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LINGUISTICA
mail: fabrizio.arosio@unimib.it
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LEZIONE 1 - Introduzione
• alla base di questa ipotesi c’è l’assunto che il linguaggio sia il prodotto delle abilità cognitive
degli uomini: come gli uomini si possono accordare tra di loro per istituire, ad esempio,
determinate forme di governo, così si accordano per utilizzare una determinata lingua.
Complessità linguistica
Come si misura la «complessità» di una lingua?
• in una lingua, ci sono diversi sistemi grammaticali che concorrono al suo funzionamento.
- fonetica: studio degli aspetti connessi alla produzione dei foni - i suoni del linguaggio e le
loro proprietà fisiche.
- fonologia: studio del modo in cui i foni interagiscono all’interno di una lingua, come si
combinano, ecc.
- sintassi: studio di come le parole si combinano tra loro per formare delle frasi.
• con ognuna di queste parole possiamo intendere sia una competenza linguistica (abilità), sia la
disciplina che si occupa dello studio di questa abilità.
• competenza lessicale: studio del modo in cui combiniamo i suoni per formare delle parole.
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- es: la morfologia riguarda la forma delle parole, mentre la sintassi riguarda il modo in cui le
parole devono essere combinate tra di loro all’interno di una frase (spesso la posizione che
una parola occupa all’interno di una frase determina la forma che quella parola deve avere
all’interno di una frase).
• queste forme diverse sono determinate dalla funzione sintattica differente che ha il pronome
nelle due frasi:
- in (1) io/tu è il soggetto della frase (la forma morfologica che assume è chiamata nominativo).
- in (2) me/te è l’oggetto del verbo (la forma morfologica che assume è chiamata accusativo).
• ci sono lingue (latino, tedesco, ecc.) in cui queste differenze morfologiche sono visibili non solo
nei pronomi, ma anche nei costituenti nominali (es: gli articoli).
• si ritiene che le lingue, a livello generale (prese nella loro interezza), condividano uno stesso
grado di complessità. Esse possono avere gradi di complessità differenti nei diversi domini.
- es: lingue che sono più complesse da un punto di vista morfologico, sono meno complesse
da un punto di vista sintattico (e viceversa).
1. ci aspetteremmo che queste lingue abbiano dei processi di acquisizione più lenti (non è
così perché tutti i bambini, in tutte le lingue e società, arrivano a padroneggiare
completamente la loro lingua madre all’età di 4/5 anni).
2. ci aspetteremmo che queste lingue siano in grado di trasmettere contenuti più ricchi (se
fosse così dovremmo trovare popolazioni in cui le persone hanno concetti semplici/poveri e
altre in cui hanno concetti più articolati, ma non sono state trovate popolazioni con sistemi
concettuali più poveri relativamente al fatto che hanno organizzazioni sociali rudimentali).
es: secondo Everett il Pirahã non permette di parlare di determinate questioni e questa
impossibilità dà luogo ad alcune proprietà che dovrebbe avere quella lingua (non è così).
L’organizzazione socioculturale di questa popolazione, infatti, non impone dei vincoli
sull’organizzazione e sulle proprietà della lingua (l’ipotesi discussa da Everett non ha
fondamenti empirici).
3. ci aspetteremmo che a lingue diverse corrispondano modi di pensare diversi (non è così).
- ci sono lingue che vengono usate prevalentemente in contesti informali, come i dialetti (per
comunicare in famiglia o tra amici)
- ci sono lingue che sono usate prevalentemente in contesti ufficiali (hanno un lessico più
specialistico). le lingue formali, prima di diventare tali, erano dei dialetti.
• se non abbiamo una parola per esprimere un concetto nella nostra lingua:
2. utilizzeremo regole di composizione per creare parole nuove a partire da parole esistenti
che fanno già parte del nostro lessico.
• i processi di composizione sono molto produttivi nelle lingue germaniche (inglese, tedesco).
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Morfologia
• la morfologia riguarda la forma delle lessico.
• l’idea è che le parole possano essere scomposte in unità più piccole, i morfemi, che sono le
unità minime dotate di significato.
• posizione che considera il linguaggio come un organo umano, determinato dal corredo
genetico.
1. abbia delle caratteristiche tipiche di altre funzioni organiche, come l’iniziare a camminare,
o il tessere la tela per un ragno.
3. questa facoltà sia comparsa «a un certo punto» nella storia evolutiva dell’homo sapiens.
• se assumiamo questa ipotesi, allora tutti gli individui condividono la stessa lingua: l’effettiva
diversità tra le lingue deve essere spiegata.
• tre caratteristiche distintive più importanti del linguaggio a favore di questa ipotesi (linguaggio
come organo):
1. discretezza
2. gerarchia
3. ricorsione
• i parlanti combinano un certo numero finito di suoni discreti per formare parole (anche queste
sono entità discrete).
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LEZIONE 2
- rappresentare mentalmente questi suoni e caratterizzare la funzione che hanno nella nostra
lingua.
- legare questi suoni attraverso regole per creare parole (le parole codificano le informazioni, i
suoni no).
Il suono
• in una lingua il canale di trasmissione delle informazioni è il suono.
• quando il linguaggio non ha a disposizione il canale uditivo utilizza altri canali, come quello
visivo-gestuale, proprio delle lingue dei segni (parlate dai sordi).
• il suono necessita di un mezzo fisico (acqua, aria, metallo, ecc.) per poter essere trasmesso;
non può viaggiare nel vuoto.
- quando un oggetto vibra trasmette tali vibrazioni alle particelle del mezzo ad esso adiacenti.
- ciascuna particella del mezzo situata nei pressi della fonte viene “spostata” dalla sua
posizione di equilibrio e fatta muovere. A sua volta, questa trasmetterà l’energia alle
particelle ad essa vicine permettendo così la diffusione del suono.
- le particelle del mezzo non si muovono in avanti da sole: la propagazione del suono, infatti,
può essere descritta con un moto ondulatorio dato, per l’appunto, dall’onda acustica.
istante t1
istante t2
istante t3
istante t4
• il suono si muove con un movimento simile a quello delle onde (onda sonora).
• quando un oggetto vibra spinge e comprime l’aria (il mezzo) ad esso adiacente.
• la zona compressa inizia ad allontanarsi dalla fonte; quando quest’ultima si “allenta” e torna al
suo stato di equilibrio viene creata un’area di bassa pressione definita di rarefazione.
• questo movimento alternato si ripete molte volte, generando nell’aria diverse aree di
compressione e di rarefazione.
• le zone di alta pressione o di bassa pressione presenti nel mezzo fanno riferimento alla densità
di particelle presenti in un determinato volume (più ce ne sono, più la pressione sarà elevata).
• la propagazione del suono avviene tramite la variazione di pressione all’interno del mezzo
stesso.
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Fonetica e fonologia
• suoni linguistici: la sorgente del suono è nel tratto vocale.
• quando produciamo un suono, l’aria che sta nei polmoni passa dalla trachea e risale verso le
corde vocali (pliche vocali), che si mettono in movimento.
• successivamente, l’aria scavalca l’epiglottide ed entra nella faringe e fuoriesce dalla cavità
orale (bocca) o nasale (narici).
apparato fonatorio
• il palato:
- la sua parte terminale, nota come palato molle o velum, si alza e abbassa mentre parliamo.
quando è alzato, l’aria non può accedere alla quando è abbassato, l’aria può defluire sia
cavità nasale.
nella cavità nasale che in quella orale.
fonetica
• studia le caratteristiche fisiche dei suoni linguistici.
• si distingue in:
fonologia
• studia:
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- le conoscenze sistematiche che “dicono” al parlante come fondere tali suoni e pronunciare
una parola (contesto),
fonetica e fonologia
• per poter parlare dobbiamo sapere articolare i suoni della nostra lingua.
• per saper comprendere ciò che ci viene detto dobbiamo saper riconoscere tali suoni e saperli
interpretare.
• i suoni della nostra lingua sono percepiti in un ambiente ricco di altri segnali acustici e si
susseguono in un flusso ininterrotto (tra le parole di un enunciato non ci sono pause).
• sapere come i suoni vengono prodotti guida il processo del loro riconoscimento.
• un suono non ha un proprio significato ma determina il significato di una parola quando esso è
distintivo.
• coppie minime: coppie di elementi (due parole) che differiscono minimalmente tra loro.
• allofoni: fenomeno fonologico, sono suoni che non hanno funzione distintiva.
• queste tre stringhe di suoni hanno tre significati diversi e si distinguono per il segmento iniziale.
• si dice che i suoni p/f/t hanno funzione distintiva, cioè distinguono tra diversi significati.
• le parole pino e fino formano una coppia minima (come tino e pino, fino e tino, male e mare…)
• si tratta di un suono nasale; prende alcune caratteristiche del suono che segue.
• in fiorentino, quando il suono c occorre tra due vocali, deve essere spirantizzato.
• sono due suoni diversi a livello fisico, ma non hanno una funzione distintiva.
• per i fiorentini, queste due parole non sono differenti (hanno lo stesso significato).
• la rappresentazione mentale di tali suoni è parte della competenza fonologica del parlante.
• foni: realizzazione concreta di qualsiasi suono del linguaggio; sono rappresentati tra parentesi
quadre.
• fonemi: sono suoni che hanno funzione distintiva (segmenti sonori distintivi) e vengono
rappresentati tra due sbarre.
Apparato fonatorio
possiamo classificare un suono linguistico considerando come viene prodotto:
sordo sonoro
• l’aria passa attraverso la glottide senza far • le corde vocali, per azione meccanica
vibrare le corde vocali. dell’aria in uscita, entrano in vibrazione.
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orale
nasale
• il velum si solleva chiudendo la cavità • il velum è abbassato e l’aria penetra anche
nasale e l’aria esce dalla bocca ([d] e [b]).
nella cavità nasale ([n] e [m]).
• la glottide è lo spazio vuoto della laringe compreso tra le due corde vocali.
• le corde vocali sono due membrane carnose che possono assumere due posizioni:
- in posizione aperta, quando l'aria vi passa attraverso, esse non vibrano ed i suoni prodotti
con le corde vocali in questa posizione sono detti sordi.
• il corso dell’aria può essere ulteriormente modulato dagli articolatori (lingua, labbra, denti,
palato duro, ecc.)
distinzione vocali/consonanti:
vocali (a, e, i, o, u) consonanti (p, b, t, d, g, ...)
• sono molto sonori, prodotti modificando la • sono meno sonori delle vocali.
forma del tratto vocale che rimane più o • possono essere sonori o sordi.
• le loro caratteristiche sono ottenute dalla • la maggior parte delle consonanti non può
posizione della parte anteriore, centrale e essere prodotta senza una vocale.
- /u/ è posteriore.
• un modo di analizzare i suoni linguistici è quello di studiare i loro punti di articolazione.
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LEZIONE 3
• clusters consonantici: suoni che sono formati da più consonanti.
• il suono a frequenza più bassa è detto fondamentale, mentre gli altri sono detti armonici e
hanno frequenze che sono multipli della frequenza fondamentale.
1. sonorità
2. punto di articolazione
3. modo di articolazione
suono bilabiale
suono alveolare
• le due labbra si toccano.
• la punta della lingua viene fatta passare tra i • es: [s] di sole
denti.
istante, il flusso d‘aria per poi separarsi • consiste in una occlusione + un’apertura
istantaneamente.
fricativa
• es: pino [p], tino [t], dino [d], bara [b], gara • es: pizza [ts], zero [dz]
suoni nasali
suono fricativo • il velum è abbassato.
• i due articolatori sono estremamente • es: mare, invidia, nave, ragno, sangue
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le consonanti
le vocali
• durante la produzione delle vocali l’aria fluisce liberamente (le corde vocali vibrano).
• la configurazione delle labbra concorre anche alla loro modulazione; le labbra possono essere:
- distese (i)
- arrotondate (u)
Suoni e scrittura
• i suoni del linguaggio sono eventi fisici e sono transitori, non hanno persistenza nel tempo.
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Sistemi di scrittura
• sistema logografico o ideografico: i segni corrispondono a parole (sumero, egizio, maya,
cinese, giapponese)
• le ortografie tradizionali delle lingue alfabetiche sono inadeguate per trascrivere univocamente i
suoni linguistici.
grafemi (segni) diversi sono usati per grafemi (segni) uguali sono usati per
rappresentare uno stesso suono.
rappresentare per suoni diversi.
• se vogliamo analizzare il sistema dei suoni di una lingua abbiamo bisogno di un alfabeto in cui
suoni e segni siano in corrispondenza biunivoca.
• dobbiamo avere un sistema ortografico che presenta una corrispondenza biunivoca tra un
segno e il suono che rappresenta.
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vibrazioni tipiche del linguaggio umano (rappresenta la variazione della pressione dell’aria nel tempo) - la pressione
atmosferica di base è rappresentata dalla linea orizzontale
oscillogramma della parola phonetician
- vocali: vibrazioni complesse con componenti periodiche (le corde vocali vibrano e il
passaggio non è ostruito).
• la fonetica acustica:
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2. un elemento risonante, che entra in vibrazione a causa della presenza del primo.
- insieme di vibrazioni armoniche su una fascia di frequenza che sono esaltate da un processo
di risonanza del tratto vocale.
• questa concentrazione di energia in bande di frequenza nel tempo può essere rappresentata
graficamente in uno spettrogramma.
spettrogramma
• gli studiosi di fonetica acustica ricercano pattern regolari nel segnale acustico riconducibili a
fattori articolatori che abbiano rilevanza fonologica, ovvero distintiva.
• possibilità di individuare i foni che formano una parola ricercando i loro pattern acustici
ricorrenti caratteristici nell’analisi spettrografica.
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suono occlusivo
• i due articolatori si toccano in modo da bloccare completamente, seppure per un istante il
flusso d‘aria per poi separarsi istantaneamente.
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• fonetica percettiva:
- analizza la percezione dei suoni del linguaggio (come vengono percepiti e identificati)
• il riconoscimento del parlato non è uguale al riconoscimento di tutti gli altri suoni.
• degli esperimenti (fine anni Sessanta) hanno dimostrato che il riconoscimento del parlato:
- è automatico
- è molto veloce
• ai partecipanti, divisi in coppie di distinzioni di suoni in sequenze, veniva chiesto di dire quanti
suoni avessero sentito.
• identifichiamo parole nel parlato dopo circa 200ms dall’inizio della loro pronuncia.
• le manifestazioni acustiche dei fonemi sono variabili ma tale variabilità non viene percepita
dagli ascoltatori.
fenomeno di co-articolazione
• fenomeno che si verifica durante la fonazione, per il quale ogni suono linguistico (fono) subisce
l'influenza del contesto nel quale è articolato, vale a dire dei foni che lo precedono o lo
seguono.
- italiano: gina - gita (la i assume una qualità nasale quando precede una consonante nasale e
assume una qualità dentale quando precede una consonante dentale)
- per il parlante: può parlare più in fretta e non deve scandire ogni fonema e non deve
prepararsi, durante la produzione del fonema, a quella del fonema successivo.
Paro Baro
• articolazione: il flusso d’aria viene completamente bloccato mediante una breve occlusione, cui
segue un rapido rilascio.
- nella [b], sonora, l’aria viene rilasciata subito, tra gli 0 e 20 ms (millisecondi) dall’occlusione;
- nella [p], invece, l’intervallo è più lungo: il tempo di attacco della sonorità avviene dopo i 60
ms.
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• durante l’apertura viene articolata la vocale che segue la consonante (b o p in questo caso).
- VOT (voice onset time): è il tempo di attacco della sonorità. È definito come l'intervallo di
tempo che passa tra quando una consonante occlusiva viene rilasciata e quando comincia la
sonorizzazione (cioè la vibrazione delle corde vocali).
• quando si chiede a una persona di riconoscere il suono che ha sentito, gli individui lo
categorizzano o come p o come b e concordano su questo:
• il segnale fisico acustico è continuo, mentre la sua suddivisione in categorie discrete è opera
del nostro sistema percettivo.
• si è ipotizzato che la percezione categoriale fosse una caratteristica unicamente umana (poiché
dipendente dal possesso del linguaggio) e che il fatto di percepire le variazioni continue dei
suoni in maniera categorica fosse imposto dalla necessità di percepire fonemi e quindi
distinguere categorie all’interno delle quali classificare i suoni linguistici.
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• altri studi hanno dimostrato che la percezione categoriale dei suoni è presente anche negli
animali: nei macachi, nei passeri, nei cincillà e nei grilli.
• quindi, il continuum dei suoni è percepito come una successione di unità discrete.
- es: se prendiamo la sillaba [ka] con durata di 300ms, il suono viene percepito come /ka/.
spettro la coda vocalica in modo da ottenere solo /k/, ciò che si sente è un suono
• alcune consonanti, quindi, devono necessariamente essere ascoltate assieme ad una vocale
per poter essere percepite come suoni vocalici.
• durante i nostri processi di percezione siamo soggetti ad effetti dipendenti dal contesto
lessicale nel quale questi suoni vengono prodotti.
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LEZIONE 6 - FONOLOGIA
• fonologia: studia le proprietà dei segmenti acustici distintivi e la loro rappresentazione mentale.
• due segmenti hanno funzione distintiva quando distinguono due parole con significato
differente.
• per individuare i fonemi si confrontano coppie minime di parole che hanno segmenti diversi
nella medesima posizione.
• indichiamo un fonema con una lettera racchiusa tra parentesi a sbarre (slash) /p/ /b/; mentre
indiciamo i foni con parentesi quadre [p] [b].
- fenomeni soprasegmentali: sono fenomeni che riguardano come suona una lingua rispetto
ad un’altra lingua.
• ad esempio, studia la lunghezza dei suoni linguistici, che può essere consonantica o vocalica.
lunghezza consonantica lunghezza vocalica
• in italiano, la lunghezza consonantica ha • in italiano, la lunghezza vocalica non ha
funzione distintiva.
funzione distintiva.
• accento:
• es: àncora/ancòra
- es: possiamo parlare di lunghezza consonantica e dire che una consonante deve essere
realizzata come consonante lunga se prendiamo in considerazione la lunghezza dei segmenti
adiacenti. Per valutare questa proprietà, quindi, dobbiamo prendere in considerazione le
analoghe proprietà dei segmenti adiacenti.
- es: la prima p di pappa è realizzata come non lunga, cioè è realizzata con lunghezza analoga
ai segmenti adiacenti. La seconda p, invece, è realizzata come lunga perché è più lunga dei
segmenti adiacenti.
fenomeni soprasegmentali
richiedono, per essere valutati, di prendere in considerazione proprietà di cui gode più di un
segmento.
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• se una segmento possiede una certa proprietà e questa rappresenta un fattore distintivo, allora
quella proprietà deve essere una proprietà di libera applicazione.
- in italiano siamo liberi di pronunciare una consonante come lunga o corta e questa libertà ci
permette di usare la lunghezza consonantica come fattore distintivo soprasegmentale (la
stessa cosa vale per l’accento).
• fonologia: studia come i fonemi si fondono per formare parole e come si realizzano in una forma
fonetica.
• es: in italiano non possiamo costruire la parola inbuto, ma possiamo costruire la parola imbuto.
la sequenza nb è una sequenza non grammaticale della fonologia italiana, mentre mb è una
sequenza ammissibile.
quando devo pronunciare in piedi all’interno di una frase, in viene pronunciato come im.
• il segmento n (nasale) ha assunto il punto di articolazione del segmento che segue, in questo
caso la p (bilabiale). La m, infatti, è anche essa bilabiale. Questo non vale per tutti i segmenti
(es: dico in tasca e non im tasca).
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Fonologia: proprietà
• i fonemi sono distintivi in quanto distinguono una paralo da un’altra.
• i foni (suoni) hanno un insieme di proprietà articolatorie che li distinguono tra loro.
• due tratti binari, che possono assumere due valori (uno positivo e uno negativo), possono
essere usati per descrivere quattro oggetti.
• prendiamo 4 oggetti che vogliamo classificare (x, y, z, h); una certa proprietà A e una certa
proprietà B può essere utilizzata per descrivere x, y, z, h.
• questa proprietà può essere usata in modo binario, ovvero: ognuno di questi oggetti (x, y, z, h)
può essere descritto attraverso la presenza o l’assenza di quella proprietà.
• i suoni linguistici che hanno funzione distintiva nel nostro sistema fonologico mentale sono
rappresentati come proprietà articolatorie primitive che vengono chiamate tratti.
• questo tipo di modello è molto economico perché, ad esempio, per descrivere quattro suoni
(oggetti), posso ridurli a due proprietà articolatorie e dire se quella proprietà è presente o meno
in quel suono.
• ogni segmento (in questo caso p, b, c) viene specificato da un insieme di proprietà articolatorie
(tratti).
• un fascio di tratti individua un certo segmento e lo individua in modo non ambiguo: non ci sono
due segmenti differenti che sono individuati dallo stesso fascio di tratti.
due segmenti (suoni) sono distintivi se nel fascio di tratti che caratterizza quei due segmenti ci
sono tratti distintivi.
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• i tratti sono binari, quindi possono assumere due valori predefiniti (non sono liberi di assumere
qualsiasi valore).
• possiamo elencare un insieme di tratti distintivi binari e definire i fonemi come fasci di questi
tratti.
• possiamo assumere che ci sono dei tratti distintivi primitivi che esprimono proprietà
articolatorie, ad esempio:
esempio
• il problema è che le proprietà acustiche sono relazionali: lavorano in modo analogo ai fenomeni
soprasegmentali.
- es: si dice che un suono è acuto in relazione a un altro suono (è acuto rispetto a un suono
che non è acuto).
• secondo questa teoria, durante la percezione dei suoni l’attenzione viene spostata sulle
caratteristiche articolatorie dei suoni linguistici.
• i ricercatori hanno ipotizzato che le proprietà articolatorie potessero essere prese come tratti
distintivi attraverso i quali i fonemi vengono memorizzati.
• secondo questo modello i tratti distintivi sono tratti binari, che si distinguono per caratteristiche
articolatorie, come il modo o il punto di articolazione.
• es: secondo questo modello il suono /f/ è -sonoro, -sonorante, +continuo, - nasale, -posteriore,
-arrotondato
• la Teoria dei tratti distintivi è alla base della fonologia e ci permette di spiegare la competenza
fonologica dei parlanti.
• le regole fonologiche sono una serie di conoscenze sistematiche che “dicono” al parlante come
pronunciare una certa parola in una certa lingua.
Esperimenti
• sono stati condotti degli esperimenti con il fine di indagare la realtà psicologica dei tratti
distintivi e quindi la realtà psicologica dei modelli linguistici.
• il primo esperimento è stato condotto nel 1955 da Miller e Nicely, quando si faceva riferimento
alla Teoria dei tratti distintivi binari, secondo la quale i tratti esprimevano sia caratteristiche
articolatorie che acustiche.
- es. di discriminazione: i soggetti sentono le sillabe /ma/ e /na/ e devono dire se la coppia di
sillabe che hanno sentito è uguale o diversa.
• ipotesi di ricerca: il numero di tratti distintivi condiviso dai segmenti è predittivo del numero
degli errori (quanto è maggiore il numero di tratti condivisi, tanto è maggiore il numero degli
errori).
esempio:
/ma/-/na/ differenza: = 1
/ma/-/ka/ differenza: > 1
/ma/: bilabiale, nasale, sonoro
/ma/: bilabiale, nasale, sonoro
queste due sillabe differiscono per un tratto queste due sillabe differiscono per un numero
articolatorio. maggiore di tratti.
- gli errori si distribuiscono secondo la somiglianza delle sillabe in accordo alla Teoria dei
tratti distintivi.
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LEZIONE 7 - FONOLOGIA
• le parole sono memorizzate nel nostro lessico mentale con informazione fonologica (cioè
informazioni che riguardano come devono essere pronunciate).
• l’effettiva produzione delle parole, però, dipende dal contesto in cui vengono prodotte.
- es: nel lessico di un fiorentino la parola /k/asa si realizza in modi differenti in base al contesto:
- es: nel lessico di un fiorentino la parola [p]asta si realizza in modi differenti in base al
contesto:
- es: troviamo un fenomeno analogo in italiano con la preposizione in (nasale di tipo alveolare):
• lessico: dizionario mentale; lista di parole con un insieme di conoscenze (insieme di informazioni
linguistiche) ad esse associate.
casa
fonetica-ortografica ka:sa/casa
classe grammaticale nome
informazione grammaticale singolare/femminile
informazione semantica proprietà di un luogo tale che…
informazione pragmatica usato nel contesto…
• regole fonologiche: regole che determinano come una rappresentazione astratta debba
realizzarsi in una forma fonetica concreta in un dato contesto di produzione linguistica.
A -> B/C
il segmento A diviene B nel contesto C
• in fiorentino il segmento /k/ diventa [h] • in fiorentino il segmento /p/ diventa [ɸ]
quando occorre tra due vocali:
quando occorre tra due vocali:
• [k] e [p] sono due suoni occlusivi sordi e diventano fricativi in posizione intervocalica.
• questo ci permette di descrivere una regola molto più generale che cattura sia il caso di in
[k]asa/la [h]asa che quello di in [p]asta/la [ɸ]asta.
• possiamo assumere che questi due suoni siano entrambi definiti dal tratto - continuo, cioè
occlusivo (il passaggio dell’aria viene bloccato).
• in fiorentino un suono non continuo (cioè occlusivo) deve essere realizzato come un suono
continuo quando occorre in una posizione intervocalica.
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• secondo questa prospettiva, possiamo individuare una classe naturale di suoni, ovvero un
insieme di suoni caratterizzati da un numero di tratti minore a quello necessario per la
caratterizzazione di ognuno di essi.
es: /k/e /p/ appartengono alla classe naturale dei suoni occlusivi, sordi (2 tratti).
/k/: occlusivo, sordo, velare (3 tratti).
• i tratti distintivi regolano fenomeni di produzione e comprensione linguistica (in fiorentino come
in italiano).
• in questi due casi un suono alveolare (in) si trasforma in un suono bilabiale: la labialità di /p/ e /
b/ si diffonde al segmento adiacente, che è alveolare nasale.
• in questo caso un suono alveolare (in) si trasforma in un suono velare: la velarità di /g/ si
diffonde al segmento adiacente alveolare nasale.
• in questo caso un suono nasale bilabiale (tram) si trasforma in un suono nasale alveolare (tran).
regola fonologica: un suono nasale che ha un certo punto di articolazione assume il punto di
articolazione della constante che segue.
- quale forma possono avere le parole (classi di parole possibili in Italiano), e quindi quali
parole sono possibili e quali non lo sono.
• ad esempio, la regola fonologica prima descritta secondo la quale un suono nasale che ha un
certo punto di articolazione assume il punto di articolazione della constante che segue,
determina che in italiano possa esistere la parola li[n]do, ma non la parola li[m]do perché la d è
alveolare, mentre la m è nasale bilabiale.
• allo stesso modo, in italiano esiste la parola am[b]ito, al contrario della parola a[n]bito perché la
b è bilabiale, mentre la n è alveolare.
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- dalla lunghezza
- dall’intensità
- dall’altezza tonale
• questi elementi possono essere distintivi e sono detti soprasegmentali perché hanno proprietà
relazionali (es: un suono può essere definito come lungo se confrontato con la lunghezza degli
altri suoni).
lunghezza di un segmento
• in italiano la lunghezza consonantica è distintiva (la lunghezza distingue parole differenti):
• in italiano la lunghezza vocalica ha distribuzione prevedibile: ci sono delle regole violabili che ci
dicono quando possiamo trovare o realizzare una vocale lunga in una parola.
- in italiano la vocale lunga occorre tipicamente nelle sillabe accentate non finali (cioè che non
stanno alla fine della parola) che non finiscono con una consonante.
- la sillaba sa in [kasale] è accentata, non è finale e non finisce con una consonante, quindi la
vocale è lunga (viene indicato con i due punti).
- la sillaba ka in [ka:sa] è accentata, non è finale e non finisce con una consonante, quindi la
vocale è lunga (viene indicato con i due punti).
intensità di un segmento
• oltre alla lunghezza, anche l’intensità è una proprietà distintiva.
• l’intensità riguarda la forza e il volume (energia acustica) con la quale viene realizzato un certo
segmento.
- frequenza fondamentale: è la frequenza più bassa con la quale un certo segmento (suono
linguistico) viene prodotto.
• le lingue tonali sono lingue in cui l’altezza tonale è distintiva, come cantonese e thai (in italiano
l’altezza tonale non è distintiva).
• le variazioni di tono possono essere ascendenti o discendenti nella produzione dei segmenti.
• l’altezza tonale deve essere distinta dall’intonazione, che è una caratteristica dell’intero
enunciato e non della singola parola.
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LEZIONE 8 - FONOLOGIA
L’accento
• lunghezza, intensità e altezza tonale di un segmento concorrono ai fenomeni di accentuazione
per determinare la posizione dell’accento.
• l’accento è il rilievo di una sillaba rispetto alle altre per durata, intensità (volume) e tono, che
si manifestano sulla vocale contenuta nella sillaba.
• la posizione dell’accento in una parola è specificata nel lessico in italiano (si usa un segno che
appartiene al sistema ortografico dell’italiano).
• mentre in alcune lingue la distribuzione dell’accento non è libera, in Italiano è libera e dunque
può avere funzione distintiva.
- es: áncora/ancóra
prìncipi/princìpi
• poiché in italiano l’accento distingue parole differenti, la posizione dell’accento in una parola
deve essere specificata nel lessico mentale, in cui memorizziamo le parole e le informazioni ad
esse pertinenti.
La sillaba
• sillaba: raggruppamento naturale di segmenti nei quali dividiamo una parola.
• ciascun parlante sa che le parole della sua lingua possono essere suddivise in gruppi di suoni.
• non solo la applichiamo a parole che appartengono al nostro lessico, ma anche a parole che
non esistono, ma potrebbero esistere (sono ammissibili).
• durante il periodo della lallazione i bambini cominciano a produrre delle sillabe in isolamento
e poi delle sequenze di sillabe. In questo modo il bambino impara a manipolare, a produrre e
a classificare i suoni della sua lingua e sequenze un po’ più grandi dei singoli suoni (le sillabe).
- in italiano abbiamo una vocale per ogni sillaba (ogni sillaba contiene un nucleo vocalico).
• questa definizione risulta un po’ vaga in quanto non spiega la divisione e l’assegnazione delle
consonanti a una sillaba piuttosto che ad un’altra.
• sillaba: gruppo di suoni raccolti attorno ad un nucleo vocalico, secondo una scala di
sonorità.
• possiamo ordinare i suoni della nostra lingua secondo una scala di sonorità, ovvero una scala di
intensità sonora con la quale un suono viene prodotto.
scala di sonorità
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c: ha sonorità minima
o: ha sonorità massima
• i suoni che hanno sonorità minima all’interno della sequenza rappresentano l’inizio di una
nuova sillaba. I suoni che precedono questi suoni rappresentano la fine della sillaba
precedente.
• il nucleo vocalico di una sillaba può essere preceduto da una o più consonanti che
costituiscono l’incipit, ma può anche essere seguito da una consonante detta coda.
incipit
nucleo vocalico
coda
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• es: trat-to
• la scala di sonorità ci impone anche delle condizioni sull’accettabilità delle parole (ci dice quali
parole sono o non sono ammesse in una lingua).
• regole fonotattiche: ci dicono quali parole sono ammissibili e quali non lo sono in una certa
lingua.
- es: tratto è una parola ammissibile in italiano perché è formata da sillabe ammissibili, ovvero
sillabe che rispettano la scala di sonorità.
• la scala di sonorità prevede che i suoni all’interno di una sillaba debbano salire rapidamente
verso il nucleo e poi scendere lentamente e quando si incontra un punto di minimo inizia una
nuova sillaba.
- es: rtatto non è una parola ammissibile in italiano perché la prima sillaba viola la scala di
sonorità (c’è un suono più sonoro che precede un suono meno sonoro; il punto di minimo è
in seconda posizione, mentre dovrebbe essere in prima posizione).
• ci sono regole specifiche in ogni lingua che determinano diverse forme di sillabe nelle diverse
lingue.
- consonanti sonoranti: l’aria fluisce più liberamente che nelle fricative o nelle occlusive.
• in italiano le consonanti non sonoranti in coda sono presenti solo in parole prese da altre lingue.
- es: stop
• sillaba: insieme unitario di segmenti suddivisi in incipit, nucleo, coda e ordinati secondo una
certa scala di sonorità.
• una sillaba deve sempre avere un nucleo vocalico; poi può avere o meno l’incipit e una coda.
• nei pazienti con deficit fonologici vengono prodotte sillabe di tipo cv.
• in alcune lingue non sono ammesse code, mentre in altre è obbligatorio l’incipit.
• il nucleo e la coda stanno in una relazione particolare tra di loro e formano una struttura
chiamata rima, che a sua volta può essere in relazione con l’incipit.
• la sillaba non ha una struttura ricorsiva: non posso incastrare una sillaba all’interno di un’altra
sillaba e ottenere una sillaba più complessa.
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- determina alcuni fenomeni fonologici che vengono sfruttati nelle poesie/canzoni, ecc.
LEZIONE 9 - FONOLOGIA
• una lingua è caratterizzata anche da proprietà prosodiche, ovvero proprietà acustiche che
riguardano il ritmo e l’intonazione delle frasi che appartengono a quella lingua.
- ritmo: si riferisce all’occorrenza regolare nel tempo di un evento (questo evento può essere
l’accento o il tipo di sillaba).
esempio
cv cv cv cv cv cv cv
pa ta ta ri sa ti na
• la maggior parte delle parole in italiano sono formate da ripetizione di sillabe cv.
- secondo uno studio (1994), circa il 57% delle sillabe è di tipo cv in italiano; questo determina
il ritmo a mitragliatrice dell’italiano.
- es: tran-sit
• anche la distribuzione dell’accento sulle parole nei costituenti frasali determina il ritmo di una
lingua.
• in italiano la maggior parte delle parole ha l’accento che cade sulla penultima sillaba di una
parola (penultimate stress pattern), mentre in inglese la maggior parte delle parole ha l’accento
che cade sulla prima sillaba.
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• regole fonotattiche (regole che ci dicono come i suoni possono combinarsi tra di loro)
• regole fonologiche (regole che ci dicono come i suoni debbano realizzarsi all’interno di
un contesto più ampio rispetto al singolo suono)
• intonazione (riguarda la melodia con la quale una certa frase deve essere pronunciata)
• gli enunciati di una lingua non sono costituiti semplicemente da sequenze di fasci di tratti che
formano le parole, ma da sequenze di fasci che formano parole la cui realizzazione dipende
dal contesto di produzione.
• per analizzare la forma fonologica dei morfemi, delle parole e degli enunciati dobbiamo integrare
informazioni segmentali ed informazioni soprasegmentali.
- le proprietà relazionali (soprasegmentali) hanno una natura differente dai tratti attraverso i
quali memorizziamo i fonemi della nostra lingua. I tratti sono primitivi, hanno un valore
assoluto (un suono non può essere rappresentato nel nostro inventario fonologico dei suoni
con un tratto che dice “lungo” perché quel suono non è in assoluto più lungo, ma lo è in
relazione al segmento adiacente).
• sono stati proposti diversi modelli: i primi modelli sono stati chiamati modelli lineari.
1. MODELLI LINEARI
esempio: la casa
- in un modello lineare ciò viene indicato con il tratto + lungo, ma abbiamo detto che è
incorretto perché è una proprietà che per essere effettivamente distintiva deve prendere in
considerazione la lunghezza dei segmenti adiacenti.
• c’è bisogno di un sistema in cui questa proprietà non sia codificata a livello dei singoli suoni,
ma a un livello più ampio.
• c’è bisogno di un modo per rappresentare proprietà che riguardano i singoli suoni, ma che
per essere valutate e determinate devono prendere in considerazione le proprietà dei
suoni adiacenti.
• c’è bisogno di un sistema nel quale posso aggiungere nuove proprietà a segmenti più
ampi di un singolo suono (es: due suoni, tre suoni, e così via).
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di Goldsmith (1976)
• viene proposto un modello non lineare, secondo il quale i tratti segmentali e i tratti
soprasegmentali rispondono a principi organizzativi differenti e devono essere rappresentati su
piani distinti sincronizzati.
• secondo questo modello abbiamo un livello scheletrico che rappresenta le unità segmentali
temporali di un enunciato sulle quali vengono rappresentati i suoni, ovverosia i fasci di tratti che
caratterizzano i vari fonemi.
• le x sono le unità segmentali temporali sulle quali rappresentiamo i suoni che formano gli
enunciati.
• possiamo rappresentare:
• nella parola fato la a è lunga, cioè ha lunghezza maggiore rispetto ai suoni adiacenti.
• questo sistema rende conto della lunghezza vocalica (alcune vocali possano essere lunghe).
• questo sistema rende conto anche della lunghezza consonantica (alcune consonanti possono
essere lunghe).
• nella parola fatto la t è lunga, cioè ha lunghezza maggiore rispetto ai suoni adiacenti.
vocali brevi/lunghe nei modelli non lineari consonanti brevi/lunghe nei modelli non lineari
v= vocale; c = consonante v= vocale; c = consonante
• le vocali brevi sono vocali che vengono • le consonanti brevi sono consonanti che
realizzate su un’unità segmentale vengono realizzate su un’unità segmentale
temporale.
temporale.
• le vocali lunghe sono vocali che vengono • le consonanti lunghe sono consonanti che
realizzate su due unità segmentali vengono realizzate su due unità segmentali
temporali.
temporali.
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• in una sillaba possiamo realizzare più suoni consonantici nell’attacco, come nella parola plico:
- nucleo vocalico: i
• nella parola plico, “pl” ha la stessa lunghezza/durata di “c” e “o” (prese singolarmente). Questo
accade perché le due consonanti (pl) vengono realizzate su un’unica unità segmentale
temporale.
• la i è lunga.
• /np/ deve essere realizzato come [mp]: in piedi viene realizzato come i[m] piedi
• questa regola fonologica può essere riformulata in un modello lineare: quando un segmento è
nasale, allora il tratto che caratterizza il segmento che segue (in questo caso labiale) deve
essere realizzato anche sul segmento nasale.
• la labialità del segmento che segue il segmento nasale si espande al segmento precedente.
posizionamento dell’accento
• possiamo sfruttare i modelli lineari anche per capire come avviene il posizionamento
dell’accento in italiano.
• nucleo e coda formano la rima; la struttura della rima determina il peso sillabico:
• una rima è pesante se è realizzata su due unità scheletriche, leggera se è realizzata su una sola
unità scheletrica.
• il peso sillabico è determinato dai segmenti della rima ed è alla base di alcune importanti regole
fonologiche, quali ad esempio il posizionamento dell’accento.
áncora ancóra
• quando una sillaba viene realizzata su due unità scheletriche tende ad essere accentuata.
• ogni sillaba accentata è una sillaba pesante, ma non è vero che ogni sillaba pesante è una
sillaba accentata.
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- án: sillaba formata da nucleo vocalico + coda. Nucleo e coda formano la rima della prima
sillaba, che è pesante in quanto viene realizzata su due unità scheletriche temporali e quindi
può essere accentuata.
- co: sillaba formata da nucleo vocalico (non ha una coda). Il nucleo vocalico viene realizzato
su una sola unità scheletrica temporale, quindi è leggera e non può essere accentuata.
- ra: sillaba formata da nucleo vocalico (non ha una coda). Il nucleo vocalico viene realizzato
su una sola unità scheletrica temporale, quindi è leggera e non può essere accentuata.
- an: questa sillaba è pesante, ma questo non significa che debba per forza essere
accentuata.
- có: il nucleo vocalico è occupato da una vocale (o) lunga, che viene realizzata su due unità
scheletriche temporali. Questo significa che la rima è pesante e quindi viene accentuata.
- ra: sillaba formata da nucleo vocalico (non ha una coda). Il nucleo vocalico viene realizzato
su una sola unità scheletrica temporale, quindi è leggera e non può essere accentuata.
• in generale in Italiano:
• le parole tronche costituiscono circa il 16% • le parole sdrucciole costituiscono circa l’8%
delle parole italiane.
delle parole italiane.
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• come una lingua suona è determinato anche da altre proprietà (proprietà prosodiche), che
dipendono dall’intonazione e dal ritmo. Questi fenomeni sono studiati dalla fonologia
dell’intonazione, una fonologia che studia fattori distintivi che si applicano a segmenti più ampi
di una parola (segmenti frasali).
• grafico che rappresenta la frequenza fondamentale dei suoni con i quali è prodotta la frase
“Maria ha telefonato” nel tempo.
• tono contrastivo: sottolineo il fatto che Maria ha telefonato, e non qualcun altro che mi
aspettavo dovesse telefonare.
• le variazioni tonali sono strategie impiegate per comunicare informazioni che non sono
direttamente codificate dal significato delle parole.
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consonanti
2. i due segmenti iniziali delle parole panca e manca differiscono per…
- punto di articolazione
vocali
- la posizione orizzontale della lingua — u è una vocale alta posteriore, i è una vocale alta
anteriore.
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• suoni che appartengono a una stessa famiglia di suoni sono soggetti agli stessi fenomeni
fonologici.
fonetica acustica
2) una vocale alta (tra 100 e 350 ms, poiché appaiono tante fasce di frequenza caratterizzate
da una intensità alta e fasce di concentrazione, i formanti)
3) una consonante fricativa (in questo caso troviamo molto più rumore, appaiono delle fasce
di frequenza disordinate)
4) un dittongo
1. nelle espressioni a) e b) la parola casta viene pronunciata in due modi differenti in fiorentino.
a) in casta
b) la casta
scrivete le due realizzazioni fonetiche del fonema iniziale della parola casta, descrivete il
2. nelle espressioni a) e b) la parola palla viene pronunciata in due modi differenti in fiorentino.
a) con palla
b) nella palla
scrivete le due realizzazioni fonetiche del fonema iniziale della parola palla, descrivete il
3. cosa dice la seguente regola fonologica? A -> B/C (il segmento A deve essere realizzato come
B nel contesto C)
a) in palla
b) in tasca
a) in nave
b) in moto
- no.
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10. elencate le sillabe che compongono la parola dente e rappresentate la struttura di ciascuna
sillaba.
11. elencate le sillabe che compongono la parola orco e rappresentate la struttura di ciascuna
sillaba.
12. nel seguente grafico rappresentate come la divisione in sillabe della seguente parola rispetti la
regola di scala di sonorità
13. nel seguente grafico rappresentate come la divisione in sillabe della seguente parola rispetti la
regola di scala di sonorità
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14. nella frase “Leo ha detto che desideri vincere al totocalcio" dove cade l’accento sulla parola
desideri? Perché? Rappresentatene la divisione in sillabe e rappresentate come i fonemi
vengono realizzati sulla rappresentazione scheletrica temporale.
- l’accento cade sulla seconda sillaba (desíderi) perché la rima è pesante (occupa due unità
temporali).
15. nella frase “Leo aveva molti desideri. Voleva…" dove cade l’accento sulla parola desideri?
Perché? Rappresentatene la divisione in sillabe e rappresentate come i fonemi vengono
realizzati sulla rappresentazione scheletrica temporale.
- l’accento cade sulla penultima sillaba (desidéri) perché la rima è pesante (occupa due
unità temporali).
altri esempi:
…voleva andare in vacanza e giocare a palla sulla spiaggia.
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LEZIONE 14 e 15 - MORFOLOGIA
- abilità morfologiche: ci dicono come formare nuove parole a partire da parole già esistenti e
la loro struttura interna.
- abilità semantica
• abilità sintattiche e morfologiche sono in stretta relazione tra di loro: si parla di abilità morfo-
sintattiche.
• i parlanti associano significati alle frasi che hanno generato attraverso le abilità sintattiche
(abilità semantica) e sanno quando quei significati possono essere usati in un certo contesto e
non in un altro (abilità pragmatica, riguarda il contesto d’uso della lingua).
• il legame tra la forma di una parola e l’oggetto che essa denota è arbitrario.
• c’è comunque molta variabilità interculturale: il cane abbaia, the dog barks…
- es: cantare: canto, canti, canta, cantavo, canticchiare, cantante, cantabile, incantabile, ecc.
• queste parole non sono tutte singolarmente immagazzinate nel nostro lessico mentale, poiché
non sarebbe economico.
• è più economico immagazzinare la forme base e le regole di formazione delle forme ad esse
collegate.
• questo sistema è più economico perché le regole di derivazione delle forme collegate possono
essere applicate a più forme base.
Nel nostro lessico mentale memorizziamo le forme base e alcune regole di derivazione di
parole a partire dalle forme base.
argomento empirico
• possiamo inventare nuove parole a partire da parole conosciute.
- es: sbriciolacarta
• tali parole, in quanto nuove, non possono essere già presenti nel nostro magazzino mentale.
• inoltre, conosciamo i meccanismi per formare parole complesse a partire da parole semplici, ma
anche da parole non esistenti ma ammissibili.
- es: +aio denota il venditore dell’oggetto denotato dal nome che modifica.
- es: pacio (parola inventata per oggetto immaginario) > paciaio (venditore dell’oggetto
immaginario)
• ciò suggerisce che nel nostro lessico mentale abbiamo memorizzate forme base e regole per
generarne altre ad esse associate (argomento empirico).
• queste forme base vengono dette lessemi e sono memorizzate nel lessico.
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argomenti per l’ipotesi “abbiamo forme base e regole di formazione di nuove forme”:
• esiste un periodo critico per l’acquisizione del linguaggio, ovvero sia una finestra temporale
entro la quale il linguaggio deve essere acquisito, e questo avviene attraverso l’esposizione al
linguaggio.
• dopo tale periodo critico impariamo le lingue secondo strategie differenti, che fanno uso quasi
esclusivamente di abilità cognitive e non di abilità linguistiche specifiche.
• il periodo periodo critico per la fonetica e la fonologia è il più ristretto e si chiude attorno ai
2-3 anni.
• le parole sono le più piccole unità linguistiche che possono essere inserite in una frase.
- es: la parola lettera può apparire alla forma singolare letter-a o alla forma plurale letter-e.
• in queste parole troviamo una forma base che può essere modificata da un’espressione dotata
di significato più piccola di una parola. Queste espressioni sono unità minime dotate di
significato che non possono essere usate in isolamento. Esse sono dette morfemi.
- es: -e è un morfema che si applica ad una parola (un nome) e ne modifica le informazioni di
numero.
• tali morfemi sono detti anche morfemi flessivi perché non cambiano il significato o la categoria
sintattica della parola alla quale si applicano, ma contribuiscono ad alcuni aspetti del suo
significato.
• oltre ai morfemi flessivi, in italiano abbiamo anche morfemi derivazionali: essi cambiano il
significato e/o la categoria sintattica della parola alla quale si applicano.
• il processo di prefissazione è ricorsivo (può • in italiano sono pochi, mentre nelle lingue
essere applicato nuovamente al risultato di africane parecchi.
esempio ex-con-vivente.
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suffissi
si applicano alla fine di una parola.
- es: ex-libr-aio
- prima bisogna attaccare il prefisso, poi il suffisso: corri > percorri > percorribile
- prima bisogna attaccare il suffisso, poi il prefisso: mangi > mangiabile > immangiabile
Riepilogo morfemi
morfemi
unità minime dotate di significato che non possono essere usate in isolamento.
• nelle lingue in cui non esiste la prefissazione abbiamo un ordine delle parole in cui l’oggetto
precede il verbo (O-V) e il nome precede la proposizione che introduce quel nome (N-P).
ci sono due grandi posizioni a livello di teorie linguistiche, di cui Chomsky è stato lo spartiacque:
tradizione innatista tradizione non innatista
• la nostra competenza linguistica fa uso di • tutta la competenza linguistica si basa su
conoscenze innate.
competenze acquisite durante un processo
cognitivo che fa uso di abilità cognitive più
generali.
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Se sono codificate a livello genetico e quindi fanno parte di tutti gli uomini, come possiamo spiegare la
grande variabilità linguistica che troviamo?
• ad esempio ci sono lingue in cui l’oggetto precede il verbo e lingue in cui l’oggetto segue il
verbo (ad esempio l’italiano).
• questa è solo una delle differenze che troviamo fra le varie lingue.
• per conciliare questa variabilità con l’idea che la nostra competenza linguistica sia in qualche
modo determinata da come siamo fatti (tradizione innatista) e in particolare da come è fatto il
nostro cervello (e questo dipende dal nostro patrimonio genetico), Chomsky ha introdotto il
concetto di variazione parametrica e ha elaborato la teoria dei principi e dei parametri.
• secondo questa teoria ci sarebbero dei principi universali che governano l’acquisizione del
linguaggio (e quindi di ogni lingua) che determinano proprietà che sono comuni a tutte le
lingue del mondo e delle variazioni parametriche che riguardano questi principi universali.
• uno di questi parametri ad esempio è stato impiegato per spiegare la differenza che sussiste tra
lingue di tipo 1 (italiano, inglese…) e lingue di tipo 2 (turco, giapponese…).
• nelle lingue di tipo 1 (italiano, inglese, ecc.) il nome segue una preposizione e l’oggetto segue il
verbo:
• nelle lingue in cui troviamo l’ordine inverso (prima l’oggetto e poi il verbo), troviamo anche prima
il nome e poi la preposizione che regge quel nome.
• all’interno della teoria dei principi e dei parametri Chomsky ha introdotto il concetto di
parametro e ha ipotizzato che nelle varie lingue ci sono parole che svolgono una funzione di
selezionatore e parole che svolgono la funzione di selezionato.
• le lingue possono essere lingue nelle quali il selezionato precede il selezionatore oppure lingue
nelle quali il selezionato segue il selezionatore.
• una correlazione che troviamo consiste nel fatto che le lingue in cui non troviamo suffissazione
sono anche lingue nelle quali il selezionato precede il selezionatore.
• in generale possiamo dire che queste regole hanno tutte forma funzionale:
• una certa funzione viene applicata ad un certo argomento e alla fine avremo un risultato.
• ad esempio, secondo questa regola morfologica, la lettera s verrà attaccata alla base fortunato
e darà come risultato l’uscita sfortunato.
s(fortunatoAGG) = sfortunatoAGG
• le regole morfologiche hanno delle restrizioni di applicazione: in questo caso la lettera s, che
trasforma un aggettivo nel suo opposto, si applica agli aggettivi. Questa funzione, quindi, andrà
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a controllare la natura della sua base. La regola ci dice anche che, trattandosi di un prefisso, la s
deve attaccarsi all’inizio della parola.
bile(mangVERBO) = mangiabileAGG
• abbiamo detto che ci sono alcune restrizioni sull’applicazione delle regole. Abbiamo:
regole sintattiche regole semantiche
• ci dicono, ad esempio, che il suffisso ista si • sono restrizioni che riguardano il significato.
• il morfema -ando mi dice che il verbo è al • questa frase viola una restrizione semantica-
gerundio presente (detta anche forma sintattica di applicabilità di questo morfema
progressiva).
flessivo poiché la forma progressiva
• il morfema -ando codifica che l’evento ha (gerundio) può essere costruito solo con
luogo al presente ed è in corso nel momento verbi di tipo agentivo, ovvero verbi che
in cui la frase viene pronunciata.
denotano un evento nel quale c’è un agente
• si tratta di una forma alternativa che marca il (qualcuno che fa qualcosa di attivo).
modo nel quale l’evento che viene descritto • amare denota uno stato più che un evento.
parole composte
• in italiano abbiamo la possibilità di comporre due parole per formare una parola nuova
attraverso un processo di composizione (possono essere parole che appartengono a classi
grammaticali differenti).
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porta-borse (V+N)
mangia-nastri (V+N)
motore a scoppio (N+P+N)
alto-mare (A+N)
retro-bottega (P+N)
- es: cavatappi
- es: armchair
• nelle lingue germaniche, ma non in italiano, possiamo anche avere composizioni del tipo
N+N+N. In questo caso le parole composte possono essere ambigue: diverse strutture sono
associate a diversi significati.
• diversi raggruppamenti sono associate a diverse forme prosodiche: è possibile capire cosa
intende il parlante da dove cade l’accento nella pronuncia del nome composto.
• lingue diverse mostrano ordini diversi nella composizione: l’ordine rispecchia l’ordine sintattico
della modificazione.
• come nel caso A+N, nelle parole composte - es: apple pie (denoto una torta di mele)
è il modificatore di mela
- stationmaster (denoto il capo della
- es: verde mela (denoto il colore)
stazione)
• questa indecisione ci fa dubitare che in realtà con la composizione creiamo una nuova parola.
• questo dubbio non riguarda la conoscenza della lingua, che è implicita e spontanea, ma
piuttosto la natura prescrittiva della nostra abilità di leggere e scrivere che, al contrario del
linguaggio, deve essere appresa attraverso un’istruzione esplicita (per questo non abbiamo
un’intuizione implicita su come scrivere le parole composte).
• possiamo affidarci alle nostre conoscenze linguistiche per capire come dobbiamo scrivere le
parole composte.
Una parola è il più piccolo elemento che può essere inserito in una frase all’interno del quale non
possiamo inserire altri elementi.
• per capire se porta-lettere è una parola o meno possiamo affidarci a questa definizione.
• abbiamo detto che, in realtà, anche le parole “semplici” semplici non sono.
• abbiamo chiamato -i, -e morfemi flessivi: i morfemi flessivi possono contribuire al significato di
una parola senza modificarla sostanzialmente e senza modificarne la categoria grammaticale cui
essa appartiene.
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morfemi flessivi
morfemi di NUMERO bello/i - bella/e
• consideriamo i costituenti:
• in essi un articolo ed un aggettivo si accordano in genere ed in numero con un nome che può
essere singolare o flesso al plurale.
• la morfologia del nome da una parte, e dell’articolo e dell’aggettivo dall’altra, sembrano regolate
da principi differenti.
- il gatto corre
- i gatti corrono
• il verbo correre si accorda in numero e persona con il nome che può essere flesso al singolare o
al plurale.
• se riflettiamo su ciò che determina il valore flessivo di un nome da un lato, e degli elementi che
con esso devono accordarsi (articoli, aggettivi, verbi) dall’altro, osserviamo che la flessione del
nome (negli esempi sopra) dipende da una libera scelta di chi parla; se chi parla decide di
identificare una pluralità di individui usando un certo nome userà la forma flessa al plurale di
quel nome.
• al contrario, il valore flessivo dell’aggettivo, dell’articolo, e del verbo (negli esempi sopra) non
dipende da una libera scelta del parlante ma da principi grammaticali.
• in Italiano, i nomi hanno morfologia flessiva per il numero plurale, ma non per il genere.
• questo comporta che le distinzioni di genere di un nome siano distinzioni codificate a livello
lessicale, ovvero abbiamo due parole distinte (una per genere).
- es: abbiamo la parola maschile ragazzo e la parola femminile ragazza memorizzate nel nostro
lessico mentale.
- es: il lessema madre codifica implicitamente anche informazione sul suo genere
grammaticale femminile (lo stesso vale per il lessema padre).
- es: l’individuo denotato dalla parola padre ha genere biologico maschile, mentre l’individuo
denotato dalla parola madre ha genere biologico femminile, ma ci sono casi in cui al genere
grammaticale di una parola non corrisponde un’informazione di genere biologico.
• ad esempio le parole sedia e tavolo hanno generi grammaticali differenti, ma non denotano
oggetti che hanno differenti generi naturali/biologici come nel caso di madre e padre.
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• in tale ottica, le parole bambino e bambina vanno dunque considerate come due lessemi distinti
memorizzati nel nostro lessico mentale (non dobbiamo considerare -o e -a come due lessemi
flessivi per la forma maschile e la forma femminile delle nostre parole).
• dunque, nella frase Le ragazze istruite hanno aiutato le lavoratrici il parlante sceglie di usare il
lessema femminile ragazza alla forma plurale perché decide di parlare di una pluralità di individui
di genere femminile che hanno una certa proprietà codificata da tale lessema.
• l’aggettivo istruite e l’articolo le entrano il relazione con la parola ragazze. Tali relazioni
determinano che essi debbano ricevere morfemi flessivi di genere femminile e numero plurale.
• la stessa cosa accade per i verbi: il valore del morfema flessivo viene determinato dalla natura
del soggetto della frase.
• la morfologia flessiva esprime tratti (informazioni) che sono rilevanti per la sintassi, cioè per
compiere alcune operazioni di accordo sintattico.
di Anderson (1977)
• secondo questo modello:
- i processi derivazionali hanno luogo prima che un’espressione venga inserita in una
derivazione sintattica (prima che si inizi a costruire una frase).
• se ciò è vero, questo sistema predice che in una frase dovremmo trovare un ordine delle
marcature sulla parola, cioè un ordine di applicazione dei morfemi sulle parole. L’ordine deve
essere:
3. morfema flessivo (inserisco la parola all’interno di una frase e il contesto sintattico darà
luogo a una certa forma flessiva della parola)
3. Io cant-icchi-av-o (attacco il morfema flessivo -av e unisco canticchiav- con il soggetto, che
richiede che questo verbo esca alla forma canticchiavo).
• una frase del tipo Ieri io cant-avo-icchi viola questo ordine e per questo è agrammaticale.
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- io/tu — nominativo
- me/te — accusativo
• il contesto sintattico nel quale questo pronome è stato inserito determina la morfologia di quel
pronome.
LEZIONE 16 e 17 - COSTITUENTI
Pensare che il linguaggio abbia regole basate sull’ordine lineare delle parole sarebbe più plausibile
secondo l’ipotesi che le regole del linguaggio sono un prodotto socioculturale, in quanto
sembrano abbastanza semplici.
Discutiamo l’esempio di regola che determina il significato dei pronomi. Quale regole determinano il
significato di un pronome?
• il pronome lui si riferisce allo stesso individuo a cui si riferisce l’individuo denotato dal nome
Luca.
• i linguisti indicano l’identità di riferimento di due espressioni — in questo caso Luca e lui —
attraverso il coindiciamento, ovvero lui e Luca hanno un indice i. Questo indice ci dice che
queste due espressioni si riferiscono a uno stesso individuo.
• i pronomi ricevono significato attraverso un legame anaforico. Il legame è però soggetto a delle
restrizioni: il pronome e il suo antecedente anaforico devono accordarsi in numero, genere e
persona.
- regole prescrittive: sono regole che hanno oggetto di istruzione esplicita, che apprendiamo
durante il percorso scolastico.
• queste sono regole che ci sono state insegnate e prescrivono come dobbiamo combinare le
parole, ma sono spesso violate dai parlanti.
• le regole del linguaggio hanno natura completamente differente: le regole del linguaggio sono
regole che non ci vengono insegnate, sono implicitamente conosciute da tutti i parlanti nativi di
una data lingua.
• le parole da cui siamo partiti possono essere, in linea teorica, combinate in modi diversi:
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• consideriamo come regole del linguaggio le varie possibilità di combinazione di elementi del
linguaggio che danno luogo ad espressioni che sono ben formate, ovverosia che sono esperite
o sentite come frasi grammaticalmente possibili di una determinata lingua da parte dei parlanti.
• la grammatica può essere vista come un filtro delle combinazioni possibili di elementi primitivi
(parole, morfemi, suoni…).
1. il bambino produce frasi ed espressioni che non ha mai sentito e per i quali non ha mai
avuto un rinforzo;
2. il bambino non riceve quasi mai feedback negativi quando produce espressioni non
grammaticali perché i genitori e le persone con le quali il bambino interagisce sono
interessate ai contenuti delle produzioni del bambino, e non alla loro forma (questo accade
nelle prime fasi dello sviluppo del linguaggio del bambino).
3. gli studi hanno mostrato che il feedback negativo non ha effetti (i bambini perseverano nei
loro errori).
• la frase 2 contiene un pronome sottointeso, latente, che non viene pronunciato dai parlanti.
• nel caso in cui (1) ha il significato riportato in (A) si parla di coreferenza pronominale, ossia il
pronome lui ha lo stesso riferimento (=coreferenza) di un altro sintagma nominale (Charlie
Brown) nella stessa frase, ovvero lui e Charlie Brown e denotano lo stesso individuo.
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• nel caso in cui (1) ha il significato riportato in (B) si parla di riferimento disgiunto, ossia il
pronome lui ha un riferimento differente da un altro sintagma nominale (Charlie Brown) nella
stessa frase.
la frase 1 — Charlie Brown dice che lui è stanco — può voler dire due cose:
questo è possibile perché il pronome lui può riferirsi a due individui: a Charlie Brown o a Snoopy.
coreferenza pronominale riferimento disgiunto
• il pronome lui si riferisce a Charlie Brown.
• il pronome lui si riferisce a Snoopy.
• la frase in (3) non può voler dire «Charlie Brown dice di se stesso di essere stanco».
• nella frase in (3) non ci può essere lo stesso riferimento tra il pronome lui e il nome Charlie
Brown.
la frase 3 — Lui dice che Charlie Brown è stanco — può solo riferirsi ad un altro individuo:
Quale regola dice quando un pronome può avere lo stesso riferimento di un nome?
(1) Charlie Brown dice che lui è stanco. [lui può essere Charlie Brown]
(3) Lui dice che Charlie Brown è stanco. [lui non può essere Charlie Brown]
• ipotesi di regola lineare: potremmo ipotizzare che siccome un pronome sta al posto di un
nome, deve prima esserci il nome perché il pronome possa corifervisi.
(4) Quando lui è stanco, Charlie Brown ha mal di testa. — riferimento congiunto: lui occorre prima
di Charlie Brown, eppure entrambi hanno lo stesso riferimento.
(5) A Charlie Brown lui non rivolge la parola. — riferimento disgiunto: Charlie Brown occorre prima
di lui, eppure non possono essere lo stesso individuo.
• per formulare una regola corretta occorre identificare una struttura gerarchica per decidere
quando un pronome ed un nome possono avere lo stesso riferimento.
Il costituente
• i costituenti:
• secondo i linguisti, la seconda frase (chiamata frase scissa) — È Charlie Brown che è stanco —
è stata generata a partire dalla prima per mezzo dell’applicazione di una regola linguistica.
• le frasi scisse vengono ottenute da delle frasi «normali», spostando degli elementi X, e
mettendoli all’interno di questa struttura:
• il costituente più grande di tutti è la frase stessa, visto che essa è senza dubbio un gruppo di
parole che forma un’unità naturale.
• l’underscore __ indica la posizione che è occupata nella frase di partenza dalla sequenza di
parole X che viene spostata
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• “dice che tu” non forma un gruppo naturale di parole, infatti la frase scissa è agrammaticale:
Altri esempi
• frase: Snoopy guarda lui.
• frase scissa: È lui che Snoopy guarda __ .
• un gruppo di parole è un costituente relativamente alla frase in cui quel gruppo di parole
occorre. Ad esempio, il pronome lui e il nome Snoopy non sono in assoluto costituenti (non lo
sono a priori).
Charlie Brown dice che lui è stanco. Lui dice che Charlie Brown è stanco.
[lui può essere Charlie Brown]
[lui non può essere Charlie Brown]
• la nozione di costituente è una nozione rilevante per capire quando un nome e un pronome
possono avere lo stesso riferimento.
Consideriamo le frasi
lui può essere Charlie Brown lui non può essere Charlie Brown
1. Charlie Brown dice che lui è stanco.
3. Lui dice che Charlie Brown è stanco.
2. Quando lui è stanco, Charlie Brown ha 4. A Charlie Brown lui non rivolge la
mal di testa.
parola.
• bisogna identificare il costituente più piccolo che contiene il pronome applicando il test della
frase scissa.
• in (1) il più piccolo costituente che contiene il pronome è il gruppo di parole “che lui è stanco”.
• frase scissa: È quando lui è stanco che __ Charlie Brown ha mal di testa.
• in (2) il più piccolo costituente che contiene il pronome è il gruppo di parole “quando lui è
stanco”.
Notiamo che in (1) e in (2) il più piccolo costituente che contiene il pronome non contiene il
nome Charlie Brown. Possiamo ipotizzare che quando il più piccolo costituente che
contiene il pronome NON contiene il nome, il pronome può riferirsi alla stessa persona a
cui si riferisce il nome. Ovverosia quando il nome non è contenuto nel più piccolo
costituente che contiene anche il pronome, il pronome può essere coreferente con il nome e
dunque il pronome può riferirsi al nome.
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Notiamo che in (3) e in (4) il più piccolo costituente che contiene il pronome contiene anche
il nome Charlie Brown. Possiamo ipotizzare che quando il più piccolo costituente che
contiene il pronome contiene il nome, il pronome NON può riferirsi alla stessa persona a
cui si riferisce il nome.
• dal punto di vista della tabula rasa, individuare una regola come quella della coreferenza
pronominale è estremamente complesso perché la cosa più semplice e intuitiva che potrebbe
fare il bambino alla nascita è quella di affidarsi all’ordine lineare delle parole (abbiamo però
visto che le informazioni di ordine lineare non funzionano e sono forvianti).
• lo stimolo è troppo povero perché un bambino possa acquisire una regola così complessa dal
punto di vista combinatorio (che fa uso di relazioni di tipo gerarchico-stutturale).
• i bambini monolingue italiano a 3 anni sanno che la frase in (1) non può essere usata per
descrivere la situazione raffigurata in B (esperimento condotto dalla ricercatrice che ha lavorato
sui fenomeni di coreferenza pronominale nei bambini in diverse lingue del mondo).
• come abbiamo detto, i linguisti (e Chomsky in particolare) sostengono che le regole siano
troppo complesse per essere apprese da un bambino sulla base degli stimoli a cui è esposto
nel tempo breve in cui le apprende.
• lo stimolo è troppo povero per poter condurre il bambino alla regola giusta.
• la ragione per cui lo stimolo sarebbe troppo povero è che la regola viene computata su una
struttura astratta che non ha un riflesso sull’organizzazione fisica della frase.
• quindi, la regola di coreferenza non sarebbe appresa, ma sarebbe invece parte del patrimonio
genetico del bambino (nei nostri geni è codificato come si svilupperà il nostro cervello e come
si svilupperà il nostro cervello determinerà come alcune informazioni verranno processate).
• se la regola di coreferenza fa parte del patrimonio genetico, ci si aspetta che essa sia un
universale linguistico, ovvero sia presente in tutte le lingue parlate dagli appartenenti alla nostra
specie.
• questo sembra essere corretto, almeno nelle lingue che sono state studiate finora.
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• test della frase scissa: È una frittata che Snoopy vuole cucinare __
Oltre al test della frase scissa, si possono applicare più test grammaticali per verificare se un gruppo
di parole è un costituente.
• test della proforma: Snoopy vuole andarci in bici. (ci è un pronome clitico).
I costituenti possono essere costituenti complessi che contengono al loro interno altri costituenti.
frase: Snoopy vuole cucinare una frittata.
• voglio verificare che il gruppo di parole “cucinare una frittata” sia un costituente.
• per alcuni costituenti non abbiamo pronomi in italiano (ciò non vuol dire che quel gruppo di
parole non sia un costituente perché non abbiamo un gruppo di parole per poterlo sostituire).
• in italiano, per alcune classi di espressioni, non abbiamo pronomi (ad esempio le espressioni
temporali).
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• test: con chi vuole andare a Parigi in bici Snoopy? Con il compagno di corso.
frase: Snoopy vuole andare a Parigi in bici con il compagno di corso domani.
• test: Snoopy vuole andare a Parigi in domani bici con il compagno di corso. (questa frase è
agrammaticale)
• se un gruppo di parole è un costituente, allora posso coordinarlo con un altro gruppo di parole
che è a sua volta un costituente.
• nella nostra grammatica mentale noi sappiamo distinguere fra ciò che è un costituente e ciò che
non lo è.
Test dell’ellissi
• possiamo cancellare o elidere gruppi di parole che sono costituenti.
frase: Snoopy vorrebbe andare a Parigi ma forse non vorrebbe andare a Parigi.
Pagina 61
• applichiamo la proforma:
1. Snoopy vuole cucinare una frittata e anche Linus dice di volerlo (fare).
• nella frase (2) ho cercato di sostituire anche “vuole”, ma ho ottenuto una frase agrammaticale.
• “vuole” non è parte del gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.
• applichiamo la proforma:
• nella frase (1) ho cercato di sostituire anche “will”, ma ho ottenuto una frase agrammaticale.
• “will” non è parte del gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.
• in inglese, l’ausiliare will codifica l’informazione che l’evento avverrà nel futuro.
• nella frase (1) ho cercato di sostituire anche “rà” con la proforma “farlo”, ma ho comunque
dovuto ripetere “rà”.
• nella frase (2) ho cercato di sostituire “rà”, ma ho dovuto sostituirlo con l’imperfetto (in questo
modo non rispetto il morfema temporale).
• nella frase (3) ho cercato di sostituire anche “rà”, ma ho ottenuto una frase agrammaticale.
• in italiano, il morfema temporale “rà” codifica che l’evento avverrà nel futuro.
• se ripeto “will” nella proforma significa che non lo posso sostituire e quindi non fa parte del
costituente verbale (lo stesso vale per “rà”).
• “rà” svolge la stessa funzione di “will” e quindi mi chiedo se anche lui fa parte del costituente
verbale (come “will”, non ne fa parte, nonostante sia parte integrante del verbo).
• questo significa che quando costruisco la frase “Snoopy cucinerà una frittata”:
- poi attacco “rà” per dire che l’evento avviene nel futuro.
• questo “rà” non è parte del costituente verbale, come non lo è “will”.
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• quando genero la frase All the boys have watched a baseball game on TV:
1. prima codifico “All the boys watched a baseball game on TV” perché prima codifico
l’evento che voglio descrivere.
2. poi aggiungo il “quando”, ovvero l’informazione temporale (il “quando” in questo caso è
denotato da “have”).
3. successivamente “All the boys” si sposta per un’ulteriore trasformazione e va alla sinistra di
“have” e la frase può essere pronunciata.
4. ci sono però casi in cui, per motivi comunicativi, invece di spostare “All the boys”, si sposta
solamente “the boys” e si lascia “all” nella sua posizione.
3. All the boys have watched a baseball 4. The boys have all watched a baseball
game on TV.
game on TV.
• possiamo applicare il test dell’ellissi (possiamo cancellare gruppi di parole che sono costituenti).
- test 1: They have all watched a baseball game on TV?
• nel test (1) cancello la sequenza che contiene “all” e ottengo una frase grammaticale.
• nel test (2) cancello la sequenza che non contiene “all” e ottengo una frase agrammaticale
perché “all” fa parte del gruppo di parole che si raccoglie attorno al verbo.
• mi chiedo se all’interno del costituente verbale ci sia una struttura lineare e applico dei test di
costituenza per capirlo.
- il costituente [ inseguire ]
- il costituente [ il ladro ]
- il costituente [ domani ]
• se il costituente verbale contiene tre elementi e questi sono sullo stesso piano gerarchico
(struttura lineare), allora posso prendere i costituenti singolarmente uno alla volta o tutti e tre
insieme, ma non posso prendere raggruppamenti intermedi.
costituente verbale
• test della frase scissa: È domani che i poliziotti vogliono inseguire il ladro __ .
• test della frase scissa: È il ladro che i poliziotti vogliono inseguire __ domani.
Pagina 63
costituente verbale
• il test della proforma mi permette di prendere solo i costituenti [ inseguire ] e [ il ladro ], ma non
posso farlo con una struttura lineare. Ecco perché occorre una struttura gerarchica.
• posso quindi ipotizzare che [ inseguire ] e [ il ladro ] sono in relazione tra loro e formano un
costituente. Questo, a sua volta, è in relazione con il costituente [ in città ].
costituente verbale
nodo 2
nodo 1
• se ho una struttura di questo tipo posso sostituire, con il test della proforma, anche costituenti
intermedi come i costituenti [ inseguire ] e [ il ladro ].
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• la testa è un elemento lessicale (una parola che c’è nel nostro lessico), è cioè formata da
una sola parola.
• la testa è etichettata come v, mentre la testa e il suo complemento sono etichettate come v’.
Questo accade perché la testa, quando entra in relazione con il suo complemento, muta le
proprietà combinatorie (ad esempio, una volta combinatasi con il complemento non si combina
più con un complemento).
• quando inserisco gli aggiunti e li metto in relazione con v’, che ho ottenuto combinando la testa
con il complemento, non cambiano le proprietà combinatorie perché gli aggiunti apportano
modificazioni di significato e non combinatorie.
• gli aggiunti non sono essenziali per descrivere l’evento di cui voglio parlare, ma sono comunque
importanti. Si dice che sono opzionali (facoltativi) e possono essere di numero potenzialmente
infinito.
• quando metto in relazione gli aggiunti — il gruppo v’ — con lo specificatore cambio nuovamente
le proprietà combinatorie e ottengo il sintagma, ovverosia la proiezione massimale.
• questa struttura è un universale linguistico che dipende dal nostro patrimonio genetico:
possiamo combinare parole per formare frasi solamente seguendo questo schema combinatorio
perché abbiamo un cervello fatto in un modo tale che ci permette solamente di seguire questo
schema. Questo schema combinatorio fa parte del nostro patrimonio genetico.
- per essere così, questa struttura deve essere rintracciabile in tutte le lingue parlate nel
mondo.
LEZIONE 19 - SINTAGMI
• nel nostro lessico mentale le parole sono classificate in base alla loro categoria sintattica (verbi,
articoli, morfemi, preposizioni, congiunzioni, ecc.).
• per sapere a che categoria sintattica appartiene una parola devo capire con quali altre parole si
combina quella parola.
- es: una parola appartiene alla categoria sintattica “articolo” se si combina con un nome.
Teoria X-barra
struttura sintagmatica
• questo modello è definito dalla teoria X-barra perché le diverse proiezioni all’interno di questa
struttura si differenziano per delle barre.
• all’interno di questa struttura le proiezioni sono differenti anche dal punto di vista combinatorio,
ad esempio:
• x’ può combinarsi con un aggiunto. Gli aggiunti sono facoltativi e iterabili, cioè possiamo
introdurre sempre nuovi aggiunti proprio perché non cambiano le proprietà combinatorie
dell’elemento con cui si combinano (ottengo sempre x’).
• quando però combino lo specificatore con x’ ottengo x’’ o XP, la proiezione massimale.
• quando combino la proiezione massimale con qualcos’altro il risultato non è più un costituente
di tipo X, ma è un costituente di tipo differente, del tipo Y ad esempio.
Pagina 66
• “il concerto” è un gruppo di parole che sta nella posizione di complemento del verbo ed è
anche è un costituente (non è un elemento lessicale) e quindi ha una sua struttura interna, le
parole che lo formano stanno in relazione tra di loro in qualche modo.
• abbiamo detto che la struttura sintagmatica è universale, quindi anche “il concerto” dovrebbe
avere questa struttura, cioè la struttura del sintagma che lo contiene. Potremmo fare lo stesso
ragionamento con “in giardino”, che è anche esso un costituente e come tale ha una struttura
(noi vogliamo dimostrare che questa struttura è quella sintagmatica).
sintagma nominale
“il concerto” ha una struttura sintagmatica?
• ipotizziamo che “concerto” sia la testa del sintagma nominale.
• il complemento è presente ma non è occupato da materiale lessicale (non c’è niente nel
complemento) perché concerto è un nome non relazionale.
• questo è un esempio del fatto che il linguaggio genera espressioni applicando operazioni
combinatorie di tipo ricorsivo (ho incassato all’interno di una struttura una struttura dello
stesso tipo).
• “concerto” non descrive un evento transitivo (Maria non viene concertata, non è l’oggetto
dell'evento).
• “fondazione” è un nome relazionale: descrive un evento transitivo, in cui c’è qualcuno che
fonda qualcos’altro (descrive chi fa che cosa, lasciandoli impliciti).
• non c’è una regola generale per capire se un sintagma preposizionale è complemento o
aggiunto di un nome.
Se il nome è un nome relazionale, ovvero denota un evento che ha un agente, allora quel
nome può prendere un complemento.
• fondazione: denota un evento che ha un agente che fonda e qualcosa che viene fondato.
Pagina 69
LEZIONE 20 - SINTAGMI
• l’espressione la fondazione di Roma vicino al Tevere designa un caso in cui è presente sia
l’aggiunto che il complemento.
- i verbi, quando sono transitivi, vogliono del materiale lessicale nella posizione del
complemento.
con i nomi:
• ci sono casi in cui questo gruppo di parole • ci sono casi in cui la posizione del
che sta nella posizione di complemento non complemento deve essere riempita da
viene fornito (il parlante non lo ritiene materiale lessicale.
rilevante).
• prendiamo ad esempio l’espressione la
• prendiamo ad esempio l’espressione la fondazione di Roma dei Romani.
fondazione dei Romani.
Pagina 70
• come abbiamo detto, gli aggiunti, al contrario dei complementi, sono iterabili.
sintagma nominale
Pagina 71
• il pronome partitivo ne può sostituire parte del sintagma nominale che è complemento del
verbo. Se la struttura fosse piatta non potremmo sostituire “registrazioni di Jacob Collier”.
• se la struttura fosse lunare non avrei potuto sostituire [ registrazioni ] [di Jacob Collier ] perché
non potrei sostituire raggruppamenti intermedi.
• ho bisogno di una struttura stratificata, in cui [ registrazioni ] entra in relazione con [ Jacob Collier ]
e [ tre ] sta nella posizione di specificatore.
- proiezione di aggiunto: codifica informazioni che riguardano chi ha registrato o chi possiede
quelle registrazioni (dipende dal contesto).
sintagma nominale
• anche i sintagmi nominali possono prendere un complemento lessicale: quando un nome deriva
da un verbo relazionale può prendere un complemento lessicale.
• “ascolto” è un nome relazionale perché denota un evento che include qualcuno che ascolta e
qualcosa che viene ascoltato.
• quando parliamo di sintagmi nominali possiamo anche avere nomi propri e nomi non relazionali.
• è più difficile mettere un nome proprio (o il suo complemento, che in questo caso è vuoto), in
relazione con un aggiunto.
- nel caso di “la sedia in giardino” utilizzo l’aggiunto “in giardino” per distinguere quella sedia da
altre sedie.
- nel caso di “Gianni” non è necessario perché il nome proprio denota già un individuo specifico.
Pagina 72
nome proprio
nome non relazionale
Ambiguità
Problema
• nell’espressione “Leo ha visto la sua fotografia di Paolo”, “la sua” si trova nella posizione di
proiezione di specificatore (lo specificatore non è iterabile).
• abbiamo detto che in ogni sintagma la testa è una parola, quindi all’interno di una frase ogni
parola è un sintagma (c’è un sintagma per ogni parola che forma una frase).
• quindi, ne “la sua fotografia” “la” è la testa di un sintagma e “sua” è la testa di un sintagma.
• i linguisti hanno ipotizzato di assumere che “sua” sia la testa di un sintagma che occupa la
proiezione di specificatore di NP e gli articoli siano teste di sintagmi che occupano la proiezione di
testa del sintagma.
Pagina 73
• “la” è la testa di un sintagma del determinante (gli articoli vengono chiamati anche determinanti)
che sta in relazione con un sintagma nominale.
• i linguisti usano i triangoli per dire indicare un sintagma e non una proiezione lessicale.
la [ fotografia di Paolo ]
Pagina 74
sintagma preposizionale
• “la” è la testa di un sintagma del determinante che prende come complemento “studentessa di
linguistica”.
• “linguistica” sarà la testa del sintagma nominale, che è complemento della preposizione “di”.
- la preposizione “di” entra in relazione con un gruppo di parole, il sintagma nominale “linguistica”,
che contiene solamente la testa.
• spesso troviamo delle preposizioni che si sono unite a degli articoli, come ad esempio “della”.
Pagina 75
• “di linguistica”: il complemento della preposizione “di” è un sintagma nominale (NP) perché non ho
articoli.
• “di la Bicocca”: “la” è la testa di un sintagma del determinante (DP) che ha come complemento un
sintagma nominale che ha come testa “Bicocca”.
1. il ladro era in moto e il poliziotto lo stava inseguendo — in questo caso “con la moto” è un
aggiunto che modifica il nome “ladro”.
2. il poliziotto era in moto e inseguiva il ladro — in questo caso “il ladro” entra in relazione con il
verbo “inseguire” e “con la moto” è aggiunto del sintagma verbale (in questo caso modifica il
verbo + il suo complemento).
• ipotizziamo che “con la moto” modifica il nome “ladro” (quindi devono far parte dello stesso
raggruppamento). Assumiamo che [ il ladro con la moto ] sia un costituente unico e applichiamo il
test della frase scissa:
• applicando il test della frase scissa, la frase non è più strutturalmente ambigua.
• se invece assumiamo che [ il ladro ] e [ con la moto ] sono due costituenti distinti possiamo
costruire delle frasi scisse con ognuno di questi costituenti.
la frase originale Il poliziotto ha inseguito il ladro con la moto. può avere significato 1 e 2.
la frase scissa E’ il ladro con la moto che il poliziotto ha inseguito __ . può avere significato 1.
la frase scissa E’ con la moto che il poliziotto ha inseguito il ladro __ . può avere significato 2.
la frase scissa E’ il ladro che il poliziotto ha inseguito __ con la moto. può avere significato 2.
significato 1
significato 2
Pagina 76
- “con il kitesurf” può codificare informazioni che riguardano il modo in cui l’uomo è stato salvato.
- “con il kitesurf” può codificare informazioni che riguardano l’attività che stava compiendo
l’uomo che è stato salvato.
si dice che questa è un’interpretazione restrittiva, perché restringe l’universo di uomini di cui sto
parlando.
Pagina 77
Complemento e aggiunti
• non bisogna confondere complemento del verbo e aggiunti.
• gli aggiunti sono facoltativi (possono anche non esserci), e sono iterabili (possono essere un
numero indefinito).
Gianni osserva la foto [ in cucina ] [ con attenzione ] [ da più di due ore ]. — 3 aggiunti
Gianni osserva la foto [ in cucina ] [ con attenzione ] [ da più di due ore ] [ con una faccia triste ]. — 4
aggiunti
• nonostante la proiezione del complemento non sia iterabile, i verbi prendono spesso due
complementi. La struttura sintagmatica di questi verbi è un po’ complessa e prevede due
proiezioni in cui i due complementi del verbo vengono lessicalizzati.
• ci sono:
sintagma aggettivale
• gli aggettivi sono teste di sintagmi aggettivali.
Pagina 78
• “tutti” è un sintagma del quantificatore (appartiene alla categoria sintattica dei quantificatori).
• i linguisti hanno ipotizzato che in una frase l’ausiliare occupa la testa del sintagma della frase (o
sintagma inflessionale), ovvero quella proiezione che viene usata per codificare informazioni che
riguardano il tempo e il modo nel quale accade l’evento descritto dal VP.
“tutti gli studenti” è un unico costituente, come mai appaiono separati nella frase?
• nel VP codifico informazioni su chi fa che cosa, mentre nella I aggiungo informazioni che
riguardano il quando.
• prima che la frase venga prodotta “gli studenti” si sposta nella posizione di specificatore di IP. A
questo punto la frase può essere pronunciata.
• ci può essere anche il caso in cui tutto il sintagma “tutti gli studenti” si sposta (ho libera scelta, a
seconda del significato che voglio sottolineare).
Pagina 80
poi, parte del materiale che sta nella posizione di DP si sposta (o copiata) in un’altra posizione, ovvero
quella di soggetto della frase (specificatore di IP).
• quando sposto “Gli studenti” viene lasciata una traccia (una copia silente), invisibile a livello
fonologico. Posso spostare o “tutti gli studenti” o “gli studenti”, ottenendo due strutture
alternative, con due significati leggermente diversi (in entrambi i casi lo spostamento lascia una
traccia).
• quando si spostano, i costituenti lasciano una traccia (un segno) visibile a livello della struttura che
abbiamo nella testa.
Pagina 81
• “gli studenti” si sposta e viene copiato nella sua nuova posizione e lascia una copia silente.
• l’elemento che si è mosso è coindiciato (DP1) perché voglio distinguere DP1 da DP.
punto 1 punto 2
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punto 3
Pagina 83
LEZIONE 21
• l’aggiunto in questa struttura può anche non esserci, mentre testa, complemento e
specificatore devono sempre esserci perché sono cambiano le proprietà combinatorie.
• problema: ho due elementi da mettere nello specificatore, ma posso metterne solo una (lo
specificatore non è iterabile).
- ho due parole, “la” e “sua”; abbiamo detto che ogni parola è la testa di un sintagma, quindi
dovrò avere due sintagmi.
- i linguisti hanno detto che i determinanti sono teste dei sintagmi del determinante che
prendono come complemento un sintagma nominale.
• quando non ho il pronome possessivo sua la proiezione dello specificatore dell’NP è vuota.
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assumiamo sempre che gli articoli siano teste del DP come in La sua fotografia di Paolo.
sintagma preposizionale
• il sintagma preposizionale (PP) ha come testa una preposizione e prende come complemento
un DP o un NP.
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altra ambiguità
espressione: L’osservazione dell’uomo col binocolo
Pagina 87
significato 1
significato 2
Pagina 88
• spesso le parole hanno una morfologia che dipende da alcune operazioni regolate dal contesto
nel quale occorrono.
- morfologia libera: dipende da libere scelte del parlante (es: usare il plurale o il singolare di un
nome).
frasi:
a) Gli studenti hanno mangiato una pizza.
• i verbi appartengono a classi diverse e in base a queste hanno paradigmi flessivi differenti. La
vocale tematica del paradigma flessivo ci segnala a quale paradigma flessivo appartengono.
• il verbo mangiare nella frase (b) porta della morfologia flessiva, che in parte è una morfologia
libera e in parte una contestuale.
mangiavano = mangi+(a)vano
• questa parte della morfologia dipende dal parlante (è lui che decide di parlare di un evento
passato, ecc.).
• questa parte della morfologia è invece contestuale (è il soggetto che determina che il verbo
debba uscire al plurale, non lo decide il parlante).
mangiarono = mangi+(a)rono
mangiano = mangi+(a)no
Pagina 89
• il linguaggio ci permette non solo di parlare di eventi presenti attuali, ma permette anche una
dislocazione temporale (possiamo parlare di eventi futuri) e una dislocazione modale
(possiamo parlare di eventi immaginari).
• ho due movimenti:
• molto spesso i sintagmi si muovono da elementi di un tipo a proiezioni di uno stesso tipo (in
questo caso testa- testa, specificatore-specificatore).
Pagina 90
2. Gianni è stato spinto da Piero. — il soggetto è Gianni, ma in questo caso è colui che subisce
l’azione.
definizione distribuzionale
• definizione distribuzionale: distribuzione che ricorre alla posizione degli elementi che sono
soggetto
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il morfema flessivo
• il morfema flessivo è in realtà complesso perché contiene una parte di morfologia contestuale
una non contestuale (libera).
• l’informazione sul tempo e sul modo sono codificate dalla v, motivo per cui sotto la I compare
solo v e non -v-ano.
4. porto il soggetto nella posizione di specificatore di IP, in modo tale da poter determinare il
morfema flessivo contestuale del verbo (in questo caso guardava).
• il movimento del verbo avviene perché il morfema debole richiede che si attacchi a qualcosa.
• il movimento del soggetto avviene perché ogni frase deve avere un soggetto, ma anche per
determinare i valori flessivi del verbo.
Pagina 92
Pagina 93
1. sposto il verbo
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• posso spostare solo il DP — gli studenti — perché è sufficiente per codificare le informazioni di
numero e persona necessarie per accordare il verbo (spostare anche tutti è superfluo, ma posso
farlo).
Pagina 95
LEZIONE 22
• la testa dell’IP è un morfema temporale e flessivo, ovverosia un’espressione che può essere un
ausiliare, oppure un morfema debole.
• posso realizzare frasi con il soggetto post verbale (il soggetto sta dopo il verbo).
• in italiano viene usato per indicare all’ascoltatore che sto introducendo un’informazione nuova.
• in una frase con soggetto post verbale ci aspettiamo che l’accordo con il verbo venga violato
perché il soggetto non sta nella configurazione testa-specificatore nella quale il numero e la
persona del soggetto comanda al verbo di prendere un certo numero e una certa persona.
L’operazione che mi richiede di assumere numero e persona del soggetto nel caso in cui il
soggetto è post verbale è molto più laboriosa e quindi spesso viene lasciata perdere.
frasi complesse
• quando parliamo spesso produciamo frasi complesse, come frasi che sono contenute
all’interno di altre frasi o frasi interrogative (domande).
• in questo tipo di frasi (1) la frase incassata svolge il ruolo di complemento del verbo, così
come svolge quel ruolo un complemento non di tipo frasale in (2).
• tra il verbo principale e la frase incassata abbiamo una parola funzionale che viene chiamata
complementatore, che trasforma una frase in un buon complemento di un verbo.
• una frase, per poter diventare oggetto di un verbo deve avere proprietà combinatorie buone per
diventare complemento di un verbo.
• a sua volta si forma un sintagma che contiene che Maria ha chiamato e questo sintagma è
complemento del verbo dire.
Pagina 96
• sotto I della frase incassata ho un ausiliare al congiuntivo perché che Maria ha chiamato deve
essere vero non in assoluto nel mondo reale (sto dicendo che non so se Maria ha chiamato
Pagina 97
veramente, ma secondo quanto ne sa Gianni Maria l’ha fatto, quindi non è detto che Maria
abbia chiamato nel mondo reale).
- sicuramente Maria ha chiamato nel mondo in cui Gianni crede di vivere, ma potrebbe essere
falso.
• credere fa parte dei cosiddetti verbi di credenza o verbi di atteggiamento proposizionale. Essi
descrivono un certo atteggiamento che qualcuno ha nei confronti di un pensiero (in questo caso
il pensiero che Maria abbia chiamato).
frasi interrogative
John will read the newspaper after breakfast.
• nella frase interrogativa l’ausiliare scavalca il soggetto (c’è un’inversione).
• inizialmente, una frase interrogativa viene prodotta a partire da una frase affermativa.
• will, scavalcando il soggetto, è andato ad occupare una proiezione (posizione strutturale) che è
esterna al sintagma frasale IP.
• per spostare l’ausiliare devo generare la struttura che lo ospiti e per farlo incasso la frase sotto
un CP (sintagma del complementatore), che in inglese è una proiezione funzionale in quanto
svolge una funzione sintattica (è vuoto, non è occupato da materiale lessicale).
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• quando la testa di C è occupata da materiale lessicale, l’ausiliare non si sposta (non c’è
inversione). In questo modo produco una frase interrogativa indiretta.
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• in questo caso, invece, è il complementatore whether a suggerire che la frase consisterà in una
domanda (è codificato nel significato delle parole). Nel primo caso, invece, è la struttura a
codificare il fatto che quella frase è una domanda.
• ci sono domande alle quali rispondiamo con un sì o con un no, denominate dai linguisti come
domande sì/no, ma ci sono anche domande alle quali rispondiamo con dei costituenti (sono
domande che non ci chiedono di confermare o meno un’informazione che comunico, ma che mi
chiedono di completare quell’informazione dandone una nuova).
• anche in questo caso l’idea è che questa frase interrogativa venga generata a partire da una
frase che ha la stessa struttura di una frase dichiarativa.
• quindi, analogamente alle frasi interrogative sì/no, vengono generate da una controparte
dichiarativa che subisce un processo di trasformazione.
• questa frase viene generata a partire da John will read the newspaper after breakfast.
altro esempio di WH
piccola obiezione:
• at breakfast ci dà informazioni sul quando, ma nella frase occupa la posizione di aggiunto del VP,
in cui codifichiamo informazioni su chi fa che cosa. Il quando lo codifichiamo in I, che codifica
informazioni temporali.
• dato che at breakfast modifica l’informazione temporale è più corretto metterlo come aggiunto di
IP.
• abbiamo detto che c’è un principio universale che ci dice che ogni frase deve avere un
soggetto. Si ubbidisce a tale principio spostando ciò che sta nello specificatore di VP nello
specificatore di IP.
• quando non c’è un soggetto esplicito, in italiano abbiamo un pronome nullo che occupa la
posizione di soggetto. Questo è un soggetto sottointeso e viene chiamato dai linguisti pro.
Ha chiamato.
variabilità linguistica
• ci sono lingue, come ad esempio l’inglese, nelle quali il soggetto non può essere sottointeso.
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3) *Who do you believe that _ loves the smurfs? — è una frase interrogativa sul soggetto della
frase incassata, manca il soggetto della frase incassata.
• tutte e tre le frasi sono incorrette in inglese prece il soggetto deve sempre essere espresso.
• (1), (2) e (3) non si possono dire per lo stesso motivo: non c’è qualcosa che occupa la proiezione
di specificatore di IP in modo manifesto, esplicito.
• in italiano il soggetto può rimanere sottointeso e può essere pro oppure la traccia dell’elemento
interrogativo, come in (6).
4) (pro) ha chiamato
• i fenomeni presenti nelle 3 frasi in inglese sono collegati: c’è una variazione parametrica di un
principio universale che mi dice che ogni frase deve avere un soggetto.
- la variazione parametrica è: ci sono lingue nelle quali il soggetto deve essere realizzato
fonologicamente e ci sono lingue nelle quali il soggetto può rimanere inespresso.
• l’italiano è una lingua nella quale il soggetto può rimanere inespresso (può essere pro oppure
traccia di un elemento interrogativo). Questo non può accadere in inglese.
• questo ci spiega altri fenomeni che sembrano scollegati tra di loro. Consideriamo:
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LEZIONE 23 - PARAMETRI
• se il linguaggio è simile a una funzione organica, allora ci aspetteremmo che tutti gli individui
condividano la stessa lingua, come tutti gli individui camminano nello stesso modo.
- al mondo esistono più di 7 mila lingue (c’è una grande variabilità linguistica)
• all’inizio del ‘900 si è sviluppato tra i linguisti un interesse che per il rapporto che c’è tra la lingua
e la cultura (cercare di capire in che modo la lingua potesse influenzare alcuni processi culturali
e viceversa).
• questa nuova disciplina, chiamata etnolinguistica, ha fornito degli elementi di classificazione dei
fenomeni linguistici, che sono stati ripresi e impiegati negli anni ’60 in un approccio approccio
tipologico allo studio delle lingue, ovvero quell’interesse che ricerca regolarità tra lingue.
• inizialmente, l’interesse di questa disciplina tipologica era di tipo descrittivo e consisteva quindi
nel descrivere le regolarità riscontrate tra le lingue, ma senza riuscire a dare una spiegazione per
la loro esistenza.
- italiano: SVO
- inglese: SVO
- giapponese: SOV
- navajo: SOV
- turco: SOV
• Greenberg nota che lingue mostrano ordini differenti anche per i costituenti preposizionali.
- italiano: PN
- inglese: PN
- giapponese: NP
- navajo: NP
- turco: NP
• si dice che italiano e inglese sono lingue preposizionali (la preposizione sta prima del nome),
mentre giapponese, navajo e turco sono postposizionali (la preposizione è dopo il nome).
Greenberg ha messo a confronto differenze e analogie e ha formulato dei principi universali che
riguardano l’ordine delle parole.
• questi principi valgono per famiglie di lingue che non hanno condiviso delle storie comuni e che
sono anche molto lontane tra di loro, geograficamente e storicamente.
Si potrebbe pensare che queste somiglianze siano sorte per caso, ma alcune combinazioni non si
presentano quasi mai. — Greenberg
• Greenberg formulò una serie di principi che descrivevano l’ordine delle parole in tutte le lingue
da lui studiate.
• parliamo tutti una stessa lingua universale che può avere alcune variabilità parametriche che
sono determinate dall’interazione con l’ambiente.
• in italiano, in una frase del tipo Gli studenti hanno visto il rettore, notiamo che c’è sempre una
stessa struttura incassata in una struttura più grande.
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• ci sono famiglie di lingue, come il navajo e il giapponese, in cui l’ordine delle parole è SOV
(l’oggetto del verbo precede il verbo).
- l’oggetto del verbo è in posizione del complemento del verbo, quindi in lingue come il navajo
e il giapponese viene prima il complemento e poi la testa all’interno del VP.
navajo
giapponese
italiano
• possiamo ipotizzare che tra l’italiano e il giapponese una differenza sostanziale sia una
differenza che riguarda l’ordine tra testa e complemento e possiamo assumere che questa sia
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una differenza parametrica. Se è una differenza parametrica, allora è una differenza che
riguarda tante lingue.
• possiamo ipotizzare che ci siano lingue nelle quali il complemento segue la testa, come in
italiano, e lingue nelle quali il complemento precede la testa, come il navajo, il giapponese e il
turco.
• abbiamo invertito l’ordine delle teste e dei complementi. Questo cambiamento vale per tutti i
sintagmi che dobbiamo generare, quindi anche per i sintagmi preposizionali.
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• dal punto di vista della struttura del linguaggio, possiamo assumere che c’è un universale
linguistico, che è la struttura sintagmatica. Essa è codificata a livello genetico e esprime come le
informazioni linguistiche devono essere processate.
• poi abbiamo una variazione parametrica, che ci dice che l’informazione che occupa la posizione
di testa può essere codificata prima o dopo l’informazione che occupa la posizione di
complemento. Una volte deciso l’ordine, questo vale per tutte le strutture sintagmatiche che
verranno generate.
• la teoria dei principi e dei parametri, oltre a spiegare la variabilità linguistica, ha anche una
plausibilità dal punto di vista acquisizionale perché il bambino nasce già con delle aspettative:
sa qual è la struttura che dovrà produrre, perché non può fare diversamente e sa che in questa
struttura la testa può precedere il complimento, o seguirlo.
• abbiamo detto che il soggetto è ciò che occupa la posizione di specificatore di IP.
• in italiano il soggetto può essere inespresso (pro piccolo), mentre in inglese (e in francese) il
soggetto deve essere espresso.
• in italiano il soggetto può essere postverbale, mentre in inglese (e in francese) il soggetto deve
essere preverbale.
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parametro: una lingua può essere una lingua dove il soggetto deve essere necessariamente
espresso, oppure una lingua dove il soggetto può rimanere inespresso.
1) Gianni ha chiamato.
• questo principio e la sua variazione parametrica spiega le differenze che troviamo tra (1) e (2),
ma anche le differenze che troviamo tra (3) e (4).
• in (3) abbiamo il sintagma interrogativo chi che, spostandosi, lascia una traccia (una sua copia
silente, che non viene espressa fonologicamente). In inglese avviene la stessa cosa.
• poiché l’inglese è una lingua nella quale la posizione del soggetto deve essere riempita da
qualcosa e quel qualcosa deve essere fonologicamente realizzato, (4) non si può pronunciare
perché la frase incassata non ha un soggetto fonologicamente espresso.
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pronome nullo
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• pro non può essere il soggetto della frase perché può avere riferimento disgiunto.
• i linguisti hanno assunto che ci sia un altro tipo di pronome nullo, che viene chiamato PRO.
• PRO occorre solo in frasi che non sono temporalizzate, come Snoopy crede di volare (I non
contiene un morfema temporale).
- in queste frasi abbiamo un pronome nullo silente che può avere solo il significato del
soggetto della frase che contiene quel pronome.
• nella frase Snoopy crede di volare, Snoopy è il controllore del significato di PRO (controlla quale
significato possa avere).
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• la testa e il complemento formano un oggetto relazionale, che a sua volta può entrare in
relazione con un gruppo di parole che abbiamo chiamato aggiunto.
• la testa e il complemento entrano in relazione a loro volta con un gruppo di parole che abbiamo
chiamato specificatore.
- es: se la parola è un verbo, allora la testa apparterrà alla categoria sintattica dei verbi ed avrà
alcune proprietà combinatorie.
• nell’albero, la testa è indicata con una lettera che esprime la sua categoria sintattica.
- es: la lettera v indica una testa verbale. La lettera non ha indici o barre.
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• quando lo specificatore si combina con v’ si genera un nuovo oggetto (VP), che è una
proiezione massimale del sintagma verbale. Questo è un oggetto saturo dal punto di vista
combinatorio.
• ciò che abbiamo nella posizione di complemento e nella posizione di specificatore dipende dalla
natura della testa.
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• abbiamo detto che gli aggiunti non modificano le proprietà combinatorie dell’oggetto con cui
si combinano, ed è per questo che sono opzionali e iterabili.
• le parole sono memorizzate nel lessico con informazioni che dicono con quali altre parole
queste parole devono o possono combinarsi.
1. Gianni1 telefona.
4. *Gianni apprezza.
• se conosciamo il significato di un verbo sappiamo anche che ruolo il verbo assegna ai suoi
argomenti.
Gianni1 telefona.
Gianni è argomento del verbo ed ha il ruolo tematico di agente: denota la persona/cosa che dà
inizio all‘azione descritta dal verbo.
- es: sbucciare è un verbo transitivo, quindi prende due argomenti e assegna all’argomento
che occupa la posizione di specificatore il ruolo tematico di agente, e all’argomento che
occupa la posizione di complemento il ruolo tematico di tema.
Una mela è argomento del verbo ed ha il ruolo tematico di tema: denota la persona/cosa che
viene coinvolta/modificata dall‘azione descritta dal verbo.
Nel lessico i verbi sono memorizzati con informazioni che indicano quanti argomenti prendono
e quali ruoli tematici devono assegnare ai loro argomenti.
• i linguisti hanno chiamato questo insieme di informazioni griglia tematica. Questa viene
rappresentata da un insieme ordinato di elementi che rappresentano i diversi argomenti e i
ruoli tematici a loro assegnati.
• possiamo formulare un principio linguistico chiamato criterio tematico, secondo il quale ad ogni
argomento deve essere assegnato uno e un solo ruolo tematico e ogni ruolo tematico deve
essere assegnato ad uno e un solo argomento.
• le violazioni del criterio tematico portano a combinazioni di parole che non sono grammaticali.
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• gli aggiunti sono facoltativi e possono occorrere in numero potenzialmente infinito. Essi non
ricevono alcun ruolo tematico.
Gianni1 ascolta la musica jazz2 <di notte> <alla radio> <bevendo un martini> <mentre fuma un
sigaro>, ...
• divorare assegna il ruolo tematico di tema all’argomento che viene realizzato nella posizione di
complemento di v. Il complemento e la testa verbale sono nodi fratelli.
• il ruolo di agente viene assegnato dal verbo più il suo complemento allo specificatore. La
proiezione v’ e la proiezione di specificatore sono nodi fratelli.
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• Gianni ha un ruolo differente nei due eventi descritti nelle frasi. In (1) Gianni fa effettivamente
qualcosa, mentre in (2) subisce qualcosa. Questa differenza dipende dalla combinazione di
prendere con il suo complemento.
• è il verbo + il suo complemento che determina quale ruolo tematico assegnare a Gianni.
• la produzione di una frase avviene attraverso un processo generativo nel quale avvengono
trasformazioni successive. Durante una di queste trasformazioni l’NP che contiene Gianni si
muove dalla posizione di specificatore di VP, dove riceve il ruolo tematico di agente, alla
posizione di specificatore di IP.
• in questo caso il criterio tematico è soddisfatto perché la traccia dell’NP Gianni continua a
ricevere il ruolo tematico corretto e lo trasmette all’NP che si è mosso.
• un fenomeno analogo lo vediamo anche in frasi nelle quali gli argomenti sono dislocati, come 1.
• poi, dopo aver generato la frase, il complemento del verbo Un gelato si sposta nella posizione di
specificatore di IP, rimanendo collegato alla sua posizione originale attraverso la traccia, che gli
trasmette anche il ruolo tematico (il criterio tematico è soddisfatto anche in questo caso).
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• l’elemento WH cosa si è originato inizialmente nella posizione di oggetto del verbo, quindi in una
posizione di fratellanza con il verbo e poi si è mosso nella posizione di specificatore di CP.
• il pronome interrogativo cosa riceve il ruolo tematico dalla sua traccia, che è in una posizione di
fratellanza con il verbo.
• in questo caso l’elemento WH chi si è originato inizialmente nella posizione di specificatore del
VP, che è una posizione di fratellanza con v’, in cui ha ricevuto il ruolo tematico di agente. Poi si
è mosso nella posizione di specificatore del DP e infine nella posizione di specificatore di CP.
nomi
• al contrario dei verbi, i nomi assegnano opzionalmente ruoli tematici. Ad esempio, un nome
relazionale come saccheggio può assegnare due ruoli tematici a due argomenti perché questa
parola denota un evento transitivo in cui qualcuno saccheggia qualcosa.
• questa opzionalità della realizzazione degli argomenti dei nomi viene indicata nella griglia
tematica dalle parentesi rotonde.
preposizioni
• le preposizioni si comportano come i verbi e richiedono obbligatoriamente un argomento al
quale assegnano obbligatoriamente un ruolo tematico.
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- a: <locus>
Un’ultima precisazione
• l’argomento del verbo che si realizza nella posizione di complemento viene chiamato
argomento interno del verbo, mentre l’argomento che si realizza nella posizione di specificatore
del VP viene chiamato argomento esterno del verbo.
- argomento interno: viene realizzato nella posizione più interna del VP.
- argomento esterno: viene realizzato nella posizione più superficiale/alta del VP.
• i linguisti hanno chiamato il pronome che realizza questo argomento PRO ed è un pronome che
può solo avere riferimento congiunto con il soggetto della frase principale.
• PRO successivamente si muove nella posizione di specificatore di IP perché ogni frase deve
avere un soggetto.
• la presenza di PRO è richiesta anche dal criterio tematico perché senza di lui il verbo avrebbe
un ruolo tematico da assegnare, ma non ci sarebbe un argomento al quale assegnare questo
ruolo tematico.
Espletivi
• prendiamo ora in considerazione l’assegnazione di un ruolo tematico e la richiesta che ogni
frase debba avere un soggetto.
• il verbo seem prende un solo argomento che riceve un ruolo tematico chiamato proposizionale.
• nella griglia tematica di questo verbo abbiamo una sola posizione argomentale e un solo ruolo
tematico da assegnare.
- seems: <tema_proposizionale>
• se però consideriamo una frase che contiene tale verbo, notiamo la presenza di un soggetto (il
pronome it). Poiché il verbo seem ha una solo ruolo tematico da assegnare, tale pronome non
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può che essere un segnaposto sintattico inserito nello specificatore di IP per soddisfare la
richiesta del principio che ogni frase deve avere un soggetto e dunque non è stato inserito nella
posizione di specificatore del VP, nella quale avremmo una assegnazione di ruolo tematico.
• in Italiano i pronomi possono rimanere inespressi; questo vale anche per il pronome espletivo.
- proexpl = pronome nullo espletivo (che non ha associato alcun riferimento, non denota alcun
oggetto o individuo).
NOM = nominativo
ACC = accusativo
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• l’articolo che precede il nome uomo ha forma der, mentre l’articolo che precede il nome rana ha
forma den.
• la frase in (2) presenta lo stesso ordine delle parole, ma ci dice che è la rana che ha visto
l’uomo. (2) ha significato opposto a (1) nonostante l’ordine delle parole sia lo stesso.
• in (2), però, l’articolo che precede il nome uomo ha forma den, mentre l’articolo che precede il
nome rana ha forma der.
• questa morfologia è chiamata morfologia di caso, in particolare diciamo che der nella frase in
(1) ha morfologia di caso nominativo, mentre den ha morfologia di caso accusativo (lo stesso
ragionamento vale per la frase 2).
• in italiano abbiamo altre distinzioni analoghe, ma che sono visibili solamente sui pronomi.
- che può essere espresso morfologicamente oppure può rimanere inespresso, sebbene
presente.
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Io vedo Mario.
assegnazione dell’accusativo
• l’accusativo è assegnato dal verbo quando questo è transitivo al suo complemento.
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con me
• possiamo dire che anche la regola di assegnazione del caso fa da filtro grammaticale sulle
possibili combinazioni di parole.
• questo filtro ci dice che ad ogni DP (o NP, dipende dall’analisi) esplicito (ossia realizzato
fonologicamente) deve essere assegnato un caso.
• in (2) il verbo non è di modo finito e quindi non può assegnare caso nominativo al soggetto.
• in (3) attaccare ha caso accusativo da assegnare e lo assegna al suo complemento Maria nella
configurazione canonica (proiezione di complemento del verbo); me non può ricevere
accusativo dal verbo perché lo assegna già al suo complemento.
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Perché alcuni verbi intransitivi prendono ausiliare essere ed altri invece prendono ausiliare avere?
1) Gianni è caduto.
2) *Gianni ha caduto.
3) Gianni ha starnutito.
4) *Gianni è starnutito.
• per poter discutere questa distinzione, dobbiamo prima capire quale struttura hanno le frasi al
passivo.
costruzione passiva
1) I gatti sono guardati (da Gianni).
• le derivazioni delle frasi iniziano dal VP perché è nel VP che codifichiamo inizialmente le
informazioni che riguardano chi fa che cosa.
• poiché la frase in (1) contiene il verbo transitivo guardare, richiede due argomenti ai quali devono
essere assegnati due ruoli tematici. Potremmo ipotizzare che, analogamente alle costruzioni
attive, quando incominciamo a costruire la frase, nelle frasi passive incominciamo a costruire la
frase a partire dal VP.
1. il verbo si combina con il suo argomento interno i gatti, che sta nella posizione di
complemento, e gli assegna il ruolo tematico di tema.
2. successivamente, il verbo deve combinarsi con un altro argomento per saturare la sua
seconda posizione argomentale e il verbo + il suo argomento assegnano il ruolo tematico di
agente all’argomento esterno.
- problema: il secondo argomento del verbo non deve essere necessariamente presente.
Infatti possiamo dire I gatti sono guardati e tralasciare da Gianni. Quindi, nelle frasi al
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passivo il ruolo tematico di agente sembra che non debba essere necessariamente
assegnato.
• possiamo immaginare che durante la derivazione della frase al passivo il verbo, che occupa
inizialmente la posizione di testa del sintagma verbale e assegna il ruolo tematico di tema al suo
complemento, subisca una trasformazione attraverso la quale viene assorbito il ruolo
tematico di agente. Questa trasformazione ci è suggerita dalla morfologia del verbo, che è al
participio passato.
• possiamo immaginare che il responsabile di questa trasformazione del verbo sia proprio il
participio passato, che possiamo considerare come un morfema debole al quale il verbo deve
attaccarsi affinché questo morfema possa realizzarsi. Questo participio passato assorbe il ruolo
tematico esterno del verbo.
- estraiamo dal nostro lessico un verbo, che è una parola che descrive un certo evento;
- questo verbo ha associata una certa griglia tematica (guardare ha associata una griglia che
dice che il verbo richiede due argomenti e devono essere associati due ruoli tematici);
- il complemento del verbo satura una delle posizioni argomentali e a questo complemento
viene assegnato il ruolo tematico di tema
- successivamente, al VP viene aggiunto il morfema del participio passato, che assorbe il ruolo
tematico esterno del verbo
- il verbo si sposta dalla posizione di testa di V alla posizione di testa del sintagma del passivo
il parlante introduce l’informazione temporale, in questo caso tramite l’ausiliare sono ed infine il
complemento del verbo, in questo caso i gatti, viene portato nella posizione di specificatore di IP
per soddisfare il principio che ogni frase deve avere un soggetto.
• abbiamo detto che se il verbo è temporalizzato, assegna caso nominativo al sintagma che
occupa la posizione di specificatore di IP (dà caso nominativo al soggetto).
• i linguisti, per risolvere questo problema, hanno assunto che durante la derivazione di una
frase al passivo, il participio passato del verbo non solo assorbe il ruolo tematico di agente,
ma anche il caso accusativo da assegnare al complemento del verbo.
• questo è evidente se consideriamo frasi con verbi transitivi in forma attiva e passiva che hanno
inizialmente nella posizione di complemento del VP un pronome (che sappiamo essere marcato
morfologicamente per caso in italiano).
• in (2) il pronome di prima persona singolare io esce nella forma accusativa me perché occupa la
posizione di complemento del verbo.
classi verbali
• secondo la grammatica tradizionale, i verbi si distinguono in verbi transitivi, intransitivi e
ditransitivi, ovverosia si distinguono in base al numero di argomenti che questi verbi prendono.
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• se riflettiamo sulle proprietà dei verbi intransitivi, possiamo distinguere due classi di verbi
intransitivi rispetto alla selezione dell’ausiliare.
• ci sono verbi intransitivi come arrivare, andare, esplodere, cambiare, ecc. che prendono essere
come ausiliare.
• ci sono verbi intransitivi come telefonare, starnutire, sudare, ecc. che prendono avere come
ausiliare.
• è importante notare che i verbi intransitivi nelle frasi passive prendono anche ausiliare essere.
• possiamo distinguere queste due classi di verbi intransitivi anche rispetto alla sostituibilità di
parte del soggetto.
• le frasi che contengono quei verbi che vogliono ausiliare essere sono anche frasi nelle quali
possiamo sostituire il soggetto o parte del soggetto con il pronome partitivo ne.
- es: Due treni sono arrivati in ritardo. > Due ne sono arrivati in ritardo.
• questo non funziona con i verbi che prendono ausiliare avere.
- es: Due panini sono stati mangiati. > Due ne sono stati mangiati.
• possiamo distinguere queste due classi di verbi intransitivi anche rispetto alla loro
occorrenza nelle frasi relative ridotte.
• i verbi che selezionano essere, che sono anche verbi nei quali parte del soggetto può essere
sostituito da ne, possono occorrere nelle frasi relative ridotte.
- es: Il treno che è arrivato alle 2 è un intercity. > Il treno arrivato alle 2 è un intercity.
• i verbi intransitivi che prendono ausiliare avere non possono occorrere nelle frasi relative ridotte.
- es: Il ragazzo che ha starnutito ha la febbre. > *Il ragazzo starnutito ha la febbre.
- es: Lo squalo che è stato avvistato ieri da Leo… > Lo squalo avvistato ieri da Leo…
• possiamo distinguere queste due classi di verbi intransitivi anche rispetto all’assegnazione
dei ruoli tematici.
• affondare è un verbo transitivo che prende due argomenti e assegna un ruolo tematico di tema
al suo complemento e il ruolo tematico di agente al costituente il nemico che occupava
inizialmente la posizione di specificatore di VP e che poi si è spostato nella posizione di
soggetto della frase.
• questo tipo di verbo ammette anche un uso intransitivo. Nel caso in cui viene usato
intransitivamente, questo verbo prende l’ausiliare essere.
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• le navi non scelgono di affondare, non agiscono attivamente affinché ciò avvenga. Questo ci
suggerisce che al soggetto della frase non venga assegnato il ruolo tematico di agente, ma
piuttosto il ruolo tematico di tema, che designa colui/quel qualcosa che subisce una
trasformazione messa in atto dall’evento descritto dal verbo.
• anche in questo caso non abbiamo un ruolo tematico di agente: il pacco non sceglie di arrivare,
non agisce attivamente perché ciò avvenga.
• la stessa cosa accade nelle frasi al passivo: al soggetto delle frasi al passivo è stato assegnato
il ruolo tematico di tema perché questo soggetto si è originato nella posizione di complemento
del verbo, poi si è spostato nella posizione di specificatore di IP.
ricapitolando
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- il soggetto di frasi che contengono questi verbi non può essere sostituito dal pronome
partitivo ne,
- il soggetto di frasi che contengono questi verbi non riceve il ruolo tematico di tema.
• questo è ciò che succede analogamente al al soggetto di frasi che contengono verbi
transitivi alla forma attiva.
- non possiamo sostituire parte del soggetto con il pronome partitivo ne,
- possiamo sostituire parte del soggetto di queste frasi con il pronome partitivo ne,
• possiamo considerare quel gruppo di verbi intransitivi che prende ausiliare essere:
- il soggetto di queste frasi può essere sostituito dal pronome partitivo ne,
Se confrontiamo la risposta di questi verbi a questi test notiamo che i verbi intransitivi che
prendono ausiliare avere (inergativi) si comportano come i verbi attivi, mentre i verbi intransitivi
che prendono come ausiliare essere (inaccusativi) si comportano come le costruzioni passive.
• questo ci suggerisce che c’è una analogia strutturale tra i verbi inaccusativi e le costruzioni al
passivo.
I soggetti delle frasi che contengono verbi intransitivi che selezionano ausiliare essere si
originano inizialmente nella posizione di complemento del verbo e si spostano poi nella
posizione di specificatore di IP.
I soggetti delle frasi che contengono verbi intransitivi che selezionano ausiliare avere si
originano inizialmente nella posizione di specificatore di VP e poi si spostano nella
posizione di specificatore di IP (per soddisfare il principio universale che richiede che ogni
frase debba avere un soggetto).
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LEZIONE 25 - SEMANTICA
• pragmatica: studio dell’uso del linguaggio, di come le espressioni vengano usate in alcuni
contesi e producano certi effetti in quei contesti e non in altri.
• ci sono casi in cui ciò che diciamo pronunciando una frase non è direttamente codificato dal
significato letterale delle parole.
• questo esempio mostra come una stessa frase dice cose diverse.
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• questo ci suggerisce che in realtà quando pronunciamo 1 intendiamo che Cookie Monster ha
mangiato qualche biscotto, ma non tutti.
• non tutti non è codificato direttamente dal significato delle parole in 1. Ce lo mostra la frase in 3:
• dunque, non tutti non è esplicitamente codificato dal significato delle parole in 1, ma è inteso
dai parlanti quando 1 è asserito in un certo contesto.
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• riflettendo su come vengono usate frasi come 1 e 2, Grice ha notato che le conversazioni dei
parlanti obbediscono a delle massime conversazionali universali.
- le massime conversazionali sono degli imperativi che dicono al parlante come deve
comportarsi durante uno scambio di frasi in un discorso.
massima della quantità: richiede al parlante di dare un contributo appropriato sotto il profilo
della quantità di informazioni.
• al parlante, per obbedire a questa massima, è richiesto di usare l’asserzione che risulta più
informativa per descrivere una certa situazione.
- 2 è più informativo di 1.
Ci è richiesto di usare l’asserzione più informativa per descrivere una certa situazione.
• se l’ascoltatore sa che al parlante è richiesto di usare l’asserzione più informativa allora inferisce
che il parlante sceglie di usare l’asserzione meno informativa perché non ha evidenza per
asserire quella più informativa.
- dunque, quando l’ascoltatore sente 1 esclude che descriva la situazione B e per questo
intende “qualche biscotto, ma non tutti”.
• inferenza pragmatica: se il parlante sceglie di usare l’asserzione meno informativa è perché non
ha evidenza per asserire quella più informativa e dunque quando sento (1) escludo che descriva
(B) intendendo «qualche biscotto, ma non tutti». Questa inferenza è chiamata implicatura.
IL SIGNIFICATO
• la teoria del significato che più ha influenzato la semantica del linguaggio naturale è quella che
prende origine da un’osservazione del filosofo Wittgenstein, che si domanda cosa vuol dire
comprendere il significato di un enunciato.
• in un passo del suo Trattato Logico-Filosofico risponde a tale domanda affermando che:
comprendere un enunciato vuol dire sapere cosa accade quando esso è vero.
Consideriamo la frase
La porta è aperta.
• secondo Wittgenstein se comprendiamo il significato di questa frase, sappiamo che ciò che
accade quando questo enunciato è vero è ciò che è rappresentato nella situazione 1, 2 e 3, ma
non nella situazione 4.
S1 S2 S3 S4
• possiamo comprendere questo enunciato senza sapere se esso sia vero o falso e senza sapere
come fare in pratica a stabilire se sia vero o falso.
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comprendere un enunciato equivale a sapere quali sono le condizioni che rendono vero tale
enunciato.
• questo approccio alla teoria del significato è chiamato approccio vero-condizionale alla teoria
del significato.
verità di un enunciato
Consideriamo le frasi
1 Leo dorme.
2 Leo scrive.
• se sappiamo l’Italiano, sappiamo dire se tali enunciati sono veri in una certa situazione s.
• ad esempio:
- se consideriamo una situazione s1 nella quale Leo sta ballando con un’amica, sappiamo che
1 è falso in s1.
- se consideriamo una situazione s2 nella quale Leo sta scrivendo una lettera con un’amica,
sappiamo che 1 è falso in s2 e che 2 è vero in s2.
- l‘enunciato Leo dorme è vero nella situazione s se Leo esiste in s e Leo dorme in s.
L‘enunciato Leo dorme è vero nella situazione s sse Leo esiste in s e dorme in s.
• sse (se e solo se): vuol dire che il condizionale vale in un senso e nell’altro.
falsità di un enunciato
l‘enunciato Leo dorme è vero nella situazione s sse Leo esiste in s e dorme in s, falso altrimenti.
• è falso quando le condizioni non sono rispettate, ovvero quando Leo non esiste in s oppure
Leo non dorme in s.
• nelle condizioni di verità dell’enunciato Leo dorme abbiamo richiesto l’esistenza di Leo.
• se Leo non esiste in s non possiamo dire se Leo dorme sia vero o falso in s (se non possiamo
dirlo, violiamo il principio di bivalenza).
• le situazioni in cui Leo esiste e Leo dorme sono situazioni particolari: sono situazioni che
rendono vero l’enunciato Leo dorme.
cioè
il significato dell’enunciato Leo dorme è uguale all’insieme di situazioni s tali che Leo esiste in s e
Leo dorme in s.
• i due punti stanno per “tali che” e designano situazioni che godono di una certa proprietà.
Pagina 133
• quando parliamo di situazioni non parliamo solo di situazioni attuali, ma di situazioni possibili.
- queste non sono situazioni che appartengono a pianeti lontani, ma sono situazioni che
possiamo immaginarci mutando alcune proprietà del mondo reale, delle situazioni reali.
• gli enunciati possono descrivere situazioni che non si verificheranno mai: il loro verificarsi o
meno non gioca alcun ruolo nella comprensione dell’enunciato.
• possiamo descrivere un mondo possibile come una situazione molto grande, che comprende
l‘intero universo.
• quando non specifichiamo esplicitamente in quale situazione, assumiamo che sia la situazione
in cui l’enunciato viene asserito, la situazione che appartiene al mondo attuale.
Pagina 134
LEZIONE 26 - SEMANTICA
S1 S2 S3 S4
• i parlanti hanno intuizioni che riguardano relazioni semantiche che sussistono tra diverse
espressioni o enunciati. Queste intuizioni sono implicite e presentano delle analogie con le
intuizioni che i parlanti hanno rispetto alla grammaticalità delle espressioni che appartengono
alla loro lingua.
Poiché il significato di un enunciato è l’insieme delle situazioni che rendono vero l’enunciato,
allora possiamo ridurre le relazioni di significato tra enunciati a relazioni tra insiemi di
situazioni che rendono veri gli enunciati.
• intuitivamente sappiamo che se (A) è vero, allora è vero anche (B), ma non necessariamente è
vero il contrario.
Il significato di un enunciato può essere visto come l’insieme delle situazioni che lo rendono
vero.
CONSEGUENZA LOGICA
α è un sottoinsieme di β
Pagina 135
Proposizioni che includono insiemi più grandi di situazioni sono meno informative di
proposizioni che includono insiemi più piccoli.
Una proposizione che include un grande numero di situazioni specifica poche proprietà del
mondo e dunque è poco informativa.
EQUIVALENZA LOGICA
o sinonimia
Consideriamo le frasi
CONTRADDIZIONE
Consideriamo le frasi
• i due enunciati dividono l’insieme di mondi possibili in due sottoinsiemi: un sottoinsieme nel
quale è vero A e un sottoinsieme nel quale è vero B.
es: Piove
Non piove
Pagina 136
COMPATIBILITÀ
Consideriamo le frasi
• intuitivamente sappiamo che quando A è vero, B può esserlo, ma anche non esserlo.
• A e B sono compatibili: c’è almeno una situazione s nella quale A e B sono veri.
ELEMENTI DI INSIEMISTICA
insieme
un insieme è una collezione di oggetti
• possiamo definire un insieme (1) nominando i suoi membri o (2) specificando una condizione
(proprietà) che i suoi membri devono soddisfare per appartenervi.
l’insieme A è l’insieme di quegli elementi tali che quegli elementi sono un numero pari compreso tra 2 e 10
2 ∈ {2, 4, 6, 8, 10};
3 ∉ {2, 4, 6, 8, 10};
• due insiemi sono uguali se hanno gli stessi elementi (indipendentemente dall’ordine con il quale
gli elementi sono introdotti in quel raggruppamento)
equivalente
non equivalente
• l’insieme vuoto possiamo indicarlo con il simbolo Ø, è un insieme che non ha elementi.
- es: insieme dei numeri naturali = insieme numeri dispari + insieme dei numeri pari interi
Pagina 137
• una tale relazione può essere applicata agli elementi dell’insieme dei numeri naturali e generare
un insieme di coppie ordinate di numeri <x, y> nelle quali x precede y.
- coppia ordinata: raggruppamento di due elementi sui quali sussiste una certa relazione
d’ordine.
• la coppia di elementi <a, b> è diversa dalla coppia di elementi <b, a> perché gli elementi sono
nominati secondo un ordine differente.
• possiamo rappresentare una relazione binaria (tra due elementi) per mezzo di una coppia
ordinata.
- es: la relazione “essere minore di”, che vale tra numeri naturali {<1,2>, <2,3>, <1,3>, …}.
- es: la relazione “amare”, che da un punto di vista insiemistico possiamo rappresentare come
{<x,y> : x ama y}; se avessimo un nome per ciascun essere vivente e sapessimo chi
ciascuno ami, potremmo definire l’insieme come {<Leo,Lea>, <Ivo,Eva>, <Luca,Marta>, ...}.
• possiamo rappresentare anche relazioni denotate da verbi ditransitivi (relazioni che sussistono
tra più di due elementi), come insiemi di triplette ordinate.
è l’insieme di quegli x tali per cui esiste un y (un secondo elemento) tali per cui x e y sono membri di una coppia
e tali per cui x e y appartengono alla relazione amare
dominio posteriore (insieme delle persone che sono amate da qualcuno) è un insieme:
è l’insieme di quegli y tali per cui esiste una x (un primo elemento) tali per cui x e y sono membri di una coppia e
tali per cui x e y appartengono alla relazione amare
unione
• unione: l’insieme unione contiene gli elementi comuni e non comuni ai due insiemi.
• l’insieme dei numeri naturali è l’unione dell’insieme dei numeri dispari e dell’insieme dei numeri
pari.
intersezione
• intersezione: l’insieme intersezione contiene gli elementi comuni ai due insiemi.
Pagina 138
{ Leo } ∩ { Eva} = Ø
inclusione
• si dice che un certo insieme è incluso in un altro insieme (o è sottoinsieme dell’altro insieme)
quando ogni elemento di A è anche elemento di B.
A ⊆ B : A è un sottoinsieme di B
- la relazione di appartenenza è una relazione che sussiste tra un certo elemento e un certo
insieme.
il primo insieme è sottoinsieme del secondo insieme (ogni elemento di A è anche elemento di B)
• il simbolo ⊆ indica che il sottoinsieme è improprio, mentre il simbolo ⊂ indica che il sottoinsieme
è proprio.
A ⊂ B : A è un sottoinsieme proprio di B
sia A = {1, 2, 3, 4 }
appartenenza inclusione
• 3 ∈ A
• { 3 } ⊆ A
• 3 ∈ {1, 2, 3, 4 }
• { 3 } ⊆ {1, 2, 3, 4 }
• 3 appartiene all’insieme A
• { 3 } è un sottoinsieme di A
• { 3 } è incluso in A
Pagina 139
LEZIONE 27 - SEMANTICA
• la nostra competenza semantica fa inconsciamente uso di relazioni insiemistiche che ci
permettono di computare il significato degli enunciati.
Tarski, 1963
• la semantica specifica il modo in cui i parlanti associano le condizioni di verità agli enunciati del
loro linguaggio.
Esiste un magazzino mentale che contiene i significati degli enunciati come avviene per le parole?
frase: C’è un elefante rosso che danza sulla cattedra.
• comprendiamo il significato di enunciati che non abbiamo mai sentito e che dunque non
appartengono a questo magazzino. Questo significa che generiamo significati.
Frege
• a partire dal significato delle parti, possiamo ricostruire il significato della frase.
Consideriamo l’enunciato
1 Leo mangia una mela.
- mangiare: una relazione nella quale tipicamente un individuo animato mangia un oggetto
commestibile.
Consideriamo l’enunciato
2 Il poliziotto arresta il delinquente.
• il significato dell’enunciato viene così elaborato:
- il poliziotto: individuo investito del potere di arresto dei delinquenti.
- arresta: relazione tra due individui tale che il primo individuo della relazione ha il potere di
arrestare il secondo che tipicamente è un delinquente e tipicamente deve andare in prigione.
- delinquente: individuo che ha infranto la legge e che per tale motivo deve essere tipicamente
arrestato.
• i due enunciati hanno significati differenti. Dobbiamo affidarci a qualcosa di aggiuntivo oltre al
significato delle parole (come l’ordine delle parole ad esempio).
• possiamo immaginare una regola che dice: le frasi hanno forma SVO e la frase SVO è vera se e
solo se l’individuo S sta nella relazione V con l’individuo O.
Pagina 140
• ci affidiamo a un ordine lunare e mappiamo questo ordine sulle funzioni sintattiche. Questo non
è però sufficiente, come si vede in (4a) e (4b).
S V *O
S V O
• la frase (4a) è passiva e quindi l’ordine lineare delle parole non rispecchia l’ordine funzionale
della struttura sintattica della frase. Quello che sta nella posizione di soggetto occupa, a livello
strutturale, la posizione di oggetto del verbo.
• se assumiamo che la struttura sintagmatica sia la struttura sintattica che ci permette di genere
frasi, allora una struttura dell’interpretazione deve essere sensibile alle strutture sintattiche
generate dalla grammatica e in particolare dalla grammatica descritta dal modello X’.
• i linguisti, per cercare di dare un modello della competenza semantica (capacità di associare ad
ogni enunciato il suo significato), devono elaborare un modello nel quale venga definito:
- un meccanismo che ci permette di combinare il significato delle parti nel rispetto della
struttura sintattica nella quale le parti stanno.
- un nome, Keplero, che denota l’individuo che porta quel nome, Keplero.
- un’espressione complessa, Lo scopritore dell’orbita ellittica dei pianeti, che denota l’individuo
che quella descrizione descrive (nel mondo attuale, Keplero).
• diciamo che tali espressioni nominali denotano oggetti e/o individui e diciamo che si riferiscono
a tali oggetti e/o individui.
• espressioni complesse come Lo scopritore dell’orbita ellittica dei pianeti non denotano lo stesso
individuo in tutte le situazioni possibili (possiamo immaginarci mondi in cui quella proprietà è
goduta da un altro individuo).
• consideriamo le frasi:
• posso immaginare mondi che rendono vero (2) nei quali l’autore di Imagine non è Lennon, ma
qualcun altro. Allora (1) e (2) non hanno lo stesso significato. Ad (1) e (2) associamo diversi
insiemi di situazioni possibili che li rendono veri.
• i due enunciati non sono perfettamente sinonimi a livello di significato perché denotano insiemi
di mondi differenti.
Pagina 141
• poiché (1) e (2) si differenziano solo per le diverse espressioni nominali complesse (che
prendono il nome di espressioni definite perché vengono introdotte dall’articolo definito),
queste ultime non sono esattamente sinonime.
- nel mondo reale si riferiscono allo stesso individuo, ma in mondi possibili differenti possono
denotare individui differenti perché esprimono proprietà differenti che possono essere godute
da individui differenti in diverse situazioni possibili.
• questa riflessione ha avuto come principale aspiratore e ideatore il logico matematico Frege, il
quale afferma che occorre distinguere tra due livelli di significato: un livello di senso e un livello
di denotazione (o di riferimento).
• associato a un’espressione del linguaggio abbiamo due livelli di significato: il suo senso e il suo
riferimento.
- livello concettuale: esprime la proprietà che deve essere goduta da un individuo/oggetto per
essere bello.
• questa distinzione deve essere applicata a tutte le categorie sintattiche del linguaggio e quindi a
tutte le parti che compongono l’enunciato.
• gli enunciati esprimono pensieri (proposizioni). Abbiamo definito queste proposizioni in termini
di insiemi di situazioni che rendono vere quell’enunciato.
• a livello di riferimento, un enunciato denota in una certa situazione il vero o il falso. Quindi, a
livello di riferimento un enunciato in una situazione sta in relazione con un valore di verità, che
può essere il vero o il falso. È la proprietà che deve avere una certa situazione per essere la
situazione che rende vero quell’enunciato.
• a livello di denotazione:
• dormire esprime il concetto di dormire, la proprietà che deve essere goduta da un qualcosa che
dorme. A livello denotazionale andiamo a vedere in una certa situazione tutti gli individui che
godono di quella proprietà. Generiamo l’insieme degli individui che godono della proprietà
dormire.
• possiamo rappresentare i verbi transitivi come delle relazioni tra coppie di individui.
- es: amare, dal punto di vista denotazionale, rispetto ad una certa situazione s denota un
insieme di coppie di individui tali per cui il primo elemento della coppia ama il secondo
elemento della coppia.
- il senso di una frase (IP) è una proposizione, ovvero un insieme di situazioni in cui
l’enunciato è vero.
- il senso di un verbo intransitivo è una proprietà unaria, cioè una proprietà goduta da un
individuo).
- il senso di un verbo transitivo è una proprietà binaria, cioè una proprietà relazionale, goduta
da coppie di individui.
Il principio di composizionalità di Frege vale sia per la denotazione che per il senso.
• siamo in grado di generare il significato concettuale (senso) sia di espressioni semplici che di
espressioni molto complesse, che viene generato mettendo assieme il significato concettuale
delle parti.
• la stessa cosa avviene per la denotazione: componiamo significati denotazionali delle parti per
ottenere il significato denotazionale del tutto.
• la nostra abilità semantica è un’abilità di questo tipo: è un’abilità che ci permette di associare
a frasi o espressioni che non abbiamo mai sentito prima d’ora, attraverso un processo
generativo, i loro significati a partire dal significato delle parti.
• ora introduciamo un indice di questa funzione, cioè la relativizziamo ad una certa situazione.
Sia [[ ]]s una funzione che associa ad ogni espressione ben formata del linguaggio la sua
denotazione (riferimento) nella situazione s.
Pagina 143
• abbiamo detto che i significati denotazionali sono significati relativi ad una certa situazione.
il caso degli NP
Per semplicità assumiamo che nel nostro linguaggio la categoria dei sintagmi nominali referenziali sia costituita
solo da sintagmi nominali che hanno nomi propri come teste.
• ad esempio immaginiamo che l’insieme di elementi di categoria N siano i nomi propri Leo, Ivo
Eva.
• un nome proprio in una certa situazione denota l’individuo che porta quel nome in quella
situazione.
• poiché abbiamo solo NP che contengono nomi propri (tipicamente i nomi propri non hanno
aggiunti o complementi a livello di struttura sintattica), la denotazione dell’NP in una certa
situazione è uguale alla denotazione di N in una certa situazione.
• il significato dell’NP che ha come testa Leo è uguale a Leo perché il nome Leo in s denota Leo.
• i verbi intransitivi, a livello concettuale, esprimono proprietà unarie, ovvero proprietà godute da
individui singoli.
[[ Vi ]]s = { x : x V in s }
• i verbi transitivi esprimono delle proprietà binarie, ovvero proprietà che sono godute da coppie
di individui o di oggetti.
Pagina 144
• ad esempio correre in una certa situazione s potrebbe denotare l’individuo Leo (in quella
situazione è solo Leo che sta correndo).
• considero chi gode della proprietà espressa dal verbo in quella situazione.
• ad esempio, se in s sta telefonando Ivo, telefonare in s denota l’insieme che contiene Ivo.
[[amare]]s = { <x,y> : x ama y in s }, ad esempio [[ amare ]]]s = { <Leo, Eva>, <Eva, Leo>, <Ivo,
Eva> }
I verbi denotano insiemi, che possono essere insiemi di individui o insiemi di coppie ordinate
di individui. I nomi non denotano insiemi, ma individui/oggetti singoli.
il caso di IP
• la denotazione di un enunciato in una certa situazione s è un valore di verità (il vero o il falso).
• questo metodo deve essere un metodo creativo/generativo perché deve permettere di associare
il vero o il falso ad un numero potenzialmente infinito di enunciati.
Pagina 145
• ci serve una regola di composizione del significato delle parti per arrivare al significato del tutto.
• quindi, assumiamo una versione molto semplificata della nostra struttura, nella quale gli IP:
• verbo intransitivo dormire: il verbo ha un solo argomento, quello esterno, che in questo caso ha
occupato la posizione di specificatore di IP.
Pagina 146
• verbo transitivo amare: il verbo ha due argomenti, uno nella posizione di complemento del
verbo, e uno nella posizione di specificatore di IP.
- in questo caso dobbiamo comporre il significato di ama con Isa e poi il significato di ciò che
abbiamo ottenuto in questo VP con Leo.
Prima calcolo il significato del VP, poi compongo questo significato con il significato dello
specificatore di IP.
Componiamo il significato del VP con il significato dell’NP, che sta nella posizione di
specificatore di IP.
• nel caso di un verbo transitivo, il significato del VP è calcolato componendo il significato del
verbo + il significato del suo complemento.
verbo intransitivo
verbo transitivo
• dobbiamo comporre il significato della testa verbale con il significato del complemento.
• abbiamo bisogno di una regola: il significato di un certo VP più il significato del suo
complemento è uguale all’insieme degli individui tali che questi individui sono il primo elemento
di una coppia che ha il denotato del complemento del verbo come secondo elemento in s e tali
per cui queste coppie appartengono alla denotazione del verbo transitivo in s.
• il mondo s è fatto in modo tale che Leo ama Eva e Eva ama Tia.
Pagina 147
[[ [amare Eva]VP ]]s = { x : < x, [[ [Eva] NP ]]s > ∈ [[amare]]s } = { x : < x, Eva > { <Leo, Eva>,
<Eva, Tia> } }
• il significato del VP amare Eva in s è uguale all’insieme di individui tali per cui quegli individui
sono il primo elemento di una coppia che ha come secondo elemento il denotato del
complemento del verbo Eva e tali per cui queste coppie appartengono all’insieme di coppie
denotate da amare.
• abbiamo una regola che ci permette di combinare il significato del soggetto di una frase con il
significato del VP.
Un enunciato E che ha forma NP+VP in una certa situazione s denota il vero (1) se e solo se il
denotato dell’NP (il soggetto) appartiene al denotato del VP in s.
• quindi, un enunciato E che ha forma NP+VP in una certa situazione s denota il vero (1) se e solo
se l’individuo denotato dall’NP appartiene all’insieme denotato dal VP in s.
• il significato di correre in s sarà un insieme di individui che contiene gli individui che corrono.
[[ [Leo]NP [corre]VP ]E ]]s = 1 sse [[Leo]]s ∈ [[corre]]s Leo ∈ {Leo, Eva, Lia}
- …quindi, se e solo se Leo appartiene all’insieme che contiene Leo, Eva e Lia.
Pagina 148
AGENTI CONVERSAZIONALI
giornalieri.
robot chatbot
• altri agenti conversazionali sono dei robot • costituiscono un altro esempio di agenti
come Erika e Jibo, che prevedono la conversazionali.
Erika Jibo
• gli agenti conversazionali non sono altro che delle interfacce. Immaginiamo di avere un
software che offre un determinato servizio all’utente:
- questo software potrebbe essere accessibile dal PC, quindi potremmo interagire con lui
schiacciando dei tasti sulla tastiera. In questo caso la tastiera è un’interfaccia per il nostro
software.
- nel corso degli anni si è arrivati al touch, che costituisce un’altra modalità di interazione con
cui possiamo accedere allo stesso software.
- una terza modalità è costituita dal linguaggio naturale. In questo caso non è più l’utente a
doversi adattare a un linguaggio comprensibile dal sistema, ma è il sistema che si adatta
all’essere umano.
• quello che cambia è solo la modalità attraverso la quale il sistema si interfaccia con l’utente.
Pagina 149
2. accessibilità — gli agenti conversazionali sono nati per motivi di accessibilità (erano
tecnologie che rendevano accessibili alcuni servizi anche a persone con disabilità fisiche,
anche temporanee).
test di Turing
• Alan Turing si è chiesto quando una macchina può essere definita intelligente e sviluppa il
cosiddetto Imitation Game (test di Turing) per dare una risposta alla sua domanda.
• questo test è considerato uno degli esperimenti più validi per andare a verificare e validare
l’intelligenza di un sistema.
• una delle principali critiche sporte all’Imitation Game è il fatto che il test non valuti se un
sistema sa pensare, ma piuttosto se un sistema è in grado di imitare il comportamento umano
oppure no.
• setting sperimentale:
- l’essere umano al centro (inquisitore) interagisce sia con il computer che con l’altro essere
umano.
Pagina 150
primo modello
1. hanno un input e una prima fase in cui lo analizzano sotto diversi aspetti;
2. hanno una fase di planning, in cui ragionano sulle analisi che hanno svolto;
3. vanno ad agire complendo delle azioni (es: robot) oppure generando una risposta e la sua
sintesi vocale (es: personal assistant).
secondo modello
1. trascrizione del parlato — l’audio dell’utente (input) viene suddiviso in piccole parti aventi
tutte la stessa durata e viene calcolato lo spettro di frequenza per ognuna di loro. Questi
vengono poi confrontati con altri spettri di frequenza che il sistema possiede già in
memoria nel proprio database. Viene scelto il testo corrispondente allo spettrogramma con
il maggior coefficiente di correlazione con l’input. In questo modo il sistema riesce ad
associare cosa viene detto da parte dell’utente a un testo scritto.
2. comprensione del linguaggio naturale — in questa fase, dato un testo, il sistema tenta di
comprendere l’intenzione da parte dell’utente con quel messaggio. Chi costruisce l’agente
conversazionale deve creare una sorta di dizionario in cui associa un’intenzione a varie frasi
che possono comunicare quella stessa intenzione (formulazioni diverse dello stesso
concetto). In questa fase, dato un testo in input, il sistema restituisce l’intenzione da parte
dell’utente. Questo viene fatto tramite machine learning.
- machine learning:
Pagina 151
4. sintesi vocale — il testo scritto viene trasformato in parlato. Secondo uno studio, il 70%
degli agenti conversazionali ha una voce femminile.
esempio di spettrogramma
machine learning
• esempio con i numeri: quando vogliamo fare in modo che un computer riconosca un numero
dopo che è stato scritto a mano da una persona dobbiamo dargli in pasto una serie di esempi di
quello stesso numero collegandoli a un’etichetta.
- ecc.
• esistono vari modelli di machine learning: essi sono sistemi che sfruttano un determinato
algoritmo per funzionare.
Pagina 152
• ELIZA è il primo agente conversazionale della storia. Si tratta di un chatbot (non era orale, ma
solo scritto). Esso viene riconosciuto come il primo chatbot in grado di dare delle risposte
consistenti ai propri utenti.
- dà risposte che riprendono quello che l’utente ha detto rigirando la frase (ripete lo stesso
concetto in modo tale che l’utente vada avanti nel discorso). Eliza riprende alcune parole
chiave trovate nell’input dell’utente e poi le riadatta all’interno di alcuni template.
2. gli agenti conversazionali possono prendere l’iniziativa o possono dare l’iniziativa all’utente.
system initiative CA user initiative CA
• prendono iniziativa e guidano le • Google Home, Alexa e Siri sono sistemi a
conversazioni, che di solito sono più mirate cui possiamo chiede delle cose e a cui
a un determinato obiettivo e contesto.
possiamo dare dei comandi.
7. gli a.c. si differenziano anche in base al modo in cui viene prodotto l’output per l’utente.
retrieval based (or rule-based) model generative (or data-driven) model
• sono modelli che, data un’intenzione da • il modello generativo prevede che la risposta
parte dell’utente, restituiscono una frase di non sia preimpostata, ma che venga
output che è già preimpostata.
generata al momento in base all’input
• a una frase di input possono essere dell’utente, alle informazioni di contesto e in
associate più frasi di output, in modo tale base a tutta una serie di conoscenze
che se richiediamo la stessa frase al sistema pregresse che il sistema potrebbe avere.
Pagina 155
UNCANNY VALLEY
• questo modello teorico predice un aumento, fino ad un certo punto, nell’accettare un robot
intelligente avente sembianze umane, come mostra il grafico.
• oltre questo punto, nella regione identificata come la valle dell’inquietudine, la somiglianza
umana dei robot genera una sensazione di agitazione e disagio.
• all’aumentare della somiglianza umana, questi sentimenti negativi spariscono e sono sostituiti di
nuovo con risposte emotive positive quando l’oggetto sembra essere perfettamente umano.
• il ricercatore giapponese che ideò questo concetto osservò come al crescere della
verosimiglianza di un volto di un robot con uno umano, aumentava anche l’empatia e la simpatia
verso l’automa, fino ad arrivare a un punto in cui l’empatia crollava bruscamente per lasciare
spazio alla repulsione.
• l’empatia tornava a crescere nuovamente man mano che i robot divenivano sempre più umani.
• dal punto di vista grafico si può immaginare come una retta che sale al crescere della
somiglianza, per poi crollare bruscamente e tornare a risalire altrettanto velocemente.
• se l’agente conversazionale diventa troppo simile a un essere umano c’è un calo del piacere
nell’interagire con lui.
• il piacere nell’interazione con l’agente conversazionale torna al massimo quando il sistema torna
ad essere un essere umano vero e proprio o un sistema che è il corrispettivo a un essere
umano.
• uno dei modi per assomigliare a un essere umano è la comprensione e la gestione delle
emozioni all’interno della conversazione. A questo proposito esistono più teorie utilizzate, tra
cui quella di Ekman, studioso che riteneva che ci fossero 6 emozioni universali: gioia, tristezza,
rabbia, paura, sorpresa, disgusto.
Pagina 156
EMOTY
• Emoty: agente conversazionale pensato per bambini e ragazzi con disturbi del neurosviluppo.
- persone con disturbi del neurosviluppo: riscontrano difficoltà nel riconoscere ed esprimere
le proprie emozioni.
• Emoty:
- tecnologia per supportare il training durante la terapia di queste persone.
- pupazzetto che parla con i ragazzi e dopo una serie di chiacchierate gli propone di giocare al
gioco degli attori, in cui viene chiesto di recitare un set di frasi esprimendo delle emozioni
che vengono assegnate.
4. sperimentazione attiva — nel caso in cui si ha fatto bene, il sistema ci stimola a pensare a
varie situazioni in cui viviamo quell’emozione.
ciclo di Kolb
Pagina 157
L’ANIMALE PARLANTE
• due temi:
5. l’esistenza di un’entità fisiologica nel nostro cervello che si può ritenere responsabile del
fenomeno delle lingue naturali, cioè del modulo del linguaggio, che si può sviluppare
solo se un individuo è esposto a stimoli specifici.
6. la specificità del modulo del linguaggio, il fatto cioè che esso è distinto da altri
meccanismi responsabili del pensiero.
• il meccanismo del linguaggio subisce dei cambiamenti durante lo sviluppo, cosicché l’abilità di
acquisire una madrelingua (prima lingua) dopo questo periodo critico diminuisce o viene meno
completamente
- viveva in uno stato di cattività e di isolamento che limitava il suo input linguistico
- non parlava e non dava nessun segno di comprendere che cosa fosse il linguaggio
- ictus: se colpiscono l’emisfero sinistro provocano spesso gravi perdite di diversi aspetti
del linguaggio in pazienti la cui intelligenza rimane intatta.
• esistono varie componenti del meccanismo del linguaggio, localizzate in punti diversi del
cervello, che interagiscono a determinare la facoltà linguistica
• mutazione dei geni responsabili del linguaggio umano: è avvenuta circa 200 000 anni fa
- es: bambini con spina bifida (gravi ritardi mentali, ma riescono a raccontare in modo
articolato eventi immaginari)
- es: bambini con disturbi specifici del linguaggio (intelligenza normale, ma problemi di
linguaggio)
Pagina 158
• due evidenze:
1. bambini con grave deficit dell’udito o completamente sordo: molto prima che questi
bambini non udenti abbiano accesso all’input linguistico e comincino ad acquisire un
linguaggio (intorno ai 2 anni d’età), essi pensano
2. studi su Genie: riesce a descrivere degli eventi della propria vita, compresi alcuni
avvenimenti che erano accaduti prima che avesse acquisito consapevolezza della lingua
(queste memorie costituiscono pensiero)
• possiamo sfruttare le varie possibilità che ci offre la sintassi per descrivere concetti non
espressi da parole singole
- es: in italiano usiamo aggettivi o sintagmi nominali (neve granulosa, neve dura come il
ghiaccio…)
• i nostri lessici ci permettono di parlare di ciò che vogliamo perché le nostre definizioni di
oggetti non sono limitate ad una sola parola
• tesi contraria (Whorf): la nostra categorizzazione concettuale del mondo è determinata dalla
struttura della lingua che parliamo
- es: il popolo inuit (eschimese) ha dozzine di parole per la neve, quindi colgono differenze nei
tipi di neve
• il concetto può essere compreso anche da chi parla una lingua che non abbia per esso una
parola specifica
Pagina 159
• dai suoni linguistici che sentono a partire dalla nascita, i neonati devono cominciare ad
identificare il sistema linguistico con cui entrano in contatto
• a partire dai suoni cui sono esposti, i bambini cominciano ad identificare il sistema
grammaticale che dovranno apprendere
• le lingue differiscono tra loro quanto ai suoni che utilizzano per comunicare significati
• la disposizione a imparare una lingua quasi come un nativo sparisce intorno alla pubertà
- riempiamo i polmoni di aria e la emettiamo lentamente, mentre parliamo, fino a che non è
esaurita, poi inspiriamo un’altra volta
- è possibile pronunciare all’incirca 7 parole con un solo respiro (es: Marta arriva oggi alle tre col
treno.)
• il flusso dell’aria va modulato e il suono che si forma dipende da quanto è aperta la bocca
• affinché l’aria che emettiamo dalla bocca fuoriesca come linguaggio, essa deve essere
trasformata in zone specifiche del nostro apparato vocale e secondo modalità particolari
• nella laringe l’aria incontra le corde vocali (prima modificazione del flusso d’aria)
- corde vocali: sottili membrane che, se ravvicinate, vengono messe in vibrazione (vibrando
provocano rumore)
• i suoni pronunciati con le corde vocali che vibrano sono detti sonori; gli altri sono detti sordi
(questi ultimi fanno molto meno rumore dei primi)
- quando si sussurra tutti i suoni che pronunciamo sono sordi (allarghiamo le corde vocali
anche durante la pronuncia dei segmenti che le vorrebbero ravvicinate)
• se i soli movimenti che si fanno con l'apparato vocale consistono nell’avvicinare le corde vocali
ed emettere dell’aria, il suono che ne risulta è una vocale indistinta detta schwa [ə]
• la schwa:
Pagina 160
- non esiste in italiano standard (molte delle vocali atone in inglese sono pronunciate in modo
indistinto, come la schwa)
• oltrepassate le corde vocali, ci sono due canali che l’aria può prendere:
• i suoni usati nelle lingue naturali sono per lo più orali (si può fare molto poco per modificare il
flusso dell’aria una volta che abbia imboccato la cavità nasale, ci sono invece molti modi in cui
si può modificare il flusso dell’aria nella cavità orale).
vocali consonanti
• sono necessarie per comunicare a distanza • non c’è nessuna lingua che abbia molte più
(possiamo pronunciarle anche a voce molto vocali che consonanti
alta)
• una lingua necessità di consonanti al fine di
• si usa molta energia per produrle
poter fare tutte le distinzioni di cui abbiamo
• i significati che si possono comunicare sono bisogno per comunicare significati lessicali:
limitati
cioè per distinguere le parole
L’alfabeto fonetico
• la grafia non sempre è indicativa del suono che rappresenta
• per ovviare a questo problema, è stato inventato l’alfabeto fonetico, che ha la caratteristica di
possedere una relazione biunivoca tra segno e suono: ad un segno corrisponde un suono e
uno solo.
Le vocali
• in italiano standard ci sono 7 vocali
• la [a] è presente in tutte le lingue del mondo, mentre la [i] e la [u] sono presenti nella grande
maggioranza delle lingue.
• gli articolatori, cioè le parti della cavità orale che modificano il flusso dell’aria durante
l’articolazione o pronuncia delle vocali, sono:
- le labbra
- i denti superiori
- il palato
• le vocali sono le portatrici della prosodia (la • le vocali sono portatrici di tono (formano
musica del linguaggio)
l’intonazione)
Le consonanti
• il flusso dell’aria è modificato più radicalmente rispetto alle vocali
• le consonanti si distinguono sia per il punto, sia per il modo in cui vengono articolate
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• il flusso dell’aria è meno ristretto che nelle fricative (minore costrizione del flusso dell’aria):
• le consonanti liquide e nasali, le vocali e le semivocali fanno parte del gruppo delle sonoranti
• scala di sonorità: un suono è tanto più sonorante quanto più la bocca è aperta
- suoni meno sonoranti: le occlusive (nella loro pronuncia la bocca è chiusa completamente)
• si mette la punta della lingua dietro l’arcata dentale (contro l’arcata alveolare) per dire [t]
• si mette la parte posteriore della lingua contro il palato molle per dire [k]
Le semivocali
• suoni che non sono né vocalici (non si comportano come delle vocali) né consonantici
• quando due consonanti sono pronunciate in modo simile è più probabile che vengano confuse
• non è probabile che si confondano consonanti articolate in modi e/o punti molto diversi, come
[m] e [k]
• i suoni del linguaggio sono tanto più distinti in percezione quanto più sono distinti nella loro
articolazione
• si occupa del modo in cui i suoni linguistici • studia come i suoni vengono percepiti
vengono articolati dai parlanti
dall’ascoltatore
• si occupa dell’effetto che i suoni linguistici
hanno sull’orecchio dell’ascoltatore
Pagina 163
• ogni lingua utilizza un sottoinsieme dei segmenti che l’apparato vocale umano è in grado di
produrre.
• fonologia delle lingue orali: studia i diversi aspetti dei sistemi sonori usati nelle lingue naturali
Fenomeni fonologici
• gli stessi segmenti (consonantici o vocalici) in una lingua possono venire modificati in certi
contesti e in un’altra lingua no
• segmenti individuali: non sono in generale modificati se gli altri segmenti che fanno parte della
stessa classe naturale non lo sono anch’essi
• suoni articolati in modo simile formano classi naturali e sottostanno alle stesse modificazioni
nella parlata connessa
- es: gorgia toscana (fenomeno che riguarda tutte e tre le occlusive sorde in posizione
intervocalica)
- la [p] e la [t] sono le altre occlusive sorde (appartengono, assieme alla [k], alla stessa
classe naturale)
Distinzioni segmentali
• ci sono lingue in cui la stessa differenza tra due suoni porta a differenze di significato
- es: il thai, in cui le occlusive sorde aspirate e quelle non aspirate sono distintive di significato
• tra i segmenti di una lingua, alcuni sono distintivi, cioè portano a differenza di significato, altri,
invece, non lo sono.
• quando due suoni portano a differenze di significato, come la [l] e la [r] in italiano, si dice che
sono derivati da fonemi diversi, rispettivamente /l/ e /r/.
fonemi foni
• sono delle rappresentazioni astratte, non • sono concreti, sono la forma fonetica di un
hanno manifestazione fonemica
fonema
• quando due suoni non sono distintivi di significato, si dice che sono allofoni (cioè foni diversi o
variazioni) dello stesso fonema
Come si fa a capire se due suoni derivano da fonemi diversi o dallo stesso fonema?
• se derivano da fonemi diversi è in generale possibile trovare delle coppie di parole che
differiscono minimamente l’una dall’altra: la cui differenza consiste cioè solo nella presenza di
un suono oppure dell’altro
- es: la [l] e la [r] hanno valore distintivo (male/mare)
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Distinzioni soprasegmentali
• soprasegmenti:
vocali
la lunghezza vocalica, in 1. durata
altre ambedue.
3. intensità (quanta aria si
emette dai polmoni)
• i due punti dopo la consonante stanno a significare che essa è lunga: [t:]
• una consonante viene detta doppia in riferimento alla grafia: le consonanti lunghe vengono
indicate nella grafia raddoppiandole.
- es: le due n in non nero - se queste parole vengono pronunciate a una velocità elevata, le
due n della grafia diventano una [n:].
• le consonanti che nel sistema ortografico dell’italiano sono doppie, invece, non sono mai
riarticolate, ma articolate una volta sola e allungate
- es: le due n di anno non si possono riarticolare neanche se si parla molto lentamente.
• una consonante doppia e una consonante semplice differiscono tra di loro solo per la durata:
una consonante doppia dura più tempo di una consonante semplice.
• non è così per le vocali: due vocali adiacenti identiche possono essere articolate due volte,
come nella parola aree o facoltativamente essere riarticolate o articolate una volta sola, come in
cooperativa.
- es: differenze tonali come quelle usate in italiano per distinguere un’affermazione da una
domanda vengono usate in molte lingue per distinguere il significato di due parole.
La sillaba
• ogni sillaba ha una e una sola vocale, che ne costituisce il nucleo (questo è vero almeno per
l’italiano).
- es: [trá.ve]
- es: [ál.be.ro]
• la scala di sonorità predice esattamente quando una sequenza di consonanti può apparire in
una sillaba e quando non può: le consonanti di una sillaba devono crescere in sonorità verso
il nucleo.
- se vi sono due consonanti dopo la vocale (nucleo), la prima deve essere più sonorante della
seconda.
Pagina 165
• questo è vero anche per le sillabe interne a una parola: le code sono sempre sonoranti, come
in [ál.to], [pár.ko], [mán.to], [lám.po].
• l’unico tipo di sillaba che esiste in tutte le lingue del mondo è la sillaba CV.
La fonologia dell’intonazione
• le proprietà fonologiche delle lingue non si limitano a quelle che distinguono parole: una lingua
è caratterizzata anche dalla prosodia e cioè dal ritmo e intonazione.
- è l’intonazione che ci può far capire se una frase è affermativa, interrogativa o imperativa.
• ogni lingua ha un numero fisso di melodie che usa per interpretare strutture diverse.
Il ritmo linguistico
• non solo la melodia, ma anche il ritmo può differire da una lingua ad un’altra.
• il ritmo di alcune lingue, tra cui l’inglese, il tedesco e il russo, è stato paragonato al suono di un
messaggio in codice Morse, mentre il suono di altre lingue, per esempio l’italiano, lo spagnolo
e il greco è stato paragonato a quello di una mitragliatrice.
• la ricorrenza di sillabe molto diverse tra di • la ripetizione di sillabe dalla forma CV,
loro che si ha in inglese o in olandese dà molto frequente in italiano, spagnolo e
l’impressione di un messaggio in codice greco, è la ragione per cui queste lingue
Morse, in cui i suoni ricorrono ad intervalli sono state paragonate ad una mitragliatrice,
irregolari.
che espelle pallottole in modo costante.
• è stato proposto che la caratteristica fisica che determina a quale classe ritmica una lingua
appartiene, consista nella percentuale di tempo occupata dalle vocali (%V) nei suoi enunciati.
- se le V occupano circa il 45% del tempo, si hanno lingue con un ritmo simile all’inglese.
- se le V occupano circa il 50% del tempo, si hanno lingue simili per ritmo all’italiano.
- se le V occupano circa il 55% del tempo, si hanno lingue di una terza classe cui appartiene
per esempio il giapponese.
- una lingua con ritmo giambico (per esempio l’italiano, l’inglese o il greco) a questo livello
avrebbe i complementi che seguono la testa.
- una lingua con ritmo trocaico (per esempio il turco, il giapponese o il basco) avrebbe i
complementi che precedono la testa.
• è stato proposto che la correlazione tra la prominenza principale e il focus possa fornire
un’indicazione riguardo alla libertà nell’ordine dei sintagmi in una frase.
Pagina 166
• le parole hanno un rapporto arbitrario con l’oggetto o con il concetto cui si riferiscono.
• ci sono parole che si assomigliano in lingue appartenenti alla stessa famiglia linguistica, ma
l’arbitrarietà rimane.
- es: la parola mela (come i suoi corrispondenti in altre lingue) non ha nessuna relazione
evidente col concetto di mela.
• fanno eccezione le parole onomatopee, il cui suono imita un suono non linguistico.
• data l’arbitrarietà tra suoni e significati, le parole di una lingua vengono imparate a memoria
• l’acquisizione del lessico della madrelingua (apprendimento) procede per molti anni
- un bambino senza deficit specifici all’età di 6 anni ha un vocabolario di circa 8.000 parole
- un adulto con un’alta istruzione ha una media di 60.000 parole nel suo lessico
- il suffisso -bile, attaccato ad un verbo, significa che si può compiere l’azione indicata dal
verbo.
- una parola composta, formata da un verbo più un nome, designa un oggetto che produce
l’azione espressa dal verbo sull’oggetto indicato dal nome (es: uno spremiagrumi spreme gli
agrumi)
- non può essere divisa da regole sintattiche (non si può separare una parola semplice, ma
neanche una complessa)
• tutte le parole, semplici o complesse che siano, si comportano come unità indivisibili rispetto
alla sintassi.
Parole derivate
• morfemi: pezzetti che non sono parole ma che hanno un significato
• le parole possono anche essere formate sia con prefissi che con suffissi (es: in-util-ità, a-
social-ità, per-corri-bile…).
1. vi sono casi in cui prima si attacca un prefisso e poi un suffisso (l’ordine opposto dà
parole non esistenti)
Pagina 167
2. vi sono anche casi in cui si attacca prima un suffisso e poi un prefisso (l’ordine opposto
dà parole non esistenti).
4. vi sono poi parole che sono prefissate più volte e parole che sono suffissate più volte.
- es: ex-con-vivente
- es: util-ita-rio
• esistono processi derivazionali che creano verbi, come ingiallire (dall’aggettivo giallo) e
accasare (dal nome casa)
• le parole della nostra lingua sono divise in due gruppi: le classi aperte e le classi chiuse
• nomi, verbi e aggettivi: vengono dette classi • quarta delle categorie grammaticali
aperte di parole (non c’è un limite a quante maggiori: è formata dalle preposizioni
di queste parole possano esistere in una • preposizioni: sono classi chiuse di parole
lingua)
(non si può inventare una nuova
preposizione)
- non sono mai il risultato di un processo di
derivazione
• le lingue che hanno solo suffissi (come il turco), hanno anche l’oggetto che precede il verbo e
posposizioni anziché preposizioni.
• l’ordine dei morfemi che formano una parola (morfologia) segue spesso l’ordine delle parole
che formano una frase (sintassi).
• lingue in cui vi sia prefissazione ma non suffissazione sono invece estremamente rare e sono
inoltre limitate alle lingue in cui l’oggetto segue il verbo e in cui vi sono preposizioni anziché
posposizioni.
• infissazione: caso in cui un affisso non si inserisce né al limite sinistro né al limite destro di una
parola semplice, bensì al suo interno.
Parole composte
• sono formate dal meccanismo della composizione
• in italiano i composti nominali più produttivi sono quelli formati da un verbo e da un nome
(V+N), come apriscatole, portamonete, battiscopa.
• nelle lingue germaniche, invece, la composizione più produttiva consiste di N+N, come in
inglese armchair, backpack, summer sales, Easter rabbit…
• caratteristica delle lingue naturali: vi sono sequenze di parole, sia in un composto, sia in una
frase, che possono avere significati diversi (quale dei due significati venga inteso si capisce dal
contorno accentuale).
- es: Turkish literature professor - ambiguo tra ‘professore di letteratura turca’ e ‘professore
turco di letteratura’
In che modo si possono combinare parole per formare compositi in lingue diverse?
• l’ordine delle parole in un composto riflette spesso l’ordine delle parole nella frase
Come facciamo a dire che una sequenza di parole è un composto anziché un sintagma?
• alcuni composti sono scritti come una sola parola, mentre altri sono scritti come due parole.
- tutte le parole, semplici o derivate che siano, sono atomi per quanto riguarda la sintassi.
- nonostante degli spazi bianchi separino le parole, questi composti si comportano come delle
unità: sono infatti delle parole.
• vi sono parole composte che non sono create dalla combinazione di parole, ma dalla
combinazione delle cosiddette semiparole.
• semiparole: sono simili alle parole come significato, ma non nel comportamento sintattico (non
possono essere inserite in una frase).
- nel lessico italiano sono sempre prese dal greco o dal latino
Flessione
• la forma delle parole che scegliamo dipende dal contesto sintattico della frase, si adatta ad
esso. Il processo grammaticale responsabile di questo adattamento si chiama flessione.
• la flessione adatta la forma di una parola al contesto sintetico in cui essa si trova. Il processo
morfologico della flessione non crea pertanto nuove parole, ma nuove forme di una stessa
parola.
• le regole che determinano quali parole debbano accordarsi tra di loro appartengono alla
sintassi, mentre la forma specifica che l’accordo prende riguarda la morfologia.
Pagina 169
• questo schema ha le sue regolarità, che possono essere identificate imparate dai bambini
esposti alle lingue semitiche.
Pagina 170
• sintassi: studio del modo in cui gli esseri umani combinano delle parole per formare espressioni
più complesse: le frasi.
• grammatica:
- è una descrizione, e non una prescrizione, dell’intero sistema di regolarità di una lingua.
• ogni parlante nativo di qualsiasi lingua naturale umana, che non abbia deficit specifici, ha
acquisito una conoscenza profonda delle complessità grammaticali della propria
madrelingua. Questa conoscenza, di cui spesso il parlante non è cosciente, può essere
esaminata tramite i suoi giudizi di grammaticalità.
- attraverso i loro giudizi, i parlanti dichiarano una frase grammaticale e un’altra non
grammaticale.
- frasi malformate sintatticamente non sono frasi (es: Sotto tu la il messo letto valigia hai.).
- frasi malformate semanticamente sono frasi, pur non avendo significato (es: La vasca era
svenuta.).
• il modello della sintassi che introduciamo è modulare (ogni sua parte è detta modulo).
- una grammatica molto semplice può generare frasi di grande complessità attraverso
l’interazione dei vari moduli.
• i vari moduli sintattici creano una struttura che viene tradotta in due forme:
• la forma logica da un lato e la forma fonologica dall’altro danno interpretazione alle strutture
generate dalla sintassi.
• Chomsky: propone per primo che la capacità umana riguardante il linguaggio sia un’entità
biologica.
• Chomsky propone che la generalità del linguaggio si rifletta nel fatto che i
principi che governano le regole siano universali: devono cioè poter
essere verificati in qualsiasi lingua umana.
Agrammaticalità sintattica
• la frase Il sole maturerà le mele lo scaffale il salotto questa settimana non è grammaticale perché
la sua sintassi è difettiva, cioè il modo in cui le parole sono accostate a fare una frase.
• è sintatticamente malformata
• parlare secondo strutture non permesse dalla grammatica normativa porta al cambiamento di
una lingua (sappiamo che le lingue cambiano).
• è la grammatica normativa che si insegna ad uno straniero che voglia imparare l’italiano.
Pagina 171
La competenza linguistica
• madrelingua: lingua che una persona acquisisce crescendo in un determinato ambiente
linguistico.
- se, ancora abbastanza giovani, si impara una seconda lingua, utilizzandola in interazioni
giornaliere, si possono acquisire, in questa seconda lingua, capacità linguistiche simili a
quelle che possiedono coloro per cui essa è la madrelingua.
- se invece si impara una seconda lingua dopo l’età di 12 o 13 anni (cioè dopo l’inizio della
pubertà) si può arrivare a parlarla abbastanza bene, o anche in modo
eccellente, ma ci saranno sempre delle differenze tra le capacità linguistiche
di qualcuno che è stato esposto a quella lingua fin dalla nascita ed è
cresciuto utilizzandola e chi ha cominciato ad acquisirla dopo la pubertà. Se
si acquisisce una lingua dopo tale periodo, si può parlarla e capirla
benissimo, ma, a parte casi eccezionali, essa non diventerà mai la propria
madrelingua.
• la conoscenza che i parlanti hanno della propria madrelingua è detta competenza linguistica (o
competenza nativa). Essa è in gran parte una conoscenza non consapevole.
• la competenza linguistica va distinta dall’esecuzione: ci sono delle differenze fra quello che
sappiamo della nostra lingua in modo non consapevole, la nostra competenza, e quello che
diciamo effettivamente nelle nostre conversazioni quotidiane.
- vi sono i lapsus linguae, quel fenomeno per cui ci può capitare di scambiare le posizioni di
certi suoni, specialmente all’inizio delle parole (es: dire vittà cecchia per città vecchia)
• gli errori ci possono suggerire delle proprietà linguistiche e possono quindi aiutarci a sviluppare
la teoria del linguaggio.
• una lingua, e quindi la grammatica che la descrive, cambia col tempo: nuove forme
sostituiscono forme più vecchie o nuove regole entrano a far parte della lingua oppure regole
esistenti si estendono e si applicano a un nuovo insieme di strutture.
• la grammatica italiana, come quella di tutte le lingue, cambia: la distinzione tra avverbio e
aggettivo, è forse meno chiara morfologicamente e sintatticamente di quello che era in uno
stadio precedente della lingua.
• il fatto che una parola possa appartenere a due categorie morfologiche diverse non è
frequente in italiano (non è così per tutte le lingue).
- es: in inglese milk può essere sia un nome (latte), sia un verbo (mungere)
• vi sono altrettanti tipi di sintagmi quante sono le categorie lessicali e ogni sintagma è un
gruppo di parole, cioè un costituente, che contiene una categoria lessicale come testa, l’unico
elemento necessario per avere un sintagma.
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• in breve, una parola di una certa categoria (come il nome, il verbo, l’aggettivo e la
preposizione) è la testa di un sintagma di cui determina la categoria.
- es SN: [il tasso] perse [un dente] mordendo [il grande ramo]
• ci sono 3 nomi (sottolineati), ciascuno dei quali è la testa di un sintagma nominale (tra parentesi
quadre), il cui primo elemento è il determinante.
• per rendere conto della gerarchia strutturale di un sintagma, ossia della sua analisi in
costituenti, è stata proposta la cosiddetta teoria X-barra; essa stabilisce che ogni tipo di
sintagma abbia la stessa struttura interna contenente 3 livelli:
• lo schema rappresentato viene detto albero strutturale, i simboli come X, X’, X’’ ne
costituiscono i nodi e le linee che congiungono i nodi vengono dette rami.
• i puntini che fiancheggiano i nodi indicano che altri elementi possono apparire in quelle
posizioni.
• sia i complementi, sia i modificatori sono nodi sorelle della testa, dato che, come la testa,
ramificano dal livello X’.
• gli specificatori del sintagma (cui appartengono i determinanti nominali, come il o uno) sono
invece sorelle del nodo X’ e ramificano dal livello X’’.
• secondo questa teoria anche la frase intera è un sintagma, la cui testa è ACR (una forma
troncata della parola accordo, in questo caso del verbo con il soggetto), una categoria di tipo
morfologico, ma simile per la struttura alle categorie lessicali, come N, V, A, P. In questo caso la
teoria ammette teste astratte, dal punto di vista della sintassi, in quanto non si realizza come
una parola ma con una parte di essa, cioè con un suffisso, almeno in italiano.
• mentre è possibile che la gerarchia sintattica sia universale, le lingue variano per quanto
riguarda l’ordine lineare delle parole nelle frasi, e queste variazioni sono le conseguenze del
diverso valore di alcuni dei principali parametri sintattici.
• le opzioni per il valore che una lingua sceglie per i vari parametri sintattici sono sistematiche e
limitate e interagiscono con la gerarchia strutturale, col risultato che non si può avere un ordine
qualsiasi delle parole.
• ci sono infatti degli ordini delle parole che non sono generabili dalla teoria sintattica. Si tratta
degli ordini universalmente assenti.
Pagina 173
• un sintagma può contenerne un altro (le frasi consistono di sintagmi, spesso inseriti gli uni
dentro gli altri).
• in italiano abbiamo diverse possibilità per quanto riguarda l’ordine dei sintagmi in una frase
(sappiamo, tuttavia, che non tutti gli ordini sono possibili)
• l’ordine dei sintagmi in una frase varia da lingua a lingua come varia anche l’ordine delle parole
in un sintagma (questo avviene perché le frasi sono dei sintagmi estesi).
Sottocategorizzazione
• nella frase (i) l’ordine delle parole è grammaticale per la sintassi italiana, tuttavia la frase è
agrammaticale. Le frasi in (ii) sono grammaticali.
- es: la maggior parte delle proposizioni, come per esempio in o per, è unicamente transitiva.
• teoria dei casi: secondo questa teoria ogni nome che sia presente con una forma fonologica
deve ricevere un caso morfologico, e soltanto certe categorie, fra cui il verbo e la preposizione,
possono assegnare un caso.
- es: un verbo come divorare e una preposizione come in hanno la caratteristica di dover
assegnare un caso, quindi devono avere un complemento oggetto.
- es: un verbo come mangiare e una preposizione come su hanno la caratteristica lessicale di
poter assegnare un caso ma di non doverlo fare obbligatoriamente: il loro complemento è
quindi facoltativo.
- es: un verbo come cenare ha la caratteristica lessicale di non poter assegnare un caso,
quindi non può avere un complemento oggetto.
• proprietà del genere non dipendono dalla struttura, ma hanno influsso su di essa.
• nessun aggettivo in italiano può avere un complemento oggetto. Possono però avere degli
oggetti indiretti nella forma di sintagmi preposizionali.
• i nomi hanno le stesse caratteristiche degli aggettivi riguardo alla teoria dei casi: un nome
non può assegnare un caso e non può quindi mai avere un oggetto diretto; anche i loro
complementi hanno la forma di sintagmi preposizionali.
- arricchendola con sintagmi entro altri sintagmi (una frase può essere incassata in un’altra
frase)
• questa caratteristica del linguaggio, detta ricorsività, fa sì che una frase non abbia un limite
quanto alla sua lunghezza.
- il soggetto
Pagina 174
- l’oggetto indiretto
I genitori leggono un libro fantastico all’intera scuola al microfono. (+ oggetto della proposizione)
• teoria della sintassi: la sua meta principale è trovare gli elementi universali del linguaggio, che
corrispondono al patrimonio genetico degli esseri umani, e di rappresentare le differenze tra le
lingue tramite i diversi valori dei parametri.
RIEPIOLOGO CAPITOLO 6
2. teoria dei casi: se i requisiti della sottocategorizzazione del verbo non vengono rispettati,
la frase è agrammaticale.
3. teoria dei temi: se la frase contiene dei sintagmi non legittimati, è agrammaticale.
Pagina 175
• semantica: si occupa del significato delle espressioni linguistiche (morfemi, parole, sintagmi,
frasi e discorsi).
- pragmatica: tratta della funzione comunicativa che un’espressione linguistica svolge quando
viene collocata in un certo contesto.
Pragmatica e semantica
• lo stesso enunciato può essere usato per mandare messaggi diversi a seconda del contesto in
cui viene usato.
• non mentire, non dire cose per cui non si • dire cose pertinenti
stesso tempo non devono dare informazioni • parlare in maniera efficace (cioè breve).
non necessarie.
• parlare in modo sistematico.
• il ragionamento che adoperiamo quando osserviamo queste massime non ha a che fare con il
linguaggio stesso ma con considerazioni pratiche sull’uso del linguaggio.
• c’è una differenza fra il valore comunicativo di una frase e il suo significato.
- significato: non varia in relazione al contesto (dipende solo dalla frase stessa, con quelle
specifiche parole e con quella specifica struttura grammaticale).
• la parte del messaggio che dipende dal contesto riguarda la pragmatica, e il principio di
cooperazione appartiene alla grammatica.
• fonestemi: tracce della storia antica di una lingua, nel caso dell’italiano potremmo considerarli
come la “memoria” di un morfema indoeuropeo che non esiste nella lingua di oggi.
- es: il nesso consonantico /st/ sembra avere un significato di immobilità, fisica o mentale, in
altre parole (stare, stupido, stufo, stanco…)
• per una lingua come l’italiano, i singoli fonemi non hanno un significato indipendente.
• vi sono lingue in cui i fonemi possono avere un significato indipendente (coreano, lingua dei
segni americana…)
Pagina 176
• i morfemi hanno significato, anche se esso è per lo più di tipo grammaticale piuttosto che
lessicale.
prefisso s-
teoria semantica basata sul concetto di denotazione e sulla teoria degli insiemi:
(i) Pierino è italiano
italiani
Pierino
• nome proprio Pierino: denota un certo individuo, al quale viene attribuita una certa proprietà.
• nome comune italiano: denota un insieme, di cui l’individuo denotato fa parte (se la frase è vera).
• (i) è una struttura predicativa, cioè si predica una proprietà (l’essere italiano) di un individuo. La
relazione di predicazione può essere espressa dal concetto di appartenenza a un insieme.
• (ii) è vera quando l’intersezione fra l’insieme degli italiani (la denotazione di italiano) e l’insieme
dei ragazzi (la denotazione di ragazzo) è un insieme vuoto.
Frege
•il modo in cui viene descritta la denotazione è stato chiamato “senso" da Frege
(1892).
Pagina 177
Carnap
•oggi si pensa che una definizione adeguata di significato di una parola o di un
sintagma passi attraverso l’individuazione del suo senso e della sua
denotazione.
• se i suoni delle parole sono uguali, ma i significati non lo sono, le due parole si chiamano
omonimi.
- es: ceco e cieco (seppur non omografi), piatto (oggetto) e piatto (aggettivo)
• se i significati di due parole sono uguali, ma i suoni non lo sono, le due parole si chiamano
sinonimi (i veri sinonimi sono parole che si usano con lo stesso valore in ogni contesto).
• a volte una parola vuol dire l’opposto di un’altra, cioè si hanno degli antonimi (i veri antonimi
sono parole che hanno valore opposto in ogni contesto).
• il significato di fiore include una varietà di tipi, mentre margherita è uno di quei tipi (una
margherita è un tipo di fiore).
• questa relazione fra due parole si chiama iponimia (margherita è un iponimo di fiore).
• polisemia: ci sono parole che che hanno un significato che cambia a seconda del contesto (non
hanno quindi un unico significato).
- può essere il risultato della possibilità di due analisi strutturali (es: Porto con me una scatola
di orecchini di metallo).
- può essere il risultato dei diversi modi in cui interpretiamo vari operatori. Le possibilità di
diversi livelli di portata della negazione o della quantificazione o anche della modificazione
molto spesso causano l’ambiguità (es: Carlo non mente a sua moglie perché la ama).
• parafrasi:
Pagina 178
• contraddizione:
- es: Questa è una margherita e non è un fiore. (l’iponimia contribuisce alla contraddizione)
• frasi nelle quali il significato di una sia incluso nel significato dell’altra:
- vedere se una frase implica l’altra: una frase X implica un’altra frase Y se quando X è vera,
anche Y deve essere vera.
La semantica e la logica
• linguaggio logico dei filosofi e linguaggio ordinario: utilizzano gli stessi connettivi
congiunzione e disgiunzione o
• Mario è medico e Carlo è maestro è vera solo • Mario è medico o Carlo è maestro è vera se
se tutte e due le parti sono vere
almeno una delle due parti è vera
• ci sono delle differenze fra l’uso di frasi con e e o nella logica filosofica e nel linguaggio
ordinario.
• un sillogismo valido:
- Socrate è un uomo.
Socrate
tutti gli uomini
tutti i gatti
tutti i cani
tutti i mammiferi