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DIDATTICA 2

29/09/2020
Laboratori non obbligatori. È una attività altamente consigliata.

La prima parte del corso è legata alle questioni teoriche. Non si parlerà subito di e-learning. Si
affrontano le cose teoriche della triennale ma in modo magistrale con accuratezza. Bisogna usare
una terminologia appropriata non per i nomi o per le date ma per la terminologia.
Si parlerà di italiano tra stranieri, emigrazione e conseguenze. Lingua italiana a stranieri inquadrata
nel 2020, l’anno in cui viviamo.
Sono passati decenni dalle prime migrazioni.
In Argentina il 70% è di origine italiana ma chi va in classe non è figlio del primo emigrato ma
magari nipote o pronipote. Quindi l’italiano del mondo non è solo frutto della migrazione. Perché
dobbiamo considerare gli altri anni dopo. Gli altri 30 anni in cui l’emigrato si è stabilito e si è
costruito una famiglia. E poi i figli o nipoti andranno a studiare in classi di italiano per stranieri.

Bisogna studiare bene il libro anche le cose che non trattiamo in classe.
Alla fine del corso affronteremo la questione dell’online. Non sarà un corso di informatica
linguistica. si parlerà sempre e comunque di didattica delle lingue.

Il numero due di didattica è solo per distinguerlo dagli altri corsi. Non sono due corsi cronologici.
Non è una continuazione ma sono due corsi distinti.
L’importanza della didattica a stranieri nel panorama della didattica delle lingue. La quesitone
dell’italiano a stranieri richiama tantissimi argomenti. Osservare la didattica delle lingue dal punto
id vista di questo corso consente di illuminare molti scenari.
Cosa si insegna? La lingua italiana? No. Cosa andremo a insegnare ad uno straniero? Non è una
domanda campata in aria. È una questione densa di significati e concetti di una portata enorme.
Cosa è la lingua italiana? Cosa andremo ad insegnare?
Dire che si insegnerà italiano è una risposta che si dà ma generica. Chi entra in aula sa che la
quesitone di cosa insegnare è molto complicata. L’italiano parlato da un calabro per esempio non
è lo stesso di quello di un milanese.
L’italiano di Totti è italiano? Ha bisogno di un corso di lingua? Queste domande e queste battute ci
fanno accendere una lampadina. L’italiano non è uguale per tutti. Non è parlato nella stessa
maniera da tutti.
Noi siamo un territorio abitato da dialetti. In più non siamo solo il territorio dei dialetti. La penisola
italiana è abitata da varietà regionali e dialettali quante sono le regioni. L’italiano si un siciliano
non è uguale a quello romano. Questa distinzione per regioni è a maglie molto larghe.

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Tutte le lingue hanno delle variazioni. Anche in inglese si ha così come tutte le lingue del mondo.
Noi però non variamo tra nord e sud o tra alto tedesco o basso tedesco, né tra italiano dei ricchi o
dei poveri. Noi variamo tra l’italiano parlato per esempio a porta Camollia e uno a porta Romana.
La variazione è un fenomeno generale e di tutti. Non è una novità. La vera grande novità è che la
variazione avviene su UN TERRITORIO MINUSCOLO. Quindi, questioni legate alle variazioni
linguistiche o conflitti tra parlate differenti sono questioni che da noi esplodono sulla superficie
minuscola. Noi abbiamo molta variazione su un territorio non grandissimo come gli altri stati.
La quesitone dell’italiano quindi non riguarda la varietà o i dialetti ma è la capacità di aver creato la
tempesta in una tazzina di caffè. Molte variazioni in uno stato piccolissimo. Questo crea dei
problemi enormi.
Quindi quale italiano andare ad insegnare ad uno straniero? Immaginiamo un migrante che arriva
a Lampedusa e che ha un primo contatto con i pescatori là. Poi arriva la guardia costiera magari
napoletani. Quindi entra in contatto con loro. Poi arriva al centro dove magari trova un prete
veneto. 3 persone che incontra e 3 parlate differenti. Poi magari va in classe ed incontra un
insegnante di un'altra regione magari.
Che conflitto si crea nella mente del migrante? Cosa andare ad insegnare?
Scardinare l’idea monolitica dell’italiano che ci spinge verso una finzione. Cioè che si possa parlare
di italiano standard condiviso e accettato da tutta la comunità di parlanti.

Quanto l’Italiano standard è insegnabile? Quanto ha senso per uno straniero sapere la norma
dell’italiano standard? L’idea di insegnare solo lo standard ci porterebbe a negare la legittimità di
una frase tipo “se lo sapevo non venivo”, così come “ma però” o “a me mi”.
Se crea incertezza già in noi parlanti figuriamoci negli insegnanti o negli apprendenti. Uno dei temi
che affronteremo è infatti quale lingua insegnare e perché?
Per il prof. Uno straniero deve poter arrivare a capire tutti quando parlano, che sia Totti o
Cannavacciuolo. Questo è l’obiettivo.
Quindi non devi capire solo il professore che parla ma tutta la comunità. Non si può tagliare la
fetta più importante per chi viene nei corsi universitari. Perché loro vengono per capire e parlare
con gli italiani e vivere magari in Italia.

Ci sono un sacco di conflitti linguistici, anche in Toscana. Anche qui tra due paesini per esempio
vicinissimi si hanno differenze linguistiche. Anche una terra come la Toscana non è immune alle
variazioni.
Il compito complicato dell’insegnante è quello di avere delle variazioni così vicine tra di loro.

30/09/2020

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Cosa andare ad insegnare?
Abbiamo analizzato la questione dell’italiano.
Più si è giovani di età e di carriera più si ha un’idea ferma e bloccata dell’italiano. Proprio la
generazione delle innovazioni rimane bloccata. La lingua si muove e si sta muovendo. Le strutture,
il code mixing, si tratta di un italiano che non si presenta così nei manuali.
Orientare l’insegnamento solo sull’italiano dei libri di testo è assolutamente controproducente
perché può succedere che per gli stranieri ci siano delle incomprensioni o delle difficolta nel capire
l’italiano di tutti i giorni.
L’italiano che usiamo quando parliamo con gli amici ha la stessa dignità dell’alto italiano. La lingua
italiana è un continuum di usi che vanno dalla lingua che si usa al bar sino a quella che si usa
all’università.
Proviamo a disegnare come è questo italiano.
Abbiamo parlato di continuum. Termine latino. È un termine, una metafora moltissimo applicata
nelle scienze linguistiche. Cosa esprime l’ida di continuum? Il fatto che le cose non sono disposte in
una struttura bianco/nero si/no ma si dispongono tramite una logica fuzy, sfumata. Continuum è
una metafora che si usa sempre più perché i fatti di lingua quasi mai sono discreti e divisibili.
Appartengono tutti ad un mondo di sfumature e fatto di grigi. Non solo vero/falso.
Se ci pensiamo il mondo che ci circonda anche è fatto così. I computer che erano nati con l’idea del
binario (idea aristotelica) sono più potenti ora rispetto al passato perché si sono adattati ad una
idea fuzy, sfumata.
Da una logica aristotelica a quella sfumata. Idea del continuum.
Da quando i logici matematici hanno inquadrato il mondo così i linguisti lo hanno anche assunto
per studiare la lingua. La lingua si muove secondo una logica sfumata e grigia. Difficile distinguere
cosa è vero e cosa è falso.

Nella didattica dell’italiano l’idea di continuum si usa quando parliamo di cosa è la lingua italiana.
Il continuum è graficamente una linea, un segmento dove noi collochiamo cosa? Gli usi della lingua
italiana. Quando ragioniamo in termini di didattica di italiano cosa condiziona le nostre scelte? Gli
usi, non tanto le regole dell’italiano. Ricordiamocelo anche quando andiamo ad insegnare
l’italiano. Non sono le regole della grammatica a condizionare le scelte.
Quando una grammatica è fatta bene descrive bene come gli italiani USANO la lingua.
Visioni ingenue dell’italiano > molti pensano che la Crusca o i grammatici decidano cosa mettere
nelle grammatiche. La Crusca non ha il compito di indirizzare la lingua italiana, semmai di fare
ordine rispetto alle SCELTE LINGUISTICHE DEGLI ITALIANI. Le scelte linguistiche non tanto degli
italiani ma di chi usa l’italiano. La lingua italiana non è degli italiani ma di chi parla italiano.
L’italiano è di chi lo usa. Non c’è nessuna correlazione tra essere nati in Italia o avere un
passaporto italiano.

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Scardinare l’idea di confini italiani=lingua.
L’idea di 1 lingua 1 stato e 1 nazione non sussiste più. È una idea che non ha fondamento
scientifico. La lingua non è un terreno dove ci sono identità nazionali. La questione è molto aperta.
Su cosa organizziamo la nostra idea di lingua?
Quindi cosa si fa in classe? Il caos? Dobbiamo metterci dei confini.
Cosa c’è dentro questo continuum? Lì dentro c’è tutto quello che è possibile esprimere in lingua
italiana e tutti i modi con i quali è lecita esprimere quella determinata cosa in Italia. Quindi si
possono anche mettere i GESTI che sono una forma di comunicazione. Gesti che non vanno confusi
con le lingue dei segni, lingue parlate dai sordi (LIS).
Molti pensano che la LIS sia uguale ai gesti che gli italiani usano. Si pensa ingenuamente ciò. In
realtà i sordi hanno una lingua, un codice completamente sganciato dalla gestualità italiana. Si
affida al movimento delle mani in verticale e anche orizzontale, delle dita e qualche volta a suoni
gutturali della bocca. Quando ci sono cose non traducibili in un segno usano quella che si chiama
DATTILOGIA: per indicare i nomi propri per esempio.
I gesti fanno parte della comunicazione anche vocalica. Si possono dire tantissime cose con i gesti,
talvolta i gesti sono più forti rispetto alle parole. Appartengono però all’universo delle
comunicazioni possibili. All’altro polo del continuum cosa ci possiamo mettere? Ci mettiamo quella
italianità scritta, articolata, eccelsa. Che naturalmente tutti noi utilizziamo nello scritto. Pensiamo
alla DIVINA COMMEDIA > vetta inarrivabile di italianità. Dobbiamo intendere una italianità scritta e
letteraria che molti pensano sia l’italiano perfetto e inarrivabile. Non sempre è l’italiano migliore o
più appropriato.
Si parla quindi di un continuum polarizzato tra GESTO (IL NON VERBALE) e l’italianità perfetta. Il
gesto è qualcosa che non si esprime neanche linguisticamente, universo semiotico che coinvolge il
modo di vestire, atteggiarsi, gesti, ecc. Dimensione che non entra mai in un corso di lingua ma che
però dovrebbe entrarci. Pensiamo al saluto in Italia con due baci. Un inglese non potrebbe mai
capirlo o accettarlo. Uno straniero dovrebbe conoscere anche queste cose e vuole vivere bene tra
gli italiani e se vuole capire bene la lingua italiana. Sono informazioni utili per uno straniero.
Dentro il continuum c’è tutto il mondo possibile dell’italiano. Sono cose sia SCRITTE che ORALI.
Quando si parla di grammatica di italiano forse dovremmo parlare di grammatica al plurale (una
per lo scritto e una per l’orale). Queste informazioni oggi circolano, prima non era così. Anche nella
manualistica di scuole medie e liceo si trovano segni di questa distinzione. La scuola di prima non
teneva alcun conto di tutto ciò. prima si doveva “parlare come un libro stampato”. Quindi parlare
con le regole dello scritto: è la cosa peggiore che si possa fare perché si stanno mischiando due
grammatiche.
C’è una grammatica dell’orale e una dello scritto completamente differente. Quando si parla di
grammatica dello scritto dobbiamo distinguere anche al suo interno, così come anche quella del
parlato.
Se vado al mercato devo usare un certo italiano. Non si può usare quello aulico. L’idea che bisogna
sempre esprimersi tramite lo standard, tramite l’aulico è sbagliata. Al contempo così come è

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legittimo l fatto che io mi esprima con un certo italiano dal verduraio, è altrettanto vero che non
posso e non devo esprimermi con quell’italiano all’università.
MOLTI ITALIANI DA INSGNARE. C’è un italiano per l’università e uno per comprare un kilo di mele.
Non sono la stessa cosa da nessun punto di vista.
Per lo scritto vale la stessa cosa. Per esempio, si può dire sia professore che prof. È ovvio che in
una tesi non si vada a scrivere prof ma si utilizzerà per esteso il termine.
Quindi non c’è una regola, ce ne sono tante in base alle situazioni eccetera. Cosa sono queste
moltitudini di cose all’interno del continuum? Cosa c’è lì dentro ancora? Altra domanda
interessante. La risposta che diamo è quello che ci consente poi di andare ad insegnare.
Quindi la domanda rimane sempre la stessa: COSA DEVO ANDARE AD INSEGNARE? Non bisogna
fissarsi sull’idea che bisogna insegnar esclusivamente l’italiano aulico, bello e letterario. Molto
spesso questo italiano è quello che serve meno al pubblico, agli studenti.
Come è scandibile la lingua italiana? Come faccio a dettagliare questo continuum? La risposta che
va data è che: L’ITALIANO È FATTO DA TESTI.
La lingua italiana è un insieme quasi infinito di testi. Naturalmente dobbiamo capire cosa significa
testo.
Il termine evoca nella mente di un italiano un qualcosa di scritto. Infatti, ancora oggi si parla di
libro di testo o testo per l’esame. Quindi tendiamo ad associare la parola testo a qualcosa di
scritto. Per esempio, le canzoni sono testi orali. I cantanti sono autori di testi tanto quanto i poeti o
romanzieri che scrivono. Questa cosa qui non c’è sempre stata. Noi per esempio ricordiamo più
facilmente le canzoni rispetto alle poesie o altri testi. Questo semplicemente perché siamo più
attratti dalla musica.
Autori di cantanti con valore letterario.
Il testo rimanda ad una idea scritta. è testo solo ciò che ha valore letterario? Ciò che è considerato
bello da degli esperti di lingua italiana? Nei manuali e nei corsi di letteratura italiana non si
studiano tutti i testi possibili ma solo quelli riconosciuti.
Nei licei non entrano testi di autori trap ma testi di cantautori italiani degli anni 70 per esempio.
Quindi c’è l’idea di una cosa degna e una cosa non degna. L’altro passo quindi che dobbiamo fare
per capire il testo in italiano è dire che quando parliamo di testi parliamo di QUALSIASI
OCCORRENZA COMUNICATIVA. Qualunque cosa che venga espressa in lingua italiana. Quindi dal
nostro punto di vista, di chi non deve insegnare letteratura italiana o fare manuali per le scuole.
Noi dobbiamo insegnare italiano e dobbiamo avere coscienza di cosa è l’italiano dobbiamo
mettere dentro tutto ciò che è esprimibile in lingua italiana. Quindi dobbiamo anche considerare
italiano tanto quanto le canzoni di de Andre quanto le canzoni trap.
Noi che dobbiamo insegnare l’italiano e dobbiamo sapere cosa è italiano dobbiamo fare questo
tipo di scelte. Lo straniero quando arriva in Italia non c’è distinzione tra trap o canzone degli anni
50. Non sa nulla di tutto ciò. per lui è tutto italiano. Questa è la base di inizio per le cose che
dobbiamo insegnare.

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Grande differenza tra chi si occupa di letteratura o anche chi si occupa di linguistica testuale e chi
fa didattica della lingua italiana  chi se la passa meglio? I linguisti analizzano il testo e studiano le
regole. Poi c’è chi fa didattica della lingua italiana.
Ci sono quindi questi tre soggetti:
- Chi fa letteratura è quello che se la passa meglio perché può decidere cosa trattare. Può
decidere se l’autore X vale e quello Y no.
- I linguisti analizzano i testi e le regole. Se la passano ancora meglio perché dicono che il
testo ha delle regole (coerenza coesione e corrispondenza grammaticale). Quindi io vado a
casa è un testo ma io andare casas non è un testo perché non è coerente coeso o non
rispetta le regole quindi loro discernono ciò che vinee considerato e ciò che no.
- Chi si occupa di didattica di italiano ha molto da fare. Ha a che fare con tutto. Dall’italiano
più sgrammaticato possibile a quello più aulico, perfetto ed intonato possibile. Quindi
NULLA è PRECLUSO ALLA NOSTRA GIURISDIZIONE. Quando si insegna italiano non
possiamo mai non considerare una parte della lingua. Si ha l’obbligo di fare il contrario.
Dobbiamo dire una cosa importantissima  Chi si esprime male sono non solo stranieri. È una
grande questione della lingua italiana. Non si parla di italiani (parlano bene) VS. stranieri (non
parlano bene). Non succede questo ed è un problema anche per gli stranieri perché non hanno un
modello da seguire da tutti.
Nessuno di noi sa se si dice MONDEZZA, MONNEZZA, RUSTICANZA, SPAZZATURA ECC. Ognuno di
noi utilizza una parola o una regola diversa dagli altri italiani. Ogni città ha i loro modi di dire. Gli
stranieri non sanno ovviamente cosa dire perché non hanno un modello unico.

06/10/2020
Abbiamo parlato del continuum di testi. È una metafora per indicare come i fatti linguistici anche
quelli della conformazione della lingua italiana si dispongono non in maniera discreta ma in
maniera fuzzy, sfumata. Accanto al bianco si ha anche il grigio. Abbiamo provato a definire dal
punto della didattica dell’italiano cosa è l’italiano. La nostra lingua è definibile come un INSIEME DI
TESTI. Alla domanda che vuol dire conoscere l’italiano, che è la domanda cardine di una qualsiasi
persona che voglia insegnare italiano, dobbiamo trovare una risposta. Qualsiasi docente dovrebbe
porsi questa domanda. Perché ci definiamo parlanti di italiano bravi al punto di volerlo insegnare
mentre gli studenti sono discreti parlanti di italiano? La domanda trova una sua risposta proprio in
questa idea di continuum della lingua.
Allora parlare italiano bene vuol dire essere in grado di gestire produttivamente o ricettivamente i
testi italiani. Naturalmente dobbiamo ricordare quello che abbiamo detto riguardo la nozione di
testo. Il testo non è solo scritto, aulico e lungo.
Anche una parola o un gesto può essere testo. Abbiamo scardinato l’idea tradizionale di testo. Se
non si parte da questo scardinamento non capiamo cosa vuol dire padroneggiare i testi, anzi si
finisce nel baratro dell’insegnamento del solo italiano letterario. Idea scolastica dell’italiano per
italiani. A scuola quasi mai si lavora su testi non letterari. C’è l’idea che non si debbano studiare

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cose non letterarie ma ognuno poi a casa se le va a studiare o conoscere da soli. Raramente a
scuola abbiamo fatto cose diverse da commenti o saggi o testi aulici.
Noi consideriamo il fatto che noi italiani a scuola media o superiore sappiamo già parlare italiano e
abbiamo un input maggiore rispetto agli stranieri. Quindi a scuola si lavora su registri alti. Per gli
stranieri è diverso.
Questa idea funziona per i ragazzi italiani ma deve essere cancellata quando si è a contatto con gli
stranieri. Gli stranieri non arrivano in classe portandosi dietro 10 anni di esperienza o frequenza in
Italia. Non sono sommersi e immersi di testualità italiana. Per loro è tutto nuovo. Quindi questo
continuum deve comprendere tutti i tipi di testi sia gesti che parole, al punto che descritto in
questo modo l’italiano diventa un insieme di cose che non potranno mai stare dentro un corso di
lingua. Stiamo parlando di un oggetto di una vastità enorme.
Quante sono le parole in italiano? L’italiano è rispetto alle altre lingue in una fase evolutiva
linguistica giovane e sinonimica. Noi abbiamo ancora casa, dimora, rifugio ecc. Le tendenze
linguistiche sono quelle che poi quando abbiamo sul piatto 7-8 sinonimi di un concetto poi
evolutivamente parlando se ne terranno in futuro 2 o 3. Otto modi per dire una cosa sono molti.
Noi però siamo in questa fase sinonimica. La grandezza delle lingue è una questione che riguarda
in particolare la lingua italiana. Quindi dobbiamo pensare ai milioni di parole della lingua italiana.
Solamente la scienza della biologia è già arrivata a contare una milionata di occorrenze. E questo
numero è in continua crescita. E si parla solo di biologia. Negli altri settori ce ne sono anche molte.
Quindi le parole dell’italiano sono innumerevoli. Potremmo dire infinito numero di parole ma
sarebbe una approssimazione. Innumerevole significa impossibile da contare, infinito è appunto
senza una fine.
Le parole hanno anche un'altra difficoltà. Non solo sono tante, ma cambiano nel tempo. Ci sono
parole che si usavano una volta ma ora non si usano più o perché passano di moda o perché
scompaiono gli oggetti. Ci sono anche parole nuove che arrivano, come le parole legate al web.
Parole come googlare. Parole che 10 anni fa magari non esistevano. Sono fenomeni legati alla
normale evoluzione delle lingue. chi decide i cambiamenti linguistici. Chi decide che si può usare
googlare? I PARLANTI.
È una risposta che ha una conseguenza perché quando vado ad insegnare non devo pensare a ciò
che mi piace in quanto docente o meno. Se una parola circola e se viene usata allora uno straniero
ha il diritto di sapere quella determinata parola. La deve sapere.
Parliamo quindi di questioni enormi per non parlare poi della sintassi. I combinati delle frasi sono
infinite. Le frasi possibili di una lingua sono potenzialmente infinite.
Quindi parole, frasi e significati sono infiniti.
L’unica cosa limitata numericamente è la fonetica dell’italiano nel senso che l’italiano si mantiene
dentro questi 35 circa suoni che non cambiano. C’è quindi un inizio e una fine. Ancora oggi c’è
qualche insegnante che insegna la lingua straniera partendo dai suoni di una lingua. Si può fare
perché sono di numero finito. Per tutti gli altri livelli, lessico, sintassi, pragmatica ecc. è
praticamente impossibile avere un numero preciso. Parliamo dell’universo della testualità che è

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quasi infinito di possibilità espressive, sia belle che brutte ovviamente. A livello di opzioni è
potenzialmente infinito.
Allora nasce una questione molto importante come faccio a controllare questo universo infinito?
Per i docenti il lavoro è difficile perché bisogna insegnare tutte queste ose. Chi ci sta di fronte non
vuole problemi ma soluzioni. Non possiamo dire agli studenti che l’italiano è toppo grande quindi
non possiamo farci nulla.
Noi dobbiamo dare gli strumenti e dobbiamo trovare un modo per far sì che lo studente possa
padroneggiare questo insieme infinito.
L’unica via che viene in mente è non dire IO TI INSEGNO ITALIANO perché si ha un sistema di
attese da parte degli studenti perché sono convinti di imparare TUTTO l’italiano. Noi invece
dobbiamo sapere che non possiamo insegnare tutto l’italiano per un semplice motivo: perché
nessun parlante conosce tutto l’italiano. Qui non è un problema di dialettofonia, bassa
scolarizzazione o storia linguistica italiana. Ovviamente studiare aiuta, leggere aiuta ma anche i più
intellettuali non sanno tutto l’italiano.
Nessuna mente umana è in grado di poter dire IO RIESCO A GESTIRE TUTTO QUESTO CONTINUUM
dal gesto alla divina commedia. Ogni ambito del sapere ha una sua specificità. C’è l’italiano degli
avvocati, quello dei linguisti eccetera. Quanti italiani sanno leggere e capire Dante senza l’aiuto di
qualcuno? Nessuno quindi è in grado di gestire l’intero infinito dell’italiano.
Se non siamo capaci noi di gestire tutto perché lo pretendiamo da uno straniero? Noi viviamo con
una porzione di italiano. Dobbiamo capire cosa selezionare per andare ad insegnare. I modi per
selezionare sono diversi. Alcuni sono dei non modi perché si è obbligati a fare quello che ci viene
detto. In altri c’è il libero arbitrio del docente.
Molto spesso si va ad insegnare una lingua in contesti dove ci viene detto cosa insegnare. Ad
esempio, a scuola si è obbligati a svolgere il programma scolastico. Il ministero impone quelle
scelte didattiche. In Italia decide il ministero, in altri paesi la scelta è decentralizzata, magari
scelgono le regioni o le aree.
In istituti frequentati da americani (year abroad), posti molto ambiti ed elitario, si insegna quello
che c’è scritto nel programma. Non si può fare altrimenti. Si è talmente obbligati ad insegnare
quello nel programma che addirittura ci può arrivare un richiamo dal dirigente se facciamo altro.
Quindi nella maggioranza dei casi si hanno le mani legate. Anche negli istituti di cultura. Si ha
anche una sorta di nonnismo per chi arriva dopo.
Dobbiamo però sapere che programmi prestabiliti a tavolini per la didattica dell’italiano quasi mai
funzionano. Perché? Non funzionano perché non tengono conto dei bisogni di chi è in classe.
Come selezionare gli argomenti del continuum di testi? La parola magica è BISOGNI.
Non devo insegnare l’italiano, anche perché è così vasto che non ci riusciremmo. Bisogna
insegnare L’ITALIANO CHE SERVE ALLA CLASSE, CHE CORRISPONDE AI BISOGNI DELLA CLASSE.
Tornando alla metafora del continuum, il principio per arrivare a padroneggiare il continuum non è
partire dalla prima lezione e poi arrivare alla fine del continuum. Tipo partire dai gesti e poi
arrivare ai testi super complicati. Molti insegnanti fanno così. Molti iniziano dai suoni e poi non si

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sa dove vogliono arrivare. Salta questa IDEA SEQUENZIALE. Perché? Messa in questo modo non si
va da nessuna parte. Un principio è non partire dai singoli suoni o dai gesti ma partire da CIO’ CHE
SERVE. Quindi è come se nel continuum creassi delle entrate basandosi sugli interessi della classe.
La questione dell’italiano letterario  si può anche parlare di esso perché la didattica dell’italiano
non è lineare. Basta scegliere i testi giusti e si può fare letteratura. Letteratura anche quindi alle
prime lezioni di una classe a2. Quindi anche ad un livello basso. È tutto basato sui bisogni e sulle
scelte del testo che facciamo. Magari non sarà una poesia super complicata ma una cosa di
linguisticamente semplice.
Quale è la differenza tra noi che insegniamo italiano e gli studenti? Noi è vero che non
padroneggiamo tutto il continuum ma noi ci muoviamo bene nella società italiana con quella
porzione di continuum che ho a disposizione. Ovviamene padroneggiare una porzione non vuol
dire che si tratta di una cosa lineare. Non si intende dire che siccome noi siamo studenti
universitari allora padroneggiamo fino ad un punto del continuum mentre uno studente della
scuola media padroneggia fino ad un punto inferiore rispetto a noi. Noi non ci incamminiamo
lungo la via dell’italiano. Noi padroneggiamo SPAZI DELL’ITALIANO.
Magari un avvocato padroneggia meglio uno spazio e io ne padroneggio meglio un altro. Ma tutto
si rifà anche ai bisogni. Possiamo padroneggiare bene le forme più colloquiali e magari meno altre
forme. Se siamo persone che scrivono molto abbiamo uno spazio sul continuum della scrittura.
Una persona che non scrive mai magari non condivide lo stesso spazio.
Come andrebbero scelti i contenuti di un corso? Andrebbero scelti sulla base die bisogni dei
corsisti. Quindi si dovrebbe abolire il termine CORSO DI ITALIANO e magari parlare di un CORSO DI
ITALIANO CHE TI SERVE. Porzione più piccola ed abbordabile per un docente.

QUADRO COMUNE EUROPEO DI RIFERIMENTO


Nel QCER il livello B è chiamato SOGLIA o AUTONOMIA. Perché si chiama autonomia/soglia? Qui
vediamo perché si parla di livello soglia e autonomia. Livello soglia perché è l’ingresso nella lingua.
Non si è più dipendenti da qualcuno che ti aiuta a muoverti nella lingua. Si ha autonomia.
Autonomia però anche da un altro punto di vista.
Abbiamo parlato di porte di ingresso nel continuum della lingua ma abbiamo anche detto che
l’italiano è enorme. Allora il punto non è solo da dove devono entrare i miei studenti nella lingua
italiana ma come fanno poi a muoversi dentro la lingua italiana. Quale è la vera differenza tra un
insegnante di italiano e uno straniero o un nativo non bravo in italiano. È che io posso anche non
sapere il significato di un termine, posso anche non sapere quale è il modo ideale per esprimere
un concetto nella mia lingua, ma ho gli STRUMENTI PER ARRIVARE A CAPIRLO.
Se non sappiamo un termine possiamo contestualizzare il tutto e capire di cosa si parla. Questo
vuol dire essere autonomi  ricostruirsi in autonomia le regole dell’italiano.
Quindi il vero grande obiettivo di un insegnante di qualsiasi lingua non è tanto spiegare le regole
dell’italiano, non è tanto presentare gli usi dell’italiano, soprattutto per chi poi insegna l’italiano in
Italia. Perché? Perché se insegniamo fuori dall’Italia siamo l’unico input che i nostri studenti
hanno, mentre in Italia è diverso. Da una parte questo rallenta molto lo sviluppo della competenza
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ma dall’altra è un vantaggio enorme per chi insegna perché si guida molto il percorso e scegliere di
cosa parlare oggi e domani perché loro dipendono da noi insegnanti.
Se pensiamo ad un insegnante italiano per stranieri che lavora in Italia è molto diversa. Pensiamo
all’insegnante italiano A23 che non solo insegna in Italia ma sta in una scuola di lingua italiana. In
questi casi non siamo noi a guidare il discorso. Loro sono continuamente immersi nell’italianità.
Quindi il nostro intervento di insegnanti non può essere quello di spiegare quali sono le parole
della scuola. Sarebbe strano. Allora l’obiettivo in quel caso non può essere di presentazione della
lingua italiana, semmai si deve far ordine nella testa degli studenti.
La quesitone dell’autonomia quindi si capisce molto di più. L’obiettivo è rendere autonomi i miei
studenti. Quindi farli camminare con le proprie gambe. Dobbiamo comportarci come dei genitori.
Dobbiamo dire ai nostri figli che esistono tante cose e dare a lui gli strumenti per capire come
funziona. Il figlio però deve essere prima o poi autonomo. L’obiettivo del genitore non è dirgli che
ci saremo per sempre al loro fianco, ma è di fargli capire come funziona il tutto per poterlo fare da
solo e in autonomia. L’autonomia di insegnamento è proprio questa. Insegnare a rendere il nostro
studente autonomo.
Humboldt diceva di non insegnare ma lui creava le condizioni affinché l’apprendimento avvenga.
Questo vuol dire autonomia. È questo il vero obiettivo nella didattica della lingua italiana 
RENDERE AUTONOMO LO STUDENTE.
Quindi è vero l’italiano è vasto e difficile ma non bisogna fermarci a questo. Bisogna partire da un
punto per poi allargare l’orizzonte dello studente. Questo avviene però in assenza di insegnanti. Se
vediamo quante persone frequentano i corsi di italiano ci sono un sacco di persone nei livelli bassi
e pochissime nei livelli c1 o c2. Questo si capisce perché chi parla bene una lingua straniera non
avrebbe mai bisogno di un corso c2. Per migliorare la competenza non ha più bisogno di un
insegnante. Troverà degli strumenti diversi, tipo cinema, serie tv in lingua originale o leggere
giornali stranieri.
Arriverà il momento in cui gli studenti abbandoneranno i corsi. Uno degli obiettivi della didattica è
rendere il prima possibile autonomi gli studenti. Molte similitudini col genitore. L’obiettivo del
genitore non è coccolarlo ma fargli capire come funziona il mondo per cavarsela da solo.

La competenza linguistica
Parliamo ora di un altro tema importante. Parliamo della questione della COMPETENZA
LINGUISTICA. Si parla di competenza e lo si fa al singolare. Questa accezione di competenza al
singolare è una di quelle cose che tradiscono la vera essenza delle cose. Il vero modo pe definire
competenza sarebbe al plurale. COMPETENZE.
Non è solo saper scrivere, leggere e parlare. Bisogna sapere che prima di fare tutto ciò bisogna
avere dentro di noi una serie id competenze (fonetica, pragmatica, sintattica ecc.). Non procedono
mai all’unisono. Se pensiamo alle nostre competenze nelle lingue straniere non sono mai
bilanciate.

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Le competenze non sono blocchi che ci sono o non ci sono. È un insieme di cose. Insieme di abilità,
come le abilità principali (parlare, leggere, scrivere ed ascoltare). Ci sono cose miste tipo prendere
appunti o parlare al telefono. Dentro le abilità Generali quindi ci sono altre abilità.
Queste abilità devono essere sostenute da competenze pragmatiche, lessicali, sintattiche,
fonetiche e fonologiche. Quando si va ad insegnare una lingua mi devo ricordare di coltivare tutti
questi orticelli. Non mi devo fossilizzare solo su uno né pensare che siccome si fa un lavoro
enorme sulla scrittura allora lo studente imparerà anche a parlare. Ci si deve allenare a fare tutte
queste cose insieme.
Ultima quesitone relativa alla competenza linguistica. Per tantissimo tempo si è dibattuto sul fatto
se la competenza di una lingua sia la conoscenza delle regole o il saper parlare. Quindi se era una
competenza LINGUSITICA o COMUNICATIVA. Si è dibattuto molto su questo. La risposta ce la dà il
QUADRO QUANDO DEINISCE QUESTA COMPETNEZA come competenza LINGUSITICO-
COMUNICATIVA.
Quini per parlare e per comunicare bisogna avere le regole e se hai le regole sai anche
comunicare. È sciocca l’idea di insegnare una lingua solo comunicando così come è sciocca l’idea di
insegnare la lingua solo fossilizzandosi sulle regole.

07/10/2020
Parliamo del pubblico che si avvicina ai nostri corsi. Fino a ora abbiamo iniziato a concentrarci su
CHE COSA. Ora vediamo A CHI.
Tutto ciò che diremo da ora in poi rispetto alla questione degli apprendenti e per quello che è
contenuto nei manuali non si tiene conto della pandemia. Essendo una cosa che blocca
pesantemente gli spostamenti, ha delle ricadute pesantissime su molti ambiti della nostra vita
soprattutto sulla didattica delle lingue. Questo avrà una ricaduta sull’insegnamento e gli studenti.
Gli americani per esempio adesso non possono venire in Italia. Tutte le riflessioni che faremo
quindi non tengono conto di questo aspetto qui.
Stiamo discutendo e narrando di una situazione che forse tra qualche anno ci si mostrerà davanti
in maniera differente. Diremo comunque delle cose al riguardo ma siamo ancora troppo dentro il
fenomeno per poterlo affrontare col giusto distacco.

Questione se l’italiano è una lingua MOLTO insegnata o POCO insegnata. Parliamo solo di italiano a
stranieri e non per gli italiani.
Una retorica ministeriale enfatizza molto la questione dell’italiano nel mondo dicendo che si tratta
della terza o quarta lingua nel mondo. Ogni anno, si svolge la settimana della lingua italiana nel
mondo (festa a Novembre). Eventi per la promozione della lingua italiana del mondo.
Facciamo il punto su come l’italiano è percepito all’estero e così via.

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Accompagnata alla settimana della lingua italiana si hanno gli STATI GENERALI DELLA LINGUA
ITALIANA  sono delle riunioni fatte alla Farnesina (ministero degli affari esteri). Partecipano tutte
le persone interessate e coinvolte alla didattica di lingua italiana. Anche l’UNISTRASI e
L’UNISTRAPG partecipano. Partecipano le parti istituzionali.
Chi sono i ministeri predisposti alla diffusione della lingua italiana nel mondo? Chi regola questi
spostamenti di docenti di italiano? I ministeri coinvolti sono quello dell’istruzione e quello degli
affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI). Sono i due ministeri che regolano la
diffusione dell’italiano nel mondo. Ora ci stiamo concentrando sul versante istituzionale, in realtà
la questione dell’italiano del mondo è sostenuta da due grandi assi, non solo quella ministeriale
appena citata ma anche il versante legato a INIZIATIVE PRIVATE.
Quindi la parte istituzionale non esaurisce la questione italiana. Sono iniziative private legate a tre
ambiti. C’è l’istituzione privata semplice (gruppo di persone che mettono in piedi una scuola di
italiano), le associazioni di italiano all’estero (come l’associazione dei calabresi nel mondo per
esempio, tutto questo grazie alle migrazioni) ci saranno feste del santo patrono e tradizioni italiane
in questi luoghi, promozione della lingua all’estero, istituzioni locali che organizzano corsi di
lingua italiana proprio come avviene in Italia per le lingue straniere.
Entrare in quel mercato lì è molto importante, perché se si diventa una lingua insegnata a scuola in
Argentina per esempio, si hanno tipo 10 mila studenti l’anno. La battaglia è presidiare quei posti lì,
fare accordi con governi locali per mettere l’italiano nelle scuole e nelle università.
Importantissimo per capire l’andamento dell’italiano nel mondo. In Nord Americo chiudono ogni 6
mesi una cattedra di italiano. Non si manda a casa solo un insegnante, ma si chiude un rubinetto
importantissimo perché ogni anno in classe c’erano 50 studenti di quel dipartimento. Questo
canale qui si ricongiunge al canale istituzionale italiano. Chi può lavorare su questo? Le istituzioni
italiane che a volte non riescono.
C’è il problema che le accademie di tutto il mondo hanno una giurisdizione propria. A noi nessun
governo ci ha detto di aprire un corso di spagnolo per esempio, però ci possono essere casi in cui i
governi intervengono. Per esempio, il corso di coreano all’UNISTRASI è un corso che è co-
finanziato dalla korean fundation che è l’equivalente della Crusca. Si apre il corso di coreano, loro
danno parte di finanziamento per pagare i docenti e collaboratori ma loro ci guadagnano. Quale è
il ritorno economico? Non è questione economica di rette e di soldi. La vera entrata di questa
“azienda” è nell’indotto, in quello che la conoscenza della lingua genera nella diffusione della
cultura, dei prodotti e del turismo estero. Questo è il meccanismo. Quando si parla di diffusione
delle lingue nel mondo non è solo un problema di cattedre di italiano ma un problema di sistema-
paese che viene sostenuto dalla promozione della lingua e cultura.
Su questo, i grandi maestri sono stati gli inglesi. Noi siamo tutti figli della percezione chela lingua
inglese è utile e necessaria per la comunicazione, quella che serve per vivere e lavorare. Ma non è
stato sempre così. L’inglese non ha un dono divino. C’è stata una fase dove il francese era una
lingua in competizione con l’inglese. Era un’alternativa plausibile. Oggi è diverso. Oggi l’inglese è
obbligatorio per tutti, poi per chi vuole può fare una seconda lingua.
Perché sono nate le cattedre di cinese? Perché è iniziato tutto? Un po’ perché la popolazione
cinese è di numero rilevante in Italia. La comunità cinese però è molto chiusa al suo interno, hanno

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i loro spazi e i loro luoghi. Quindi questo non ha smosso la didattica del cinese. Così come il
coreano, c’è stato un intervento governativo cinese che ha finanziato le cattedre di lingua cinese.
L’economia viene a soccorso della cultura. Perché si pagano le cattedre di cinese? È una esigenza
di aprirsi al mondo, per fare imparare il cinese agli altri perché attraverso l’apprendimento di una
lingua si entra nel tessuto produttivo di un paese.
Al Ministero non importa molto della cultura italiana. Al ministero interessa che l’economia
italiana possa sopravvivere all’estero e l’unico modo è diffondere la lingua italiana.
L’inglese è un esempio perfetto. Questa grande diffusione dell’inglese che non ha origini sacre o
magiche (perché non ha nulla in più rispetto alle altre lingue) ma si rifà ad una diffusione nata
quasi a tavolino dopo la Seconda guerra mondiale. Siamo negli anni 50. Dall’America è partito
tutto e non dalla Gran Bretagna. Il motore sono stati gli USA.
Le condizioni di partenza erano molto favorevoli perché c’era già stata la colonizzazione e empie
fette di mondo che parlava la lingua inglese. Ma c’è un contro esempio che funziona molto bene.
Anche lo spagnolo era nella stessa situazione e se la giocava con l’inglese. Se l’inglese era stata la
lingua colonizzatrice, lo spagnolo aveva tutto il Sud America, la Spagna e altre piccole colonie. Il
francese meno ma anche lui aveva un vantaggio. Ma perché solo l’inglese ha sfruttato questo
vantaggio? Perché ha messo in piedi quasi a tavolino una “campagna pubblicitaria” sulla lingua e
cultura inglese che è passata tramite i canali dell’industria cinematografica di Hollywood.
Hollywood è stato il braccio armato della lingua inglese. Noi siamo stati inondati di immagini
provenienti da una filmografia americana che ha soppiantato le cinematografie mondiali e ci
hanno fatto vedere l’America un po’ come un mito.
La ROUTE 66 non ha nulla in più delle altre strade italiane. Ma gli americani ci hanno costruito un
mito attorno. Anche la musica e la moda americana è molto presente ancora oggi. ha fatto della
lingua inglese la lingua che oggi conosciamo. Ci hanno convinto che se vuoi essere figo devi amare
e vivere come gli americani. Hanno fatto nascere quasi a tavolino il “mito dell’inglese e
dell’anglofonia”. Poi il fenomeno appena partito si autoalimenta. Pensiamo sempre al cinema, il
cinema di Woody Allen per esempio ha creato anche una contro cultura americana come i film sul
Vietnam.
La musica latino-americana non si sente tanto quanto le canzoni inglese. Ora l’inglese non ha
neanche bisogno di tutto questo vantaggio pubblicitario perché il tutto si sostiene da solo, però
ricordiamoci che le lingue sono elementi vivi, quindi l’inglese al momento ha un potere
incontrastato. Atteggiandosi come dei linguisti però si possono già cogliere qualche segnale di
scricchiolio della potenza inglese. Noi non possiamo sapere se l’inglese manterrà questo status
quo. Ci sono lingue che cominciano a scalfire il potere della lingua inglese. Tra queste
naturalmente lo spagnolo.
Lo spagnolo che ai blocchi di partenza poteva giocarsela con l’inglese. Erano a parità di parlanti e
avevano un continente a testa. Per non parlare del cinese. Quando si parla di un miliardo di
parlanti cinese sono tutti madrelingua, mentre per l’inglese non è così.
Lo spagnolo non aveva lo strapotere nell’imaginario delle persone. Quando si pensa al potere delle
lingue bisogna fare riferimento all’immaginario. Non avevano vinto la guerra e non avevano
questo potere linguistico. Oggi lo spagnolo sta vivendo una stagione di espansione.
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L’inglese è forte per gli USA e non per la GB. Oggi in America ci sono intere aree ormai quasi
perfettamente bilingui. Sono gli stati del Sud America. Ricordiamo la Florida ma anche New York. Lì
si può vere parlando solo spagnolo.
i dibattiti televisivi da un bel po’ di anni sono sottotitolati. Perché c’è questa esigenza? C’era una
fetta di popolazione che parlava spagnolo. Questo è un segnale fortissimo di diffusione dello
spagnolo.
L’altro momento cardine della cultura americana è il Super Bowl. Momento catartico per gli
americani. Tutte le manifestazioni sono precedute dal canto dell’inno. Vengono chiamate le
cantanti per cantare. Una star una volta cantò l’inno in spagnolo. Intervenne il presidente degli
USA perché secondo lui si doveva parlare in inglese. È intervenuto con una nota ufficiale. Si voleva
arginare lo strapotere spagnolo.
Come sempre le lingue sono refrattarie a qualsiasi ordine dall’alto. Le lingue sono l’unico fattore
umano refrattario a qualsiasi ordine. Chi decide sono le parole.
C’è una diffusione dello spagnolo e lo capito proprio nell’utilizzo dello spagnolo come lingua
franca. È molto più frequente rispetto al passato di usare come lingua franca lo spagnolo al posto
dell’inglese.
Ci sono anche altri segnali della debolezza dell’inglese, come già detto ricordiamo la lingua cinese.
La Cina sta attuando una politica molto espansionistica linguistica finanziando corsi. La Cina sta
mettendo in piedi progetti come quello MARCO POLO. Si tratta di un accordo tra Cina e Italia per
fare in modo che vengano in Italia un tot. numero di studenti. Sono finanziati dal governo cinese
che manda persone in Italia. Perché il governo cinese paga di tasca propria lo spostamento di
cinesi nel mondo? Per favorire la diffusione della lingua e cultura cinese. In Europa lo percepiamo
poco ma in Africa è molto di più. La Cina ha investito molto sull’Africa. È simile a quello che fu fatto
per l’Europa dagli USA nel dopoguerra. Si hanno aiuti per costruire e per mandare avanti le
società. Quello americano si chiama SOFT POWER.
In cambio cosa si ottiene? Non si ottengono soldi ma POWER. Un potere che a lungo andare si
rigenera sottoforma sì di soldi (sostegno di aziende e prodotti cinesi). In questo senso
economicamente la lingua è importante.
Il traffico aereo ci fa capire il movimento delle lingue. le lingue sono democratiche e si spostano
tramite le persone. Capire i traffici aerei è importante. Adesso causa covid i viaggi aerei sono
molto meno. Mancando la materia prima linguistica (le persone) manca la diffusione linguistica.

In questo scacchiere (non immobile e dinamico) che fine fa l’Italia e l’italiano e in che modo entra
l’italiano all’estero?
Noi siamo una lingua parlata come L1 conteggiando i parlanti dello stato italiano, quelli del
cantone svizzero, quelli all’estero, arriviamo ad una 60ina di milioni di parlanti nativi. Come
numero di parlanti nativi nella classifica delle lingue, l’Italia si colloca al 21esimo posto insieme alla
lingua vietnamita. Si cita il vietnamita non a caso.

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Quante lingue ci sono nel mondo? Chi sono i nostri competitors? Ci sono intorno 5mila lingue
parlate e censite nel mondo ma il numero può oscillare in difetto o in eccesso in base a cosa
conteggiamo. Ancora una volta l’italiano e l’Italia è l’osservatorio privilegiato. Se uno capisce cosa
succede in Italia ha capito come funzionano le lingue nel mondo. Abbiamo parlato della variazione
linguistica. ad un inglese lo devi spiegare all’Università cosa è una variazione linguistica. un italiano
già lo sa e lo capisce spostandosi da un paese all’altro. Noi viviamo quotidianamente questa
variazione. Quindi capire cosa succede in Italia aiuta a capire cosa succede nel mondo con i
fenomeni linguistici.
In quanto parlanti di italiano siamo molto avvantaggiati perché quello che capita a noi come
parlanti non capita a nessuno nel mondo. L’Italia ha fenomeni atipici rispetto al panorama
mondiale.
Perché oscilla il numero di lingue nel mondo? Un italiano lo sa. Perché si può dire che in Italia si
parla italiano o si parla dialetto del nord, centro e sud. Oppure si può dire che in Italia ogni regione
ha la sua lingua o si può dire che quasi ogni capoluogo di regione ha la sua lingua.
Più si zooma e più lingua escono fuori. L’italiano quindi conteggiando i parlanti nativi è
equiparabile al vietnamita. Poi andiamo a vedere il numero degli apprendenti di italiano. Quindi
non osservare il fenomeno solo dal punto di vista dei nativi.
L’italiano sale in classifica se consideriamo gli apprendenti. Sale al punto tale che a noi il
vietnamita fa il solletico. Non si è mia visto un corso di vietnamita nel mondo. Invece di italiano ce
ne sono parecchi.
Questo è l’ennesimo esempio di come le lingue non sono spinte solo dai parlanti. Allora il cinese
con il suo miliardo di parlanti nativi dovrebbe essere di uso quotidiano, invece non lo è. Perché?
Perché le lingue sono spinte dall’immaginario che suscitano negli apprendenti. Immaginario che
suscitano quindi qualsiasi politica id diffusione delle lingue va fatta con un piano economico. I soldi
sono importanti ma se non si ha una strategia diventa inutile.
Quando si parla di politica di diffusione di una lingua non si pensa però solo al portafogli. Non ci
vogliono solo soldi ma anche idee e strategie. L’italiano seppur in un momento di crisi di italianità
nel mondo, è comunque una lingua importante e insegnata.
Abbiamo una rendita di posizione ancora buona. Quando si dice che i corsi di italiano diminuiscono
non è un problema che non ci riguarda. Chiudere l’italiano negli USA non è come chiuderli in
Camerun per esempio. Mantenere posizione di prestigio in America è importantissimo.
L’Italiano ha una rendita di posizione che deriva da cosa? Si rifà sempre alla strategia, non è né
fortuna né magia. La Cina usa un potere in modo intelligente.
Una lingua che prima ci faceva il solletico come il coreano oggi comincia a dare fastidio. Quindi
bisogna basare tutto su strategie linguistiche ed economiche. L’Italia ha vissuto decenni senza fare
nulla al riguardo.
L’avanzare di una lingua dipende dalla potenza economica di un paese? L’italiano è in crisi perché
è in crisi l’Italia? Sì. Fa tutto parte del discorso. Le lingue sono legate al potere economico di un
paese ma sono legate anche all’immaginario. Sulla diffusione dell’italiano un film come “nuovo

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cinema paradiso” fa molto molto di più rispetto ad un manuale di lingua o più dei soldi messi dal
governo. Nuovo cinema paradiso mette la miccia e la fa scattare, poi però per diventare fuoco
deve essere alimentata quindi torna fuori il discorso economico.
Una persona vede il film e magari si innamora della lingua e cerca un corso di italiano. Lo deve
trovare però. Quindi ci devono essere le azioni e le strategie linguistiche.
La questione della italianità è un fenomeno che ha una parabola discendente ma parte dall’alto.
L’altra questione ancora più complicata è la questione se l’italiano è una lingua di cultura e per la
cultura e basta oppure se è anche una lingua di lavoro. Questo è uno dei motivi per cui si impara
una lingua, per lavorare. L’italiano quindi è una lingua che piace o che vinee studiata per il lavoro?
Quale slogan si usa per diffondere la lingua italiana? Quale slogan uso per vendere la lingua
italiana nel mondo? Alla fine, quando si parla di italiano nel mondo si parla di un prodotto
commerciale, come un capo di abbigliamento.

13/10/2020
Quale pubblico si avvicina alla lingua italiana? Nei libri di testo per una questione di età del testo
(nato in un periodo in cui queste cose non c’erano ancora) non si tiene conto di quello che è
successo in questi ultimi anni, che ha rivoluzionato il campo del MERCATO DELLE LINGUE. Termine
che si usa per definire perché l’inglese si insegna più dell’italiano e cosa può fare l’italiano per
promuoversi?
Tutto il mondo delle lingue straniere è racchiuso in due grandi crisi che ci sono state, una di tipo
economico e una di tipo sanitario.
La crisi economica del 2008 che ha mandato in frantumi l’economia di molti popoli, ha sconvolto
tutto il mondo. Aveva colpito già duramente il mondo della didattica delle lingue straniere,
percepite come BENE DI LUSSO. I corsi sono un bene di lusso. Se una famiglia ha pochi soldi prima
di pagare un corso di lingua straniera si pagano le altre cose più importanti.
In quando bene di lusso con la crisi economica del 2008 sono entrati in crisi i corsi di lingua
straniera. Proprio come avviene durante le crisi mondiali i ricchi diventano sempre più ricchi e i
poveri sempre più poveri. Oggi si assiste ad un fenomeno analogo, le ricchezze si polarizzano
attorno a poche figure mentre la distanza tra ricchi e poveri si acuisce.
Nel campo della didattica delle lingue è successo la stessa cosa, alcune lingue sono diventate più
ricche a discapito di altre. Si parla quindi di lingue straniere ovviamente. Mercato di lingue >
mercato della didattica di italiano L2. Durante questa crisi del 2008 l’inglese è diventato ancora di
più lingua predominante così come lo spagnolo. Le lingue che una volta tenevano a distanza questi
grandi colossi delle lingue come l’italiano, hanno perso del campo. Tutte le lingue sono entrate in
crisi ma l’italiano più degli altri. Si parla di fenomeni che si osservano in decenni o ventenni.
Dopo la crisi economica c’è stata un’altra crisi. Crisi più grave e profonda, ovvero quella pandemica
con il lockdown. Tracollo definitivo dell’italiano. Il sistema di italiano nel mondo non è entrato in
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crisi con l pandemia e il covid ma già da prima. Affidarsi troppo alla lettura del manuale che si
ferma temporalmente ad un certo punto storico ci fa perdere di vista ciò che è successo in questi
ultimi anni. Tutto questo che sta succedendo è come se fosse un capitolo mancante del manuale.
Italiano stritolato da queste due grandi crisi che portano ad abbassare le penne verso questa
retorica dell’italiano come terza o quarta lingua insegnata nel mondo. Affermazione che è stata
rilevata in un volume di vent’anni fa, ovvero ITALIANO 2000 ricerca fatta sull’italiano nel mondo.
All’epoca questo dato stupì molto in positivo. Su questo dato si è installata una retorica nazional
popolare che porta a dire che va tutto bene perché siamo la 4 lingua più studiata al mondo. Noi
però dobbiamo dire che è vero, lo eravamo e forse resteremo una lingua molto studiata, ma oggi
dobbiamo guadagnare terreno giorno per giorno come sistema paese per provare a tenere nei
territori dove l’italiano è molto diffuso questi corsi altrimenti si rischia l’erosione da lingue che una
volta erano considerate dormienti mentre oggi hanno politiche molto aggressive in questo
mercato delle lingue. Pensiamo al cinese, al coreano e al giapponese. Esplosioni di corsi che prima
neanche esistevano. Tutte le lingue che vent’anni fa erano lingue molto parlate ma pochissimo
studiate. Oggi c’è una inversione id tendenza che non va a colpire le lingue dei “ricchi”.
La crisi non colpisce mai i ricchi ma sempre la classe media. Quindi la crisi non ha intaccato molto
l’inglese o lo spagnolo. Potrebbero anche avere una oscillazione in basso di numero studenti ma
ne hanno talmente tanti che neanche percepiscono questa differenza. Per l’italiano non è così.
Storia che rischia di avere un finale amaro. Il rischio è che tra qualche anno si parlerà di 15esima o
16 lingua insegnata o ancora peggio lingua non più insegnata. Quando si parla di gestione
dell’italiano nel mondo siamo presi da due spinte, una la spinta dei singoli insegnanti e singole
scuole che prendono iniziative per conquistare gli studenti. È l’operato del singolo quindi a fare la
differenza. Ma molto di più potrebbe quella che potremmo chiamare POLITICA LINGUISTICA
ITALIANA. Con questo termine politica non si pensa al parlamento o alle forze politiche ma si
intende in senso più nobile e alto cioè come STRATEGIA messa in campo da chi ci governa. Chi
gestisce l’italiano nel mondo sono le istituzioni nazionali con soldi e leggi.
Le istituzioni nazionali che gestiscono la politica dell’italiano nel mondo sono MINISTERO DEGLI
AFFARI ESTERI (MAECI) o anche detta FARNESINA e il MINISTERO DELL’ISTRUZIONE. Due ministeri
con relativi ministri con relativi direttori generali e direzioni generali dei ministeri che in qualche
modo gestiscono la politica linguistica italiana tramite i soldi o le norme. Piccoli gesti e piccole cose
che possono cambiare la politica linguistica.
Da sempre, la politica linguistica italiana non ha brillato nei confronti dell’italiano a stranieri.
Quello che l’italiano ha ottenuto lo ha ottenuto non gaie alla politica italiana ma nonostante la
politica italiana.
Indagine di de Mauro e Vedovelli di Italiano 2000  è emerso un dato che va verso la NON
politica italiana. Il dato è il seguente: in molti parti del mondo ci sono istituti di italiano di cultura.
A causa della crisi economica del 2008 molti di questi istituti sono stati chiusi. La chiusura di questi
istituti causata dalla non politica italiana e dalla crisi ha compresso lo spazio dell’italiano all’estero.
Le direzioni degli istituti di italiano di cultura è a rotazione, cambiano ogni tot. di anni. Che
succede? Se a dirigere un istituto ci va una persona brava e attenta all’italiano si ha una impennata
nei corsi. Nei corsi e nelle certificazioni di italiano, indicatori forti sulla salute dell’italiano. Quando

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questa persona va via e arriva un altro direttore questi dati positivi crollano. Quale è il messaggio
che ci manda questo dato? Per la diffusione dell’italiano ci si affida non ad una strategia, una rete
o un qualcosa di solito ma alla libera iniziativa del singolo direttore di istituto. Cambiando il
direttore non si mantiene da solo il dato alto dei corsi, erano le idee di quella persona ad essere
potenti in campo politico e linguistico. Quindi per questa la politica italiana non ha fatto nulla.
Dovrebbe succedere il contrario. Se la macchina cammina non c’è bisogno di un direttore bravo
per farla andare bene. Indicatore più forte rispetto alla non politica linguistica italiana.
Come si è arrivati alla situazione attuale? Quale è lo stato di salute dell’italiano? Si da bene ad
investire nella formazione dell’italiano per stranieri? Rispetto a questa domanda dobbiamo dire
che dipende dal punto di vista. Indubbiamente, l’italiano resta una lingua molto insegnata. Non
dobbiamo dimenticare il fatto che tra le 5 mila lingue del mondo l’italiano anche a discapito della
non politica linguistica italiana comunque ha una sua visibilità all’estero. Questo è un patrimonio
inestimabile che noi abbiamo involontariamente.
L’Italia è il paese con il più grande patrimonio artistico mondiale. Tutti sappiamo che l’Italia ha un
patrimonio unico al mondo. Sappiamo anche bene che questo patrimonio è tenuto malissimo. Non
sappiamo valorizzare il nostro patrimonio. Succede anche per la lingua italiana. Noi abbiamo un
patrimonio che ci ha consentito negli anni di emergere tra le lingue insegnate. Purtroppo, è un
patrimonio che non si riesce a salvaguardare. Passando gli anni lo deterioriamo sempre di più.
Perché l’italiano è una lingua che attrae così tanto? Non possiamo pensare di competere con la
lingua inglese o spagnola ma noi ci confrontiamo con le lingue come il tedesco. Nel mondo è più
visibile l’italiano però rispetto al tedesco, perché?
È successo per due grandi macro-motivi:
- Il fenomeno della migrazione italiana nel mondo. Milioni di italiani che a partire dalla fine
dell’800 sono andati a vivere e a lavorare in paesi come Sud America, Canada, Australia,
Africa del nord eccetera che si sono popolate di milioni di cittadini italiani. Molti paesi ma
non l’Asia. Chi andava a lavorare fuori però portava italianità e non italiano. Tutto questo
perché non parlavano italiano. La migrazione NON ha portato in giro l’italiano ma
l’italianità. Come lingua parlata, proprio perché queste ondate migratorie (tranne l’ultima
che riguarda le giovani generazioni “fuga di cervelli”. Persone che sono l’esatto opposto di
quelle che migrarono con le prime ondate. Sono altamente scolarizzati, parlanti di italiano
standard, con una percentuale molto alta di donne e non solo uomini. Oggi laureati
lavorano come baristi fuori.) non parlavano italiano. Queste persone non erano affatto
scolarizzate e parlavano il dialetto, quasi non conoscevano lo standard.

Il fenomeno della italianizzazione è frutto anche della migrazione italiana all’estero. Gli
italiani non hanno portato l’italiano fuori dall’Italia ma un’idea di italianità e hanno
costruito un ponte tra l’Italia e questi territori nel mondo. Ponte che poi ha favorito negli
anni l’arrivo degli italiani. Prima arrivavano i migranti che facevano scoprire l’Italia alle
persone del mondo (cose non linguistiche ma che hanno una relazione col linguaggio),
tutto ciò ha favorito la diffusione della lingua italiana in seguito.

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- Patrimonio artistico, culturale italiano. Artistico e anche culinario. Oggi non c’è luogo al
mondo dove non sia possibile trovare ristoranti italiani. Ma anche titoli di film e negozi di
abbigliamento italiano. Tutto ciò che l’Italia produce. Quindi si tratta di una lingua parlata
da poche persone ma è legato al mondo del “vivere bene e con gusto”. Il mondo della
Ferrari e di Armani. Ma anche delle tagliatelle bolognesi. È questo che attrae gli stranieri.
Quindi allo straniero non importa come parliamo ma è attratto da ciò che facciamo e come
viviamo. È quello che lo spinge ad imparare l’italiano. Lui è attratto da Firenze e non dalla C
fiorentina. È attratto dai luoghi e da questa IDEA DI BEL PAESE. Non riguarda la lingua
quindi. È questo che sospinge la lingua italiana.

Quale è il crimine della non politica linguistica italiana? È non capire che se si trova il modo per
legare insieme tutto ciò che riguarda il cibo/vestito/monumenti/luoghi ai corsi di italiano si
potrebbe arrivare a dei numeri, ad un dato maggiore. Magari non saremmo mai stati in crisi.
Invece le strategie hanno compiuto alcuni errori. Il primo è quello di non finanziare l’educazione.
Quando si va in crisi la prima cosa che si taglia sono i fondi dell’istruzione. I tagli sono fatti anche
per i finanziamenti all’estero per l’italiano. Si comprimono le spese della cultura italiana nel
mondo.
C’è un altro errore. Questione difficile da affrontare. Tutti hanno capito il legame tra lingua e
cultura italiana e tutti hanno capito che sostenendo la cultura italiana ne sostieni anche la lingua. Il
problema non si pone su questo ma è cosa intendere per CULTURA ITALIANA? Quando si insegna
italiano ad uno straniero su cosa mi devo soffermare? Su Dante? Sulla cultura alta? Oppure devo
spingere sull’idea che l’italiano è una lingua che SERVE. Non è l’italiano solo delle tre corone. Se si
vuole riempire un’aula di stranieri non si può spingere solo sulla motivazione culturale come lingua
di Dante. Tramandare questa idea di classicità ha il rischio di entrare nelle lingue di cultura ma che
non servono a nulla. Come il latino o il greco.
Per un ragazzo del 2020 queste idee attecchiscono poco. Perché uno straniero vorrebbe una lingua
per viaggiare, muoversi e trovare lavoro. Questa idea che si studia una lingua perché è la lingua di
Dante non tanto funziona.
Ma se all’italiano togliamo Dante e tutti gli altri autori, COSA RIMANE? Il discorso si impantana.
Siccome siamo in una fase storica nella quale c’è bisogno di grande rilancio. Come si rilancia la
lingua italiana? Nessuno può avere la risposta. Non si può però investire troppo nell’idea di
italiano lingua di grande cultura. Proprio la grandissima tradizione che abbiamo è la nostra
zavorra. Proprio perché Roma è Roma ogni volta che si vuole costruire una cosa moderna a Roma
non si può perché è come se si tradisse quello che Roma rappresenta nel mondo. È vero. C’è un
grandissimo patrimonio. Il grande dilemma di Roma è che non capisce come sfruttare il Colosseo o
altri monumenti come forma di reddito per la città e per gli abitanti. L’italiano è sulla scia di Roma.
Proprio perché siamo la lingua di questo enorme patrimonio artistico e culturale molte ale di
musei nel mondo riguardano magari solo il 200 Toscano. Quindi grande potenza culturale e
mondiale. Noi e le nostre cose sono studiate in tutto il mondo. Si studia per esempio Rossellini a
San Francisco. Noi siamo stati capace di creare un movimento che ha condizionato il cinema

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mondiale. Il cinema italiano è molto studiato all’estero. Tarantino per esempio si ispira molto a
questo cinema.
Quindi noi abbiamo sulle nostre spalle un patrimonio enorme dal punto di vista culturale, nelle
varie forme quindi non solo quadri ma anche cibo, maglioni, scarpe, cinema e musica. Questo
patrimonio rischia però di essere la nostra zavorra perché non ci consente di stare al passo con i
tempi.

Fenomeno della migrazione


Attenzione a dire che ha portato l’italiano all’estero perché ha portato l’italianità all’estero
semmai. La migrazione è un fenomeno che è iniziato alla fine dell’800 e poi per varie ondate sono
state all’incirca due.
Due grandi ondate più l’ultima con i cervelli in fuga. La prima ondata è quella prebellica dalla fine
dell’800 fino alla fine della Prima guerra mondiale in America, Australia e Canada, e poi quella del
secondo dopoguerra dove gli italiani sono andati nell’Europa continentale come Germania,
Francia, Svizzera e Belgio e anche in Africa con la colonizzazione.
Parliamo di milioni di italiani ma parliamo anche di fenomeni conclusi all’inizio degli anni 70. Già
dal 72 le grandi ondate cominciavano a diminuire tantissimo. Perché? Quando andiamo ad
osservare oggi il peso della migrazione dobbiamo sapere che stiamo parlando di fenomeni che
sono successi tra i 120 anni fa e i 50 anni fa. Quindi questa idea che in Argentina o in Australia trovi
il migrante che è partito con la borsa di cartone e che non vede l’ora di tornare e che ha una piena
competenza in dialetto e forse qualcosa in italiano, questa idea qui oggi non ha più ragione di
essere. Un altro grande errore che fa la politica italiana è immaginare la popolazione emigrata e i
discendenti ancora come quelli che sono partiti con la borsa id cartone.
In realtà oggi troviamo sì tantissimi discendenti di italiano all’estero ma sono ragazzi come noi che
non hanno mai messo piede in Italia e non conoscono nessuna parola in dialetto e che non hanno
nessuna voglia di tornare in Italia. L’italiano per lor è una vera e propria lingua straniera.
Questa idea che ha sostenuto la politica didattica dell’italiano ovvero pensare che sono tutti
discendenti italiani ha come risultato che noi andiamo lì e davanti ci troviamo persone che di
Italiano hanno solo il nome, non sanno nulla di italiano.
Per loro l’italiano è una vera e propria lingua straniera perché chi è emigrato è morto da molto
tempo e chi è rimasto è colui nato e cresciuto in quel paese straniero. Quindi l’Italia è sì il paese in
cui è nata la nonna ma niente di più. Prendiamo le distanze dall’idea di migrazione come persona
che sa tutto di italiano e di cultura italiana perché sono immersi in un'altra lingua e in un’altra
cultura.

14/10/2020
L’italiano pur con grande difficoltà resta in ogni caso una lingua che continua ad avere un certo
fascino nei confronti degli stranieri. Ogni discorso riguardo la perdita di appeal dell’italiano deve
partire dal presupposto che noi tra le lingue del mondo, nonostante tutto siamo comunque tra le
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prime 10-15 lingue. Se poi andiamo a distinguere tra INSEGNABILITA’ e VISIBILITA’ vediamo meglio
le differenze.
Le vie di qualsiasi parte del mondo sono piene di segnali in lingua italiana. Insegne luminose, nomi
die negozi per non parlare dei menù dei ristoranti.
L’italiano è la prima/seconda lingua come numero di occorrenze nei menu del mondo. Indagine
fatta non da linguisti ma da economisti. L’italiano in questo ambito supera l’inglese e se la batte col
cinese.
Un’altra indagine riguardo gli striscioni delle curve delle squadre di calcio del mondo. Indagine
molto bizzarra. L’italiano anche qui è tra le lingue più presenti perché il calcio italiano è molto
conosciuto all’estero. Anche i cori e gli insulti. Cose che non hanno a che fare con i linguisti come
Saussure ma sono comunque segnali da interpretare per capire la linguistica.
Siamo quindi una lingua viva e presente, visibile. Qual è il punto? Non riusciamo a saldare questa
visibilità a terra altrettanto bene come numero di corsisti. Quindi visibilità e insegnabilità non
coincidono. Abbiamo tanta visibilità ma pochi corsisti. Se trovassimo il modo per agganciare la
motivazione alla visibilità dell’italiano avremmo risolto la questione dell’italiano nel mondo. È
proprio questo il punto.
Non capire questo vuol dire non capire la questione dell’italiano. Se si vede solo dal punto id vista
della visibilità avremmo un giudizio molto positivo. Ma la visibilità non basta in questo caso.
Parliamo del musical MAMMA MIA, uno dei più importanti al mondo con titolo italiano. A noi non
fa strano. Invece è una cosa importantissima. Chi vede magari mamma mia magari apprezza il film
ma non frequenta un corso di italiano. Come mai?
L’inglese però ha campato su questa situazione per anni. Chi ascoltava magari musica inglese
voleva imparare la lingua. All’inglese questo salto è riuscito mentre all’italiano no. Come mai?
Questione che deve essere affrontata in base anche alla situazione attuale che riguarda le due
grandi crisi di cui abbiamo parlato. Prima la crisi economica che aveva già inginocchiato la lingua
italiana e poi la crisi pandemica.
Osservare ora troppo obiettivamente la situazione rischierebbe di scoraggiarci per il nostro futuro,
perché la situazione non è buona. Naturalmente tutti speriamo che questa crisi passerà per
rimettersi in moto. In moto non dal punto in cui eravamo ma ancora più in basso perché le scuole
che si sostenevano con le sole iscrizioni come a Roma “la torre di Babele”, scuola storica sul
mercato da 30 anni, ha dovuto chiudere. Anche l’American School ha chiuso perché gli americani
sono tornati in America.
Facciamo ora una riflessione non riguardo la situazione attuale (crisi del “cigno nero”, inaspettata
e non controllabile) ma riguardo la situazione in generale che c’è stata fino a ora.
La visibilità dell’italiano si rifà al suo vastissimo patrimonio culturale che ha saputo attraversare le
epoche. Noi non siamo solo la lingua del 200 senese ma siamo anche lingua del design. A New York
c’è il MOMA dove si ha l’intero ultimo piano dedicato al design italiano. Si può trovare la Ferrari, le
caffettiere, oggetti di design ecc.

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Quindi non solo siamo la lingua delle tre corone ma siamo riusciti anche negli anni a mantenere
saldo il legame tra cultura italiana e il mondo circostante. Quindi non solo cultura alta, ma forme
di cultura italiana che non finiscono nei musei ma altrettanto importanti. Pensiamo all’alta moda o
anche alle macchine. O anche Valentino Rossi. L’italiano non è conosciuto nel mondo tramite i
manuali, ma tramite le tagliatelle e magari anche Valentino Rossi. Questo ha creato una grande
fascinazione per l’italianità.
Patrimonio culturale italiano non solo quindi portato dai migranti ma grazie anche al fascino del
paese in sé. Questo però crea un problema, come gestire questo enorme patrimonio culturale?
Domanda importante per noi, insegnanti. Da ciò dipenderanno le scelte didattiche che farete. In
classe parlo di Valentino Rossi o di qualcosa di diverso. Come attraggo i miei studenti? Come
sollecito la loro motivazione?
Nell’apprendimento delle lingue un ruolo decisivo lo ha la motivazione. Le motivazioni non sono
tutte uguali, cambia da individuo a individuo. Esistono vari tipi di motivazioni (letteraria, lavorativa,
personale ecc.). Ci sono molte motivazioni ma bisognerebbe distinguerle in due macrocategorie:
CULTURALE o STRUMENTALE.
Due macrocategorie al cui interno si possono mettere tutte le altre. Cosa distingue queste due
macrocategorie? La culturale è apprendere per il piacere di apprendere, per il gusto che mi dà
apprendere una lingua. Strumentale invece è apprendere perché mi serve a qualcosa e devo fare
qualcosa con la lingua.
Qual è l’esempio classico di lingua sostenuta strumentalmente? L’inglese. Oggi quasi priva di
motivazione culturale. Magari le generazioni di prima lo studiavano come piacere, ma oggi è una
necessità per vivere e trovare lavoro.
Ci sono lingue invece sostenute culturalmente come la lingua russa, lingua dal valore strumentale
rivolto al minimo ma con una grandissima tradizione letteraria. Oggi forse il francese sta perdendo
la funzione strumentale ma continua ad essere sostenuto da motivazione culturale.
Il dibattito che stiamo affrontando ora dal punto di vita della motivazione potrebbe essere letto
così: l’italiano va sostenuto culturalmente o strumentalmente? L’italiano è una grande lingua di
cultura o è una lingua per il lavoro? Lo spagnolo prima era solo culturale e ora invece è diventata
strumentale.
Lo strapotere dell’inglese ha aperto i giochi sulle seconde lingue perché una volta conoscere
l’inglese era già una skill decisiva, si andava ai colloqui dicendo di conoscere l’inglese e avere più
punti. Oggi la prima lingua straniera conosciuta si dà per scontato. Così come si dà per scontato il
conoscere il pacchetto office.
La vera partita oggi quindi si gioca con la seconda lingua conosciuta e quindi rientrano in campo
lingue che erano state sbaragliate come prima scelta dall’inglese. Tornando all’esempio del cinese
quindi dal punto di vista lavorativo forse oggi una ditta preferisce l’inglese rispetto al cinese perché
risolve molte situazioni perché in tutto il mondo si parla inglese. Una persona che si presenta come
sola lingua inglese ha più chance di chi si presenta come conoscitore di una sola lingua come il
cinese. Se invece le sai entrambe avrai più fortuna.

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Prospettive dell’italiano > non bisogna pensare di andare a competere con l’inglese perché
nessuno di noi si sogna una cosa del genere perché è impossibile. Quello che si chiede è quello di
entrare nel gioco delle seconde lingue conosciute, dove stiamo perdendo terreno. La partita per la
prima lingua al mondo è persa in partenza, è l’inglese. Se c’è una lingua che può sperare di
competere nel prossimo futuro con l’inglese è lo spagnolo. Tutte le altre lingue giocano un
campionato a parte, il campionato delle seconde lingue studiate. L’inglese anche a scuola è
scontato, è sulle seconde lingue che si hanno differenze (c’è chi studia francese, chi spagnolo o
tedesco). Oggi in mote città ci sono anche corsi di cinese nelle scuole medie o licei. Politica molto
forte del governo cinese per imporsi sulle altre lingue. Anche il cinese lo mettono come seconda
lingua e non come alternativa all’inglese.
Quindi l’italiano va sostenuto strumentalmente o culturalmente? Grande bivio che non riguarda
solo chi si occupa di strategie o alta politica italiana. Riguarda anche noi che andremo ad insegnare
italiano tra poco. Che materiali porto a supporto della mia didattica? Su cosa incentro la mia unità
didattica? Quali parole dell’italiano insegno e che idea della lingua italiana do ai miei studenti?
Se io sbaglio il tipo di motivazione che do ai miei studenti magari perdo corsisti. Aspetto molto
delicato. Anche il manuale vale molto e riguarda la motivazione che voglio dare.
Varie correnti di pensiero riguardo all’italiano come lingue di cultura o come lingua strumentale.
Non possiamo sfuggire da questo patrimonio. Ma dall’altra parte bisogna stare nel mercato delle
lingue del 2020. Noi dobbiamo attrarre il ragazzo che vuole apprendere una lingua perché pensa
che gli possa essere utile.
Così come per Roma che si rischia possa essere solo città museo (senza prospettive lavorative)
anche la lingua italiana può essere vista come lingua museo, ovvero lingua custode della
grandissima tradizione letteraria antica ma alla fin fine senza uno scopo strumentale. Ovviamente
è giusto dire che si tratta di una lingua letteraria PERO’ oggi i bisogni che prevalgono sono diversi.
Oggi si studia una lingua perché si vuole viaggiare, investire o trovare lavoro. Quindi bisognerebbe
scegliere che strada far prendere alla nostra lingua.
Un altro fattore di diffusione dell’italianità è la CHIESA. Non è normale che il papa si esprima in
italiano, a maggior ragione essendo straniero. Ma a noi non fa strano perché ci siamo abituati. Il
papa viene ascoltato da un sacco di persone nel mondo e parla in italiano. Si tratta di un benefit
che la lingua italiana ha e che nessun’altra lingua del mondo ha, lingua della religione cattolica. Noi
dobbiamo guardare questi fenomeni con occhio critico, da linguisti. È da lì che nascono i corsi di
italiano.
La chiesa non è solo il papa, ci sono tante sentinelle sul territorio. La lingua ufficiale della chiesa
non è l’italiano ma il latino. L’italiano è la lingua dell’uso della chiesa, mentre il latino quella
ufficiale. Il ruolo della chiesa è un ruolo paragonabile all’arabo per l’islam, ruolo importantissimo.
Italiano quindi lingua parlata da un numero vastissimo di fedeli nel mondo. Ancora una volta
abbiamo un grandissimo vantaggio a livello di attrattività di lingua italiana. Preti stranieri che
vengono in Italia per imparare l’italiano e poi andare nel mondo a diffonderlo. Italiano lingua del
papa e della chiesa ma dall’altra parte anche lingua diffusa sul territorio dai preti. Magari in Africa
si va a diffondere l’italiano.

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Situazione dentro i confini italiani
Questa è la situazione per quanto riguarda l’italiano nel mondo. Quello che è successo dall’inizio
delle migrazioni italiane nel mondo fino ad un momento preciso della storia del nostro paese che
ha cambiato le carte in tavola del pubblico di italiano L2. L’emigrazione italiana nelle sue due
grandi prime ondate cessa alla fine degli anni 70. L’Italia smette di essere un paese di emigrati.
Però succede un altro grande fenomeno che temporalmente andrebbe collocato fine anni 70-inizio
anni 80, cioè il fenomeno della non più emigrazione ma immigrazione straniera in Italia.
Il fenomeno della immigrazione si deve collocare temporalmente. Dire che è iniziata negli anni 80
serve a ricordarci che siamo in presenza di un fenomeno strutturale che definirlo ancora oggi a 40
anni di distanza come una novità del nostro paese è sbagliato. Non è neanche un fenomeno
passeggero. Si parla di un fenomeno che ha cambiato per sempre i connotati di questo paese. È
con questo che dobbiamo fare i conti. Stiamo affrontando dal punto di vista linguistico la
migrazione e non quindi dal punto sociale o politico.
Quindi il fenomeno ha inizio i primi anni degli anni 80. Che italiano trovano i migranti nel nostro
paese? Ancora una volta dobbiamo unire le informazioni di storia della lingua italiana con didattica
della lingua italiana. Negli anni 70 il processo di italianizzazione non era affatto concluso, sempre
ammesso che questo processo abbia un termine. Forse l’italianizzazione non avverrà mai nei
termini di pieno e completo padroneggiamento linguistico dello standard rispetto alle altre varietà.
È come se fosse un mito. Magri si arriverà alle forme di diffusione di plurilinguismo per cui i dialetti
che vivono sono usati insieme all’italiano standard.
I migranti trovano che tipo di Italia e italiano? Trovano un italiano ben lungi dall’essere
padroneggiato. Trovano una situazione linguistica e culturale regionale. Ogni regione ha una lingua
diversa. I migranti trovano un processo di italianizzazione a metà con una fetta preponderante di
dialettofoni (esclusivamente dialettofoni). Oggi si parla di dialettofoni per scelta, è la nostra
condizione. Noi abbiamo anche la possibilità in un contesto più formale di passare all’italiano.
Negli anni 70 questa scelta era preclusa alla stragrandissima maggioranza delle persone in Italia.
Eravamo il paese con un tasso di scolarizzazione molto basso. Oggi ci siamo rimessi in carreggiata
anche se siamo lontani anni luce da altri paesi (occidentali e moderni). Noi ci confrontiamo con
loro e non con i paesi dell’Africa perché la situazione africana è molto diversa.
L’Italia è un paese con i livelli di scolarizzazione bassissimo. Il dato di laureati italiani negli anni 90
era il 3% di italiani. Questo significa che su 100 ragazzi, 3 si laureavano. Dato allarmatissimo. Oggi
abbiamo dati migliori, la scelta di passare dalla laurea a ciclo unico al sistema 3+2 ha migliorato la
situazione. I laureati si contano tra i triennalisti, con la laurea breve. Quindi si abbassa l’ostacolo
così per consentire a più persone di affrontare e prendere la laurea breve.
Ultima questione > identità linguistica e culturale italiana. L’Italia non è mai stato un paese
monolingue o monoculturale. Il plurilinguismo e il pluriculturalismo non sono stati portati dagli
stranieri ma era indemico.

20/10/2020

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Abbiamo affrontato la questione dei pubblici di italiano a stranieri. Siamo arrivati ad uno snodo
importantissimo storico epocale che ha trasformato non solo la società italiana ma l’intero mondo
della didattica per italiano a stranieri.
L’Italia è sempre stato un paese di emigrazione. Fetta di connazionali nostri all’estero. Ha portato il
mondo della didattica a stranieri orientato esclusivamente a ciò che avveniva fuori dai confini
nazionali. Se uno voleva insegnare italiano a stranieri doveva andare per forza all’estero o lavorare
in Italia con un pubblico di nicchia per persone che venivano in Italia per questioni di studio.
Tutto l’assetto motivazionale e tutti i materiali di supporto alla didattica erano orientati ad un
certo profilo di apprendenti: apprendente che risiede all’estero, adulto, che apprende italiano con
una motivazione di tipo culturale, cioè motivazione che spinge perché si è affascinati dalla cultura
che quella lingua esprime. Ciò si può osservare analizzando una certa manualistica di italiano a
stranieri (non quelli più recenti).
Prima i manuali erano pensati per un certo tipo di apprendenti. Scelte in termini di unità
didattiche. La prima unità didattica era incentrata sulla figura di Giorgio Armani in un manuale del
passato. Questa immagine di italiano nel mondo. A chi pensa l’autore del manuale? Ad un profilo
di apprendente interessato a quella italianità lì, apprendente quindi motivato culturalmente che fa
della lingua italiana una risorsa non necessaria per sopravvivere ma di più. Apprendente residente
essenzialmente all’estero.
Alla fine degli anni 70 questo mondo della didattica dell’italiano subisce un vero e proprio
terremoto frutto della mutazione dell’asse di rotazione di questo mondo. Da didattica dell’italiano
per italiani all’estero o discendenti di italiano all’estero improvvisamente a causa della
immigrazione italiana si trasforma in un mondo pensato per chi risiede in Italia.
La migrazione italiana è un fenomeno strutturale. Fenomeno che noi utilizziamo dal punto di vista
della didattica dell’italiano. Potrebbe essere studiato da molti punti di vista ma noi lo affrontiamo
da questo punto.
Cominciamo da qualche dato storico che serve non per fare le riflessioni storiche ma per vedere a
come si è arrivati alla situazione attuale. La migrazione nasce negli anni 80 e per tantissimo tempo
segue un andamento di crescita molto lento. L’Italia è da sempre stata considerata un paese di
fascia C nel contesto europeo. Quelli di fascia A sono di elevato tasso migratorio come la
Germania. Migrazione dove all’epoca era importante e visibile. Alla fascia B c’erano i paesi
interessati relativamente mentre nella fascia C c’erano paesi come Italia Grecia o Portogallo
lambiti dalla migrazione. La presenza straniera nelle scuole italiane per tutti gli ani 80 era ancora
attestata su percentuali residuali come lo 0.2 o 0.6. per tantissimi anni i migranti sono stati un
numero del tutto marginale, un milione per esempio. Quindi se dovessimo disegnare su un foglio
la curva di andamento della migrazione la curva sarebbe ascendente. Curva per molto tempo ad
andamento orizzontale e poi improvvisamente si impenna. Prima la migrazione era marginale. Il
nostro paese ha avuto la possibilità di intervenire sulla questione della migrazione
linguisticamente parlando ma non ha fatto nulla.
Aspetto che rende il nostro paese peculiare rispetto agli altri  l’immigrazione italiana (stranieri
nel nostro paese) vengono da tante parti del mondo differenti. Se in Germania per tantissimo

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tempo la percentuale di migrazione era altissimo ed erano la maggior parte italiani o turchi, in
italiano per comporre il 50% dei migranti dovevi mettere insieme 10-15 nazionalità diverse.
Difficoltà che hanno avuto i docenti che si sono occupati di migrazione  in classe non avevi 3
turchi e 3 pakistani, ma erano tutti diversi. Per esempio in aula c’erano 5 stranieri ognuno con una
L1 differente. Non erano tutti comunque europei ma persone anche asiatiche o africane. Quindi
una varietà. Incontro tra lingue e culture esplosiva. Dobbiamo sempre ricordarci la cartina
linguistica italiana cioè noi abbiamo accolto linguisticamente gli stranieri con una super diversità
linguistica  dialetti e varietà regionali. La diversità linguistica e culturale non è un tratto che ci è
stato portato dai migranti, non si può dire in alcun modo che la migrazione ha comportato il
plurilinguismo o culturalismo in Italia. Nessuno di noi è monolingue o monculturale. Noi siamo
tutti in quanto italiani frutto di un melting pot di lingue varietà linguistiche diverse così anche
come di culture diverse. Noi però non riconosciamo alle varietà locali lo status di lingua o cultura.
Ma in realtà sono effettivamente lingue. Ogni italiano è convinto di essere il depositario della
cultura italiana non capendo che siamo italiani proprio perché in noi convivono tante culture e
tante lingue diverse e noi ce ne accorgiamo quando ci incontriamo con gente di regioni diverse.
In Italia è arrivato un’onda migratoria fatta non da due o tre lingue diverse come è successo in
Germania ma moltissime lingue e culture. Quindi già prima di questo l’Italia era super ricca sul
punto linguistico e culturale, non appena arrivano queste nuove lingue si arricchisce ancora di più.
La situazione è come se fosse un vestito di arlecchino, tutto colorato e diverso.
Quali lingue hanno portato i migranti? Con una campionatura molto banale per esempio
attribuendo ai cinesi una sola lingua (e non mandarino ecc) e così anche alle altre nazionalità, si
era arrivati a conteggiare circa 100 nuovi idiomi parlati dai migranti. 100 nuovi idiomi che
andavano a incontrare e scontrare e convivere con altrettante lingue e culture, ovvero quelle
parlate da noi italiani. Parlate da noi italiani in un periodo in cui il processo di italianizzazione era
in una fase ancora più arretrata rispetto a oggi. Noi immaginiamo l’Italia nel 1980. Oggi è diverso e
possiamo parlare di una italianizzazione diffusa e di dialetto come scelta. Ma prima non era
possibile fare ciò. Ancora oggi ci sono aree del paese come zone rurali e metropolitane in cui il
dialetto resta invasivo forte e pesante.
Il problema della migrazione è dovuto proprio al fatto che noi abbimao accolto i migranti non con
una lingua e con una cultura sola ai quali loro potessero fare riferimento come modello e come
italiano da apprendere ma li abbiamo accolti con un insieme di lingue. Italiano parlato male e usi
dialettali che certo non ha favorito il loro sforzo di arrivare a comprendere italiano. Quando
diciamo che gli stranieri parlano male ci dimentichiamo di dire che gli stranieri parlano come ci
sentono parlare. Quindi il problema è come ci rivolgiamo noi agli stranieri. Molti degli errori che
fanno sono frutto dell’input che noi forniamo loro.
Quindi frammentazione geografica linguistica e culturale. Che sistema pedagogico trovano gli
stranieri una volta arrivati nel nostro paese? Trovano il deserto perché il problema dell’italiano L2
in Italia non c’era mai stato. Non esisteva la figura dell’insegnanti di italiano a stranieri. Prima la
disciplina didattica di italiano a stranieri non esisteva e non esistevano neanche i corsi di laurea.
Quindi quando gli stranieri arrivano per la prima volta nel nostro paese non trovano niente.

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Negli anni 90 si è improvvisata la didattica di italiano a stranieri ma non esistevano figure
professionali o modelli didattici di riferimento. Non esistevano neanche materiali. Si insegnava
italiano a stranieri a mani nude. Non c’erano fonti istituzionali. Chi sono i primi che si sono attivati
nella didattica dell’italiano a stranieri? Sono stati volontari dell’ambito della chiesa cattolica con
corsi serali organizzati nelle parrocchie e agenzie sindacali. È intuibile il perché la chiesa abbia fatto
ciò. Ma perché il sindacato si è attivato? Da una parte per lo spirito di accoglienza che segna
queste iniziative per stare sempre dalla parte dei più deboli ma dall’altra parte c’è un aspetto
fondamentale  i migranti dovevano lavorare. Ogni lavoratore ha 150 ore disponibili per corsi di
istruzione. Si hanno queste ore grazie a battaglie fatte da sindacati. Negli anni 70 il mondo del
lavoro si evolve e non era più necessario saper fare i lavori manuali ma bisognava avere
competenze superiori. Questo gli industriali più illuminati lo avevano capito quindi acculturare un
operaio ti consentiva di farlo rendere di più perché i macchinari che dovevano usare non erano
banali e facili da usare.
La società si evolve e certi saperi primari non sono più sufficienti. Quello che ti insegano a scuola è
inadeguato per il mercato del lavoro. In passato però non era così. L’Italia è piena di casi di
persone miliardarie che hanno costruito imperi con la quinta elementare. Esempio Giovanni Rana.
Si è costruito prima il piccolo negozietto poi negozi sempre più grandi e ora è uno dei maggiori
produttori di pasta fresca. Queste cose qui non sono più possibili perché il mercato del lavoro non
te lo consente più. Oggi anche per aprire un bar hai bisogno di determinate competenze cosa che
non era così per esempio negli anni 70.
Gli industriali italiani hanno favorito la acculturazione dei propri operai. L’idea era quella di farli
crescere anche culturalmente. La fondazione Agnelli si è battuta molto per le 150 ore.
Quindi i sindacati si battono per i migranti perché questa forza lavoro andava incanalata. E tra un
migrante che non parla italiano e uno che lo parla, tutti e due hanno due braccia forti che possono
servire in un cantiere ma se uno parla italiano lo puoi utilizzare meglio. Era questo il meccanismo
dei sindacati.
Il tema della formazione dei migranti quindi nasce con scopi LAVORATIVI. All’epoca la maggior
parte dei corsisti di italiano adulti erano in cerca di occupazione. La questione dei migranti di
seconda generazione e figli di migranti, all’epoca non esisteva perché non esistevano coppie miste
o figli di migranti in Italia. Prima i migranti erano adulti maschi in cerca di occupazione. Questi
migranti un po’ perché non trovavano formazione specifica per loro e un po’ perché si tenevano
alla larga delle istituzioni (privi di permessi di soggiorno ecc.) si formavano quindi in italiano L2 in
maniera spontanea (fuori dall’aula). Questo non fa che enfatizzare la quesitone ligustica dei
migranti. Chi frequentava i corsi era una quota residuale minoritaria. Ancora oggi a distanza di 40
anni abbimao che la maggior parte degli stranieri che vengono nel nostro paese e che non nascono
qui si formano linguisticamente in maniera spontanea. Ancora oggi abbiamo che la percentuale di
coloro che frequentano i corsi è solo il 30%.
Multiculturalismo di partenza die nostri migranti e deserto formativo e metodologico (anche die
materiali).
Chi inizia ad insegnare italiano a stranieri per la prima volta? Chi inventa questa professione? Sono
colleghi docenti, principalmente insegnanti di italiano a italiani che insegnano per prima agli

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stranieri. Lo fanno nel modo in cui lo insegnavano agli italiani. Quindi i primi tentativi di didattica di
italiano a stranieri si fa ricalcando materiali e strumenti pensati per italiano a italiani. Non esisteva
ancora la figura della persona formata specificatamente per insegnare italiano agli stranieri.
Questo ha creato una specie di giungla per cui noi adesso abbimao una quota di insegnanti che è
titolata per insegnare perché ha il titolo di laurea o un master che vede il mercato intasato da
persone che non hanno il titolo per insegnare italiano a stranieri ma hanno l’esperienza. Questo
creerà e crea ancora oggi molto imbarazzo perché al momento della selezione si ha il 25enne che
ha il master che si mette in competizione con un 40enne che non ha un master ma è da già 220
anni che insegna italiano a stranieri. Questo negli anni si risolverà in favore di chi ha i titoli però
creerà molte questioni.
Perché chi ha il titolo non può insegnare? Perché si è creata una rete di insegnanti che non ha il
titolo ma è anche vero che quando hanno iniziato ad insegnare il titolo non serviva. Questo
demotiva molti di noi. Chi insegnava italiano a stranieri negli anni 80 però inizia ad uscire dal
mercato del lavoro e quindi le nuove assunzioni avvengono in base al titolo. All’estero la situazione
è ancora più complicata perché se in Italia c’è stato un reindirizzamento normativo, all’estero si è
rimasti come era prima quindi si insegna italiano perché sono un parlante italiano e basta.
Oggi però anche all’estero iniziano a fare selezione in base al titolo.
Fase pioneristica dell’italiano per stranieri. Venivano accolti in queste non classi da questi insegnati
che nel dopolavoro si ingegnavano a fare didattica per stranieri. I modelli di riferimento era la
didattica di italiano a italiani. Questi colleghi che hanno iniziato si possono dividere in due
categorie: i malcapitati che ci hanno provato con molta volontà ma hanno capito che la situazione
per gli stranieri era diverso rispetto agli italiani e che quindi non hanno lasciato il segno e poi una
grande fetta di colleghi che hanno iniziato inventandosi una professione senza avere dei manuali.
Non c’era nulla di tutto ciò ma ciò nonostante hanno trovato soluzioni geniali per la didattica a
stranieri. Perché lo hanno fatto? Perché hanno saputo capitalizzare le migliori esperienze
didattiche dell’italiano a italiani. Negli anni 60 e 70 fare insegnanti e di scuola era diverso rispetto
ad oggi. Ci sono state situazioni come Don Milani o don Sabelli che hanno insegnato in certe
periferie romane o in toscana. Insegnare voleva dire mettersi a confronto con figure umane molto
simili ai migranti, in una terra in cui l’italiano era come una vera e propria lingua straniera.
Le 10 tesi GISCEL non erano pensate per gli stranieri all’epoca perché non c’erano ancora gli
stranieri ma rileggendole ci troviamo molte cose utili anche per chi deve insegnare italiano a
stranieri. Molti nostri colleghi si sono ricollegati a quelle esperienze e quel modo di fare didattica.
Principi di educazione linguistica e li hanno applicati con successo alla didattica delle lingue.
L’avanzamento della conoscenza nella didattica di italiano a stranieri si è realizzato grazie al
contributo di insegnanti che non avevano bagagli teorici alle spalle ma stavano lì in trincea giorno
per giorno, erano stati a scuola e sapevano relazionarsi con una classe che non parla italiano e che
provengono da culture diverse. Hanno applicato le cose che sapevano a questi stranieri. I risultati
migliori nell’avanzamento della conoscenza hanno tenuto insieme l’apporto teorico con il
contributo di chi ispirandosi ad un certo tipo di pedagogia che ha sperimentato, applicando con gli
stranieri i migliori risultati che erano emersi nella didattica dell’italiano per italiani.
Le 10 tesi GISCEL, manifesto di didattica sono frutto del pensiero demauriano ma anche pensiero
che lo stesso De Mauro ha detto che è nato dal confronto con certi insegnanti.
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Ritornando alla curva  la curva si impenna perché dire che in Italia i migranti sono pochi era vero
fino a 7-8 anni fa. Quando oggi si parla di migrazione il paese Italia che era un paese di fascia C in
passato è passato alla fascia A e tra i paesi europei siamo quelli in cui il tasso di sviluppo di numeri
di migranti è più alto. Cresciamo di più in base al numero di migranti. Restano comunque 5 milioni.
Su 54 milioni di abitanti.
In cosa è cambiata questa presenza rispetto al passato? Resta il fenomeno del plurilinguismo dei
parlanti. È cambiata la risposta didattica. Organizzare un intervento didattico è molto complicato
nel momento in cui mi trovo di fronte un plurilinguismo e culturalismo vastissimo quando mi trovo
di fronte a degli apprendenti tutti appartenenti a delle nazioni diverse.
Perché in Germania ha funzionato un certo tipo di politica? Perché hanno creato scuole serali e
mandavano gli insegnanti di italiano e avevano cos’ risolto un problema riguardo i migranti italiani
in Germania. In Italia non è stato possibile perché c’era una variazione linguistico culturale così
spinta che ha complicato molto l’intervento didattico. Quel tipo di didattica che tiene molto conto
della L1 di partenza è complicata da gestire in Italia perché in aula non si ha solo una L1. Didattica
contrastiva  non si può fare in Italia perché quasi mai si lavora con una sola L1 di partenza.

21/10/2020
Stiamo affrontando la questione dell’italiano L2 in Italia. Ci sono due emisferi: l’italiano all’estero e
quello in Italia. Anche se comincia a nascere un terzo mondo ovvero il nowhere dell’italiano,
ovvero la rete. Posso aprirmi per esempio un canale YouTube. Salta così il concetto di territorialità.
Quando io mi trovo in Italia posso selezionare un assetto in base a cosa regolarmi, se sono in Nord
America, posso selezionare l’assetto motivazionale e orientare la mia didattica. Quando apro un
canale web tutto questo non può succedere. Su YouTube si è generalisti. Se invece faccio un corso
io posso orientare la mia azione ad un pubblico specifico.
Abbiamo una didattica di aula in presenza o in aula o all’estero ma si cominciano anche ad avere
didattiche sul web ma in quel caso non si sa a chi mi sto rivolgendo.
Una delle questioni dell’e-learning è proprio questa  non sapere a chi mi sto rivolgendo. Poi in
qualche modo si può sbagliare target.

Veniamo adesso di nuovo alla questione della didattica di italiano in Italia. Dire che l’Italia è
terreno di didattica di italiano a stranieri per migranti non vuol dire che non esistano corsi per non
migranti. Continuano ad esserci in Italia corsi non indirizzati ai migranti, pensiamo a quelli
dell’università o per universitari Erasmus. Ogni ateneo di ogni città italiana ha i suoi corsi per
italiano a stranieri, non si fanno solo a Siena o a Perugia. Ci sono le scuole di lingua pensate
soprattutto per americani che vengono in Italia (year abroad)  per completare il loro percorso di
studi devono trascorrere un anno all’estero.
Quando vengono in Italia fanno corsi di storia dell’arte e di italiano. Questo vale nelle città che
risultino attrattive per questo tipo di pubblico. Non si troveranno questi tipi di corsi ovviamente a
Viterbo per esempio. Corsi che vengono svolti in grandi città d’arte. C’è anche a Siena.

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La grande questione dell’italiano in Italia è legata alla migrazione soprattutto. Come già detto,
questo fenomeno inizia negli anni 80 con quell’andamento della curva molto lento e poi con
impennata finale. Dal punto di vista glottodidattico abbiamo detto tre cose:
- Provenienza altamente variegata dal punto di vista geografico di queste persone. Crea un
problema glottodidattico perché la L1 complica la mediazione linguistica culturale. Le
politiche di mediazione non si possono fare mirate su una singola lingua perché ci troviamo
a gestire persone di tante provenienze geografiche diverse. Prima degli anni 80-90 i
migranti in aula non c’erano nemmeno. Iniziano ad arrivare dopo. Quindi prima non era un
problema semplicemente perché la situazione non esisteva ancora.
- Si andavano all’inizio ad accentrare i migranti solo in un’area lasciando deserte le altre.
Quindi difficile organizzare il sistema di accoglienza.
- Vuoto normativo e metodologico che i migranti hanno trovato in Italia. Hanno trovato un
paese impreparato ad accoglierli. Le prime lauree per insegnare italiano a stranieri si hanno
a partire dall’anno 2000. La classe di concorso a23 è ancora più recente. Parliamo di circa 5
anni fa. Si è arrivati ad individuare una classe di concorso per insegnare a scuola italiano a
stranieri. Quindi stabilito come materia tanto quanto la matematica. Prima non esisteva
neanche questa classe di concorso. Quello che noi oggi troviamo è il frutto di una
lunghissima fase di vuoto. Oggi noi troviamo il problema di immetterci in un mercato
saturato al momento da persone che occupano certe posizioni non avendo i titoli per farlo
(anche se per loro è legittimo, perché si sono trovati lì quando non c’era nessuna legge) e
hanno costruito sul campo una propria esperienza. A breve ci dovrà essere uno switch tra
insegnanti che erano presenti negli anni 90 (che ha iniziato ad insegnare senza i titoli) e il
pubblico che arriva ora con il suo bagaglio di lauree. Siamo in una fase storica di snodo. In
futuro il mercato verrà preso in mano da chi ha i titoli. Oggi pochissimi luoghi del mondo di
accolgono senza un titolo.

Prima la presenza migranti era concentrata in alcune aree del paese, dove c’era da fare
manodopera agricola. Quando si parla di didattica della lingua italiana a stranieri prima si parlava
solo di adulti. Il tema per i ragazzi è un’altra questione ancora che pone altri problemi e arriva
dopo. Gli adulti sono i primi ad essere arrivati in Italia.
Perché la didattica delle lingue che prima non aveva neanche questo nome, si è subito occupata
della questione migratoria? Temporalmente le prime rilevazioni sulla presenza migratoria in Italia
sono del 1978. Qualche sociologo si mise a fare un’indagine e scoprì che in Italia all’epoca c’erano
400 mila persone straniere in Italia che lavoravano qui. Non solo non eravamo più paese delle
emigrazioni ma cominciavamo ad accogliere lavoratori stranieri. Il dato però non interessò a
nessuno. Nessun programma televisivo e nessun giornale ne parlò.
Nel 1981, appena due anni dopo questo sondaggio, Vedovelli scrisse un piccolo contributo che ha
il pregio di essere il primo contributo in Italia sulla questione della lingua e della migrazione.
Quello che colpisce è che i linguisti nel nostro caso Vedovelli, immediatamente si fiondano sul
tema della migrazione. Cavalcano immediatamente questa questione. Perché lo fanno? Non per
scopi propagandistici o di parte.

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Cosa ha fatto scattare l’interesse e ancora oggi è molto vivo come oggetto di studio dal punto di
vista linguistico? Perché si intuiva che analizzare come gli apprendenti stranieri adulti immigrati
(profilo iniziale di migranti in Italia) imparano, mi può far vedere e analizzare i fenomeni di
apprendimento in generale. Quindi studiare come il cervello in generale si approccia ad un’altra
lingua straniera. Jakobson, importante linguista del 900 (scuola di Praga), diceva che si studiano i
casi limite per capire come funziona la normalità. Lui trattava l’argomento a proposito della
fonetica. Lui diceva che bisognava studiare l’apprendimento della fonetica degli ipoudenti (con
problemi di udito, non sordi) per poi comprendere come funziona il normale funzionamento.
Questo approccio vale in tanti ambiti. Per capire come funziona il cuore umano vado a studiare il
cuore di un atleta per esempio e non di quello che sta tutto il giorno seduto. Analizzo il cuore nel
momento di massimo sforzo per analizzare le performance. Perché si fa ciò? Perché è il cuore
spinto al massimo della performance che ti può dire come funziona l’andamento normale del
cuore di tutti noi. Analogamente anche in psicologia si studiano i casi borderline per capire il
funzionamento del cervello umano.
Quindi i casi limite illuminano il funzionamento fisiologico. In linguistica l’immigrante adulto che
apprende italiano nella condizione nella quale si trovavano nel 1980 era un caso limite di scuola.
Perché era un apprendente spontaneo (prima non ci si interessava degli apprendenti guidati).
Perché questo interesse per l’apprendente spontaneo? Per l’idea che siamo tutti alla ricerca di
situazioni limite. L’idea che l’apprendente spontaneo seguisse percorsi naturali di sviluppo (idea
che oggi non esiste quasi più). Idea degli anni 80. Percorso naturale di sviluppo della competenza,
quale è? Domanda a cui molti volevano rispondere. Naturale presuppone che il cervello umano
segua un percorso naturale per cui che esista una strada e che l’insegnante col suo operato quasi
contrasta questa strada naturale. L’insegnante è bravo quando rispetta questa strada naturale di
sviluppo (idea di universale linguistico che ora non sussiste più).
Universale linguistico  idea che tutte le lingue si comportano nello stesso modo. Tradotto come
universale di apprendimento. Gli apprendenti aldilà della L1 messi in una situazione spontanea di
apprendimento seguono un determinato percorso. Questa è stata l’origine degli studi su italiano a
stranieri. Ricerca di quali siano le tappe di questo percorso naturale di sviluppo della competenza.
Negli anni è stata messa in crisi l’idea che esista un percorso naturale di sviluppo.
L’apprendente spontaneo è l’unico che può seguire un percorso naturale? Questioni che sono
molto aperte rispetto agli anni 80. Se noi rileggiamo le cose dette nei primi 20 anni di riflessione
sulla lingua di migrazione tra le lingue c’era l’idea che si dovesse arrivare a descrivere il processo
naturale.
La teoria dell’insegnabilità  elaborata in Australia da Tiedemann. Questa teoria ci dice che non
tutto è insegnabile sempre. Ci sono cose che il cervello è pronto a ricevere e cose invece che
equivalgono a buttare grano sul pavimento che non attecchiscono. Non c’è il terreno pronto per
accogliere il seme della tua didattica. In poche parole è questa la teoria di Tiedemann.
La teoria dell’insegnabilità presuppone l’idea che esista un percorso nel cervello. Io insegnante
non posso non seguire questo percorso quindi. Perché in Italia prende poco piede l’idea di
occuparsi della L1 dei ragazzi stranieri? È quasi impossibile. Io non sto cercando la L1 dei ragazzi
ma la via naturale di sviluppo. Io devo lavorare secondo una via naturale di sviluppo della
competenza. Naturale vuol dire quella che si concretizza senza l’intervento dell’insegnante. Più io
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da insegnante seguo questa via e più ho facilità di insegnamento. Questa è l’idea che ha originato
gli studi sulla didattica dell’italiano a stranieri.
Il grande progetto scientifico messo in piedi nei primi anni 90 ( PROGETTO PAVIA) che si chiama
così perché è un progetto che aveva come sede principale Pavia ma comprendeva molte
università. A Pavia prima lavoravano molte persone che si occupavano di didattica di lingua
italiana. Questo progetto che ha segnato gli studi sulla didattica di italiano a stranieri partiva dal
presupposto che ci fosse un percorso naturale di sviluppo. Dove cercare questo percorso naturale?
Negli apprendenti spontanei. Da una parte lo studio di apprendenti spontanei anche perché quelli
guidati erano pochi, la maggioranza di migranti all’epoca era in una condizione di apprendimento
spontaneo totalmente. Oggi si trovano molti corsi e molti manuali. All’epoca non c’era nulla.
L’Italia era veramente un paese sconosciuto. Molti di loro arrivavano da paesi in cui non c’era stata
neanche la migrazione italiana. Paesi come Albania o Romania, dove italiani non ce n’erano.
Quindi un motivo contingente appena detto ma anche un motivo teorico: questo cosa ha
comportato? La ricerca che si voleva occupare dell’apprendimento spontaneo ha lasciato in
disparte l’aula, quindi l’apprendimento guidato. Ha anzi sottointeso che l’aula fosse ancillare
rispetto alla ricerca sugli apprendenti spontanei. C’era un non detto seguente: insegnante fai come
diciamo noi altrimenti sbagli. Incipit degli studi dell’italiano a stranieri in Italia.
È così vero che l’insegnante se non segue la ricerca sbaglia? Ovviamente non è vero. È ingeneroso
per l’avanzamento della conoscenza. Il vero avanzamento della conoscenza in questo campo di
didattica non c’è solo quando il progetto pavia elabora una teoria sull’apprendimento ma quando
si ha un progetto universitario (quindi progetti teorici) e questo progetto poi si misura e si
confronta con le esigenze di chi sta in aula. È la prova della strada che ti dice cosa è vero e cosa no,
se la cosa funziona o meno. Teoricamente si possono fare mille cose ma è dall’uso e dalla pratica
che si capisce se funziona. Quindi TEORIA e PRASSI. Studi sull’apprendimento e studi in aula. Ma
per molti anni in Italia non si è proprio studiato l’ambiente dell’aula.
Le conclusioni del progetto Pavia  l’idea degli stadi di apprendimento. Questo è uno dei risultati
principali al quale è giunto il progetto. È come dire guarda che l’apprendimento di chiunque
(universale di apprendimento) segue vie autonome e proprie (ognuno ha delle regole in testa) ma
queste regole si condensano intorno a stadi di sviluppo della competenza.
Perché oggi parliamo di livello a1-a2 ecc. nel Quadro? Aldilà delle etichette. Ci si rifà al concetto di
stadio. È chiaro che ognuno è un a1 diverso ma è possibile formare una classe di a1. Cioè è
possibile che tanti individui condividano uno STADIO DI SVILUPPO. Un po’ come avviene tra gli
esseri umani: ognuno è diverso dall’altro ma nonostante ciò è possibile stabilire la generazione del
2000 per esempio. Quindi siamo diversi ma condividiamo certe esperienze e certe cose.
Linguisticamente parlando l’idea di stadio che troviamo semplificata nei livelli del quadro è proprio
questa  racchiudere in stadi la competenza. Non è più un processo lineare, non si sta
ripercorrendo un sentiero ma si occupano spazi tridimensionali. Ogni stadio è identificabile dal
possesso di alcune regole. Quindi io so che gli a1 condividono determinate regole.
Questo è stato individuato con il lavoro sugli apprendenti spontanei. Un lavoro che presuppone il
seguirlo nel tempo. Lo sviluppo nel tempo. Si andavano a cercare gli apprendenti spontanei
seguendoli nel tempo. La metodologia di ricerca quale era? L’idea di studio di sviluppo presuppone

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seguirli nel tempo. Come si fa un’indagine sullo studio e sull’apprendimento? Si intervistano.
All’epoca si intervistavano tramite registratori per esempio.
Quindi si individua un gruppo di informanti spontanei (non contaminati dalla didattica di aula). La
contaminazione avviene perché la prof insegna cose come in condizionale e quindi non si
rispettano gli stadi naturali. Non si dice voglio ma vorrei per esempio e questo contaminava il
processo naturale di sviluppo. Si intervistano possibilmente sugli stessi temi a distanza di tempo.
Queste interviste vengono registrate e poi trascritte e inserite in un database. Da lì partivano le
indagini. Si vedeva per esempio che i connettivi appaiono a partire dal quinto mese in Italia,
mentre il passato prossimo dopo un anno della loro permanenza in Italia. Quindi questo dava
l’idea di SEQUENZA DI SVILUPPO.
Il messaggio che un po’ la ricerca si è dovuto rimangiare era il fatto che l’insegnante doveva
rispettare queste sequenze di sviluppo. Non si possono fare cose che si farebbero magari dopo
tanto tempo di corso. Questa idea negli anni si è molto bilanciata fortunatamente. Oggi si ha una
visione di sviluppo della competenza che tiene in seria considerazione ciò che avviene in aula.
Esiste o no questo sviluppo naturale della conoscenza? Il cervello lo segue sì o no? Su questo si
hanno posizioni contrastanti.
L’altro grande risultato è la nozione di INTERLINGUA che vedremo in seguito.

27/10/2020
Cosa succede nella testa degli alunni quando andremo ad insegnare italiano? Questa nozione che
è la nozione di INTERLINGUA è una nozione che è nata all’interno degli studi sull’apprendimento
spontaneo di italiano da parte di immigrati. Cosa ha dato la presenza straniera in Italia? Ha dato
nuovi ambiti lavorativi perché non esisteva la figura dell’insegnante. Poi ha dato nuova linfa alle
ricerche ACQUISIZIONALI  si occupano di come una persona apprende una seconda lingua.
Perché la ricerca si è dedicata fortemente al tema dei migranti? Non ne fanno una situazione
sociologica né tantomeno politica ma scientifica. Il migrante interessava dal punto di vista
dell’apprendente. Ritenuto apprendente emblematico  quale è il tratto del migrante che ci
interessava? APPRENDE IN UN CONTESTO SPONTANEO. Per molto tempo gli apprendenti guidati
sono stati considerati quasi apprendenti di serie b. questo ha creato una scollatura tra ricerca
accademica sull’apprendimento dell’italiano e il mondo della didattica. Gli insegnanti si sono
sentiti abbandonati perché la ricerca non parlava di apprendimento ma di acquisizione. La ricerca
non dava niente agli insegnanti.
Ha creato una divaricazione e anche una certa ostilità nel mondo della didattica d’aula contro la
ricerca scientifica.
La ricerca scientifica però anche all’epoca diceva delle cose utili per gli insegnanti, però quale era
la questione? Ripensiamo agli anni 80 (anno in cui il fenomeno è iniziato). All’epoca chi c’era in
aula? C’erano non persone che avevano studiato con master ecc, ma gli insegnanti erano in aula
con i migranti perché erano insegnanti. Non c’era stata per loro un momento di formazione. C’era
un prevalere della pratica sulla teoria.

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Oggi siamo in una condizione diversa, condizione tale per cui per diventare insegnanti bisogna
seguire un percorso che comprende anche momenti di lezioni teoriche su che cosa succede nella
testa degli apprendenti. Informazioni che ci torneranno utili quando insegneremo.
Per insegnare bisogna avere un orizzonte teorico di riferimento, qualunque esso sia. Dobbiamo
dotarci di una visione teorica. Non possiamo pensare di arrivare ad essere insegnanti
semplicemente perché abbiamo letto tecniche didattiche di Balboni. Non bisogna conoscerle a
memoria queste teorie. In aula la fantasia è importante ma le tecniche e le teorie ancora di più.

Perché chi intende insegnare deve occuparsi di queste cose?


Il punto non è come insegnare il congiuntivo ma perché devo insegnarlo? È giusto che io lo
insegni? Questione quindi di modelli teorici di riferimento.
La didattica per stranieri ha lasciato questa nozione di INTERLINGUA. Non dobbiamo dare la
definizione o nozione banale.
La nozione è il frutto degli studi di apprendimento di italiano che hanno portato ad alcune
conclusioni valide ancora oggi. La prima si rifà al fatto che l’apprendimento avviene per STADI DI
SVILUPPO. È il motivo che rende possibile l’archiviazione di studenti in livelli come a2-c2 ecc. Non
sono punti nello sviluppo ma stadi che l’apprendente abita, spazi che abita fatti di regole che
l’apprendente conosce.
Condivisione di spazio di regole. L’idea di competenze linguistiche condivise. Si condivisone regole
simili e non uguali per tutti. Quando avremo una classe di a2 ogni studente saprà cose diverse ma
tutte appartenenti allo stesso stadio di sviluppo. L’altra questione è che questo stadio di sviluppo
ha un tratto IMPLICAZIONALE. Cioè se sei un a2 vuol dire che hai superato l’a1. È una cosa banale
ma non per l’insegnante. Quindi il docente può dare per scontato le cose appartenenti all’a1.
Valutare una persona è molto difficile. Perché è così difficile? Non è un tema banale, non è come
misurare un tavolo. Si usano gli stessi termini (valutazione e misurazione) ma sono due cose
differenti. È estremamente complicato però con una buona approssimazione noi possiamo
stabilire se una persona appartiene ad un certo livello.
Se una persona è un b2 diamo per scontate conoscenze a1-a2. Se in aula qualcuno non risponde ai
miei stimoli di insegnamento o non risponde perché non capisce o perché capisce troppo bene ciò
che dici, quella persona deve essere spostata d’aula. Cosa che avviene normalmente in ogni corso.
Il Quadro comune europeo contiene delle insidie. “gli utenti del quadro di riferimento dovrebbero
considerare e se opportuno specificare quali sono i principi basilari dell’apprendimento linguistico
su cui fondano il loro lavoro e le conseguenze che ne traggono sul piano metodologico”. Quindi
cari insegnanti è opportuno specificare che idea di apprendimento linguistico abbiamo in testa e
poi dobbiamo fondare il nostro lavoro di insegnanti e trarre le conseguenze a livello metodologico.
La tecnica arriva dopo. Fuori dall’università ci sono molti corsi sulle tecniche didattiche  ma non
è questo che serve agli insegnanti, questo si impara in aula. Bastano 20 giorni in aula e impariamo
un sacco di tecniche. Il problema invece è capire cosa succede nella testa degli apprendenti, qui ci
vogliono conoscenze diverse e raffinate da possedere.
Uno degli scopi di un corso universitario è quello di dare queste competenze.

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Il volume SECOND LANGUAGE LEARNING THEORIES è un manuale che ci presenta le diverse teorie
linguistiche.
Ci sono due tipi di teorie:
- Teorie che modellizzano il sistema linguistico che si intende apprendere (grammatica
generativa chomskiana che non ci dice nulla come insegnare ma ci dice come è strutturato
internamente un codice, una lingua). Tutto ciò che va sotto il nome di grammatica
generativa è l’esempio classico di teoria che modellizza il sistema. Quindi la prima cosa che
dobbiamo fare è non confondere queste teorie da quelle che modellizzano i cambiamenti.
(property theory).
- Teorie che modellizzano i cambiamenti nei processi di apprendimento di una lingua
(transitional theory).
La nozione di interlingua appartiene alla seconda categoria di teorie.

Rapporto tra teoria e pratica  alle volte gli insegnanti si lamentano del fatto che la teoria non
dice nulla su come mi devo comportare in aula. Non si può però chiedere ad una teoria come mi
devo comportare. Quando si parla di interlingua non si parla di metodi didattici.
Non confondere metodo con modelli teorici. Non si può scegliere adeguatamente un metodo se
non abbiamo idea di come funziona l’apprendimento. Dobbiamo partire da cosa succede nella
testa dei ragazzi.

INTERLINGUA
Termine col quale noi definiamo cosa c’è nella testa degli apprendenti. L’apprendente ascolta e
legge un flusso di suoni e lettere. Se una persona iniziasse a parlare cinese noi cosa ascolteremmo?
Un muro impenetrabile di suoni. Una specie di bla bla bla privo di senso e significato.
Poi poniamo che io cominci un corso di cinese. Arrivo ad avere qualche rudimento di inglese. Se la
persona cinese parla lentamente e ci aiuta e sceglie i termini noi cominciamo a scalfire quel muro.
Che vuol dire teoricamente ciò? Vuol dire cominciare ad avere delle REGOLE che servono ad
INTEPRETARE QUEI SUONI nel parlato o quelle LETTERE nello scritto.
Quindi nel parlato ci sono regole di lingua. La prima operazione che il cervello fa di fronte a
qualcuno che parla in un'altra lingua è tradurre quel flusso di suoni in regole di quella lingua. Nella
nostra testa non ci sono parole ma REGOLE DELLA LINGUA.
Quando parliamo di regole dobbiamo dire che non solo regole sintattiche come ci dicevano
sempre a scuola. Esistono altre regole. Nella prospettiva dell’interlingua dobbiamo parlare di
regole sintattiche ma anche fonetiche, lessicali, pragmatiche (capacità di scegliere parole adatte).
La cui violazione è grave tanto quanto la violazione di regole sintattiche. A partire da un input, il
cervello traduce quando può questo input in regole della lingua stessa
Le regole entrano nella testa delle persone.
L’interlingua è capire che fine fanno queste regole una volta entrate nella testa delle persone.
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Le regole viaggiano nell’input, nel materiale linguistico che noi forniamo ad uno straniero. Quindi
quale modo ho io insegnante per fare arrivare una regola ad uno studente? Farlo viaggiare dentro
un input.
INPUT  vuol dire TESTI.
Quindi se io voglio far arrivare qualcosa nella testa dei ragazzi devo costruire o scegliere un testo
dove ci sono quelle regole.
Quando una persona apprende non apprende mai solo perché guidata o solo perché è spontanea.
Vale sia per dentro l’Italia che all’estero. Dire che l’unico strumento per veicolare l’input di lingua
italiana è l’insegnante comincia ad essere sempre più complicato dirlo perché oggi abbiamo la
possibilità di usufruire di un sacco di input grazie ad internet.
Resta però vero che chi insegnerà italiano molto lontano dall’Italia, quelle due ore in cui si
insegnerà italiano rischieranno di essere le uniche ore di contatto con la lingua italiana che gli
studenti avranno. Conseguenze enormi sul piano della didattica, noi potremmo organizzare una
didattica basata esclusivamente sull’input che noi forniremo. Ma chi insegnerà italiano in Italia la
relazione tra input in aula e input fuori dall’aula è sbilanciata nei confronti di quello fuori dall’aula.
Quindi se io insegno italiano in Italia non mi dovrò preoccupare di presentare le regole della lingua
italiana perché per fare questo 10 minuti con altri ragazzi italiani valgono quanto 10 ore di
insegnamento.
L’input esterno vale molto di più rispetto a quello della classe. Il mio compito quindi non sarà tanto
di presentare la lingua italiana, perché questa funzione ce l’avrà la società. Semmai il nostro ruolo
sarà quello di aggiustare l’INTERLINGUA che la società avrà costruito nella testa dei nostri alunni.
Definizione di insegnante in Italia  AGGIUSTATORE DELL’INTERLINGUA. Perché il costruttore
non potrà essere l’insegnante, ma la società nella quale vivrà l’alunno.
Il ruolo di costruttore di interlingua è il ruolo magari di un insegnante all’estero dove c’è poco
input esterno.
Quando si parla di cosa c’è nella testa degli apprendenti e perché arriva a possedere quelle regole,
dobbiamo dotarci di un quadro  fattori interni ed esterni per capire perché l’apprendente ha
quella interlingua.
Cosa c’è dietro e a monte di una interlingua? Vediamo questi fattori:
- IL CONTESTO SOCIALE.

- ATTITUDINI  esiste una attitudine all’apprendimento? Si dice magari che non si è portati
per le lingue ecc. Dire che un cervello umano non è portato per le lingue è una bizzarria.
Non esiste un cervello umano che non riesca almeno ad apprendere una lingua (la propria).
Se ho appreso l’italiana perché non devo apprendere un’altra lingua. Don Milani (studi sui
dialettofoni) che aveva un’idea della scuola strana  funziona per chi è più aiutato ed
espelle le persone con difficoltà. La vera scuola dovrebbe lavorare su quelli. Come un
ospedale che accoglie i sani e caccia i malati. Un ragazzo che è seguito dei genitori, scuola o
non scuola apprende.

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La scuola dovrebbe lavorare su chi non ha benefit. La scuola italiana però talvolta fa
l’opposto. Don Milani lo aveva capito. Dire che esista una attitudine ON/OFF per le lingue
non è scientificamente provato. Esistono semmai delle condizioni che favoriscono
l’apprendimento linguistico al livello del cervello, ad esempio avere un sistema fonetico
molto malleabile. Capacità di riconoscere prima e meglio di altri alcuni suoni per esempio.
Quella non è un’abilità linguistica ma può avere conseguenze sull’apprendimento
linguistico. Perché si capta un suono, lo memorizzi e lo fai riprodurre. Una memoria basata
sui termini e non sulle situazioni. Per il linguaggio funziona la memoria sui termini e non
sulle situazioni.

Avere una certa L1 di partenza può avvantaggiare per esempio. Si dice che gli slavi siano
ottimi parlanti di lingua straniera ed è effettivamente vero. È vero però che le lingue slave
hanno un sistema linguistico che prende qua e là da molte lingue data anche alla loro
posizione mediana in Europa.

I tedeschi parlano meglio l’inglese perché partano avvantaggiati. Lingua più simile
all’inglese rispetto all’italiano. Magari un italiano impara meglio lo spagnolo rispetto ad un
tedesco.
Tutte queste cose qui possono delineare una certa attitudine all’apprendimento linguistico.
Quindi condizioni sociali e attitudine se intendiamo ciò detto finora.

- MOTIVAZIONI

- ETA’  esiste un’età passata la quale è impossibile apprendere le lingue? Quando noi
parliamo di competenza linguistica non parliamo di un blocco che c’è o no, ma parliamo di
tante cose come fonetica, lessico, sintassi, pragmatica, ecc. Sulla L1 sappiamo che bambini
senza stimoli linguistici entro una certa età (bambini selvaggi o lupo) non riescono ad
imparare a parlare. Possiamo dire che superare una soglia di età per entrare in contatto
pienamente col linguaggio comporta la mancata piena padronanza. Per avere la
padronanza di una L1 devi entrare in contatto con la lingua dai 0 ai 12 anni perché dopo dei
12 anni il cervello umano si lateralizza e cioè colloca le proprie funzioni cerebrali in certi
punti. La distinzione tra emisfero destro e sinistro si stabilizza. Quando si nasce il cervello
non è lateralizzato ma è una massa unica. Si sviluppa dopo la nascita. Siamo gli unici
mammiferi che non nasciamo pronti per vivere. Abbiamo bisogno di tempo per
sopravvivere. Abbiamo bisogno della presenza di qualcuno che ci aiuti perché non
possiamo camminare, il cervello non è pronto, alcune ossa ancora si devono formare, non
abbiamo il palato pronto ecc. Abbiamo bisogno di una fase per acquisire tutte queste cose.
Molte teorie dell’apprendimento basate su questi fattori. Ricordiamo Chomsky. Come fa un
bambino ad imparare una lingua? Teorie di apprendimento.

Sulla L2 ricordandoci che la competenza è fatta da varie cose e ricordandoci del fatto che
noi possediamo già un sistema linguistico, le difficoltà maggiori si hanno a livello fonetico.
Si può arrivare ad arrivare ottimi parlanti di una L2 ma con una inconfondibile pronuncia da
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straniero. Perché la fonetica è così dura da imparare per un adulto? Perché un tipo di
competenza più legata a fattori naturali. Non si studia la pronuncia dell’italiano, la
pronuncia non la insegnano a scuola. Non ci insegnano la fonetica perché si acquisisce in
un periodo di tempo molto breve prima ancora di produrre i primi suoni. Il cervello non
nasce con un sistema fonetico predisposto. Un bambino nato in Italia e portato in Francia
parla perfettamente in francese perché è stato portato in Francia prima della
cristallizzazione del sistema fonetico. Il trapezio fonetico dell’italiano è diverso da ogni altra
lingua. Il cervello non nasce con quel trapezio ma si allena a costruirlo. Modificarlo è molto
complicato. Motivo per cui noi italiani in condizioni di stress o autocontrollo tendiamo a
parlare in dialetto perché ci esce la parlata che il cervello ha acquisito nei primissimi mesi
della nostra vita. Ci è rimasto impresso il sistema fonetico della nostra regione di origine.

Per gli altri livelli invece si può apprendere bene anche superati i 12 anni. Però anche per la
L2 prima si inizia e meglio è. Per due motivi: non solo perché il cervello è più plastico e
pronto a ricevere informazioni linguistiche ma anche perché si passa più tempo accanto ad
una lingua. Studia per più tempo una lingua.

- PERSONALITA’

- CAPACITA’

- CONOSCENZE PREGRESSE

- OPPORTUNITA’ DI APPRENDIMENTO

- USI DI PRODOTTI DALL’APPRENDENTE/SISTEMA INTERLINGUISTICO

L’asso della manica che noi abbiamo rispetto ai docenti di prima è che noi arriviamo in classe con
una batteria teorica molto più solida. Abbiamo seguito un percorso differente al loro. Dal punto di
vista della pratica però perdiamo in partenza perché loro insegnano già da 20 anni. Quindi siamo
deboli, dal punto di vista della pratica, ma forti dal punto di vista teorico.

Che cosa è una varietà interlinguistica di apprendimento?


Interlingua e varietà interlinguistica di apprendimento sono sinonimi. Perché la chiamano varietà?
E perché c’è anche la parola interlinguistica o apprendimento?
Il termine varietà a cosa lo associamo? Ad una qualsiasi lingua. Il termine varietà è il termine col
quale si indica una qualsiasi appunto varietà linguistica. Noi parliamo una varietà linguistica
italiana per esempio. Il termine varietà non è casuale. Non la chiamiamo lingua perché il termine
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lingua si porta dietro il binomio lingua-dialetto che ci fa pensare che l’italiano è una lingua e il
napoletano un dialetto. Dal punto di vista linguistico non c’è alcuna differenza tra italiano e
napoletano. Sono due varietà linguistiche differenti.
Se viene un marziano ed ascolta qualcuno che parla italiano o napoletano non distingue se uno è
una lingua e l’altro un dialetto. Se noi andiamo in Cina noi sentiamo parlare cinese ma non
distinguiamo il dialetto cantonese dal cinese. Quindi quando distinguiamo tra lingua e dialetto la
distinzione ha valore sul piano sociologico e del prestigio, del valore delle lingue. Non sul piano
linguistico. Non dobbiamo cadere in questo errore.
I pregiudizi valgono al positivo e al negativo. Non solo si arriva a dire che dialetto significa lingua
storpiata, ma anche che è una lingua senza regole, con ristretto campo semantico. Ci sono molti
pregiudizi al riguardo. Il dialetto magari per litigare o per esprimere emozioni. Pregiudizio nel
pregiudizio: esistono dialetti di serie A e di serie B. Il napoletano e il siciliano magari sono dialetti
perché hanno una letteratura, patrimonio musicale, attori ecc, mentre il lucano non è un dialetto.
Quindi nel pregiudizio si ha anche una gradazione. Distinguiamo tra dialetti di serie A e B. Tutto ciò
dal punto di vista linguistico non ha ragione d’essere.
Queste questioni si affrontano dal punto di vista della didattica dell’italiano. Cosa devo insegnare
quindi in classe? Quale è l’italiano? L’italiano standard non è quello dei libri ma quello dell’uso, ma
nell’uso troviamo di tutto.
Perché Cannavacciolo può parlare in napoletano e in cucina con Benedetta non può parlare in
marchigiano? perché il marchigiano è forse visto come inferiore? Se dobbiamo far vedere un video
di cucina ai miei studenti come faccio se si parla in dialetto? Il dialetto però fa parte dell’uso.
Quindi varietà significa lingua. Quindi l’interlingua è una vera e propria lingua. Si è pensato per
molti anni che l’apprendimento dell’italiano da parte degli stranieri e la lingua che parlano non è
una vera e propria lingua. Invece lo è.
Il termine varietà ci serve per dire attenzione! Lo straniero anche quando è ad un livello a1 o a2 sta
usando una lingua. Perché la questione non era così prima? Perché il sistema di regole che lui
costruisce nella testa è già un sistema di regole, non è un nulla. Alcuni dicono che fino ad un certo
punto di competenza non si può parlare di competenza linguistica, è falso.
Anche chi parla un bruttissimo italiano sta usando una forma di italiano, una varietà di italiano.
Non paragonabile a chi parla bene ma è sempre una lingua. La differenza non è di conformazione
ma di potenza. È come se ci fosse una 500 e una Ferrari. Il nostro italiano bello è la Ferrari mentre
il loro è una 500. Ovviamente sono entrambe macchine, quindi entrambe lingue. Cambia
semplicemente la potenza. I meccanismi di funzionamento sono gli stessi. Non cambia il fatto che
sia una forma linguistica.
Allo stesso tempo è chiaro che la nostra lingua non è paragonabile a quella di un bambino di 6
anni, ma il modo in cui apprendo e parlo è lo stesso del bambino. Io però so più parole e so creare
molte frasi ma i meccanismi di funzionamento sono quelli. Cosa importante. Noi non andremo mai
a lavorare nei livelli 1 con degli alunni tabula rasa, con scatole vuote. Non avverrà mai. Io non devo
riempire la testa di informazioni. Anche chi non parla quasi una parola di italiano nella sua testa ha
un meccanismo linguistico personale.

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Il termine interlingua proprio perché contiene il prefisso inter ci porta a definirla in maniera
ingenua come un qualcosa che sta in mezzo tra la L1 di partenza e la L2 di arrivo. Territorio
connotato in una terra di mezzo dunque. In realtà questa è l’idea di interlingua più scontata. È un
calco dall’inglese interlanguage.
Dobbiamo rivedere però questa visione. Se è qualcosa che sta in mezzo significa che io ad un certo
punto lascio la mia L1 di partenza e non si sa dove va a finire. Quando la lascio? Quando si prova a
parlare italiano. In realtà non è così. Io sì provo a parlare italiano ma lo faccio anche tramite la mia
L1. Mi traduco le frasi nella testa.
Quando si parla una lingua straniera come si fa a dire che io abbandono la mia L1? C’è sempre un
riferimento alla lingua di partenza infatti si dicono che molti errori sono errori di INTERFERENZA.
Ovvero quando io applico erroneamente le regole della L1 sulla L2.
Anche regole pragmatiche dell’italiano, come quelle della gestualità e della distanza. Cambiando
una lingua cambia anche il modo di gesticolare. Si acquisiscono anche regole pragmatiche e di
comportamento quando si impara un’altra lingua, ma talvolta sbagliamo e applichiamo magari le
nostre regole di prossemica agli altri.
Non esiste quindi un vero e proprio abbandono della L1 quando si arriva a parlare di una L2. Se è
una lingua di mezzo l’intermedia allora quando entro nella L2? Se sta in mezzo allora quando lascio
la L1 e quindi quando entro poi nella L2?
Quando succede ciò? Se non vogliamo entrare nei dettagli teorici basterebbe già questo per
smontare l’idea che l’interlingua sia qualcosa che sta in mezzo. Quando parliamo di interlingua
parliamo di varietà o sistema di regole altro rispetto alla L1 e alla L2. Il termine corretto quindi
sarebbe varietà “ALTRALINGUISTICA”. Io sto costurendo un altro sistema linguistico di
apprendimento.

Come si arriva alla questione della Interlingua?


Attenzione che si sposta dal prodotto al processo. PER ANNI SI È FATTO DIDATTICA DELLE LIGNUE
GUARDANDO ESCLUSIVAMENTE AL PRODOTTO DEI PROPRI STUDENTI.
Quando facciamo questi discorsi relativi allo sviluppo delle teorie linguistiche ricordiamoci sempre
che facciamo questi discorsi avendo come punto di osservazione ciò che è successo in Italia e nel
mondo occidentale. Quindi attenzione a relativizzare un po’ la cosa. Dire che nella didattica delle
lingue c’è l’esplosione del metodo comunicativo e tutti ora lo usano, è una cosa vera ma vera per
quale mondo? Per il nostro, il mondo occidentale soprattutto europeo e nord americano. Se
osserviamo cosa succede in altre realtà notiamo altro. In Cina magari non sono abituati a prendere
le lingue come le prendiamo noi.
Nel mondo occidentale c’è uno spostamento di attenzione. Quando si parla di interlingua a noi
insegnanti importa non il prodotto ma il processo mentale che porta lo studente a produrre quelle
cose. Gli insegnanti hanno o sono stati invitati a non ragionare solo in termini di prodotto 
grande switch culturale.

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Il vero compito dell’insegnante è cercare di lavorare non sul prodotto ma sul processo. Perché
l’interlingua è cruciale? Ci spinge a mettere a fuoco non tanto ciò che lo studente sa fare ma il
perché sa fare una determinata cosa. Cosa sta succedendo in quel momento nella testa dei
ragazzi. È lì che mi devo soffermare. Anche perché poi lavorare solo sul prodotto è un rischio
perché alle volte lo studente se produce una regola male oramai è tardi per aggiustare tutto.
L’insegnante non deve pensare di avere a che fare con vasi di terracotta già pronti e secchi. Noi
abbiamo a che fare con la costruzione dell’impasto della terracotta. Qualcosa di malleabile. Se noi
non partiamo da questa idea allora il nostro ruolo di insegnante viene meno.
Il grave problema dell’e-learning è questo cioè come si fa al computer ad insegnare una lingua
straniera. L’analisi del prodotto resta fondante al momento della didattica e della valutazione.
L’insegnante si deve ricordare che l’analisi del prodotto è un aspetto marginale perché quello che
più conta è il proceso. L’intelringua serve a deifnire come questo processo avviene.
DEFINIZIONE INTERLINGUA  Rete di regole che si configura come un sistema di regole altro,
diverso dalla L1 di partenza e dalla L2 di arrivo ma che si fonda anche su regole provenienti da
queste due lingue.
Posso capire cosa c’è scritto su un foglio non solo perché conosco le lettere dell’italiano ma perché
conosco le regole di quella lingua. Non solo regole sintattiche ma tutte.
Il termine INTERLINGUA è stato proposto da SELINKER all’inizio degli anni 70.
Il termine rete nella definizione di interlingua è la quesitone fondamentale. Perché rete? Perché
l’idea che vogliamo far passare quando parliamo di interlingua è che quando le regole entrano
dentro la testa dei nostri ragazzi non si buttano alla rinfusa in qualche scatola ma vengono
archiviate in un sistema o in una rete. La rete è ciò che noi abbiamo in mente. Un qualcosa che
prevede fili e nodi.
L’insegnante non solo deve presentare i nodi dell’italiano e quindi le regole ma è quello di
organizzare questa rete. Connettere i nodi tra di loro e far capire le relazioni delle cose. Gli
stranieri tendono ad apprendere subito il presente poi passano al passato prossimo e poi
l’imperfetto. Quando si arriva all’imperfetto non si aggiunge a questi due nodi ma entra in
relazione. Far capire che andava è collegata con vado e sono andato. Fa parte dello stesso ambito.
Per loro andava era solo una parola. Quindi dobbiamo spiegare i collegamenti.
Questo sistema di regole altro, nuovo, che si costruisce nella testa dei parlanti, composto da
regole della L1 di partenza e L2 di arrivo, ma anche basato su regole generate auto amente dagli
studenti. Non è vera l’idea che quando parlo una lingua nuova è come se iniziasse nella mia testa
una cosa fatta solo da L1 e L2. Non è vero che si apprende una lingua mettendola in relazione solo
con la mia di partenza. Ipotesi contrastiva  apprendo una lingua mettendola in confronto con la
mia. Laddove sono simili non ho difficoltà, al contrario invece sì.
Nelle fasi inziali magari per imparare lo spagnolo l’italiano ci aiuta molto perché sono lingue molto
vicine. Salendo poi di livello di spagnolo poi l’italiano non serve più. Questa idea che nella
interlingua ci siano solo regole di L1 e L2 è vera fino ad un certo punto. Poi dobbiamo anche
aggiungere regole create auto amente dagli studenti.

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Questo sistema di interlingua ha delle caratteristiche. È un sistema dinamico, creativo, variabile
(da individuo e nelle produzioni dello stesso individuo) soggetto a fossilizzazioni che idealmente
tenda alla lingua di arrivo.
Tutti i sistemi linguistici per loro natura sono dinamici. Le lingue si evolvono e cambiano. Il
dinamismo non è una peculiarità dell’interlingua. Quale è la differenza nell’interlingua? È che
questo dinamismo è molto più evidente rispetto alle altre lingue. Anche l’italiano cambia. Il nostro
italiano non è quello che usavamo al liceo, abbiamo nuovi termini, nuove espressioni ecc.
Anche nella nostra L1 c’è un dinamismo ma complicato da cogliere. Non si può dire che il mio
italiano è diverso rispetto a quello di 3 mesi fa, ma si può dire in base agli anni per esempio. E non
bastano neanche 3 mesi per dimenticare l’italiano.
Quando si parla invece di interlingua le differenze si possono vedere anche in 3 mesi, anzi anche in
3 giorni in Germania per esempio. Basta anche solamente una settimana per sentirsi più a proprio
agio. Quindi un dinamismo molto più dinamico che vale sia in positivo che in negativo. Noi
possiamo anche peggiorare la nostra competenza. Questo perché magari non ci esercitiamo più,
non leggiamo più. Quindi si blocca. Questo sistema è creativo. Non è solo una relazione tra L1 di
partenza ed L2 di arrivo. Dentro ci sono regole create creativamente, dal nulla, dall’apprendente.
Questo aspetto della creatività è una di quelle questioni che dovrebbe accenderci una lampadina.
Parlare di creatività, semioticamente, non si rifà al punto di vista chomskiano. C’è chi crede che il
sistema linguistico sia creativo e chi no.
Si dice poi che è un sistema variabile da persona a persona. È variabile anche da produzioni a
produzioni di uno stesso individuo. Io posso dire una cosa bene oggi e male tra un mese.
Un aspetto tipico invece dell’interlingua, molto importante per un insegnante, ovvero tendono a
fossilizzarsi. Cosa vuol dire? Un sistema interlinguistico cresce e per quale motivo? Perché
sottoposto ad input. Anche non frequentando un corso di lingua e vedendo una serie in lingua noi
stiamo sviluppando una competenza linguistica. Questa competenza linguistica tende verso la
fossilizzazione e l’errore. Perché? Perché il cervello è pigro e si accontenta e quindi una volta
trovata la comfort zone si accontenta e non va a capire in fondo la nuova lingua. Si arriva cosi alla
fossilizzazione. Cosa è? È una regola deviante dal sistema di riferimento che è prodotta male dallo
studente. La differenza con l’errore? L’errore è quasi fisiologico in un sistema interlinguistico. Si
dice che l’apprendimento passa tramite gli errori. Sbaglio ed apprendo.
Sistema spontaneo  ricco ma molto fossilizzato perché nessuno ti ha spiegato come funziona.
Quindi la fossilizzazione non è l’errore ma l’errore prodotto ad uno stadio di sviluppo che non è
quello del resto del sistema.
Come fa un insegnante ad analizzare l’interlingua? Come fa a lavorare nel processo di
apprendimento? Analizzando gli errori. Gli errori sono come degli indicatori di superficie di ciò che
avviene nella testa dei nostri studenti. Lavorare con una interlingua vuol dire entrare nella testa
dei nostri studenti.
L’insegnante deve provare ad entrare nella testa degli apprendenti. Il grave errore che viene fatto
dalla scuola italiana per le lingue straniere è vedere gli studenti come meri esecutori di

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performance linguistiche. Come si entra nella testa degli studenti? Basta analizzare gli errori delle
loro produzioni. Ribaltamento totale rispetto ad una certa didattica delle lingue che vedeva
l’errore come una cosa brutta e grave.
Ancora oggi si usa questa cosa di contare gli errori. In realtà non si contano ma si pesano e si
valutano. L’errore segnala un qualcosa, magari una fossilizzazione.

03/11/2020
Questione della interlingua  proposta per immaginare che succede dentro la testa dei nostri
studenti quando apprendono una regola. Chi apprende, apprende regole. Quando noi pensiamo
alla didattica dobbiamo pensare ad una didattica delle regole. Non stiamo dicendo di insegnare l
GRAMMATICA. Quello che il cervello elabora sono regole della lingua italiana e il cervello per farlo
ha bisogno di testi. Differenza coll’approccio grammaticale.
Approccio grammaticale oramai superato. È superata l’idea di fare didattica attraverso la
grammatica, non è superata l’idea che nella testa delle persone ci sia una grammatica.
Fraintendimento nocivo dell’approccio comunicativo  confondere il fine con i mezzi, pensare di
trasformare la didattica in un chiacchiericcio. In questa idea per cui nella testa delle persone non si
sa bene cosa ci sia e io mi posso permettere di insegnare semplicemente esibendo la lingua. In
realtà questo esibire la lingua è un qualcosa che YouTube fa molto meglio degli insegnanti. Una
qualsiasi serie Netflix fa meglio di tutti.
Un insegnante non deve esibire una lingua ma semmai attraverso l’esibizione della lingua,
attraverso i testi la testualità contiene regole. Per lavorare sulle regole devo quindi partire dalla
testualità. Le regole sono non solo regole sintattiche. Sono anche fonetiche, lessicali e pragmatiche
della lingua italiana. Sono anche comportamentali. Qualsiasi cosa che fa riferimento alla
dimensione tessutale. Anche regole sociali. Il tema che affrontiamo in queste lezioni è; queste
regole una volta entrate nella testa degli studenti che fine fanno?
La prima cosa che abbiamo detto è che si ha una metafora a rete o sistema. Non è un termine
scelto a caso. Lo chiamiamo rete o sistema perché vogliamo sottolineare l’aspetto che le regole
sono in qualche modo in collegamento tra di loro. Le regole sono in relazione tra di loro. Quando
noi possediamo il sistema verbale italiano (molto complicato per uno straniero, ricco e ridondante)
non esprimiamo 3 cose con 3 diversi tempi verbali. Quindi quando lo straniero scopre che oltre
che al presente c’è il passato prossimo non aggiunge semplicemente una nuova regola. Ma
contestualmente ridetermina l’utilizzo del presente e del passato prossimo. A quel punto ciò che
prima faceva col presente ora lo inizia a fare col passato prossimo. Alcuni usi del presente si
restringono. Poi scopre l’imperfetto. Ancora una volta non lo va ad aggiungere semplicemente ai
verbi ma ridetermina gli utilizzi del presente e del passato prossimo, li restringe, li diversifica.
Pensiamo ai colori. Si apprende il significato di bianco e poi quello di nero. Poi arriva il momento in
cui si apprende il grigio. C’è un termine quindi che serve per indicare una determinata gamma di
colori che non sono né bianchi e né neri. Mettiamoci nei panni dello straniero. Quando gli

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insegniamo grigio, alcuni significati che prima lui determinava attraverso l’utilizzo della parola nero
saranno modificati. Quindi certe cose che prima chiamava nere ora le chiamerà grigie.
L’altra questione di cui abbiamo parlato è stata la varietà linguistica. La dobbiamo considerare
come tale. Errore che fa l’insegnante  pensare che la testa degli studenti è vuota. E visto che
sono di livello iniziale allora non hanno regole. Molto sbagliato. In realtà anche chi parla
pochissimo italiano e padroneggia magari solo 10 regole, quelle regole si dispongono comunque in
una rete e entrano in relazione tra di loro. Allora il lavoro dell’insegnante non è tanto quello di
presentare le regole dell’italiano. Questo forse vale per l’insegnante che opera in contesti dove
l’italianità è poco o per nulla diffusa, dove effettivamente lo studente per ascoltare italiano deve
venire alla nostra lezione. Per chi insegnerà invece italiano in Italia la funzione di colui che
presenta le regole dell’italiano viene un po’ meno. Questo perché la conoscenza delle regole
l’hanno attraverso l’interazione con i parlanti nativi.
Ruolo dell’insegnante  aggiustare questo sistema di regole e metterlo in grado di ampliarsi
autonomamente.
Se facciamo riferimento ai livelli framework, il livello di autonomia è quello che ci consente di
sopravvivere linguisticamente in un territorio. Sopravvivere senza più il sussidio di qualche
parlante nativo. Questo è l’obiettivo di qualunque insegnante. Fare in modo che lo studente
diventi autonomo. Che vuol dire? Essere in grado autonomamente id apprendere nuove regole,
capire il significato, metterle in relazione ecc.
Anche noi quotidianamente scopriamo nuove regole dell’italiano. Anche solo regole lessicali. Alle
volte anche costrutti che non abbiamo mai utilizzato. Quale è la differenza tra noi e lo studente di
italiano? Tutti e due acquisiamo regole quasi giornalmente. Lo studente ne acquisisce di più. La
differenza è che lo studente entra in contatto con la regola ma poi non sa bene cosa farci o come
archiviarla o come metterla in relazione con le altre già possedute.
Noi che siamo al livello di piena competenza acquisiamo nuove regole e le andiamo ad archiviare
nel punto corretto. Cosa vuol dire? Metterle dove quella regola entra in relazione con regole
analoghe. Quindi diventa produttiva.
Aspetti più didattici  quando si fa didattica con le canzoni va bene. Ma l’obiettivo non deve
essere spiegare il significato della canzone. Quello è karaoke didattico semmai. Quella però non è
didattica. Non bisogna capire il significato di una canzone. L’obiettivo dovrebbe essere attraverso
la canzone quindi un testo italiano arrivare a capire che regole sono contenute in quella canzone e
far capire allo studente cosa ci può fare con quelle regole. Che situazioni comunicative servono o
sono necessarie per utilizzare quelle regole. Se non ci preoccupiamo di questo la mia didattica
diventa sterile.
L’obiettivo per un insegnante non è fare vedere come si attraversa una strada. Il mio obiettivo è
portandoti in una strada ti faccio vedere come ti devi comportare quando devi attraversare la
strada in una qualsiasi piazza del mondo. Alcune volte gli insegnanti fanno cilecca.
Le varietà linguistiche si sviluppano con quel senso di dinamicità e variabilità un po’ tutte. Anche il
nostro italiano cresce, si sviluppa in maniera dinamica e variabile. La differenza è nella virulenza di
questi fenomeni. Il mio italiano è dinamico ma è un dinamismo che si può osservare al

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microscopio. Quante regole sintattiche possiamo aggiungere al nostro italiano? Non tante quante
uno studente di italiano base, iniziale. Uno studente può arrivare dopo una lezione a conoscere
20-30 parole dell’italiano. Noi in una giornata non ci riusciamo.
Certamente possiamo conoscere nuove parole dell’italiano ma non 30 al giorno. Quando parliamo
di dinamismo, creatività e variabilità siamo ancora nelle questioni che riguardano tutte le varietà
linguistiche.
Ciò che è tipico dell’INTERLINGUA  FOSSILIZZAZIONE. Quando una regola rimane ancorata ad un
livello evolutivo non al passo al livello del sistema. Una regola diventa magari ad un livello a1
quando il resto del sistema sta ad un livello magari b2. Molti italiani parlano benissimo inglese e
quindi a livello lessicale solo ad un c1 ma su certe cose fonetiche rimangono ad un livello basso.
Fenomeno tipico dell’apprendimento linguistico.
Ora abbiamo introdotto un termine tecnico. A quel livello, per quella regola quindi l’apprendente è
FOSSILIZZATO. È una cosa grave. Perché? Una regola fossilizzata vuol dire che non permette a quel
sistema in quel punto di evolversi. Si può bloccare una singola regola, fenomeno molto frequente
ma non grave, o addirittura un sottoinsieme e di regole (molto grave). Nei fenomeni più gravi
abbiamo apprendenti che hanno capito un po’ come funzione il sistema verbale, hanno appreso
alcuni modi e tempi ma si fossilizzano e ad esempio non arrivano al congiuntivo. Lì non si fossilizza
una singola regola ma il fatto è più grave perché l’intero sistema verbale rimane fossilizzato.
Quindi si cresce ma per quanto riguarda i verbi rimani fermo.
Questa è una tendenza quasi naturale. Ci sarebbero anche delle spiegazioni sul funzionamento del
cervello che giustificano questa tendenza alla fossilizzazione. Ricordiamo la PIGRIZIA MENTALE. Il
cervello tende ad accontentarsi. Accontentarsi perché tende a riprodurre meccanismi e schemi
che gli sono propri, sul quale ha costruito la propria competenza e si adagia. Il problema degli
apprendenti spontanei è proprio questo. Padroneggiano quel poco di lingua che gli serve e fanno
fatica a progredire perché non sono sufficientemente stimolati. Mentalmente hanno raggiunto
quella condizione che li fa sopravvivere linguisticamente. Lo scatto in avanti si ha magari quando
vado a vivere all’estero. Il nostro cervello si allena a parlare con i nativi. Il cervello costruisce
questa rete interlinguistica che gli è sufficiente per vivere e lavorare all’estero e poi si impigrisce.
Sente poco lo stimolo a migliorare. Come può avvenire il miglioramento? Se magari
improvvisamente la catena di negozi in cui sto lavorando mi dice di andare a lavorare in ufficio e
salgo di livello. Il cervello in quella condizione è costretto a sviluppare competenza altrimenti il
cervello tende a ripetere le cose che già sa.
Come avviene l’ingresso di una nuova regola sul sistema? Come abbiamo già detto una regola
viaggia attraverso dei testi. Una regola ci arriva attraverso la testualità. Noi incontriamo una regola
quando ascoltiamo qualcuno parlare o quando leggiamo qualcosa. Il primo filtro avviene sul fatto
che alcune regole noi non possiamo arrivare neanche a pensare che esistano perché il nostro
sistema di regole non è adeguato a concepirla, l’esistenza stessa di quella regola.
All’inizio per noi ascoltare una persona cinese è come sentire un flusso di suoni.
Poi si ha il primo livello  livello che ci consente di capire qualche parola. Per capire qualcosa che
ci vinee detto in una lingua è l’inizio della scala della competenza ma anche il gradino più alto.

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Permette di capire l’inizio e la fine di una frase o di una parola e ci dà l’incipit per costruire il nostro
sistema interlinguistico.
Livello che si considera a1. Non è una cosa da poco, costa una fatica enorme per un apprendente.
Pensiamo alle lingue non come l’inglese ma lingue che impariamo proprio da zero. Lingue per cui
non si ha nessun appiglio fonetico. Grossissima difficoltà per arrivare ad un a1.
Poi inizia l’a1  livello del tutto insufficiente eccetera ma è comunque il livello di chi comincia ad
apprendere qualche regola. Cosa succede? Arriva la regola sotto forma adi testo, il cervello la
estrapola dal testo e la porta nella propria testa. Questa è un’operazione molto complessa. Per
nulla scontata e banale. È l’operazione che l’insegnante compie al posto nostro. Differenza tra
apprendimento spontaneo e guidato. Tutti a dire che spontaneo è meglio  in un corso guidato
però questa operazione qui (spiegare le regole e come funzionano le cose) la fa l’insegnante.
Nell’apprendimento spontaneo la dobbiamo fare noi da soli, molto complicato. Non solo
dobbiamo individuare una regola (già molto complicato) ma dobbiamo capire a cosa ci può servire
quella determinata regola.
Parlare italiano non vuol dire cantare Jovanotti, vuol dire tutt’altra cosa. Parlare italiano non vuol
dire capire la scena di un film. Attraverso un film e una canzone o un dialogo io arrivo a
padroneggiare le regole dell’italiano. Vuol dire sapere che esistono e saperle usare nei contesti
adeguati. Sono due operazioni molto complicate che l’insegnante fa per noi. È questo il ruolo
dell’insegnante. Far notare e individuare una regola e ci dice quando usarla.
L’apprendente spontaneo si vede arrivare il testo, deve capire quali regole sono presenti, a che
servono e come usarle. Operazione non da poco.
La regola entra. E molti pensano bene è entrata e quindi il gioco è fatto. Non è così. La regola una
volta entrata deve trovare un posto nel sistema interlinguistico. Il problema che molte volte
abbiamo è che ci spiegano la regola ma non ci rimane in testa. Perché? Perché non abbiamo capito
in quale punto dell’interlingua la devo mettere, quindi non la saldano con le altre regole. Non
entra in relazione con altre regole. L’interlingua non è una scatola di regole, le regole non sono alla
rinfusa. Sono legate e in relazione tra loro. È una rete perché ci devono essere le regole legate tra
loro. Quello che conta della rete non sono i nodi ma le relazioni tra nodi, i fili più che i nodi quindi.
Allora questa regola entra e entra in relazione. Cosa succede? Entra una nuova regola, la rete
interlinguistica entra in fibrillazione. Immaginiamo che ognuno di noi ha una rete interlinguistica
nella nostra testa. Il cervello tende a stabilizzare il sistema e tenerlo in quiete. Il punto è che una
rete in quiete non si sviluppa. Quindi il primo compito dell’insegnante è tenere questa rete di
regole viva e recalcitrante. Il compito dell’insegnante è dare ogni giorno, ogni lezione una nuova
cosa, una nuova regola. Da solo lo studente tenderebbe alla pigrizia. Il cervello tende alla quiete.
Che succede? Arriva questa nuova regola, arriva attraverso i testi, se l’insegnante è bravo fornisce
testi in grado di generare regole giuste per la classe, il contrario sarebbe presentare testi non
didattizzabili. Didattizabile che significa? Un testo è didattizzabile se ci si può lavorare a lezione.
Non solo scegliere un testo bello, accattivante e rappresentativo della cultura italiana. Didattizabile
vuol dire in grado di fare entrare nuove regole nella testa dei miei parlanti.
Regole che gli apprendenti sono in grado di apprendere  c’è una formula  X + 1, oppure I +1.
Questa formula è ideata da Krashen. Lui ci dice che un testo per generare competenza deve essere
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x + 1. Cosa vuol dire? A partire da un livello X, quindi sapendo che la classe sta ad un livello X della
competenza un testo è didattizzabile quando è + 1, cioè quando contiene regole nuove. Queste
regole nuove sono ad un livello + 1 e non + 10. + 1 vuol dire qualcosa di una difficoltà superabile.
Qualcosa di nuovo, che non si sa, ma si può apprendere.
Un cruciverba quando diventa più divertente farlo? Quando non è troppo semplice. Quando ci
sono cose nuove. Quando sfida le mie competenze. Il cruciverba a fine libro è un testo x+3. Quello
ad inizio libro è x -1. C’è apprendimento quando io insegnante fornisco un testo x+1  quindi né
troppo semplice né complesso come quello x +3. Sulla regola nuova della + 1 io vado a fare
didattica. Non la faccio sulle regole conosciute ma sui nodi da apprendere.
Dal punto di vista di chi apprende invece la regola quando entra nel sistema lo manda in
fibrillazione. Lo manda in tensione. C’è un elemento nuovo che va in qualche modo posizionato
dentro la rete di regole che io conosco già. Operazione niente a fatto semplice e scontata. Può
succedere che una regola non trovi una collocazione e quindi il cervello la respinge. È l’effetto di
colui che in aula sente parlare di una cosa, pensa di averla capita ma il cervello non la trattiene
perché non è in grado di trattenerla o perché nessuno gli ha spiegato dove collocarla.
La questione della interlingua si legge sulla base dei testi e sul concetto di didattizzazione. Non
bisogna presentare una nuova regola ma la devo mettere in relazione con le altre regole che gli
studenti già sanno per far stringere i legami in modo tale che non spiego solo una cosa nuova ma
la metto in relazione con cose che sono già presenti nella testa degli studenti.
Una volta che il cervello acquisisce una nuova regola manda in fibrillazione il sistema, il sistema ha
due soluzioni: una come abbiamo visto è quella di respingerla, l’altra è incamerarla e sviluppare la
rete di regole.
Quindi il compito dell’insegnante quale è? Trovare il cavallo di Troia che fa entrare le regole nella
testa dei ragazzi. Costruire questo cavallo di troia quindi trovare dei testi che siano x+1
(operazione non semplice). Far entrare la regola nella testa dei ragazzi e operazione ultima  fare
in modo che questa regola si STABILIZZI nella rete di regole in testa. Se saltiamo uno di questi
passaggi salta il processo di didattica della lingua italiana.
Ci sono vari tipi di RETI. A noi non interessa il nome da dare a queste reti ma l’immagine. 3
possibili reti differenti [VEDI SLIDE]  NODI LEGAMI E SUPERNODI.
- Rete del pescatore. Immagine in cui nodi e relazioni tra nodi sono tutti uguali. Ogni regola
della lingua italiana è importante allo stesso modo di qualsiasi altra regola della lingua
italiana. In realtà noi sappiamo che non è così, non è vero che tutte le regole sono
importanti. Ci sono miliardi di esempi su questo. Il congiuntivo non è importante quanto il
presente indicativo. Il che non significa la morte del congiuntivo. Si dice che con il presente
indicativo si ha la possibilità di comprendere e produrre molte più frasi rispetto a quello
che si potrebbe fare con il congiuntivo. Tra casa e dimora io non ho dubbi su cosa
insegnare. Tra porta e uscio neanche. Neanche tra matita e lapis. Lapis fuori di Siena è
sconosciuto. Non è vero che le regole dell’italiano sono tutte uguali.
- L’immagine giusta. Quella in mezzo. Idea di rete che presuppone nodi principali e nodi
secondari. Il termine che viene proposto è supernodo o hub. Un hub è un supernodo, un
punto da dove si diramano molte cose. Pensiamo agli aeroporti  gli aeroporti di
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Fiumicino e Malpensa sono hub perché da lì puoi andare ovunque nel mondo. Gli aeroporti
di Firenze o Lametia terme non lo sono. Non ti puoi muovere ovunque da lì. Questa idea
dei supernodi è l’idea con cui si immagina l’interlingua  esistono regole che ti
consentono di produrre molte più situazioni comunicative. La regola del presente quindi è
un hub, un supernodo. La regola del congiuntivo non ci consente invece di produrre
situazioni tanto quanto il presente. L’insegnante dovrebbe insegnare prima le regole hub e
poi le altre.
- C’è una sola regola che genera tutte le altre. Regola di rete altrettanto sbagliata. Non è
vero che c’è un'unica regola e da lì si parte.

04/11/2020
Esaurita la questione interlingua, proseguiamo verso la parte applicativa del corso  tecniche
metodi ecc. legati soprattutto alla parte di didattica online. Tema purtroppo molto caldo in questi
giorni. Scopriremo che la didattica a distanza non è mettersi davanti ad un video e fare lezione ma
è qualcos’altro. Soprattutto nella didattica delle lingue c’è il tema della interazione che può non
esserci online. È impensabile e inconcepibile frequentare un corso di lingua straniera nella stessa
modalità in cui affrontiamo gli altri corsi universitari, ovvero in silenzio. Un corso di lingua si
distingue dagli altri corsi perché in aula si parla. Chi non parla in aula è perduto.
È chiaro che quando dobbiamo pensare ad una didattica a distanza la formula che utilizziamo noi
oggi è inconcepibile perché neanche si sa che faccia hanno le persone dietro lo schermo. Non
andrebbe bene neanche per corsi non di lingua. Questo è uno dei tanti motivi che distinguono i
corsi di lingua straniera da altri corsi. Un altro motivo  un professore di lingua straniera non si
può permettere di fare lezione seduto ad un tavolo. Non si può stare seduti. Un insegnante di
lingua straniera deve interagire direttamente e da vicino con la classe. Deve avere la sensazione di
stare lì pronto ad aiutarlo. Non ci deve essere la frattura tra insegnante e studente.
Se la lezione universitaria prevede una frattura alto/basso tra chi insegna e chi ascolta, nella
didattica delle lingue questa disposizione alto/basso deve saltare. Deve prevalere la posizione peer
to peer, tra pari.
Nella didattica delle lingue non si può fare una lezione meet in questo modo mantenendo la
struttura alto/basso. Si deve fare cambiando prospettiva e mettendo quasi sullo stesso livello
insegnanti e corsisti. Questo lo vedremo quando parleremo di e-learning.
Per molto tempo si è ritenuto che l’apprendimento di due lingue in modo corretto fosse possibile
tramite una IPOTESI CONTRASTIVA  cosa è? Ha dominato per tantissimi anni l’idea
dell’insegnamento. L’ipotesi contrastiva mette a confronto le L1 e le L2 per ipotizzare eventuali
difficoltà di apprendimento. Quindi immaginiamo di prendere due sistemi linguistici, confrontarli
tra di loro e laddove divergessero, l’idea di questa ipotesi contrastiva è che lì ci sarà la difficoltà.
Quando due sistemi sono simili e poco distanti quindi l’apprendente non avrà difficoltà. Questa è
l’ipotesi che ancora oggi è molto diffusa per chi non ha tanta domestichezza con
l’insegnamento/apprendimento. Sistema con il quale molti nostri professori ci hanno insegnato le
lingue straniere  vado a lavorare sui punti dove il mio sistema diverge e posso prevedere dove
l’errore del mio studente sarà. Sarà proprio dove i due sistemi divergono.
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Il professore non si deve tanto preoccupare dell’interlingua dei ragazzi ma dai sistemi linguistici
che andrà ad insegnare. L’idea è che io non sto a guardare cosa succede nella testa dei ragazzi
perché quello già lo so, lo so perché conosco la loro L1 di partenza (anche perché magari la
condividiamo) e conosco anche la L2. Quindi posso già preveder dove avranno difficoltà i miei
ragazzi. Questa ipotesi è una ipotesi che ha tenuto in piedi la didattica delle lingue per tantissimo
tempo e ancora oggi sopravvive in molti pregiudizi che le persone hanno, sia insegnanti e studenti.
Fare spagnolo perché è più semplice. Perché diciamo ciò? Perché contrastivamente è una lingua
più simile all’italiano rispetto al tedesco per esempio. Gli insegnanti magari non spiegano le cose
uguali all’italiano e spiegano solo le cose diverse.
Ipotesi seppur abbandonata dalla teoria sull’apprendimento resta in piedi molto nei pregiudizi
delle persone. Aspetto molto interessante  c’è un treno della teoria dell’apprendimento che va
ad una velocità e raggiunge certi risultati e poi c’è un treno fatto non da teorie di apprendimento e
da teorie ma fatto da persone che poi apprendono le lingue. Spesso questi due treni non viaggiano
alla stessa velocità. Molte idee che sono state superate da chi studia la teoria rimangono però in
piedi nella testa dei ragazzi che le studiano o negli insegnanti. Non c’è mai un parallelismo tra
treni.
Per esempio, l’idea che non posso studiare due lingue straniere contemporaneamente perché lo
studio della terza o quarta lingua rallenterebbe lo studio della prima lingua. Questa visione qui è
una idea ipotetica (le lingue si fanno concorrenza tra di loro). Magari lo spazio conquistato
dall’inglese viene poi preso dal tedesco. È una idea che sopravvive nelle scelte degli studenti. In
realtà questa ipotesi non ha nessun fondamento teorico, anzi più lingue apprendi e meglio parli la
tua stessa lingua. Vediamo qui ancora la differenza tra teorie e azioni.
Questione dei bambini bilingui  per anni si è detto (e lo diceva anche la teoria) che il bilinguismo
era nocivo perché questi ragazzi rischiano di andare male sia nell’una che nell’altra lingua perché
anche lì si pensava che il cervello andasse in confusione. Questa idea che è stata anche idea
teorica per anni è stata abbandonata dalla teoria. Oggi nei manuali troviamo tutt’altro. Ci può
anche essere il rallentamento iniziale perché per imparare a gestire due sistemi linguistici ci vuole
tempo, ma poi avrà delle potenzialità linguistiche non paragonabili con i monolingui. Avrà solo
vantaggi dal bilinguismo. Alcune famiglie vedono il bilinguismo come una forma di rallentamento e
tendono a non allenare il bambino a parlare due lingue. Teoria e società non vanno all’unisono.
Sull’ipotesi contrastiva si parla della stessa questione  ipotesi abbandonata dai teorici ma
sopravvive nella società (insegnanti, studenti e tecniche di insegnamento). Lo vediamo nella cura
che noi mettiamo nell’insegnare alcune cose dell’italiano perché sappiamo che non esistono in
altre lingue. Questo metodo qui si rifà alla ipotesi contrastiva.
Ha dominato incontrastata fino agli anni 70 del 900. Poi improvvisamente qualcuno inizia a
scoprire che gli errori che vengono compiuti da chi apprende le lingue non c’entrano niente né con
la L1 o con la L2. O meglio non sempre sono legati a questi due sistemi. Si parla non di errore ma di
INTERFERENZA o anche TRANSFERT (trasferimento). Il transfert può essere negativo o positivo.
Idea che l’errore è sempre frutto della interferenza linguistica (ipotesi contrastiva).
Negli anni 70  grande trasformazione del metodo con l’approccio comunicativo. L’ipotesi della
interlingua è stata ideata agli inizi degli anni 70. Queste date sono importanti. Negli anni 70 del

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900 succede qualcosa che cambia l’asse di rotazione della didattica delle lingue a tutti i livelli. Ad
esempio, anche la questione dei livelli del Quadro nasce con il LIVELLO SOGLIA, poi si arriva ad a1-
a2 ecc., ma l’incipit è stato il livello soglia, anch’esso proposto agli inizi degli anni 70. Scatta
qualcosa che cambia completamente la visione delle altre lingue.
Si ha quindi un pre anni 70 e un post anni 70. La didattica cambia completamente.
Sul finire degli anni 70 qualcuno inizia a sostenere che gli errori dei ragazzi non sempre sono frutto
di interferenza, anzi spesso non c’entrano nulla. Nasce quindi quel movimento teorico che smonta
l’ipotesi contrastiva e la mette da parte, che si chiama ANALISI DEGLI ERRORI. Cosa è? Vuol dire
analizzare gli errori, in senso teorico però. Il senso teorico è vedere che errori si fanno perché non
è vero che gli errori sono interferenze. A volte proprio le cose differenti dall’italiano come il
genitivo sassone vengono molto meglio da imparare. O anche il fatto che siamo convinti di parlare
in spagnolo quando in realtà parliamo in italiano, proprio perché le lingue sono così tanto vicine
che noi tendiamo a parlare anche in italiano convinti che sia spagnolo. A volte la grande vicinanza
crea problemi. Quindi l’errore non aveva nessun valore didattico per l’insegnante. Negli anni 70
nasce questo movimento con l’idea che in realtà l’apprendimento delle lingue non è frutto di un
duello tra L1 e L2 ma è frutto di una costruzione di un sistema interlinguistico (interlingua) che
ovviamente si fonda su L1 e L2 ma poi è autonomo, è un terzo sistema. Sto costruendo un sistema
nuovo. L’idea interlingua nasce proprio dall’analisi degli errori. Improvvisamente la teoria
dell’apprendimento e anche la didattica si è iniziata ad interessare ai nostri compiti e ai nostri
errori/correzioni.
Per tantissimo tempo il compito è stato l’occasione per essere giudicati. Quando all’università si fa
l’esonero non facciamo analisi di errori, in quel caso si giudica se si può andare avanti o meno.
Questo non vuol dire fare analisi di errori. Giudicare e analisi di errori non sono la stessa cosa.
Giudicare vuol dire dare un valore a ciò che si produce (cosa legittima). La valutazione resta un
momento centrante della didattica anche nell’analisi degli errori.
Quello che l’analisi degli errori propone non è l’eliminazione della valutazione ma aggiungere al
momento della valutazione un altro momento in cui io analizzo gli errori non per dare un voto o
giudicare ma per capire cosa sta succedendo nella testa degli apprendenti. Perché mi interessa
ciò? Perché la didattica si deve fondare non più sulla L2 di arrivo. L’ipotesi contrastiva non si
interessava della testa dei ragazzi perché ci si focalizzava solamente sulla lingua di arrivo. L’analisi
dell’’errore sposta l’attenzione dell’insegnante dalla lingua di arrivo alle teste degli studenti. Perciò
per prevedere gli errori io non devo solo conoscere la lingua di arrivo, questa è la precondizione.
La condizione invece è non andare a vedere tanto la lingua di arrivo quanto la lingua che sta nella
testa degli studenti ovvero la interlingua. Come la analizzo? Nessuno studio nessuna tac mi
permette di vedere la interlingua. Non è una cosa tangibile da fotografare nel cervello umano.
Sostenere che l’interlingua non esiste perché non è concreta lascia un po’ il tempo che trova. Si
deve procedere ancora una volta per inferenza. Noi insegnanti abbiamo solo un modo per capire
come è fatta l’interlingua degli studenti. Innanzitutto stimolarla, come si fa? Facendoli parlare e
scrivere. Per queto non si può stare in silenzio in una classe di lingua straniera. Gli insegnanti
devono vedere questa interlingua in azione. Non mi serve vederla alla fine, all’esame perché poi è
troppo tardi. È importante far parlare gli studenti in una classe di lingua non per fare caos o perché
è più semplice. Anche perché fare una lezione frontale è molto più semplice. Entrare in una classe
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di lingua è complicato perché bisogna essere pronti a tutto. Dobbiamo essere pronti a vedere
anche gli studenti che non capiscono proprio quello che dico. Quindi si deve toccare con mano
l’interlingua non quando si è fatta ma quando si sta facendo, per capire e per aiutarli. Se non si
parla e se l’interlingua non va in azione (comunicazione) io non posso giudicarla, perché
effettivamente non è una cosa che si vede, ma si vede solo nel momento in cui si ha interazione,
nel momento in cui si parla.
Io insegnante devo analizzare il parlato degli studenti, quindi analizzare gli errori. L’errore diventa
lo strumento fondamentale per uno insegnante. Non per promuovere e bocciare ma per aiutare lo
studente. L’errore è il segnalatore di superficie, l’unica cosa che io posso vedere, di quello che
succede nella testa dei ragazzi. Quando devo pensare il ruolo di insegnante di italiano come lingua
straniera io non mi devo tanto preoccupare di studiarmi la grammatica dell’italiano ma devo
studiare la grammatica delle teste delle persone che ho davanti. Per fare ciò devo analizzare degli
errori. Quindi l’errore assume un significato completamente nuovo. Non è più distinzione tra bravi
e non bravi ma è l’INDICATORE DI SUPERFICIE. Nell’analisi dell’errore ci si accorge che gli errori
NON SONO TUTTI UGUALI. Non si possono contare gli errori perché non sono tutti uguali.
La cosa importante da dire è chi vuole fare analisi degli errori e chi vuole insegnare deve studiarseli
questi errori. Ci sono errori anche peso zero, delle sviste magari, dei lapsus. Questo errore nella
didattica delle lingue non ha alcun peso. PESO ZERO. Lo studente lo ha fatto magari per
stanchezza, perché era disattento. Lui la regola la sa. E come faccio a saperlo? Perché la volta dopo
non la sbaglia e la fa correttamente. Evidentemente ha sbagliato appunto per stanchezza o per
distrazione. Se l’errore persiste non è una svista ma un vero e proprio errore.
Poi si hanno gli ERRORI NON SISTEMATICI  quelli che in una produzione alle volte lo studente
fa e altre no. Questi sono molto importanti e sono i famosi errori che segnalano anche aspetti
positivi. Quando si parla di errori naturalmente dobbiamo collegarci al livello cui ci riferiamo 
certe cose sono considerate sviste ad un livello mentre possono essere errori gravi in altri livelli più
alti. L’errore non sistematico in alcuni casi è un aspetto negativo, ma in taluni casi può essere
molto positivo paradossalmente. Dipende ovviamente dal livello. Io ad un livello a1 se pronuncio la
frase “io ho andato” non è gravissimo, perché il livello è basso. Gli italiani tollerano alcuni errori e
altri meno. Per esempio tolleriamo le doppie mentre quando mancano le h ci si arrabbia.
Ammettiamo i problemi di pronuncia ma ci impuntiamo magari sugli ausiliari. Ogni cultura ha i suoi
errori di serie a o b. spesso sono errori di serie a non per il sistema linguistico che li considera tali
ma per i parlanti che li considerano tali. Ad esempio i francesi sono attenti alle pronunce, in
italiano invece no. Sugli ausiliari e sul passato prossimo siamo intransigenti. Il congiuntivo per
esempio non ci interessa così tanto. Questo è un fattore psicologico e non grammatico. Quindi se
dico “io ho andato” è chiaro che se sono in una classe c1 è un errore molto pesante. In un c1 non
ci dovrebbe mai essere una cosa del genere, potrebbe essere al massimo una svista. Se siamo in
un livello a1 lo stesso errore non solo perde di gravità ma è positivo. Perché? Ci sta segnalando che
nell’interlingua di quella persona sta entrando qualcosa. La regola entra, crea tensione, manda il
sistema in fibrillazione e poi o si posiziona bene o male (fossilizzazione o espulsione dal sistema).
Quando si valuta si deve fare analisi degli errori. Gli errori hanno un peso diverso e tutto dipende
anche dal livello. Gli errori a volte segnalano un tentativo di crescita e sviluppo.

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L’insegnante può usare due modi. Il primo  insegnante all’antica punitivo. Oppure può
intervenire (secondo modo). Per intervenire io devo sapere che quella regola sta iniziando ad
entrare. Io posso lavorare sull’interlingua quando quella regola ancora non si è cristallizzata
all’interno del sistema. Quindi nei primi momenti e non alla fine, durante l’esame. Scardinare una
cosa oramai cristallizzata. Dobbiamo invece lavorare sull’argilla viva e quindi devo intervenire nel
momento in cui quella regola inizia ad entrare nel sistema.
Si apprende sbagliando  cose che si dicono ora ma 20 anni fa non venivano dette e neanche
pensate. Oggi questa idea è entrata anche grazie a questi movimenti degli anni 70. Errore positivo
perché mi sta dicendo che l’interlingua si sta muovendo. Chi è nelle situazioni miglio? Lo studente
piatto sul livello a1 che non sbaglia o lo studente che sbagliando prova a passare di livello?
Ovviamente il secondo. È messo meglio chi ha l’interlingua viva e che calcia, che si muove, che si
sta sviluppando. L’altra interlingua è ferma. Quindi io insegnante devo muovere quella interlingua.
È più preoccupante uno studente che non fa errori che uno studente che sbaglia ma ha voglia di
andare avanti.
Quando gli studenti dicono “io ho andato” sta facendo sì un errore ma innanzitutto ha capito che
c’è qualcosa di diverso, ha capito che quella frase si usa per il passato. Gli manca solo l’ultimo
tassello ovvero la scelta dell’ausiliare. Ma è l’ultimo passaggio di due che ne ha già compiuti.
L’altra persona che non sbaglia nulla non sbaglia perché magari neanche sa che in italiano esiste
quella forma, non l’ha ancora concepita. Quindi chi sbaglia è più avanti. L’altra non sbaglia perché
non sa.
Poi ci sono gli ERRORI SISTEMATICI  lo studente ogni qual volta usa quella frase sbaglia. Errori
gravi perché mi stanno dicendo che in quel punto la regola è entrata ma nel punto sbagliato della
rete.
Infine il livello di gravità più alto, L’ERRORE FOSSILIZZATO, errore sistematico non adatto al livello
di interlingua del ragazzo  vuol dire che quella persona ha acquisito la regola, se l’è portata nel
sistema ma l’ha collocata nel punto sbagliato ma anche difficile da modificare perché ormai il
sistema si è evoluto in una direzione diversa. Come quando dobbiamo cambiare la postura. Se lo si
fa da piccoli si può cambiare. Se lo si fa a 30 anni non si può più. La fossilizzazione è una sorta di
scoliosi del sistema che si può rimuovere solamente fin da subito perché il cervello è PIGRO e una
volta che si adatta a produrre frasi con quegli errori lì, oramai è difficile cambiare.
Questa idea di analisi degli errori stravolge la didattica perché costringe gli insegnanti ad alzare lo
sguardo dal libro di testo. Un insegnante che si preoccupa del manuale non si preoccupa della
testa dei ragazzi, degli errori e della interlingua. Interviene per modificare l’interlingua,
modificarla, migliorarla, aggiustarla ecc.
Poi rimane sempre e comunque il momento della VALUTAZIONE. Si deve dire tanto sulla
valutazione. Va detto che va fatta bene, va fatta meglio, va fatta sapendo di cosa si sta parlando
ma comunque va fatta. Rimane un momento fondante tanto quanto l’analisi degli errori.

06/11/2020

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Entriamo nella parte del corso relativa alle questioni dell’aula. Abbiamo affrontato la questione
dell’italiano, quella degli stranieri e ora affrontiamo la didattica.
Quando parliamo di didattica non ci dobbiamo dimenticare l’orizzonte teorico di riferimento.
Quindi non dobbiamo separare questi due blocchi: fare didattica non vuol dire non occuparsi di
teorie di apprendimento. Uno non è pagato per fare ricerca però per insegnare bisogna avere una
idea teorica di quello che andiamo a fare. Le cose dette riguardanti gli aspetti finora non devono
essere dimenticati. Dobbiamo avere bene in testa a chi ci stiamo rivolgendo, cosa devo insegnare,
perché devo insegnare questo e non altor e cosa succede nella testa delle persone. Oggi parliamo
della questione del METODO nella didattica delle lingue.
Il metodo è ciò che mette insieme teoria e prassi.
Quando parliamo di metodo distinguiamo tra METODI e TECNICHE. Il role play o l’italiano con il
teatro che simulano performance teatrali, sono tecniche didattiche. Così come fare un esercizio,
un close test ecc sono attività tecniche didattiche. Il metodo si intende in che modo noi
organizziamo la lezione, non quello che facciamo fare a lezione.
Organizzare un corso vuol dire tante cose insieme. Vuol dire pianificare il percorso, scegliere un
metodo e i relativi materiali didattici.
Un’altra cosa che dobbiamo fare è stabilire un principio di coerenza tra quello che devo usare, il
metodo, le tecniche e i materiali che propongo. Quindi nella scelta del manuale (argomento che
spesso non ci competerà) si ha una ardua scelta, perché ce ne sono di tutti i tipi, e quindi nella
scelta devo fare riferimento tipo di metodo che voglio usare. I metodi possibili nella didattica delle
lingue sono veramente tanti. Anzi ogni insegnante un minimo esperto poi si dota di un proprio
metodo, si costruisce il proprio metodo didattico. Si parte da una certa base e poi si fanno
adattamenti.
Si può anche dichiarare di fare un metodo però poi quando li osserviamo in aula ci accorgiamo che
ne utilizzano altri 4 o 5. questo è normale perché ognuno di noi ha un proprio modo di insegnare e
si cuce addosso il vestito del metodo sulla base delle loro caratteristiche e idee di insegnamento.
È possibile scorrere la storia del metodo ed individuare 4-5 grandi metodi che hanno segnato la
storia di questa disciplina e che li consideriamo come teste di serie. Poi vengono adattati e
modificati ma per grandi linee rimangono metodi principali.
La difficoltà della nostra disciplina p che è una disciplina viva e cangiante. Cambia nel tempo. Cose
dette e scritte 20 anni fa oggi possono non essere vere perché nel frattempo sono migliorate
indagini e ricerche. Imparare a distinguere gli anni. Oggi con la DAD (didattica a distanza) abbiamo
un ulteriore approccio che era impensabile solo 10 mesi fa.
Noi stiamo studiando una materia viva, è bello ma anche difficili perché ci capiterà di studiare un
libro, capire qualcosa e poi aprire un altro libro e trovare delle cose differenti. È semplicemente
che magari l’altro libro ha un altro punto di vista o semplicemente è stato critto molti anni dopo.
Le cose scritte hanno subito un cambiamento perché è frutto del tempo che è cambiato. Abbiamo
parlato anche di cose non scritte sul manuale perché all’epoca non c’erano. Come per esempio la
didattica online o e-learning.

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Anche le terminologie cambiano. L2 può essere sia l’insieme di italiano all’estero lingua straniera e
lingua seconda oppure può essere separata.
Non dobbiamo dare tante cose per scontate. Abbiamo parlato di ipotesi e non teorie perché il
termine teoria si adatta a questioni verificabili scientificamente, che hanno un valore di verità
assoluto.
Quando parliamo di filtro affettivo, grammatica universale o contrastività parliamo di ipotesi e non
teorie per sottolineare il fatto che sono punti di vista che non trovano il consenso unanime degli
studiosi.
METODO  questione che si è modificata nel corso degli anni e oggi si proverà a percorrere la
storia del metodo e con l’occasione fare capire i cambiamenti che ci sono stati (anche teorici che
hanno portato ad uno slittamento di metodo).

Per percorrere la storia dei metodi ci sono vari percorsi. Il più semplice è quello meramente
cronologico, cioè i metodi delle origini poi quelli degli anni 60 e poi quelli successivi.
Oppure si può parlare di metodo a partire dagli strumenti didattici che questo metodo utilizza.
Quindi metodo basato su carta, su audiovisivi o su piattaforme e-learning. Anche qui i
cambiamenti della società hanno provocato dei cambiamenti nella didattica delle lingue.
Si parlerà di metodo analizzando la relazione esistente tra docente e classe. Noi possiamo
osservare la questione dei metodi a partire da che tipo di relazione si instaura tra chi insegna e chi
apprende. Partiamo dalla scena finale  oggi quando si fa didattica delle lingue al centro del
mondo didattico c’è l’apprendente. Tant’è che oggi si usa l’espressione di fare didattica con AL
CENTRO gli apprendenti.
Cosa vuol dire? Chin c’era prima al centro e perché si è arrivati a questo cambiamento?
Partiamo ora dalle origini. Si parte da una situazione diametralmente opposta. La didattica
tradizionale delle lingue era prima una didattica con al centro l’insegnante, si faceva quello che
decideva l’insegnante nei modi in cui voleva e nei tempi che stabiliva. Quindi la dinamica tra classe
e insegnante era di questo tipo: al centro il docente (docente dittatore, che stabilisce tutto) 
come per esempio i nostri professori del liceo. Si usava la frase “silenzio parla solo quando sei
interpellato”  significava che tu non eri una persona ma un qualcuno che doveva essere solo ed
esclusivamente interrogato. C’era un’altra frase altrettanto sbagliata “tu non pensare devi
ascoltare”. Per fortuna la didattica ha fatto passi da gigante e quindi oggi è diverso ma questa era
l’idea originaria.
Già nel 400 ci sono state esperienze di corsi di italiano ma non come oggi ovviamente. Pensiamo al
Gran Tour. A Siena si sono trovate tracce di una cattedra di toscana favella riservata agli stranieri.
Quindi la quesitone della didattica di italiano è una questione antichissima, una delle prime lingue
insegnata nel mondo agli stranieri. Grazie anche al suo patrimonio culturale, la bellezza dei luoghi
ecc.
Quando si parla di metodo facciamo un salto temporale e partiamo dall’800.

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Il primo metodo utilizzato per la didattica di italiano a stranieri è stato il METODO
GRAMMATICALE TRADUTTIVO. Si colloca all’origine perché tra i metodi in circolazione per la
didattica delle lingue è quello più tradizionale. Come mai? Non perché sia il più antico ma perché
la relazione docente-apprendenti qui era all’esatto opposto di come è ora. Qui siamo in presenza
del docente dittatore che stabilisce ritmi, tempi e tutto. Fase precedente la fase di analisi degli
errori. Fase in cui quello che conta è la conoscenza delle regole a fini traduttivi. È il metodo usato
per insegnare ancora oggi le lingue classiche come latino e greco. Conoscenza delle regole e delle
accezioni delle regole. Tutta attenzione sulla grammatica, non c’è interazione. Conoscenza della
grammatica a fini traduttivi. Questo è considerato oggi il male assoluto. Oggi è visto come una cosa
bruttissima anche se c’è da dire che quel poco che noi italiani sappiamo di lingua straniera lo
dobbiamo a questo metodo perché nelle aule dei nostri licei nel 90% dei casi si fa il grammaticale
traduttivo.
Quindi abbiamo appreso cose anche tramite questo metodo. Se ricordiamo, quando abbiamo
parlato di questioni teoriche abbiamo detto attenzione perché quello che stiamo dicendo vale per
il mondo occidentale e non per tutto il resto del mondo. Se insegniamo italiano in culture orientali
o africane il grammaticale traduttivo è l’unico metodo accettato dalle persone che troviamo di
fronte, perché la loro idea di scuola si basa sulla conoscenza delle regole per poter tradurre. Noi
abbiamo un’altra visione delle cose. Questo è il metodo col quale per secoli si è insegnato lingue.
Metodo che funzionava per quel tipo di bisogni che c’erano all’epoca. Negli anni 40-50 del 900 le
lingue non è come adesso che io studio una lingua per viaggiare, ascoltare musica ecc. prima si
studiavano le lingue per la traduzione di testi scritti. No c’erano altri bisogni. Non si studiava per
andare a vivere in altri paesi. Questo vale per l’italiano e per tutte le lingue del mondo. Noi siamo
una generazione che ha appreso le lingue con dei bisogni differenti rispetto ai nostri genitori.
Prima si studiava dove nasceva Shakespeare e non come si ordina da bere al bar. Questa nostra
generazione invece ha palesato dei bisogni diversi. Attenzione a dire che questo metodo è il male
assoluto, perché ha funzionato nel passato.

Ora facciamo un alto temporale per parlare di un metodo molto usato che è il METODO AUDIO
ORALE. Metodi fondati essenzialmente sull’ascolto e la ripetizione. Questo metodo è stato
introdotto quando sono cominciate ad arrivare le strumentazioni tecnologiche. Prima il mondo
non era come lo è oggi. Sono arrivate nelle aule degli strumenti che ora non si usano più, ovvero i
registratori. Possibilità di ascoltare e imitare il suono di quella lingua. È stata una piccola
rivoluzione. Prima per imparare e per sentire parlare una lingua c’era solo l’insegnante. Oggi
abbiamo mille modi per avere input stranieri (cinema, Netflix, video, youtube ecc.). le prime
possibilità quindi sono arrivate con dei registratori. Sistema con audio-cassetta. Partivano dei
dialoghi registrati in quella lingua. Lo studente doveva ascoltare e riprodurre. Questo metodo
corrisponde ad una idea di apprendimento basato su stimoli e risposte.

Poi abbiamo un metodo che seppur arrivato prima dell’audio orale lo collochiamo più vicino alla
modernità. Si tratta del METODO DIRETTO. Prima la casse ruotava attorno all’insegnante. Oggi si
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ha una rivoluzione copernicana nella didattica delle lingue. Si è ribaltata la situazione. Processo
però lunghissimo dovuto a molti cambiamenti. Avvenuta nell’arco di 100 e passa anni, frutto anche
di cambiamenti sociali, teorici che abbiamo in parte descritto. Questo metodo diretto è quello in
cui l’insegnante di parla solo ed esclusivamente in lingua straniera. Sono insegnanti che chiedono
di parlare sempre in lingua straniera, anche per andare in bagno o per parlare con i compagni.
Loro fanno finta di non conoscere la nostra lingua. Quindi parlare sempre e solo a nella lingua
target, senza alcuna lingua franca, senza mediazione linguistica alcuna. Metodo che ha avuto un
enorme successo ovunque. Perché è più moderno dell’altor anche se più antico? Introdotto nei
primi anni del 900.Metodo introdotto da Berlitz, nel mondo ci sono costosissime scuole di lingua
BERLITZ. Scuole basate sul metodo diretto.
Questo signore già agli inizi del 900 inizia a proporre questo metodo. Perché è un metodo
moderno rispetto agli altri? Perché dovendo l’insegnante esprimersi solo nella lingua target, non
avendo più la possibilità di usare la lingua parlata dagli studenti non può adesso più fare tutto
quello che poteva fare se avesse parlato in italiano. In questo caso, dovendo l’insegnante parlare
in lingua, era costretto a negoziare quello che doveva dire con la classe. Le cose col metodo diretto
si dovevano dire in lingua straniera e allora l’insegnante era costretto a rendersi conto che davanti
aveva persone che non capivano proprio tutto. Quindi improvvisamente viene fuori il problema
che non tutti hanno lo stesso livello di lingua. Ce ne accorgiamo non al momento della valutazione,
ma fin da subito. Inizia un proto-modernità. L’insegnante è costretto a scendere a patti con
l’interlingua degli studenti e della classe. Non per valutare ma per fare didattica. La valutazione c’è
sempre stata, non se la sono inventata quelli che parlano di interlingua. Quello che cambia è che si
lavora con la classe non solo per valutarla ma per AIUTARLA a parlare meglio. Quindi
improvvisamente questa massa indistinta che per nulla interpellata se non quando interrogata
comincia a prendere forma.
Poi arrivammo al grande cambiamento, il vero e proprio spartiacque tra passato e modernità. Si
parla del METODO COMUNICATIVO. Qui si compie quella rivoluzione copernicana di cui abbiamo
parlato. Col comunicativo viene messo al centro l’apprendente con i suoi bisogni. Però attenzione,
la quesitone del metodo si capisce e si comprende se la inquadriamo dentro i fatti avvenuti in una
società e dentro i cambiamenti teorici che abbiamo già visto. Ancora una volta, una data ricorrente
ed emblematica è quella che riguarda anche il metodo comunicativo. Quando si comincia a parlare
di questo metodo? Agli inizi degli anni 60. Data emblematica perché si assiste ad uno snodo, ad un
passaggio tra vecchio e nuovo. Data in cui le questioni teoriche (idea dell’analisi dell’errore, idea di
interlingua e di lavorare con la testa delle persone) confluiscono in questo metodo. Nasce sulla
spinta dei teorici l’idea che gli insegnanti davanti a loro non avevano teste vuote. Davanti si hanno
persone, cervelli, teste che non sono vuote anche se non parlano la lingua che si sta insegnando.
Persone che hanno un sistema di regole che non è geneticamente programmato. Regole con cui si
deve interagire. Quindi questioni teoriche da una parte e questioni sociali dall’altra. Chi è che
apprende le lingue nel mondo? Quale è il target principale? I giovani.
Negli anni 60 nasce demograficamente la figura del giovane, cioè il giovane inizia ad avere bisogni
che prima non aveva. La società per come era concepita fino agli anni 60 era fatta da bambini e
adulti semplicemente. Ci si vestiva come anziani, si vedevano film per anziani e avevano bisogni di
anziani questi giovani. La categoria dei giovani non esisteva. Gli anni 60 sono il decennio dove
nasce la figura del giovane. Nasce da tutti i punti di vista, pensiamo solo che la musica pop/rock
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musica per antonomasia per giovani nasce in questi anni. I dischi che sentivano i ventenni degli
anni 50 erano tutt’altra cosa. La moda, il modo di vestire che noi ancora oggi usiamo (abbandono
di giacca e cravatta) nasce anche negli anni 60.
Nascono dei bisogni che prima non c’erano. In più inizia una mobilità tra persone che prima non
c’era. Prima si studiavano le lingue standosene a casa propria. Prima non si andava in Inghilterra.
Oggi invece si può. Quando analizziamo le questioni del metodo e quando si parla di centralità di
apprendenti dobbiamo sapere che i giovani non si palesavano, non esprimevano un bisogno. Gli
anni 60 è l’inizio dell’era di nuovi bisogni linguistici. Si inizia a studiare per viaggiare e per
muoversi. Questa intersecazione di elementi (elemento teorico, l’idea di studiare ciò che avviene
nella testa delle persone, la nascita della figura dell’apprendente giovane con un bisogno proprio)
è stata fondamentale per la storia dei metodi e della didattica delle lingue.
L’occupazione scolastica ha sempre gli stessi slogan “noi dobbiamo contare”. Questa idea qui che
per noi è banale e scontata è arrivata non subito ma negli anni 60-70. Noi abbiamo una idea di
scuola e anche di università come un’ambiente tetro, chiuso e lontano dai bisogni dei ragazzi veri e
reali ma noi (noi occidentali) non sappiamo come erano le scuole prima. Per noi è normale
giudicare l’operato di un docente. Questa cosa però 30 anni fa era follia pura. L’insegnante
giudicato dai ragazzi era follia pura, l’insegnante faceva quello che voleva.
Quindi questi fattori che non sono linguistici ma si collegano ai fatti linguistici di cui abbiamo
parlato portano proprio negli anni 60 a questo cambiamento. Oggi chi vuole far didattica della
lingua italiana si deve atteggiare in un modo che deve mettere al centro i bisogni
dell’apprendente.
Quesitone del bisogno dell’apprendente  nasce una quesitone teorica enorme che non
possiamo neanche troppo affrontare. È un po’ il paradosso dell’insegnante. Cioè tutta la teoria mi
dice a me insegnante che devo mettere al centro i bisogni degli apprendenti. Significa che devo
andare a insegnare non quello che piace a me ma quello che serve alla classe. Poi abbiamo visto
che la classe è composta da individui, ognuno con una propria varietà interlinguistica. Quindi noi
andremo ad operare non solo non con una massa indistinta di persone ma con tanti individui
ognuno con una propria varietà interlinguistica qui nasce il paradosso. Come faccio io insegnante a
da una parte lavorare concentrandomi sui bisogni dei singoli apprendenti e dall’altra tenere
insieme una classe? A livello teorico si dice che ogni apprendente ha un bisogno proprio e specifico
e se io voglio essere un bravo insegnante devo corrispondere a quel bisogno. Dall’altra però io
devo operare con 20 persone circa contemporaneamente. Allora la questione difficile e complicata
la cui soluzione non è ancora stata trovata è come faccio a metter insieme queste due spinte
divergenti? Da una parte tirati dai singoli apprendenti che ci dicono di guardare la propria
interlingua, dall’altra l’esigenza di portare avanti il gruppo classe. Il vecchio insegnante se la cavava
molto bene perché non guardava il singolo ma il gruppo classe. È quello che si fa all’università.
Oggi io so che io devo fare attenzione al singolo ma occuparmi anche della classe. Dilemma
complicato da gestire che si potrà in parte risolvere con delle tecniche didattiche.

10/11/2020
57
Oggi parleremo di modelli operativi.
Abbiamo fatto un tragitto lunghissimo, abbiamo parlato di questioni teoriche e legate a metodi.
Ora arriviamo ai modelli operativi. Percorsi che ci sta incanalando verso la figura del docente di
italiano a stranieri.
Le cose di cui stiamo parlando sono state selezionate. Il resto si troverà sui manuali. Gli argomenti
trattati a lezione sono i principali ma non i soli.

Metodi, approcci e modelli operativi per la didattica delle L2


PREMESSA  DIFFERENZA TRA METODO, APPROCCIO, MODELLO OPERATIVO E TECNICHE
DIDATTICHE.
Questi termini apparentemente sinonimici in realtà sono differenti. Bisogna intenderli in maniera
differente.
Metodo approccio e modello operativo sono 3 cose simili ma differenti. Mentre tecniche
didattiche sono qualcosa di molto differente.
Il metodo  idea teorica che uno ha in mente quando va ad insegnare.
L’approccio  quello che il docente realizza concretamente attraverso un modello operativo
Modello operativo  uno schema operativo per realizzare un determinato metodo.
Tecniche didattiche  come il role play, esercizi ed attività. Tutte quelle cose che servono per
realizzare i modelli operativi.
Partiamo da alcune citazioni sulla questione dei vari metodi che ci sono in giro. Abbiamo visto
come l’evoluzione del metodo che c’è stata (da docente dittatore a centralità dello studente) sia
stata fondamentale. Si potrebbe arrivare alla conclusione quindi che ci sia un metodo migliore
degli altri? Oggi molti pensano che l’unico metodo per insegnare le lingue straniere sia il METODO
COMUNICATIVO bisogni dell’apprendente. Oggi si studiano le lingue non come esercizio teorico
ma perché si vuole usare. Non interessa mettere nel curriculum che si conosce una lingua, ma
interessa impiegare questa competenza per lavoro, viaggi o relazioni sociali.
Nel 1933 Weber scrive una coda importante. Lui insegnava tedesco a stranieri. Epoca antichissima
per noi. Lui considerava sbagliato formare gli insegnanti di lingua straniera ancorandoli solo ad un
unico metodo. Ogni metodo ha del buono, da ciascuno si può imparare qualcosa. Questo è quello
che disse. Questione che complica la vita degli insegnanti. Gli insegnanti vecchio stampo si
dotavano di un solo metodo. Proprio perché+ non si teneva in considerazione chi c’era di fronte, il
problema era spiegare la lingua e non farla capire alle teste. Non si poneva il problema di bisogni,
motivazione ecc. Si davano per scontate molte cose. Quindi prima si sceglieva un solo metodo e
con questo continuava la propria carriera di insegnare. Oggi questa posizione non è più pensabile.
Visto che la didattica è centrata sugli apprendenti è necessario conoscere se possibile tutti i
metodi, in modo da poter ricavare il meglio da ciascuno e anche da corrispondere ai bisogni di
ciascuno.

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Per esempio in oriente non si usa quasi mai il metodo comunicativo. Quindi io mi devo adattare ai
miei apprendenti. In oriente vogliono essere istruiti tramite metodi grammaticale-traduttivi.
Dobbiamo tutti dotarci di più metodi per poter scegliere di volta in volta quello più adatto alla
situazione. Dobbiamo avere una cassetta degli attrezzi dotata id più strumenti perché può capitare
che ci servano altri strumenti.
Facendo un salto temporale troviamo una delle citazioni più belle della didattica delle lingue.
Siamo nel 1982, epoca in cui gli studenti vengono messi al centro. Questo Stevik, questa persona,
dice che non bisogna regolarsi in base a ciò che si dice in un manuale di didattica. Non bisogna
dare solo retta alle cose teoriche ma dobbiamo regolarci in base a ciò che sentiamo in classe e
dagli sguardi che vediamo nei nostri allievi. Dalla faccia io noto se gli apprendenti apprezzano il
metodo. La rivoluzionalità in queste parole. Ovviamente i libri servono. Non ci sta dicendo di
buttarli. Ci sta dicendo che dobbiamo fidarci dello sguardo dei nostri allievi ma per fare una
didattica centrata sui bisogni ho bisogno di conoscere le teorie e i metodi. Per cambiare metodo
devo conoscerli. Anche se uso solo un metodo e si tratta del metodo comunicativo o di quelli
meglio apprezzati io sbaglio comunque perché non posso fossilizzarmi su un modello. Devo poter
cambiare nel caso in cui ne avessi bisogni.
Si può insegnare o seguendo uno stesso copione (insegnante vecchio stampo) oppure si può
improvvisare come succede in musica. Ma per fare ciò devo conoscere benissimo ciò che sto
facendo. È più complicato suonare improvvisando rispetto a seguire le cose rigo per rigo. Lo stesso
succede in aula. All’insegnante viene chiesto di comportarsi come un suonatore jazz che
improvvisa.
Improvvisare sulla base di ciò che la classe dice in quel momento. Ma per fare quello bisogna
essere preparati e conoscere tutti i metodi se possibile, anche il grammaticale-traduttivo.
Rivoluzione copernicana nella didattica delle lingue straniere  studenti al centro. Prima c’era il
docente al centro e la classe doveva adattarsi, oggi abbiamo il contrario, al centro c’è la classe e
l’insegnante si adatta.
Questa cosa è molto complicato perché prevede un nuovo ruolo e competenze per il docente. Un
insegnante degli anni 60-70 poteva tranquillamente insegnare sempre ripetendo la stessa lezione,
lo stesso metodo. Sempre con stessi esempi, contro esempi e battute. Cambiavano gli alunni ma
l’insegnante non si rendeva conto di ciò e usava le stesse parole ed esempi usati per ragazzi magari
di dieci anni prima. Oggi ogni lezione è un argomento nuovo, un modo nuovo. Cambiando chi ho di
fronte cambia tutto l’universo. Devo cambiare tecniche, metodi ed approcci. Deve essere un
insegnante mediamente preparato e deve cambiare la relazione che instaura con la classe.
L’insegnante autoritario che urla è un ruolo semplice, non ci vuole nulla a farlo. È molto più
complicato ottenere l’attenzione della classe sulla base della corrispondenza die bisogni della
classe. È semplice essere autoritari che autorevoli. Non sono sinonimi.
Il cambiamento di ruolo dei docenti è profondo perché oggi dobbiamo negoziare con la classe su
tutto, in particolare con la classe di lingue. Fenomeni trasversali a tutte le didattiche.
Nella didattica delle lingue io posso insegnare tenendo gli studenti in silenzio per un’ora, anzi il
silenzio sarebbe la precondizione per una didattica. Molte volte i nostri insegnanti ci hanno detto
silenzio. Quando si fa però didattica delle lingue, il silenzio è la morte della didattica. Si
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apprendono le lingue se gli studenti parlano e parlano a lezione. È molto semplice veicolare
significati nella condizione del silenzio per un insegnante.
Quando invece si decide di fare una didattica comunicativa e centrata sugli apprendenti devi
negoziare minuto per minuto con la classe.
Mantenere un senso in un ambiente caotico come la classe è difficile. bisogna non perdere il
controllo della classe. Quindi nuovo ruolo del docente, ma cambia anche il ruolo dell’apprendente.
Fare una didattica centrata sugli apprendenti e attenta ai bisogni di questi, si può fare se il docente
decide di farlo e se la classe accetta di farlo. L’apprendente deve essere in grado di giocare questa
partita qui. Come possiamo allora noi arrivare ad ottenere dalla classe che sia disposta a
partecipare a questa mia forma didattica? Stabilendo un patto formativo che all’inizio esplicita
quali saranno le regole di ingaggio, che dice ad esempio alla classe che l’errore verrà valutato in un
certo modo. Esplicita all’inizio quindi come lui vuole fare didattica. Questo modo di fare didattica
“moderno” si fa in due insegnante e classe. Se la classe non partecipa tutto andrà a fallire. In
questo caso sarebbe meglio fare una lezione standard di grammatica base, se la classe non ci viene
incontro.

I modelli operativi
All’inizio di tutto l’idea di didattica nasce sull’idea di lezione  LEZIONE EX CATHEDRA.
L’insegnante dietro la cattedra e la classe di fronte. Questa storia della cattedra e dei banchi non è
marginale. È molto emblematica. Quando si parla di corsi di lingua dobbiamo pensare ai corsi
extrascolastici perché quelli a scuola o all’università sono sui generis.
All’università ci sono aule destinate a corsi di lingua e aule destinate ai corsi di cluss. Le lezioni del
cluss vengono svolte nelle aule piccole. Cambia molto fare didattica in un’aula con banchi
inchiodati o con le sedie movibili.
I banchi inchiodati servono per le lezioni universitarie vere e proprie. L’insegnante solo deve
parlare e spiegare. Comunicare tra di noi è proibito. Questa proibizione è dettata dal fatto che noi
siamo seduti per non vederci in faccia. Quando si attivano le forme interattive in aula succede che
ci si accavalla tra di noi perché no vediamo l’altro. Se vogliamo fare una didattica di altro tipo, in
cui gli studenti devono parlare, le sedie devono essere movibili così da potersi magari metter in
cerchio, guardarsi e comunicare con l’altro. Quindi l’ambiente ovvero l’aula è anche
importantissima per una didattica.
L’idea di lezione si fonda su un altor presupposto  una testa piena che si rivolge a teste vuote, io
quando insegno didattica delle lingue la insegno presupponendo che nessuno degli apprendenti
sappia nulla. Quindi “teste vuote”. In realtà non è così. Le teste non sono mai vuote, perché
contengono informazioni linguistiche appartenenti alla lingua parlata come L1. È con quelle
competenze che l’insegnante deve entrare in relazione per costruire l’interlingua.
Anche chi arriva in aula a competenza zero, quella persona non sarà vuota perché conterrà come
minimo regole della propria L1.

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Il modello ex cathedra non si può applicare per la didattica di lingue straniere perché c’è bisogno di
parlare. Si apprendono le lingue parlando. Grandissima differenza con qualsiasi altra disciplina
perché io insegno matematica usando italiano. Noi invece insegneremo italiano usando l’italiano.
Grande differenza. Quindi devo pensare ad una didattica che chiami in causa gli studenti e li faccia
parlare. Quindi detto in altri termini non è pensabile una lezione in cui parla solo il professore. Così
non si può imparare lingua.
Quale è il problema allora? Sembrerebbe un depotenziamento del ruolo dell’insegnante. Però è
molto più semplice parlare un’ora piuttosto che gestire una situazione del genere. Questo perché
l’obiettivo è portare il gruppo classe verso un obiettivo comune. Quindi si hanno due possibilità
per arrivare all’obiettivo: o si fa l’insegnante dittatore (chi arriva all’obiettivo bene altrimenti
nulla), oppure mettersi alla guida di un gruppo e farlo arrivare compatto alla fine. Bisogna quindi
cedere un po’ del comando della classe (perché ci sono momenti in cui la classe guida) senza però
perdere il controllo della classe.
La soluzione a tutto questo è stata quella di frammentare la lezione che non deve essere un
monologo nostro ma un blocco orario suddiviso per momenti. Ogni momento ha una sua funzione,
un suo scopo e un suo attore. Il termine che noi usiamo in questi casi è UNITA’ DIDATTICA. I corsi
di lingua sono strutturati per unità didattiche.
La lezione viene suddivisa in momenti, anche il monologo del professore quando è fatto bene è
diviso in momenti: preparazione, volo e conclusione. Quando una lezione è fatta bene corrisponde
a questi momenti. Però non c’è una soluzione di continuità tra questi argomenti.
Fondamentalmente è sempre l’’insegnante che cura la situazione. Quando invece si parla di unità
didattica nei momenti si hanno fratture. Ci sono momenti diversi. C’è il momento in cui si spiega e
quindi la parola ce l’ha l’insegnante. Poi si può fare una attività, e a quel punto si stravolge tutto.
Cambiare anche fisicamente l’ambiente in cui facciamo didattica. Poi l’insegnante riprende
possesso dell’aula. Sono momenti molto distinti tra di loro.
I momenti sono quelli che la Gestalt Theorie (teoria della percezione, derivato della psicologia) ci
spiega. Il cervello funziona non per flash immediati, non per accensione di lampadine. Il cervello
nel momento di apprendere si muove lungo tre fasi. La fase della globalità, analisi e sintesi. Questo
per i teorici della percezione pari funzioni sempre anche per riconoscere se la persona che ci viene
incontro è l’amico che stiamo aspettando o meno. Quando pensiamo di avere la lampadina in
realtà il nostro cervello funziona velocemente e quindi non ci rendiamo conto di queste tre fasi.
Sono procedimenti così rapidi che sembra un eureka. In realtà noi procediamo per globalità,
ovvero osserviamo l’evento per interezza, poi si ha lì analisi quindi analizziamo i particolari magari
ed infine facciamo la sintesi e arriviamo alla conclusione. Quindi l’operazione in questi casi il
cervello lo fa in un nano secondo, ma quando studiamo noi leggiamo, sottolineiamo e cerchiamo
di fare sintesi. Quindi sempre di percezione si tratta.
Partendo da questo anche nell’apprendimento linguistico bisogna rispettare questi tre momenti. Il
modello di unità didattica ha adottato e introdotto nella didattica delle lingue agli anzi degli anni
70 (età cardine e rivoluzionaria) i momenti che si contrappongono al monologo.
Come introduco un nuovo argomento? Lo mostro, nella sua globalità. Non partiamo dalla regola
ma partiamo dai testi. Creiamo un obiettivo didattico, coinvolgiamo lo studente e cerchiamo di

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lavorare sulla globalità-. Gli faccio vedere come funziona quella determinata cosa. Poi c’è il
momento della analisi. Cosa succede? Una volta che parliamo con la classe cedo spazio al
momento in cui si ha l’analisi, lo studente quindi ha bisogno di analizzare ciò che ha visto.
Riconoscere regole dell’italiano  devo analizzare punti della comunicazione che mi rimandano al
significato (questo dal punto di vista degli studenti). Questa operazione è meglio che la fa
l’insegnante o è meglio che gli studenti inizino a sperimentare e sbagliare? È meglio che gli
studenti entrino in gioco loro e comincino loro ad usare la lingua italiana. Qui l’errore non conta,
non li stiamo valutando ancora.
Poi c’è la fase di sintesi. Gli studenti avranno messo in circolo tante informazioni e io devo
sintetizzarle e riportarli all’obiettivo originario, allora a quel punto rientro in campo io insegnante e
spiego e fisso nella testa degli studenti le regole che loro hanno già visto e già provato ad usare.

11/11/2020
Fare una didattica attenta agli sguardi degli apprendenti è la cosa più complicata che si possa
immaginare. Insegnare seguendo un copione prestabilito fatto magari di slide che vengono lette
ed argomentate sempre nello stesso modo non va bene. Non si può perché ogni anno di fronte
avrà persone diverse, motivazioni diverse e anche bisogni comunicativi diversi. Quindi dobbiamo
sempre tener conto che faremo didattica non per soddisfare i nostri bisogni ma quelli di chi
abbiamo davanti. Questa è una cosa molto bella da dire ma molto complicata da realizzare.
Nella citazione che abbiamo visto del 1930 si considerava sbagliato formare docenti ad un solo
metodo. Questo significa che non è vero che si fa didattica solo con il metodo comunicativo.
Naturalmente è per tanti aspetti quello più calzante rispetto alla didattica contemporanea, però ci
possono essere situazioni particolari in cui io ho bisogno di altri metodi e quello comunicativo non
funziona. Dobbiamo essere pronti a tirar fuori il metodo giusto per la classe.
Dovremmo affrontare una situazione che fa da sfondo a ciò che abbiamo detto. L’idea di lavorare
sulla testa degli apprendenti ci porta inevitabilmente ad una didattica one to one. Soddisfare i
bisogni individuali che possono non coincidere con quelli dell’intera classe. Qui allora dobbiamo
mantenere un equilibrio fra i bisogni di tutta la classe.
I bravi insegnanti si vedono non solo quando guarda in faccia gli studenti, perché ci potrà capitare
che due studenti capiscono tutto e altri non capiscono nulla o si annoiano. Quali studenti devo
guardare’ quello che mi dice di continuare o quello che si annoi?
Tema molto importante che la teoria non considera molto  pur con la istanza di vedere i bisogni
dei singoli apprendenti bisogna mantenere compatta la classe. Perché noi andiamo a lavorare con
la classe e non col singolo.
Ci sono dei siti in cui si mettono orari e tariffari e vengono contattati via Skype da un utente che
cerca lezioni di italiano. In questo caso si parla di didattica one to one. Io posso corrispondere i
bisogni dell’utente come insegnante. Ma in una classe non abbiamo un solo utente, ma 20.
Dobbiamo trovare una linea di bilanciamento tra le spinte centripete dei singoli e la forza
centrifuga degli studenti. Necessità di mantenere compatta la classe ma guardando anche ai
singoli.
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Questione che ancora una volta la teoria di apprendimento si astiene dal dare una ricetta. Qui
subentra il saper essere insegnanti, un istinto pedagogico. Quello che fa la differenza tra un bravo
ed un pessimo insegnante. Come si diventa un ottimo insegnante  non è solo la conoscenza ma
questa capacità. Per diventare bravi bisogna conoscere tanta teoria per poi gestirla
adeguatamente in classe.
È meglio insegnare italiano ad una persona o a più persone contemporaneamente? È meglio
imparare nel nostro paese o nel paese straniero? Un apprendimento guidato talvolta è meglio
rispetto a quello spontaneo, quindi le risposte non sono sempre scontate.
Compagni di classe non come competitors ma come compagnia di un viaggio  le reti
comunicative che possono essere sprigionate in un contesto didattico fatto da un numero
consistente (14-18 persone, più persone renderebbero questa rete impossibile) sostengono
l’apprendimento. L’insegnante deve mantenere ben salde queste reti comunicative tra studenti.

Parte sull’e-learning
Si è parlato del nuovo ruolo del docente e anche dell’apprendente. Oggi ci concentriamo su nuove
tecniche e nuovi strumenti. Introduciamo la parte relativa all’e-learning.
Unistrasi si occupa di e-learning in relazione alle lingue, soprattutto per l’italiano per stranieri.
Alcuni chiarimenti terminologici  cosa è l’e-learning? Molti pensano che l’e-learning sia
insegnare con le nuove tecnologie, il che è vero, a patto che ci si intenda sul fatto di intendere le
tecnologie. Il fatto che un insegnante duni lingua usi una tecnologia è un qualcosa di connaturato
alla figura dell’insegnante, un insegnante di lingua ha sempre usato le tecnologie. Ovviamente
quelle che erano a disposizione del periodo in cui andava ad insegnare. Prima l’insegnante girava
col registratore. E questo era un qualcosa di tecnologico. Poi col passare del tempo dal
registratore si passa ai laboratori col computer. I laboratori a scuola sono o linguistici o di chimica.
Quello di lingua nel tempo è sempre stato l’insegnante che ci ha portato a vedere un film. Tutto
questo per dire che l’insegnante di lingua straniera è sempre stato attento alle tecnologie ed
accompagnato da esse.
Quando abbiamo parlato dei metodi abbiamo detto che la storia del metodo può essere fatta
seguendo tanti fili: cronologico, in base alla relazione insegnante-classe, ed infine il filo dei
materiali e delle tecniche di supporto (supporto cartaceo, audio, video ecc.). c’è un metodo che si
chiama audio-orale che si fonda sulla messa a disposizione delle masse del supporto per ascoltare
le audio-cassette.
Perché all’insegnante piacciono così tanto le tecnologie? Cosa stimola un insegnante ad usare le
tecnologie? Perché in una classe di lingua io insegnante devo essere in qualche modo attrattivo,
motivante e divertenti (stimolanti).
Idea di apprendimento linguistico non giusta  per studiare una lingua non sia necessario
studiarla ma solo parlarla. Se per studio intendiamo aprire il libro, riflette e ripetere si può anche
dire che si può non fare questo procedimento. Se intendiamo il termine studio in termini di
riflessione esplicita del cervello sul funzionamento della lingua che voglio apprendere non si
scappa. Per conoscere una lingua io devo usare in questo modo. Quindi non con la matita e
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sottolineare ma riflettere coscientemente su quello che avviene. Porsi delle domande, fare delle
risposte. Così qualunque lingua va studiata.
Perché l’insegnante ricorre e ha sempre ricorso alle nuove tecnologie? Perché ha una esigenza
forte, sentita che sente più degli altri insegnanti cioè quello di far parlare la classe. Stimolarla a
comunicare. La tecnologia per anni è stata un po’ un diversivo da introdurre in aula per risvegliare
il sonno delle coscienze dei miei studenti. Posizione attiva di apprendimento e non passiva. Cosa
che si può fare in molti modi in un’aula. Non si può apprendere le lingue passivamente.
Le tecnologie hanno questo scopo. Poi ne hanno un altro, cioè quello di esibire input (il materiale
linguistico necessario per arrivare a conoscere le regole di una lingua). Esibire input molto
importante per gli insegnanti di lingua straniera, bisogna far sentire la pronuncia quella vera.
Anche se dobbiamo insegnare la nostra lingua madre c’è comunque la necessità i far sentire fonti
di lingua diverse da quelle del docente. Non bisogna fare ascoltare solo il mio italiano. Quindi c’è
questa idea di proporre testi (le lingue viaggiano con i testi), situazioni comunicative il più possibile
reali. L’unico modo che abbiamo è affidarci alle tecnologie perché ci restituiscono quell’italiano
che possiamo ascoltare fuori dall’aula.
Importante questione che si chiama QUESTIONE DEL TESTO AUTENTTICO  testo che i filosofi
chiamerebbero realia. Un testo veramente circolante. Quindi o uno spezzone di film, o la
registrazione di un brano/audio. Quindi testi autentici non creati dall’insegnante. Per molto tempo
con l’approccio comunicativo si è fatta una battaglia per l’utilizzo esclusivo di testi autentici, cioè
per evitare all’insegnante di costruirsi in casa i testi. Perché gli insegnanti si costruivano i testi in
casa? Perché ci deve essere un testo con le strutture di cui voglio parlare e che voglio insegnare.
Quindi trovare un testo che contenga quelle informazioni.
Per molto tempo si è detto all’insegnante id scegliere solo testi autentici. In realtà, questa cosa del
testo autentico oggi è un po’ superata. Quello di cui si parla oggi è TESTO ADEGUATO  testo che
sia in qualche modo corrispondente a quello che è possibile veramente ascoltare fuori, anche se è
scritto dall’insegnante. Un testo che comunque contiene quelle regole.
Il combinato della esigenza di mantenere viva la classe, l’attenzione e la motivazione (stimolarla)
insieme alla necessità di esibire fonti di lingua diverse dalla propria, hanno portato gli insegnanti di
lingua straniera a ricorrere alle tecnologie. Quindi queste due sono le motivazioni:
attenzione/stimolazione e input di lingua diversa dalla propria.
Tecnologie che sono sempre più evolute e raffinate. Dall’audio all’audio-video e poi a tutto quello
che comportano queste tecnologie. Però a volte si considera nuova tecnologia una forma di
modernariato. Quando in classe mostro un power point sto usando una tecnologia anche molto
evoluta. Puoi chiamarla tecnologia e anche nuova ma non è nuovissima. Cosa distingue e ci
consente di parlare di nuova tecnologia? È la dimensione del web. Le tecnologie sono iniziate nel
900. Potemmo dire che abbiamo avuto un primo arco di tecnologie che si è esaurito quando è
subentrato a disposizione di tutti INTERNET.
Internet è una tecnologia a disposizione di tutti ed esiste da diverso tempo. Però è diventata così
importante da quando è stata messa a disposizione di tutti. Un tempo c’era sì internet ma si
usavano dei modem antichi e dove anche solo per scaricare una foto si potevano impiegare 3-4
minuti. Oggi la situazione è cambiata, possiamo vedere film e fare lezioni online e fare mille cose
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contemporaneamente. È una esperienza che è a nostra disposizione da una decina di anni.
Quando parliamo dell’arrivo di internet non dobbiamo pensare a quando è nato ma a quando è
entrato nelle case di tutti in questa veste così potente.
Noi siamo una élite rispetto al resto del paese e del mondo. Chi di noi ha la possibilità di collegarsi
da casa per poter vedere bene una lezione su meet è una minoranza. Questo è stato mostrato dal
lockdown e dal covid. È stato detto che internet accentua le diseguaglianze. In realtà non è così,
semmai mostra le diseguaglianze. Fa vedere all’insegnante che la massa di studenti
apparentemente tutta uguale ha in realtà grosse differenze. Ci sono studenti che hanno a casa
internet veloce e altri meno.
Cambiamento rivoluzionario con internet. Dal punto di vista delle tecniche e degli strumenti il
salto evolutivo c’è stato non dal passaggio dall’audio cassetta al computer nel laboratorio
linguistico e neanche quando sono arrivati i computer in aula. I computer senza internet erano
strumenti evoluti ma ancora non paragonabili all’e-learning come lo intendiamo oggi. Perché non
hanno la possibilità di essere connessi alla rete. Oggi tutto questo è diverso. Perché la rete è uno
strumento così importante? Potremmo chiamarlo AMBIENTE DI APPRENDIMENTO e non uno
strumento. Come mai? Perché con la rete si ha la possibilità di INTERAGIRE.
Anche i videogiochi si possono usare come metodo e-learning per apprendere. Internet era
sempre associato ad una idea di svago, ora con il covid si pensa anche allo studio.
Si può giocare col computer da ormai 20 anni circa. C’è stato un cambiamento netto. La vecchia
playstation era fatta con il CD-ROM da inserire per giocare contro al pc. Al massimo con una
console Bluetooth potevo giocare con degli amici vicino a me. Oggi nessun ragazzo giocherebbe
così. Oggi l’esperienza di divertimento con i videogiochi è io che entro in una comunità di
giocatori. Io che da casa mia gioco con i miei amici ma anche con persone sconosciute. Questa
esperienza di utilizzo di internet è quello che ha consentito il salto di qualità. Cioè non sono più io
e la macchina ma sono io e la rete attraverso la macchina (computer).
Quando si va nei laboratori linguistici ci sono computer tutti collegati tra di loro da una console che
ha l’insegnante. L’insegnante decide cosa bisogna ascoltare o vedere. Tutti gli schermi mostrano
quello che mostra l’insegnante dalla console. Questo non ha nulla a che fare con quello che
facciamo oggi. Quello che facciamo oggi è una esperienza di vita basata su una interazione in un
ambiente virtuale in un cloud, in una nuvola.
Allora internet e l’utilizzo di e-learning oggi nel 2020 non vuol dire accendere il pc, anzi il pc è quasi
un oggetto inutile. Quindi l’e-learning non è l’utilizzo del computer. Oggi tramite tablet, palmari e
smartphone possiamo fare di tutto. Quasi più nessuno usa i computer tradizionali. Oggi nel 2020 la
parola stessa computer perde molto il suo significato. Non parliamo più di computer ma di
DISPOSITIVO collegato alla rete.
Quando parleremo di e-learning parleremo di esperienze didattiche in un’ambiente virtuale per
virtuale non intendiamo i pixel del pc ma il cloud, la rete, il mondo che c’è fuori interconnesso a
noi attraverso internet. Quello che oggi nel 2020 ci fa parlare di nuova tecnologia non è l’utilizzo
del computer, anzi.

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Il cloud è un ambiente virtuale dove è possibile l’interazione tra persone. È possibile fare didattica
delle lingue con il computer e l’e-learning? Domanda che ha senso perché come tutte le grandi
innovazioni suscitano come sempre grandi innamoramenti e forme di resistenza. L’uomo è stato
capace anche di contestare il treno dicendo che era il mezzo del diavolo e oggi nessuno può
concepire una cosa del genere. Umbria e Marche hanno meno ferrovie perché erano territori
papali e il treno veniva visto come una cosa eretica e forma del diavolo. Ci sono regioni super
connesse e popoli molto connessi come per esempio Londra o Parigi. Quindi la tecnologia quando
è nuova spaventa sempre però anche se noi abbiamo la convinzione che l’e-learning possa essere
utile per la didattica delle lingue, prendiamo in seria considerazione le resistenze che vengono
fatte in questo ambito. Quale è la resistenza che ci incute più rispetto? Torniamo sempre al solito
punto, come si fa ad insegnare un qualche cosa che prevede l’interazione e lo scambio in un
ambiente in cui davanti hai uno schermo e non persone? Come si fa da insegnante ad insegnare
guardando in faccia gli studenti avendo di fronte uno schermo? Come si fa a parlare gli studenti
quando loro hanno davanti uno schermo? Questa è una obiezione sensata. Ci interroga molto. Noi
pensiamo di aver trovato anche grazie agli strumenti che abbiamo a disposizione che sono diversi
da quelli che si avevano 10 anni fa (pensiamo a Meet o zoom) un modo anche per insegnare. Per
poter fare questo tipo di didattica bisogna dotarsi di una certa strumentazione.
La didattica a distanza può essere un pessimo surrogato della didattica in presenza però prima di
giudicarla bisognerebbe farla bene. Le tante critiche rivolte alla didattica a distanza sembrano
critiche di chi non la sappia usare. Poi c’è la questione della età di apprendenti. Costringere
bambini di elementari è un qualcosa di innaturale. Però già gli ultimi anni di liceo e corsi
universitari, SE FATTI BENE, non perdono molto l’efficacia didattica. L’e-learning è stata una
esperienza durissima per molti però ha concesso di far arrivare le voci degli insegnanti a persone
che erano escluse dall’insegnamento. Oggi anche uno studente distante da Siena o qualche
studente lavoratore ha una possibilità che prima non aveva. Quindi un punto a favore alla
democrazia dell’apprendimento.

13/11/2020

Principi di didattica online


Entriamo nella quesitone della didattica a distanza. Parleremo di principi che sono stati sviluppati
nell’ambito dell’e-learning in generale, nell’ambito della ricerca attorno alla formazione in e-
learning in generale.
Riflessione relativa alla didattica delle lingue e di italiano a stranieri. Dobbiamo dire che quando si
parla di didattica delle lingue in modalità e-learning i principi che valgono per l’e-learning ad ampio
raggio non sempre valgono per la didattica delle lingue. Ci sono delle specificità.
C’è un sostrato comune, una base comune con la didattica online in generale che va conosciuta.
Può essere utile partire dalle fasi della didattica delle lingue in rapporto alle tecnologie didattiche.
Il docente di lingue è quello che tradizionalmente si riconosce perché ha sempre fatto uso di
tecnologie.

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Inizialmente c’erano le glottotecnologie di prima generazione come audiocassette, video e dvd.
Per evitare che il professore sia l’unico input orale.
Poi si è passati in un periodo in cui l’uso delle glottotecnologie con il laboratorio linguistico prende
piede. Quindi glottotecnologie in rapporto con le pratiche didattiche.
Si ha poi una terza fase che si identifica introno alla fine degli anni 90 in cui sono fortemente
presenti i pacchetti ipermediali. Concetto non solo di testo ma di ipertesto.

I pacchetti ipermediali  fanno uso di ipertesti ovvero di testi non fruibili sono in forma lineare
come un testo scritto. Si hanno collegamenti a link che portano ad altri testi. Ci sono diversi tipi di
testi all’interno dell’ipertesto (immagini, mappe concettuali, testi scritti ecc.). Quindi una diversa
fruizione del testo. Molti testi che si trovano nei pacchetti sono testi audiovisivi. Hanno diversi
vantaggi per la didattica delle lingue perché rappresentano stimoli polisensoriali e chiama in causa
la vista, l’udito ecc. Consentono di presentare situazioni comunicative in tutti i loro aspetti
(linguistici, paralinguistici e non verbali). Si può presentare l’evento nella sua interezza. Anche
aspetti prosodici ed intonativi. Tramite gli audiovisivi posso presentare anche varietà linguistiche
diverse. I cd rom erano in voga fino agli anni 2000, in essi possiamo trovare molti testi audiovisivi.
I pacchetti hanno caratteristiche di presentare una molteplicità di stimoli sensoriali (non soltanto
lettura ma anche ascolto). Se ben fatti i pacchetti hanno una forma di interattività e non di
interazione (quindi scambio tra utente e il contenuto). Alle risposte quindi dell’utente la macchina
risponde in un determinato modo rispetto che un altor e può proporre percorsi differenziati.
Limite forte dei pacchetti è che sono pensati in un’ottica di AUTOAPPRENDIMENTO. Quindi
pensati come pacchetti chiusi e mirati alla fruizione da parte di un singolo studente davanti allo
schermo. Quindi finalizzati all’autoapprendimento.
Aspetto su cui soffermarsi  il solo fatto di prestare un ipertesto non è garanzia di migliore
apprendimento. Un ipertesto viene fruito in maniera diversa, presenta stimoli diversi, può essere
fruito autonomamente diversamente da un testo monomediale ma la sola presentazione
dell’ipertesto non è garanzia di apprendimento o migliore apprendimento. Quindi rischio del
cosiddetto sovraccarico cognitivo  rischia di richiedere un eccessivo impegno e carico dal punto
di vista cognitivo. In letteratura si distinguono diversi tipi di impegno cognitivi, alcuni vanno
eliminati perché non funzionali e altri invece andrebbero meglio calibrati.
Per fare un esempio, quando noi andiamo in rete e troviamo un ipertesto con tanti elementi e con
tante immagini e suoni non è detto che questo in termini di apprendimento risulti migliore rispetto
ad un semplice testo scritto od orale, specialmente quando gli elementi quali immagini, suoni o
grafici o altro non sono funzionali alla migliore comprensione del testo.
Presenza di ipertesti quindi sicuramente fattore positivo ma ci sono anche dei limiti. Quando
valutiamo un ipertesto dobbiamo fare attenzione a questi rischi e limiti di carico cognitivo.
Poi passiamo alla quarta fase che è il cosiddetto punto di non ritorno della didattica con le nuove
tecnologie. Quindi introduzione della RETE nella didattica delle lingue. Si ha un cambio di
paradigma forte. Con l’introduzione della rete nella didattica si ha l’introduzione di un modello

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anche pedagogico molto chiaro. Se si lavora in rete, l’elemento e l’obiettivo che si vuole perseguire
non è quello dell’autoapprendimento, anzi non solo. Autoapprendimento ha una accezione
negativa mentre autonomia una accezione positiva.
Si parla di apprendimento anche in rete in forma collaborativa. La rete porta nelle classi di lingua
questo grosso cambiamento pedagogico. Siamo al momento in questa fase, fase molto complessa
e non risolta, pone molti problemi ma che al tempo stesso ha molte potenzialità. Fase in cui
stiamo riflettendo sulle reali potenzialità e su come sfruttarle. Siamo in una fase in cui si è superata
da un lato la visione aprioristica che va contro le tecnologie in quanto si vedono come
soppiantatrici dell’insegnante. Si è superata anche una visione eccessivamente ottimista o quasi
salvifica delle tecnologie di rete in classe quindi la sola introduzione delle glottotecnologie di rete
avrebbe fatto fare un salto enorme alla didattica.
Non è stato così. È così solo potenzialmente. La fase in cui siamo al momento ha chiarito che
l’evento derimente non è l’introduzione di per sé delle tecnologie di rete nella didattica ma è l’uso
e la metodologia che viene adottata.

LA MEDIAMORFOSI DELLA FAD


Tradizionalmente per quanto riguarda la formazione a distanza, storicamente si identificano 3 fasi,
noi ci troviamo nella terza generazione (generazione in cui si adottano le metodologie e-learning).
Caratterizzate non soltanto dalla interazione 1 a 1 tra studente e docente ma anche interazione 1 a
molti con gli studenti, e anche e soprattutto una interazione molti a molti  elemento innovativo
della terza generazione.
MEDIAMORFOSI  cambiamento del medium che da strumento per distribuire contenuti in una
prima e in una seconda fase della formazione a distanza si è trasformato nel canale di
comunicazione. Strumento che favorisce la comunicazione complessa, non unidirezionale e
realizzabile in molti ambienti. Abbiamo forme di approfondimento in rete, l’apprendere in rete e
dalla rete. Dalla rete traiamo risorse e altri contenuti. Quindi non più soltanto una ottica
distributiva in cui l’esperto distribuisce contenuti ma anche idea che l’apprendente è più
protagonista del suo apprendimento. Può trovare in rete diverse risorse che prima non poteva.
Terza generazione che vede l’interazione e l’interattività come elementi caratterizzanti.

Queste fasi hanno dei focus diversi.


Evitiamo di avere una visione di taglio netto. Quando si parla di metodi glottodidattici non è che
dal 1950 c’è un metodo e dal 51 ce n’è un altro subito. Non è che l’approccio comunicativo abbia
soppiantato dall’oggi al domani tutti gli altri metodi. Ancora approcci più tradizionali come il
grammaticale traduttivo abbiamo una loro rilevanza. La stessa cosa avviene nell’e-learning.
Quando si parla di fasi quindi non bisogna evidenziarle come tagli netti senza nessuna sfumatura.
I FASE  formazione a distanza con obiettivo principale che era quello di diffondere la formazione.
Quindi il focus era sui contenuti. C’era l’esigenza di diffondere ancora di più i titoli di studio e la

68
formazione a fini di rientro nel mercato del lavoro. Ottica prevalentemente distributiva di
contenuti
II FASE  formazione in ambienti digitali formali. È un ambiente come la piattaforma e-learning
che noi conosciamo. Ambiente che in qualche modo cerca di riprodurre la situazione dell’aula in
presenza. Qui si ha l’idea di un docente che moderi l’apprendimento. Il focus è sugli strumenti e
sulle nuove tecnologie
III FASE  fase in cui ci troviamo adesso. La formazione avviene in rete. L’obiettivo non è fruire i
contenuti ma condividere e generale l’apprendimento. Il focus è sulle relazioni e non più sui
contenuti o sui nuovi strumenti. Relazioni che si instaurano tra soggetti in apprendimento che
sono il vero elemento che genera un valore aggiunto nella didattica in rete. Questa terza fase non
cancella le precedenti ovviamente, non è che visto che il focus può essere sulle relazioni allora no
si favoriscono i contenuti o gli strumenti. Diciamo che per semplificare in questa terza fase si dà
enfasi alla relazione tra i soggetti in apprendimento sia tra pari sia con il docente.

Per quanto riguarda la didattica delle lingue, se vogliamo rappresentare la situazione attuale da un
punto di vista grafico bisogna parlare di una pluralità di cose che non si escludono tra loro.
Abbiamo la possibilità di interagire in rete e di dare quindi rilevanza soprattutto alle relazioni tra
soggetti in apprendimento e si evidenzia un elemento dell’e-learning indiscutibile  la possibilità
di realizzare formazione linguistica con soggetti sparsi in tutto il mondo. Come sta avvenendo in
alcuni casi anche in questo periodo storico. Il vantaggio innegabile te trasversale è
l’annientamento dei vincoli spazio-temporali. Connettersi da dove si vuole, quando si vuole.
Questo genera alte questioni ma è sicuramente un vantaggio. Questa è una delle possibilità che ci
dà l’e-learning.
Ci dà anche la possibilità di avere un soggetto che sviluppa autonomia nel proprio apprendimento.
Sviluppa in maniera autonoma l’apprendimento. Lo sviluppo di una autonomia
dell’apprendimento non è in contrapposizione con la possibilità di interagire in rete con tanti
soggetti. Si ha l’idea che il soggetto in apprendimento può fruire di una serie enorme di risorse.
Può essere esposto a testi di vario tipo e ha la possibilità anche di fruire di risorse di rete che sono
una risorsa enorme ed incredibile e a portata di clic. Altro vantaggio che crea dei problemi perché
in rete si trova di tutto, però se le risorse sono ben selezionate questo è sicuramente un enorme
vantaggio.
Inoltre si ha un soggetto che fruisce i contenuti e che in qualche modo interagisce quando questi
contenuti sono ben realizzati con essi. Uno degli aspetti nuovi e diversi nella didattica online è la
possibilità che questi contenuti non sono fruibili soltanto in un modo e soltanto una linea
prestabilita, ma il soggetto può decidere autonomamente il proprio percorso di apprendimento.
Qui parliamo di e-learning e corsi totalmente online. Possibilità di poter seguire percorsi non
rigidamente prestabiliti e prestrutturati.
Infine ultimo aspetto da sottolineare è il fatto di poter utilizzare diversi device per il proprio
apprendimento. Questo significa sostanzialmente avere la tendenza di integrare in qualche modo
e valorizzare apprendimenti anche informali. Non limitare l’apprendimento in un contesto formale
come la piattaforma e-learning ma integrare anche apprendimenti informali fatte al di fuori di
69
questa aula virtuale. Interesse verso il mobile-e-learning. Apprendimento fatte col mobile fuori
dalla classe. Esperienze molto interessanti in varie discipline e anche chi si occupa di didattica delle
lingue è chiamato ad integrare l’apprendimento formale con quello informale.
Questo è al momento la situazione attuale in cui viviamo e ci troviamo.

Innovazioni introdotte da internet nell’insegnamento e nell’apprendimento delle lingue


- Innanzitutto chi insegna e chi apprende ha la possibilità di accedere ad una enorme vasta di
documenti inerenti alla lingua oggetto di insegnamento. Documenti e testi scritti e anche di
ipertesti resi fruibili. Testi orali o anche testi che danno spunti culturali. Questo aspetto a
cui oramai siamo abituati, è un elemento estremamente importante per la didattica delle
lingue. Aspetto che ha influito nel limare le differenze tra la lingua seconda/lingua
straniera. Sappiamo che tradizionalmente per lingua seconda si intende la lingua insegnata
nel paese in cui la comunità la parla mentre per lingua straniera si intende la lingua
insegnata in un paese diverso dalla comunità che lo parla. Si fa questa distinzione in
glottodidattica perché questo ha delle ricadute sul piano dell’insegnamento. Insegnare
italiano in Italia non è la stessa cosa di insegnarlo in Cina. Anche perché l’esposizione
all’input è qualitativamente e quantitativamente diverso. Quindi mentre è molto più
probabile che in Francia il mio input sia limitato al corso e al docente di italiano, in Italia
questa cosa non succede. Con l’avvento della rete e con la possibilità di accedere a testi
aggiornati dal punto di vista linguistico, questa possibilità lima la differenza tra L2 e LS.
Anche la globalizzazione in generale lima questa differenza. Internet contribuisce a questa
erosione dei confini e consente a docenti ed apprendenti innanzitutto ad accedere testi di
molti tipi.

- Dal lato del docente internet dà la possibilità di sfruttare la rete per svolgere attività
didattiche. Attività che coinvolgano gli studenti. Parliamo di task. L’introduzione della rete
moltiplica i vantaggi di questi compiti, di questi task. Quindi usare il web e la rete per
recuperare una quantità di informazioni che non era disponibile prima dell’avvento di
internet nelle aule.

- Dà la possibilità soprattutto di stabilire relazioni tra i soggetti. La formazione in generale ha


il suo focus nelle relazioni tra soggetti in apprendimento.

- Dà possibilità di accedere a risorse create appositamente per l’apprendimento. Quindi


avere un sacco di materiale da docente e di attività che si possono sfruttare per insegnare.
Non abbiamo soltanto grazie ad internet delle attività già belle e pronte ma abbiamo gli
strumenti per poter creare le proprie attività e per adeguarle al proprio contesto e alle
esigenze della propria classe. Internet permette tra le altre cose di fare tutto questo.

70
Uso della rete nella didattica
- Abolizione dei vincoli spazio-temporali

- Alleggerimento dagli obblighi di presenza in aula. La rete consente di organizzare meglio i


propri corsi. Grazie alla rete io posso dedicare tutto il tempo in presenza soltanto allo
sviluppo di attività orali e relegare lo sviluppo di attività scritte ad attività e-learning. Quindi
la rete mi permette di romanizzare meglio il mio corso.

- Potenziamento di competenze e abilità. La rete fa interagire con gli altri. Quindi in rete si
presentano spesso attività di problem-solving e quindi lì si richiede lo sviluppo di
competenze necessari per risolvere questi problemi.
- La rete ha forti potenzialità interazionali e interattive. Con interattive intendiamo lo
scambio dell’utente con i contenuti mentre con interazione si intendono gli scambi tra
soggetti e non soltanto nella comunicazione 1 a 1 tra docente-studente o tra pari ma anche
nella comunicazione molti a molti  comunicazione in cui si ragiona più come in un’ottica
di comunità di apprendimento e non di studenti singoli. Favorisce anche questa interazione
tra soggetti perché la comunicazione in rete in qualche modo, pur problematica e pur non
priva di aspetti critici aiuta a rispettare anche i tempi e gli stimoli degli studenti. È
accettabile in rete la cosiddetta partecipazione periferica. Non è richiesto un intervento
immediato di tutti gli apprendenti a prescindere dalle loro competenze sviluppate. Questo
rispetto dei tempi e delle competenze già apprese dagli studenti favorisce alla lunga le
interazioni e la partecipazione.

- In rete c’è la possibilità di comunicare in forma sincrona e asincrona. Quindi sia nello stesso
tempo (sincrona) che in tempi diversi (asincrona)  questo ha delle ricadute. Bisogna
tener presente cosa si può fare in sincronia o meno. È sicuramente una possibilità in più
che abbiamo e che possiamo sfruttare. Molti professori durante il covid hanno cercato di
riprodurre la didattica sincrona online. Quindi la didattica delle lingue spesso si è
trasformata in un incontro online con tutti gli studenti nello stesso momento, tralasciando
totalmente uno degli aspetti più forti dell’e-learning che è la possibilità di comunicare in
maniera asincrona tramite forma scritta in forum per esempio o lasciare compiti da
svolgere. Il tempo nella didattica è un elemento fondamentale. Tendenzialmente
nell’online si dava sempre maggiore importanza alla forma asincrona, ma oggi la situazione
è diversa. Il docente di lingua è abituato alle interazioni in presenza e al guardare negli
occhi i propri studenti. Tutte cose valide ma che appunto nella didattica online possono
essere integrate anche con altre modalità.

- Sviluppo di ambienti virtuali di apprendimento multirelazionale. Grazie alla rete noi


lavoriamo in ambienti virtuali dove svolgere la nostra attività. Ambienti che hanno delle
determinate caratteristiche. Possono essere più o meno formali e integrati con strumenti di
vario tipo. Possono essere più o meno aperti all’esterno o alla rete e così via.

I corsi potrebbero essere rappresentati tramite il cubo della formazione online. Si potrebbe avere
più enfasi nei confronti dei contenuti, delle relazioni tra pari o di relazioni col tutor.
71
Tipi di corsi sviluppati in ambienti virtuali
Sono di tre tipi:
- Preponderanza della dimensione di autoapprendimento. Contenuti preconfezionati.
Comunicazione uno a uno tra studente e tutor. Ambienti chiusi. Si chiamano CONTENT
AND SUPPORT.
- Autoapprendimento come processo più attivo. Contenuti anche ricercati dall’apprendente
e quindi non monodirezionali dal docente. Comunicazione studente-tutor in ambienti
virtuali. Si chiama WRAP AROUND.
- Preponderanza della dimensione sociale dell’apprendimento. Comunicazione tra la
comunità di lavoro
- (studenti e tutor) fortemente interrelata ai contenuti del corso. Comunicazione dell’intera
comunità che apprende. Importanza anche ai contenuti del corso. Integrazione tra
relazione sociale e l’utilizzo dei contenuti. È il modello che quando sviluppiamo dei corsi di
lingua online si cerca di portare avanti perché è il tipo di corso che dà i migliori risultati. Si
chiama INTEGRATED MODEL.

Il quadro teorico: implicazioni educative dell’approccio costruttivista


Il modello educativo che sta dietro ad una didattica delle lingue online, didattica che faccia uso
delle lingue online è un modello di tipo COSTRUTTIVISTA. È un approccio teorico che sta vedendo
tante evoluzioni e che nella sua forma più tradizionale è stato anche criticato.
Quali sono i principi fondamentali da tenere presente?
Non sono principi nati con l’ingresso della rete. L’approccio costruttivista è un approccio nato
intorno agli anni 90 ma che fa tesoro di esperienze e di approcci comunicativi che risalgono
almeno all’inizio del secolo scorso. Cosa dice questo approccio? È un approccio che nasce in
contrasto con una teoria comportamentista e cognitivista. Nasce in contrasto con l’idea che
l’apprendimento e la mente umana sia paragonabile ad un calcolatore e che l’apprendimento sia
un processo tutto interno al soggetto e che avviene per fasi preordinate.
L’idea diversa su cui si basa il costruttivismo invece è che la conoscenza invece avvenga soprattutto
grazie alla interazione con gli atri. Quindi che ci sia una costruzione della conoscenza piuttosto che
una riproduzione del sapere. Quindi si apprende se si condivide con gli altri e se ci si relaziona. Si
apprende prevalentemente in forma collaborativa. Si apprende se i compiti proposti sono autentici
dove per autentico intendiamo che siano correlati con gli interessi e il vissuto degli studenti.
Dovremmo cercare di proporre ai nostri studenti compiti correlati ai loro interessi e vissuto, quindi
autentici.
Questi sono i principi cardine dell’approccio costruttivista che dovremmo sforzarci di portare nella
didattica online. Quindi bisognerebbe proporre dei percorsi che richiedano interazione tra studenti
e attività che siano correlate con gli interessi degli studenti. Tutto questo favorisce sicuramente
forme di apprendimento linguistico.

72
Su questo aspetto il costruttivismo che non è una teoria nuova ma prende largamente da Vigotsky
e dalle esperienze fatte all’inizio del secolo scorso, quando si passa all’e-learning si assiste ad una
visione mitizzante di questa teoria dell’apprendimento. Si è un po’ esaltata questa forma di
apprendimento e applicata in modo ingenuo come se questa fosse l’unica modalità da usare. Si è
caduti nell’errore opposto. L’interazione e la collaborazione viene vista come unico modo per
apprendere. Il ruolo del docente è stato messo in secondo piano. Fase in cui questa visione così
rigida è da rivedere.
Costruttivismo quindi idea che sta sullo sfondo dell’e-learning. Si parla anche di connettivismo oggi
mettendo in evidenza il ruolo forte non soltanto dell’apprendimento tramite relazione ma anche il
ruolo dell’apprendimento presente fuori dal soggetto e presente in rete. Quindi competenza di
trovare dove sono gli elementi di conoscenza in rete. Tutto questo per dire che se questa è la
teoria di fondo questa va attuata sena dimenticare che ne esistano altre da poter integrare e senza
dimenticare ciò che c’è di buono nella didattica tradizionale che prevede anche l’intervento del
docente in maniera anche unidirezionale (non deve essere visto come un tabù da evitare, talvolta
è importante e serve).

[SLIDE SU TEORIE E CRONOLOGIA]


Mettiamo in relazioni le grandi teorie dell’apprendimento  comportamentismo, cognitivismo e
costruttivismo in relazione ad un arco temporale e anche con strumenti ed ambienti. Qui bisogna
non guardare a questi schemi come uno studente monolitico. Non come taglio netto tra anni 60 o
70 per esempio.

24/11/2020
Siamo al centro della questione dell’e-learning.
Lezione spiegata da Gerardo Fallani, ricercatore del centro per l’e-learning della nostra università
al centro fast.

Social web (web 2.0)


Oggi parliamo di ambienti. Contestualizzeremo gli ambienti nella chiave dell’e-Learning o anche
detto social learning o web 2.0
Quali sono i presupposti culturali e teorici della questione e-learning?
- Il web è una piattaforma
- Il software è un servizio (SaaS) in continua trasformazione (perpetual beta)
- Gli utenti aggiungono dati, cioè valore (User-generated content)
Inquadriamo i termini della questione perché parlando di ambienti si parla di luoghi in cui
implementeremmo le soluzioni didattiche quindi corsi, attività e così via.

73
Il web 2.0 è un insieme di principi e procedure i quali sono anche una dozzina. Abbiamo però preso
dei sottoinsiemi. L’idea che il web sia una piattaforma perché? Perché tra 2000-2005 si inizia a
parlare di social web e social network. La piattaforma più usata era il pc, il desktop. Poi succede
che arriva Google e inizia a usare il web come piattaforma, e crea gmail per esempio. Arrivano i
social network e si inizia ad agire non tanto sul proprio pc ma usare il web come piattaforma,
come computer. Quindi tanti programmi che non si comprano più tramite cd ma si usano tramite
browser e tramite internet e siti.
Di conseguenza il software è un servizio di rete. Non si ha più il cd che poi scade ma i servizi
vengono continuamente aggiornati e rilasciati. Così come in google meet lo vediamo. Via via che ci
sono delle migliorie vengono rilasciate, non ci sono quindi programmi come 1.0 o 2.0 ma
aggiornamenti automatici. Non c’è una versione predefinita o perfetta.
C’è una continua trasformazione. Una cosa che si è notata è che molte di queste iniziative di
successo vivono grazie al fatto che gli utenti ci mettono valore. Senza i dati degli utenti non
esisterebbe né Facebook né Amazon o e-bay. Non esisterebbero tutti i luoghi di commercio
economico o altri siti che servono agli utenti. Ottica di interazione. Il web 2.0 introduce
l’interazione diretta. Come trip advisor  vado al ristorante non perché lo leggo in una brochure
ma perché me lo dicono gli altri utenti, quindi interazione molto forte.
Forte mutamento che avviene rispetto alla prima fase del web (da quando internet esiste) fino a
ora. Grande trasformazione dovuta alle condizioni tecnologiche nuove. Date queste condizioni ha
preso avvio una transizione e mutazione che si rivela anche culturale. Non quindi come qualcosa
solo di tecnologico. È una svolta nel senso della interazione e della partecipazione sociale e
culturale.
Architettura della partecipazione  similitudine che dice che le associazioni diventano più forti.
Rete di connessione che cresce grazie alla attività collettiva di tutti. Facebook è diventata forte
perché tutti si sono iscritti e collegati. Ci sono ovviamente sempre vantaggi e svantaggi come
sempre.
Quello che a noi interessa sono due aspetti che ritroviamo anche negli ambienti della didattica che
ci interessa.
- WEB AS A PLATFORM
Client  Server
Software as a service

Il web come piattaforma  Introduce un passaggio dal punto di vista di strumenti che
utilizziamo anche per attività didattiche. Io ho uno strumento che mi serve a creare attività
didattiche che è un servizio di rete e non una applicazione che compro. È un software su un
sito. Per fare attività didattica bisogna cercare un software di rete con una community che
sviluppa questi software. Valutare gli strumenti e vedere se dietro si ha una community
forte o meno.

- DATA
User generated content

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User generated data
Still (tracciamento)

I dati  si studiano i dati. Questione nodale più importante. Quello che interessa a noi dei
dati è che i dati generati dagli utenti sono quelli che hanno scatenato il più grosso business
a livello globale e commerciale. Facebook esiste perché le persone scrivono dentro ma non
analizza quello che noi scriviamo. Analizza il modo in cui noi scriviamo, quindi ogni quanto.
Quindi sono gli stili e i comportamenti che poi vende.

Questo studio delle abitudini di consumo e dei modi di comportamento che intelligenza
artificiale hanno messo a punto in questi ultimi periodi oggi possono essere applicati alla
pedagogia ovvero studio degli stili di apprendimento. Questo può essere interessante. Se
ne può fare un uso corretto.

Da un punto di vista generale, meno rivolto a ciò che gli studenti fanno in classe, dobbiamo
chiamare in causa da un nuovo protagonista che ci pone una sfida che è la CONOSCENZA
CONNETTIVA (CONNETTIVISMO). Conoscenza e connessione.

Connective Knowledge (conoscenza e connessione)


Ristrutturazione degli agenti
- Collegamento tra nodi specializzati.
- Ruolo delle macchine
- Pluralità e diversità di opinioni
Le macchine elaborano informazioni e le restituiscono. C’è un punto di mettere in combinazione le
informazioni che sono dentro gli individui con quelle che stanno fuori. Il connettivismo nasce dal
fatto che la conoscenza si ha dall’incontro tra questi. Non abbiamo una risposta.

Conseguenze
- Emivita della conoscenza
- Competenze strategiche (processi decisionali)
- Decentramento del soggetto della conoscenza
Cose che non sono legate a questo paradigma ma all’idea che con la conoscenza che è gestita nelle
mani di tante persone, pluralità di soggetti più una quantità di soggetti non umani c’è un
proliferare della conoscenza. Quello che abbiamo sentito nominare come overloading formativo o
SOVRACCARICO COGNITIVO. Questo porta ad un più rapido evolversi.
Emivita significa meta. Ma è come la vita in circolazione nel sangue. H auna portata sia letterale
che metaforica. Oggi dobbiamo fare i conti con una breve conoscenza e avvicendarsi delle
conoscenze, dacché le competenze strategiche diventano importanti. Non tanto possedere le
informazioni ma sapere dove andare a trovarla e saper scegliere quale fonte informativa può
darmi la risposta giusta.

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La conoscenza esatta non risiede nella testa di qualcuno. Tutto questo fa causare il decentramento
del soggetto della conoscenza. L’uomo prende una cannonata e viene messo da parte come
soggetto di conoscenza.

Connettivismo. La specificità di una sfida


Rete di connessioni. La conoscenza si forma nell’incontro e nel contatto tra due fonti di
conoscenza. Quasi con una idea che la conoscenza si forma dall’incontro. Da un lato molto realista
e romantica.
La conoscenza non può essere acquisita una volta per tutte. La conoscenza può consistere in parte
in strutture linguistiche ma non è basate in strutture linguistiche perché le strutture la
rappresentano ma non sono la conoscenza. Non possiamo confondere ciò che conosciamo con le
strutture linguistiche con cui le rappresentiamo. Formulazione di realismo.
Da questo punto di vista costruire significato è una frase che non ha significato. Perché appunto il
significato è una proprietà di linguaggio.
Questo è lo specifico della sfida che niente toglie al fatto che poi in aula si proceda costruttivistica
mente.

Superamento del soggetto della conoscenza


Dal punto di vista del docente che deve produrre del materiale didattico e deve affrontare la
messa a punto non di una risorsa ma di un progetto didattico che nel mondo e-learning mi mette a
contatto con una serie di questioni che riguarda l’ambiente tecnologico ecc. Realtà molto
frastagliata. Occorrono quindi squadre e gruppi di persone, pluralità. Un singolo non può farlo.
Comprendere che la conoscenza completa non può esistere nella mente di una persona ingenera
un approccio diverso alla creazione di un quadro generale della situazione. Diverse squadre con
diversi punti di vista sono una struttura critica per esplorare completamente le idee.

Cibernetica e teoria dei sistemi


Negli anni 70. Cibernetica madre di tutti questi sistemi. Alla origine della nascita dei computer.
Non esiste un io. È una falsa reiterazione. In realtà comunque si è sempre parte di un sistema.
Sistema campo di processi interconnessi.

Concetto di Infosfera
Teoria più recente. Si ricorda Floridi di Cambridge. Ha lavorato sull’etica della informazione.
Infosfera  spazio semantico costituito dalla totalità dei documenti, degli agenti e delle loro
operazioni.

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- Può essere AGENTE qualsiasi sistema (individuo, organizzazione o algoritmo) che possa
interagire in maniera indipendente con un documento.
- I DOCUMENTI sono “dati”, ma i dati sono da intendere come informazioni (bit) e
conoscenze codificate nei più svariati formati
- Le OPERAZIONI sono ogni possibile azione che uno dei suddetti agenti può compiere su un
documento. Anche operazioni mentali per esempio. Agente umano o non umano che può
fare.

Antecedenti
Fine della introduzione.
- 1909, The Machine Stops. Forster
- 1924, Sidney Press presenta la “teaching machine”
- 1929, M.E. LaZerte adatta la TM nel “problem cylinder”
- 1956, Pask e McKinnon Wood creano SAKI: primo sistema adattivo (meccanico) ispirato
all’idea di gioco (game situation)
- 1960, PLATO (programmed logic for automatic teaching operations). Forum, chat, IM,
screen sharing.
- 2000-2001, Scorm (shareable content object reference model), OLAT (open source LMS
(università di Zurigo), MOODLE (open source LMS, Martin Dougiamas, Australia, tesi
PHD)
Gli ambienti esistono da un sacco di tempo, non è un caso che per primo ne abbia scritto uno
psicologo in un romanzo che ha immaginato un sistema di e-learning.
Sistema adattivo  Pask ispirata all’idea del gioco. sistemi meccanici.
Nel 60 si ha il primo sistema elettronico.
Si arriva al millennio con i protocolli e le piattaforme e nel 2001 nasce la piattaforma MOODLE che
ancora oggi usiamo all’università. Con un protocollo di monitoraggio per vedere cosa succede nei
compiti che gli studenti fanno e segna un enorme passo avanti, forse il più grande fatto. Prima di
SCORM e MOODLE c’erano solo aziende private che ognuna faceva il suo sistema privato che
vendevano. Ora la situazione cambia. SCORM è un modello di riferimento per condividere
contenuti didattici ed informativi e MOODLE invece fa la prima piattaforma aperta (in realtà la
prima fu quella di Zurigo ma MOODLE ebbe più, successo). Il progetto di grande fortuna di un
australiano. Più grande community di persone oggi che ci lavora e si dedicano.

Cosa è MOODLE?
È un Learning Management System ovvero un LMS. Sistema per i processi di didattica e
apprendimento.
È un sistema della gestione dei materiali didattici, di quello che si mette dentro, corsi e unità
didattiche. Così come anche compiti e quiz. Si hanno anche le cose che riguardano la gestione della

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segreteria quindi l’amministrazione dei corsi e anche poi quello che serve per dare le carriere alle
segreterie come iscrizioni di studenti.
Si hanno molti dati. Parte essenziale di questi sistemi è la capacità di tracciare. La valutazione è
attribuire un giudizio che la macchina però non fa. Si vuole tracciare e valutare l’andamento dei
compiti che gli studenti fanno. Sulla piattaforma si fanno compiti.
Quindi è un sistema per la gestione dei materiali didattici e dei processi (apprendimento e
amministrazione). Amministrazione di corsi, del personale docente e delle iscrizioni degli studenti.
È parte essenziale di questi sistemi la capacità di tracciare e “valutare” l’andamento del lavoro
degli studenti, a beneficio innanzitutto del docente, e non troppo secondariamente del personale
tecnico amministrativo delle segreterie.

Moodle nasce nel 2001, diventa uno standard e si impone grazie alla forza della sua community. È
un acronimo che significa MODULAR OBJECT ORIENTED DYNAMIC LEARNING ENVIRONMENT.
È ispirato al COSTRUZIONISMO  idea del fare. Principio pedagogico. Ostruzionismo sociale, una
teoria che estende l’approccio costruttivista per includere l’idea che ogni apprendimento sia
facilitato dalla concreta realizzazione dei soggetti.
Ci sono anche altri LMS come ISPRING o SAKAI che è gratis. Anche Black board che è tipo social e
anche CANVAS.

Cosa fanno gli LMS?


- Riprodurre il contesto di apprendimento tradizionale/formale. Lo usano gli istituti o
università per necessità di riprodurre un contesto di apprendimento. Quindi in questo
finisce però che ci porta dentro nella nuova dimensione digitale tutta l’esperienza delle
aule. Non è detto che questo funzioni.
- Integrare l’innovazione tecnologica. Nel digitale abbiamo una cosa come forum e chat che
nelle aule non ci sono.

Limitazioni
Vengono fuori dei problemi. Si arriva ad un punto in cui e-learning e LMS fa un tutt’uno quindi per
fare e-learning si fa LMS. Quindi sovrapposizione tra e-learning e piattaforma di apprendimento
formale. Con il passare del tempo si vedrà che non è così perché LMS è uno dei tanti strumenti ma
non l’unico.8 l’idea di e-learning e il bisogno che questo avvenga in una piattaforma si stabilisce
come una centralità assoluta della piattaforma del contesto e-learning e ha provocato dei
problemi.
- One size fits all?  è possibile una misura che vada bene per tutto? In base agli
apprendenti che questa esigenza di formazione formale rende gli LMS molto spostati dal
punto di vista dell’apprendente e degli istituti
- Institution centric

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- Spinta dei MOOC. Sono dei LMS. Sono dei software, delle macchine però per fare quel tipo
di corso non importava avere un sistema complesso. Questo ha cambiato molto le regole
del gioco.
- Esperienza di apprendimento (Xapi). Si supera il concetto di compito. si va oltre, c’è il
bisogno di includere parecchie cose. Sono nate nuove soluzioni e nuovi scenari.
- Nuovi scenari (es. NGDLE).

One size fits all?  Prima la piattaforma era molto brutta. È possibile che io dentro una
piattaforma abbia un wiki, un sistema di storage, una gestione dei gruppi, una chat, un sistema di
blog o forum. Che siano ognuno il meglio del meglio di quello che io trovo in rete. La rete è un
luogo liquido di pluralità che ha fatto la fortuna di tante startup.
Se io voglio un sistema di storage posso usare Dropbox o google drive.
Se voglio un sistema di messagistica userò dei software in rete e non quella presente nella
piattaforma. Nella rete si hanno cose interessanti.
Moodle ha delle limitazioni infatti molti docenti per evitare problemi usano o google docs o altri
software per lasciare fotocopie o compiti.

Institutionc centric  la user experience finisce sotto tutto e gli studenti studiano altrove perché
in rete trovano apprendimenti più soddisfacenti, anche tramite social.

La spinta dei MOOC  i MOOC hanno dato una potente spallata a quel sistema perché hanno
fatto una operazione molto furba. Il MOOC è un corso online, magari non di lingua ma di altre
materie. Si va su piattaforme gratuitamente, si accede ai corsi e si ha questo tipo di didattica qui. I
mooc sono sia per le lingue che per le discipline, anche se in origine nascono per le discipline.
La problematica del sistema strapotente di MOODLE viene ridotta drasticamente. Nelle
infrastrutture necessarie in cui la complessità si riduce tutto nella user experience. Il carattere
massimo di questi corsi mooc provoca dei cambiamenti. Se in classe ho un numero vasto di
studenti viene meno la possibilità di concepire un gruppo classe e che loro possano gestire il tutto
in una determinata maniera. Quindi diciamo che si spinge molto verso l’autoapprendimento e
viene comunque messa in discussione la figura del docente tutor e del gruppo classe. Le cose
vengono messe tutte in discussione.

- Quindi per quanto riguarda la complessità e l’usabilità (LMS) si ha una semplificazione Ux.
- Si ha un carattere massivo  gruppo classe, docente/tutor, autoapprendimento.

Caratteristiche strutturali
- Aperto

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- Partecipativo
- Distribuito spazialmente e non centralizzato e asincrono
- Permanentemente interconnesso (lifelong networked)

Nel 2008 nasce. Il corso si basava su 4 punti. Conoscenza cognitiva. Corso aperto a tutti. A parte un
piccolo gruppo di parlanti il corso era aperto e sempre connesso. 4 caratteristiche che costituivano
strutturalmente un MOOC.

Esperienza di apprendimento
Oltre al compito si ha:
- Apprendimento esperienziale
- Apprendimento situato
Passo avanti sulla democratizzazione del sapere. Alfabetizzazione e processi molto vasti per tutti.
Oltre questo di base non si va però.
L’idea di esperienza di apprendimento chiama in causa un qualcosa che difficilmente si lascia
inscrivere nella logica di valutazione del compito. Se noi pensiamo però che quando abbiamo che
fare con una progettazione a compiti è chiaro che la valutazione di una attività progettata a
compiti non è valutabile come quella per obiettivi perché ovviamente c’è un problema di
misurazione ancor prima che di valutazione. La valutazione di un compito non è valutabile in
maniera sbrigativa.

Come si opera in contesti di apprendimenti informali e non strutturati, quindi fuori dai contesti
formali?
Parliamo di apprendimento linguistico che ha una sua peculiarità. Lingua intesa non solo come
conoscenze dichiarative ma ha una competenza procedurale, saper parlare e esprimere
competenza linguistica. Tutta la parte pragmatica e il saper fare e produrre e lingua non si inscrive
necessariamente in un contesto di apprendimento informale.
Sta di fatto che l’apprendimento linguistico trova una sua fortuna e una sua applicabilità in tutti
questi contesti.

CONTESTI DI APPRENDIMENTO NON STRUTTURATI


- Iniziative web based non su LMS
- Social learning, non solo sui social però
- Mobile learning, app sul telefono
REQUISITI DI UN SISTEMA DI VALUTAZIONE
- Aperto e flessibile

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- “Agnostico”
- Comportamento degli studenti
Come tracciare e valutare queste attività? Sistema indipendente dalla piattaforma LMS e da
qualunque altor tipo di infrastruttura tecnologica, quindi agnostica per misurare il comportamento
degli studenti.

EXPERIENCE API (xAPI)


BASATA SU ENUNCIATI (STATEMENT): ACTOR + VERB + OBJECT:
- Marco ha messo mi piace..
- Anna ha condiviso un documento..
- Silvia ha frequentato il corso di fotografia..
PREVEDE ELEMENTI “CIRCOSTANZIALI: CONTEXT, RESULT, TIMESTAMP, ECC
VALORIZZA L’ELEMENTO VERB TRAMITE UN VOCABOLARIO CONTROLLATO:
- Attempted: lo studente ha scelto una attività
- Accessed: ha iniziato a farla
- Answered: ha risposto alle domande previste
- Completed: l’ha completata
- Passed: l’ha superata con successo
- Mastered: fino al grado più in alto

Librerie o API. È stata inventata una sintassi (Xapi). Riconosciamo un attore un verbo e un oggetto.
“Marco ha messo mi piace”.
xAPI  protocollo, specifica, “sintassi”.
Creando un vocabolario controllato per i verbi sin arriva ad avere attempetd, accessed ecc.
Quando io ho un tipo di software autore che si aggiornano io posso avere il modo di costruire il
mio cloze che spara enunciati così fatti. Quindi quando si entra nella mia unità didattica e si fanno
delle cose si traduce un certo numero di enunciati che si possono scambiare. Possono essere
producibili su Moodle o canvas o ecc. sono indipendenti dalla piattaforma. Questi enunciati sono
descrittivi delle attività didattiche e indipendenti dalla piattaforma che li ha prodotti perché la
forma standard è proprio l’enunciato.

Vantaggi di API
- Non richiede un LMS. I dati sono immagazzinati in un LRS (una applicazione a sé stante) che
può costruire un’applicazione a sé, utilizzabile anche come servizio web
- L’apprendente può elaborare i suoi contenuti mediante una app o un computer e inviarli
all’LRS quando abbia una connessione attiva

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- I percorsi formativi non sono più LMS centrici: app, siti web, social network, attività offline
(cd. Ansite) ecc. divengono activity provider verso l’LRS.
- Supporta tecnologie emergenti come la realtà aumentata e in generale le tecnologie
innovative legate all’apprendimento informale
- Il tracciamento completo e sovrabbondante delle attività dello studente permette di
riportare non solo i risultati ma anche i dettagli del processo di apprendimento.

Cosa è un LRS?
Learning record store. Sono gli enunciate in pratica.
- Learning  apprendimento e didattica
- Record  tracce registrate, dati (sulle attività di apprendimento svolte)
- Store  magazzino cioè database
È quindi un database che raccoglie i dati relativi alle esperienze di apprendimento e ne permette
l’estrazione mediante interrogazioni (query) amichevoli (user friendly) così da avere report anche
in forma visiva (mediante grafici) sulle attività svolte.
In forma di enunciato proposizionale descrivono esperienze di apprendimento.

Oltre gli LMS cosa abbiamo? Nasce l’idea di un ecosistema. Noi abbiamo al centro un Learning
record store e l’ecosistema è composto da strumenti sociali, interattivi, di generazione dei corsi,
forum di discussione e piattaforma di blogging ecc.

Ecosistema di apprendimento
Un learning record store prende tutti I dati. Noi come università usiamo Moodle. Ma anche in
forma non formale potremmo avere degli open badge. Non riguarda le CFU ma è un ambito. Uno
che ha studiato 200 ore e si vede ciò nel blog, io posso tesaurizzare il lavoro fatto.
OPEN BADGE e apprendimento non formale  forme di apprendimento non formale come
presentare un attestato che potrebbe addirittura essere contabilizzato.
Tutti i dati vanno a finire nell’LRS che ha un pannello di controllo dove si hanno i report, le
intelligenze analitiche e eventualmente si hanno anche gli open badge. Quindi si configura un
nuovo ecosistema decentrato. Gli LRS non sono il centro perché danno luogo piuttosto a delle
costellazioni e si collegano anche tra di loro e si scambiano dati.
Per cui non c’è un LRS che prevale sugli altri ma dialoga con un altro LRS. Quindi la centralità non
c’è. Un LRS non diventa il centro di tutto.

SANDBOX
Quindi tutti questi strumenti noi li abbiamo miniaturizzati in un piccolo blog fatto con word press.
Ci sono delle estensioni e plug in per avere un sistema che raccogliesse dati, forum ecc. Quindi
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dentro un blog si è messo un po’ di LRS. Si ha anche un plug in che può fungere da LRS ma c’è il
problema di come analizzare quei dati, se farlo a mano o meno.
Abbiamo il generatore di attività didattiche. È un sistema che non è fatto né sui percorsi né sulle
attività didattiche. È un po’ una via di mezzo. Ci sono le risorse catalogate per abilità e livelli, però
ci sono anche i percorsi che sono unità in successione. Sono micro percorsi e ogni risorsa è una
unità didattica generale. Ha una forma molto familiare e ha le caratteristiche del Mooc.
Che caratteristiche ha?
CARATTERISTICHE PROGETTUALI
- APERTO E NON RISERVATO ALLA DIMENSIONE FORMALE E ISTITUZIONALE DEI PROCESSI DI
APPRENDIMENTO E INSEGNAMENTO
- PARTECIPATIVO E NON DOCIMOCENTRICO: CENTRATO SULLE INTERAZIONI IN UNA SOCIAL
COMMUNITY
- DISTRIBUITO, NON CENTRALIZZATO: RISPETTA L’ESIGENZA DI LIBERTA’ DA VINCOLI DI
LUOGO E TEMPO (ASINCRONO)
- SEMPRE CONNESSO: SUPPORTA UN APPROCCIO DI RETE AL LIFELONG LEARNING
- BASATO SULL’AUTO APPRENDIMENTO E SULL’AUTOVALUTAZIONE.
È un corso non massivo ma indefinito. Non si può fare per 5000 persone. Lo distingue dal Mooc
per questo. Elemento correttivo rispetto al Mooc ma per il resto è uguale al mooc.
Partecipativo e non docimocentrico  non basato sul docente ma sulle interazioni della
community.
La libertà del tempo nei Mooc. Posso beneficiare con l’asincrono. Il mooc mi tiene inchiodato un
quarto d’ora per vedere un video. Asincrono significa che io devo essere liberato dai vincoli di
tempo e di spazio. Diverso è quello che si fa con le attività didattiche  media aumentati e
arricchiti.

CARATTERISTICHE TENCICHE DELL’AMBIENTE


- Flessibile, integrabile e modificabile in base a necessità emergenti
- Orientato all’user experience e alla web usability
- Dotato di una consistente quantità di contenuti interattivi
- In grado di monitorare il lavoro dei progressi degli apprendenti

L’OPENNES
Noi parliamo di apertura in due sensi:
- Apertura strutturale  possibilità di implementare soluzioni diverse (swap out individual
components)
- Apertura al pubblico  libertà di vincolare l’accesso (in tutto o in parte) all’autenticazione
(login)

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Noi possiamo vincolare o meno l’accesso in sandbox mettendo una password o meno. In una LMS
di solito senza password non entri o puoi entrare come ospite ma senza fare attività ma solo
guardare. C’è questo spazio di possibilità che però se si vuole si può chiudere.
L’apertura più importante + quella strutturale. Se in Moodle c’è la chat che è brutta si deve tenere.
Se il nostro sistema di discussioni è fatto stile Facebook noi possiamo toglierlo e metterne un altor
con una aperturra strutturale. Quindi prendere e cambiare dei pezzi. Bisogna però sapere scrivere
codici ecc.

Si hanno caratteristiche fisse che non posso cambiare io riesco a rimuoverlo dal mio ecosistema a
seconda delle esigenze e cambiarlo con un altro. Ovviamente a patto che si sappia fare.

Critiche
Molte critiche negli anni agli LMS.
Nel nuovo ecosistema LMS c’è ma è decentrato. Se pensiamo ad una centralità assoluta è come se
pensassimo alla monarchia assoluta oggi, ovvero non è possibile. Continua ad esistere LMS ma
decentrato.
Le critiche le facevano già nel 2005:

Stephen Downes, E-learning 2.0 (2005)  CRITICA.

Un LMS è:
- Un tipo di software pressoché ubiquo nell’ambiente dell’apprendimento
- Utilizzato da insegnanti e studenti nel quale un corso è diviso in moduli e lezioni, è
supportato da quiz test e discussioni
Tuttavia se questa è la modalità con cui si utilizzano questi software e si organizzano i corsi
- Dove siamo oggi e dove eravamo prima dell’inizio dell’e-learning?

Prendere la didattica dell’aula e riversala online. Online avrò sia la classe che spiegazioni e test.
Ricreo pari pari l’apprendimento in aula online. Mostra ovviamente delle differenze dall’ambiente
da cui si viene.

Giovanni Bonaiuti, E-learning 2.0 (2006) è sulla stessa linea la sua critica.
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- Lunga serie di fallimenti legati al tentativo di spostare in rete attività precedentemente e
tipicamente residenziali
- Mentre in rete con forte dinamismo si sviluppano nuove soluzioni e modalità operative
sempre più all’insegna del pluralismo dello scambio e dell’interazione tra pari
- Nell’e-learning si è assistito ad un fenomeno inverso, ovvero alla creazione di recinti
tecnologici all’interno dei quali riproporre e applicare metodi di insegnamento del tutto
tradizionali
- I metodi di insegnamento sembravano non tener conto della natura e della specificità della
rete

Molti contenuti venivano progettati e implementati e quindi non si comprende lo specifico della
natura dei processi formativi.

La rete
Bonaiuti (2006):
“la gran parte delle proposte metodologiche si è di fatto limitata a riprodurre in rete dinamiche
pensate per l’aula MA la rete è uno spazio antropologico e le regole che decretano il successo o il
fallimento di un progetto sono molto prossime a quelle che rendono desiderabile o abitabile un
territorio fisico.”.
La conclusione è che la rete rimane come uno spazio antropologico e le regole che decretano il
successo di una iniziativa e la convivenza tra persone.

Oltre la pars destruens


Dal web 2.0 all’e-learning 2.0
- Perdita di centralità
Conseguenze:
- Importanza dei sistemi di monitoraggio (ex. LRS)
- Ecosistemi di apprendimento

Chi perde centralità? Perdono centralità i dispositivi. Perde centralità la piattaforma. Non è più il
computer, lo diventa il web nel web 2.0. la piattaforma di venta il web e non più il computer. È
questa alla fine e in poche parole la sostanza della questione. Diventano importanti secondo molti
punti di vista i sistemi di monitoraggio e da un unto di vista più, accademico la quesitone degli
ecosistemi di apprendimento. Il sistema di monitoraggio e di valutazione sono importanti ma
mentre classicamente il problema del testing è misurare e attribuire un giudizio al misurato, qui
abbiamo però quantità di dati così consistenti che quasi quasi il giudizio i dati ce lo impongono.

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Sfide
Nuova centralità del docente:
- Il docente diventa un tutor esperto. Non è quello che guida ma quello che ti accompagna e
ti sta dietro. Ti guida da dietro e non ti trascina da davanti. Non ha la funzione di guida ma
è un tutor che ti sostiene e lo fa in virtù di essere esperto ovvero ha esperienza. È quasi un
mentore nella didattica esperienziale. Condivide la sua esperienza. È un facilitatore che
mette a disposizione la sua esperienza senza essere l’esempio o il canonico.
- Progettista e artigiano perché il docente deve progettare. Le risorse diventano interessanti
perché per svilupparle richiedono “pratica artigianale”. Diventa importante il non fare le
risorse ma acquisire le pratiche per la realizzazione.
- Valutatore.

25/11/2020
Siamo nella questione dell’e-learning. Se volessimo usare una parola d’ordine che ha caratterizzato
l’intero nostro percorso di didattica 2 potremmo usare “cambiamento”. Lo abbiamo visto rispetto
alla questione dei pubblici, anzi purtroppo lo dobbiamo dire anche in considerazione alla
situazione pandemica. Abbiamo detto che noi riteniamo che questo comporterà uno
stravolgimento nella didattica delle lingue e di italiano. È giusto sospendere però il giudizio sui
cambiamenti che avverranno in futuro ma dobbiamo tener presente che almeno per i prossimi 4-5
anni non possiamo far finta che tutto andrà come prima.
Le compagnie aeree che sono il vettore col quale la gente si sposta hanno stabilito che il rientro
alla normalità previsto per il 2021 è stato posticipato per il 2023. La quota dei passeggeri pre-covid
si avrà nel 2023. È un indicatore importante perché segnala la possibilità alle persone di muoversi
e di andare nei paesi per apprendere le lingue.
Quindi cambiamento dei pubblici sia per la pandemia sia per la questione che abbiamo visto.
Abbiamo usato il termine “il capitolo non scritto sul manuale” riguardo i pubblici. Manuale carente
su una parte carente oggi. Descrive bene la situazione di 5 anni fa ma non ha colto i cambiamenti
in atto. Anche prima della pandemia ci sono stati cambiamenti.
Poi cambiamenti anche dal punto di vista dell’italiano: lingua in cambiamento. Anche qui, su
questo abbiamo detto diverse cose.
E cambiamenti anche dal punto di vista della didattica di italiano. Cambiamenti anche per la
questione legata all’e-learning. Qui si ha proprio l’epicentro del cambiamento. Noi lì dentro, nella
questione e-learning, facciamo confluire tutte le forze del cambiamento. Lì si ha il cambiamento
dei pubblici con nuove esigenze e bisogni e visioni, il cambiamento dei mezzi e delle tecniche, il
cambiamento delle tecnologie e il cambiamento della visione stessa di testo per la didattica.
Noi siamo abituati a concepire le lingue su testi fondamentalmente o cartacei o audio-video.
Tipologie differenti. Oggi abbiamo una visione di testo fluida dentro la quale confluiscono
contemporaneamente molte cose. Non si capisce se è solo un testo scritto o audio. Sui social la
testualità è molto ibrida. I confini tra scritto e parlato sono saltati. Anche la visione di un film in

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lingua originale con sottotitoli, io cosa esercito? Lo scritto o il parlato? Tutte cose impensabili
anche solo 10 anni fa.
Seguendo questo filo rosso del cambiamento abbiamo anche parlato dei nuovi ambienti per
apprendere le lingue. Quindi anche lì è chiaro che se parliamo di ambienti di apprendimento
risponderemmo tutti all’esame con “l’aula”. In realtà si ha anche l’online e anche nuovi ambienti
dentro l’e-learning.
Dagli ambienti classici online ai nuovi ambienti di apprendimento online e e-learning. Quindi nella
lettura e nello studio di questa disciplina ci dobbiamo attrezzare mentalmente a seguire l’onda.
Andare a vedere cosa c’è dietro l’angolo e non fermarci semplicemente allo studio dell’italiano
solo in aula o online.

Detto questo come preambolo ora si mostrerà qualcosa.

Didattica dell’italiano online: esempi di buone pratiche e alcune criticità


Tutto ciò che c’è di buono sull’e-learning lo diamo per assunto: modalità di lavorare in modalità
sincrona e non avere vincoli di tempo o di spazio o anche il risparmio economico e di energie.
Tutte le cose ovvie e buone dell’e-learning le diamo per scontate. Ora mettiamo in evidenza alcune
criticità. Siamo in un momento critico perché a causa del covid oramai viviamo tramite le lezioni
online.

Distinzione e parcellizzazione
Quando parliamo di diatetica online parliamo di un sacco di cose. I fenomeni che vediamo attuarsi
adesso sono quelle di distinzione e parcellizzazione. Quando si parla di e-learning si parla di un e-
learning non sempre ancillare alla didattica in presenza. L’ottica di dire uno è peggio dell’altro non
ha senso. Si parla di una sbagliata domanda di ricerca. Il focus deve essere diverso. Non si può
comparare l’online alla presenza.
La didattica online ha una sua validità intrinseca. L’e-learning è molte cose coesistenti. Andiamo da
un uso delle tecnologie da supporto della didattica di presenza ad una serie di esperienze che si
rivolgono totalmente alla didattica online. Già all’interno di queste esperienze totalmente online
però si ritrovano proposte diverse.
Abbiamo parlato di ambienti LMS e POST LMS. Noi abbiamo ambienti post LMS in cui gli studenti
fanno pratica e poi abbiamo anche dei corsi su piattaforma con delle classi e con dei compiti da
portare a termini realizzati su LMS. Non si escludono reciprocamente, non c’è una cosa che
strutturalmente è superiore rispetto all’altra. Ci saranno studenti che si rivolgono ad una proposta
e altri che si rivolgono ad un’altra. I due ambienti e le due proposte formative richiedono
metodologie e approcci e ruoli del docente molto diversi.
LMS  moodle. Ambiente chiuso ad accesso limitato con delle certe caratteristiche. L’esempio più
aderente è quello di moodle. Ambiente che consente di fare una proposta sociale e tracciare tutto

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ciò che fa lo studente, avere valutazioni puntuali. Ambiente che in qualche modo richiama una
didattica d’aula, nel senso che c’è una classe, un gruppo di studenti che lavora assieme
(nonostante siano asincroni), studenti divisi per livelli così come anche i contenuti, limiti di tempo
ecc.
DISTINZIONE  superamento della posizione ancillare dell’ottica comparativa con la didattica in
presenza (wrong research question)
PARCELLIZZAZIONE  moltiplicazione ed eterogeneità delle proposte online.

Vediamo degli esempi su e-learning  attività CLIO. Una caratteristica della didattica italiano
online è che in realtà noi come docenti proponiamo un percorso, suggeriamo un percorso, lo
posiamo vincolare relativamente. È vero che possiamo aprire e rendere accessibile dei contenuti e
non altri però una differenza con la didattica in presenza è che qui lo studente è più libero di agire
come vuole. Se abbiamo un testo e una attività grammaticale non è detto che lo studente si rivolga
al testo prima e alla grammatica poi o si rivolga ad entrambe le risorse ecc. Aspetti che non siamo
in grado di controllare così come succede in classe.
Si è fatto accenno ai diversi sistemi di valutazione e progettazione. Noi siamo abituati ad una
progettazione per compiti. Non si propongono attività focalizzate su un aspetto linguistico o
comunicativo, ma proponiamo la realizzazione di un compito che metta in campo le competenze
linguistiche e non degli studenti che svolgeranno questo compito. Online queste cose sono
diverse. Studenti che non si vedono e non si conoscono e lavorano in maniera asincrona. Quindi il
task, il compito si concretizza nella realizzazione di un testo scritto, scritto secondo un compito o
una istruzione data. Per esempio si può dare il compito di descrivere un’opera d’arte, magari in
forma collaborativa e non da soli. Si può usare google docs per la scrittura collaborativa.
Questo compito durerà per tutto il corso dell’unità. Accanto a questo compito si svolge l’attività
vera e propria con tutti gli esercizi e le spiegazioni a cui abbiamo pensato. Attività di comprensione
e analisi grammaticale o lessicale o culturale.
Il modello operativo riprende comunque l’unità didattica centrata sul testo di Vedovelli che vede il
testo come il focus a partire da cui si hanno tutte le attività di approfondimento. In ogni unità noi
presentiamo tre testi diversi che possono essere scritti, audio visivi, solo orali, monologhi ecc.,
quindi vari tipi di testi. E il testo viene considerato il punto di partenza di tutte le attività di
approfondimento ed analisi.
La maggior parte delle attività in online sono in autocorrezione. Forte autonomia dello studente.
Attività che può svolgere più volte con feedback automatico. Accanto a queste attività poi se ne
hanno alcune in cui è necessario il tutor, si chiamano attività aperte come la scrittura di un testo
scritto che non potrà essere corretto automaticamente dal computer ma richiede il tutor.
Poi si propongono attività sul testo.
Moodle come LMS è un ambiente chiuso, ambiente in cui ho questa possibilità di realizzare le
attività, funziona molto bene per quanto riguarda il tracciamento. È molto analitica. Io posso
sapere quante volte uno studente ha fatto gli esercizi, in quanto tempo e con quali risultati ma è

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un ambiente chiuso  questa modalità è così e così rimane. Mentre in rete si hanno strumenti per
rendere diverse queste attività, per renderla attrattiva e più funzionale. Gestibile con video
arricchiti per esempio. Il vantaggio di un ambiente aperto è quello di avere una mole di strumenti
sempre in aggiornamento, cosa che invece negli ambienti chiusi come moodle non consente.
Possiamo vedere i punteggi delle attività ecc. Questo serve tantissimo per la valutazione che non è
solo un processo che mi dà un punteggio, ma è un processo che mi serve molto come docente per
vedere dove sono i possibili problemi o le cose non capite.
Ambienti aperti e chiusi  è come andare in un negozio monomarca oppure andare a comprare
le scarpe in un negozio, i pantaloni in un altro e così via (prendere il meglio di, in giro). Non sempre
un ambiente chiuso agevola le opzioni. Sono situazioni in cui non si può essere soddisfatti. Moodle
dà solo “un tipo di scarpa” mentre un ambiente aperto ci dà la scelta. Per avere quindi più scelta
devo uscire dall’ambiente.
I corsi su moodle presentano testi di varia tipologia, orali scritti ed audiovisivi e sul testo vengono
realizzate attività di vario tipo, molte sono in autocorrezione e alcune richiedono intervento del
docente per essere corrette e altre sono in forma collaborativa.
Dati per assunti tutti i vantaggi e-learning vediamo adesso alcune criticità  noi insistiamo molto
sulla validità della interazione online. Le attività funzionano se si ha collaborazione? Dato
trasversale nell’e-learning. I master per esempio si fanno un po’ online e un po’m in presenza, e
anche online si ha collaborazione.
Quello che succede in realtà per quanto riguarda l’interazione online è che nel corso, che seppur
ha un gradimento alto, in cui gli studenti entrano spesso e svolgono le attività, nello strumento di
comunicazione principale che è il forum di moodle (asincrono) in realtà la partecipazione è medio
bassa. Dipende da molti fattori e dagli studenti. Dipende dal profilo che hanno ma
tendenzialmente possiamo dire che è vero che è importante insistere sulla interazione ma
dobbiamo fare i conti su una tendenza innegabile di autoapprendimento dello studente che si
rivolge al corso online.
Quindi sui corsi online concludiamo così: sì pensare ad attività di interazione che sono importanti
però pensare anche che c’è una tendenza all’autoapprendimento. Quindi non proporre
forzatamente esclusivamente attività di interazione a tutti i costi. Prima si spingeva molto
sull’interazione quando in realtà ogni studente lavorava bene in maniera autonoma. Adesso questi
errori metodologici grossolani non si fanno più perché si tiene presente che bisogna prevedere
delle attività interattive ma anche attività in cui gli studenti lavorano bene in maniera autonoma e
non forzare sulla interazione. Una delle più grandi sfide dell’online  nessuno mette in dubbio il
fatto che interagire e apprendere insieme sia una forma di apprendimento con grandi potenzialità
e di grande utilità ma dobbiamo tener presente che questa cosa nella didattica della lingua è
tutt’altro che scontata. Invece funziona bene e più facilmente in altre attività formative e non di
lingua quindi. Nella formazione glottodidattica per esempio funziona benissimo la interazione tra
studenti. Nela didattica della lingua per una serie di aspetti queste cose sono molto meno scontate
quindi la sfida per il docente è trovare la strada per fare interagire il più possibile gli studenti
tenendo conto della tendenza innegabile dell’autoapprendimento.

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In un corso di lingua è frequentissimo che ci siano studenti di paesi diversi con fusi orari diversi
dunque tutta la comunicazione diventa in forma asincrona. Questa cosa nella didattica delle lingue
ha delle criticità. Se io faccio una domanda per superare una difficoltà e una impasse su una
comprensione del testo io mi aspetterei una risposta immediata. Se questa invece avviene dopo
qualche ora o un giorno, questo mi scoraggia nel farla.
Resistenza degli studenti ad interagire e rispondere quasi sempre. Se ci facciamo caso ogni volta
che ci chiedono qualcosa noi tendiamo a non rispondere. I modelli operativi contemporanei
prevedono la partecipazione attiva degli studenti e quindi per realizzare questa didattica bisogna
essere in due (da una parte io docente deve cedere giurisprudenza agli studenti e dall’altra gli
studenti si devono fare carico sdì spazi della didattica). Concezione che in classe si sta zitti e si
ascolta e l’insegnante che è pagato per parlare deve fare solo quello, in realtà non è così.

L’interazione nei corsi di lingua online


- Tendenza a forme di autoapprendimento
- Modesta partecipazione su forum
- Comunicazione uno a uno (studente-tutor)

Vediamo adesso il MOOC  linea di congiunzione tra didattica chiusa ed aperta. Su una
piattaforma che si chiama futurelearn si ha un corso. Mentre moodle non fa a tenere centinaia di
studenti in un corso, questo sito lo può fare. Questo stravolge completamente l’interazione,
l’impianto è quello di dividere sempre in settimane. Non si parla di unità didattiche ma di week.
Futurelearn chiede di cadenzare il corso in settimane. Dentro la settimana si replica il modello
della unità didattica che si trova in CLIO.
Si ha introduzione, video e testi, la focus communication, un focus su lessico e grammatica, poi si
ha la parte pragmatica ovvero la cultura italiana ed infine si hanno nuove clip e nuovi video. È tutto
ricorsivo. CLIO trasferito quindi su MOOC.

Ambiente aperto non vuol dire sparpagliato, ma vuol dire ambiente sempre dentro la schermata
del computer che però attinge a risorse provenienti non più da moodle ma dalla rete.

Quando si parla del concetto di openess si sollevano due punti:


- Un openess dal punto di vista strutturale (apertura riferita ad un sistema che consente una
intercambiabilità di strumenti al suo interno, sistema di quiz di moodle per esempio). La
difficoltà dei LMS è quello che io mi tengo quello che ho già. Nella realtà però non è così
brutale. In MOODLE si possono usare anche strumenti di estensioni per fare quiz con
strumenti più evoluti. Però tutto il sistema di valutazione, monitoraggio e tracciamento
danno conto di attività che si fanno con quegli strumenti. Vuol dire che se io dentro moodle
non sono contento degli strumenti a disposizione e ne trovo altri più carini glieli posso

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metter. Quindi moodle ha uno spiraglio di apertura ma poi il rischio è quello di non poter
contare del suo insieme (sistema di tracciamento o monitoraggio).

Oggi moodle si è molto evoluto. Moodle avrà una rivoluzione copernicana dal punto di
vista di possibilità di fare attività didattiche significative ed interessanti. Quindi è un tipo di
apertura strutturale che una LMS sta iniziando a contemplare. Per apertura si intende
questo tipo di apertura.

- Poi si ha apertura di sistema chiuso e aperto con una password da usare per entrare.
Mentre una LMS per motivi istituzionali deve essere necessariamente chiusa perché una
università ha dei “cancelli” e non tutti possono entrare, quindi sistema didattica digitale
chiuso. Un sistema tipo sandbox è per vocazione sperimentale per tanti motivi è di sua
naturalità aperta. Questo non vuol dire che io possa prenderlo e chiuderlo. Siccome è
possibile rendere un sistema non LMS chiuso dal punto di vista dell’accesso questa
chiusura perde di significato. Non è questa la apertura e chiusura che ci interessa ma è
quella strutturale  rendere il sistema modificabile e accessibile nel senso di risorse in cui
si può modificare e rendere più plastico. Questo per andare incontro alle esigenze dei
docenti. Estensioni per ampliare i quiz per esempio. Se il sistema fosse chiuso
strutturalmente non si potrebbe fare. Quindi l’apertura in senso significativo è questa.

Quale è il problema che porta gli LMS ad un destino di decentramento rispetto al ruolo centrale di
e-learning? A mano a mano che per tenere dietro alle mutate condizioni, alla spinta dei mooc,
all’avanzamento dei mobile, gli LMS si devono rendere più flessibili e malleabili. Ci riescono ma
riuscendoci si snaturano. Quando moodle ha la possibilità di integrare il sistema H5P riesce a
monitorare meglio ma dimostra che si colloca a margine.
Tra un social in cui si fa didattica, un mobile con duolingo ed altre risorse disponibili, ovviamente la
piattaforma LMS ha un ruolo di primo piano perché tecnologicamente ha una sua presenza
poderosa. Soluzione all’interno dell’e-learning. Non è una cosa campata in aria. C’è un grande
studio dietro.
Nelle LMS ti tieni quello che c’è perché non lo puoi cambiare mentre i sistemi multi integrati si può
cambiare ciò che non mi piace, sostituzione di piccole parti. Nelle LMS questo è più difficile da
realizzare ma pian piano gli LMS si stanno attrezzando in questa direzione e riescono a farlo.

Tre modelli
- LMS
- MOOC
- SANDBOX

Ambiente sandbox  sito in divenire. Le singole risorse possono essere proposte in maniera
strutturata. Io posso cercare una risorsa per competenze. L’utente che entra in questo spazio h
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auna esperienza comune di navigazione. Non ha la sensazione di entrare in un recinto didattico o
tecnologico. Ci sono attività match the words per esempio. Vengo proposti testi orali e attività di
verifica. I contenuti H5P hanno una struttura ricorsiva e unque ricorrente. Io posso arricchire
sempre di più i contenuti ed integrare. Posso mettere in un punto della timeline un esercizio di
comprensione per esempio per vedere che l’apprendente sta seguendo e ha capito.
Comporre materiali in vario modo con una discreta eleganza e mantenendo le attività in una
maniera HDML. Attività monitorabile non analitico come moodle.
Due sistemi di commenti: uno scritto e uno vocale dove si può fare una registrazione.
Registrazione ad uso della community.
Il discorso della community è particolare  non sono molto chiari i livelli di attenzione che gli
studenti impiegano nel seguire e partecipare dal punto di vista costruttivista. Centra con l’idea
dell’autoapprendimento che sembra prevalere e che i mooc hanno esageratamente esacerbato
insieme alle app di lingue.
Oggi i dati sul sandbox ci scoraggiano e deludono dal punto di vista di una reale partecipazione a
livello di community e fanno pensare ad un autoapprendimento puro. Con il tempo però e gli
strumenti si arriverà ad un’altra interazione. È solo questione di tempo.
Livello di partecipazione  debba essere preso in considerazione anche un dato sociale ovvero
tendenza al fare tutto da soli che appartiene al nostro vivere quotidiano. Quindi si è un po’ perso il
piacere di fare le cose insieme. Per esempio in metropolitana prima si passava tempo a
chiacchierare con il vicino e adesso invece tendiamo sempre a stare da soli a guardare magari il
nostro cellulare.

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