Sei sulla pagina 1di 16

Aspetti teorici della Geografia delle Lingue

L’ambiente e la cultura
L’ambiente rappresenta il teatro dell’agire umano, da cui l’uomo si distacca man mano
che avanza nel suo processo di sviluppo, pur avendo un dialogo con l’ambiente ed
operando all’interno delle potenzialità da esso offerte. Non c’è più dipendenza, quindi,
dall’ambiente, ma interrelazione: la cultura è un filtro che permette di dialogare con
l’ambiente.

La cultura come insieme


La cultura finisce per avere così valore di insieme, che caratterizza il gruppo e contribuisce
a dare “organicità” e “specificità” al territorio. Di questo “insieme” fa parte il linguaggio
come elemento essenziale per la trasmissione di quei valori che costituiscono la
“cultura”.

Il linguaggio
In effetti, la più grande conquista dell’uomo è il linguaggio. Infatti, impariamo a pensare,
a sentire, a giudicare attraverso e nei limiti che le parole, gli idiomi e la sintassi della nostra
lingua ci impongono.
Esso rende possibile la comunicazione dei significati e la partecipazione attiva all’interno
di un gruppo, in modo tale da renderlo capace di formare una società stabile, di creare e
di trasmettere una propria identità; ed in questo contesto il linguaggio viene ad assumere
una funzione sociale ed espressione di comportamento interpersonale.

Il linguaggio e il suo ambiente


Il comportamento linguistico dell’individuo riflette necessariamente le caratteristiche più
importanti della sua personalità, ma anche gli elementi specifici di un dato ambiente,
perché esso ha preso origine e si è sviluppato in un particolare contesto culturale e
ambientale.

Influenza dell’ambiente fisico sulle lingue


L’influenza dell’ambiente fisico sulle lingue si manifesta in due dinamiche principali:
• nel lessico (nome di piante, di animali, fenomeni meteorologici, tipi di terreno, ecc.);
• nella localizzazione e distribuzione della popolazione e nei percorsi di diffusione delle
lingue.
Sotto quest’aspetto influiscono:

- morfologia (rilievi, pianure, valli);


- insularità (isolamento o contatto);
- paludi (aree non bonificate);
- clima (freddo, caldo, eventi climatici, ecc.).
La toponomastica
Espressione di questo rapporto con l’ambiente è la toponomastica, un campo di indagine
di indubbio interesse in quanto contribuisce a dare un non trascurabile contributo di
conoscenza dei rapporti uomo-ambiente. I termini geografici dialettali riconducono
infatti alla umanizzazione attiva dello spazio, delimitano l’area di intervento dell’uomo,
consentono di indagare sulle cause, i nessi tra ambiente naturale e gruppo umano,
rendendo più agevole la comprensione della percezione che l’uomo ha avuto
dell’ambiente nel tempo, della utilizzazione economica delle risorse disponibili e quindi
della organizzazione territoriale di una regione data.

Il nome dei luoghi: la toponomastica


Lo studio del nome dei luoghi, la toponomastica (topos=luogo e onomia=nome) è stato
per lungo tempo una tradizione per i geografi storici e culturali. I nomi dei luoghi
forniscono chiavi di lettura per il panorama storico, l’origine e le strutture degli
insediamenti, le occupazioni, i cambiamenti politici ed etnici, le attività umane e i processi
di diffusione culturale. Si può evidenziare che i toponimi forniscono prova
dell’insediamento ambientale e delle condizioni sociali al tempo in cui il nome viene
coniato, senza riflettere le successive variazioni.
Il processo di creazione dei toponimi è sostanzialmente di due tipi:
- «evoluzione nel corso del tempo»;
- «conferimento» (in cui un individuo o più deliberatamente scelgono il toponimo
che viene conservato nel tempo).

I toponimi
Vi sono diversi tipi di toponimi. Generalmente essi sono,
Geo-toponimi:
- idronimi (corsi d’acqua);
- limnonimi (laghi);
- oronimi (rilievi);
- coronimi (regioni);
- fitonimi (nomi di piante);
- zoonimi (nomi di animali).
Oppure essi si possono ricondurre ad azioni degli esseri umani, a processi di
territorializzazione, di appropriazione antropica dell’ambiente naturale:
- agionimi o ieronimi o teonimi (nomi di santi o comunque sacri);
- antroponimi o familionimi o etnonimi (legate a nomi di persona, cognomi o etnie), detti
anche toponimi prediali;
- odonimi (vie e strade);
- tecnonimi (dal nome di professioni).
Esempi di toponimi a seconda dell’origine

La classificazione dei toponimi secondo G.R. Stewart


• Descrittivi: Monte Calvo, Monte Rosa
• Associativi: Pontelagoscuro, Camposampiero
• Rievocativi: Nervesa e Losson della Battaglia
• Possessivi: Lido degli Estensi, Neviano degli Arduini
• Commemorativi: San Michele, Sasso Marconi, Vittorio Veneto, Margherita di Savoia
• Elogiativi: Colfiorito, Col Santo, Gran Paradiso
• Inventati: Guidonia, Carbonia, Littoria
• Sbagliati: Golfo Aranci, Redipuglia
• Trapiantati: Syracuse in USA, Heidelberg in Sud Africa

I legami fra etnia e lingua secondo Breton (1978)


Breton individua nove elementi significativi che divide in tre raggruppamenti (in realtà
egli aggiunge anche la razza come elemento di suddivisione, ma oggigiorno il pensiero di
marcature mentali sulla base di presunte caratteristiche fisiche è da considerarsi ormai
superato):

- pre-struttura;
- struttura;
- post-struttura.

I legami fra etnia e lingua secondo Breton (1978): Pre-strtuttura


Breton identifica come elementi presenti nelle pre-strutture la demografia del gruppo, la
sua lingua e il suo territorio. Si tratta di tre componenti essenziali in quanto una comunità
etnica per esistere deve possedere una certa consistenza demografica, deve vivere su e
in rapporto ad un certo territorio e deve, per definizione parlare, una sua lingua.
Il territorio è visto dal Breton come il contesto fisico su cui si è stabilito è costituita una
etnia, l'ambiente naturale in cui la popolazione si è adattata umanizzando, che ogni etnia
vuole definire e di cui si vuole appropriare, gestendolo in modo autonomo e consono ai
propri obiettivi, organizzandolo secondo la propria cultura e utilizzandone le risorse in
maniera specifica. L'etnia si identifica prima di tutto dall'unità linguistica, non dall'origine
genetica, da legami di consanguineità né tantomeno da un complesso i legami culturali o
politici.
In tal senso l’etnia identifica il gruppo di lingua materna dei linguisti, detto anche gruppo
etno-linguistico o comunità linguistica: si tratta in sostanza di un insieme di individui con
la stessa lingua madre quali che siano le diversificazioni di origine fisica, antropologica, di
situazione geografica, o di appartenenza politica.

I legami fra etnia e lingua secondo Breton (1978): struttura


Nel secondo insieme di elementi che Breton identifica, le strutture, rientrano invece la
cultura non materiale, le classi sociali e del sistema economico.
La cultura non materiale è tutto il patrimonio spirituale ereditario del gruppo: la storia
comune, la religione, il folklore, la letteratura, il sapere tecnico, ecc. L'analisi della
struttura sociale di una comunità linguistica e la suddivisione in classi sono, d'altra parte,
ritenute necessarie poiché dalla presenza o meno di barriere sociali dipende la possibilità
di circolazione della cultura e l'omogeneità della lingua; un gruppo rigidamente suddiviso
in classi difficilmente adopererà una medesima forma di repressione.
Ma una comunità etnica andrà considerata anche dal punto di vista delle sue attività
economiche; lo sviluppo economico può incidere infatti sulla vita di un gruppo, sulla sua
struttura sociale e sulla sua stessa distribuzione spaziale, sia che sorgono sul suo
territorio nuove attività portatrici di innovazione, sia che il gruppo sia attratto, anche solo
in parte, verso centri urbani più o meno lontani.

I legami fra etnia e lingua secondo Breton (1978): le post-strutture


Infine, Breton prende in considerazione la presenza di istituzioni politiche, il ruolo della
metropoli e il tipo di rete urbana esistente (post-strutture).
Le istituzioni politiche possono ammettere diversi modi di partecipazione al potere da
parte di settori più o meno ampi o ristretti del gruppo, e questo non è privo di importanza
perché in un sistema democratico chi gestisce il potere deve saper interloquire con tutti,
anche con le diverse classi sociali, e dunque deve conoscerne il linguaggio e la cultura.
La metropoli è intesa come il principale centro decisionale del territorio abitato dalla
comunità etnica: dalla sua vitalità e dalla sua forza dipende l'elaborazione di nuove idee,
di nuovi modelli comportamentali, di nuove espressioni linguistiche e culturali.
Nello stesso tempo, l'efficienza della rete urbana influisce sulla solidità e la coesione del
gruppo, che deve fare riferimento ad un insieme coordinato di punti di insediamento per
essere ben inserito sul territorio.
L’etnia secondo Breton

Lingua e società
Si possono individuare quattro aspetti principali sul rapporto tra lingue e società in cui
queste sono parlate o scritte:
a) diversi gruppi umani usano diverse varietà della lingua, in rapporto alle diverse classi
e ai contesti sociali;
b) gli stessi gruppi umani utilizzano “registri” differenti per esprimere diversi stati
d’animo, emozioni, ecc.;
c) la lingua rispecchia la società e la cultura nella quale è usata;
d) la lingua forma la società nella quale è usata.

I tipi di linguaggio
Secondo H. Gobard per ogni specifica area culturale si possono individuare quattro tipi
di linguaggio, indipendentemente dalla lingua utilizzata:

a) un linguaggio vernacolare, locale, parlato spontaneamente, legato all’esigenza di un


gruppo di sentirsi in comunione;
b) un linguaggio veicolare, nazionale o regionale, imparato per necessità e destinato alla
comunicazione a scala urbana;
c) un linguaggio referenziale, legato alle tradizioni culturali, orali o scritte, espressione
di continuità di valori mantenuta viva attraverso la rivitalizzazione della cultura classica;
d) un linguaggio mitico, magico, apparentemente incomprensibile, espressione di
sacralità.
Le diverse forme di lingue e la geografia

La lingua standard
Nelle società tecnologicamente avanzate è probabile che esista una lingua standard, la
cui qualità è materia di identità culturale e interesse nazionale. In genere, la scelta della
lingua standard di un popolo è legato ai gruppi di potere e a scelte politiche.
In generale, i dialetti si possono concepire come varianti regionali di una lingua standard.

Lingua e dialetti
Cosa è un dialetto?
• In senso linguistico, un dialetto è una varietà di una lingua.
• In senso genealogico, un dialetto è una lingua che si è evoluta da un’altra lingua.
• In senso sociolinguistico, un dialetto è una lingua subordinata ad un’altra lingua.

I dialetti in senso linguistico


• Comprensione reciproca: Se c’è mutua intelligibilità, ossia se i due parlanti si capiscono
tra loro quando parlano, ci si trova sicuramente di fronte a due dialetti della medesima
lingua;
• Lessico di base in comune: Se più dell’80% delle parole di uso comune impiegate dai
due parlanti sono le stesse (anche se pronunciate in modo differente), i due idiomi sono
dialetti della stessa lingua;
• Morfologia e sintassi omogenee: Se i due parlanti utilizzano le stesse regole
grammaticali per esprimersi, parlano due dialetti della stessa lingua.

I dialetti in senso genealogico


Secondo questa definizione, un dialetto è una varietà linguistica originata da una lingua
antecedente. Il dialetto, quindi, è in un certo senso il “figlio” di una lingua “genitrice”
dalla quale deriva.
I dialetti in senso sociolinguistico
I sociolinguisti hanno identificato alcuni parametri per identificare la differenza tra
lingua e dialetto:

• Diffusione geografica limitata: Mentre la lingua viene impiegata in un territorio molto


esteso, il dialetto si parla in un’area geografica di piccole dimensioni.
• Assenza di uno standard. Il dialetto non ha elaborato una forma “corretta”
riconosciuta da tutti i parlanti. Si trova quindi in una situazione di forte frammentazione
locale. In sostanza, ogni comunità lo parla in modo diverso.
• Scarso prestigio: Il dialetto è percepito dalla popolazione che lo parla come un idioma
rozzo. Viene per lo più parlato dalle persone povere e poco istruite.
• Uso informale: Un dialetto viene impiegato in situazioni sociali informali, ad esempio in
famiglia o tra amici. Non si usa presso gli uffici pubblici, a scuola oppure per fare
conferenze o colloqui lavorativi.
• Corpus letterario limitato: Un dialetto viene prevalentemente parlato, e non scritto. La
letteratura è in genere assente o scarsa. Quando presente, è di poco valore.
• Presenza di una lingua-tetto: Il dialetto, nelle comunità dove viene parlato, è
influenzato da una lingua tetto, ossia da un idioma prestigioso che viene impiegato nelle
situazioni formali e nella letteratura. Dalla lingua tetto il dialetto riceve prestiti (parole e
costrutti grammaticali).
• Mancanza di lessico tecnico-scientifico: Il dialetto ha un vocabolario limitato alle parole
della vita quotidiana, e quindi non ha i termini adatti per parlare di scienza, tecnologia,
filosofia e altre branche del sapere.

L’evoluzione delle lingue


Esistono lingue che avanzano diffondendosi su vaste aree per poi indietreggiare, lingue
che sono parlate da un numero limitato di persone che si mantengono “stabili” (anche
se in effetti non esistono lingue completamente omogenee e stabili nel tempo), altre
che perdono sempre più consistenza e significato culturale.

I livelli qualitativi delle lingue


Rispetto al livello di sviluppo qualitativo raggiunto da una lingua, Breton (1976)
individua cinque stadi:

a) al primo livello si trovano le lingue prive di scrittura, di tradizione orale e uso locale;
b) al secondo livello vi sono le lingue locali (o vernacolari) entrate in uno stadio di
“letterizzazione”;
c) al terzo livello si hanno le parlate “veicolari”, che all’inizio erano lingue vernacolari,
ma poi elevate a lingua relazionale; d) al quarto livello si collocano le lingue nazionali,
espressione di un gruppo etnico ormai consolidato;
e) all’ultimo livello si collocano le lingue internazionali.

Storia e dinamica linguistica


Le modalità nelle dinamiche di affermazione, espansione e ritiro delle lingue sono varie
e dipendono da fattori flessibili, cioè che riguardano le condizioni
influenzate dall’azione umana e possono dunque modificarsi col passare del tempo e
con i cambiamenti delle società.
• Colonizzazione e decolonizzazione: colonialismo linguistico, nuove lingue post-
coloniali
• Migrazioni: germaniche e slave antiche, ungheresi, spostamenti di popolazioni post
belliche
• Religione: diffusione dell’Islam, missioni gesuite in America latina, il ruolo
della chiesa
• Commercio, economia e trasporti: greco, lingue franche, pidgin, rotte
marittime e terrestri
•Conquiste e vittorie militari: assimilazione linguistica, sostituzione, nazionalizzazione
• Assetto politico: imperi, nascita o dissoluzione di uno stato, legislazione, democrazia
vs totalitarismi
• Cultura: lingue esportatrici, lingue letterarie (italiano)
• Demografia: numero dei locutori, struttura sociale, dinamiche demografiche

L’espansione delle lingue nello spazio


• Diffusione per spostamento
- per dispersione dei parlanti e per migrazioni
• Diffusione per espansione:
- per contagio (propagazione a macchia d’olio – es.
acculturazione)
- per gerarchie (segue vie preferenziali – es. reti urbane)
- per stimoli (usi imitativi della lingua – es. prestiti linguistici)

Epoche storiche e lingue

Le lingue sono sottoposte a continui cambiamenti lessicali e morfologici, attraverso


semplificazioni e arricchimenti, dovuti alla comparsa di nuove parole (neologismi) o
all’abbandono di termini non più attuali. Esse sono interessate essenzialmente a due
tendenze opposte che sono alla base della evoluzione linguistica:

a) la differenziazione dialettale, riconducibile a un fenomeno di dispersione, con lingue


appartenenti alla stessa famiglia che si modificano nel tempo;
b) l’unificazione, per esigenze di rapporti sociali, di relazioni su più vasto raggio.
Le mutazioni delle lingue: diglossia e fossilizzazione.
Le modificazioni che interessano una lingua possono anche portare a una qualche forma
di diglossia tra la lingua colta ufficiale e la parlata popolare, che può anche determinare
la “fossilizzazione” della lingua colta.
Le cause che portano alla scomparsa di una lingua sono diverse, per lo più di natura extra-
linguistica, come nel caso della prevalenza di una etnia su un’altra, sia per motivi culturali
che numerici, della dipendenza economica, o di etnocidio o genocidio.
Talvolta può accadere anche che una lingua che rimanga immobile per conservare la sua
purezza finisca per essere superata, per perdere la sua funzione di comunicazione.

Alloglossia, diglossia, dilalia e diacrolettia


Alloglossia: è la situazione in cui in un determinato contesto territoriale si parla una
lingua minore per numero di parlanti all’interno di un contesto di maggioranza
linguistica diversa; ove essa sia riconosciuta e tutelata
giuridicamente si parla di bilinguismo.
Diglossia: concetto introdotto da Ferguson (1959) per evidenziare come una delle due
lingue venga usata principalmente nei contesti alti e formali, l’altra in ambito colloquiale
e familiare.
Dilalia: concetto introdotto da Berruto (1987), in cui una lingua sola viene utilizzata per i
contesti formali, mentre negli usi bassi e informali le due lingue sono interscambiabili.
Diacrolettia: concetto introdotto da Dell’Aquila e Iannaccaro (2004), indica una
evoluzione temporale associata a un cambiamento di politica generale e di politica
linguistica, in cui una lingua prima minoritaria viene a essere utilizzata anche nei contesti
formali, mentre la prima lingua rimane solo nei contesti formali.

Schema dei contesti plurilinguistici


La difesa della lingua
Di fronte alla scomparsa di una lingua, altre se ne affacciano: sono le lingue emergenti,
espressione di gruppi e di entità statali che raggiungono l’indipendenza, che promuovono
a lingue ufficiali parlate locali attraverso una politica linguistica volta alla loro unificazione,
standardizzazione e arricchimento. Questi obiettivi sono raggiunti attraverso:

- la naturalizzazione (il ricorso sistematico alle sole radici nazionali);


- la classicizzazione (il recupero delle radici classiche);
- la occidentalizzazione (l’adozione di forme internazionali).

La politica linguistica
Quasi tutti i Paesi hanno una politica linguistica, a volte palese, altre volte meno, a volte
imposta, altre volte stabilizzata da lungo tempo, con la quale si tende a privilegiare l’uso
di una lingua a discapito di un’altra, per ridurre le differenze, per omogeneizzare la
popolazione, al fine di rendere più semplice il controllo politico e sociale, in una parola
per esercitare il potere in maniera meno conflittuale.

Le visioni della politica linguistica


Gli interventi politici in ambito linguistico possono partire da tre distinti punti di vista:

- Visione evoluzionista di tipo darwiniano (progressiva svalutazione, oppressione o


addirittura eliminazione delle lingue più deboli);
- Visione conservativa (conservare e tutelare le lingue minori);
- Visione protettiva (conservare tutti gli elementi etno-culturali non solo linguistici).

I modelli di interazione etnica

- Assimilazione: Melting pot statunitense, integrazione alla francese, formazione


di lingue ibride di contatto (pidgin e creole);
- Multiculturalismo: Pluralismo britannico, salad bowl, modello bilinguistico o
plurilinguistico;
- Funzionalismo: Accoglienza di flussi migratori, lavoratori, ospiti (turismo),
bilinguismo non perfetto, informale;
- Eterolocalismo: distribuzione dispersa, attività sociali separate, identità condivise
su internet, globalizzazione, comunità scientifica, bilinguismo o plurilinguismo
volontario.

La dinamica linguistica delle aree limitrofe (Breton, 1978)

Secondo tale modello, procedendo dal centro di una regione etnolinguistica (A) verso il
centro di un’altra regione etnolinguistica (B), possiamo osservare una serie di aree con
connotazioni linguistiche differenti. La prima è l’area dell’etnia A e in cui si parla solo la
lingua a (Aa); andando verso l’esterno,
però, ancora nella regione dell’etnia A, ci
saranno persone che hanno come prima
lingua a, ma utilizzano anche la vicina
lingua b (frangia bilingue Aab).
Proseguendo ancora, si incontrerà una
zona, sempre di etnia A, dove è invece la
lingua b a prevalere, mentre la lingua a ha
solo un’importanza secondaria (frangia bilingue Aba). Ancora più all’esterno, infine, ci
sarà un’area appartenente, sì, all’etnia A, ma monolingue b (Ab), e quindi, osserva Breton,
completamente allofona. Più avanti ancora ci sarà l’area dell’etnia B, con monolinguismo
etnofono b (Bb).
Le fasi territoriali del passaggio dalla lingua a alla b attraverso due frange di bilinguismo
a diversa prevalenza possono darci un’idea del processo, in questo caso, di
deculturazione dell’etnia A per effetto della maggiore influenza dell’etnia B (dal cui punto
di vista si può invece parlare di acculturazione).

La trasformazione delle lingue

La geografia linguistica
Lo studio della distribuzione territoriale delle lingue e dei loro meccanismi di diffusione
nello spazio e nel tempo hanno dato vita alla “geografia linguistica” (o geolinguistica, o
linguistica spaziale).

Le regole di Bartoli
Il Bartoli formulò una serie di considerazioni che, pur non avendo l’assolutezza delle
leggi (l’Autore preferì chiamarle norme) avevano interessanti contenuti geografici:

- Norma dell’area isolata: se di due forme linguistiche una si trova in un’area isolata e
l’altra in un’area più accessibile ai mezzi di comunicazione, la prima è più antica;
- Norma dell’area centrale (o delle aree laterali): se di due forme di una stessa lingua una
si trova nelle aree periferiche della regione che usa quella lingua e l’altra nelle aree
centrali, la prima è più antica;
- Norma dell’area vasta: se di due forme linguistiche una è usata in un’area più ampia
dell’altra, allora la prima è la più antica;
- Norma dell’area seriore: Nelle zone in cui la lingua è arrivata più tardi, tende a
conservarsi la fase più antica;
- Norma della fase sparita: se di due fasi linguistiche, una sta per scomparire, quella che
sta per estinguersi è la fase più antica.

Le norma dell’area isolata


La norma dell’area isolata, sostenendo che le forme linguistiche si conservano più a lungo
invariate in quelle regioni che sono meno esposte agli scambi con l’esterno, è senz’altro
convincente; basterebbe considerare la città come zona di più facili comunicazioni e la
campagna come zona isolata per ritrovare le osservazioni da cui siamo partiti. Ne
abbiamo in Italia un’ottima dimostrazione: quella rappresentata dal sardo, lingua nella
quale si conservano numerosi arcaismi. Mentre in italiano, ad esempio, i termini per
indicare “domani”, “casa” e “grande” derivano tutti dal latino tardo, in sardo, invece, la
derivazione dal latino arcaico (cras, domus e magnus) permane negli attuali kras, domo e
mannu.
Similmente, l’isolamento dell’Islanda, unito ad una solida cultura scritta, ha reso possibile
un’eccezionale conservazione della lingua originale, che è rimasta sostanzialmente
invariata negli ultimi mille anni, tant’è che, di fatto, oggi un islandese è capace di leggere
senza troppe difficoltà anche una saga del XIII secolo; per lo stesso motivo, d’altra parte,
alcune particolarità grammaticali che in altre lingue germaniche sono andate
attenuandosi sono rimaste invece immutate nella lingua islandese.

La norma dell’area centrale


La seconda delle norme citate, quella dell’area centrale, potrebbe, a prima vista,
sembrare in contraddizione con la precedente, in quanto si potrebbe essere portati a
pensare che le aree periferiche siano più esposte ai contatti con l’esterno e che, quindi,
costituiscano le zone in cui lo scambio con altre lingue è più intenso. In realtà, la norma
asserisce che tra due diverse forme di una lingua, parlate una in periferia e l’altra nel
centro, quella che si trova nell’area centrale è più recente, ma fa riferimento non tanto al
centro geometrico, quanto piuttosto a quello culturale ed economico: è qui, infatti, che
avvengono i più frequenti scambi con l’esterno, produttivi di innovazioni
linguistiche . L’esempio che si fa generalmente a tal proposito è quello delle lingue parlate
nel territorio dell’ex impero romano: lingue derivanti dal latino e diffuse in un’area
compresa tra il versante atlantico della penisola iberica, ad ovest, e la costa rumena sul
Mar Nero ad est. Ebbene, molti dei concetti espressi in italiano (o in francese, lingua di
un’area in più diretto contatto con Roma, centro di diffusione della lingua latina) con
termini derivanti dal latino tardo rivelano invece in castigliano o in rumeno una
derivazione dal latino classico. Se in Italia, ad esempio, parliamo di tavolo e in Francia di
table (dal latino recente tabula), in Spagna per indicare lo stesso concetto si usa mesa e
in Romania masa, vocaboli entrambi derivanti dal latino classicomensa.

Le norma dell’area vasta


Questa norma, di minore applicazione pratica generale, evidenzia come l’area maggiore
tende a conservare la fase più antica purché non sia troppo esposta a influenze
dall’esterno o sia formata da aree laterali.
Alcuni esempi vengono ancora dall’osservazione delle lingue neolatine: mentre in Italia,
Spagna e Dacia si utilizza la forma più diffusa derivante dal latino caput, in Francia si usa
quella derivante dal latino testa. Ancora, nella penisola iberica, italica e in Francia si
utilizzino i termini derivanti dal latino aperire, in Dacia si utilizza il termine derivato dal
latino dicludere.

La cartografia e la diffusione linguistica


Si possono tracciare carte tematiche riguardanti la diffusione di un certo linguaggio o di
una ben determinata parola, che avrà dei confini immaginari, dette linee di “isoglossia”.
Si definisce isoglossa la linea immaginaria con la quale, mediante un’ipotesi
metodologica, si uniscono i punti estremi di un’area geografica caratterizzata dalla
presenza di uno stesso fenomeno linguistico.
Questo fenomeno può essere di natura fonologica (isòfona), morfologica (isomòrfa),
sintattica, oppure lessicale (isolessi o, più di rado, isòsema); con riferimento
all’accentazione si può usare il termine isòtona.
Il concetto di isoglossa è stato introdotto da G.I. Ascoli negli anni Settanta del XIX secolo,
ma il termine venne coniato e utilizzato per primo da August J.G. Bielenstein nel 1892.

I diversi criteri di classificazione delle lingue

Quali sono i vari criteri per classificare le diverse lingue del mondo?

• Criteri “sociopolitici”: numero di parlanti, diffusione geografica, numero di paesi in cui


la lingua è considerata ufficiale, importanza di quei paesi a livello internazionale, ecc.
• Criterio genealogico: parentela tra due o più lingue (discendenti da un antenato
comune, una "progenitrice” dell’altra, ecc.).
• Criterio tipologico: la tipologia linguistica categorizza le lingue in base alle loro
caratteristiche strutturali, cioè le loro proprietà intrinseche (ad ogni livello: fonologico,
morfologico, sintattico, lessicale, ecc.). In altre parole, la tipologia studia le diverse
soluzioni concrete che ogni sistema-lingua adotta per far fronte alle necessità della
comunicazione umana.

Le famiglie linguistiche
Le circa tremila lingue parlate sulla Terra hanno in comune analogie più o meno
accentuate di fonetica, di grammatica, di vocabolario o di parentela storica accertata e
sono divise in gruppi su una base filogenetica. Sostanzialmente, si cerca di risalire in tutte
queste lingue a una lingua antenata comune, sebbene molti studi siano ancora in divenire
e si abbiano diverse ipotesi.
Secondo Ethnologue si possono attualmente configurare 142 famiglie linguistiche, di cui
però solo sei occupano la maggior varietà di lingue e il più elevato numero di parlanti.
Per quanto riguarda la varietà linguistica la famiglia Niger- Congo conta 1.536 lingue e
quella Austronesiana 1.225. Andando, invece, ad evidenziare il numero dei parlanti, la
famiglia Indo-Europea ha circa 3,3 miliardi di individui, seguita dalla famiglia Sino-Tibetana
con 1,4 miliardi di parlanti.

Distribuzione delle famiglie linguistiche

I gruppi etno-linguistici
I gruppi etno-linguistici sono oggi circa tremila e sono distribuiti in maniera non
uniforme sui diversi continenti, con la frammentazione linguistica che si presenta più
forte in Africa, in Asia e in Oceania.

I concetti di continuum e discretum nelle lingue


Un continuum è una catena di varietà di lingue (o dialetti), appartenenti alla stessa
famiglia e geograficamente adiacenti, la cui intelligibilità diminuisce con il crescere della
distanza geografica.
Due di esse ne costituiscono i poli e sono tra loro molto
diverse, mentre le altre si trovano in una posizione intermedia che sfumano una
nell’altra.
Dunque esse non appaiono separate da confini precisi (isoglosse nette), ma con punti di
contatto e di sovrapposizione tali da determinare il passaggio graduale dell’una
nell’altra.
Si ha un continuum linguistico quando spostandosi geograficamente il linguaggio varia
in maniera graduale, in modo da risultare mutualmente comprensibile e simile tra due
località poste nelle vicinanze e invece di difficile comprensione man mano che la
distanza tra le due località di allarga.
Il discretum invece avviene quando il continuum è fatto di varietà che non sfumano tra
loro ma sono indipendenti almeno in parte, quindi differenziabili nettamente.
Continua linguistici in Europa

La lega linguistica
Dagli studi di Trubezkoj emerge il concetto di sprachbund, tradotto in italiano con il
termine lega linguistica. Esso designa il progressivo avvicinamento di lingue eterogenee
o diverse che, venendo a contatto in una stessa area culturale, si sono reciprocamente
influenzate in modo da assumere caratteristiche comuni non riferibili a un'originaria
parentela genetica, ma risultato di una secondaria convergenza storica

Le lingue più diffuse


Fra questi gruppi, le lingue diffuse in più Paesi sono soltanto un centinaio. In particolare:
- l’inglese (lingua ufficiale o in situazione privilegiata in quarantasette Paesi);
- il francese (parlato in ventisei Paesi); l’arabo (parlato in ventuno Paesi);
- lo spagnolo (parlato in venti Paesi); il portoghese;
- il tedesco.

Le lingue principali
Appena quattordici lingue sono parlate da più di cento milioni di persone:
- inglese (1,5 miliardi);
- cinese mandarino (1,1 miliardi); hindi (602 milioni);
- spagnolo (548 milioni); francese (274 milioni);
- arabo standard (274 milioni); bengalese (273 milioni);
- russo (258 milioni);
- portoghese (258 milioni);
- urdu (231 milioni);
- indonesiano (199 milioni);
- tedesco standard (135 milioni);
- giapponese (125 milioni);
- pidgin nigeriano (121 milioni).
I linguaggi artificiali
Diverse dalle lingue naturali o spontanee sono le lingue “artificiali”, create per far fronte
ad avvertite esigenze di comunicazione su vasta scala.
Si possono poi avere delle lingue “resuscitate”, ossia lingue morte riportate in uso da un
gruppo etnico come espressione di una identità ritrovata.

I linguaggi artificiali
Fra i linguaggi artificiali si possono evidenziare:
- linguaggi con intenti universali, il più noto di tutti è l’esperanto;
- linguaggi di inclusione, per esempio il linguaggio dei segni (Ethnologue al 2022 ne
classifica 157);
- linguaggi letterari, in alcune opere si inventano non solo nuovi termini, ma anche delle
lingue o parte di esse;
- linguaggi tecnici specifici, in questa epoca, per esempio, i linguaggi di programmazione
dei computer

Potrebbero piacerti anche