindi all’interno di una frase ogni
parola è un sintagma (c’è un sintagma per ogni parola che forma una frase).

• quindi, ne “la sua fotografia” “la” è la testa di un sintagma e “sua” è la testa di un sintagma.

• i linguisti hanno ipotizzato di assumere che “sua” sia la testa di un sintagma che occupa la
proiezione di specificatore di NP e gli articoli siano teste di sintagmi che occupano la proiezione di
testa del sintagma.

• l’NP “sua fotografia di Paolo” è complemento dell’articolo “la”.

Pagina 73

• “la” è la testa di un sintagma del determinante (gli articoli vengono chiamati anche determinanti)
che sta in relazione con un sintagma nominale.

• “sua” è una proiezione massimale, quindi occupa la posizione di testa di un sintagma.

• i linguisti usano i triangoli per dire indicare un sintagma e non una proiezione lessicale.

la [ sua fotografia di Paolo ]

la [ fotografia di Paolo ]
Pagina 74

sintagma preposizionale

espressione: la studentessa di linguistica

• “di linguistica” può essere considerato il complemento di un nome.

• “la” è la testa di un sintagma del determinante che prende come complemento “studentessa di
linguistica”.

• “di linguistica” è un costituente che viene introdotto dalla preposizione “di”.

- le preposizioni sono teste di sintagmi preposizionali.

• “linguistica” sarà la testa del sintagma nominale, che è complemento della preposizione “di”.

- la preposizione “di” entra in relazione con un gruppo di parole, il sintagma nominale “linguistica”,
che contiene solamente la testa.

espressione: la studentessa di linguistica della Bicocca

• spesso troviamo delle preposizioni che si sono unite a degli articoli, come ad esempio “della”.

- della è dato dalla preposizione “di” e dall’articolo “la”.

Pagina 75

• “di linguistica”: il complemento della preposizione “di” è un sintagma nominale (NP) perché non ho
articoli.

• “di la Bicocca”: “la” è la testa di un sintagma del determinante (DP) che ha come complemento un
sintagma nominale che ha come testa “Bicocca”.

Struttura sintagmatica e ambiguità


• le frasi non sono formate da parole messe semplicemente le une in fila alle altre: le parole
occorrono in raggruppamenti.

• il modo in cui raggruppiamo le parole contribuisce a determinare il significato che codifichiamo


con quel raggruppamento di parole.

frase: Il poliziotto ha inseguito il ladro con la moto.

• “inseguire" è un verbo transitivo che prende come complemento “il ladro”.

• “con la moto” è un aggiunto.

• la frase è ambigua perché può voler dire:

1. il ladro era in moto e il poliziotto lo stava inseguendo — in questo caso “con la moto” è un
aggiunto che modifica il nome “ladro”.

2. il poliziotto era in moto e inseguiva il ladro — in questo caso “il ladro” entra in relazione con il
verbo “inseguire” e “con la moto” è aggiunto del sintagma verbale (in questo caso modifica il
verbo + il suo complemento).

• ipotizziamo che “con la moto” modifica il nome “ladro” (quindi devono far parte dello stesso
raggruppamento). Assumiamo che [ il ladro con la moto ] sia un costituente unico e applichiamo il
test della frase scissa:

test: E’ il ladro con la moto che il poliziotto ha inseguito __ .

• applicando il test della frase scissa, la frase non è più strutturalmente ambigua.

• se invece assumiamo che [ il ladro ] e [ con la moto ] sono due costituenti distinti possiamo
costruire delle frasi scisse con ognuno di questi costituenti.

test: E’ con la moto che il poliziotto ha inseguito il ladro __ .


test: E’ il ladro che il poliziotto ha inseguito __ con la moto.

• i significati delle frasi dipendono dai raggruppamenti in costituenti.

• il significato dipende dalla struttura:

la frase originale Il poliziotto ha inseguito il ladro con la moto. può avere significato 1 e 2.

la frase scissa E’ il ladro con la moto che il poliziotto ha inseguito __ . può avere significato 1.
la frase scissa E’ con la moto che il poliziotto ha inseguito il ladro __ . può avere significato 2.
la frase scissa E’ il ladro che il poliziotto ha inseguito __ con la moto. può avere significato 2.

significato 1
significato 2

Pagina 76

frase: Gli studenti hanno visto [ il salvataggio dell’uomo con il kitesurf ]

• la frase è ambigua tra due letture:

- “con il kitesurf” può codificare informazioni che riguardano il modo in cui l’uomo è stato salvato.

- “con il kitesurf” può codificare informazioni che riguardano l’attività che stava compiendo
l’uomo che è stato salvato.

• a ogni lettura corrisponde una struttura diversa.

lettura in cui “con il kitesurf” modifica “uomo”


“con il kitesurf” è in posizione di aggiunto di “uomo”

si dice che questa è un’interpretazione restrittiva, perché restringe l’universo di uomini di cui sto
parlando.

lettura in cui “con il kitesurf” modifica “il salvataggio dell’uomo”

“con il kitesurf” è in posizione di aggiunto di “salvataggio dell’uomo”

Pagina 77

Complemento e aggiunti
• non bisogna confondere complemento del verbo e aggiunti.

• gli aggiunti sono facoltativi (possono anche non esserci), e sono iterabili (possono essere un
numero indefinito).

Gianni osserva la foto. — 0 aggiunti

Gianni osserva la foto [ con attenzione ]. — 1 aggiunto

Gianni osserva la foto [ in cucina ] [ con attenzione ]. — 2 aggiunti

Gianni osserva la foto [ in cucina ] [ con attenzione ] [ da più di due ore ]. — 3 aggiunti

Gianni osserva la foto [ in cucina ] [ con attenzione ] [ da più di due ore ] [ con una faccia triste ]. — 4
aggiunti

• nonostante la proiezione del complemento non sia iterabile, i verbi prendono spesso due
complementi. La struttura sintagmatica di questi verbi è un po’ complessa e prevede due
proiezioni in cui i due complementi del verbo vengono lessicalizzati.

• ci sono:

- verbi intransitivi: non prendono alcun complemento esplicito (es: cenare).

- verbi transitivi: prendono un complemento esplicito (es: divorare).

- verbi ditransitivi: prendono due complementi espliciti (es: presentare).

• la proiezione del verbo non è iterabile: il verbo “presentare” è morfologicamente complesso e va


scomposto in due sintagmi nei quali troviamo i due complementi.

sintagma aggettivale
• gli aggettivi sono teste di sintagmi aggettivali.

• quando un aggettivo è relazionale prende un complemento.

Pagina 78

struttura sintagmatica della frase


frase: Gli studenti hanno [ tutti visto la rappresentazione della Tosca ] VP .
• in che posizione metto “Gli studenti hanno”?

• “tutti” è un sintagma del quantificatore (appartiene alla categoria sintattica dei quantificatori).

• “tutti” fa parte del sintagma verbale.

• i linguisti hanno ipotizzato che in una frase l’ausiliare occupa la testa del sintagma della frase (o
sintagma inflessionale), ovvero quella proiezione che viene usata per codificare informazioni che
riguardano il tempo e il modo nel quale accade l’evento descritto dal VP.

• il soggetto della frase occupa la posizione di specificatore nel sintagma inflessionale.

frase: Gli studenti hanno [ tutti visto lo spettacolo ] .


Pagina 79

mi chiedo in che relazione sta “Gli studenti” con “tutti”.

“tutti gli studenti” è un unico costituente, come mai appaiono separati nella frase?

la frase viene generata in questo modo:


• in realtà “gli studenti” non nasce nella posizione di specificatore di IP, ma nasce nella posizione di
specificatore del VP, in cui c’è anche “tutti”.

• nel VP codifico informazioni su chi fa che cosa, mentre nella I aggiungo informazioni che
riguardano il quando.

• prima che la frase venga prodotta “gli studenti” si sposta nella posizione di specificatore di IP. A
questo punto la frase può essere pronunciata.

• ci può essere anche il caso in cui tutto il sintagma “tutti gli studenti” si sposta (ho libera scelta, a
seconda del significato che voglio sottolineare).

Pagina 80

poi, parte del materiale che sta nella posizione di DP si sposta (o copiata) in un’altra posizione, ovvero
quella di soggetto della frase (specificatore di IP).

• quando sposto “Gli studenti” viene lasciata una traccia (una copia silente), invisibile a livello
fonologico. Posso spostare o “tutti gli studenti” o “gli studenti”, ottenendo due strutture
alternative, con due significati leggermente diversi (in entrambi i casi lo spostamento lascia una
traccia).

• quando si spostano, i costituenti lasciano una traccia (un segno) visibile a livello della struttura che
abbiamo nella testa.

- psicolinguistica: indaga la realtà psicologica delle tracce

Pagina 81

• “gli studenti” si sposta e viene copiato nella sua nuova posizione e lascia una copia silente.

• l’elemento che si è mosso è coindiciato (DP1) perché voglio distinguere DP1 da DP.

• quando voglio comunicare un’informazione codifico prima:

1. un’informazione che riguarda chi fa che cosa

- il fare viene codificato come testa del VP

- il cosa viene codificato come complemento del VP

- il chi viene codificato come specificatore del VP

2. un’informazione che riguarda il quando


- l’ausiliare mi dice quando ha luogo il chi fa che cosa

3. infine prendo lo specificatore del VP e lo porto in un’altra posizione

punto 1 punto 2
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punto 3
Pagina 83

LEZIONE 21

• l’aggiunto in questa struttura può anche non esserci, mentre testa, complemento e
specificatore devono sempre esserci perché sono cambiano le proprietà combinatorie.

frase: Leo ha visto la sua fotografia di Paolo.

• vedere è la testa verbale e prende come complemento un NP

• la testa dell’NP è il nome fotografia


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• problema: ho due elementi da mettere nello specificatore, ma posso metterne solo una (lo
specificatore non è iterabile).

- ho due parole, “la” e “sua”; abbiamo detto che ogni parola è la testa di un sintagma, quindi
dovrò avere due sintagmi.

- i linguisti hanno detto che i determinanti sono teste dei sintagmi del determinante che
prendono come complemento un sintagma nominale.

- la è la testa di un sintagma del determinate che prende come complemento un sintagma


nominale.

DP: sintagma del determinante

• possiamo riscontrare un’analogia tra il complemento dell’articolo e l’oggetto del verbo:

- gli articoli vogliono un complemento

- i verbi transitivi vogliono un complemento

• quando non ho il pronome possessivo sua la proiezione dello specificatore dell’NP è vuota.

Pagina 85

assumiamo sempre che gli articoli siano teste del DP come in La sua fotografia di Paolo.

sintagma preposizionale

• il sintagma preposizionale (PP) ha come testa una preposizione e prende come complemento
un DP o un NP.

- quando c’è un articolo ho un DP

- quando non c’è un articolo ho un NP

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albero sintattico dell’ambiguità di pagina 72 ma con il DP

altra ambiguità
espressione: L’osservazione dell’uomo col binocolo

due significati possibili:

1. l’uomo può avere il binocolo


2. col binocolo può codificare informazioni che
[ col binocolo ] modifica [ dell’uomo ]
riguardano come ha luogo l’osservazione
dell’uomo

[ col binocolo ] modifica [ l’osservazione


dell'uomo ]

Pagina 87

significato 1

significato 2
Pagina 88

• spesso le parole hanno una morfologia che dipende da alcune operazioni regolate dal contesto
nel quale occorrono.

- morfologia contestuale: riguarda la forma che le parole assumono dipendentemente dal


contesto sintattico (es: l’accordo di un verbo dipende dal contesto).

- morfologia libera: dipende da libere scelte del parlante (es: usare il plurale o il singolare di un
nome).

frasi:
a) Gli studenti hanno mangiato una pizza.

b) Gli studenti mangiavano una pizza.

• i verbi appartengono a classi diverse e in base a queste hanno paradigmi flessivi differenti. La
vocale tematica del paradigma flessivo ci segnala a quale paradigma flessivo appartengono.

• il verbo mangiare nella frase (b) porta della morfologia flessiva, che in parte è una morfologia
libera e in parte una contestuale.

mangiavano = mangi+(a)vano

• vano mi dice che la situazione descritta dal verbo accade:

- nel mondo attuale (modo indicativo),

- nel passato (tempo passato),

- in corso nel passato (aspetto imperfetto),

• questa parte della morfologia dipende dal parlante (è lui che decide di parlare di un evento
passato, ecc.).

- 3 plurale (il soggetto è una pluralità altra dal parlante e dall’ascoltatore).

• questa parte della morfologia è invece contestuale (è il soggetto che determina che il verbo
debba uscire al plurale, non lo decide il parlante).

c) Gli studenti mangiarono una pizza.

mangiarono = mangi+(a)rono

• rono mi dice che la situazione descritta dal verbo accade:

- nel mondo attuale (modo indicativo),

- nel passato (tempo passato),

- è terminata (aspetto perfetto),

- 3 plurale (il soggetto è una pluralità altra dal parlante e dall’ascoltatore).

d) (Adesso) gli studenti mangiano una pizza.

mangiano = mangi+(a)no

• no mi dice che la situazione descritta dal verbo accade:

- • nel mondo attuale (modo indicativo),

- nel presente (tempo presente),

- è in corso (aspetto imperfetto),

- 3 plurale (il soggetto è una pluralità altra dal parlante e dall’ascoltatore).

e) (Adesso) gli studenti mangerebbero una pizza (... se potessero).


mangerebbero = mangi+(e)rebbero (variazione della vocale tematica da a ad e)

• rebbero mi dice che la situazione descritta dal verbo accade:

- in un mondo non attuale/reale (modo condizionale),

- nel presente (tempo papresentessato),

Pagina 89

- è in corso (aspetto imperfetto),

- 3 plurale (il soggetto è una pluralità altra dal parlante e dall’ascoltatore).

• il linguaggio ci permette non solo di parlare di eventi presenti attuali, ma permette anche una
dislocazione temporale (possiamo parlare di eventi futuri) e una dislocazione modale
(possiamo parlare di eventi immaginari).

Il VP descrive l’evento, la morfologia flessiva non contestuale codifica informazioni che


riguardano il tempo, il come nel tempo e il mondo dell’evento.

• ho due movimenti:

1. il verbo si muove dalla testa di V alla testa di I — il lessema “guard” si sposta in I e si


attacca al morfema flessivo “ava”

2. il soggetto si sposta dallo specificatore del VP allo specificatore di IP.

• molto spesso i sintagmi si muovono da elementi di un tipo a proiezioni di uno stesso tipo (in
questo caso testa- testa, specificatore-specificatore).

Perché «guard-» si sposta?


• perché -ava è un morfema debole (non può stare da solo) che richiede di realizzarsi attaccato
ad un verbo (per questo il verbo si sposta).

Perché «Charlie Brown» si sposta?


• c’è un principio universale secondo il quale ogni frase deve avere un soggetto e il soggetto è
ciò che occupa la posizione di specificatore di IP.

Pagina 90

il soggetto di una frase


definizione contenutistica

Il soggetto è colui che compie l’azione.


• problema:

1. Gianni ha spinto Piero. — il soggetto è Gianni.

2. Gianni è stato spinto da Piero. — il soggetto è Gianni, ma in questo caso è colui che subisce
l’azione.

Il soggetto è colui che compie o subisce l’azione.


• problema:
1. Gianni è biondo. — il soggetto è Gianni, ma non compie né subisce un’azione.

La definizione contenutistica è sbagliata.

definizione distribuzionale

• definizione distribuzionale: distribuzione che ricorre alla posizione degli elementi che sono
soggetto

• secondo la definizione distribuzionale, il soggetto è ciò che occupa la posizione di


specificatore di IP.

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cosa succede in una frase passiva?


• nelle frasi passive metto nella posizione di soggetto il complemento del verbo.

il morfema flessivo
• il morfema flessivo è in realtà complesso perché contiene una parte di morfologia contestuale
una non contestuale (libera).

• l’informazione sul tempo e sul modo sono codificate dalla v, motivo per cui sotto la I compare
solo v e non -v-ano.

• quando generiamo la frase:

1. generiamo prima il VP (chi fa che cosa),

2. aggiungiamo il quando (la v in questo caso),

3. spostiamo guardare in I, ricongiungendolo alla v, e aggiungiamo la morfologia flessiva


contestuale in accordo con il soggetto (in questo caso lo studente).

4. porto il soggetto nella posizione di specificatore di IP, in modo tale da poter determinare il
morfema flessivo contestuale del verbo (in questo caso guardava).

• il movimento del verbo avviene perché il morfema debole richiede che si attacchi a qualcosa.

• il movimento del soggetto avviene perché ogni frase deve avere un soggetto, ma anche per
determinare i valori flessivi del verbo.

Pagina 92

quando c’è un quantificatore?


• abbiamo detto che possiamo spostare parte del costituente che contiene tutti gli studenti o
tutto il costituente.

caso 1: muovo tutto

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• gli studenti è plurale e determina il fatto che tutti sia plurale.

• se tutti è plurale, il sintagma che contiene tutti gli studenti è plurale.

• quando genero la frase che contiene il quantificatore:

1. sposto il verbo

2. sposto tutto il sintagma

caso 2: spiaggiamento del quantificatore

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• posso spostare solo il DP — gli studenti — perché è sufficiente per codificare le informazioni di
numero e persona necessarie per accordare il verbo (spostare anche tutti è superfluo, ma posso
farlo).

Pagina 95

LEZIONE 22

• la struttura sintagmatica della frase è una struttura inflessionale (IP).

• la testa dell’IP è un morfema temporale e flessivo, ovverosia un’espressione che può essere un
ausiliare, oppure un morfema debole.

- nel VP codifichiamo l’informazione che riguarda chi fa che cosa;

- in I codifichiamo quando (il tempo in cui l’azione ha luogo).

• posso realizzare frasi con il soggetto post verbale (il soggetto sta dopo il verbo).

- es: Chi ha telefonato? Ha telefonato Marco.

• in italiano viene usato per indicare all’ascoltatore che sto introducendo un’informazione nuova.

• in una frase con soggetto post verbale ci aspettiamo che l’accordo con il verbo venga violato
perché il soggetto non sta nella configurazione testa-specificatore nella quale il numero e la
persona del soggetto comanda al verbo di prendere un certo numero e una certa persona.
L’operazione che mi richiede di assumere numero e persona del soggetto nel caso in cui il
soggetto è post verbale è molto più laboriosa e quindi spesso viene lasciata perdere.

frasi complesse
• quando parliamo spesso produciamo frasi complesse, come frasi che sono contenute
all’interno di altre frasi o frasi interrogative (domande).

1) Gianni ha detto che Maria ha chiamato.


2) Gianni ha detto la verità.

• in questo tipo di frasi (1) la frase incassata svolge il ruolo di complemento del verbo, così
come svolge quel ruolo un complemento non di tipo frasale in (2).

- la verità è complemento di dire


- che Maria ha chiamato è complemento di dire

• tra il verbo principale e la frase incassata abbiamo una parola funzionale che viene chiamata
complementatore, che trasforma una frase in un buon complemento di un verbo.

• una frase, per poter diventare oggetto di un verbo deve avere proprietà combinatorie buone per
diventare complemento di un verbo.

- non tutte le frasi incassate sono incassate in posizione di complemento. Ad esempio, ci


sono frasi che sono in posizione di aggiunto (sono frasi relative).

• la frase Maria ha chiamato è incassata sotto il complementatore ed è complemento del


complementatore.

• a sua volta si forma un sintagma che contiene che Maria ha chiamato e questo sintagma è
complemento del verbo dire.

• CP: sintagma del complementatore

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rappresentazione della frase complessa

Gianni ha creduto che Maria abbia chiamato

• sotto I della frase incassata ho un ausiliare al congiuntivo perché che Maria ha chiamato deve
essere vero non in assoluto nel mondo reale (sto dicendo che non so se Maria ha chiamato
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veramente, ma secondo quanto ne sa Gianni Maria l’ha fatto, quindi non è detto che Maria
abbia chiamato nel mondo reale).

- sicuramente Maria ha chiamato nel mondo in cui Gianni crede di vivere, ma potrebbe essere
falso.

• credere fa parte dei cosiddetti verbi di credenza o verbi di atteggiamento proposizionale. Essi
descrivono un certo atteggiamento che qualcuno ha nei confronti di un pensiero (in questo caso
il pensiero che Maria abbia chiamato).

frasi interrogative
John will read the newspaper after breakfast.
• nella frase interrogativa l’ausiliare scavalca il soggetto (c’è un’inversione).

• inizialmente, una frase interrogativa viene prodotta a partire da una frase affermativa.

• will, scavalcando il soggetto, è andato ad occupare una proiezione (posizione strutturale) che è
esterna al sintagma frasale IP.

• per spostare l’ausiliare devo generare la struttura che lo ospiti e per farlo incasso la frase sotto
un CP (sintagma del complementatore), che in inglese è una proiezione funzionale in quanto
svolge una funzione sintattica (è vuoto, non è occupato da materiale lessicale).

• l’ausiliare will passa dalla testa di IP a quella di CP (movimento testa-testa).

Pagina 98

• ci sono casi in cui la testa di C è occupata da materiale lessicale.

• quando la testa di C è occupata da materiale lessicale, l’ausiliare non si sposta (non c’è
inversione). In questo modo produco una frase interrogativa indiretta.

- il complementatore whether occupa la testa di C.

Pagina 99

• le frasi interrogative in inglese prevedono un’inversione ausiliare-soggetto. Questo suggerisce


all’ascoltatore che quella frase è interrogativa.

• in questo caso, invece, è il complementatore whether a suggerire che la frase consisterà in una
domanda (è codificato nel significato delle parole). Nel primo caso, invece, è la struttura a
codificare il fatto che quella frase è una domanda.

• ci sono domande alle quali rispondiamo con un sì o con un no, denominate dai linguisti come
domande sì/no, ma ci sono anche domande alle quali rispondiamo con dei costituenti (sono
domande che non ci chiedono di confermare o meno un’informazione che comunico, ma che mi
chiedono di completare quell’informazione dandone una nuova).

- es: When will John read the newspaper?

• anche in questo caso l’idea è che questa frase interrogativa venga generata a partire da una
frase che ha la stessa struttura di una frase dichiarativa.

• quindi, analogamente alle frasi interrogative sì/no, vengono generate da una controparte
dichiarativa che subisce un processo di trasformazione.

• questa frase viene generata a partire da John will read the newspaper after breakfast.

• al posto di after breakfast ho when (sintagma interrogativo).

• incasso la struttura sotto un CP e porto l’ausiliare sotto la testa di C e porto l’elemento


interrogativo nello specificatore di C.

at what time = when

• le frasi interrogative alle quali rispondiamo con un costituente/sintagma si chiamano frasi


interrogative WH perché in inglese questi elementi interrogativi iniziano tutti per wh-.

Tutti gli elementi WH occupano lo specificatore di CP.

come funziona in italiano?


• in Italiano non abbiamo l’inversione ausiliare-soggetto perché la testa di C è occupata da un
complementatore inespresso (è silente, non viene pronunciato).

Pagina 100

altro esempio di WH

piccola obiezione:
• at breakfast ci dà informazioni sul quando, ma nella frase occupa la posizione di aggiunto del VP,
in cui codifichiamo informazioni su chi fa che cosa. Il quando lo codifichiamo in I, che codifica
informazioni temporali.

• dato che at breakfast modifica l’informazione temporale è più corretto metterlo come aggiunto di
IP.

Gli aggiunti temporali sono aggiunti di IP.

questa struttura è più corretta rispetto a quella sopra


Pagina 101

• abbiamo detto che c’è un principio universale che ci dice che ogni frase deve avere un
soggetto. Si ubbidisce a tale principio spostando ciò che sta nello specificatore di VP nello
specificatore di IP.

Maria ha chiamato. Lei ha chiamato.

• quando non c’è un soggetto esplicito, in italiano abbiamo un pronome nullo che occupa la
posizione di soggetto. Questo è un soggetto sottointeso e viene chiamato dai linguisti pro.

- pro si sposta nella posizione di specificatore di IP e dà informazioni sull’accordo con il verbo,


esattamente come i soggetti che normalmente vengono espressi.

Ha chiamato.

variabilità linguistica
• ci sono lingue, come ad esempio l’inglese, nelle quali il soggetto non può essere sottointeso.

• quando in inglese (e in francese) un soggetto esplicito non è presente, inseriamo un segnaposto


sintattico per obbedire alla richiesta che ogni frase abbia un soggetto esplicito.

1) *has called — il soggetto è sottointeso.

2) *has called Gianni — il soggetto è post verbale.

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3) *Who do you believe that _ loves the smurfs? — è una frase interrogativa sul soggetto della
frase incassata, manca il soggetto della frase incassata.

• tutte e tre le frasi sono incorrette in inglese prece il soggetto deve sempre essere espresso.

• (1), (2) e (3) non si possono dire per lo stesso motivo: non c’è qualcosa che occupa la proiezione
di specificatore di IP in modo manifesto, esplicito.

• in italiano il soggetto può rimanere sottointeso e può essere pro oppure la traccia dell’elemento
interrogativo, come in (6).

4) (pro) ha chiamato

5) (pro) ha chiamato Gianni

6) Chi (pro) credi che _ ami i puffi?

• i fenomeni presenti nelle 3 frasi in inglese sono collegati: c’è una variazione parametrica di un
principio universale che mi dice che ogni frase deve avere un soggetto.

- la variazione parametrica è: ci sono lingue nelle quali il soggetto deve essere realizzato
fonologicamente e ci sono lingue nelle quali il soggetto può rimanere inespresso.

• l’italiano è una lingua nella quale il soggetto può rimanere inespresso (può essere pro oppure
traccia di un elemento interrogativo). Questo non può accadere in inglese.

• questo ci spiega altri fenomeni che sembrano scollegati tra di loro. Consideriamo:

7) (pro) apparve una nave all’orizzonte.

8) There appeared a boat on the horizon. — There è un segnaposto sintattico, occupa la


posizione di soggetto della frase. Il parlante inglese lo ha inserito per obbedire al principio
universale e per obbedire alla variazione parametrica.

9) Il est arrivé trois hommes. — non si può omettere il.

10) (pro) Piove.

11) It is raining. — it è un segnaposto sintattico.

12) Il pleut. — it è un segnaposto sintattico.

Pagina 103

LEZIONE 23 - PARAMETRI

• se il linguaggio è simile a una funzione organica, allora ci aspetteremmo che tutti gli individui
condividano la stessa lingua, come tutti gli individui camminano nello stesso modo.

- al mondo esistono più di 7 mila lingue (c’è una grande variabilità linguistica)

• all’inizio del ‘900 si è sviluppato tra i linguisti un interesse che per il rapporto che c’è tra la lingua
e la cultura (cercare di capire in che modo la lingua potesse influenzare alcuni processi culturali
e viceversa).

• questa nuova disciplina, chiamata etnolinguistica, ha fornito degli elementi di classificazione dei
fenomeni linguistici, che sono stati ripresi e impiegati negli anni ’60 in un approccio approccio
tipologico allo studio delle lingue, ovvero quell’interesse che ricerca regolarità tra lingue.

- uno degli studiosi più noti è Greenberg

• si osservarono le prime regolarità tra lingue storicamente non in relazione.

• inizialmente, l’interesse di questa disciplina tipologica era di tipo descrittivo e consisteva quindi
nel descrivere le regolarità riscontrate tra le lingue, ma senza riuscire a dare una spiegazione per
la loro esistenza.

• Greenberg era interessato soprattutto all’ordine delle parole.

- italiano: SVO

- inglese: SVO

- giapponese: SOV

- navajo: SOV

- turco: SOV

• Greenberg nota che lingue mostrano ordini differenti anche per i costituenti preposizionali.

- italiano: PN

- inglese: PN

- giapponese: NP

- navajo: NP

- turco: NP

• si dice che italiano e inglese sono lingue preposizionali (la preposizione sta prima del nome),
mentre giapponese, navajo e turco sono postposizionali (la preposizione è dopo il nome).

Greenberg ha messo a confronto differenze e analogie e ha formulato dei principi universali che
riguardano l’ordine delle parole.

• in particolare, analizziamo il principio universale numero 3 e numero 4. Si tratta di principi


descrittivi, che spiegano come stanno le cose, ma non il perché.

Pagina 104

principio universale numero 3 principio universale numero 4


Le lingue che hanno ordine SVO hanno anche Le lingue che hanno ordine SOV hanno anche
ordine PN.
ordine NP.


• questi principi valgono per famiglie di lingue che non hanno condiviso delle storie comuni e che
sono anche molto lontane tra di loro, geograficamente e storicamente.

• inoltre, alcune combinazioni ibride non si presentano mai.

Si potrebbe pensare che queste somiglianze siano sorte per caso, ma alcune combinazioni non si
presentano quasi mai. — Greenberg

• le lingue con ordini disarmonici sono rare ed instabili.

• Greenberg formulò una serie di principi che descrivevano l’ordine delle parole in tutte le lingue
da lui studiate.

• la scommessa è quella di ricondurre la variabilità linguistica a un insieme di principi universali e


a un piccolo insieme di variazioni parametriche che si trovano su questi principi universali.

• le variazioni parametriche renderebbero le lingue apparentemente molto differenti tra di loro.

• parliamo tutti una stessa lingua universale che può avere alcune variabilità parametriche che
sono determinate dall’interazione con l’ambiente.

Un universale strutturale è rappresentato da questa struttura sintagmatica.


Le parole di tutte le lingue del mondo si organizzano in questa struttura.

• in italiano, in una frase del tipo Gli studenti hanno visto il rettore, notiamo che c’è sempre una
stessa struttura incassata in una struttura più grande.

- in questa struttura c’è sempre prima la testa e poi il complemento.

In questa struttura la testa precede sempre il complemento (il complemento è sempre


attaccato alla destra della testa).

Pagina 105

• ci sono famiglie di lingue, come il navajo e il giapponese, in cui l’ordine delle parole è SOV
(l’oggetto del verbo precede il verbo).

- sappiamo che l’oggetto è il complemento del verbo.

- l’oggetto del verbo è in posizione del complemento del verbo, quindi in lingue come il navajo
e il giapponese viene prima il complemento e poi la testa all’interno del VP.

- il soggetto sta nella posizione che troviamo anche in italiano.

navajo

giapponese

italiano

• in giapponese e in navajo, quando abbiamo un’espressione formata da una preposizione e da


un nome, prima viene il nome (il sintagma nominale) e poi la preposizione.

• possiamo ipotizzare che tra l’italiano e il giapponese una differenza sostanziale sia una
differenza che riguarda l’ordine tra testa e complemento e possiamo assumere che questa sia
Pagina 106

una differenza parametrica. Se è una differenza parametrica, allora è una differenza che
riguarda tante lingue.
• possiamo ipotizzare che ci siano lingue nelle quali il complemento segue la testa, come in
italiano, e lingue nelle quali il complemento precede la testa, come il navajo, il giapponese e il
turco.

Come funzionerebbe una lingua come il giapponese?

• abbiamo invertito l’ordine delle teste e dei complementi. Questo cambiamento vale per tutti i
sintagmi che dobbiamo generare, quindi anche per i sintagmi preposizionali.

Pagina 107

• dal punto di vista della struttura del linguaggio, possiamo assumere che c’è un universale
linguistico, che è la struttura sintagmatica. Essa è codificata a livello genetico e esprime come le
informazioni linguistiche devono essere processate.

• poi abbiamo una variazione parametrica, che ci dice che l’informazione che occupa la posizione
di testa può essere codificata prima o dopo l’informazione che occupa la posizione di
complemento. Una volte deciso l’ordine, questo vale per tutte le strutture sintagmatiche che
verranno generate.

principio: la struttura sintagmatica è XP un universale linguistico.

parametro: l’ordine testa complemento è soggetto a variazione parametrica.

• la teoria dei principi e dei parametri, oltre a spiegare la variabilità linguistica, ha anche una
plausibilità dal punto di vista acquisizionale perché il bambino nasce già con delle aspettative:
sa qual è la struttura che dovrà produrre, perché non può fare diversamente e sa che in questa
struttura la testa può precedere il complimento, o seguirlo.

variazione parametrica che riguarda il soggetto della frase

• abbiamo detto che il soggetto è ciò che occupa la posizione di specificatore di IP.

• principio universale: ogni frase deve avere un soggetto.

• in italiano il soggetto può essere inespresso (pro piccolo), mentre in inglese (e in francese) il
soggetto deve essere espresso.

• in italiano il soggetto può essere postverbale, mentre in inglese (e in francese) il soggetto deve
essere preverbale.

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principio: ogni frase deve avere un soggetto.

parametro: una lingua può essere una lingua dove il soggetto deve essere necessariamente
espresso, oppure una lingua dove il soggetto può rimanere inespresso.

1) Gianni ha chiamato.

2) *Has called Gianni.

• questo principio e la sua variazione parametrica spiega le differenze che troviamo tra (1) e (2),
ma anche le differenze che troviamo tra (3) e (4).

3) Chi tu credi che ami i puffi?

4) *Who do you believe that loves the smurfs?


• i linguisti hanno mostrato che il contrasto che troviamo tra (3) e (4) è spiegato allo stesso modo
in cui viene spiegato il contrasto che troviamo tra (1) e (2).

• in (3) abbiamo il sintagma interrogativo chi che, spostandosi, lascia una traccia (una sua copia
silente, che non viene espressa fonologicamente). In inglese avviene la stessa cosa.

• poiché l’inglese è una lingua nella quale la posizione del soggetto deve essere riempita da
qualcosa e quel qualcosa deve essere fonologicamente realizzato, (4) non si può pronunciare
perché la frase incassata non ha un soggetto fonologicamente espresso.

• quando in inglese (e francese) un soggetto esplicito non è presente, possiamo inserire un


segnaposto sintattico per obbedire alla richiesta che ogni frase abbia un soggetto esplicito.

a. (pro) apparve una nave all’orizzonte.

b. There appeared a boat on the horizon.

c. Il est arrivé trois hommes.

• in inglese non esiste il pro piccolo.

Pagina 109

pronome nullo

questa frase è ambigua

riferimento congiunto riferimento disgiunto

la frase non è ambigua

SOLO riferimento congiunto

Pagina 110

Quale è il soggetto della frase incassata (“di volare”)?

• pro non può essere il soggetto della frase perché può avere riferimento disgiunto.

• i linguisti hanno assunto che ci sia un altro tipo di pronome nullo, che viene chiamato PRO.

• PRO occorre solo in frasi che non sono temporalizzate, come Snoopy crede di volare (I non
contiene un morfema temporale).

- in queste frasi abbiamo un pronome nullo silente che può avere solo il significato del
soggetto della frase che contiene quel pronome.

• nella frase Snoopy crede di volare, Snoopy è il controllore del significato di PRO (controlla quale
significato possa avere).

pro & PRO


pro piccolo: è un pronome nullo nelle frasi temporalizzate.

PRO grande: è un pronome nullo nelle frasi non temporalizzate.

1) Paolo ha mangiato una torta.

2) (pro) ha mangiato una torta.

3) Paolo dice che lui ha mangiato una torta.

4) Paolo dice che (pro) ha mangiato una torta.

5) Paolo crede che lui abbia scritto un buon tema.

6) Paolo crede che (pro) abbia scritto un buon tema.

7) Paolo dice di (PRO) aver mangiato una torta.

8) Paolo dice di (PRO) odiare Maria.

9) Eva crede di (PRO) aver scritto un buon tema.

Pagina 111

LEZIONE 24 - TEORIA TEMATICA

• questa teoria fa da interfaccia tra sintassi e semantica, in quanto mette in relazione le


proprietà combinatorie delle parole con il loro significato.

• la testa sta in relazione con un gruppo di parole (complemento).

- il complemento è un sintagma (raggruppamento di parole).

• la testa e il complemento formano un oggetto relazionale, che a sua volta può entrare in
relazione con un gruppo di parole che abbiamo chiamato aggiunto.

- la presenza di un aggiunto è opzionale e iterabile.

• la testa e il complemento entrano in relazione a loro volta con un gruppo di parole che abbiamo
chiamato specificatore.

• la testa è una parola che ha una certa categoria sintattica.

- es: se la parola è un verbo, allora la testa apparterrà alla categoria sintattica dei verbi ed avrà
alcune proprietà combinatorie.

• nell’albero, la testa è indicata con una lettera che esprime la sua categoria sintattica.

- es: la lettera v indica una testa verbale. La lettera non ha indici o barre.

• se il verbo è transitivo, si combinerà con un gruppo di parole che occupa la posizione di


complemento. Anche il complemento è contrassegnato da lettere che ne indicano la categoria
sintattica (NP, DP…).

• prendendo l’esempio di un sintagma verbale, quando la testa e il complemento si combinano


tra loro, otteniamo una proiezione v’ (e non più v) perché ha proprietà combinatorie differenti
dalla testa (ad esempio, non vuole più un complemento).

Pagina 112

• successivamente, v’ si combina con un gruppo di parole (sintagma) che è chiamato


specificatore.

- nella posizione dello specificatore codifichiamo informazioni che riguardano il chi.

• quando lo specificatore si combina con v’ si genera un nuovo oggetto (VP), che è una
proiezione massimale del sintagma verbale. Questo è un oggetto saturo dal punto di vista
combinatorio.

• la testa ha proprietà combinatorie che richiedono la combinazione prima con un complemento e


poi, il risultato di questa combinazione, con uno specificatore

• ciò che abbiamo nella posizione di complemento e nella posizione di specificatore dipende dalla
natura della testa.

• quando abbiamo un verbo intransitivo abbiamo la posizione del complemento e dello


specificatore perché la testa deve combinarsi prima con un complimento, e poi con uno
specificatore. In questo caso, la posizione di complemento viene lasciata vuota.

Pagina 113

• abbiamo detto che gli aggiunti non modificano le proprietà combinatorie dell’oggetto con cui
si combinano, ed è per questo che sono opzionali e iterabili.

• le parole sono memorizzate nel lessico con informazioni che dicono con quali altre parole
queste parole devono o possono combinarsi.

• ad esempio, i verbi sono memorizzati insieme all‘informazione che riguarda il numero di


argomenti che essi prendono, ma non solo.

• verbi intransitivi — prendono un solo argomento

1. Gianni1 telefona.

2. *Gianni1 telefona Maria2.

• verbi transitivi — prendono due argomenti

3. Gianni1 apprezza la musica jazz2.

4. *Gianni apprezza.

5. * Gianni1 apprezza la musica jazz2 la musica rock3.

• verbi ditransitivi — prendono tre argomenti

6. Gianni1 ha dato una lettera2 a Maria3.

7. *Gianni1 ha dato una lettera2.

8. * Gianni1 ha dato a Maria3.

• se conosciamo il significato di un verbo sappiamo anche che ruolo il verbo assegna ai suoi
argomenti.

- es: telefonare è un verbo intransitivo, quindi prende un argomento e assegna a questo


argomento il ruolo di agente.

Gianni1 telefona.
Gianni è argomento del verbo ed ha il ruolo tematico di agente: denota la persona/cosa che dà
inizio all‘azione descritta dal verbo.

- es: sbucciare è un verbo transitivo, quindi prende due argomenti e assegna all’argomento
che occupa la posizione di specificatore il ruolo tematico di agente, e all’argomento che
occupa la posizione di complemento il ruolo tematico di tema.

Gianni1 sbuccia una mela2.


Gianni è argomento del verbo ed ha il ruolo tematico di agente.

Una mela è argomento del verbo ed ha il ruolo tematico di tema: denota la persona/cosa che
viene coinvolta/modificata dall‘azione descritta dal verbo.

Nel lessico i verbi sono memorizzati con informazioni che indicano quanti argomenti prendono
e quali ruoli tematici devono assegnare ai loro argomenti.

• i linguisti hanno chiamato questo insieme di informazioni griglia tematica. Questa viene
rappresentata da un insieme ordinato di elementi che rappresentano i diversi argomenti e i
ruoli tematici a loro assegnati.

- es: per divorare abbiamo assegnato la griglia tematica <agente, tema> .

• possiamo formulare un principio linguistico chiamato criterio tematico, secondo il quale ad ogni
argomento deve essere assegnato uno e un solo ruolo tematico e ogni ruolo tematico deve
essere assegnato ad uno e un solo argomento.

due ruoli tematici non possono essere assegnati a tre argomenti


sbucciare: <agente1, tema2>

*Gianni1 sbuccia(1-2) una mela2 una patata??.

due ruoli tematici non possono essere assegnati ad un solo argomento


*Gianni1 sbuccia(1-2).

• le violazioni del criterio tematico portano a combinazioni di parole che non sono grammaticali.

Pagina 114

• gli aggiunti sono facoltativi e possono occorrere in numero potenzialmente infinito. Essi non
ricevono alcun ruolo tematico.

ascoltare: <agente1, tema2>

Gianni1 ascolta la musica jazz2 <di notte> <alla radio> <bevendo un martini> <mentre fuma un
sigaro>, ...

Come il verbo assegna i ruoli tematici?


• il meccanismo richiede che l’assegnatore del ruolo tematico (il verbo) e la categoria cui viene
assegnato il ruolo tematico siano nodi fratelli.

• divorare assegna il ruolo tematico di tema all’argomento che viene realizzato nella posizione di
complemento di v. Il complemento e la testa verbale sono nodi fratelli.

• il ruolo di agente viene assegnato dal verbo più il suo complemento allo specificatore. La
proiezione v’ e la proiezione di specificatore sono nodi fratelli.

• consideriamo il contrasto tra la frase (1) e la frase (2).

1) Gianni ha preso la palla.

2) Gianni ha preso una sberla.

Pagina 115

• Gianni ha un ruolo differente nei due eventi descritti nelle frasi. In (1) Gianni fa effettivamente
qualcosa, mentre in (2) subisce qualcosa. Questa differenza dipende dalla combinazione di
prendere con il suo complemento.

• è il verbo + il suo complemento che determina quale ruolo tematico assegnare a Gianni.

- il verbo + il suo complemento corrisponde a v’

• la produzione di una frase avviene attraverso un processo generativo nel quale avvengono
trasformazioni successive. Durante una di queste trasformazioni l’NP che contiene Gianni si
muove dalla posizione di specificatore di VP, dove riceve il ruolo tematico di agente, alla
posizione di specificatore di IP.

• in questo caso il criterio tematico è soddisfatto perché la traccia dell’NP Gianni continua a
ricevere il ruolo tematico corretto e lo trasmette all’NP che si è mosso.

• un fenomeno analogo lo vediamo anche in frasi nelle quali gli argomenti sono dislocati, come 1.

1) Un gelato ho divorato (...non un ghiacciolo).

• in questa frase il DP Un gelato si è inizialmente originato nella posizione di complemento del


verbo divorare e ha ricevuto il ruolo di tema in questa posizione, che è una posizione di
fratellanza con il verbo (nodi fratelli).

• poi, dopo aver generato la frase, il complemento del verbo Un gelato si sposta nella posizione di
specificatore di IP, rimanendo collegato alla sua posizione originale attraverso la traccia, che gli
trasmette anche il ruolo tematico (il criterio tematico è soddisfatto anche in questo caso).

Pagina 116

• nelle domande accade qualcosa di analogo.

• l’elemento WH cosa si è originato inizialmente nella posizione di oggetto del verbo, quindi in una
posizione di fratellanza con il verbo e poi si è mosso nella posizione di specificatore di CP.

• il pronome interrogativo cosa riceve il ruolo tematico dalla sua traccia, che è in una posizione di
fratellanza con il verbo.

Cosa hai divorato?


Pagina 117

Chi ha divorato una pizza?

• in questo caso l’elemento WH chi si è originato inizialmente nella posizione di specificatore del
VP, che è una posizione di fratellanza con v’, in cui ha ricevuto il ruolo tematico di agente. Poi si
è mosso nella posizione di specificatore del DP e infine nella posizione di specificatore di CP.

• in italiano, in linea generale:

- il ruolo di agente viene assegnato a un costituente di tipo DP o NP;

- il ruolo di tema viene assegnato a un costituente di tipo DP o NP;

- il ruolo di fine viene assegnato a un costituente di tipo PP.

Solo i verbi assegnano ruoli tematici?


• in realtà, anche nomi e preposizioni assegnano ruoli tematici.

nomi
• al contrario dei verbi, i nomi assegnano opzionalmente ruoli tematici. Ad esempio, un nome
relazionale come saccheggio può assegnare due ruoli tematici a due argomenti perché questa
parola denota un evento transitivo in cui qualcuno saccheggia qualcosa.

- es: saccheggio: <(agente), (tema)>

• la posizione di complemento di un nome relazionale può essere opzionalmente occupata da


materiale lessicale che riceve il ruolo tematico di tema, mentre in un verbo transitivo tale
posizione deve essere obbligatoriamente occupata da materiale lessicale.

• questa opzionalità della realizzazione degli argomenti dei nomi viene indicata nella griglia
tematica dalle parentesi rotonde.

preposizioni
• le preposizioni si comportano come i verbi e richiedono obbligatoriamente un argomento al
quale assegnano obbligatoriamente un ruolo tematico.

Pagina 118

• ad esempio, nell’espressione a Roma, la preposizione a richiede un complemento, al quale ad


esempio assegna il ruolo tematico di luogo.

- a: <locus>

Un’ultima precisazione

• l’argomento del verbo che si realizza nella posizione di complemento viene chiamato
argomento interno del verbo, mentre l’argomento che si realizza nella posizione di specificatore
del VP viene chiamato argomento esterno del verbo.

- argomento interno: viene realizzato nella posizione più interna del VP.

- argomento esterno: viene realizzato nella posizione più superficiale/alta del VP.

pag 110 — Snoopy crede di volare.


• volare è un verbo che prende un argomento, e per il criterio tematico dobbiamo realizzare tale
argomento nello specificatore di IP. Tale argomento non può essere pro piccolo perché pro
piccolo può avere sia riferimento congiunto che riferimento disgiunto. Deve essere un altro
pronome inespresso che satura la posizione argomentale di volare e riceve il ruolo tematico di
agente.

• i linguisti hanno chiamato il pronome che realizza questo argomento PRO ed è un pronome che
può solo avere riferimento congiunto con il soggetto della frase principale.

• PRO successivamente si muove nella posizione di specificatore di IP perché ogni frase deve
avere un soggetto.

• la presenza di PRO è richiesta anche dal criterio tematico perché senza di lui il verbo avrebbe
un ruolo tematico da assegnare, ma non ci sarebbe un argomento al quale assegnare questo
ruolo tematico.

Espletivi
• prendiamo ora in considerazione l’assegnazione di un ruolo tematico e la richiesta che ogni
frase debba avere un soggetto.

• il verbo seem prende un solo argomento che riceve un ruolo tematico chiamato proposizionale.

• nella griglia tematica di questo verbo abbiamo una sola posizione argomentale e un solo ruolo
tematico da assegnare.

- seems: <tema_proposizionale>

• se però consideriamo una frase che contiene tale verbo, notiamo la presenza di un soggetto (il
pronome it). Poiché il verbo seem ha una solo ruolo tematico da assegnare, tale pronome non
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può che essere un segnaposto sintattico inserito nello specificatore di IP per soddisfare la
richiesta del principio che ogni frase deve avere un soggetto e dunque non è stato inserito nella
posizione di specificatore del VP, nella quale avremmo una assegnazione di ruolo tematico.

• it è un pronome espletivo e non ha nessun significato in questa frase.

• in Italiano i pronomi possono rimanere inespressi; questo vale anche per il pronome espletivo.

• dunque, in italiano abbiamo tre tipi di pronomi nulli:

- pro = pronome nullo in frasi temporalizzate;

- PRO = pronome nullo in frasi non temporalizzate;

- proexpl = pronome nullo espletivo (che non ha associato alcun riferimento, non denota alcun
oggetto o individuo).

teoria del caso


• la teoria tematica è strettamente legata alla teoria del caso. Consideriamo la frase in (1).

NOM = nominativo
ACC = accusativo
Pagina 120

• l’articolo che precede il nome uomo ha forma der, mentre l’articolo che precede il nome rana ha
forma den.

• la frase in (2) presenta lo stesso ordine delle parole, ma ci dice che è la rana che ha visto
l’uomo. (2) ha significato opposto a (1) nonostante l’ordine delle parole sia lo stesso.

• in (2), però, l’articolo che precede il nome uomo ha forma den, mentre l’articolo che precede il
nome rana ha forma der.

La morfologia dell’articolo ci dice la funzione sintattica che il costituente ha all’interno della


frase.

• questa morfologia è chiamata morfologia di caso, in particolare diciamo che der nella frase in
(1) ha morfologia di caso nominativo, mentre den ha morfologia di caso accusativo (lo stesso
ragionamento vale per la frase 2).

• in italiano abbiamo altre distinzioni analoghe, ma che sono visibili solamente sui pronomi.

• anche in inglese le distinzioni di caso sono visibili sui pronomi.

Il caso c’è solo dove si vede?


• è molto più plausibile assumere che il caso sia sempre presente, anche quando non è
morfologicamente realizzato. Secondo tale ipotesi il sistema dei casi è condiviso da tutte le
lingue del mondo, come sottolineato dall’esempio qui sotto.

• possiamo assumere che il caso sia un tratto:

- associato ad una funzione sintattica;

- che può essere espresso morfologicamente oppure può rimanere inespresso, sebbene
presente.

Pagina 121

Quali costituenti ricevono caso? Come viene assegnato il caso?

assegnazione del nominativo


• il nominativo è assegnato al soggetto della frase (ciò che occupa la posizione di specificatore di
IP) quando il verbo è di modo e tempo finito.

• il caso nominativo viene assegnato dalla testa temporalizzata I al soggetto in posizione di


specificatore di IP.

Io vedo Mario.

assegnazione dell’accusativo
• l’accusativo è assegnato dal verbo quando questo è transitivo al suo complemento.

• l’accusativo è anche assegnato da una preposizione al suo complemento.

Mario vede me.

Pagina 122

con me

• possiamo dire che anche la regola di assegnazione del caso fa da filtro grammaticale sulle
possibili combinazioni di parole.

• questo filtro ci dice che ad ogni DP (o NP, dipende dall’analisi) esplicito (ossia realizzato
fonologicamente) deve essere assegnato un caso.

1) Attaccare te potrebbe essere pericoloso.

2) *Io attaccare Maria potrebbe essere pericoloso.

3) *Me attaccare Maria potrebbe essere pericoloso.

• in (2) il verbo non è di modo finito e quindi non può assegnare caso nominativo al soggetto.

• in (3) attaccare ha caso accusativo da assegnare e lo assegna al suo complemento Maria nella
configurazione canonica (proiezione di complemento del verbo); me non può ricevere
accusativo dal verbo perché lo assegna già al suo complemento. 

Pagina 123

LEZIONE 25 — INACCUSATIVI e INERGATIVI

Perché alcuni verbi intransitivi prendono ausiliare essere ed altri invece prendono ausiliare avere?

1) Gianni è caduto.
2) *Gianni ha caduto.

3) Gianni ha starnutito.

4) *Gianni è starnutito.

• per poter discutere questa distinzione, dobbiamo prima capire quale struttura hanno le frasi al
passivo.

costruzione passiva
1) I gatti sono guardati (da Gianni).

• le derivazioni delle frasi iniziano dal VP perché è nel VP che codifichiamo inizialmente le
informazioni che riguardano chi fa che cosa.

• poiché la frase in (1) contiene il verbo transitivo guardare, richiede due argomenti ai quali devono
essere assegnati due ruoli tematici. Potremmo ipotizzare che, analogamente alle costruzioni
attive, quando incominciamo a costruire la frase, nelle frasi passive incominciamo a costruire la
frase a partire dal VP.

1. il verbo si combina con il suo argomento interno i gatti, che sta nella posizione di
complemento, e gli assegna il ruolo tematico di tema.

2. successivamente, il verbo deve combinarsi con un altro argomento per saturare la sua
seconda posizione argomentale e il verbo + il suo argomento assegnano il ruolo tematico di
agente all’argomento esterno.

- problema: il secondo argomento del verbo non deve essere necessariamente presente.
Infatti possiamo dire I gatti sono guardati e tralasciare da Gianni. Quindi, nelle frasi al
Pagina 124

passivo il ruolo tematico di agente sembra che non debba essere necessariamente
assegnato.

• possiamo immaginare che durante la derivazione della frase al passivo il verbo, che occupa
inizialmente la posizione di testa del sintagma verbale e assegna il ruolo tematico di tema al suo
complemento, subisca una trasformazione attraverso la quale viene assorbito il ruolo
tematico di agente. Questa trasformazione ci è suggerita dalla morfologia del verbo, che è al
participio passato.

• possiamo immaginare che il responsabile di questa trasformazione del verbo sia proprio il
participio passato, che possiamo considerare come un morfema debole al quale il verbo deve
attaccarsi affinché questo morfema possa realizzarsi. Questo participio passato assorbe il ruolo
tematico esterno del verbo.

1. la derivazione delle frasi passive inizia sempre dal VP:

- estraiamo dal nostro lessico un verbo, che è una parola che descrive un certo evento;

- questo verbo ha associata una certa griglia tematica (guardare ha associata una griglia che
dice che il verbo richiede due argomenti e devono essere associati due ruoli tematici);

- il complemento del verbo satura una delle posizioni argomentali e a questo complemento
viene assegnato il ruolo tematico di tema

- successivamente, al VP viene aggiunto il morfema del participio passato, che assorbe il ruolo
tematico esterno del verbo

- il verbo si sposta dalla posizione di testa di V alla posizione di testa del sintagma del passivo

il parlante introduce l’informazione temporale, in questo caso tramite l’ausiliare sono ed infine il
complemento del verbo, in questo caso i gatti, viene portato nella posizione di specificatore di IP
per soddisfare il principio che ogni frase deve avere un soggetto.

• abbiamo detto che se il verbo è temporalizzato, assegna caso nominativo al sintagma che
occupa la posizione di specificatore di IP (dà caso nominativo al soggetto).

- problema: il soggetto in realtà inizialmente si è originato nella posizione di complimento del


verbo e in questa posizione riceve caso accusativo. In questo modo avremmo una violazione
del filtro del caso (stiamo cercando di assegnare due casi differenti ad un unico sintagma).

• i linguisti, per risolvere questo problema, hanno assunto che durante la derivazione di una
frase al passivo, il participio passato del verbo non solo assorbe il ruolo tematico di agente,
ma anche il caso accusativo da assegnare al complemento del verbo.

• questo è evidente se consideriamo frasi con verbi transitivi in forma attiva e passiva che hanno
inizialmente nella posizione di complemento del VP un pronome (che sappiamo essere marcato
morfologicamente per caso in italiano).

2) Gianni guarda me.

3) Io sono guardato (da Gianni).

• in (2) il pronome di prima persona singolare io esce nella forma accusativa me perché occupa la
posizione di complemento del verbo.

• in (5) io ha caso nominativo, ma si origina inizialmente nella posizione di complemento del


verbo. Non riceve caso accusativo perché il participio passato ha assorbito il caso accusativo e
quindi, durante la derivazione della frase al passivo, si sposta nella posizione di specificatore di
IP e riceve il caso nominativo dalla testa temporalizzata del verbo.

Il soggetto delle frasi al passivo si origina nel complemento del verbo.


Il verbo subisce una trasformazione per opera del participio passato, nella quale viene
assorbito il ruolo tematico di agente ed il caso accusativo.

classi verbali
• secondo la grammatica tradizionale, i verbi si distinguono in verbi transitivi, intransitivi e
ditransitivi, ovverosia si distinguono in base al numero di argomenti che questi verbi prendono.

Pagina 125

• se riflettiamo sulle proprietà dei verbi intransitivi, possiamo distinguere due classi di verbi
intransitivi rispetto alla selezione dell’ausiliare.

• ci sono verbi intransitivi come arrivare, andare, esplodere, cambiare, ecc. che prendono essere
come ausiliare.

• ci sono verbi intransitivi come telefonare, starnutire, sudare, ecc. che prendono avere come
ausiliare.

• è importante notare che i verbi intransitivi nelle frasi passive prendono anche ausiliare essere.

- es: È stato avvistato uno squalo.

• possiamo distinguere queste due classi di verbi intransitivi anche rispetto alla sostituibilità di
parte del soggetto.

• le frasi che contengono quei verbi che vogliono ausiliare essere sono anche frasi nelle quali
possiamo sostituire il soggetto o parte del soggetto con il pronome partitivo ne.

- es: Due treni sono arrivati in ritardo. > Due ne sono arrivati in ritardo.
• questo non funziona con i verbi che prendono ausiliare avere.

- es: Due ragazzi hanno starnutito. > *Due ne hanno starnutito.


• al contrario, ne può sostituire parte del complemento dei verbi transitivi che prendono avere
come ausiliare.

- es: Mario ha mangiato due panini. > Mario ne ha mangiati due.

• ne può anche sostituire parte del soggetto nelle frasi passive:

- es: Due panini sono stati mangiati. > Due ne sono stati mangiati.

• possiamo distinguere queste due classi di verbi intransitivi anche rispetto alla loro
occorrenza nelle frasi relative ridotte.

• i verbi che selezionano essere, che sono anche verbi nei quali parte del soggetto può essere
sostituito da ne, possono occorrere nelle frasi relative ridotte.

- es: Il treno che è arrivato alle 2 è un intercity. > Il treno arrivato alle 2 è un intercity.
• i verbi intransitivi che prendono ausiliare avere non possono occorrere nelle frasi relative ridotte.

- es: Il ragazzo che ha starnutito ha la febbre. > *Il ragazzo starnutito ha la febbre.

• possiamo costruire frasi relative ridotte anche al passivo.

- es: Lo squalo che è stato avvistato ieri da Leo… > Lo squalo avvistato ieri da Leo…

• possiamo distinguere queste due classi di verbi intransitivi anche rispetto all’assegnazione
dei ruoli tematici.

• affondare è un verbo transitivo che prende due argomenti e assegna un ruolo tematico di tema
al suo complemento e il ruolo tematico di agente al costituente il nemico che occupava
inizialmente la posizione di specificatore di VP e che poi si è spostato nella posizione di
soggetto della frase.

• questo tipo di verbo ammette anche un uso intransitivo. Nel caso in cui viene usato
intransitivamente, questo verbo prende l’ausiliare essere.

Pagina 126

• le navi non scelgono di affondare, non agiscono attivamente affinché ciò avvenga. Questo ci
suggerisce che al soggetto della frase non venga assegnato il ruolo tematico di agente, ma
piuttosto il ruolo tematico di tema, che designa colui/quel qualcosa che subisce una
trasformazione messa in atto dall’evento descritto dal verbo.

• la stessa cosa accade con il verbo inciampare.

• Mario non decide di inciampare, non agisce attivamente per inciampare.

• anche in questo caso non abbiamo un ruolo tematico di agente: il pacco non sceglie di arrivare,
non agisce attivamente perché ciò avvenga.

• la stessa cosa accade nelle frasi al passivo: al soggetto delle frasi al passivo è stato assegnato
il ruolo tematico di tema perché questo soggetto si è originato nella posizione di complemento
del verbo, poi si è spostato nella posizione di specificatore di IP.

ricapitolando
Pagina 127

• i verbi intransitivi che prendono ausiliare avere:

- non vogliono l’ausiliare essere (vogliono avere),

- il soggetto di frasi che contengono questi verbi non può essere sostituito dal pronome
partitivo ne,

- non possiamo costruire frasi relative ridotte con questi verbi,

- il soggetto di frasi che contengono questi verbi non riceve il ruolo tematico di tema.

• questo è ciò che succede analogamente al al soggetto di frasi che contengono verbi
transitivi alla forma attiva.

- queste frasi richiedono l’ausiliare avere,

- non possiamo sostituire parte del soggetto con il pronome partitivo ne,

- non possiamo costruire frasi relative ridotte,

- il soggetto non riceve il ruolo tematico di tema.

• le costruzioni che contengono verbi transitivi, ma che sono al passivo:

- selezionando l’ausiliare essere

- possiamo sostituire parte del soggetto di queste frasi con il pronome partitivo ne,

- possiamo costruire frasi relative ridotte,

- il soggetto di queste frasi riceve il ruolo tematico di tema.

• possiamo considerare quel gruppo di verbi intransitivi che prende ausiliare essere:

- prendono l’ausiliare essere,

- il soggetto di queste frasi può essere sostituito dal pronome partitivo ne,

- possiamo costruire frasi relative ridotte,

- il soggetto di queste frasi riceve il ruolo tematico di tema.

verbi inergativi: verbi intransitivi che prendono ausiliare avere.

verbi inaccusativi: verbi intransitivi che prendono come ausiliare essere.

Se confrontiamo la risposta di questi verbi a questi test notiamo che i verbi intransitivi che
prendono ausiliare avere (inergativi) si comportano come i verbi attivi, mentre i verbi intransitivi
che prendono come ausiliare essere (inaccusativi) si comportano come le costruzioni passive.

• questo ci suggerisce che c’è una analogia strutturale tra i verbi inaccusativi e le costruzioni al
passivo.

I soggetti delle frasi che contengono verbi intransitivi che selezionano ausiliare essere si
originano inizialmente nella posizione di complemento del verbo e si spostano poi nella
posizione di specificatore di IP.

I soggetti delle frasi che contengono verbi intransitivi che selezionano ausiliare avere si
originano inizialmente nella posizione di specificatore di VP e poi si spostano nella
posizione di specificatore di IP (per soddisfare il principio universale che richiede che ogni
frase debba avere un soggetto).

Pagina 128

Pagina 129

LEZIONE 25 - SEMANTICA

• competenza semantica: abilità di associare significati e di comprendere un numero


potenzialmente infinito di enunciati.

• abbiamo la capacità di produrre un numero potenzialmente infinito di enunciati a partire da un


numero finito di elementi (parole e morfemi) e di regole che fanno da filtro sulle possibili
combinazioni di questi elementi.

• abbiamo l’abilità di comprendere un numero potenzialmente infinito di enunciati.

Cosa significa “comprendere il significato di un enunciato”?


Come viene associato ad un enunciato il suo significato?
• come gli enunciati sono usati per fare cose diverse in contesti diversi e come ciò che un
enunciato dice dipende dal contesto nel quale l’enunciato è stato pronunciato è stato oggetto di
studio di filosofi sin dall’antichità. I rappresentanti contemporanei di questa materia di riflessione
sono Austin e Grice.

• pragmatica: studio dell’uso del linguaggio, di come le espressioni vengano usate in alcuni
contesi e producano certi effetti in quei contesti e non in altri.

a) Vorrei una Coca Cola.


b) Sei licenziato.
• in alcuni contesti gli enunciati a) e b) dicono cose che non sono direttamente codificate dal
significato letterale delle parole.

• ci sono casi in cui ciò che diciamo pronunciando una frase non è direttamente codificato dal
significato letterale delle parole.

es: Chi ha mangiato qualche biscotto?


es: Chi ha mangiato qualche biscotto non può
avere la torta.


• questo esempio mostra come una stessa frase dice cose diverse.

- quando in isolamento è compatibile con una sola situazione.

- quando occorre in un contesto diverso è compatibile con due situazioni.

Pagina 130

Consideriamo ora le frasi

1 Cookie Monster ha mangiato qualche biscotto.


2 Cookie Monster ha mangiato tutti i biscotti.

• la frase 1 è vera in A, ma è vera anche in B.

- però, per descrivere la situazione in B sarebbe meglio usare la frase in 2.

• questo ci suggerisce che in realtà quando pronunciamo 1 intendiamo che Cookie Monster ha
mangiato qualche biscotto, ma non tutti.

• non tutti non è codificato direttamente dal significato delle parole in 1. Ce lo mostra la frase in 3:

3 Se Cookie Monster ha mangiato qualche biscotto non sarà più arrabbiato.


• Cookie Monster non è più arrabbiato in A e B.

• dunque, non tutti non è esplicitamente codificato dal significato delle parole in 1, ma è inteso
dai parlanti quando 1 è asserito in un certo contesto.

Quando parliamo di significato dobbiamo distinguere tra significare e intendere.



semantica pragmatica
significare intendere
• studia l’interpretazione delle espressioni • studia l’uso delle espressioni linguistiche e
linguistiche, del loro significato “letterale”.
come l’uso produca alcuni effetti in alcuni
contesi e altri effetti in altri contesti


Perché in 1 intendiamo “non tutti”?

1 Cookie Monster ha mangiato qualche biscotto.

2 Cookie Monster ha mangiato tutti i biscotti.

• la frase 1 è vera sia in A che in B (descrive entrambe le situazioni).

• la frase 2 è vera solamente in B (descrive solo la situazione B).

• allora 2 è più informativa di 1.

Pagina 131

• riflettendo su come vengono usate frasi come 1 e 2, Grice ha notato che le conversazioni dei
parlanti obbediscono a delle massime conversazionali universali.

- le massime conversazionali sono degli imperativi che dicono al parlante come deve
comportarsi durante uno scambio di frasi in un discorso.

• una di queste massime è la cosiddetta massima della quantità.

massima della quantità: richiede al parlante di dare un contributo appropriato sotto il profilo
della quantità di informazioni.

• al parlante, per obbedire a questa massima, è richiesto di usare l’asserzione che risulta più
informativa per descrivere una certa situazione.

• in questo caso per descrivere la situazione in B, l’asserzione più informativa è 2 perché 2


descrive la situazione B, ma non A.

- 1 invece descrive la situazione B, ma descrive anche A.

- 2 è più informativo di 1.

Ci è richiesto di usare l’asserzione più informativa per descrivere una certa situazione.

“non tutti” è un’inferenza pragmatica

• se l’ascoltatore sa che al parlante è richiesto di usare l’asserzione più informativa allora inferisce
che il parlante sceglie di usare l’asserzione meno informativa perché non ha evidenza per
asserire quella più informativa.

- dunque, quando l’ascoltatore sente 1 esclude che descriva la situazione B e per questo
intende “qualche biscotto, ma non tutti”.

• inferenza pragmatica: se il parlante sceglie di usare l’asserzione meno informativa è perché non
ha evidenza per asserire quella più informativa e dunque quando sento (1) escludo che descriva
(B) intendendo «qualche biscotto, ma non tutti». Questa inferenza è chiamata implicatura.

IL SIGNIFICATO
• la teoria del significato che più ha influenzato la semantica del linguaggio naturale è quella che
prende origine da un’osservazione del filosofo Wittgenstein, che si domanda cosa vuol dire
comprendere il significato di un enunciato.

• in un passo del suo Trattato Logico-Filosofico risponde a tale domanda affermando che:

comprendere un enunciato vuol dire sapere cosa accade quando esso è vero.

Consideriamo la frase

La porta è aperta.
• secondo Wittgenstein se comprendiamo il significato di questa frase, sappiamo che ciò che
accade quando questo enunciato è vero è ciò che è rappresentato nella situazione 1, 2 e 3, ma
non nella situazione 4.

S1 S2 S3 S4

• possiamo comprendere questo enunciato senza sapere se esso sia vero o falso e senza sapere
come fare in pratica a stabilire se sia vero o falso.

- es: la Luna ha un diametro di 50000 km.

Pagina 132

• possiamo ritenere che

comprendere un enunciato equivale a sapere quali sono le condizioni che rendono vero tale
enunciato.
• questo approccio alla teoria del significato è chiamato approccio vero-condizionale alla teoria
del significato.

verità di un enunciato
Consideriamo le frasi

1 Leo dorme.

2 Leo scrive.
• se sappiamo l’Italiano, sappiamo dire se tali enunciati sono veri in una certa situazione s.

- una situazione è ad esempio una fetta, una porzione di mondo reale.

• ad esempio:

- se consideriamo una situazione s1 nella quale Leo sta ballando con un’amica, sappiamo che
1 è falso in s1.

- se consideriamo una situazione s2 nella quale Leo sta scrivendo una lettera con un’amica,
sappiamo che 1 è falso in s2 e che 2 è vero in s2.

• possiamo dunque descrivere la verità dell’enunciato 1 rispetto ad una certa situazione:

- l‘enunciato Leo dorme è vero nella situazione s se Leo esiste in s e Leo dorme in s.

possiamo anche dire

- Leo esiste in s e dorme in s se l‘enunciato Leo dorme è vero in s.

• abbiamo due condizioni, che possono essere riassunte nella relazione

L‘enunciato Leo dorme è vero nella situazione s sse Leo esiste in s e dorme in s.
• sse (se e solo se): vuol dire che il condizionale vale in un senso e nell’altro.

falsità di un enunciato

l‘enunciato Leo dorme è vero nella situazione s sse Leo esiste in s e dorme in s, falso altrimenti.

• falso equivale a non vero.

• è falso quando le condizioni non sono rispettate, ovvero quando Leo non esiste in s oppure
Leo non dorme in s.

• nelle condizioni di verità dell’enunciato Leo dorme abbiamo richiesto l’esistenza di Leo.

Perché va considerata l’esistenza di Leo?


• Aristotele ha formulato un principio logico chiamato principio di bivalenza.

• tale principio afferma che ogni enunciato è vero o falso.

• se Leo non esiste in s non possiamo dire se Leo dorme sia vero o falso in s (se non possiamo
dirlo, violiamo il principio di bivalenza).

• le situazioni in cui Leo esiste e Leo dorme sono situazioni particolari: sono situazioni che
rendono vero l’enunciato Leo dorme.

• se comprendere un enunciato vuol dire sapere in quali situazioni esso è vero,

il significato di un enunciato E è l’insieme delle situazioni che rendono E vero.

[[ Leo dorme ]] = {s : Leo esiste in s e Leo dorme in s}

cioè
il significato dell’enunciato Leo dorme è uguale all’insieme di situazioni s tali che Leo esiste in s e
Leo dorme in s.

• le parentesi quadre indicano il significato dell’enunciato.

• le parentesi graffe rappresentano l’insieme di situazioni s.

• i due punti stanno per “tali che” e designano situazioni che godono di una certa proprietà.

Pagina 133

• quando parliamo di situazioni non parliamo solo di situazioni attuali, ma di situazioni possibili.

- queste non sono situazioni che appartengono a pianeti lontani, ma sono situazioni che
possiamo immaginarci mutando alcune proprietà del mondo reale, delle situazioni reali.

• gli enunciati possono descrivere situazioni che non si verificheranno mai: il loro verificarsi o
meno non gioca alcun ruolo nella comprensione dell’enunciato.

• in letteratura si parla di mondi possibili e non di situazioni.

• possiamo descrivere un mondo possibile come una situazione molto grande, che comprende
l‘intero universo.

• un enunciato non è di per se vero o falso.

• la nozione di verità di un enunciato è sempre relazionale: un enunciato è vero o falso rispetto


ad una situazione.

• quando non specifichiamo esplicitamente in quale situazione, assumiamo che sia la situazione
in cui l’enunciato viene asserito, la situazione che appartiene al mondo attuale.

Pagina 134

LEZIONE 26 - SEMANTICA

• possiamo ridurre il significato di un enunciato a un insieme di situazioni che rendono vero


quell’enunciato. Poiché le situazioni che rendono vero l’enunciato La porta è aperta sono S1,
S2, S3, il significato dell’enunciato è uguale all’insieme che contiene la situazione {S1, S2, S3}.

S1 S2 S3 S4

• i parlanti hanno intuizioni che riguardano relazioni semantiche che sussistono tra diverse
espressioni o enunciati. Queste intuizioni sono implicite e presentano delle analogie con le
intuizioni che i parlanti hanno rispetto alla grammaticalità delle espressioni che appartengono
alla loro lingua.

Poiché il significato di un enunciato è l’insieme delle situazioni che rendono vero l’enunciato,
allora possiamo ridurre le relazioni di significato tra enunciati a relazioni tra insiemi di
situazioni che rendono veri gli enunciati.

• consideriamo ad esempio gli enunciati A e B:

(A) Leo ha baciato Eva con passione.

(B) Leo ha baciato Eva.

• intuitivamente sappiamo che se (A) è vero, allora è vero anche (B), ma non necessariamente è
vero il contrario.

• si dice che l’enunciato (A) ha come conseguenza logica l’enunciato (B):

- ogni volta che (A) è vero, anche (B) è vero

- l’informazione trasmessa da (B) è contenuta in quella trasmessa da (A).

- l’enunciato (A) e la negazione dell’enunciato (B) non è vero in nessuna situazione.

Il significato di un enunciato può essere visto come l’insieme delle situazioni che lo rendono
vero.

CONSEGUENZA LOGICA

• possiamo introdurre il termine proposizione per esprimere significato di un enunciato.

L’enunciato B è conseguenza logica di A quando la proposizione α espressa da A implica


(include) la proposizione β espressa da B.

- l’insieme di situazioni che rendono vero l’enunciato A è contenuto nell’insieme di situazioni


che rendono vero l’enunciato B.

α è un sottoinsieme di β

1 [[ Leo ha baciato Eva con passione ]] = α

α = {s : Leo ed Eva esistono in s & e Leo ha baciato Eva con passione in s}

2 [[ Leo ha baciato Eva ]] = β

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β = {s : Leo ed Eva esistono in s & e Leo ha baciato Eva in s}

Quando una proposizione β è conseguenza logica di una proposizione α, ma non viceversa,


allora α è più informativa di β.

Proposizioni che includono insiemi più grandi di situazioni sono meno informative di
proposizioni che includono insiemi più piccoli.

Una proposizione che include un grande numero di situazioni specifica poche proprietà del
mondo e dunque è poco informativa.

EQUIVALENZA LOGICA
o sinonimia
Consideriamo le frasi

A Leo ha baciato Eva.

B Eva è stata baciata da Leo.

• intuitivamente sappiamo che se A è vero, allora è vero anche B e viceversa.

• un enunciato A è logicamente equivalente a B:

- ogni volta che A è vero anche B è vero e viceversa;

- l’informazione trasmessa da B è la stessa trasmessa da A

- A e B sono veri e falsi nelle medesime situazioni

• A è logicamente equivalente a B: la proposizione α espressa da A è equivalente alla


proposizione β espressa da B.

α e β sono lo stesso insieme

CONTRADDIZIONE
Consideriamo le frasi

A Leo ha baciato Eva.

B Leo non ha toccato Eva con le sua labbra.

C Leo ha toccato Eva con le sue labbra.


• intuitivamente sappiamo che se A è vero allora B deve essere falso.

• diciamo che gli enunciati A e B sono contraddittori:

- ogni volta che A è vero, B è falso e viceversa;

- l’informazione trasmessa da B è complementare a quella trasmessa da A;

- A e B sono veri e falsi in situazioni differenti;

- non esiste una situazione s tale che A e B sono vere in s.

• A e B sono contraddittori: la proposizione α espressa da A è complementare alla proposizione


β espressa da B.

• i due enunciati dividono l’insieme di mondi possibili in due sottoinsiemi: un sottoinsieme nel
quale è vero A e un sottoinsieme nel quale è vero B.

α e β sono insiemi disgiunti di situazioni

α e β costituiscono l’insieme di tutte le situazioni possibili

es: Piove

Non piove
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COMPATIBILITÀ
Consideriamo le frasi

A Leo ha baciato Eva.

B Eva indossa un vestito azzurro.

• intuitivamente sappiamo che quando A è vero, B può esserlo, ma anche non esserlo.

• diciamo che gli enunciati A e B sono compatibili:

- se A è vero non è detto che lo sia anche B;

- l’informazione trasmessa da B è ammissibile con quella trasmessa da A.

• A e B sono compatibili: c’è almeno una situazione s nella quale A e B sono veri.

l’intersezione tra la proposizione α espressa da A e β espressa da B è un insieme non vuoto.

ELEMENTI DI INSIEMISTICA

insieme
un insieme è una collezione di oggetti
• possiamo definire un insieme (1) nominando i suoi membri o (2) specificando una condizione
(proprietà) che i suoi membri devono soddisfare per appartenervi.

(1) A = {2, 4, 6, 8, 10}

(2) A = {x : x è un numero pari compreso tra 2 e 10}

l’insieme A è l’insieme di quegli elementi tali che quegli elementi sono un numero pari compreso tra 2 e 10

• preso un oggetto qualsiasi, possiamo domandarci se quell’oggetto appartiene o meno a


quell’insieme. Ad esempio, usiamo il simbolo ∈ per indicare l’appartenenza del 2 all’insieme:

2 ∈ {2, 4, 6, 8, 10};

2 ∈ {x : x è un numero pari compreso tra 2 e 10}

• indichiamo la relazione di non appartenenza con il simbolo ∉:

3 ∉ {2, 4, 6, 8, 10};

3 ∉ {x : x è un numero pari compreso tra 2 e 10}

• due insiemi sono uguali se hanno gli stessi elementi (indipendentemente dall’ordine con il quale
gli elementi sono introdotti in quel raggruppamento)

equivalente
non equivalente

{Leo, Eva, Ivo} = {Eva, Ivo, Leo}


{Leo, Eva, Ivo} ≠ {Eva, Teo, Leo}


• l’insieme vuoto possiamo indicarlo con il simbolo Ø, è un insieme che non ha elementi.

• gli elementi di un insieme possono formare insiemi a loro volta.

- es: insieme dei numeri naturali = insieme numeri dispari + insieme dei numeri pari interi

• possiamo avere insiemi di oggetti ordinati da una relazione di ordine.

- ad esempio, tale relazione può ordinare due oggetti.

• per esempio, la relazione di precedenza.

Pagina 137

• una tale relazione può essere applicata agli elementi dell’insieme dei numeri naturali e generare
un insieme di coppie ordinate di numeri <x, y> nelle quali x precede y.

- coppia ordinata: raggruppamento di due elementi sui quali sussiste una certa relazione
d’ordine.

• la coppia di elementi <a, b> è diversa dalla coppia di elementi <b, a> perché gli elementi sono
nominati secondo un ordine differente.

• possiamo rappresentare una relazione binaria (tra due elementi) per mezzo di una coppia
ordinata.

- es: la relazione “essere minore di”, che vale tra numeri naturali {<1,2>, <2,3>, <1,3>, …}.

- es: la relazione “amare”, che da un punto di vista insiemistico possiamo rappresentare come
{<x,y> : x ama y}; se avessimo un nome per ciascun essere vivente e sapessimo chi
ciascuno ami, potremmo definire l’insieme come {<Leo,Lea>, <Ivo,Eva>, <Luca,Marta>, ...}.

• possiamo rappresentare anche relazioni denotate da verbi ditransitivi (relazioni che sussistono
tra più di due elementi), come insiemi di triplette ordinate.

- es: la relazione “spedire” come {<x,y,z> : x spedisce y a z}.

• possiamo definire il dominio anteriore ed il dominio posteriore di una relazione

• sia data una relazione R, ad esempio amare

dominio anteriore (insieme delle persone che amano qualcuno) è un insieme:

{x : ∃ y <x,y> & <x,y> ∈ R}

è l’insieme di quegli x tali per cui esiste un y (un secondo elemento) tali per cui x e y sono membri di una coppia
e tali per cui x e y appartengono alla relazione amare

dominio posteriore (insieme delle persone che sono amate da qualcuno) è un insieme:

{y : ∃ x <x,y> & <x,y> ∈ R}

è l’insieme di quegli y tali per cui esiste una x (un primo elemento) tali per cui x e y sono membri di una coppia e
tali per cui x e y appartengono alla relazione amare

Possiamo eseguire alcune operazioni sugli insiemi:

unione

• unione: l’insieme unione contiene gli elementi comuni e non comuni ai due insiemi.

{ Leo, Lea } U { Ivo, Eva } = { Leo, Lea, Ivo, Eva }

• l’insieme dei numeri naturali è l’unione dell’insieme dei numeri dispari e dell’insieme dei numeri
pari.

{ 1,3,5,7,9,...} U { 2,4,6,8,...} = { 1,2,3,4,5,6,7,8,9,…}

intersezione
• intersezione: l’insieme intersezione contiene gli elementi comuni ai due insiemi.

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{ Leo, Lea, Ivo, Eva } ∩ { Ivo, Eva, Pat } = { Ivo, Eva }

{ Leo } ∩ { Leo } = { Leo }

{ Leo } ∩ { Eva} = Ø

inclusione
• si dice che un certo insieme è incluso in un altro insieme (o è sottoinsieme dell’altro insieme)
quando ogni elemento di A è anche elemento di B.

• ⊆ va letto come «è sottoinsieme».

A ⊆ B : A è un sottoinsieme di B

• inclusione e appartenenza sono due relazioni diverse:

- la relazione di inclusione è una relazione che sussiste tra due insiemi;

- la relazione di appartenenza è una relazione che sussiste tra un certo elemento e un certo
insieme.

{Leo, Eva} ⊆ {Eva, Ivo, Leo}

il primo insieme è sottoinsieme del secondo insieme (ogni elemento di A è anche elemento di B)

{Leo, Eva} ⊆ {Eva, Leo}

i due insiemi sono lo stesso insieme (ogni elemento di A è anche elemento di B)

• il simbolo ⊆ indica che il sottoinsieme è improprio, mentre il simbolo ⊂ indica che il sottoinsieme
è proprio.

• diciamo che A è un sottoinsieme proprio di B quando ogni elemento di A è anche elemento di


B, ma non viceversa (c’è almeno un elemento di B che non appartiene ad A)

A ⊂ B : A è un sottoinsieme proprio di B

{Leo, Eva} ⊂ {Eva, Ivo, Leo}

ma non {Leo, Eva, Ivo} ⊂ {Eva, Ivo, Leo}

ma non {Leo, Eva} ⊂ {Eva, Leo}

• l’insieme vuoto Ø è sottoinsieme di ogni insieme:

per ogni insieme M, Ø ⊆ M

per ogni insieme M l’insieme vuoto è sottoinsieme di quell’insieme M

• corollario: due insiemi A e B sono identici sse A ⊆ B & B ⊆ A

due insiemi sono identici se e solo se tutti gli elementi di A


sono anche elementi di B e se tutti gli elementi di B sono
anche elementi di A

Alcune relazioni ed operazioni su insiemi:


• distinguiamo inclusione ed appartenenza:

sia A = {1, 2, 3, 4 }

appartenenza inclusione
• 3 ∈ A
• { 3 } ⊆ A

• 3 ∈ {1, 2, 3, 4 }
• { 3 } ⊆ {1, 2, 3, 4 }

• 3 appartiene all’insieme A
• { 3 } è un sottoinsieme di A


 • l’insieme che contiene 3 è sottoinsieme di A

• { 3 } è incluso in A

Pagina 139

LEZIONE 27 - SEMANTICA
• la nostra competenza semantica fa inconsciamente uso di relazioni insiemistiche che ci
permettono di computare il significato degli enunciati.

• significato: insieme di situazioni che rendono l’enunciato vero

Verità è ciò che si predica di un enunciato sotto certe condizioni.

Tarski, 1963

• la semantica specifica il modo in cui i parlanti associano le condizioni di verità agli enunciati del
loro linguaggio.

Esiste un magazzino mentale che contiene i significati degli enunciati come avviene per le parole?
frase: C’è un elefante rosso che danza sulla cattedra.
• comprendiamo il significato di enunciati che non abbiamo mai sentito e che dunque non
appartengono a questo magazzino. Questo significa che generiamo significati.

Come generiamo il significato degli enunciati?


• comprendiamo il significato di enunciati mai sentiti prima generando il significato degli enunciati
e lo facciamo a partire dal significato delle parti, secondo il principio di composizionalità.

principio di composizionalità (PC1):


Il significato dell’insieme è funzione del significato delle parti.

Frege

• a partire dal significato delle parti, possiamo ricostruire il significato della frase.

Consideriamo l’enunciato
1 Leo mangia una mela.

• il significato dell’enunciato viene così elaborato:

- Leo: l’individuo Leo

- mangiare: una relazione nella quale tipicamente un individuo animato mangia un oggetto
commestibile.

- una mela: oggetto commestibile di natura tale che …

Consideriamo l’enunciato
2 Il poliziotto arresta il delinquente.
• il significato dell’enunciato viene così elaborato:
- il poliziotto: individuo investito del potere di arresto dei delinquenti.

- arresta: relazione tra due individui tale che il primo individuo della relazione ha il potere di
arrestare il secondo che tipicamente è un delinquente e tipicamente deve andare in prigione.

- delinquente: individuo che ha infranto la legge e che per tale motivo deve essere tipicamente
arrestato.

Come distinguiamo i diversi significati di 3 e 4?


3 Leo ama Maria.

4 Maria ama Leo.

• i due enunciati hanno significati differenti. Dobbiamo affidarci a qualcosa di aggiuntivo oltre al
significato delle parole (come l’ordine delle parole ad esempio).

• possiamo riformulare il principio di composizionalità.

principio di composizionalità (PC2):


Il significato dell’insieme è funzione del significato delle parti e dell’ordine delle parole.

• possiamo immaginare una regola che dice: le frasi hanno forma SVO e la frase SVO è vera se e
solo se l’individuo S sta nella relazione V con l’individuo O.

Pagina 140

• ci affidiamo a un ordine lunare e mappiamo questo ordine sulle funzioni sintattiche. Questo non
è però sufficiente, come si vede in (4a) e (4b).

• in (4a) e (4b) troviamo il medesimo ordine ma i significati sono differenti:

(4a) Leo è amato da Maria.

S V *O

(4b) Leo ha amato Maria.

S V O

• la frase (4a) è passiva e quindi l’ordine lineare delle parole non rispecchia l’ordine funzionale
della struttura sintattica della frase. Quello che sta nella posizione di soggetto occupa, a livello
strutturale, la posizione di oggetto del verbo.

• possiamo riformulare il principio di composizionalità.

principio di composizionalità (PC3):


Il significato dell’insieme è funzione del significato delle parti (parole) e della struttura sintattica.

• la struttura sintattica che ci permette di generare frasi è la struttura sintagmatica.

• se assumiamo che la struttura sintagmatica sia la struttura sintattica che ci permette di genere
frasi, allora una struttura dell’interpretazione deve essere sensibile alle strutture sintattiche
generate dalla grammatica e in particolare dalla grammatica descritta dal modello X’.

• i linguisti, per cercare di dare un modello della competenza semantica (capacità di associare ad
ogni enunciato il suo significato), devono elaborare un modello nel quale venga definito:

- il significato delle parti;

- un meccanismo che ci permette di combinare il significato delle parti nel rispetto della
struttura sintattica nella quale le parti stanno.

Qual è il significato delle parti?


• il significato di un enunciato (il tutto) è l’insieme delle situazioni in cui l’enunciato è vero.

• tipicamente un enunciato in Italiano contiene un soggetto ed un verbo (di forma finita).

- un soggetto è tipicamente un NP (o DP)

Il significato di un’espressione nominale


• un’espressione nominale può essere ad esempio:

- un pronome, lui, che denota l’individuo del quale stiamo parlando.

- un nome, Keplero, che denota l’individuo che porta quel nome, Keplero.

- un’espressione complessa, Lo scopritore dell’orbita ellittica dei pianeti, che denota l’individuo
che quella descrizione descrive (nel mondo attuale, Keplero).

• diciamo che tali espressioni nominali denotano oggetti e/o individui e diciamo che si riferiscono
a tali oggetti e/o individui.

• espressioni complesse come Lo scopritore dell’orbita ellittica dei pianeti non denotano lo stesso
individuo in tutte le situazioni possibili (possiamo immaginarci mondi in cui quella proprietà è
goduta da un altro individuo).

• consideriamo le frasi:

1. L’autore di Imagine è stato assassinato a NY.

2. L’autore di Give peace a chance è stato assassinato a NY.


• rispetto al mondo reale, se è vero (1) è vero anche (2), e viceversa.

• apparentemente, L’autore di Imagine e L’autore di Give peace a chance sono sinonimi.


Consideriamo però il significato di (1) e (2) nei termini di insiemi di mondi possibili.

• posso immaginare mondi che rendono vero (2) nei quali l’autore di Imagine non è Lennon, ma
qualcun altro. Allora (1) e (2) non hanno lo stesso significato. Ad (1) e (2) associamo diversi
insiemi di situazioni possibili che li rendono veri.

• i due enunciati non sono perfettamente sinonimi a livello di significato perché denotano insiemi
di mondi differenti.

Pagina 141

• poiché (1) e (2) si differenziano solo per le diverse espressioni nominali complesse (che
prendono il nome di espressioni definite perché vengono introdotte dall’articolo definito),
queste ultime non sono esattamente sinonime.

- nel mondo reale si riferiscono allo stesso individuo, ma in mondi possibili differenti possono
denotare individui differenti perché esprimono proprietà differenti che possono essere godute
da individui differenti in diverse situazioni possibili.

• questa riflessione ha avuto come principale aspiratore e ideatore il logico matematico Frege, il
quale afferma che occorre distinguere tra due livelli di significato: un livello di senso e un livello
di denotazione (o di riferimento).

• associato a un’espressione del linguaggio abbiamo due livelli di significato: il suo senso e il suo
riferimento.

senso denotazione (riferimento)


• appartiene ad un livello concettuale ed • riguarda oggetti e la relazione tra espressioni
esprime una certa proprietà o un certo ed oggetti.

pensiero (dipende dal tipo di espressione).


• questa denotazione è sempre relativa a una
certa situazione.

• es: aggettivo bello

- livello concettuale: esprime la proprietà che deve essere goduta da un individuo/oggetto per
essere bello.

- livello di riferimento: se andiamo a vedere in ogni situazione possibile, sappiamo in quella


situazione quali sono gli oggetti belli.

• questa distinzione deve essere applicata a tutte le categorie sintattiche del linguaggio e quindi a
tutte le parti che compongono l’enunciato.

• concetto individuale: riguarda un


individuo

• il riferimento è nel mondo attuale

• uno stesso riferimento può essere


dato da diverse espressioni
nominali che esprimono diversi
concetti individuali.

- es: la stella del mattino è anche la


stella della sera (Venere è anche
la prima stella che sorge la sera).

• il fenomeno per cui lo stesso


riferimento può essere dato
attraverso espressioni diverse che
esprimono diversi concetti
individuali ci spiega perché le frasi
(1) e (2) non sono perfettamente
sinonime.

• i verbi possono prendere diversi


argomenti.

• ai verbi sono associati dei concetti


che esprimono delle proprietà che
possono essere n-ari, cioè che
riguardano insiemi ordinati di un
certo numero di oggetti.

- es: un verbo intransitivo come


dormire esprime la proprietà di
dormire, che è una proprietà che
viene goduta da un individuo
(esprime un concetto unario).

Pagina 142

• gli enunciati esprimono pensieri (proposizioni). Abbiamo definito queste proposizioni in termini
di insiemi di situazioni che rendono vere quell’enunciato.

• a livello di riferimento, un enunciato denota in una certa situazione il vero o il falso. Quindi, a
livello di riferimento un enunciato in una situazione sta in relazione con un valore di verità, che
può essere il vero o il falso. È la proprietà che deve avere una certa situazione per essere la
situazione che rende vero quell’enunciato.

• a livello di denotazione:

- una frase (IP) denota un valore di verità, il vero ed il falso.

- un sintagma nominale referenziale denota un individuo.

- un verbo intransitivo denota un insieme di individui.

- un verbo transitivo denota un insieme di coppie ordinate di individui.

• dormire esprime il concetto di dormire, la proprietà che deve essere goduta da un qualcosa che
dorme. A livello denotazionale andiamo a vedere in una certa situazione tutti gli individui che
godono di quella proprietà. Generiamo l’insieme degli individui che godono della proprietà
dormire.

• possiamo rappresentare i verbi transitivi come delle relazioni tra coppie di individui.

- es: amare, dal punto di vista denotazionale, rispetto ad una certa situazione s denota un
insieme di coppie di individui tali per cui il primo elemento della coppia ama il secondo
elemento della coppia.

• per quanto riguarda il senso:

- il senso di una frase (IP) è una proposizione, ovvero un insieme di situazioni in cui
l’enunciato è vero.

- il senso di un sintagma nominale referenziale è una proprietà individuale.

- il senso di un verbo intransitivo è una proprietà unaria, cioè una proprietà goduta da un
individuo).

- il senso di un verbo transitivo è una proprietà binaria, cioè una proprietà relazionale, goduta
da coppie di individui.

Il principio di composizionalità di Frege vale sia per la denotazione che per il senso.

• siamo in grado di generare il significato concettuale (senso) sia di espressioni semplici che di
espressioni molto complesse, che viene generato mettendo assieme il significato concettuale
delle parti.

• la stessa cosa avviene per la denotazione: componiamo significati denotazionali delle parti per
ottenere il significato denotazionale del tutto.

Abbiamo nella nostra mente un meccanismo che ci permette di associare il significato


concettuale o denotazionale delle espressioni o delle frasi a partire dal significato
denotazionale e concettuale delle parti.

• la nostra abilità semantica è un’abilità di questo tipo: è un’abilità che ci permette di associare
a frasi o espressioni che non abbiamo mai sentito prima d’ora, attraverso un processo
generativo, i loro significati a partire dal significato delle parti.

Come funziona questo meccanismo?


Noi considereremo solo frasi che sono composte solo da nomi propri e i verbi e parleremo solo del riferimento.
• avevamo introdotto una certa funzione che associava ad ogni enunciato il suo senso (il suo
significato concettuale), cioè associava a quell’enunciato un insieme di situazioni nelle quali
quell’enunciato è vero.

• ora introduciamo un indice di questa funzione, cioè la relativizziamo ad una certa situazione.

Sia [[ ]]s una funzione che associa ad ogni espressione ben formata del linguaggio la sua
denotazione (riferimento) nella situazione s.

Pagina 143

• la s indica che devo considerare il significato denotazionale dell’espressione che è racchiusa in


queste parentesi rispetto a quella situazione s.

• abbiamo detto che i significati denotazionali sono significati relativi ad una certa situazione.

il caso degli NP
Per semplicità assumiamo che nel nostro linguaggio la categoria dei sintagmi nominali referenziali sia costituita
solo da sintagmi nominali che hanno nomi propri come teste.

• ad esempio immaginiamo che l’insieme di elementi di categoria N siano i nomi propri Leo, Ivo
Eva.

• un nome proprio in una certa situazione denota l’individuo che porta quel nome in quella
situazione.

[[ N ]]s = l’individuo denotato da N in s

• poiché abbiamo solo NP che contengono nomi propri (tipicamente i nomi propri non hanno
aggiunti o complementi a livello di struttura sintattica), la denotazione dell’NP in una certa
situazione è uguale alla denotazione di N in una certa situazione.

[[ NP]]s = [[ N ]]s = l’individuo denotato da N in s

• il significato dell’NP che ha come testa Leo è uguale a Leo perché il nome Leo in s denota Leo.

Trascrizione dell’albero sintattico in parentesi


[[ (((Leo)N )N’ )NP ]]s = Leo

[[ Leo ]]s = Leo,

[[ Ivo ]]s = Ivo

[[ Eva ]]s = Eva


Qual è il significato denotazionale di un nome proprio?


In una certa situazione, il suo significato denotazionale è l’individuo che porta quel nome in
quella situazione.

il caso dei verbi


• dobbiamo distinguere tra verbi transitivi e verbi intransitivi.

• i verbi intransitivi, a livello concettuale, esprimono proprietà unarie, ovvero proprietà godute da
individui singoli.

A livello denotazionale un verbo intransitivo, in una certa situazione s, denota un insieme di


individui o di oggetti tali per cui quegli individui/oggetti godono della proprietà espressa dal
verbo in quella situazione.

[[ Vi ]]s = { x : x V in s }

• i verbi transitivi esprimono delle proprietà binarie, ovvero proprietà che sono godute da coppie
di individui o di oggetti.

Pagina 144

A livello denotazionale un verbo transitivo, in una certa situazione s, denota un insieme di


coppie tali per cui il primo elemento della coppia sta nella relazione espressa dal verbo con il
secondo elemento della coppia nella situazione s.

[[ Vt ]]s = { <x,y> : x V y ins }

Esempio con il verbo correre (intransitivo)


• correre, in una certa situazione s, denota l’insieme degli individui x tali per cui x corrono in s.

• ad esempio correre in una certa situazione s potrebbe denotare l’individuo Leo (in quella
situazione è solo Leo che sta correndo).

[[correre]]s = { x : x corre in s }, ad esempio [[ correre ]]s = { Leo }

• considero chi gode della proprietà espressa dal verbo in quella situazione.

Esempio con il verbo telefonare (intransitivo)


• telefonare, in una certa situazione s, denota l’insieme degli individui x tali per cui x telefonano in
s.

• ad esempio, se in s sta telefonando Ivo, telefonare in s denota l’insieme che contiene Ivo.

[[telefonare]]s = { x : x telefona in s }, ad esempio [[telefonare]]s = { Ivo }

Esempio con il verbo amare (transitivo)


• amare in s denota l’insieme delle coppie ordinate x,y tali che x ama y in s.

[[amare]]s = { <x,y> : x ama y in s }, ad esempio [[ amare ]]]s = { <Leo, Eva>, <Eva, Leo>, <Ivo,
Eva> }

Un verbo intransitivo denota un insieme di individui.


Un verbo transitivo denota un insieme di coppie di individui.

I verbi denotano insiemi, che possono essere insiemi di individui o insiemi di coppie ordinate
di individui. I nomi non denotano insiemi, ma individui/oggetti singoli.

il caso di IP
• la denotazione di un enunciato in una certa situazione s è un valore di verità (il vero o il falso).

[[ IP ]]s = vero o falso

• generiamo il significato di IP (il vero o il falso) componendo il significato delle parti.

• questo metodo deve essere un metodo creativo/generativo perché deve permettere di associare
il vero o il falso ad un numero potenzialmente infinito di enunciati.

Pagina 145

Assumiamo che IP = NP + SV (IP = sintagma nominale + sintagma verbale)

• ci serve una regola di composizione del significato delle parti per arrivare al significato del tutto.

- questa regola deve essere rispettosa della struttura sintattica

• quindi, assumiamo una versione molto semplificata della nostra struttura, nella quale gli IP:

- hanno nello specificatore il soggetto;

- il soggetto sta in relazione con un certo VP.

• verbo intransitivo dormire: il verbo ha un solo argomento, quello esterno, che in questo caso ha
occupato la posizione di specificatore di IP.

- in questo caso dobbiamo comporre il significato di dorme con Leo.

Pagina 146

• verbo transitivo amare: il verbo ha due argomenti, uno nella posizione di complemento del
verbo, e uno nella posizione di specificatore di IP.

- in questo caso dobbiamo comporre il significato di ama con Isa e poi il significato di ciò che
abbiamo ottenuto in questo VP con Leo.

Prima calcolo il significato del VP, poi compongo questo significato con il significato dello
specificatore di IP.
Componiamo il significato del VP con il significato dell’NP, che sta nella posizione di
specificatore di IP.

• nel caso di un verbo transitivo, il significato del VP è calcolato componendo il significato del
verbo + il significato del suo complemento.

verbo intransitivo

verbo transitivo

• dobbiamo comporre il significato della testa verbale con il significato del complemento.

• abbiamo bisogno di una regola: il significato di un certo VP più il significato del suo
complemento è uguale all’insieme degli individui tali che questi individui sono il primo elemento
di una coppia che ha il denotato del complemento del verbo come secondo elemento in s e tali
per cui queste coppie appartengono alla denotazione del verbo transitivo in s.

Esempio con amare (verbo transitivo)


• amare, in una certa situazione s, denota un insieme di coppie di individui tali per cui il primo
elemento ama il secondo elemento.

[[ [amare]V]]s = { <Leo, Eva>, <Eva, Tia> }

• il mondo s è fatto in modo tale che Leo ama Eva e Eva ama Tia.

• ora calcoliamo il significato di amare Eva.

Pagina 147

[[ [amare Eva]VP ]]s = { x : < x, [[ [Eva] NP ]]s > ∈ [[amare]]s } = { x : < x, Eva > { <Leo, Eva>,
<Eva, Tia> } }

• il significato del VP amare Eva in s è uguale all’insieme di individui tali per cui quegli individui
sono il primo elemento di una coppia che ha come secondo elemento il denotato del
complemento del verbo Eva e tali per cui queste coppie appartengono all’insieme di coppie
denotate da amare.

• abbiamo una regola che ci permette di combinare il significato del soggetto di una frase con il
significato del VP.

[[ [NP VP ]E ]]s = 1 sse [[NP]]s ∈ [[ VP ]]s

Un enunciato E che ha forma NP+VP in una certa situazione s denota il vero (1) se e solo se il
denotato dell’NP (il soggetto) appartiene al denotato del VP in s.

• quindi, un enunciato E che ha forma NP+VP in una certa situazione s denota il vero (1) se e solo
se l’individuo denotato dall’NP appartiene all’insieme denotato dal VP in s.

Esempio con l’enunciato “Leo corre.”


• deriviamo il valore di verità dell’enunciato Leo corre in una situazione s dove corrono Leo, Eva,
Lia e dove il nome Leo denota Leo.

[[ [correre]V ]]s = {Leo, Eva, Lia} ; [[ [Leo]N ]]s = Leo

• il significato di correre in s sarà un insieme di individui che contiene gli individui che corrono.

• la situazione s è un insieme che contiene Leo, Eva e Lia.

• in s il nome Leo denota Leo.

[[ [Leo]NP [corre]VP ]E ]]s = 1 sse [[Leo]]s ∈ [[corre]]s Leo ∈ {Leo, Eva, Lia}

• il significato dell’enunciato che contiene l’NP Leo (soggetto) e il VP corre in s è uguale a 1 se e


solo se il denotato in s del soggetto appartiene all’insieme denotato dal verbo in s.

- …quindi, se e solo se Leo appartiene all’insieme che contiene Leo, Eva e Lia.

• questa situazione è verificata, sussite, dunque l’enunciato è vero in questa situazione s.

Pagina 148

AGENTI CONVERSAZIONALI

Cos’è un agente conversazionale?


• un agente conversazionale è un software capace di interagire in linguaggio naturale (cioè in
una qualunque lingua, come ad esempio l’italiano).

Vediamo alcuni tipi di agenti conversazionali:


personal assistant virtual agent
• Alexa, Google Home e Siri sono esempi di • altri agenti conversazionali sono i virtual
agenti conversazionali e appartengono alla agent, che sono visibili come ologrammi o
categoria dei personal assistant in quanto avatar sullo schermo (non hanno un corpo
hanno il ruolo di assisterci in piccoli compiti fisico, reale).

giornalieri.

robot chatbot
• altri agenti conversazionali sono dei robot • costituiscono un altro esempio di agenti
come Erika e Jibo, che prevedono la conversazionali.

possibilità di comunicare parlandoci.


• ne fanno parte tutti quei sistemi automatici
- Erika: è una giornalista giapponese che che ci rispondono in linguaggio naturale, ma
conduce un telegiornale.
per via scritta (messaggi).

- Jibo: è un robot sociale.


• Telegram e Facebook dispongono dei
chatbot.


Erika Jibo

• gli agenti conversazionali non sono altro che delle interfacce. Immaginiamo di avere un
software che offre un determinato servizio all’utente:

- questo software potrebbe essere accessibile dal PC, quindi potremmo interagire con lui
schiacciando dei tasti sulla tastiera. In questo caso la tastiera è un’interfaccia per il nostro
software.

- nel corso degli anni si è arrivati al touch, che costituisce un’altra modalità di interazione con
cui possiamo accedere allo stesso software.

- una terza modalità è costituita dal linguaggio naturale. In questo caso non è più l’utente a
doversi adattare a un linguaggio comprensibile dal sistema, ma è il sistema che si adatta
all’essere umano.

• quello che cambia è solo la modalità attraverso la quale il sistema si interfaccia con l’utente.

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Perché si sta spingendo nella direzione degli agenti conversazionali?


• ci sono due motivi in particolare:

1. rapidità — comunicare qualcosa con le parole è molto più veloce.

2. accessibilità — gli agenti conversazionali sono nati per motivi di accessibilità (erano
tecnologie che rendevano accessibili alcuni servizi anche a persone con disabilità fisiche,
anche temporanee).

Le macchine sanno pensare?


Come facciamo a provare che un essere umano sa pensare?
• la prima persona a porsi questa domanda è stata Alan Turing, creatore della macchina enigma,
in grado di forzare e tradurre l’enigma usato dall'esercito e dalla marina tedesca fino a tutta la
Seconda Guerra Mondiale.

test di Turing
• Alan Turing si è chiesto quando una macchina può essere definita intelligente e sviluppa il
cosiddetto Imitation Game (test di Turing) per dare una risposta alla sua domanda.

• questo test è considerato uno degli esperimenti più validi per andare a verificare e validare
l’intelligenza di un sistema.

• una delle principali critiche sporte all’Imitation Game è il fatto che il test non valuti se un
sistema sa pensare, ma piuttosto se un sistema è in grado di imitare il comportamento umano
oppure no.

• setting sperimentale:

- l’essere umano al centro (inquisitore) interagisce sia con il computer che con l’altro essere
umano.

- l’essere umano tenterà di fingersi un computer, mentre il computer tenterà di fingersi un


essere umano.

- il ruolo dell’inquisitore è quello di capire chi è l’essere umano e chi il computer.

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Come funzionano gli agenti conversazionali?


• esistono due modelli che spiegano il funzionamento degli agenti conversazionali; il primo più
semplice e il secondo più dettagliato.

primo modello

• secondo questo modello, gli agenti conversazionali:

1. hanno un input e una prima fase in cui lo analizzano sotto diversi aspetti;

2. hanno una fase di planning, in cui ragionano sulle analisi che hanno svolto;

3. vanno ad agire complendo delle azioni (es: robot) oppure generando una risposta e la sua
sintesi vocale (es: personal assistant).

secondo modello

• questo modello è suddiviso in quattro fasi, svolte una dopo l’altra.

1. trascrizione del parlato — l’audio dell’utente (input) viene suddiviso in piccole parti aventi
tutte la stessa durata e viene calcolato lo spettro di frequenza per ognuna di loro. Questi
vengono poi confrontati con altri spettri di frequenza che il sistema possiede già in
memoria nel proprio database. Viene scelto il testo corrispondente allo spettrogramma con
il maggior coefficiente di correlazione con l’input. In questo modo il sistema riesce ad
associare cosa viene detto da parte dell’utente a un testo scritto.

- spettro di frequenza: grafico in due dimensioni che definisce le caratteristiche di quella


parte di audio.

2. comprensione del linguaggio naturale — in questa fase, dato un testo, il sistema tenta di
comprendere l’intenzione da parte dell’utente con quel messaggio. Chi costruisce l’agente
conversazionale deve creare una sorta di dizionario in cui associa un’intenzione a varie frasi
che possono comunicare quella stessa intenzione (formulazioni diverse dello stesso
concetto). In questa fase, dato un testo in input, il sistema restituisce l’intenzione da parte
dell’utente. Questo viene fatto tramite machine learning.

- machine learning:

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3. generazione del linguaggio naturale — il sistema produce un output in linguaggio naturale


utilizzando diverse strategie. Di solito il sistema dispone già di un set di frasi da utilizzare
per mandare all’utente come risposta (es: ELIZA).

4. sintesi vocale — il testo scritto viene trasformato in parlato. Secondo uno studio, il 70%
degli agenti conversazionali ha una voce femminile.

esempio di spettrogramma

machine learning

• esempio con i numeri: quando vogliamo fare in modo che un computer riconosca un numero
dopo che è stato scritto a mano da una persona dobbiamo dargli in pasto una serie di esempi di
quello stesso numero collegandoli a un’etichetta.

- es: tutta la fila degli zeri viene etichettata con “0”

- es: tutta la fila degli uno viene etichettata con “1”

- ecc.

• esistono vari modelli di machine learning: essi sono sistemi che sfruttano un determinato
algoritmo per funzionare.

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ELIZA: IL PRIMO AGENTE CONVERSAZIONALE DELLA STORIA (1966)

interfaccia del primo agente conversazionale della storia

• ELIZA è il primo agente conversazionale della storia. Si tratta di un chatbot (non era orale, ma
solo scritto). Esso viene riconosciuto come il primo chatbot in grado di dare delle risposte
consistenti ai propri utenti.

dove si colloca ELIZA nella linea del tempo? (1966)

Come funziona Eliza


• ELIZA non aveva una grossa intelligenza ad aiutarla, ma si serviva di un escamotage. ELIZA:

- dà risposte generiche che possono adattarsi a molte situazioni;

- dà risposte che riprendono quello che l’utente ha detto rigirando la frase (ripete lo stesso
concetto in modo tale che l’utente vada avanti nel discorso). Eliza riprende alcune parole
chiave trovate nell’input dell’utente e poi le riadatta all’interno di alcuni template.

esempio di conversazione tra ELIZA e un utente


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TASSONOMIA DEGLI AGENTI CONVERSAZIONALI

Come vengono classificati gli agenti conversazionali?


Che tipologie di agenti conversazionali esistono?

1. gli agenti conversazionali possono essere sia parlati che scritti.



spoken dialogue systems non-spoken dialogue systems
• sfruttano il canale orale.

• a livello di complessità tecnologica si


aggiungono due aspetti:

1. la trascrizione della risposta per


l’utente;

2. la produzione della risposta per


l’utente.

• la loro creazione richiede il coinvolgimento


di figure non tecniche come psicologi (la
voce influenza tantissimo la percezione da
parte dell’utente).

2. gli agenti conversazionali possono prendere l’iniziativa o possono dare l’iniziativa all’utente.

system initiative CA user initiative CA
• prendono iniziativa e guidano le • Google Home, Alexa e Siri sono sistemi a
conversazioni, che di solito sono più mirate cui possiamo chiede delle cose e a cui
a un determinato obiettivo e contesto.
possiamo dare dei comandi.

• il sistema non fa altro che rispondere a quei


comandi, quindi l’iniziativa ce l’abbiamo noi
come utenti.


3. gli a.c. possono avere un obbiettivo molto preciso o intrattenere conversazioni.



goal oriented CA general conversation holder
• es: agente conversazionale che ci serve • è in grado di fare conversazioni generiche.

unicamente per chiedere l’ora.


4. gli a.c. possono intrattenere conversazioni su argomenti aperti o su domini specifici.



open domain CA closed domain CA
• l’agente conversazionale è in grado di • l’agente conversazionale è in grado di
intrattenere conversazioni su argomenti intrattenere conversazioni su contesti
aperti.
specifici.

• la tecnologia supporta meglio conversazioni


con un dominio specifico. 


5. gli agenti conversazionali possono intrattenere conversazioni su lunghe o corte.



long conversation holder short conversation holder
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6. gli agenti conversazionali possono essere fisici o meno.



embodied CA non-embodied CA
• l’agente conversazionale potrebbe essere • l’agente conversazionale potrebbe essere un
integrato all’interno di un robot.
avatar o l’intera stanza.


7. gli a.c. si differenziano anche in base al modo in cui viene prodotto l’output per l’utente.

retrieval based (or rule-based) model generative (or data-driven) model
• sono modelli che, data un’intenzione da • il modello generativo prevede che la risposta
parte dell’utente, restituiscono una frase di non sia preimpostata, ma che venga
output che è già preimpostata.
generata al momento in base all’input
• a una frase di input possono essere dell’utente, alle informazioni di contesto e in
associate più frasi di output, in modo tale base a tutta una serie di conoscenze
che se richiediamo la stessa frase al sistema pregresse che il sistema potrebbe avere.

riceveremo delle risposte che esprimono lo


stesso concetto, ma sono strutturate in
maniera diversa (in questo modo la
conversazione risulta più naturale e meno
robotica).

8. gli agenti conversazionali si differenziano anche in base alla memoria.



with semantic memory with episodic memory
• la memoria semantica permette di avere una • la memoria episodica permette di ricordare
conoscenza del mondo in generale o del delle interazioni passate con gli utenti. 

dominio di applicazione in cui viene
utilizzato l’agente conversazionale.

Pagina 155

• l’esperienza utente dipende dall’aspettativa che egli ha del sistema.

• con antropomorfizzazione si intende imitare il comportamento o l’aspetto o dell’essere umano.


Questa è una componente essenziale per un agente conversazionale.

UNCANNY VALLEY

• questo modello teorico predice un aumento, fino ad un certo punto, nell’accettare un robot
intelligente avente sembianze umane, come mostra il grafico.

• oltre questo punto, nella regione identificata come la valle dell’inquietudine, la somiglianza
umana dei robot genera una sensazione di agitazione e disagio.

• all’aumentare della somiglianza umana, questi sentimenti negativi spariscono e sono sostituiti di
nuovo con risposte emotive positive quando l’oggetto sembra essere perfettamente umano.

• il ricercatore giapponese che ideò questo concetto osservò come al crescere della
verosimiglianza di un volto di un robot con uno umano, aumentava anche l’empatia e la simpatia
verso l’automa, fino ad arrivare a un punto in cui l’empatia crollava bruscamente per lasciare
spazio alla repulsione.

• l’empatia tornava a crescere nuovamente man mano che i robot divenivano sempre più umani.

• dal punto di vista grafico si può immaginare come una retta che sale al crescere della
somiglianza, per poi crollare bruscamente e tornare a risalire altrettanto velocemente.

• se l’agente conversazionale diventa troppo simile a un essere umano c’è un calo del piacere
nell’interagire con lui.

• il piacere nell’interazione con l’agente conversazionale torna al massimo quando il sistema torna
ad essere un essere umano vero e proprio o un sistema che è il corrispettivo a un essere
umano.

• uno dei modi per assomigliare a un essere umano è la comprensione e la gestione delle
emozioni all’interno della conversazione. A questo proposito esistono più teorie utilizzate, tra
cui quella di Ekman, studioso che riteneva che ci fossero 6 emozioni universali: gioia, tristezza,
rabbia, paura, sorpresa, disgusto.

Pagina 156

EMOTY

• Emoty: agente conversazionale pensato per bambini e ragazzi con disturbi del neurosviluppo.

- persone con disturbi del neurosviluppo: riscontrano difficoltà nel riconoscere ed esprimere
le proprie emozioni.

• Emoty:
- tecnologia per supportare il training durante la terapia di queste persone.

- pupazzetto che parla con i ragazzi e dopo una serie di chiacchierate gli propone di giocare al
gioco degli attori, in cui viene chiesto di recitare un set di frasi esprimendo delle emozioni
che vengono assegnate.

• Emoty ha un’intelligenza artificiale ed è in grado di riconoscere le emozioni a partire dal tono


della voce e restituisce un feedback.

• le conversazioni con Emoty seguono il ciclo ci Kolb, che si articola in 4 fasi:

1. esperienza concreta — si vive l’esperienza

2. osservazione riflessiva — non si ha ancora ricevuto il feedback e ci si chiede “ho fatto


bene o ho fatto male?”

3. concettualizzazione astratta — si riceve il feedback da parte del sistema

4. sperimentazione attiva — nel caso in cui si ha fatto bene, il sistema ci stimola a pensare a
varie situazioni in cui viviamo quell’emozione.

ciclo di Kolb
Pagina 157

L’ANIMALE PARLANTE

CAPITOLO 2: Parliamo perché pensiamo o pensiamo perché parliamo? Linguaggio e pensiero

• due temi:

5. l’esistenza di un’entità fisiologica nel nostro cervello che si può ritenere responsabile del
fenomeno delle lingue naturali, cioè del modulo del linguaggio, che si può sviluppare
solo se un individuo è esposto a stimoli specifici.

6. la specificità del modulo del linguaggio, il fatto cioè che esso è distinto da altri
meccanismi responsabili del pensiero.

Le basi biologiche del linguaggio


• ipotesi: nel cervello c’è un modulo del linguaggio, ovvero un meccanismo responsabile di tutti
gli aspetti del linguaggio, compresi l’apprendimento, la capacità di analizzare la lingua per
interpretarla e la produzione orale

• il meccanismo del linguaggio subisce dei cambiamenti durante lo sviluppo, cosicché l’abilità di
acquisire una madrelingua (prima lingua) dopo questo periodo critico diminuisce o viene meno
completamente

• linguaggio: risultato di entità fisiologiche del cervello

• capacità linguistica: è un processo biologico

• tre conferme dell’esistenza del meccanismo del linguaggio:



1. il ragazzo selvaggio di Aveyron (1799)

- allevato da animali selvatici

- apprende un lessico limitato e non acquisisce una grammatica

2. una ragazza di nome Genie (1970)

- viveva in uno stato di cattività e di isolamento che limitava il suo input linguistico

- non parlava e non dava nessun segno di comprendere che cosa fosse il linguaggio

- riesce solo a pronunciare poche parole mettendole insieme in modo asistematico

• entrambi non acquisiscono il sistema grammaticale e quando raggiungono l’età matura,


smettono di parlare del tutto.

3. dati su patologie linguistiche

- ictus: se colpiscono l’emisfero sinistro provocano spesso gravi perdite di diversi aspetti
del linguaggio in pazienti la cui intelligenza rimane intatta.

- tumori: possono causare deficit specifici del linguaggio

• esistono varie componenti del meccanismo del linguaggio, localizzate in punti diversi del
cervello, che interagiscono a determinare la facoltà linguistica

• gene FOXP2: è direttamente coinvolto nella capacità linguistica

• mutazione dei geni responsabili del linguaggio umano: è avvenuta circa 200 000 anni fa

Indipendenza di linguaggio e pensiero


• il meccanismo del linguaggio opera indipendentemente dall’intelligenza: il primo può essere
normale in soggetti con deficit di intelligenza gravissimi

- es: bambini con spina bifida (gravi ritardi mentali, ma riescono a raccontare in modo
articolato eventi immaginari)

• il meccanismo del linguaggio è indipendente da altre funzioni celebrali

- es: bambini con disturbi specifici del linguaggio (intelligenza normale, ma problemi di
linguaggio)

Pensieri complessi e linguaggi semplici (o assenti)


Possiamo pensare senza linguaggio? (sì)
• il pensiero non richiede la formulazione linguistica

• linguaggio e pensiero sono (almeno in parte) indipendenti

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• due evidenze:

1. bambini con grave deficit dell’udito o completamente sordo: molto prima che questi
bambini non udenti abbiano accesso all’input linguistico e comincino ad acquisire un
linguaggio (intorno ai 2 anni d’età), essi pensano

2. studi su Genie: riesce a descrivere degli eventi della propria vita, compresi alcuni
avvenimenti che erano accaduti prima che avesse acquisito consapevolezza della lingua
(queste memorie costituiscono pensiero)

La relazione fra il lessico e il pensiero


Pensiamo in una lingua specifica? (no)
• non è necessario avere termini specifici per formulare dei concetti

• possiamo sfruttare le varie possibilità che ci offre la sintassi per descrivere concetti non
espressi da parole singole

- es: in italiano usiamo aggettivi o sintagmi nominali (neve granulosa, neve dura come il
ghiaccio…)

• i nostri lessici ci permettono di parlare di ciò che vogliamo perché le nostre definizioni di
oggetti non sono limitate ad una sola parola
• tesi contraria (Whorf): la nostra categorizzazione concettuale del mondo è determinata dalla
struttura della lingua che parliamo

- es: il popolo inuit (eschimese) ha dozzine di parole per la neve, quindi colgono differenze nei
tipi di neve

• un concetto riguardante un oggetto concreto o un’astrazione può essere compreso anche in


assenza di un nome per tale oggetto.

• il concetto può essere compreso anche da chi parla una lingua che non abbia per esso una
parola specifica

La relazione fra la sintassi e il pensiero


• le differenze nella struttura sintattica di lingue diverse non influenzano il sistema concettuale dei
parlanti

Simultaneità e indipendenza di linguaggio e pensiero


• studi sui traduttori simultanei: i traduttori simultanei riescono a tradurre anche senza veramente
capire il contenuto, cioè adoperano la facoltà linguistica senza doversi concentrare
completamente sul contenuto

Pagina 159

CAPITOLO 3: La competenza linguistica

La forma dei suoni linguistici: fonetica


• i suoni che gli esseri umani usano per comunicare sono diversi da qualsiasi altro suono del
mondo

• dai suoni linguistici che sentono a partire dalla nascita, i neonati devono cominciare ad
identificare il sistema linguistico con cui entrano in contatto

• a partire dai suoni cui sono esposti, i bambini cominciano ad identificare il sistema
grammaticale che dovranno apprendere

• le lingue differiscono tra loro quanto ai suoni che utilizzano per comunicare significati

• la relazione tra suono e significato è arbitraria

• abbiamo un sistema genetico che ci mette in grado di acquisire un linguaggio, ma tale


disposizione sparisce dopo alcuni anni

• la disposizione a imparare una lingua quasi come un nativo sparisce intorno alla pubertà

• cosa caratterizza i suoni linguistici?

1. la natura fisica dei suoni linguistici

2. il modo in cui i suono linguistici sono adattati ad un sistema grammaticale specifico

L’emissione del flusso d’aria


• il flusso d’aria è necessario a produrre un suono

• per poter parlare bisogna emettere dell’aria


• l’aria usata per produrre suoni linguistici proviene dai polmoni

- riempiamo i polmoni di aria e la emettiamo lentamente, mentre parliamo, fino a che non è
esaurita, poi inspiriamo un’altra volta

- è possibile pronunciare all’incirca 7 parole con un solo respiro (es: Marta arriva oggi alle tre col
treno.)

• il flusso dell’aria va modulato e il suono che si forma dipende da quanto è aperta la bocca

• affinché l’aria che emettiamo dalla bocca fuoriesca come linguaggio, essa deve essere
trasformata in zone specifiche del nostro apparato vocale e secondo modalità particolari

Il percorso del flusso dell’aria e l’apparato fonatorio


• è dai polmoni che l’aria comincia il suo percorso verso l’esterno, passando attraverso vari
canali: i bronchi, la trachea e la laringe.

• nella laringe l’aria incontra le corde vocali (prima modificazione del flusso d’aria)

- corde vocali: sottili membrane che, se ravvicinate, vengono messe in vibrazione (vibrando
provocano rumore)

• i suoni pronunciati con le corde vocali che vibrano sono detti sonori; gli altri sono detti sordi
(questi ultimi fanno molto meno rumore dei primi)

- quando si sussurra tutti i suoni che pronunciamo sono sordi (allarghiamo le corde vocali
anche durante la pronuncia dei segmenti che le vorrebbero ravvicinate)

• se i soli movimenti che si fanno con l'apparato vocale consistono nell’avvicinare le corde vocali
ed emettere dell’aria, il suono che ne risulta è una vocale indistinta detta schwa [ə]

• la schwa:

- viene pronunciata quando la bocca è lievemente aperta e la lingua in posizione di riposo

Pagina 160

- non esiste in italiano standard (molte delle vocali atone in inglese sono pronunciate in modo
indistinto, come la schwa)

• oltrepassate le corde vocali, ci sono due canali che l’aria può prendere:

1. può imboccare la cavità nasale fuoriuscendo dal naso

2. può prendere la curva che la porta nella cavità orale

• i suoni di una lingua sono divisi in nasali e orali

- es: [m] e [n] sono nasali

- es: [b] e [d] sono orali

• i suoni usati nelle lingue naturali sono per lo più orali (si può fare molto poco per modificare il
flusso dell’aria una volta che abbia imboccato la cavità nasale, ci sono invece molti modi in cui
si può modificare il flusso dell’aria nella cavità orale).

• tutte le lingue del mondo hanno sia vocali che consonanti

vocali consonanti

• sono necessarie per comunicare a distanza • non c’è nessuna lingua che abbia molte più
(possiamo pronunciarle anche a voce molto vocali che consonanti

alta)
• una lingua necessità di consonanti al fine di
• si usa molta energia per produrle
poter fare tutte le distinzioni di cui abbiamo
• i significati che si possono comunicare sono bisogno per comunicare significati lessicali:
limitati
cioè per distinguere le parole

L’alfabeto fonetico
• la grafia non sempre è indicativa del suono che rappresenta

• per ovviare a questo problema, è stato inventato l’alfabeto fonetico, che ha la caratteristica di
possedere una relazione biunivoca tra segno e suono: ad un segno corrisponde un suono e
uno solo.

• IPA (International Phonetic Alphabet): è l’alfabeto fonetico internazionale

Le vocali
• in italiano standard ci sono 7 vocali

1. [i] come in biro

2. [u] come in burro

3. [e] come in bevo

4. [o] come in ora

5. [a] come in lavo

6. [ɛ] come in bɛlva

7. [ɔ] come in mɔra

• la [a] è presente in tutte le lingue del mondo, mentre la [i] e la [u] sono presenti nella grande
maggioranza delle lingue.

- la [a] è la vocale centrale bassa

- la [i] la vocale anteriore alta

- la [u] la vocale posteriore alta


• tutte le altre vocali di tutte le lingue del mondo si trovano all’interno di questo spazio.

I punti di articolazione delle vocali nella cavità orale


Pagina 161

• gli articolatori, cioè le parti della cavità orale che modificano il flusso dell’aria durante
l’articolazione o pronuncia delle vocali, sono:

- la lingua (può muoversi su e giù o in avanti e indietro)

- le labbra

- i denti superiori

- il palato

le vocali sono portatrici di accento e di tono

portatrici di accento portatrici di tono

• le vocali sono le portatrici della prosodia (la • le vocali sono portatrici di tono (formano
musica del linguaggio)
l’intonazione)

• l’accento cade sulle vocali


• le intonazioni modificano soprattutto le
• es: Non hanno ancora buttato l’ancora. vocali

• es: Martino? / Martino!


Le consonanti
• il flusso dell’aria è modificato più radicalmente rispetto alle vocali

• il flusso può anche essere completamente bloccato

- es: quando pronunciamo le consonanti [p], [t] o [k]

consonanti sorde consonanti sonore

• le corde vocali non vibrano


• le corde vocali vibrano

• es: [p], [t], [k]


• es: [b], [d], [g]


• le consonanti si distinguono sia per il punto, sia per il modo in cui vengono articolate

• il punto di articolazione è indipendente dal modo di articolazione

Pagina 162

in base al MODO di articolazione:

consonanti occlusive consonanti fricative consonanti affricate

• il passaggio dell’aria è • il flusso dell’aria è molto • hanno un doppio modo di


totalmente occluso, anche ristretto
articolazione

se solo per un istante


• es: [f] (di faro) o [s] (di sale)
 • cominciano come una
• es: [p], [t] occlusiva e finiscono come
una fricativa
• es: [z] di [zdentáto] 


• il flusso dell’aria è meno ristretto che nelle fricative (minore costrizione del flusso dell’aria):

- nelle consonanti liquide: [r] di raro o [l] di lilla

- nelle consonanti nasali: [n] di nano e di [ráɲo] (ragno)

• le consonanti liquide e nasali, le vocali e le semivocali fanno parte del gruppo delle sonoranti

• scala di sonorità: un suono è tanto più sonorante quanto più la bocca è aperta

- suono più sonorante in italiano: [a]

- suoni meno sonoranti: le occlusive (nella loro pronuncia la bocca è chiusa completamente)

in base al PUNTO di articolazione:

(le consonanti sono pronunciate in luoghi diversi)

• si congiungono le labbra per dire [p]

• si mette la punta della lingua dietro l’arcata dentale (contro l’arcata alveolare) per dire [t]

• si mette la parte posteriore della lingua contro il palato molle per dire [k]

Le semivocali
• suoni che non sono né vocalici (non si comportano come delle vocali) né consonantici

• nel nostro alfabeto sono scritti come delle vocali: i e u

• usando l’alfabeto fonetico:

- [i] è indicato con [j]

- es: [vjandánte], [pjáno]

- [u] è indicato con [w]

- es: [kwále], [kwésto]

• la combinazione di una semivocale e una vocale forma un dittongo

Una nota sulla percezione dei suoni linguistici


• relazione tra la produzione e la percezione dei suoni linguistici

• quando due consonanti sono pronunciate in modo simile è più probabile che vengano confuse

- es: [f] e [s] o [m] e [n]

• non è probabile che si confondano consonanti articolate in modi e/o punti molto diversi, come
[m] e [k]

• i suoni del linguaggio sono tanto più distinti in percezione quanto più sono distinti nella loro
articolazione

fonetica articolatoria fonetica acustica

• si occupa del modo in cui i suoni linguistici • studia come i suoni vengono percepiti
vengono articolati dai parlanti
dall’ascoltatore
• si occupa dell’effetto che i suoni linguistici
hanno sull’orecchio dell’ascoltatore

Pagina 163

CAPITOLO 4: La struttura del messaggio sonoro: fonologia

• ogni lingua utilizza un sottoinsieme dei segmenti che l’apparato vocale umano è in grado di
produrre.

• il sistema fonologico di una lingua ha la funzione di rendere possibile la comunicazione.

- scrittura: è una forma di comunicazione più limitata

- linguaggio orale: accumuna tutti gli esseri umani udenti

• fonologia delle lingue orali: studia i diversi aspetti dei sistemi sonori usati nelle lingue naturali

Fenomeni fonologici
• gli stessi segmenti (consonantici o vocalici) in una lingua possono venire modificati in certi
contesti e in un’altra lingua no

• segmenti individuali: non sono in generale modificati se gli altri segmenti che fanno parte della
stessa classe naturale non lo sono anch’essi

• classificazione dei suoni in gruppi a seconda della loro articolazione

• suoni articolati in modo simile formano classi naturali e sottostanno alle stesse modificazioni
nella parlata connessa

- es: gorgia toscana (fenomeno che riguarda tutte e tre le occlusive sorde in posizione
intervocalica)

- la [k] si spirantizza in posizione intervocalica

- [k] è un’occlusiva sorda

- la [p] e la [t] sono le altre occlusive sorde (appartengono, assieme alla [k], alla stessa
classe naturale)

Distinzioni segmentali
• ci sono lingue in cui la stessa differenza tra due suoni porta a differenze di significato

- es: il thai, in cui le occlusive sorde aspirate e quelle non aspirate sono distintive di significato

• tra i segmenti di una lingua, alcuni sono distintivi, cioè portano a differenza di significato, altri,
invece, non lo sono.

- es: la [l] e la [r] sono distintive di significato in italiano (mare/male), ma non è


necessariamente così in tutte le lingue (il giapponese, per esempio, non ha questa
distinzione)

• quando due suoni portano a differenze di significato, come la [l] e la [r] in italiano, si dice che
sono derivati da fonemi diversi, rispettivamente /l/ e /r/.

fonemi foni

• si indicano tra sbarre diagonali


• si indicano tra parentesi quadre

• sono delle rappresentazioni astratte, non • sono concreti, sono la forma fonetica di un
hanno manifestazione fonemica
fonema

• es: /l/ e /r/


• es: [l] e [r]


• quando due suoni non sono distintivi di significato, si dice che sono allofoni (cioè foni diversi o
variazioni) dello stesso fonema

Come si fa a capire se due suoni derivano da fonemi diversi o dallo stesso fonema?
• se derivano da fonemi diversi è in generale possibile trovare delle coppie di parole che
differiscono minimamente l’una dall’altra: la cui differenza consiste cioè solo nella presenza di
un suono oppure dell’altro
- es: la [l] e la [r] hanno valore distintivo (male/mare)

- es: la [n] e la [ɲ] (lana/lagna)

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Distinzioni soprasegmentali
• soprasegmenti:

- sono l’accento, la lunghezza e il tono

- come i segmenti, possono avere valore distintivo

accento lunghezza tono

• corrisponde alla velocità di • corrisponde alla durata


• è un insieme di tre
vibrazione delle corde • in alcune lingue è distintiva caratteristiche fonetiche:

vocali
la lunghezza vocalica, in 1. durata

• è distintivo in italiano (non altre la lunghezza 2. velocità di vibrazione


è così in tutte le lingue)
consonantica e in poche delle corde vocali

altre ambedue.
3. intensità (quanta aria si
emette dai polmoni)


• i due punti dopo la consonante stanno a significare che essa è lunga: [t:]

• in italiano, la lunghezza consonantica è distintiva, mentre quella vocalica no (non esistono


coppie di parole che si distinguono solo perché una ha una vocale breve e l’altra lunga)

- es: coppia minima [fáta] e [fát:a] o [pála] e [pál:a]

• una consonante viene detta doppia in riferimento alla grafia: le consonanti lunghe vengono
indicate nella grafia raddoppiandole.

• fonologicamente, una consonante doppia è una consonante che è riarticolata

- es: le due n in non nero - se queste parole vengono pronunciate a una velocità elevata, le
due n della grafia diventano una [n:].

• le consonanti che nel sistema ortografico dell’italiano sono doppie, invece, non sono mai
riarticolate, ma articolate una volta sola e allungate
- es: le due n di anno non si possono riarticolare neanche se si parla molto lentamente.

• una consonante doppia e una consonante semplice differiscono tra di loro solo per la durata:
una consonante doppia dura più tempo di una consonante semplice.

• non è così per le vocali: due vocali adiacenti identiche possono essere articolate due volte,
come nella parola aree o facoltativamente essere riarticolate o articolate una volta sola, come in
cooperativa.

il tono è distintivo in italiano? (no)


• non ci sono coppie minime di parole in italiano in cui l’unica differenza sia che una ha una
vocale con tono alto e l’altra con tono basso.

• in altre lingue le parole possono essere distinte anche per il tono

- es: differenze tonali come quelle usate in italiano per distinguere un’affermazione da una
domanda vengono usate in molte lingue per distinguere il significato di due parole.

La sillaba
• ogni sillaba ha una e una sola vocale, che ne costituisce il nucleo (questo è vero almeno per
l’italiano).

• le consonanti che precedono il nucleo ne costituiscono l’incipit

- es: [trá.ve]

• le consonanti che seguono il nucleo ne costituiscono la coda

- es: [ál.be.ro]

• la scala di sonorità predice esattamente quando una sequenza di consonanti può apparire in
una sillaba e quando non può: le consonanti di una sillaba devono crescere in sonorità verso
il nucleo.

• ciò è vero sia per l’incipit, sia per la coda:


- se vi sono due consonanti prima della vocale (nucleo), la seconda deve essere più sonorante
della prima.

- se vi sono due consonanti dopo la vocale (nucleo), la prima deve essere più sonorante della
seconda.

• la sonorità tende a crescere molto rapidamente verso il nucleo e a decrescere lentamente


dopo di esso.

Pagina 165

• questo è vero anche per le sillabe interne a una parola: le code sono sempre sonoranti, come
in [ál.to], [pár.ko], [mán.to], [lám.po].

• l’unico tipo di sillaba che esiste in tutte le lingue del mondo è la sillaba CV.

La fonologia dell’intonazione
• le proprietà fonologiche delle lingue non si limitano a quelle che distinguono parole: una lingua
è caratterizzata anche dalla prosodia e cioè dal ritmo e intonazione.

- è l’intonazione che ci può far capire se una frase è affermativa, interrogativa o imperativa.

• ogni lingua ha un numero fisso di melodie che usa per interpretare strutture diverse.

- le melodie sono molto difficili da imparare in una lingua straniera.

Il ritmo linguistico
• non solo la melodia, ma anche il ritmo può differire da una lingua ad un’altra.

• ritmo: è quella parte della prosodia che si può tamburellare su un tavolo

• le lingue sono divise in classi ritmiche diverse

• il ritmo di alcune lingue, tra cui l’inglese, il tedesco e il russo, è stato paragonato al suono di un
messaggio in codice Morse, mentre il suono di altre lingue, per esempio l’italiano, lo spagnolo
e il greco è stato paragonato a quello di una mitragliatrice.

codice Morse mitragliatrice

• inglese, tedesco e russo


• italiano, spagnolo e greco

• la ricorrenza di sillabe molto diverse tra di • la ripetizione di sillabe dalla forma CV,
loro che si ha in inglese o in olandese dà molto frequente in italiano, spagnolo e
l’impressione di un messaggio in codice greco, è la ragione per cui queste lingue
Morse, in cui i suoni ricorrono ad intervalli sono state paragonate ad una mitragliatrice,
irregolari.
che espelle pallottole in modo costante.


• è stato proposto che la caratteristica fisica che determina a quale classe ritmica una lingua
appartiene, consista nella percentuale di tempo occupata dalle vocali (%V) nei suoi enunciati.

- se le V occupano circa il 45% del tempo, si hanno lingue con un ritmo simile all’inglese.

- se le V occupano circa il 50% del tempo, si hanno lingue simili per ritmo all’italiano.

- se le V occupano circa il 55% del tempo, si hanno lingue di una terza classe cui appartiene
per esempio il giapponese.

• il ritmo ha una struttura gerarchica


• ci sono vari livelli ritmici:
1. livello che determina la regolarità dell’alternanza di segmenti vocalici e consonantici
(livello di base che distingue le lingue)
2. livello del sistema accentuale delle parole
3. livello dell’alternanza di accenti di vari costituenti frasali

• la struttura sintattica non è arbitraria, ma sistematica


• la struttura fonologica è predicibile dalla struttura sintattica e lingue con diversi ordini delle
parole danno origine a sistemi fonologici differenti
• è stato proposto che vi sia una correlazione tra il ritmo frasale e il valore del parametro
sintattico che stabilisce l’ordine reciproco di testa e complementi:

- una lingua con ritmo giambico (per esempio l’italiano, l’inglese o il greco) a questo livello
avrebbe i complementi che seguono la testa.

- una lingua con ritmo trocaico (per esempio il turco, il giapponese o il basco) avrebbe i
complementi che precedono la testa.

• è stato proposto che la correlazione tra la prominenza principale e il focus possa fornire
un’indicazione riguardo alla libertà nell’ordine dei sintagmi in una frase.
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CAPITOLO 5: La forma delle parole: morfologia

• le parole hanno un rapporto arbitrario con l’oggetto o con il concetto cui si riferiscono.

• ci sono parole che si assomigliano in lingue appartenenti alla stessa famiglia linguistica, ma
l’arbitrarietà rimane.

- es: la parola mela (come i suoi corrispondenti in altre lingue) non ha nessuna relazione
evidente col concetto di mela.

• fanno eccezione le parole onomatopee, il cui suono imita un suono non linguistico.

• diversi sistemi linguistici interpretano in modi differenti lo stesso suono

• data l’arbitrarietà tra suoni e significati, le parole di una lingua vengono imparate a memoria

• l’acquisizione del lessico della madrelingua (apprendimento) procede per molti anni

- un bambino senza deficit specifici all’età di 6 anni ha un vocabolario di circa 8.000 parole

- un adulto con un’alta istruzione ha una media di 60.000 parole nel suo lessico

Parole semplici e parole complesse


• meccanismi che formano parole complesse da parole semplici:

- il suffisso -aio un venditore dell’oggetto denotato dal nome a cui si lega.

- il suffisso -bile, attaccato ad un verbo, significa che si può compiere l’azione indicata dal
verbo.

- una parola composta, formata da un verbo più un nome, designa un oggetto che produce
l’azione espressa dal verbo sull’oggetto indicato dal nome (es: uno spremiagrumi spreme gli
agrumi)

• ci sono due tipi di parole complesse:

parole derivate parole composte

• sono formate da una parola a cui si si • sono formate da due parole.

aggiunge uno o più affissi.


• es: portalettere, guastafeste…

• es: marinaio, storico, bellezza…

Cos’è una parola?


• parola: unità minima che si può inserire in una frase.

- è un atomo per quanto riguarda la sintassi (è indivisibile)

- non può essere divisa da regole sintattiche (non si può separare una parola semplice, ma
neanche una complessa)

• tutte le parole, semplici o complesse che siano, si comportano come unità indivisibili rispetto
alla sintassi.

Parole derivate
• morfemi: pezzetti che non sono parole ma che hanno un significato

- es: asociale (morfema negativo a + parola sociale)

- es: benissimo (parola bene + morfema superlativo -issimo)

• le parole derivate possono essere formate:

- con morfemi che le precedono, i prefissi (es: a-sociale, ri-scrivere, per-correre…)

- con morfemi che le seguono, i suffissi (es: )

• le parole possono anche essere formate sia con prefissi che con suffissi (es: in-util-ità, a-
social-ità, per-corri-bile…).

• in questi casi, vi è un ordine in cui si attaccano gli affissi.

1. vi sono casi in cui prima si attacca un prefisso e poi un suffisso (l’ordine opposto dà
parole non esistenti)

- es: corri > percorri > percorribile

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2. vi sono anche casi in cui si attacca prima un suffisso e poi un prefisso (l’ordine opposto
dà parole non esistenti).

- es: bevi > bevibile > imbevibile

3. altre parole possono essere formate da un prefisso e un suffisso che si attaccano


contemporaneamente. In questi casi non c’è un passo intermedio tra la parola semplice
e la parola derivata con due affissi, perché ad esso corrisponderebbero parole non
esistenti.

- es: giallo > ingiallire

4. vi sono poi parole che sono prefissate più volte e parole che sono suffissate più volte.

- es: ex-con-vivente

- es: util-ita-rio

• suffisso -bile: si attacca solo ai verbi (si creano aggettivi)

• suffisso -aio: si attacca solo a nomi (si creano nomi)

• suffisso -ità: si attacca solo ad aggettivi (si creano nomi)

• esistono processi derivazionali che creano verbi, come ingiallire (dall’aggettivo giallo) e
accasare (dal nome casa)

• le parole della nostra lingua sono divise in due gruppi: le classi aperte e le classi chiuse

classi aperte classi chiuse

• nomi, verbi e aggettivi: vengono dette classi • quarta delle categorie grammaticali
aperte di parole (non c’è un limite a quante maggiori: è formata dalle preposizioni

di queste parole possano esistere in una • preposizioni: sono classi chiuse di parole
lingua)
(non si può inventare una nuova
preposizione)
- non sono mai il risultato di un processo di
derivazione

- dalle preposizioni non si possono


derivare altre parole

- si comportano, per quanto riguarda la


morfologia, come articoli e congiunzioni


• asimmetria tra prefissi e suffissi:

- la suffissazione è più produttiva della prefissazione in italiano, inglese, francese, spagnolo e


greco

- vi sono lingue, come il turco, in cui la prefissazione non esiste.

• le lingue che hanno solo suffissi (come il turco), hanno anche l’oggetto che precede il verbo e
posposizioni anziché preposizioni.

• l’ordine dei morfemi che formano una parola (morfologia) segue spesso l’ordine delle parole
che formano una frase (sintassi).
• lingue in cui vi sia prefissazione ma non suffissazione sono invece estremamente rare e sono
inoltre limitate alle lingue in cui l’oggetto segue il verbo e in cui vi sono preposizioni anziché
posposizioni.

• infissazione: caso in cui un affisso non si inserisce né al limite sinistro né al limite destro di una
parola semplice, bensì al suo interno.

• in tutti i casi di derivazione vengono create nuove parole da parole esistenti.

• i tipi di derivazione che si possono avere variano da lingua a lingua.

Parole composte
• sono formate dal meccanismo della composizione

• composizione: processo che determina la formazione di parole complesse a partire da due o


più parole, in geniali semplici.

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- es: capostazione (N+N)


- es: mulino a vento (N+P+M)

- es: lavapiatti (V+N)


- es: dopodomani

- es: pianoforte (A+A)


- es: pressappoco 

• è molto più facile trovare composti nominali (cioè parole composte che siano nomi) che
composti di altro tipo.

• in italiano i composti nominali più produttivi sono quelli formati da un verbo e da un nome
(V+N), come apriscatole, portamonete, battiscopa.

• nelle lingue germaniche, invece, la composizione più produttiva consiste di N+N, come in
inglese armchair, backpack, summer sales, Easter rabbit…

• caratteristica delle lingue naturali: vi sono sequenze di parole, sia in un composto, sia in una
frase, che possono avere significati diversi (quale dei due significati venga inteso si capisce dal
contorno accentuale).

- es: Turkish literature professor - ambiguo tra ‘professore di letteratura turca’ e ‘professore
turco di letteratura’

In che modo si possono combinare parole per formare compositi in lingue diverse?
• l’ordine delle parole in un composto riflette spesso l’ordine delle parole nella frase

Come facciamo a dire che una sequenza di parole è un composto anziché un sintagma?
• alcuni composti sono scritti come una sola parola, mentre altri sono scritti come due parole.

• non si può inserire nulla all’interno di un composto.

- tutte le parole, semplici o derivate che siano, sono atomi per quanto riguarda la sintassi.

- nonostante degli spazi bianchi separino le parole, questi composti si comportano come delle
unità: sono infatti delle parole.

• vi sono parole composte che non sono create dalla combinazione di parole, ma dalla
combinazione delle cosiddette semiparole.

• semiparole: sono simili alle parole come significato, ma non nel comportamento sintattico (non
possono essere inserite in una frase).

- nel lessico italiano sono sempre prese dal greco o dal latino

- sono usate produttivamente per la composizione dotta


• esempi di composizione dotta: psicologo, poliglotta, francofono
- caratteristica di questi composti (almeno se di origine greca) è di avere l’accento sulla
terzultima sillaba.

Parole derivate e composte


• una parola complessa può essere sia derivata, sia composta

- es: inverosimile (verosimile > inverosimile)

Flessione
• la forma delle parole che scegliamo dipende dal contesto sintattico della frase, si adatta ad
esso. Il processo grammaticale responsabile di questo adattamento si chiama flessione.

- un aggettivo, come pure un articolo, concorda col nome che modifica

- un verbo si accorda con il soggetto

• la flessione adatta la forma di una parola al contesto sintetico in cui essa si trova. Il processo
morfologico della flessione non crea pertanto nuove parole, ma nuove forme di una stessa
parola.

• le regole che determinano quali parole debbano accordarsi tra di loro appartengono alla
sintassi, mentre la forma specifica che l’accordo prende riguarda la morfologia.

• le lingue variano rispetto al sistema flessivo che hanno

- es: l’inglese ha un sistema flessivo molto povero

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Radici consonantiche e morfologia vocalica


• lingue semitiche: le radici delle parole sono costituite da consonanti e i morfemi derivazionali
o flessivi, rappresentati da vocali, si inseriscono tra di esse.

- es: l’arabo o l’ebraico

• questo schema ha le sue regolarità, che possono essere identificate imparate dai bambini
esposti alle lingue semitiche.

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CAPITOLO 6: La combinazione delle parole nei sintagmi e nelle frasi: sintassi

• sintassi: studio del modo in cui gli esseri umani combinano delle parole per formare espressioni
più complesse: le frasi.

• grammatica:
- è una descrizione, e non una prescrizione, dell’intero sistema di regolarità di una lingua.

- include fonetica, fonologia, morfologia, sintassi e semantica (vengono dette componenti


della grammatica)

• ogni parlante nativo di qualsiasi lingua naturale umana, che non abbia deficit specifici, ha
acquisito una conoscenza profonda delle complessità grammaticali della propria
madrelingua. Questa conoscenza, di cui spesso il parlante non è cosciente, può essere
esaminata tramite i suoi giudizi di grammaticalità.

- attraverso i loro giudizi, i parlanti dichiarano una frase grammaticale e un’altra non
grammaticale.

• il concetto di frase è sintattico:

- frasi malformate sintatticamente non sono frasi (es: Sotto tu la il messo letto valigia hai.).

- frasi malformate semanticamente sono frasi, pur non avendo significato (es: La vasca era
svenuta.).

• il modello della sintassi che introduciamo è modulare (ogni sua parte è detta modulo).

- una grammatica molto semplice può generare frasi di grande complessità attraverso
l’interazione dei vari moduli.

• i vari moduli sintattici creano una struttura che viene tradotta in due forme:

- una forma logica, il cui output è la semantica

- una forma fonologica, il cui output risulterà nella forma fonetica

• la forma logica da un lato e la forma fonologica dall’altro danno interpretazione alle strutture
generate dalla sintassi.

• Chomsky: propone per primo che la capacità umana riguardante il linguaggio sia un’entità
biologica.

• dato che c’è un meccanismo biologico nel cervello dedicato al linguaggio,


ci si deve aspettare che le grammatiche di tutte le lingue umane abbiano
molte proprietà in comune.

• Chomsky propone che la generalità del linguaggio si rifletta nel fatto che i
principi che governano le regole siano universali: devono cioè poter
essere verificati in qualsiasi lingua umana.

• le differenze fra le varie lingue dipendono invece da differenze nel valore


che viene scelto per i vari parametri; questi sono delle scelte binarie e
ogni lingua viene caratterizzata da un valore o dall’altro di ogni parametro.

• la combinazione dei diversi valori dei vari parametri dà i sistemi sintattici


specifici delle lingue possibili.

Agrammaticalità sintattica
• la frase Il sole maturerà le mele lo scaffale il salotto questa settimana non è grammaticale perché
la sua sintassi è difettiva, cioè il modo in cui le parole sono accostate a fare una frase.

• è sintatticamente malformata

I giudizi del parlante: grammatica descrittiva e grammatica normativa


• grammatica normativa: applica un giudizio di qualità che riguarda l’autorevolezza di un certo
tipo di stile rispetto ad un altro.

• parlare secondo strutture non permesse dalla grammatica normativa porta al cambiamento di
una lingua (sappiamo che le lingue cambiano).

• è la grammatica normativa che si insegna ad uno straniero che voglia imparare l’italiano.

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La competenza linguistica
• madrelingua: lingua che una persona acquisisce crescendo in un determinato ambiente
linguistico.

- se, ancora abbastanza giovani, si impara una seconda lingua, utilizzandola in interazioni
giornaliere, si possono acquisire, in questa seconda lingua, capacità linguistiche simili a
quelle che possiedono coloro per cui essa è la madrelingua.

- se invece si impara una seconda lingua dopo l’età di 12 o 13 anni (cioè dopo l’inizio della
pubertà) si può arrivare a parlarla abbastanza bene, o anche in modo
eccellente, ma ci saranno sempre delle differenze tra le capacità linguistiche
di qualcuno che è stato esposto a quella lingua fin dalla nascita ed è
cresciuto utilizzandola e chi ha cominciato ad acquisirla dopo la pubertà. Se
si acquisisce una lingua dopo tale periodo, si può parlarla e capirla
benissimo, ma, a parte casi eccezionali, essa non diventerà mai la propria
madrelingua.

• la conoscenza che i parlanti hanno della propria madrelingua è detta competenza linguistica (o
competenza nativa). Essa è in gran parte una conoscenza non consapevole.

• la competenza linguistica va distinta dall’esecuzione: ci sono delle differenze fra quello che
sappiamo della nostra lingua in modo non consapevole, la nostra competenza, e quello che
diciamo effettivamente nelle nostre conversazioni quotidiane.

- vi sono i lapsus linguae, quel fenomeno per cui ci può capitare di scambiare le posizioni di
certi suoni, specialmente all’inizio delle parole (es: dire vittà cecchia per città vecchia)

• gli errori ci possono suggerire delle proprietà linguistiche e possono quindi aiutarci a sviluppare
la teoria del linguaggio.

Varietà di strutture grammaticali


• la sensazione che una frase sia formale si ha spesso quando essa appartiene ad uno stadio
precedente della storia della grammatica.

• una lingua, e quindi la grammatica che la descrive, cambia col tempo: nuove forme
sostituiscono forme più vecchie o nuove regole entrano a far parte della lingua oppure regole
esistenti si estendono e si applicano a un nuovo insieme di strutture.

• la grammatica italiana, come quella di tutte le lingue, cambia: la distinzione tra avverbio e
aggettivo, è forse meno chiara morfologicamente e sintatticamente di quello che era in uno
stadio precedente della lingua.

• il fatto che una parola possa appartenere a due categorie morfologiche diverse non è
frequente in italiano (non è così per tutte le lingue).

- es: in inglese milk può essere sia un nome (latte), sia un verbo (mungere)

La struttura della frase e l’ordine delle parole


• in italiano, come nella grande maggioranza delle lingue, non si possono giustapporre delle
parole senza prestare attenzione al loro ordine.

• fanno eccezione a tale regola le lingue cosiddette non configurazionali, come


il mohawk, in cui la morfologia è talmente ricca che in qualsiasi posto della
frase si trovi una parola, essa è marcata morfologicamente in modo tale che è
evidente quali siano le parole con cui essa forma un costituente.

• la grande maggioranza delle lingue, comunque, raggruppa le parole in sintagmi.

• vi sono altrettanti tipi di sintagmi quante sono le categorie lessicali e ogni sintagma è un
gruppo di parole, cioè un costituente, che contiene una categoria lessicale come testa, l’unico
elemento necessario per avere un sintagma.

- la testa di un sintagma nominale (SN) è un nome (N)

- la testa di un sintagma verbale (SV) è un verbo (V)

- la testa di un sintagma aggettivale o avverbiale (SA) è un aggettivo o un avverbio (A)

- la testa di un sintagma preposizionale (SP) è un preposizione (P)

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• in breve, una parola di una certa categoria (come il nome, il verbo, l’aggettivo e la
preposizione) è la testa di un sintagma di cui determina la categoria.

• un sintagma nominale viene in genere introdotto da un determinante, per esempio un articolo.

- es SN: [il tasso] perse [un dente] mordendo [il grande ramo]

• ci sono 3 nomi (sottolineati), ciascuno dei quali è la testa di un sintagma nominale (tra parentesi
quadre), il cui primo elemento è il determinante.

- es SV: il postino [corre velocemente]

- es SA: Marta è [veramente stanca]

- es SP: Il professore va [in biblioteca]

• per rendere conto della gerarchia strutturale di un sintagma, ossia della sua analisi in
costituenti, è stata proposta la cosiddetta teoria X-barra; essa stabilisce che ogni tipo di
sintagma abbia la stessa struttura interna contenente 3 livelli:

1. il livello più in alto viene indicato con due barre (X’’)

2. il livello di mezzo con una barra (X’)

3. il livello più in basso, che contiene la testa senza barre (X)

Schema della teoria X-barra

• lo schema rappresentato viene detto albero strutturale, i simboli come X, X’, X’’ ne
costituiscono i nodi e le linee che congiungono i nodi vengono dette rami.

• i puntini che fiancheggiano i nodi indicano che altri elementi possono apparire in quelle
posizioni.

• in particolare, la testa di un sintagma può essere accompagnata da complementi o da


modificatori.

- i modificatori, come grande, velocemente e veramente, modificano nomi o verbi.

- i complementi, come biblioteca, sono i partecipanti nell’evento descritto nella frase.

• sia i complementi, sia i modificatori sono nodi sorelle della testa, dato che, come la testa,
ramificano dal livello X’.

• gli specificatori del sintagma (cui appartengono i determinanti nominali, come il o uno) sono
invece sorelle del nodo X’ e ramificano dal livello X’’.

• secondo questa teoria anche la frase intera è un sintagma, la cui testa è ACR (una forma
troncata della parola accordo, in questo caso del verbo con il soggetto), una categoria di tipo
morfologico, ma simile per la struttura alle categorie lessicali, come N, V, A, P. In questo caso la
teoria ammette teste astratte, dal punto di vista della sintassi, in quanto non si realizza come
una parola ma con una parte di essa, cioè con un suffisso, almeno in italiano.

• mentre è possibile che la gerarchia sintattica sia universale, le lingue variano per quanto
riguarda l’ordine lineare delle parole nelle frasi, e queste variazioni sono le conseguenze del
diverso valore di alcuni dei principali parametri sintattici.

- es: mentre in italiano in un sintagma preposizionale si ha l’oggetto dopo la preposizione, in


giapponese l’oggetto la precede. L’italiano ha quindi scelto un valore per il parametro che
stabilisce l’ordine relativo di testa e complementi (avere la testa all’inizio del sintagma),
mentre il giapponese ha scelto l’altro ordine (quello in cui la testa è alla fine del sintagma).

• le opzioni per il valore che una lingua sceglie per i vari parametri sintattici sono sistematiche e
limitate e interagiscono con la gerarchia strutturale, col risultato che non si può avere un ordine
qualsiasi delle parole.

• ci sono infatti degli ordini delle parole che non sono generabili dalla teoria sintattica. Si tratta
degli ordini universalmente assenti.

- la teoria X-barra proibisce l’incrocio dei rami.

Pagina 173

• un sintagma può contenerne un altro (le frasi consistono di sintagmi, spesso inseriti gli uni
dentro gli altri).

- es: Mia sorella [mangia [la pizza]SN]SV

• in italiano abbiamo diverse possibilità per quanto riguarda l’ordine dei sintagmi in una frase
(sappiamo, tuttavia, che non tutti gli ordini sono possibili)

• l’ordine dei sintagmi in una frase varia da lingua a lingua come varia anche l’ordine delle parole
in un sintagma (questo avviene perché le frasi sono dei sintagmi estesi).

Sottocategorizzazione

(i) Mio zio divora velocemente.


(ii) Mio zio divora velocemente la torta al cioccolato. / Mio zio mangia velocemente.

• nella frase (i) l’ordine delle parole è grammaticale per la sintassi italiana, tuttavia la frase è
agrammaticale. Le frasi in (ii) sono grammaticali.

• la categoria del verbo è suddivisa in sottocategorie.

- es: divorare è un verbo obbligatoriamente transitivo

- es: mangiare è un verbo transitivo ma in modo facoltativo

- es: cenare è unicamente intransitivo.

• la sottocategorizzazione non è limitata ai verbi.

- es: la maggior parte delle proposizioni, come per esempio in o per, è unicamente transitiva.

• teoria dei casi: secondo questa teoria ogni nome che sia presente con una forma fonologica
deve ricevere un caso morfologico, e soltanto certe categorie, fra cui il verbo e la preposizione,
possono assegnare un caso.

- es: un verbo come divorare e una preposizione come in hanno la caratteristica di dover
assegnare un caso, quindi devono avere un complemento oggetto.

- es: un verbo come mangiare e una preposizione come su hanno la caratteristica lessicale di
poter assegnare un caso ma di non doverlo fare obbligatoriamente: il loro complemento è
quindi facoltativo.

- es: un verbo come cenare ha la caratteristica lessicale di non poter assegnare un caso,
quindi non può avere un complemento oggetto.

• proprietà del genere non dipendono dalla struttura, ma hanno influsso su di essa.

• nessun aggettivo in italiano può avere un complemento oggetto. Possono però avere degli
oggetti indiretti nella forma di sintagmi preposizionali.

- es: Il quarto ragazzo sul palcoscenico è bravissimo il pianoforte. (agrammaticale)

Il quarto ragazzo sul palcoscenico è bravissimo al pianoforte. (grammaticale)

• i nomi hanno le stesse caratteristiche degli aggettivi riguardo alla teoria dei casi: un nome
non può assegnare un caso e non può quindi mai avere un oggetto diretto; anche i loro
complementi hanno la forma di sintagmi preposizionali.

- es: La distruzione la città ha sorpreso il mondo. (agrammaticale)

La distruzione della città ha sorpreso il mondo. (grammaticale)

La legittimazione e le funzioni grammaticali


• quando costruiamo una frase, non siamo liberi di mettervi tutti i sintagmi che vogliamo: ogni
sintagma in una frase deve invece essere legittimato, ossia deve avere una sua funzione
specifica (ciò non vuol dire che le frasi siano limitate riguardo alla loro lunghezza).

• qualsiasi frase si può allungare:

- introducendo una congiunzione

- arricchendola con sintagmi entro altri sintagmi (una frase può essere incassata in un’altra
frase)

• questa caratteristica del linguaggio, detta ricorsività, fa sì che una frase non abbia un limite
quanto alla sua lunghezza.

• le funzioni grammaticali (FG) includono:

- il soggetto

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- l’oggetto diretto di un verbo

- l’oggetto indiretto

- l’oggetto diretto di una preposizione

I genitori leggono. (soggetto)

I genitori leggono un libro fantastico. (+ oggetto diretto)

I genitori leggono un libro fantastico all’intera scuola. (+ oggetto indiretto)

I genitori leggono un libro fantastico all’intera scuola al microfono. (+ oggetto della proposizione)

• teoria dei temi

• teoria della sintassi: la sua meta principale è trovare gli elementi universali del linguaggio, che
corrispondono al patrimonio genetico degli esseri umani, e di rappresentare le differenze tra le
lingue tramite i diversi valori dei parametri.

RIEPIOLOGO CAPITOLO 6

ragioni per l’agrammaticalità di una frase:


1. teoria X-barra: se la frase non rispetta l’ordine delle parole, è agrammaticale.

2. teoria dei casi: se i requisiti della sottocategorizzazione del verbo non vengono rispettati,
la frase è agrammaticale.

3. teoria dei temi: se la frase contiene dei sintagmi non legittimati, è agrammaticale.

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CAPITOLO 7: Il significato delle espressioni linguistiche

• semantica: si occupa del significato delle espressioni linguistiche (morfemi, parole, sintagmi,
frasi e discorsi).

• differenza tra semantica e pragmatica:

- semantica: tratta del significato in senso stretto.

- pragmatica: tratta della funzione comunicativa che un’espressione linguistica svolge quando
viene collocata in un certo contesto.

Pragmatica e semantica
• lo stesso enunciato può essere usato per mandare messaggi diversi a seconda del contesto in
cui viene usato.

• principio di cooperazione: principio che governa le nostre conversazioni, in base al quale


cerchiamo di capire gli altri e di farci capire.

• quando parliamo teniamo presenti 4 massime che derivano da questo principio:

1. la massima di qualità 2. la massima di relazione

• non mentire, non dire cose per cui non si • dire cose pertinenti

hanno prove abbastanza forti.


- es: Ti piace Firenze? Non mi piacciono le
• dobbiamo presumere che, nella maggior folle. - per interpretare la risposta come
parte delle conversazioni, venga detta la appropriata, dobbiamo presumere che
verità.
 “Non mi piacciano le folle” sia rilevante.


3. la massima di quantità 4. la massima del mondo

• i contributi ad una conversazione devono • evitare oscurità idiomatiche, evitare le


essere adeguatamente informativi, ma allo ambiguità.

stesso tempo non devono dare informazioni • parlare in maniera efficace (cioè breve).

non necessarie.
• parlare in modo sistematico.


• il ragionamento che adoperiamo quando osserviamo queste massime non ha a che fare con il
linguaggio stesso ma con considerazioni pratiche sull’uso del linguaggio.

• il principio di cooperazione stabilisce che il valore comunicativo di una frase venga


interpretato sempre in un contesto.

• c’è una differenza fra il valore comunicativo di una frase e il suo significato.

- valore comunicativo: varia in relazione al contesto.

- significato: non varia in relazione al contesto (dipende solo dalla frase stessa, con quelle
specifiche parole e con quella specifica struttura grammaticale).

• la parte del messaggio che dipende dal contesto riguarda la pragmatica, e il principio di
cooperazione appartiene alla grammatica.

Il significato dei fonemi


• un fonema può distinguere il significato di due parole (es: mele/male o bere/bene)

• fonema: è un’unità che contribuisce al significato.

• fonestemi: tracce della storia antica di una lingua, nel caso dell’italiano potremmo considerarli
come la “memoria” di un morfema indoeuropeo che non esiste nella lingua di oggi.

- es: il fonema /i/ sembra portare un significato di piccolezza in certe parole

- es: il nesso consonantico /st/ sembra avere un significato di immobilità, fisica o mentale, in
altre parole (stare, stupido, stufo, stanco…)

• per una lingua come l’italiano, i singoli fonemi non hanno un significato indipendente.

• vi sono lingue in cui i fonemi possono avere un significato indipendente (coreano, lingua dei
segni americana…)

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Il significato dei morfemi


• morfema: unità minima di significato indipendente

• i morfemi hanno significato, anche se esso è per lo più di tipo grammaticale piuttosto che
lessicale.

- es: sfortunatamente - divisione in morfemi:

prefisso s-

morfema radice fortun-

suffisso -at- (deriva da un aggettivo)

suffisso -a (deriva da una desinenza femminile)

suffisso -mente (deriva un avverbio da un aggettivo)

Il significato delle parole e dei sintagmi


• i significati delle parole individuali contribuiscono a determinare il significato delle frasi in cui si
trovano.

• significato di una frase:

- si sa il significato di una frase se si sa dire in quali condizioni essa sarebbe vera.

- il significato di una frase è dato dalle sue condizioni di verità.

- attribuire il significato a una frase è precisare le situazioni che la rendono vera.

teoria semantica basata sul concetto di denotazione e sulla teoria degli insiemi:
(i) Pierino è italiano

italiani

Pierino

• nome proprio Pierino: denota un certo individuo, al quale viene attribuita una certa proprietà.

• nome comune italiano: denota un insieme, di cui l’individuo denotato fa parte (se la frase è vera).

• (i) è una struttura predicativa, cioè si predica una proprietà (l’essere italiano) di un individuo. La
relazione di predicazione può essere espressa dal concetto di appartenenza a un insieme.

(ii) Nessun ragazzo è italiano

• i nomi comuni denotano insiemi (ragazzo e italiano)

• (ii) è vera quando l’intersezione fra l’insieme degli italiani (la denotazione di italiano) e l’insieme
dei ragazzi (la denotazione di ragazzo) è un insieme vuoto.

• concetto di denotazione: è importante anche per determinare il significato di parole e sintagmi.

• il significato di una parola o di un sintagma è determinato in larga misura dalla sua


denotazione.

• non so il significato di una parola o di un sintagma se non so individuarne la denotazione,


almeno in linea di principio.

• tuttavia, sarebbe sbagliato identificare del tutto significato e denotazione:

- es: la capitale d’Italia

- es: la città in cui si trova Sant’Ivo alla Sapienza


• i due sintagmi hanno la medesima denotazione (Roma), eppure non hanno il medesimo
significato. Cambiano per il modo in cui descrivono l’entità che denotano.

Frege
•il modo in cui viene descritta la denotazione è stato chiamato “senso" da Frege
(1892).

•seguendo Frege, possiamo identificare il significato come la combinazione di


denotazione (cioè dell’entità concreta o astratta a cui un’entità linguistica rimanda)
e senso (cioè del modo in cui viene descritta la denotazione).

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Carnap
•oggi si pensa che una definizione adeguata di significato di una parola o di un
sintagma passi attraverso l’individuazione del suo senso e della sua
denotazione.

•Carnap cerca di dare un trattamento formale di queste due nozioni:

-chiama “intensione” il concetto formale che cerca di catturare la nozione di


“senso” di Frege.

-chiama “estensione” il concetto formale che cerca di catturare la nozione di


“denotazione” di Frege.

Correlazioni tra parole


Correlazioni possibili fra significato e suono

significati diversi uguali diversi uguali

suoni uguali diversi diversi uguali

• se i suoni delle parole sono uguali, ma i significati non lo sono, le due parole si chiamano
omonimi.

- es: ceco e cieco (seppur non omografi), piatto (oggetto) e piatto (aggettivo)

• se i significati di due parole sono uguali, ma i suoni non lo sono, le due parole si chiamano
sinonimi (i veri sinonimi sono parole che si usano con lo stesso valore in ogni contesto).

- es: pantaloni e calzoni


• se sia i suoni sia i significati sono diversi, le parole sono semplicemente diverse.

• a volte una parola vuol dire l’opposto di un’altra, cioè si hanno degli antonimi (i veri antonimi
sono parole che hanno valore opposto in ogni contesto).

• a volte i significati di due diverse parole sono correlati in un altro modo.

- es: fiore e margherita

• il significato di fiore include una varietà di tipi, mentre margherita è uno di quei tipi (una
margherita è un tipo di fiore).

• questa relazione fra due parole si chiama iponimia (margherita è un iponimo di fiore).

• se i suoni e i significati sono uguali, le due parole sono la stessa parola.

• polisemia: ci sono parole che che hanno un significato che cambia a seconda del contesto (non
hanno quindi un unico significato).

- es: I tram corrono su rotaie


Un brivido di freddo gli corse lungo la schiena
Corri troppo con il tuo lavoro
Correva voce che la banca avrebbe chiuso di lì a poco.

Correlazioni tra frasi


• una frase può avere una molteplicità di significati e in questo caso viene detta ambigua.

• l’ambiguità può avere origini diverse:

- può essere il risultato dell’omonimia di parole (es: Non conosco il cieco/ceco).

- può essere il risultato della possibilità di due analisi strutturali (es: Porto con me una scatola
di orecchini di metallo).

- può essere il risultato dei diversi modi in cui interpretiamo vari operatori. Le possibilità di
diversi livelli di portata della negazione o della quantificazione o anche della modificazione
molto spesso causano l’ambiguità (es: Carlo non mente a sua moglie perché la ama).

• parafrasi:

- relazione fra frasi che hanno lo stesso significato ma diverse forme

- correlazione analoga alla sinonimia parlando di frasi invece che di parole

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- es: La tazza è sul tovagliolo. / Il tovagliolo è sotto la tazza.

• contraddizione:

- frase che è sempre falsa, indipendentemente dal contesto.

- correlazione analoga all’antonimia per le parole.

- es: Piove e non piove. (due frasi con significati opposti)

- es: Questa è una margherita e non è un fiore. (l’iponimia contribuisce alla contraddizione)

• frasi nelle quali il significato di una sia incluso nel significato dell’altra:

- relazione tra frasi analoga all’iponimia.

- vedere se una frase implica l’altra: una frase X implica un’altra frase Y se quando X è vera,
anche Y deve essere vera.

- es: Porto una margherita in mano.


Porto un fiore in mano.

La semantica e la logica
• linguaggio logico dei filosofi e linguaggio ordinario: utilizzano gli stessi connettivi

congiunzione e disgiunzione o

• Mario è medico e Carlo è maestro è vera solo • Mario è medico o Carlo è maestro è vera se
se tutte e due le parti sono vere
almeno una delle due parti è vera


• ci sono delle differenze fra l’uso di frasi con e e o nella logica filosofica e nel linguaggio
ordinario.

• quando facciamo un’argomentazione logica, cioè un sillogismo, parliamo di premesse e di


conclusione.

• se la conclusione segue dalle premesse e se le premesse sono vere, la conclusione è


necessariamente vera. Diciamo in questo caso che il sillogismo è valido.

• il sillogismo è valido se la congiunzione delle premesse implica la conclusione.

• un sillogismo valido:

- Tutti gli uomini sono mortali.

- Socrate è un uomo.

- Quindi Socrate è mortale.

schema di diagrammi di Venn

Socrate
tutti gli uomini

tutti gli esseri umani

• un sillogismo non valido

- Tutti i gatti sono mammiferi.

- Tutti i cani sono mammiferi.

- Quindi tutti i gatti sono cani.

schema di diagrammi di Venn

tutti i gatti

tutti i cani

tutti i mammiferi

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