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INSEGNAMENTO

2 lezione
La scorsa volta Introduzione figura mediatore. Siamo arrivati al Mediatore in Europa e in Italia. È
dagli anni novanta che si è creata questa emergenza ed è per questo che stiamo assistenzialisti in
Italia, verso lo straniero. Quando c’è stata la necessità. I settori che hanno richiesto la figura del
mediatore, sono la sanità, la scuola, gli ambitit giuridici, le materie amministrative e l inserimento
nel mercato del lavoro, che qui spesso è un lavoro a nero. Sia in attesa dei documenti, quindi è
anche impossibile avere un contratto legale. L’importanza di progettare negli interventi sul lungo
periodo, quindi il mediatore cerca di prevenire. La Toscana è stata la prima regione in Italia a dare
una definizione del profilo professionale. La prima definizione è stata mediatore culturale e
linguistico per gli immigrati. Lap parola culturale viene anche prima del linguistico. Quindi era
legata a qualcuno che gia apparteneva a quella comunità (immigrato) che si era integrato nel paese
di accoglienza e quindi poteva diventare un portavoce. Era in grado di intervenire in situazioni
specifiche, perché soprattutto all’inizio quando si accoglie, non c’è la possibilita di esprimere i
èropri bisogni pecrche manca la competenza linguistica. Immigrati che hanno lingue non europee
avere un mediatore della stessa nazionalita ci assicura che ci sia questo scambio, legato anche alla
negoziazione. C’è bisogno di vedere di cosa hanno bisogno e di vedere i serviizi che offre il paese. Il
primo impatto è sempre legato agli operatori pubblici: gli insegnanti o gli impiegati non è detto che
siano preparati per poter comunicare con gli stranieri. Questa figura accompagna, attiva la
comunicazione e vede qual è l approccio migliore. Nel 2005 la definizione viene arricchita, diventa
più specifica, la regione Toscana effettua una revisione. Quindi il profilo viene cambiato in tecnico
qualifico e mediazione cultura e linguistica per immigrati. Ogni regione di solito organizza corsi per
formare mediatori. Le associazioni e agenzie. Spesso le associazioni si occupano di formare i
mediatori però ogni regione ha dei corsi specifici. La toscana è stata una delle prime a farsi queste
domande. La parola tecnico è perché si voleva sottolineare il ruolo di professionista, che svolge un
ruolo di intermediazione tra il cittadino extracomunitario e le strutture di prima accoglienza,
negozia le prestazioni, attiva la comunicazione, aiuta gli altri operatori a entrare in contatto con
l’immigrato. È la stessa funzione che si costiyuisce nelle scuole tra insegnanti e mediatori. Il
cocnetto è che l italia sta ancora sperimentando, ci sonomolti ambiti che andrebbero migliorati e
dove la mancanza di personale formato è la prima pecca, però durante gli anni con l esperienza e le
buone pratiche (provare a risolvere un problema) le cose che funzionano diventano buone
pratiche. Negli anni 90 soprattutto nei paesi del nord, Milano una delle prime esperienze è stata
quella in ambito sanitario. Anche quando arrivano con i barconi, immigrazioni importanti c’è
sempre un primo controlloo sanitario. I modelli di intervento si sviluppano in base all’esperienza, si
va sul campo si vede quello che può funzionare, e quello che va bene diventa un modello di
intervento ed è da qui che nascono le scuole per i mediatori. Questa elaborazione più teorica è
qualcosa che si è costruita sul campo. Adesso la terminologia mediatore linguistico e culturale è
quella più usata ma l’importante è vedere la parola culturale. Non si èuò insegnare una lingua se
non si passa anche dalla cultura. La comunicazione tra culture. MLC si rietiene più oppurtuno
utilizzare (mediazione linguistico culturale). Spesso il mediatore viene confuso con un traduttore.
Ma non è solo un laoro di superficie. La parte della mediazione culturale è che si cerca di tradurre
anche i sistemi culturali. Questa cosa si dice così perché c’è una cultura di base. La lingua è una
componente fondamentale ma non è sufficiente. Imparer ad essere aperti alle culture degli altri è
un modo per capire meglio anche la nostra cultura. Ci sono anche delle definizioni che troviamo sui
dizionari per vedere come se ne trovano di varie e pur dicendo la stessa cosa metto il focus su
apsetti diversi. Dalla parte più pulitica, nella seconda troviamo il focus sul conflitto anche
personale, il mediatore è come se fosse un agente neutro che cerca ditrovare accordi vantaggiosi
per entrambi le parti. Una terza definizione, la transizione tra una cultura all’altra non bisogna dire
questa sarà la tua nuova cultura, porta crisi identitarie. Si cerca di integrarsi magari copiando
alcune cose. Quindi non è passare da una cultura all’altra ma trovare una sintesi tra culture. Quindi
ci sono punti di similitudine, perché siamo tutti esseri umani, ma molte altre no. quindi vedere
punti di contatto e diffrenze ci aiuta ad andare anche oltre queste differenze. Trovare a volte dei
corrispettivi culturali, trovare qualcosa di molto simile in un'altra cultura aiuta a comprendere la
nostra. Ad esempio uno studioso cercava di far capire un corrispettivo americano della corrida. La
funzione priincipale del mediatore è quella di orientamento culturale, per favorire l’integrazione.
Se io sono consapevole che nella cultura di accoglienza funziona in un certo modo, cercerò di
rispettarla. Un mediatore può essere anche italiano, ma deve conoscere la realtà degli stranieri con
cui viene a contatto. Ci sono dei modelli che ci aiutano per fare questa conoscenza della cultura.
L’informazione è alla base, se non conosco la cultura mi viene difficile trovare i corrispettivi. Il
senso è instaurare un dialogo e il dialogo crea anche un rapporto di fiducia. Un mediatore deve
creare un rapporto di fiducia con lo straniero. Se manca la fiducia si interrompe anche la
comunicazione.
Un video tratto da Il padrino e comincia a ragionare sulla nostra migrazione, quando gli italiani
andavano in america. C’è un mediatore nel video? La prima persona che l’aiuta è il poliziotto.
Quando ci sono i controlli medici c’è l’infermiera italiana che traduce. Gestire il tempo di attesa
dell’immigrato, il mediatore cerca di far capire all’immigrato come funziona.
Nel 1924 viene istituito il Language Act. Si è deciso che l’immigrato doveva conoscere la lingua,
doveva saper scrivere. Perché la maggior parte delle persone che arrivava era completamente
analfabeta. Cosa che succede spesso ancora oggi, cioè gli immigrati che arrivano, molti sono
analfabeti. In America si cerca di mettere questo atto per fare una selezione. Siamo negli anni 20.
In questo atto bisognava almeno essere capaci di leggere 40 parole, almeno in una lingua. Gli
italiani, la maggior parte era analfabeta e quindi tra il 24 e il 26, un milione di italiani è dovuto
tornare in Italia per questo motivo, perché non si era capaci di leggere e scrivere. Libro consigliato
“Il mondo di italiano”.
- Tuttora nei CIPIA si danno i test della prefettura. Test di livello A2, perché è il livello richiesto
per avere il permesso di soggiorno. Il testo è principalmente ascolto, scrittura e lettura.
Prima si faceva una parte orale. Durante il covid è stata tolta. Ma soprattutto era previsto
un esame solo orale per quanto riguarda gli analfabeti. Hanno cambiato anche qui, ora
l’analfabeta dovrebbe andare a farsi certificare da un medico lo stato di analfabetismo.
Immaginate, sono analfabeta, straniero, adulto. Diventa un processo difficile e se non vieni
guidato è ancora più complicato. Chi si trova in questo stato di analfabetismo che però è in
Italia da 10-20 anni, quindi parla e capisce italiano, lavora, può trovare un blocco, un
problema per avere il permesso di soggiorno. Non siamo noi a scrivere le leggi però
ragioniamo su questo.
- Spesso si cerca di stare nella propria comunità e quindi non si hanno tanti contatti. Ma
infatti è necessario raggiungere un livello linguistico. L’A2 è un livello abbastanza basso, anzi
si consiglia sempre di continuare, perché poi è dal B1 che si passa ad un livello astratto,
parlare delle proprie idee, opinioni. Perché la parte orale è importante. Se tutto questo è
solo legato al saper leggere o scrivere, che assolutamente è una competenza che serve,
però non può essere una barriera. Se una persona lavora, parla, se non sa leggere e
scrivere, è un altro discorso.
Video tratto dal film del 2006 “Nuovo Mondo”. Anche qui, pensiamo sempre chi funge da
mediatore. L’ultima ragazza parlava l’inglese. Mentre gli altri sono analfabeti. All’inizio c’è la
partenza, il distacco della nave. All’inizio la signora italiana, quando le vengono poste delle
domande in italiano dal mediatore, è diffidente. Anche il modo, gli è stato chiesto di mettersi in
fila, di togliersi il cappello. Pensiamo alla componente psicologica. Anche nella prima scena,
quando c’è il suono della sirena della nave, tutti si girano, spaventati, perché siamo in una
situazione nuova, in cui molte delle cose che ci vengono dette, non le capiamo. Anche se c’è un
mediatore, che ci porge delle domande, la signora ad esempio , fa trasparire orgoglio nelle sue
parole. quando le fanno il segno, la signora cerca di pulirsi. Però lì venivano già segnate persone
che erano poco collaborative o che non erano in grado di rispondere a domande semplici. Perché
poi dicono che la mancanza di intelligenza può essere contagiosa, cosa che non è vera. Anche
perché la prima causa dell’analfabetismo è la povertà. A volte le scuole sono lontane, nei paesi
poveri poi le scuole sono a pagamento, quindi non tutti i figli si possono far studiare. Oppure nelle
scuole pubbliche per scrivere usavano la parte bruciata delle pentole come inchiostro. Propri
oavendo la possibilità di avere una vita migliore, tutti i figli degli immigrati, ci tengono moltissimo a
a mandare a scuola, a farli studiare, perché sognano un futuro migliore per i loro figli. Quando
abbiamo visto i test di intelligenta, il primo ragazzo lo fanno contare, ma lui non riesce ad andare
oltre le 10 dita, perché si può basare sull’osservazione. Non ha gli strumenti per fare la somma
perché non ha studiato. Ma lui sa benissimo che il cavallo ha 4 gambe. L’altro signore che crea la
casa, lo fa perché non ha mai visto un gioco da tavolo e la prima cosa che gli viene in mente è
creare qualcosa di pratico. Gli analfabeti hanno una mentalità molto pratica. La matematica, la
grammatica sono tutte materie astratte. Ad esempio, lavorando con gli analfabeti spesso si fanno
gli ascolti in lingua. Esempio: ascolto sugli annunci del supermercato. Oggi in offerta il pollo arrosto
a 6 euro. Se poi faccio una domanda, quanto costa il pollo? E uno risponde, 7 euro. Perché? perché
perché sotto casa mia costa 7 euro. Quindi ci si basa sempre prima sull’esperienza. Perché non si
vede l’utilità di una cosa astratta. E questo si lega ad una mancanza di competenze che non sono
state allenate, che a noi sembra che sia stupida, ma semplicemente non si ha la prontezza. Infatti la
ragazza che va dopo è proprio ad un altro livello. Non è detto che una persona sia stupida e l’altra
intelligente. Semplicemente una è stata istruita e l’altra no. anche nella domanda sui sacchi, hai un
sacco d’oro e uno di pane, devi buttare qualcosa. Voi immaginate una persona povera, l’oro non lo
butterebbe mai e il pane lo mangio, quindi non butto niente. Tutti questi dettagli sono legati ad una
mancanza pratica. I mediatori erano presenti anche nella seconda parte del video. Quindi le
domande venivano poste nella lingua dell’immigrato e c’era poi il medico, che invece era
madrelingua e in base alle traduzioni del mediatore, prendeva appunti. Questo per farci un po’
ragionare. non viene tenuta in conto la dimensione psicologica. Il fatto dello straniero come idea
generale, del diverso, al di là dell’ignoranza. Probabilmente anche con la donna che parlava la loro
lingua, comunque le loro idee erano palesemente diverse. Un misto tra la paura del diverso e il
senso di superiorità. Bisogna tenere in conto anche la parte psicologica. Già di base si ha un
background socio economico e culturale molto basso, perché altrimenti nessuno si metterebbe su
una barca con il rischio di perdere la vita. Cercano prospettive di vita migliori. L’America era vista
come la terra delle opportunità. 1901, passano 20 anni, si cerca di arginare, perché è normale che
anche quantità ingenti di persone, la maggior parte analfabete, creano dei problemi. Però queste
selezioni messe in questo modo ci fanno riflettere. Perché si va oltre l’essere umano e si vede solo
questa parte pragmatica. Mi puoi essere utile? Sembra un tempo molto lontano, ma in realtà ci
sono tanti atteggiamenti che gli italiani hanno sperimentato sulla propria pelle, e che adesso
sperimentano sulla pelle degli immigrati che arrivano in Italia. Oggi magari non si fanno test di
questo genere, ma comunque quanto lontani siamo arrivati, rispetto a questo approccio? C’è
sempre il pregiudizio, spesso. Ma comunque la psicologia dell’individuo c’è sempre, quindi in ottica
di accoglienza bisogna tenere in conto questa componente.
- Anche noi forse fatichiamo a comprendere il punto di vista delle società anglosassoni, che si
sono formate su una filosofia utilitarista e si sentono in diritto di selezionare chi è più
facilemente inseribile. L’Australia, gli USA, il Canada, c’è un sacco di gente che vuole venire.
Possiamo prenderli tutti? No. di questi 100 perché devo prendere quelli più lontano da me,
che faccio fatica ad integrare? Sono in diritto di scegliere chi mi pare perché sono a casa
mia. Prendo quelli che hanno gli stessi miei valori, parlano già la lingua. Noi cosa
rispondiamo?
La differenza di anni dei due video è importante. 1901 – 1924, sono passati 20 anni. Nella prima
parte del primo video, non c’era una vera e propria selezione. Ad un certo punto di inizia a far
selezione perché è ovvio che se tutti i giorni arrivano barche con tante persone, servono delle
regole, però basarsi su una regola del genere, quanto è giusto? - Esistono regole più giuste? Se li
posso accogliere tutti è un conto, ma se devo trovare una regola, qual è quella giusta? – Fare dei
test di intelligenza, non sembra giusto. L’Italia in questo momento è geograficamente un punto di
approdo. Più passa il tempo e più si cercano soluzioni per arginare i possibili problemi. Un paese
com l’Italia che deve accogliere, perché si arriva lì, ci sono i diritti umani. Ma spesso molti sono di
passaggio, non vogliono rimanere in Italia, che non offre tutte queste opportunità, non è detto che
sia nel progetto migratorio di chi arriva. Molti vogliono andare in Francia, in Germania. C’è poi la
parte burocratica, molto lenta, che ti costringe ad entrare in un programma di accogleinza per un
anno o anche due, in attesa dei documenti. Anche i nomi spesso vengono scritti male, arriva il
documento e ci sono errori, passa altro tempo. Nel frattempo il migrante, se ha questa idea di
voler andare via, non cerca nemmeno di integrarsi e spesso scappano. Se invece c’è questo
interesse di volersi integrare si frequentano i corsi di lingua, si cerca di lavorare, con l’ottica è un
passaggio. I contesti sono tanti, però non dimentichiamo i bisogni dell’individuo. In questo
momento molte persone vengono quasi bloccate.
Abbiamo visto in questi video, delle figure che fungevano da mediatori. Però il mediatore
linguistico culturale offre questa attività di mediazione, che non è solo quella di traduttore o
interprete. Ma bisognerebbe interpretare anche la cultura di appartenenza. Nei video abbiamo
visto principalmente una mediazione linguistica. Cosa avrebbero docuto fare i mediatori per offrire
un’interpretazione della cultura in quelle situazioni? Tranquillizzare le persone. Non c’è stato un
discorso per spiegare quello che si sarebbe fatto. Abbiamo visto degli atteggiamenti diversi: l’uomo
che collabora, che si fida del sistema e invece chi è impreparato e vede qualsiasi cosa come un
sopruso. Non c’è stata una mediazione culturale. Quando parliamo di cultura parliamo di un
complesso di norme sociali, abitudini, modelli di vista, sia educativi che comportamentali, che non
è detto che l’immigrato abbia già le conoscenze. Oggi la comunicazione è più veloce. Nei primi anni
del 900 le informazioni dei migranti che sono partiti prima, quando arrivavano scrivevano per
lettera, se sapevano scrivere. Oggi spesso si hanno dei racconti, quindi si sa quello che si trova. Una
cosa che ha visto la prof è che spesso loro cercano di dare un’immagine del Paese da cui sono
partiti, che è migliore, per far vedere che stanno bene. Quando poi magari nella realtà non è tutto
rose e fiori. C’è una visione falsata. La componente psicologica è molto importante, perché
abbiamo davanti degli esseri umani. Anche nei test, quando abbiamo una situazione ansiogena di
base, se non viene curata la parte legata al filtro affettivo. Una situazion in cui il mio livello di stress
è già presente, perché l’esame, il colloquio è sempre un qualcosa di ansiogeno. Se questo filtro
affettivo rimane alto, la performance diventa peggiore, perché rendo di meno. Cercare di mettere a
proprio agio la persona che abbiamo davanti, serve a tirare fuori il meglio.
Nelle prime slide ci sono gli obiettivi. La mediazione è una procedura che serve a risolvere dei
possibili conflitti. Fare mediazione significa arginare dei problemi che potrebbero crearsi. Anche
per questo quando diciamo che ci si basa sull’esperienza, se vedo qualche situazione che diventa
problematica, conflittuale, io imparo. Cerco di prevenirla, che non si ripresenti. Serve a questo la
buona pratica. Vedere quello che non funziona e cercare di trovare soluzioni che siano anche
preventive. Quindi se so che con un mediatore posso tranquillizzare perché non farlo. I conflitti
però capitano sempre, quindi il mediatore viene chiamato a risolvere in situazioni di coabitazione.
Quindi abbiamo di solito delle minoranze e queste vanno tutelate. La situazione è che persone di
altre etnie sono sul nostro territorio, quindi la coabitazione c’è già. Bisogna puntare che sia una
coabitazione serena, condivisa, quindi facilitarla. Perché poi le differenze culturali sono le principali
fonti di ambiguità e di problematiche. In base al Paese in cui siamo, ogni Paese ha le sue regole.
Quindi le politiche del governo dei flussi migratori, vengono poi lasciate ai paesi. Anche il compito
del mediatore in base alla politica del paese di accoglienza, puù cambiare in base a le dinamiche
del fenomeno sociale dell’immigrazione. Quindi se ci sono dei momenti di accoglienza o no. i flussi
possono cambiare, i paesi dai quali provengono i migranti possono cambiare. Il progetto
migratorio, vuol dire parto per arrivare in un posto. Potrebbe capitare di essere in un paese ma di
voler andare in un altro. In quel caso, il soggetto non ha interesse a intregarsi qui perché lo vede
come un momento di passaggio. E poi i bisogni espressi dalla popolazione straniera. Perché i
bisogni possono anche emergere durante il tempo. I ruoli vanni inquadrati all’interno di regole
generali. Di solito la filosofia che muove è quella di andare verso una comprensione reciproca
maggiore, però nel frattempo c’è bisogno sempre di un’elasticità. Perché le situazioni cambiano, le
tipologie di persone cambiano, le leggi possono cambiare, vengono messe costrizioni maggiori. Ad
esempio per avere la cittadinanza italiana ora bisogna avere il B1. Spesso troviamo la parola
apertura mentale. È una professione che deve essere in continuo aggiornamento, cosciente delle
leggi che cambiano. Schematizzando, sempre legando all’esperienza che abbiamo avuto negli
ultimi anni, le aree strategiche di mediazione, che possiamo vedere anche come obiettivi della
mediazione sono principalmente 3. Il primo è legato ai servizi quindi gli uffici, le opportunità che il
territorio offre. Il mediatore in questo caso crea il ponte tra il servizio offerto e lo straniero.
Ovviamente si diventa una sorta di filtro, faccio una sorta di decodifica. Accompagno l’immigrato in
un ufficio, traduco le domande che gli vengono fatte, perché so che il dipendente di quell’ufficiio
non è formato e non è accogliente. Questo serve per assicurare che ci siano le pari opportunità. Il
secondo è promuovere interventi informativi, perché non se non do le informazioni non ho la base,
che sono rivolti alla popolazione ospitante. Questo serve a conoscere il fenomeno
dell’immigrazione e a non averne paura. Io più vedo da lontano qualcosa e più la temo. Se riesco
ad avvicinarmi, mi rendo conto che non è una belva ma un essere umano. E va a evitare il
diffondersi degli stereotipi, che normalmente è negativo e crea un atteggiamento di rifiuto e
discriminazione. L’ultima area è legata al soggetto, il favorire il mantenimento della cultura di
origine degli immigrati. Cioè non cancellare la sua identità, perché porta degli squilibri psicologici.
Quindi mamntenere dei legami con la cultura. Anche nelle scuole, lavorare su lingua e cultur,a
presentare le culture degli studenti stranieri, aiuta alla comunità a conoscere queste culture, quindi
ad arricchirsi, perché ogni cultura è un arricchimento e ci fa conoscere anche meglio la nostra.
Spiegare la nostra a uno straniero ci aiuta a comprenderla. Oppure non farla sentire di serie B.
sono semplicemente culture diverse. Di solito la persona immigrata cerca di adattarsi, quindi
spesso anche in modo non consapevole può tendere a rimuovere la sua cultura di provenienza
quindi a dimenticare le sue origini. Se questo si protrae nel tempo può creare una destabilizzazione
psicologica che poi diventa un ulterioer condizione di svantaggio sociale. Ogni tanto ci sono dei
suicidi tra gli stranieri. Non riuscirsi a integrare, cambiare situazione..pensiamo alla persona. Siamo
essere umani. Attenzione al rispetto della cultura dell’altro, gli dà un valore aggiunto. Alcune scuole
su Roma, nel pomeriggio organizzano corsi di lingua straniera, che potevano essere aperti ai ragazzi
italiani, ma poteva anche essere un’occasione per i ragazzi stranieri di studiare la propria lingua.
Perché soprattutto i minori abbandonano il sistema scolastico, quindi pur essendo portatori di una
cultura non vengono formati, quindi perdono degli elementi importanti. Per quanto riguarda il
ruolo in Italia, ci sono 2 concezioni sui ruoli e i compiti del mediatore. La prima concezione è quella
che il mediatore vada a sopperire le carenze dei servizi pubblci, quindi operatori non formati o
difficoltà che possono insorgere. E rispondere alle richieste della popolazione immigrata che ha dei
problemi. Il mediatore cerca di negoziare. Se queste persone sono arrabbiate perché ci sono dei
ritardi in qualcosas che era stato promesso, come sentenze con gli avvocati, documenti, negoziare,
trovare soluzioni è una delle possibilità che ci sono. La seconda concezione è legata a quello di
trovare un nuovo modo per organizzare il sociale e il dialogo. Questo è il signifciato più ampio della
mediazione culturale, perché serve a superare una possibile chiusura. Si lavora sull’apertura. È un
discorso più legato alla mentalità e ad una progettualità futura. Sono entrambi importanti, sia
quello più pratico, sia quello di avere una progettualità futura, quindi pensare ad aperture di
dialogo ad organizzare in modo diverso. Si è sempre ponti. La figura del ponte è quella principale.
Nella seconda però la figura del mediatore diventa puiù completa perché c’è una visione del futuro,
si pensa a evitare che insorgano dei problemi anche nel domani. Non siamo semplicemente qui,
non siamo solo nella risoluzione immediata ma siamo anche delle figure che progettano per
prevenire. Questo se c’è un’esperienza pregressa. Se è cambiato, c’è stata una modificia, la
flessibilità è sempre necessaria, buone pratiche. Quindi vedo come ho risolto, se ho risolto bene, la
prossima volto inizio già a prevenire il problema. Il mediatore facilita la comunicazione però non è
soltanto quello: per riassumere. Spesso diventa un portavoce, ma sia del gruppo che del singolo.
Spesso vengono, anche in base al rapporto di fiducia che si crea con la persona, spesso vengono
sommersi di chiamate, richieste di aiuto. È un lavoro che può costare molte enrgie, essere così
disponibili. Bisogna essere bravi a viverlo come un lavoro, a lasciare a volte dei limiti, però è
importante essere disponibili, costruire un rapporto di fiducia, anche attraverso delle regole. Per
esempio ci sono quattro aggettivi che fanno parte della definizione di mediazione del presidente
della commissione de … culturale di Parigi, cos’ ci può aiutare per definirla. Il primo è creatrice,
perché cerca di creare dei legami nuovi che prima non esistevano e che entrambe le parti, quindi la
società che accolgie e la comunità immigrata, ne possono beneficiaer. Quindi ci deve essere un
arricchimento reciproco. Questo è alla base della negoziazione. Il secondo è rinnovatrice, perché se
ci sono dei legami già esistenti, possono esssere migliorati attraverso la mediazione. La mediazione
può evitare che questi legami si deteriorino, che si allentino e che possano generare un conflitto. Si
lavora su quello che già esiste e si tende a migliorarlo. Preventiva, perché cerca di anticipare,
quindi prevedere possibili conflitti. Più cpnosco le due culture e più riesco a prevedere. Anche nella
didattica delle lingue è così. Se io conosco la lingua di provenienza saprò tutte le difficoltà che si
hanno nell’apprendere l’altra lingua. Lo stesso succede con la cultura. Se io so già quali sono le
situazioni che potrebbero produrre un conflitto cerco preventivamente di evitare che questo
accada. L’ultima è curativa, perché il mediatore entra in gioco anche quando il conflitto esiste già,
quindi c’è un problema. Si cura perché si aiutano le persone ad uscire da questo conflitto. Con
questi 4 aggettivi abbiamo un quadro completo della mediazione.
Il mediatore alla fine diventa una parte neutrale. Tutti si devono fidare del mediatore, perché farà
gli interessi di entrambi. Se si sbilancia può mancare la fiducia. Mediare vuol dire andare a dare un
intervento che non sia squilibrato, che non crei ingiustizie. Quando ci sono delle situazioni, il
mediatore è anche legato alle parti, perché non posso imporla, ma può essere proposta. Quindi
devono essere accettate da entrambe le parti. Per questo la fiducia è importante. Se non c’è fiducia
si potrebbe rifiutare una mediazione. Possiamo strutturarla pensando anche alla difesa, quindi alla
advocacy. Io cerco di difendere i diritti dell’utente, che può essere soggetto a difficoltà, quindi c’è
un’attenzione maggiore per il soggetto più fragile. Però non è che ti difenderò sempre. Io ti difendo
però devo pensare anche a farti crescere, a renderti autonomo. I progetti di accoglienza, che hanno
una scadenza, all’inizio vengono guidati per mano. Ma pian piano, più le competenze aumentano,
diventa un modo per rendere autonomo, per sapere che quando finirà il progetto la persona
riuscirà anche da sola a muoversi. Raggiungere una maggiora autonomia è anche non essere
abbandonati da un giorno all’altro. Questo è uno dei limiti dell’assistenzialismo. Dobbiamo aiutare
sapendo che poi l’immigrato uscirà dal progetto di accoglienza. Riuscire a rendere il soggetto
autonomo, anche sull’inserimento nel lavoro. Spesso le associazioni o i centri di accoglienza
propongono dei corsi di formazione per dare un attestato, per aiutarli a trovare lavoro. Spesso
hanno un appartemento, quando finisce il progetto non l’avranno più. Quindi cercare poi di dare
una mano, ma poi è la persona che deve cercarsi una sistemazione. Se non c’è una sorta di
gradualità in questo, spesso può succedere che si finisce il progetto e si finisce per strada.
Ovviamente l’empowerment è molto importante perché si cerca di prevenire dei problemi e di
lasciare poi la persona in una situazione che non sia critica.
Le funzioni. La prima è l’interpretariato linguistico e culturale. La capacità di decodificare i codici
culturali di entrambe le culture. Quindi se siamo italiani e lavoriamo con la mediazione, ci
dobbiamo informare all’inizio. Non posso essere mediatore per una cultura che non conosco per
niente. Mi informerò, imparerò altre cose sul campo. Quindi non solo la lingua ma anche i codici
legati al linguaggio non verbale. Anche Balboni parla dei gesti, ma non solo. Ad esempio nella
cultura cinese, se sto a lezione, il non cercare il contatto visivo è un segno di concetrazione
maggiore. Se io non lo so, e ho in classe dei bambini cinesi che non mi guardano mai, magari penso
che i bambini sono distratti. Questa parte è anche legata a una parte pratica. Ad esempio il
compilare i moduli. Sono cose di base che si cerca di insegnare. Tutta la parte relazionare. Anche
nei corsi di italiano per stranieri, già ai livelli A1 si fa la differenza tra il dare del tu e il dare del lei. È
importante perché se mi relaziono con un poliziotto dandogli del tu, potrebbe essere vista come
mancanza di rispetto e creare dei problemi. Sono dei registri formali che si cerca di inseganre. Tutto
quello che è legato a decodificare possibili malintesi culturai. La seconda funzione è legata
all’informazione di diritti e doveri. Queste cose all’inizio è importante farle, anche nella lingua
dell’immigrato. Perché spesso il linguaggio è burocratico, quindi se non c’è una mediazione
all’inizio, cercare di capire quello che si vuole dire nella lingua diventa difficile. È importante che
l’immigrato venga informato sui suoi diritti e i suoi doveri. Perché così posso sia conoscere ma
anche utilizzare i servizi che mi offre la comunità. Quello che ci muove è cercare di dare pari
condizioni tra il cittadino italiano e straniero. Gli utenti devono sapere come funziona, quali sono le
norme, i regolamenti dei servizi, le norme giuridiche e penali. Ma anche quali sono i diritti. Se ci
sono delle sanzioni. Poi si lavora sul linguaggio burocratico che si vede anche ai livelli bassi,
semplificando. Si cerca di memorizzare il messaggio. Poi per la parte di documenti si cerca di capire
come compilarli e poi si spera che non succedano quelle situazioni di tensione, perché magari vado
in questura per richiedere qualcosa, mi fanno delle domande, mi trovo perso e magari la questura
mi vuole anche ritirare l’attestazione di lingua. Come terza funzione c’è l’informazione agli
operatori. Il mediatore si interfaccia anche con gli operatori. Su logiche, codici, abituditi e norme a
cui l’utente fa riferimento. Il mediatore si informa sulla cultura di appartenenza dell’immigrato e
diventa un ponte. Ne parla alla comunità o all’operatore del servizio. Questa è una competenza
altamente professionale ed è fondamentale per i servizi legati alla persona. Ci sono dei mediatori
che lavorano principalmente con le donne. Spesso le donne possono aver avuto problemi, vittime
di tratta, oppure sono incinte quindi c’è la parte del servizio sanitario. Il servizio sanitario è uno dei
principali. I controlli legati alla salute vengono fatti. Molte persone arrivano magari anche perché
hanno problemi di salute e vogliono una cura migliore. Come quarta funzione c’è
l’accompagnamento. Accompagno l’utente verso le istituzioni e c’è il confronto con gli usi e i
costumi. Anche chiedere nel tuo paese com’è, fa parte del vedere le differenze. Anche perché
magari all’inizio non è delle informazioni complete su quella cultura. È anche una informazione che
si costruisce grazie all’utente straniero. C’è anche tutta la parte dell’orientamento sull’igiene, la
salute, l’alimentazione dei bambini. La parte dell’igiene si potrebbe dare per scontato, però non lo
è. ad esempio, noi diamo per scontato l’acqua corrente, pensiamo che tutti sappiamo come usare il
water o il rubinetto. Un gruppo di nuovi arrivati, c’era ci ad esempio usava l’acqua del water per
lavarsi. Quindi anche parlare di norme igieniche serve. Oppure disegnano la pianta della loro casa
tonda, perché magari il concetto di casa non è come il nostro, loro hanno un’unica stanza tonda.
Un’altra funzione è quella della progettazione, quindi supportarla, sempre analizzando i bisgni,
cercando di trovare interventi più adeguati, per rispondere a domande che possono essere nuove
o per andare attraverso le buone pratiche a dare delle risposte a delle domande che ci sono state
poste in precedenza. La sesta funzione è quella dell’inserimento della popolazione nei processi di
ntegrazione. Quindi lavorare con un ottica di integrazione che continua anche dopo i progetti.
Questo cerca di far uscire dall’isolamento. Gli strumenti di base dell’inserimento sono
l’alfabetizzazione e l’apprendimento della lingua. Quando si parla di alfabetizzazione spesso ci può
essere una parte dedicata proprio alla letto scrittura. Cioè si chiede come requisito, almeno di
imparare a scrivere il proprio nome e cognome e data di nascita, per dare una base legata ai
moduli. In Europa tutto passa attraverso i moduli. A volte non c’è nemmeno il concetto di frma.
L’apprendimento della lingua si può fare, nei casi di analfabetismo si punta subito alla
comunicazione orale, quindi lavorare per funzioni comunicative. Quando insegniamo una lingua c’è
l’approccio comunicativo. Quindi non baso tutto sulla grammatica, ma pensare a quello che
dobbiamo dire. Quindi come ti chiami, chiedere il nome. Oppure chiedere l’ora. Quindi abituare a
domande di base, personali, che loro memorizzano all’inizio. Le prime risposte quindi sono dirette.
Poi si cerca di dare delle basi, però l’importante è la prima parte di apprendimento della lingua
legata alle funzioni comunicative. La lingua è uno strumento che mi serve per uscire
dall’isolamento. Un’altra cosa che si può fare sono le reti informali, anche legate ai servizi.
Ovviamente la riduzione delle pensioni, qui vi trova anche conflitti intra-extra familiari. Quindi
anche il concetto di famiglia, perché spesso l’immigrato potrebbe venire con la famiglia. C’è anche
la parte dell’accompagnamento dei bambini a scuola. Quindi fare un ponte tra il genitore e la
scuola. Spesso i bambini poi se seguono la scuola diventano a loro volta dei ponti. L’importante è
capire che quello che ci muove è cercare di facilitare la comprensione reciproca. Alla fine lo
straniero pur avendo gli stessi diritti, poi sulla carta, diventa discriminato. Quindi la mediazione è
anche un processo di conoscenza reciproca. Serve a preparare, dare informazioni, aiutare e pian
piano rendere autonome le persone che vengono accolte.
Le competenze. Il quadro comune europeo ha data uno spazio più ampio alle competenze di
mediazione negli ultimi tempi. Ad esempio la mediazione viene portata non per forza tra due
lingue, ma anche può essere nella stessa lingua e viene inserita anche la lingua dei segni. Perché
quando si parla di inclusione c’è anche la parte della lingua segnata.

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