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Capitolo 1

Etnie, culture, espressioni linguistiche


1.1.

Letnia e i suoi elementi costitutivi

In riferimento ad un gruppo umano, per cultura si intende linsieme degli elementi che
costituiscono il modo di vivere del gruppo stesso: credenze collettive, simboli, valori,
forme di comportamento, sistemi sociali. Per indicare un pi ampio gruppo di individui
che condividono i tratti di una specifica cultura si ricorre solitamente, invece, al
termine etnia. I gruppi etnici sono generalmente associati a dei territori di cui sono
occupanti principali o esclusivi e su cui hanno finito con limprimere particolari segni. Il
concetto in s per appare difficile da definire esattamente e in pi casi viene
utilizzato indifferentemente per indicarne altri: la razza, la nazione, il popolo. Proprio
per questo motivo utile ricostruire prima le origini del concetto di etnia. Solo dopo
aver fatto ci potremo continuare con laffrontare lo studio di quella componente
fondamentale della cultura che la lingua: elemento che, insieme alla religione,
identifica e classifica gli individui allinterno di societ complesse.
Una comunit umana legata al suo interno dalla coscienza di possedere un comune
patrimonio storico e da vincoli culturali forti e consolidatisi nel tempo, viene definita
come comunit etnica o gruppo etnico. Derivante dal greco thnos (popolo), il
concetto di etnia fu introdotto alla fine del Settecento dallo svizzero Chavannes. Fu
per lantropologo francese Georges Montandon, con il suo Lethnie francaise, a fornire
una prima definizione abbastanza esauriente del termine, riferendosi ad esso per
indicare un gruppo alla cui identificazione concorrono tutti i caratteri umani, siano essi
somatici, linguistici o culturali. Pi completa per la definizione di Becquet che
sottoline come unetnia sia un gruppo umano unito dalla comunanza di tratti culturali
e psicologici, derivanti dalla pratica di una stessa lingua. Posizione, questa, simile a
quella espressa negli stessi anni da Hraud secondo il quale popoli di uguale lingua
formano una stessa etnia. La lingua tuttavia, dice Hraud, non la cultura, ma il suo
veicolo; se una comunit perde la sua lingua mantiene ancora per un certo lasso di
tempo la sua cultura e continua ancora ad essere una comunit etnica. Altri studiosi
riservano laggettivo etnico soltanto a quei gruppi che hanno coscienza di s come
insieme, considerando il sentimento di appartenenza come il fattore fondamentale per
lidentificazione di unetnia e sottolineando come non basti avere in comune una
cultura di base, ma occorra anche la consapevolezza di far parte, per libera e
cosciente affiliazione, di una comunit. Unanalisi pi approfondita dei contenuti e del
significato del concetto di etnia stata fatta pi di recente da Smith che ha
individuato sei condizioni necessarie per poter definire una comunit sociale come
etnia, sei caratteri specifici e costituitivi del legame etnico.
1- La prima di queste condizioni il nome collettivo che deve essere riconosciuto
da tutti come elemento di identificazione, segno della comunit etnica
attraverso cui essa distingue se stessa e riassume la propria essenza;
2- La seconda invece la coscienza, per tutti i membri della comunit, della
discendenza comune. Tale consapevolezza, che molto spesso di tipo
mitologico, dona senso alle esperienze dei componenti del gruppo, fornendo
loro anche una linea di continuit generazionale ben definita;

3- La terza condizione il senso di una storia comune: il riferimento alle


memorie condivise, che non solo uniscono gli individui, ma rappresentano
anche la trama del tessuto connettivo tra le generazioni;
4- La partecipazione ad una cultura condivisa costituisce il quarto carattere
specifico di un legame etnico, distinguendo un gruppo dagli altri in tutte le
espressioni che da tale patrimonio di base conseguono. Lingua e religione sono,
secondo Smith, i tratti distintivi pi comuni. In particolare la lingua non
considerata da Smith un fattore essenziale di identit etnica, egli sostiene, anzi,
che il linguaggio pu perfino costituire un elemento di divisione per il senso di
appartenenza al medesimo gruppo.
5-

Quinta condizione il rapporto fra la comunit e un territorio determinato o


immaginario, ma comunque sentito come patria. Il territorio rilevante, cio,
non in quanto effettivamente occupato n per le sue caratteristiche oggettive,
ma per il legame esistente tra esso, simbolo e valore impresso nella memoria
collettiva, e la comunit.

6- E infine ci deve essere allinterno della comunit un senso di solidariet perch


si possa definire un gruppo come etnia: un nome, una discendenza, una storia,
una cultura ed un territorio condivisi fra tutti come patrimonio collettivo
tendono infatti ad alimentare uno spirito di comunanza che pu tradursi in
molteplici episodi di aiuto reciproco.
Vi sarebbero altri due concetti che, secondo Smith, ne definiscono il comportamento
verso lesterno: letnocentrismo e letnicismo.
1- Letnocentrismo induce i membri della comunit a distinguere in via
pregiudiziale il noi dal loro. Ci conduce a catalizzare la totalit, o la
maggior parte, dei sentimenti positivi nel gruppo dappartenenza, riservando
quelli negativi per gli altri.
2- Letnicismo, invece, riguarda la possibile mobilitazione del gruppo contro dei
fattori di disgregazione interni o una minaccia esterna, e spinge a rafforzare e
ad esaltare i suoi caratteri collettivi nei riguardi di un referente negativo, interno
o esterno, che viene percepito come un pericolo.
Tre sono anche le condizioni storico-sociali che, per Smith, hanno favorito nel corso
del tempo linsorgere del legame etnico.
1- In primo luogo la sedentariet che ha contribuito allo sviluppo nei gruppi di un
senso dappartenenza comune in risposta alla profonda nostalgia per la vita di
prima.
2- In secondo luogo la religione organizzata che ha permesso di definire il noi
contro il loro e linterno del gruppo inteso come il bene dallesterno visto
come il male.
3- Infine attraverso la formazione di una classe di intellettuali organica allinsieme,
il clero , che mediante luso del potere mito-simbolico in tutte le sue forme,
garantisce la continuit e la stabilit identitaria della comunit nel tempo.

per probabilmente un altro lelemento che sembra aver contribuito pi di tutti


allaffermazione dello spirito etnico, ed la guerra: essa agisce tanto come
strumento di mobilitazione interna ai gruppi, rinnovandone lidentit, quanto come
specifico fattore di stress esterno che attiva meccanismi identitari di difesa e di
rafforzamento del noi.

Pi articolata lanalisi del concetto di comunit etnica fatta da Breton. Questi


nel definire i caratteri generali della struttura etnica fa riferimento a nove elementi.
I primi tre, le pre-strutture, sono rappresentati dai: dati demografici del gruppo,
dalla sua lingua e dal suo territorio. Si tratta di tre componenti essenziali in quanto
una comunit etnica, per esistere, deve possedere una sua consistenza
demografica, deve vivere su e in rapporto ad un certo territorio e deve parlare una
sua lingua. Il dato demografico importante in quanto se il gruppo tende ad
invecchiare anche la sua lingua tender a perdere vigore; in un gruppo in piena
espansione, al contrario, anche la lingua recepir nuovi stimoli e conoscer
continue innovazioni.
Nel secondo insieme di elementi che Breton identifica, le strutture, rientrano
invece la: cultura non materiale, le classi sociali ed il sistema economico. La cultura
non materiale tutto il patrimonio spirituale ereditario del gruppo: la storia
comune, la religione in quanto fattore di coesione, la letteratura ecc. Lanalisi della
struttura sociale di una comunit linguistica e la sua divisione in classi sono, daltra
parte, ritenute necessarie poich dalla presenza o meno di barriere sociali
dipendono le possibilit di circolazione della cultura e lomogeneit della lingua; un
gruppo rigidamente suddiviso in classi difficilmente adoperer una medesima
forma di espressione: le classi pi elevate tenteranno, infatti, di distinguersi dalle
inferiori anche attraverso la lingua, adottando forme espressive pi elaborate o una
lingua straniera, laddove questa abbia un maggior prestigio. Lo sviluppo economico
pu incidere sulla vita di un gruppo, sulla sua struttura sociale e sulla sua stessa
distribuzione
spaziale. Di
uneconomia
debole, che
subisce
continui
condizionamenti da sistemi produttivi pi forti, risentir in senso negativo anche la
cultura, in quanto il gruppo economicamente dominante influir anche sulla cultura
(e alla lunga sulla lingua) di chi viene dominato.
Infine Breton prende in considerazione la presenza di istituzioni politiche, il ruolo
della metropoli e il tipo di rete urbana esistente (post-strutture). Le istituzioni
politiche possono ammettere diversi modi di partecipazione al potere da parte di
settori pi o meno ampi o ristretti del gruppo, e questo non privo di importanza
perch in un sistema democratico chi gestisce il potere deve saper interloquire con
tutti, anche con le classi pi povere, e dunque deve conoscerne linguaggio e
cultura. La metropoli intesa come il principale centro decisionale del territorio
abitato dalla comunit etnica: dalla sua vitalit e dalla sua forza dipende
lelaborazione di nuove idee, di nuovi modelli comportamentali, di nuove
espressioni linguistiche e culturali.
Essi costituiscono un sistema, nel senso che ad ogni variazione di uno conseguono
variazioni e adattamenti degli altri. Il merito di Breton sta proprio nellaver

dimostrato che un gruppo etnico non caratterizzato soltanto dalla sua cultura e
dalla sua lingua, ma da un insieme di elementi in stretta connessione fra loro. Al di
l della difficolt di giungere a definizioni precise, ci che emerge che nellambito
del genere umano si formano vari insiemi, ove lunione data da elementi
numerosi e diversi. Tutti questi elementi hanno una loro importanza, ma i vari
insiemi cos individuati presentano differenti aree di intersezione. Quel che certo
che non esiste nella realt contemporanea uno Stato la cui popolazione
costituisca un insieme omogeneo sotto i diversi punti di vista. La maggior parte
della societ del pianeta vede coesistere al proprio interno pi gruppi etnici. Lidea
di uno Stato-nazione etnicamente puro, di fatto, non pi realistica. In Europa il
concetto di etnia diventato non solo uno dei pi controversi, ma anche uno di
quelli pi a rischio. Esso, infatti, ha rappresentato spesso un pretesto per
mantenere saldo il potere nelle mani di gruppi dominanti intenzionati ad
emarginare dalle posizioni sociali pi rilevanti altri individui, non appartenenti alla
stessa etnia, o addirittura ad eliminarli fisicamente (pulizia etnica).
1.2.

Termini diversi per concetti differenti

Il concetto di etnia non va confuso n con il concetto di razza:


-

che designa, senza alcuna implicazione ideologica, un gruppo umano


contraddistinto dalla frequenza media di determinati caratteri somatici, un
sottoinsieme della popolazione, cio, i cui membri hanno in comune alcune
caratteristiche biologiche che li distinguono fisicamente da altri gruppi;

n con quello di gruppo culturale:


-

che, al contrario, prescinde da ogni riferimento biologico.

Da quando al concetto di razza si affiancato quello di etnia andata diffondendosi


una sorta di inquietudine concettuale. Questo proprio perch letnia doveva essere
individuata attraverso due criteri: da una parte, criteri dellantropologia fisica, basati
sullaccertamento oggettivo di caratteri somatici; dallaltra, criteri delle scienze sociali,
ove era difficile arrivare a conoscenze oggettive. Fu negli anni trenta del Novecento
che si cerc di superare il problema, e ci avvenne mediante lintroduzione del
concetto di modello di cultura: ogni elemento di un gruppo umano veniva considerato
parte di un insieme di elementi collegati e costituenti un tuttuno. La cultura si
rivelava, cos, una componente pi importante rispetto a quella antropologico - fisica.
Occorre aggiungere che nella definizione del concetto di etnia acquista una
considerevole rilevanza anche la coscienza dellappartenenza al gruppo (elemento
soggettivo), vale a dire la consapevolezza di essere sostanzialmente diversi da coloro
che non condividono le medesime caratteristiche distintive n la medesima eredit
culturale, e la volont di perseguire i propri scopi.
Unaltra precisazione da fare riguarda, poi, il concetto di nazione. Lidea di nazione
rientra nellambito della scienza politica e fa riferimento ad un gruppo che condivide
degli ideali ed uno stesso progetto politico (come quello di creare uno Stato
nazionale). Nazione , in altri termini, una collettivit di individui, coscienti di
appartenere ad un popolo con una propria peculiarit ed autonomia culturale, che
hanno in comune il progetto di ottenere o conservare un proprio ordinamento giuridico

e territoriale. Se, quindi, la consapevolezza di possedere un comune patrimonio di


valori sostiene lidentit culturale, quella di condividere uno stesso progetto politico
alla base dellidentit nazionale.
Poi troviamo la differenza tra stato e nazione. Mentre, infatti, quando si parla di
nazione si fa riferimento alle persone, ad un gruppo di individui, cio, legati da un forte
senso di unit, che condividono una cultura comune ed il progetto di un proprio
ordinamento giuridico e territoriale, per Stato si intende unentit politica indipendente
che detiene la sovranit su un territorio ed una popolazione definiti. In questultimo
significato, il termine sinonimo di Paese, ma non di nazione. Lespressione Statonazione andr riferita, di conseguenza, ad uno Stato la cui estensione territoriale
coincide con larea occupata da una nazione o, almeno, la cui popolazione condivide
un senso generale di coesione e adesione ad un insieme di valori comuni. In realt, per
quanto tutti i Paesi si diano da fare per arrivare ad un patrimonio di valori condivisi e
suscitare nei cittadini un senso di fedelt verso lo Stato, pochi possono definirsi
realmente Stati-nazione. Attraverso la richiesta di riconoscimento della propria
soggettivit storica e le azioni politiche tipiche del nazionalismo, un gruppo pu
cercare di ottenere quello strumento con cui la nazione pu finalmente diventare
soggetto politicamente autonomo, ovvero lo Stato, che cos Stato nazionale. Se, pur
non raggiungendo il suo obiettivo, riesce a conseguire almeno una quota
dellautonomia desiderata, il gruppo nazionale viene a far parte di uno Stato
multinazionale (il pi delle volte una federazione); qualora, invece, non riesca a
realizzare lo Stato nazionale e debba rimanere nellambito di uno Stato a maggioranza
nazionale diversa, esso costituisce una minoranza nazionale. Secondo Francesco
Capotorti, si pu parlare di minoranza in presenza di un gruppo numericamente
inferiore rispetto al resto della popolazione di uno Stato, purch esso non si trovi in
una posizione dominante. I membri di tale gruppo hanno la cittadinanza dello Stato,
ma le loro caratteristiche etniche, religiose o linguistiche li distinguono dal resto degli
abitanti.
1.3.

La diversit etnica oggi

Mentre alla soggettivit culturale nessuno pu rinunciare, perch lappartenenza ad


una comunit etnica un dato acquisito (si pu tuttavia rinunciare a difendere questa
soggettivit quando essa minacciata), la soggettivit storica una scelta politica, e
pu quindi cambiare con levolversi del pensiero sociale e politico. Ma il senso della
propria individualit culturale (etnia) e quello della propria individualit storica
(nazione) non sempre coincidono, e i due fenomeni (etnismo e nazionalismo) hanno
natura diversa. Gli etnismi attuali deriva pi probabilmente dal fatto che le comunit
minori avvertono, di fronte alloppressione indotta da un modello di societ che tende
ad uniformare schemi comportamentali e modi di pensare, il pericolo della loro
scomparsa in quanto entit culturali. La loro reazione, pertanto, non consiste in una
ricerca di individualit di fronte alla storia (un nazionalismo), ma piuttosto
espressione della volont di difendere la propria soggettivit culturale, e tende ad
ottenere forme di tutela per un patrimonio spirituale e culturale considerato
fondamentale. Smith ha osservato che le identit culturali, una volta create, non
appassiscono facilmente. Uno Stato evidentemente favorito se la sua popolazione
fortemente coesa e compatta, ed chiaro che la divisione in tanti gruppi diversi rende
pi difficile la nascita di un sentimento nazionale forte. Negli ultimi anni i conflitti tra

gruppi etnici allinterno di singoli Stati si sono inaspriti in tutto il mondo. Nel caso
dellAfrica, ad esempio, i contrasti sono stati una costante dopo la decolonizzazione;
una volta ottenuta lindipendenza politica, infatti, le ex colonie hanno fatta propria
lidea di Stato, accettando generalmente i confini tracciati dai precedenti dominatori
europei: confini che avevano finito col riunire in uno stesso territorio gruppi che
avevano ben poco in comune tra loro. Le suddivisioni amministrative decise dai
colonizzatori europei avevano cos diviso quasi tutte le etnie tra pi Stati. Ecco perch
il difficile problema che molti dei nuovi Paesi africani si sono trovati a dover affrontare
stato quello di creare la nazione, ovvero cercare di sviluppare, in una cittadinanza
costituita in modo arbitrario, sentimenti di fedelt verso lo Stato. Tutta la storia
dellumanit disseminata di crimini contro comunit prese di mira per la loro
diversit culturale o razziale; e in questi ultimi anni attorno allespressione pulizia
etnica hanno ruotato conflitti scoppiati in numerose parti dellAfrica, cos come nel
Sud-Est asiatico e in alcuni territori dellex Unione Sovietica e dellEuropa orientale.
Non va dimenticato, daltro canto, che letnocentrismo pu si costituire un elemento di
divisione, ma pu anche assumere una connotazione positiva e rivelarsi un fattore di
riconoscimento e di identificazione capace di offrire valori e sostegno allindividuo che
si ritrova allinterno di un contesto a lui estraneo. Si pensi anche a come le svariate
China Town e Little Italy abbiano fornito un rifugio concreto e sistemi di supporto
fondamentali per i nuovi arrivati. Una societ viene inoltre definita multietnica non
solo se comprende al proprio interno molteplici gruppi etnicamente differenti, ma
anche se i membri di ciascun gruppo ritengono di possedere una cultura distinta da
quella degli altri ed esprimono la volont di salvaguardare la propria identit comune,
per la quale richiedono un riconoscimento ufficiale. Le societ multietniche non
costituiscono una novit di questi anni, nelle maggiori citt si sempre concentrata
una grande variet etnica e culturale. Nei decenni pi recenti, tuttavia, si assistito ad
una crescente richiesta di riconoscimento dellautonomia etnica nelle societ
multietniche di tutto il mondo. Quando diciamo, allora, che il mondo diventato
multietnico non perch la societ e le culture siano pi numerose di una volta, ma
perch parlano con voce sempre pi autonoma e determinata. La multi etnicit implica
necessariamente la multiculturalit. Una societ definita come multiculturale nella
misura in cui al suo interno tutte le differenze di cultura, costume, etnia sono
ugualmente rispettate, tanto reciprocamente quanto dal potere centrale.
1.4.

Regioni culturali e confini etnici

I tratti e le strutture culturali possono essere propriet condivisa di individui per altri
aspetti distinti, ma associati dal punto di vista spaziale. Anche le societ multietniche
possono comunque condividere un certo numero di caratteristiche, sufficiente a
renderle delle entit culturali riconoscibili: in questo caso possibile individuare un
sistema culturale. Tratti, strutture e sistemi culturali hanno dunque una propria
estensione spaziale; rappresentati su una carta geografica, mostrano il carattere
regionale delle componenti culturali. Ed proprio allo studio delle regioni culturali che
la Geografia umana interessata. Ogni regione potr essere definita in relazione ad
ununica caratteristica peculiare o ad un insieme di caratteristiche. La regione
culturale si caratterizza non solo per la presenza di una comunit dotata di una sua
propria ed originale espressione culturale, bens anche perch sul suo territorio
percepibile tanto limpronta dei prodotti sociali della cultura quanto quella degli
oggetti materiali che danno forma al paesaggio (es. abitazioni). Il territorio abitato da

una comunit etnica, per, non viene sentito dai componenti del gruppo con la
stessa intensit. A tal proposito, pu essere utile, ai fini di una valutazione della
diversa intensit dell etnicit dello spazio, fare un confronto tra il territorio etnico e
quello di un Paese che andato costituendosi a partire da un nucleo territoriale
centrale. Nel nucleo centrale dello Stato gli individui hanno potuto sviluppare quella
coesione organizzativa da cui sorta la struttura complessiva del sistema statale; qui
la facilit dei trasporti e delle comunicazioni ha favorito lo scambio dei beni e delle
idee, ma anche lelaborazione di forme di aggregazione sociale e la gestione degli
interessi del gruppo; qui i segni dellidentit nazionale sono pi chiari e forti; da qui
partono quelle iniziative che progressivamente si estendono alla periferia. Ebbene,
anche nel territorio etnico possibile individuare un nucleo nel quale sono radicate le
forze ideali da cui la cultura ha avuto origine, unarea ove sorgono i centri in cui tale
cultura continua ad essere sviluppata, dove si trovano le principale strutture che
provvedono alla produzione e alla conservazione del patrimonio culturale comune, e
dove intensa risulta lattivit socio-politica della comunit. Consideriamo ora il modello
di regione culturale elaborato da Donald Meinig negli anni settanta. Egli aveva messo
in evidenza come nellOvest degli Stati Uniti fossero identificabili almeno sei nuclei
culturali distinti che avevano dato vita ad altrettante regioni culturali; le aveva
individuate sulla carta, e aveva osservato che tali regioni andavano evolvendosi
attraverso quattro stadi di sviluppo.
1- In primo luogo cresceva la popolazione e si sviluppava un insediamento
originale tramite espansione;
2- Nel frattempo, a mano a mano che si intensificavano le comunicazioni interne e
diventavano pi efficaci quelle con lesterno, cambiavano gli schemi di
circolazione;
3- Ancora, lorganizzazione politica diventava via via pi complessa;
4- E intanto emergeva la cultura regionale e si rafforzava lidentit culturale.
Meinig si occup in particolare di una di queste regioni culturali, quella dei Mormoni
nello Utah, e mise in evidenza come il relativo isolamento e lo sviluppo senza ostacoli
da essa sperimentato si fossero tradotti in un modello spaziale con tre zone di
concentrazione:
1- In primo luogo unarea nucleo (core), contenente lessenza del complesso
culturale, la pi forte concentrazione di tratti culturali ed un paesaggio
omogeneo;
2- Poi un dominio in cui il complesso culturale restava, si, forte ma in misura
minore rispetto allarea nucleo;
3- Infine una sfera di influenza, area esterna e di contatto periferico in cui
prevalevano solo certi tratti e le persone appartenenti alla cultura dellarea
nucleo potevano essere in minoranza.
Le tre zone mostravano, quindi, il declino della forza culturale che si manifesta a
partire dal nucleo centrale andando verso lesterno. Il nucleo centrale larea pi
chiaramente sentita come patria ed quindi, generalmente, la zona in cui la cultura
della comunit possiede maggior forza e mostra maggior capacit di resistenza alle
influenze esterne; il dominio, invece, larea del contatto e del continuo confronto con
gli altri, mentre le sfere di influenza o sono quel che resta di un nucleo centrale un
tempo pi esteso e poi intaccato da unaltra cultura o sono aree in cui parte della

popolazione proveniente dal nucleo centrale si trasferita, portando con s anche


limpronta della propria appartenenza etnica. Si detto che il legame col territorio
sentito come qualcosa a cui non si pu rinunciare. Per rafforzare ulteriormente tale
legame molte volte si attribuisce al territorio etnico una valenza religiosa, rendendolo
sacro con la presenza di santuari, luoghi di culto, come pure monumenti
commemorativi di episodi o personaggi della storia e del mito della comunit. Quando
la localizzazione di un gruppo in una determinata area, anche molto distante dal luogo
dorigine, raggiunge una certa soglia e se ne possono notare i segni, si pu parlare di
quartiere etnicamente connotato: di una zona, cio, in cui la presenza consistente di
alcuni gruppi e la visibilit di tutta una serie di attivit, nonch di alcuni servizi e
punti di incontro, contrassegnano in modo evidente il territorio. In pi casi, inoltre, essi
assolvono una funzione complessa: innanzitutto costituendo degli ambienti di vita
dove pi facile linserimento di nuovi arrivati e dove possibile affermare la propria
identit; e, in secondo luogo, configurandosi come spazi di relazione che consentono
ad alcune popolazione disperse nel territorio di ritrovare servizi e beni altrimenti
irraggiungibili. Rappresentano dunque, tali quartieri, dei luoghi centrali etnici
allinterno di un contesto multicentrico e reticolare. Dal momento che il legame col
proprio territorio ha un ruolo fondamentale per ciascun gruppo etnico, anche il modo
in cui i suoi confini vengono percepiti ha grande importanza. Il problema, per, che
la determinazione esatta di un confine etnico risulta assai difficile, perch il territorio
etnico quasi sempre unarea dai contorni incerti; al di fuori della sua area centrale, ci
sar una zona in cui alcuni tratti delletnia dominante andranno fondendosi con quelli
delle etnie circostanti e tale fascia potr diventare anche unarea di scontro tra
comunit differenti. I confini etnici non coincidono quasi mai con quelli politici e ancora
pi difficilmente restano fermi nel tempo. Maggiori problemi sorgono,
tendenzialmente, nelle zone di transizione tra aree linguistico - culturali differenti:
poich qui raro che si determini un rapporto di perfetto equilibrio, o finisce con lo
stabilirsi una reciproca tolleranza, che poi il pi delle volte accettazione da parte
delletnia pi debole della dominanza culturale del gruppo pi forte, o viene a crearsi
una situazione conflittuale, in cui ciascuna comunit cerca di affermare la sua
presenza contrassegnando nel modo pi incisivo il territorio. Lintensit dei conflitti
nella fascia di transizione dipende comunque, il pi delle volte, dalle scelte di chi,
nellarea centrale, detiene il potere; fortunatamente, per, almeno per quanto riguarda
lEuropa, sempre pi diffusa la tendenza a pensare alle diverse zone di transizione
come a delle aree di mediazione, a dei luoghi di incontro che, proprio in virt dei loro
caratteri, possono facilitare i rapporti fra gli Stati.

Capitolo 2
Lingue e geografia

2.1. Premessa
Negli ultimi trentanni linteresse per lo studio della lingua andato crescendo. La
lingua riflette infatti i comportamenti e il modo di pensare di ogni popolo. Daltra parte
sono andate moltiplicandosi le questioni poste dalla pluralit delle lingue: la
globalizzazione e la crescita dei flussi migratori hanno portato gradualmente sempre
pi istituzioni nazionali ed internazionali, individui ed intere popolazione, ad adottare
quotidianamente luso di due o pi lingue.

2.2. Lo studio degli aspetti spaziali delle lingue


I linguisti scompongono la lingua in elementi di un codice costituito da due
articolazioni sovrapposte:
-

i monemi: che rappresentano le pi semplici unit dotate di significato;


e i fonemi: unit fonetiche (suoni) costruite per ciascuna parlata a partire da un
certo numero di consonanti e vocali pronunciate in un determinato modo.

I fonemi possono essere rappresentati, a seconda delle scritture, attraverso un numero


variabile di segni grafici grafemi: una lettera o un gruppo di lettere ed
eventualmente dei segni, detti diacritici (come la dieresi, la cediglia o la tilde), che ne
precisano la pronuncia.
Queste scritture sono definite fonografiche. Altre, invece, si avvalgono di particolari
segni indicanti direttamente parole o concetti (e non suoni) e sono per tale motivo
definite ideografiche (caratteri cinesi, geroglifici egizi). La maggior parte delle scritture
ideografiche anche detta semiografica in quanto combina la rappresentazione di
parole e suoni secondo la logica dei rebus enigmistici. Negli studi linguistici prevalgono
due approcci, naturalmente complementari:
-

sincronico: che analizza lo stato delle lingue nel loro organizzarsi sistematico e
simultaneo e che osserva dunque ciascuna parlata, considerata come un
insieme, in un momento dato;
diacronico: che rileva invece sostituzioni e cambiamenti delle lingue nel corso
del tempo.

Tali prospettive hanno consentito di indagare pi a fondo le diverse componenti delle


varie lingue, individuando linflusso esercitato su ognuna di essa da altre parlate e le
sedimentazioni esistenti. Spesso il lavoro dei linguisti si intreccia con quello dei
geografi: i primi mirano a ricostruire le vicende storico-territoriali delle lingue in s, i
secondi se ne servono per analizzare le societ umane nei loro complessi rapporti con
il territorio (anche se per molto tempo hanno dedicato scarsa attenzione a questo
elemento). Per molto tempo la lingua stata considerata solo come uno dei tanti
caratteri di ciascun popolo, il principale dei quali fu a lungo ritenuto quello della razza.

A partire dellOttocento in campo linguistico nacque e si rafforz linteresse per la


distribuzione e la differenziazione spaziale delle parlate. Lesigenza di collegare in un
unico sistema di indagine la lingua e il territorio fece sorgere quel nuovo ramo della
glottologia che prendeva in esame anche le caratteristiche del territorio in cui i
fenomeni linguistici venivano osservati. La nuova impostazione ebbe tra i suoi
promotori Graziadio Isaia Ascoli considerato linventore del termine glottologia e
della relativa disciplina. Egli si oppose allidea manzoniana di utilizzare il fiorentino
come parlata nazionale: la lingua, secondo lui, doveva infatti riflettere la cultura
nazionale a tutti i livelli, e litaliano regionale avrebbe rappresentato una soluzione
migliore rispetto a quella costituita da una lingua decisa a tavolino. Nello stesso
periodo andava diffondendosi luso della cartografia che offriva la possibilit di
evidenziare le relazioni spaziali delle lingue sul territorio. Il primo a comprendere quali
opportunit sarebbero potute derivare nello studio dei dialetti dallutilizzo delle carte
geografiche fu lo svizzero Gilliron, che nel 1895 inizi a registrare sulla carta le
varianti dialettali di un certo numero di termini francesi. Ma fu George Wenker che per
primo fiss su una carta geografica i limiti territoriali di alcune forme dialettali.
Gilliron aveva intanto avviato la pubblicazione di un piccolo atlante linguistico
relativo ad unarea della Svizzera di lingua francese; successivamente pubblic lAtlas
Linguistique de la France. Con il suo atlante egli impose definitivamente il principio
della ricerca sul terreno, il rilevamento dei dati alla fonte ed il metodo della
rappresentazione cartografica. La geografia linguistica divenne ben presto un ramo a
s delle scienze linguistiche. Venne cos emergendo che, nella gran parte dei casi,
parole e pronunce simili non erano distribuite casualmente nello spazio, ma
risultavano tendenzialmente pi diffuse in particolari aree, e che era possibile
tracciare sulla carta delle linee separanti fenomeni linguistici omogenei da altri diversi:
tali linee furono definite isoglosse (riferite a fenomeni lessicali) e isofone (si si
riferivano a delle pronunce). Le linee di confine indicanti i limiti di una particolare
caratteristica linguistica consentivano infatti di rappresentare la distribuzione dei fatti
linguistici nello spazio, ed il confronto delle carte permetteva di evidenziare le analogie
distributive e di individuarne le correlazioni. Losservazione dellandamento spaziale
delle isoglosse consentiva di comprendere alcune delle connessioni tra fenomeni
prettamente linguistici ed aspetti geografici pi generali, e di rilevare le relazioni
esistenti tra lespressione parlata e le diverse forme di organizzazione del territorio,
questo metodo si rivelava particolarmente valido nello studio dellevoluzione storica
delle lingue. Lanalisi della diffusione di certe parole, espressioni o significati poteva,
cos, essere messa in relazione con certe usanze materiali o culturali o poteva rivelare
flussi, influenze, parentele. Un linguista non pu, cio, non valutare le correlazioni
esistenti tra fatti linguistici e fenomeni di altra natura (culturali, storici, geografici,
ecc).
2.3. Tra linguistica spaziale e Geografia delle lingue
Negli anni venti la Geografia linguistica assunse in Italia la denominazione di
neolinguistica. Nel 1945 Matteo Bartoli sugger di modificarla in linguistica spaziale,
volendo sottolineare limportanza che aveva in materia lanalisi territoriale. La
distinzione fra la Geografia linguistica e la Geografia delle lingue , in realt, ancora
oggi poco chiara. Quello che va ribadito fin dora che per analizzare la distribuzione
spaziale dei fatti di lingua il linguista utilizza lo strumento cartografico e studia le
correlazioni ed i legami di casualit tra fenomeni territoriali diversi: si serve, quindi, del

metodo geografico. Il lavoro del geografo, invece, comincia l dove termina quello del
linguista: egli prende in considerazione le diverse parlate in quanto fenomeno
culturale caratterizzante un gruppo umano, una societ. Nellambito dello studio
spaziale delle lingue, Bartoli fu colui che pi si avvicin alla Geografia, elaborando le
norme areali. Le principali affermano che:
-

se di due forme linguistiche una si trova in unarea isolata e laltra in una zona
di pi facili comunicazioni con lesterno, la prima pi antica. La norma
dellarea isolata senzaltro convincente; basterebbe considerare la citt come
zona di pi facili comunicazioni e la campagna come zona isolata. Un esempio
rappresentato dal sardo. Mentre, infatti, in italiano alcuni termini derivano tutti
dal latino tardo, in sardo invece la derivazione dal latino arcaico permane. Un
caso simile quello dellIslanda il cui isolamento ha reso possibile
uneccezionale conservazione della lingua originale che rimasta
sostanzialmente invariata negli ultimi mille anni tant che di fatto oggi un
islandese capace di leggere senza troppe difficolt anche una saga del XIII
secolo.
La seconda norma afferma che: se in una regione esistono due forme della
stessa lingua quella che si trova nellarea centrale pi recente, quella che si
trova nelle aree periferiche pi antica. Questa norma fa riferimento non tanto
al centro geometrico, quanto piuttosto a quello culturale ed economico: qui,
infatti, che avvengono i pi frequenti scambi con lesterno, produttivi di
innovazioni linguistiche.
E infine la terza norma: se di due forme linguistiche una usata in unarea pi
ampia dellaltra, quella la pi antica.

In seguito alle norme di Bartoli la Linguistica spaziale ha attinto dalla Geografia


sempre pi spunti per i suoi studi. Da questo deriva un rinnovamento della Geografia
culturale. Se lottica precedente, infatti, portava a minimizzare le differenze culturali,
le nuove concezioni tendevano a rivalutare il ruolo della lingua nella formazione delle
strutture mentali, culturali ed etniche. Il primo a comprendere che la lingua avesse
interesse anche per il geografo fu un portoghese, Carlos M. Delgado de Carvalho, che
negli anni quaranta distinse in modo chiaro la Geografia linguistica dalla Geografia
delle lingue, e attribu a questultima il compito di analizzare la formazione delle aree
di distribuzione di determinate parlate. Fu inoltre il primo ad attribuire un significato
realmente geografico alla regione linguistica, considerandola come vera e propria
regione culturale al cui interno laggregazione sociale massima e la circolazione delle
idee e delle innovazioni si realizza con maggiore velocit e capillarit. Ogni lingua
corrisponde ad una particolare organizzazione dei dati dellesperienza e ciascun
gruppo umano elabora la sua cultura attraverso lo scambio di idee e di informazioni
reso possibile dalla comune forma di espressione. Alla base di ogni regione umana c
allora un codice comune di comunicazione che riflette il momento costruttivo
originario di quella regione e che, nelle sue successive trasformazioni, ne rispecchia
levoluzione. Lanalisi dellestensione territoriale di ciascun codice, della sua forza,
della sua complessit, dei suoi utilizzi, della sua capacit di aggregare altre persone,
della sua evoluzione, costituisce una parte importante della Geografia umana, perch
porta ad osservare uno degli aspetti fondamentali dellazione creativa delluomo. La
lingua ha un suo preciso momento geografico e il geografo pu attraverso di essa
individuare la rete di correlazioni che legano un gruppo sociale agli altri e allambiente.

2.4. Gli strumenti dellanalisi


2.4.1 I censimenti linguistici
La lingua ha un ruolo molto importante nella formazione del sentimento nazionale.
Non un caso se lidea di nazione ebbe un preciso contenuto linguistico. Quando, poi,
la nazione riusc a trovare una realizzazione dal punto di vista territoriale ed
amministrativo, diventando, Stato-nazione, la questione della lingua acquis una
precisa connotazione geografica. Cos come in passato si era obbligati a seguire la
religione del proprio principe, ora chi, abitante di un certo territorio statale, parlava
una lingua diversa da quella nazionale rappresentava un pericolo, e doveva perci
cambiare il suo modo di esprimersi. Per valutare la diffusione delle lingue e la
consistenza di eventuali gruppi alloglotti presenti sul territorio sono stati generalmente
adoperati i censimenti. Tuttavia utilizzando questo metodo facile incorrere in
malintesi. Lindicatore utilizzato nella maggior parte dei casi la lingua materna, ma
anche su questa definizione vi sono alcune discordanze, a seconda che si adotti il
criterio:
-

dellanteriorit cronologica (in base al quale tale la lingua che ognuno di noi
apprende per prima);
o delluso continuativo (per cui la lingua materna quella che si continua a
parlare e, soprattutto, nella quale si pensa).

Ad ogni modo si generalmente daccordo sullimportanza della madrelingua quale


indice di appartenenza dellindividuo ad un gruppo. Nei Paesi ove diffuso il
plurilinguismo, la ripartizione degli abitanti in base alle diverse classi possibili pu
mostrare i differenti percorsi dellacculturazione.
Un primo problema deriva dalla scelta del momento in cui effettuare un
censimento.
-

Se la rilevazione dovesse avvenire in un periodo in cui condizioni economiche o


azioni politiche hanno reso critiche le condizioni di una comunit, risulterebbe in
un certo senso ufficializzata una situazione di minorit;
Una difficolt ancora maggiore, per, discende dal fatto che lappartenenza di
un individuo ad un certo gruppo linguistico pu essere rilevata mediante
opportune domande alla popolazione, ed facile capire come il modo in cui
vengono formulate le domande possa celare alcune trappole.

Prendiamo il caso del Belgio, Paese che la questione linguistica ha pi volte


rischiato di spaccare in due. Il primo censimento linguistico venne qui effettuato nel
-

1848, e in quelloccasione venne domandato ai cittadini qual era la lingua che


parlavano abitualmente; dal momento, per, che molti di loro adoperavano
abitualmente tanto il francese quanto il fiammingo, la lingua duso fu rilevata
secondo criteri alquanto discutibili: a Bruxelles, ad esempio, vennero registrati
come parlanti francesi gli abitanti dei quartieri centrali ed i padroni, come
parlanti fiammingo quelli della periferia ed i servi. Fu proprio attraverso questo
censimento che i neerlandesi fiamminghi si accorsero della loro forza numerica.

Tra il 1866 e il 1890 fu chiesto semplicemente quali fossero le lingue conosciute;


lintroduzione
del
bilinguismo
nella
pubblica
amministrazione
rese
indispensabile, per, unindagine pi accurata, che consentisse di sapere qual
era la lingua maggioritaria nei singoli distretti. Vi furono discussioni e polemiche
e alla fine
- nel 1910 si decise per non favorire nessuna delle due comunit e di far
riferimento alla lingua parlata pi frequentemente
Dopo la rilevazione del 1947 il Belgio ha rinunciato a compiere indagini ufficiali
e ha adottato un regime di bilinguismo indipendente dalla consistenza numerica
dei due gruppi.

Per quanto riguarda lItalia soltanto nel primo censimento dello Stato unitario
venne fatta a tutti i cittadini una domanda sulla lingua da loro usata. La difficolt di
rilevare esattamente le diverse parlate locali, unita alla scarsa preparazione dei
rilevatori, alla poca dimestichezza della popolazione con i censimenti e
allambiguit delle domande resero, tuttavia, i risultati cos poco attendibili che si
prefer dare ad essi non troppo risalto. Durante il fascismo venne impedita qualsiasi
rilevazione a carattere linguistico. Accanto ai censimenti etno-linguistici ci possono
essere delle valutazioni fatte con criteri differenti da organi ufficiali o da enti sorti
per la tutela delle comunit minori. Altre volte, invece, si rendono necessarie delle
ricerche dirette sui diversi usi orali (e talvolta anche su quello scritto) delle lingue.
Daiuto nella valutazione della diffusione di una lingua possono essere i dati sulla
tiratura di libri, giornali e periodici e si potrebbe anche fare attenzione ai mezzi
audiovisivi: alle lingue, cio, della radio e della televisione. E pi di ogni altra
indicazione, a tal proposito, sarebbe rivelatrice listruzione: i dati relativi alle lingue
insegnate possono infatti fornire utili indicazioni sugli orientamenti dei governi e le
tendenze delle popolazioni (che non sempre coincidono) e dar emergere lesistenza
di situazioni di disparit gerarchica nelluso sociale delle lingue stesse.
2.4.2 La rappresentazione cartografica
Subito dopo la pubblicazione dellAtlante di Gilliron vi fu un fiorire di altri
strumenti cartografico - linguistici. Si trattava, in sostanza, di volumi formati da
numerose carte, su ognuna delle quali veniva riportata la distribuzione e la
localizzazione delle forme linguistiche che un concetto scelto in precedenza
assumeva nei punti indagati; in questo modo si poteva ottenere una visione
dinsieme di tutte le realizzazioni dialettali di una parola o una frase in un
determinato territorio preso in considerazione. Le carte che compongono un atlante
linguistico possono essere classificate in almeno tre gruppi a seconda degli aspetti
che intendono rappresentare: pu trattarsi di carte
-

fonetiche, che mostrano le diverse pronunce di uno stesso suono;


lessicali, indicanti le varianti lessicali adoperate per esprimere uno stesso
concetto
linguistiche, utili nello studio di fonemi, parole, ma anche di forme e costruzioni,
e superiori alle altre quanto a ricchezza degli elementi contenuti e molteplicit
degli spunti di ricerca offerti.

Oltre questi tre tipi di carte, Breton, ne individua altre due tipologie: le carte

onomasiologiche (o delle designazioni), raffiguranti i diversi termini che fanno


riferimento ad una stessa realt in una determinata area geografica;
e semasiologiche (o delle significazioni), che registrano i differenti significati di
uno stesso vocabolo.

Alcuni atlanti hanno anche un interesse dal punto di vista etnografico; la linguistica
infatti, secondo alcuni studiosi, non pu dissociarsi dallo studio di quella che la
cultura in senso antropologico poich le parole rimandano ad una realt umana che
la lingua esprime e allinterno della quale la lingua serve per comunicare. La
Geografia delle lingue prese le mosse proprio dalla Geografia linguistica o
dialettologica. Il linguista fissava i confini tra il campo di variazione continue e le
zone in cui la continuit si interrompeva e le parlate divenivano reciprocamente
inintelligibili; il sociolinguista poteva indagare la variazione degli usi linguistici a
seconda delle classi e dei gruppi sociali; al geografo restava da spiegare la
distribuzione spaziale delle lingue come fenomeno globale a scala macrosociale,
cercandone le correlazioni con linsieme dei fatti territoriali. Carte tematiche e carte
di sintesi costruite al fine di spiegare la distribuzione territoriale dei fenomeni
linguistici si sono rivelate spesso, tuttavia, pi degli strumenti politici che dei validi
documenti scientifici. E in particolare quelle relative ai confini e alla diffusione delle
lingue non sono riuscite a sfuggire ad un uso strumentale. Dal momento che una
carta possiede una forza politica pi evidente rispetto al risultato di un censimento,
i rischi di manipolazione ideologica sono in questo caso ancora maggiori rispetto a
quelli insiti nelle rilevazioni censuarie. Daltra parte, oggettivamente molto
difficile rappresentare graficamente un fenomeno cos poco definito nello spazio
qual unarea linguistica, tracciandone i confini territoriali.
Allinterno di una lingua, ci troviamo di fronte ad un campo di variazione continua
di fenomeni vicini, ed complicato stabilire dove finisca un dialetto e ne inizi un
altro. Via via che ci avviciniamo alla realt ed aumenta la scala di osservazione,
tracciare un confine netto diventa ancora pi difficile. Dal momento che tra le aree
dialettali non c generalmente soluzione di continuit, esse configurano, nel loro
insieme, un campo di variazione continuo (una pi grande area linguistica) al cui
interno possibile una progressiva intercomprensione tra gruppi vicini. E
solitamente, nelle aree linguistiche cos individuate, domina ununica lingua
normalizzata, una lingua di cultura di pi vasto respiro. Per quanto estese siano,
tuttavia, le aree linguistiche non arrivano mai a coprire interi continenti:
lintercomprensione ha infatti dei limiti che si fanno, ad un certo punto,
estremamente netti. Mentre, pertanto, le aree dialettali sono il pi delle volte
difficili da definire, tra le grandi aree linguistiche, e soprattutto tra le aree di lingue
appartenenti a famiglie diverse, i contorni divengono molto pi precisi. In questi
casi, infatti, non siamo pi dinanzi ad un campo di variazione continua ma alla
contrapposizione di entit discrete, e quindi di elementi separati.
Al di l delle difficolt di delimitazione delle aree e di definizione delle parlate
proprie di queste aree, un altro problema quello riguardante la scelta della scala
da adottare: poco probabile, infatti, che si riescano a raggiungere buoni risultati
con carte a piccola scala, perch in tal caso andrebbero persi molti dettagli e si
trascurerebbero tutte quelle realt che risultano frammentate e disperse sul

territorio. Proprio per questo, la scala dovrebbe poter rappresentare lunit


amministrativa (e censuaria) pi piccola a disposizione per il territorio prescelto.
Unaltra difficolt deriva dai dati disponibili: i censimenti linguistici ci forniscono le
informazioni sulla consistenza numerica e la distribuzione territoriale di coloro che
utilizzano una determinata espressione linguistica e dovrebbero costituire, dunque,
la base per la costruzione delle carte tematiche. Ma, oltre ad essere poco diffusi,
essi vengono effettuati con criteri difformi e il pi delle volte poco attendibili. Anche
le carte realizzate sulla base dei dati da questi forniti andranno perci lette con
cautela.
Un ulteriore problema legato al momento che si intende rappresentare: i
fenomeni linguistici mutano pi o meno velocemente insieme allevolversi delle
vicende umane, mentre una carta linguistica fotografa una situazione storica ben
precisa, finendo con lavvalorare gli effetti di avvenimenti e politiche che non tutti
sono disposti ad accettare.

Capitolo 3
I molteplici usi delle lingue
3.1. Lingue e varianti linguistiche
Secondo lopinione unanime di psicologi e linguisti, la lingua materna ha un ruolo
fondamentale per ogni individuo e anche qualora dovesse, col passare del tempo,

essere soppiantata da unaltra parlata avrebbe comunque gi lasciato il segno sul


modo di sentire e di pensare. Alla parlata materna si pu affiancare lacquisizione
di una o pi seconde lingue. Lordine di apprendimento delle seconde lingue
corrisponde generalmente al diverso bisogno di utilizzo. In molte societ
prevalgono i privilegi politici o culturali di cui beneficiano alcune lingue rispetto ad
altre, che vengono cos relegate in posizioni marginali. Nellinsieme, in una
situazione di plurilinguismo, questa disparit di trattamento finisce inevitabilmente
col favorire lo sviluppo delluso di alcune lingue a svantaggio di altre, fino a poter
portare ad una loro graduale sostituzione. Gli individui che parlano una stessa
lingua costituiscono una comunit linguistica; lappartenenza ad una medesima
comunit, tuttavia, non implica di per s una situazione di uniformit. Al contrario:
accanto alla lingua standard (o ufficiale) generalmente esistono pi varianti
regionali (i dialetti) che riflettono il parlato quotidiano di una determinata area
geografica. Da un lato, infatti, il lessico, la pronuncia possono aiutarci a distinguere
un gruppo di persone da un altro, consentendoci di individuare lorigine di chi parla;
dallaltro, per, poich in pi casi le persone delle classi pi basse o meno istruite
tendono ad adoperare pi spesso il dialetto, luso di un dialetto pu contrassegnare
lappartenenza del soggetto ad una certa classe sociale o indicare il livello di
istruzione raggiunto. Un dialetto pu diventare lingua standard qualora esso
corrisponda alla parlata di coloro che detengono il potere o che occupano i gradini
pi alti nella gerarchia sociale della comunit. Spesso la variante che emerge come
base della lingua standard quella associata alla capitale o al centro del potere nel
periodo dello sviluppo nazionale. Cos avvenuto per il francese standard, fondato
sul dialetto della regione parigina, che divenne predominante su tutti gli altri idiomi
parlati nel territorio occupato dallattuale Francia, per il castigliano, per la lingua
russa standard e per il cinese standard, basato sul dialetto mandarino di Pechino. I
governi nazionali possono scegliere un singolo idioma come lingua ufficiale dello
Stato, e nelle societ in cui vengono adoperate comunemente due o pi lingue ci
pu facilitare le comunicazioni tra i cittadini. proprio per questo, daltra parte, che
decine di Paesi, nellintento di risolvere complesse situazioni di multilinguismo,
hanno sposato lidea che una lingua ufficiale potesse fungere da ombrello. Molti
paesi dellAfrica sub sahariana, ad esempio, hanno designato quale lingua ufficiale
quella della loro ex potenza coloniale. In realt, per, una scelta di questo tipo pu
rivelarsi rischiosa: sul lungo periodo, infatti, le conseguenze dellimposizione di una
lingua straniera possono essere tuttaltro che positive, e i cittadini possono
manifestare la volont di opporsi al primato di un idioma che associano alla
sottomissione e alla repressione. Proprio per questo motivo alcune ex colonie
hanno scelto non una, ma due lingue ufficiali. La qualifica di ufficiale viene
adoperata in due sensi diversi:
1- nel caso che si tratti di Stati, si definisce tale la lingua usata in tutte le occasioni
ufficiali;
2- a livello delle organizzazioni internazionali sono i diversi Stati membri a decidere
quali parlate adottare come ufficiali: per lUnione Europea, ad esempio,
assumono di diritto questa qualifica tutte le lingue ufficiali del Paesi che ne
fanno parte (e oggi, con ventisette Stati membri, sono ventitre le lingue
ufficiali).

Vero , daltra parte, che nelle organizzazioni internazionali si fa una distinzione tra
le lingue ufficiali e quelle di lavoro, quelle cio effettivamente usate in modo
generale: per restare sempre in Europa, la Commissione ha adottato come lingue di
lavoro linglese, il francese ed il tedesco. Gli Stati, poi, in alcuni casi distinguono le
lingue nazionali (espressione di un gruppo etnico consolidato, che pu aver
raggiunto una certa autonomia o indipendenza) dalle lingue ufficiali, usando poi pi
comunemente le seconde. Nelle strutture statali federali si possono individuare due
livelli duso ufficiale: quello della federazione e quello delle unit federate. Negli
Stati non federali, invece, si tende a contrapporre alla lingua nazionale una parlata
locale soltanto quando questultima ha un ruolo ben preciso o come legame
interetnico o interregionale oppure come espressione di unetnia. Spetta alla
Geografia delle lingue il compito di indagare sui rapporti, le discrepanze e le
interazioni fra i tre principali livelli di utilizzo delle lingue:
-

la loro diffusione come madrelingua nella popolazione;


luso delle comunicazioni;
e lo status giuridico.

3.2. Bilinguismi e multilinguismi


Pochi sono gli Stati effettivamente monolingui, che dispongono cio di un unico
idioma utilizzato nei diversi ambiti da tutti i cittadini; praticamente dovunque
migrazioni e divisioni di confine hanno determinato, nel corso del tempo, una
coesistenza di lingue. In alcuni Paesi il multilinguismo ufficialmente riconosciuto
attraverso la designazione di pi lingue ufficiali: Finlandia (finnico e svedese),
Canada (inglese e francese). Ma altri ne hanno anche pi di due: come la Bolivia e
il Per che ne hanno tre. Delle situazioni di bi o plurilinguismo sono state date
valutazioni differenti. Un tempo queste realt tendevano ad essere considerate in
modo negativo; essendo la lingua ritenuta, infatti, un momento di aggregazione di
una comunit nel corso della sua azione di trasformazione del territorio, esse erano
viste come il risultato di unimperfezione in tal senso. Inoltre il bilinguismo
derivante dalla necessit di esprimersi in modo diverso a seconda dei contesti e
delle situazioni veniva giudicato un elemento di debolezza per una comunit. Se,
poi, il bilinguismo fosse sorto dallesigenza di utilizzare una seconda lingua per
certi particolari usi, si sarebbe potuto interpretare il fatto che la lingua adoperata
normalmente non fosse utile in tutti i momenti della vita come prova di unancora
carente organizzazione della comunit. Oggi, tuttavia, si ritiene generalmente che
al plurilinguismo corrisponda una positiva condizione di pluriculturalismo e che
questa vada valorizzata, soprattutto in campo educativo; lutilizzo abituale di pi
lingue non visto, quindi, come un fenomeno da combattere, ma come una realt
da difendere, in quanto modo di essere caratteristico delle societ moderne.
indubbio che il multilinguismo possa riflettere significative divisioni culturali
allinterno di un Paese e che la frammentazione linguistica possa celare lazione di
incisive forze di divisione. La dinamica linguistica segue le tendenze della dinamica
sociale, ed il gruppo che rivela una maggiore capacit di incidere sulla societ
riesce, prima o poi, a far prevalere anche la propria lingua. Dal momento, per, che
i rapporti di forza possono variare nel tempo, il multilinguismo costituisce di norma
una realt in continua evoluzione. Ad ogni modo, il fenomeno pu assumere forme

differenti. Talvolta ha espressione regionale, nel senso che ciascuna delle lingue
parlate prevale in unarea specifica del Paese. Altre volte, invece, tale espressione
regionale si presenta molto meno evidente, essendosi verificata una notevole
commistione dei parlanti.
Una particolare forma di bilinguismo si verifica invece quando, a partire dal
medesimo idioma, viene a determinarsi una profonda divergenza tra lingua
popolare e lingua colta, tale da costituire una vera e propria barriera di
inintelligibilit tra le due. In tal caso, si parla di diglossia, proprio a sottolineare la
compresenza di due lingue o variet, differenziate funzionalmente, una delle quali
viene adoperata in ambito formale e laltra in ambito informale. Tanto il bilinguismo
quanto la diglossia, comunque, variano in base alle classi sociali e alle fasce det.
In linea generale, infatti, la popolazione di sesso maschile e quella in et lavorativa
risultano maggiormente interessate dai fenomeni di bilinguismo, mentre le persone
anziane restano pi compattamente monolingui ed attaccate alle forme locali o
tradizionali.

3.3. Stadi di sviluppo differenti


Il panorama linguistico in continua evoluzione. La disparit, oltre che in termini
quantitativi, si presenta forte anche da un punto di vista qualitativo, cio in
riferimento allo stadio raggiunto da ognuna nellespressione della cultura. A tal
proposito Breton ha ripartito le lingue secondo cinque livelli di sviluppo.
1- Ad un primo livello egli colloca le lingue prive di scrittura, di tradizione orale ed
uso locale: parlate tribali ritenute primitive e dialetti ampiamente diffusi nelluso
generale ma non fissati in una forma scritta che sono sottoposti alla
concorrenza delle lingue di cultura e minacciati di corruzione e di disaffezione.
2- Al secondo, invece, pone le lingue locali (o vernacole) che sono ormai entrate in
uno stadio di letterizzazione, divenute pi numerose grazie al riconoscimento
ufficiale e alla promozione da parte delle amministrazioni coloniali prima e dei
nuovi apparati statali poi.
3- Ad un terzo livello si pu osservare la crescente diffusione delle parlate
veicolari, originariamente lingue vernacole o pidgin, elevate poi in varie etnie a
seconda lingua dagli strati di popolazione dediti ad attivit di relazione. Sono
lingue nate dallesigenza di rendere possibili contatti e scambi tra individui
parlanti idiomi diversi.
4- Il quarto livello occupato, invece, dalle lingue nazionali, espressione di un
gruppo etnico consolidato che ha compiuto il processo di unificazione politica ed
ha assunto una sua cultura ben definita.
IN UNA PRIMA FASE
quando ancora non si pu parlare di popolo ma solo di un insieme di individui con
uno o pi interessi condivisi, la lingua si limita a consentire la comunicazione
interpersonale. Quando ad una parlata viene attribuito il compito di aggregare
intorno ad un unico ideale di nazione della comunit, tale lingua diviene allora
nazionale; e per facilitare lazione di governo, allontanando la comunit da
eventuali tentazioni separatiste, questa verr prescelta quale lingua obbligatoria

per lamministrazione, per linsegnamento e per tutte le funzioni proprie di un


sistema di gestione centralizzato.
5- Infine, vi un quinto livello, costituito da quelle lingue (cosiddette
internazionali) che vengono adoperate da pi Paesi, al di l delle loro differenze,
come strumento di rapporti internazionali e legame culturale. I primi ad
avvertire lesigenza di apprendere altre lingue sono i mercanti. internazionali
sono, perci, definite quelle lingue il cui uso stato rivolto a facilitare le
comunicazioni tra gruppi umani parlanti idiomi diversi.
Laggettivo internazionale, per, viene solitamente adoperato anche in
riferimento a delle lingue molto conosciute nel mondo. Lo sono state, tra le altre, il
greco, il latino nellimpero romano, il persiano allorch la dominazione islamica si
estesa alla penisola indiana, il cinese in Estremo Oriente, il quechua nellimpero
inca ecced tale oggi, a livello mondiale, linglese.
facile capire che una lingua diviene internazionale per un motivo fondamentale,
ovvero per il potere del popolo che la parla, che si tratti di potere politico o di
supremazia economica, culturale, tecnologica. Prendiamo il caso dellinglese:
ciascuna di queste forme di potere ha condizionato, in momenti diversi, la sua
espansione. La forza politica si manifestata essenzialmente nella forma di quel
colonialismo che, a partire dal Cinquecento, ha diffuso linglese nel mondo; il
potere tecnologico scaturito dalla Rivoluzione industriale del Sette - ottocento; a
partire dal XIX secolo si assistito, poi, alla crescita del potere economico degli
Stati Uniti, e nel Novecento si manifestata anche una supremazia di tipo
culturale, che ha agito attraverso sfere di influenza prevalentemente americane.
Proprio in conseguenza di queste diverse manifestazioni del potere, linglese
riuscito ad acquistare un indubbio predominio in pi campi differenti.
Perch si possa usare la qualifica di internazionale necessario che essa venga
adottata in altri Paesi del mondo e che assuma allinterno delle loro comunit un
posto particolare. Ci pu avvenire in due modi:
-

Da un lato, una lingua pu diventare ufficiale in pi Stati, e quindi essere


adoperata in ambito governativo;
Dallaltro, essa pu vedersi attribuire una netta priorit nellinsegnamento delle
lingue straniere in molti Paesi.

In virt di questo sviluppo tripartito (come madrelingua, come seconda lingua e


come lingua straniera) inevitabile che una parlata mondiale giunga ad essere
utilizzata da molte pi persone rispetto a qualsiasi altra. Oggi linglese ha raggiunto
questa fase: con una certa approssimazione si pu ritenere che siano circa 400
milioni coloro che hanno questa come lingua materna, almeno altrettanti quelli che
hanno appreso linglese come seconda lingua, e almeno 600 milioni gli individui in
grado di parlarlo come lingua straniera. Ma poich nelle regioni in cui linglese
seconda lingua la crescita demografica di circa tre volte superiore rispetto a
quella delle regioni in cui linglese lingua materna, presto il numero di coloro che
parlano linglese come seconda lingua sar di gran lunga superiore rispetto a
quello dei locutori nativi. proprio per tale ragione che linglese sta mutando
rapidamente. In India probabilmente vi sono pi persone che parlano inglese che in

Gran Bretagna e negli USA messi insieme. E queste persone vanno sviluppando un
proprio inglese: il processo di appropriazione della lingua implica infatti un
rimodellamento della stessa a seconda delle regioni, e quindi un adattamento a
culture, background linguistici e necessit differenti.
Linglese sta sperimentando una sorta di differenziazione regionale, e segue un
percorso che pare orientato alla reciproca intelligibilit delle proprie varianti, quelle
cio che sono state denominate New Englishes. I New Englishes sono nati per il
bisogno di esprimere lidentit nazionale e per il desiderio di manifestare tale
identit agli occhi del mondo.
Ad ogni modo, secondo gli studiosi del fenomeno, la tendenza pi probabile che
si verifichino tanto processi di divergenza quanto di convergenza. Se da una parte,
infatti, lutilizzo dellinglese come principale lingua di comunicazione a livello
mondiale una realt fuori discussione, dallaltra coloro che parlano inglese
finiscono con limparare due versioni diverse di tale lingua, una vicina alla propria
cultura e laltra riferibile al contesto internazionale.
3.4. Molteplicit di usi delle lingue
Dei molteplici usi che una lingua pu avere, uno dei pi importanti, ma anche uno
dei meno dinamici, sicuramente quello religioso. Il credo religioso un elemento
di quel sottosistema ideologico che compone ogni struttura culturale, mentre la
religione formalizzata ed organizzata ne costituisce un espressione istituzionale.
Elemento chiave nei processi di identificazione di gruppo, anche la religione, come
la lingua, un prodotto mentale ed agisce come veicolo di trasmissione della
cultura, per quanto risulti un identificatore di cultura spesso meno evidente
rispetto al linguaggio. Alcune societ sono dominate in tutti i loro aspetti dal credo
ufficialmente riconosciuto. Ma convinzioni e tradizioni religiose saldamente radicate
possono agire tanto come fattore di coesione quanto come elemento di
separazione.
Lingua e religione non sono indipendenti luna dallaltra. Lesercizio delle pratiche
religiose secondo formule e riti collettivi necessita, daltra parte, di una lingua
comune che consenta ai fedeli di sentirsi tutti ugualmente partecipi. La religione
pu influenzare la diffusione di una lingua su un ampio spazio svolgendo un ruolo
determinante nello sviluppo del nazionalismo arabo. Lesigenza di diffondere i testi
sacri, poi, pu richiedere lintroduzione di un alfabeto nel caso di comunit
illetterate. Andrebbe, inoltre, ricordato il ruolo della religione cristiana nello studio
di lingue meno note o nel passaggio alla forma scritta di lingue solo parlate. E,
ancora, non andrebbe dimenticato come luso di un certo idioma in ambito religioso
sia riuscito a preservare lingue altrimenti a rischio di estinzione o anche a
diffondere lingue di cultura nazionali. Le lingue liturgiche si distinguono da quelle
usate comunemente per la loro fissit. I diversi riti hanno generalmente bisogno di
formule non modificabili.
Non un caso, allora, se gli scismi religiosi che hanno coinvolto la Chiesa cattolica
sono stati anche degli scismi linguistici. Le novantacinque tesi affisse da Martin
Lutero alla porta della chiesa del palazzo ducale di Wittenberg nellottobre del 1517
erano scritte in latino; quando, per, la rottura con la Chiesa di Roma divenne

definitiva, Lutero prepar in tedesco una lunga lettera indirizzata alla nobilt
cristiana della nazione tedesca, invitandola allo scontro con Roma e dando inizio
alluso di questa lingua nellambito della Chiesa protestante.
Politiche linguistiche diverse sono state portate avanti dalle varie Chiese. Due
esempi fra tutti:
-

Lala pi filo-gallese della Chiesa anglicana istitu alla fine del XVIII secolo le
Sunday Schools, che diedero un prezioso contributo alla diffusione della
forma standard del gallese; questala si stacc progressivamente dalla
Chiesa anglicana fondando nel 1811 la Chiesa metodista. Il gallese riusc cos a
sopravvivere proprio in quanto saldamente legato ad una cultura locale ancora
viva e sempre sostenuto dai metodisti.
Ancora, le missioni cattoliche dellAfrica hanno sempre cercato di favorire le
lingue tribali sia per avere un mezzo di predicazione pi immediato, sia per
stroncare, laddove era penetrato, larabo, veicolo di diffusione dellIslam.

Oltre alla lingua e alla religione per gli individui trovano anche altri motivi di
aggregazione sociale. Uno dei principali sicuramente quello economico: gli
uomini per sopravvivere devono produrre i beni e i servizi di cui hanno bisogno. Per
tale motivo necessario che gli individui diano vita ad una struttura produttiva
ampia ed efficiente; e dal momento che questa ha bisogno di continui scambi di
informazioni, se le informazioni vengono trasmesse e comprese rapidamente tutto
il sistema economico se ne avvantaggia. Luso di una lingua in ambito economico
uno dei pi poveri; le trattative finalizzate al trasferimento di beni, servizi e denaro
tendono ad essere effettuate, infatti, attraverso codici linguistici facilmente
comprensibili e quindi ridotti allessenziale.
Le lingue franche sono sorte proprio dalla necessit di comunicare con un gran
numero di persone appartenenti a comunit linguistiche diverse in frequente
contatto tra di loro. Lespressione lingua franca deriva dallarabo al farang: in
origine era questo, infatti, il termine con cui i mercanti arabi chiamavano gli
europei. La lingua franca per eccellenza (il sabir) fu una lingua di servizio parlata
tra il XIII ed il XIX secolo. Col passare del tempo, per, lespressione lingua franca
divenuta sinonimo di lingua comune parlata da popoli aventi idiomi differenti. In
questa accezione, i territori del bacino del Mediterraneo tra il 300 a.C. e il 500 d.C.
vennero unificati dal greco; fu poi il latino ad imporsi come lingua franca,
divenendo lingua ufficiale dellimpero romano. Ancora, al di fuori della sfera
europea, fu laramaico la parlata comune nel Vicino Oriente e in Egitto, mentre
larabo dopo il VII secolo divent il linguaggio unificante della religione
musulmana.
La grande eterogeneit linguistica dellAfrica ha reso inevitabile la nascita di
numerose lingue franche. Una di quelle che col tempo andata cambiando valore
il kiswahili (o swahili). Da quanto detto emerge come nel corso della storia il
moltiplicarsi dei contatti fra i popoli abbia determinato costantemente la necessit
di strumenti linguistici comuni. Non un caso, allora, se linglese svolge oggi
sempre pi, a livello mondiale, il ruolo di lingua franca. Il fatto che i principali centri
motori delleconomia siano situati in aree di lingua inglese e che la scienza, le
industrie e le grandi organizzazioni trovino in tale lingua lo strumento per arrivare

ad un elevato numero di persone ha favorito la sua diffusione a livello planetario.


C, per, un altro caso ancora da considerare: quello di certe forme linguistiche
nate sotto lo stimolo di determinate esigenze duso che, dapprima estremamente
semplificate e adoperate soltanto in funzione delle necessit da cui sono derivate,
hanno talvolta assunto una pi alta dignit espressiva.
3.5. Le lingue di contatto
Se considerassimo, ad esempio, la situazione di uno Stato africano come il Ghana,
potremmo notare che, pur essendo presenti qui oltre settanta lingue diverse,
unica ufficiale linglese, parlata nativa di una porzione largamente minoritaria
degli oltre 20 milioni di abitanti del Paese; ciascun individuo adulto conosce quindi,
oltre alla propria lingua madre, almeno una parlata veicolare ed una variet di
quella ufficiale. chiaro come, in casi come questo, i fenomeni di interferenza
siano ben pi estesi. Tali fenomeni possono spingersi fino alle conseguenze pi
estreme, vale a dire alla formazione delle cosiddette lingue di contatto, ovvero di
quelle parlate veicolari che sono i pidgin e le lingue creole.
-

Pidgin

Col primo termine si intende un amalgama di lingue, dalla grammatica


estremamente semplice e con una terminologia ristretta, adeguata ad esprimere
idee di base e non concetti complessi, nato in seguito ai contatti tra gli europei e
le popolazioni locali. Forzati, infatti, al trasferimento nelle piantagioni delle Antille
e di altri territori coloniali, gli schiavi africani dovevano trovare il modo di
comunicare tanto fra di loro quanto coi loro padroni, e finirono con lelaborare un
nuovo linguaggio semplificando al massimo le loro parlate originarie e adottando
forme e termini dalle lingue dei colonizzatori. Quando tali schiavi cominciarono ad
elaborare una nuova cultura la loro lingua and acquisendo una maggiore
consistenza espressiva e si codific in forme durevoli, che poi, col passare del
tempo, divennero le uniche conosciute dai loro figli. Nel momento in cui poi la
schiavit termin tali parlate avevano ormai assunto una notevole ricchezza
espressiva e in certi casi anche una dignit letteraria. Un pidgin, insomma, una
lingua occasionale, provvisoria. Esso, solitamente, plasma la propria grammatica su
quella delle lingue indigene e costruisce invece il lessico attingendo soprattutto a
quello della lingua che alle parlate indigene si sovrapposta (lingua
lessificatrice). Per tale motivo, daltra parte, un pidgin non viene utilizzato
nellambito familiare, che rimane di pertinenza delle lingue native. La maggior
parte dei pidgin si estingue quando vengono meno i presupposti che hanno
contribuito alla loro nascita, quando, cio, i contatti tra i vari gruppi si
interrompono.
-

Lingue creole

Se sussistono le condizioni per cui un pidgin non si estingua e non resti


eccessivamente limitato quanto a numero di parlanti, esso pu assumere, nellarco
di qualche generazione, i caratteri di lingua relativamente stabile, acquisendo una
propria struttura lessico-sintattica. Lutilizzo della lingua potr penetrare
nellambito familiare, tra membri del medesimo gruppo. Questo percorso
costituisce la premessa per la comparsa di un creolo, che pu essere ritenuto un

pidgin diventato lingua nativa di una generazione. In altri termini, una lingua creola
la lingua madre di un bambino cui fin dalla nascita stata trasmessa la
conoscenza di un pidgin. Tra un pidgin ed un creolo esistono vari stadi intermedi.
Per quanto riguarda i pidgin si soliti distinguere almeno tre fasi:
1- Pidgin gergale: quella fase caratterizzata da una notevole variazione
individuale, un inventario fonologico estremamente ridotto, una pressoch
totale assenza di morfologia, una sintassi elementare ed un lessico limitato;
2- Pidgin stabile: fase in cui appaiono le prime regole grammaticali ed il lessico
comincia ad arricchirsi;
3- Pidgin esteso: ultima fase in cui la grammatica raggiunge un elevato indice di
complessit e si amplia la gamma degli ambiti duso della lingua.

A complicare la situazione, interviene comunque il fatto che una stessa parlata


possa avere stadi di sviluppo diversi in diversi contesti. Anche allinterno di una
stessa comunit una lingua di contatto pu essere lingua madre di alcuni parlanti
(e dunque un creolo) e pidgin per altri. Tutto ci rende piuttosto incerto il quadro di
riferimento. Pertanto i termini pidgin e creolo vanno intesi come relativi: una
distinzione sicuramente utile, a patto, per, che si ricordi che una demarcazione
netta non sempre possibile.
Ma cosa avviene quando il creolo ormai una lingua a tutti gli effetti ed entra a sua
volta in quel complesso di dinamiche di ordine linguistico ma anche di natura
sociale che caratterizzano la vita di ogni idioma? Esso pu continuare ad esistere
senza perdere i caratteri tipici delle lingue di contatto, trasformandosi in una lingua
normale (decreolizzazione) o ripidginizzarsi in seguito. Le variabili in gioco
sono numerose. Tre sono attualmente le principali aree linguistiche dei creoli:
-

Quella francese
Inglese
E portoghese.

Ampiamente dibattuta dagli studiosi , infine, la questione relativa allorigine di


pidgin e creoli. Possiamo dire che le analogie che si riscontrano in lingue di contatto
diverse e parlate a notevole distanza luna dallaltra sono state spiegate o
ipotizzando una loro origine comune (teoria della monogenesi) o chiamando in
causa delle tendenze generali dei fenomeni di pidginizzazione/creolizzazione che
avrebbero luogo in percorsi evolutivi del tutto indipendenti. I sostenitori della prima
teoria affermano che i pidgin ed i creoli a base europea proverrebbero tutti da un
pidgin a base portoghese del XV secolo. Un pidgin questo strettamente collegato
al sabir e che avrebbe svolto la funzione di protopidgin. Le differenze, invece,
andrebbero attribuite al processo di rilessificazione, ovvero alla sostituzione del
vocabolario a fronte del mantenimento della struttura di base che si verifica in
situazioni di contatto prolungato e di plurilinguismo. I fautori dellaltra teoria (quella
della poligenesi) credono invece che le analogie riscontrate vadano spiegate
attraverso una serie di costanti della pidginizzazione: in pratica pidgin e creoli si
sarebbero sviluppati seguendo percorsi caratterizzati da alcuni fenomeni comuni.
Pidgin e creoli allora pur avendo avuto origine in zone anche molto distanti della

Terra, si sarebbero evoluti tutti pi o meno nelle medesime condizioni sociali, per
soddisfare le medesime esigenze e, nella maggior parte dei casi, a partire dalle
stesse lingue indoeuropee; ed essendo le premesse in buona parte coincidenti,
anche il loro sviluppo potrebbe aver seguito percorsi simili.
3.6. Le lingue artificiali
Alcuni idiomi sono stati creati consapevolmente dalluomo per scopi differenti. Sono
stati introdotti deliberatamente nelluso di una comunit di parlanti dopo essere
stati progettati da qualcuno che intendeva diffonderli quali strumenti di
comunicazione o utilizzarli, ad esempio, in opere di finzione, a fini di
sperimentazione linguistica e nella messa a punto di codici segreti. per questo
che, in riferimento a casi del genere, si parla di lingue costruite o artificiali. Si
effettua solitamente unulteriore distinzione tra:
-

Lingue ausiliarie (cio pensate per la comunicazione internazionale);


Artistiche (progettate per essere adoperate allinterno di opere artistiche o per
puro diletto);
E logiche (ideate, cio, a fini di sperimentazione logica o filosofica).

Inoltre, a seconda che la grammatica ed il lessico siano costruiti dal nulla o


derivino, al contrario, da una o pi lingue naturali, si parla talvolta anche di lingue
artificiali a priori e a posteriori. Queste ultime, poi, sono a loro volta dette
pianificate naturalistiche , se seguono da vicino le lingue naturali sulla cui base
(al fine di minimizzare i tempi dapprendimento) sono state elaborate, o
schematiche, se le loro caratteristiche sono state volutamente semplificate o
sintetizzate da varie fonti. Una lingua artificiale non ha inizialmente una comunit
di parlanti. In comune con le lingue naturali, anche una lingua artificiale ha, almeno
in teoria, la stessa funzione e gli stessi mezzi. Di fatto, per, dei tanti progetti
avanzati, soltanto ad una decina corrisposta effettivamente una comunit di
locutori e delle numerose proposte nate dallesigenza di rispondere ad un bisogno
antico quale quello di creare una vera parlata universale, soltanto una ha riscosso
un certo successo. Fu nel corso dellOttocento che si afferm lidea di un idioma
comune, relativamente semplice, attraverso cui gli uomini di tutto il mondo
potessero intendersi: lingue internazionali ausiliarie, quindi, costruite con lobiettivo
di raggiungere il maggior numero di parlanti.
Lunica ad aver conosciuto, per, nel corso degli anni una progressiva espansione,
pur mantenendo lesclusivo ruolo di seconda lingua per i suoi locutori, stata
lesperanto. Sviluppato tra il 1872 ed il 1887 dalloftalmologo polacco Ludwik
Lejer Zamenhof, lesperanto di gran lunga la pi conosciuta ed utilizzata tra le
lingue artificiali esistenti. Nato da un ideale di pace, collaborazione e
intercomprensione tra gli uomini, lesperanto intendeva porsi al di sopra di ogni
differenza etnica, politica, religiosa, contro il predominio dei pi forti ed i rischi di
una visione monoculturale del mondo. Il suo obiettivo non era, perci, quello di
sostituire le lingue nazionali, quanto piuttosto quello di fornire uno strumento
semplice da adoperare e non discriminatorio per la comprensione reciproca a livello
internazionale. Zamenhof utilizz il suo bagaglio culturale per creare una parlata
semplice e alla portata di tutti. Ortografia, fonetica, grammatica e sintassi non
potevano basarsi che su principi di semplicit e regolarit. Le regole della

grammatica furono scelte da quelle di varie lingue studiate da Z. i vocaboli furono


tratti da idiomi preesistenti, alcuni (specie quelli introdotti di recente) anche da
lingue non indoeuropee, ma per lo pi dal latino, dalle lingue romanze, da quelle
germaniche e da quelle slave. Grazie, inoltre, ad un razionale sistema di radici,
prefissi e suffissi, e alla possibilit di creare parole composte in grado di
descrivere un dato concetto, il lessico riusciva ad esprimere le sfumature di
pensiero in una forma comprensibile anche a popoli di tradizioni culturali differenti.
Oggi lesperanto viene usato quotidianamente, in forma parlata e scritta, da
centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo. Ma una lingua artificiale non ha
un popolo e non ha una cultura. Una lingua artificiale pu somigliare ad una lingua
franca senza, per, averne la forza espressiva e la vitalit; anche in questo caso,
quindi, ci che si sviluppato in natura ed frutto della selezione storica e sociale
si dimostra pi efficiente e meglio costruito di ci che stato concepito a tavolino.
Se le lingue artificiali non vengono adottate, allora, la causa sta nella mancanza di
motivazioni. Per quanto riguarda in particolare lesperanto poi pur ipotizzando che
un gran numero di persone possa impararlo, andrebbe considerato che in questo
modo, nel giro di un paio di generazioni, finirebbero con lo svilupparsi decine di
esperanti diversi, per cui probabilmente non ci si capirebbe neanche pi. Le lingue,
infatti, sono sottoposte allazione di due forze contrapposte. Da un lato, una
tendenza allunificazione sotto la pressione delle necessit sociali, dallaltro, una
tendenza alla differenziazione dovuta alla dispersione, allisolamento, allautarchia
di alcuni gruppi, che fa si che tra i vari elementi in cui un idioma si frantuma vada
progressivamente diminuendo lintercomprensione.

Capitolo 4

Dinamiche linguistiche nello spazio e nel tempo


4.1. Levoluzione linguistica nel tempo
Le lingue costituiscono delle strutture dinamiche, in continua evoluzione; cambiano
internamente (attraverso la creazione di parole nuove, la perdita di vocaboli non pi
adoperati o ladozione di termini stranieri) cos come possono estendersi su nuovi
territori attraverso le migrazioni dei propri locutori o in seguito allacculturazione dei
locutori di parlate vicine. Il lessico la parte pi esposta al mutamento, in quanto pi
forti sono i suoi legami con la realt extralinguistica: i cambiamenti nelle condizioni
socioeconomiche, le trasformazioni culturali, il progresso scientifico e tecnico. Nuove
parole entrano nelluso (solitamente in risposta alle necessit di determinati settori).
Neologismi e prestiti da lingue straniere trasformano il vocabolario; al tempo stesso,
vecchie parole ne escono (divenendo degli arcaismi) e termini gi esistenti vanno
assumendo nuovi significati.
La dinamica linguistica non dipende soltanto dal mero dato demografico, quanto
piuttosto dalla capacit che ha un gruppo di elaborare cultura e trasmetterla ad altri;
chiaro allora che, quando il numero dei suoi locutori scende al di sotto di una certa
soglia, una parlata perde vitalit, ma nellespansione (o nel declino) di una lingua
contano maggiormente lorganizzazione sociale e politica, lefficienza del sistema
economico, la forza innovativa, la possibilit di trasmettere le informazioni. Una
comunit efficiente e in grado di imporre ad altri i propri modelli organizzativi, dotata
di uneconomia forte ed aggressiva sui mercati esteri, provvista di mezzi editoriali
solidi e di strutture per linformazione di massa capillari potr espandere la sua area
linguistica in modo ben pi rapido e consistente di quanto non possa fare un trend
demografico favorevole. Si pensi al caso di quelle lingue decadute proprio perch le
relative comunit sono andate perdendo vivacit culturale o capacit di controllo del
proprio territorio. Un tempo esse erano lingue di comunione di individui che riuscivano
a mantenere la loro cultura e che attiravano forme di produzione volte essenzialmente
allautoconsumo. Dal momento, per, che i relativi raggruppamenti etnici non sono pi
chiusi, esse hanno perso la loro capacit di servire alle normali relazioni allinterno del
gruppo, finendo col diventare seconde lingue.
Una lingua, daltra parte, deve essere in grado di adattarsi alle innovazioni
tecnologiche e a nuovi rapporti sociali e produttivi. Emblematico, in tal senso,
lesempio delle lingue celtiche dellarcipelago britannico: la nuova struttura
territoriale determinata dalla Rivoluzione industriale inglob queste comunit
nellambito di relazioni britannico, e le loro lingue regredirono insieme alle culture
tradizionali e ai precedenti sistemi produttivi. Completamente assorbite le comunit
minori dellisola di Man e della Cornovaglia, le lingue celtiche rimasero confinate nelle
zone pi isolate ed arretrare dellIrlanda, della Scozia e del Galles. Il processo di
riorganizzazione territoriale imposto dallInghilterra industriale fin cos per arrestare
lautonoma evoluzione tanto delle loro strutture sociali quanto delle loro lingue,
incapaci di esprimere i nuovi rapporti e di resistere allinvadenza inglese. In genere,
lesistenza nellarea di un centro innovatore politico e culturale determina delle
innovazioni dinamiche negli usi linguistici. Il francese di Parigi, ad esempio, si
presenta pi moderno rispetto a quello delle province. Tra le lingue indoeuropee, poi,
il lituano e il lettone sono rimaste quelle pi immobili e complesse proprio perch
prive di un centro innovatore.

La lingua che diviene predominante, la lingua esportatrice, quella che esprime


una supremazia in ambito culturale, tecnico, politico o economico. Non c nulla di
inconsueto nella morte di una lingua. Un gruppo etnolinguistico costituito da diversi
elementi in stretta interconnessione e la loro parlata costituisce soltanto uno di questi
elementi; ad ogni variazione di uno conseguono variazioni e adattamenti degli altri, e
se tutti o quasi gli altri elementi vengono meno, anche la lingua andr perdendo
importanza, finendo con lestinguersi. Oggi, per, ci che risalta drammaticamente
la dimensione del problema: delle circa seimila lingue parlate sulla Terra, sembra
probabile che pressappoco la met sparir nel giro di un secolo. Siamo di fronte ad
unestinzione linguistica senza precedenti. Secondo lAtlante internazionale delle
lingue in pericolo di estinzione presentato dallUNESCO, ad essere sullorlo della
scomparsa, sono soprattutto le parlate delle regioni a forte diversit linguistica
(lAfrica sub sahariana, lAmerica del Sud, la Malaysia); duecento sono le lingue che si
sono estinte nel corso delle ultime tre generazioni, oltre cinquecento si trovano in una
situazione particolarmente critica, ma molte altre sono in pericolo. Una lingua muore
quando muore lultima (o la penultima) persona che la parla. Le ragioni per cui una
lingua pu scomparire sono molteplici. Ci pu accadere, ad esempio, in seguito a
diglossia, in conseguenza, cio, di quel fenomeno di separazione sociolinguistica che
porta alla sua fossilizzazione in quanto parlata colta, esclusivo appannaggio di una
classe di letterati e chierici che la utilizza sono in certi contesti. Ma un idioma pu
estinguersi anche per effetto della differenziazione dialettale dovuta alla
dispersione, allisolamento. Una lingua lasciata a se stessa tende a frantumarsi in
pi elementi tra i quali lintercomprensione va man mano riducendosi. La scomparsa di
una lingua pu dipendere anche da ragioni extralinguistiche: il prevalere di un
gruppo etnico su un altro pu provocare, infatti, la dispersione della lingua del gruppo
che subisce il processo di acculturazione, sia che i suoi locutori divengano
gradualmente, nel corso delle generazioni, bilingui, fino a cessare di usare la lingua
originaria per adottare quella dei dominatori, sia che i suoi locutori vengano
fisicamente eliminati.
Mentre alcune lingue hanno abbandonato la scena della storia, altre vi si sono
affacciate: da un lato, lingue cosiddette emergenti, espressione di gruppi o di Stati
che hanno raggiunto lindipendenza ed hanno intrapreso un processo di
consolidamento linguistico volontario (si pensi ai casi del kiswahili in Africa); dallaltro,
lingue resuscitate per azione di una comunit etnica: cos lebraico, ad esempio,
lingua morta da pi di duemila anni, diventata prima la seconda lingua dei coloni
sionisti e, poi, quella nativa di un crescente numero di bambini in Israele. Se positivo
stato lesito della rivalutazione del kiswahili in Tanzania, non altrettanto si verificato
per il gaelico irlandese. Prima dellindipendenza le condizioni di questa antica
parlata celtica erano gi preoccupanti: il lungo periodo della dominazione inglese
aveva visto una sempre maggior diffusione della lingua dei conquistatori, e poich il
gaelico era anche la lingua della tradizione cattolica irlandese gli Inglesi cercarono di
combatterlo in ogni modo. Lindustrializzazione sviluppatasi a partire dalla fine del
Settecento contribu, poi, ad un suo ulteriore arretramento: chi voleva sopravvivere
alla miseria doveva emigrare nelle citt ed imparare linglese, ed il gaelico venne cos
relegato a lingua delle frange sociali pi povere ed emarginate. Quando lIrlanda
divenne indipendente, per, il nuovo Stato mir a far tornare in uso lantica parlata
proclamata prima lingua ufficiale della nuova Repubblica. Fu creato un istituto
per la modernizzazione del gaelico e la formazione di insegnanti esperti in tale lingua

e vennero stimolate iniziative culturali tese alla sua diffusione; il gaelico divent cos
lingua ufficiale (insieme allinglese) nellamministrazione dello Stato, lingua di
informazione, lingua di insegnamento e lingua di espressione della cultura.
Loperazione tuttavia non riusc a dare i risultati sperati. Il declino di quello che era un
idioma ormai tagliato fuori dalle esigenze pratiche di un sistema di vita profondamente
cambiato continuato.

4.2. Lespansione delle lingue nello spazio


Il processo di conquista territoriale di una lingua, oltre a poter derivare da una chiara
azione di pianificazione culturale, pu avere anche cause da essa indipendenti. A
questo proposito va ricordato che, nellambito dei flussi che interessano la Geografia
culturale, necessario fare una distinzione tra i movimenti degli uomini e quelli delle
idee. La propagazione di unidea, ovvero il processo di diffusione culturale, pu
avvenire in due modi: in un caso, linnovazione o lidea vengono fisicamente trasferite
in nuove aree da individui che entrano a far parte di popolazioni non di per s
associate o in contatto con la loro area di provenienza (si parla di diffusione per
spostamento); nellaltro invece (diffusione per espansione) lidea o linnovazione
sviluppatasi in una determinata area a compiere il movimento, propagandosi da un
luogo ad altri. Lutilizzo di una lingua pu quindi estendersi nello spazio o trasferirsi da
unarea allaltra in primo luogo perch coloro che la parlano occupano nuovi territori.
Ognuna di queste forme di propagazione linguistica (dispersione dei parlanti o
acquisizione di nuovi) rappresenta un processo di diffusione spaziale, e in quanto tale
pu essere ostacolato da barriere fisiche o culturali o, al contrario, risultare facilitato
dalla loro assenza: lo spostamento in massa di una popolazione con la sua cultura che
viene ad assumere unimportanza predominante allinterno di un nuovo territorio un
tipico esempio del fenomeno di propagazione per spostamento; quando invece sono
evidenti i vantaggi conferiti dalluso di una nuova lingua, si verifica una forma di
diffusione per espansione. I flussi di segni culturali possono essere ben pi veloci di
quelli delle persone: lacculturazione pu verificarsi nel senso opposto rispetto a quello
dei movimenti di popolazione: si pensi, ad esempio, ai tanti immigrati assimilati dal
loro Paese daccoglienza, di cui acquisiscono valori, atteggiamenti, costumi e lingua.
pur vero che molti cambiamenti culturali sono avvenuti gradualmente, senza
spostamenti di persone, sulla base dellesempio delle popolazioni vicine. Ad ogni
modo, sembra potersi notare una stessa sequenza di eventi che colpiscono la lingua in
via di estinzione. Un una prima fase si pu osservare una forte pressione (politica,
sociale o economica) sulla popolazione affinch parli la lingua dominante; il risultato
(seconda fase) un periodo di bilinguismo in cui le persone parlano sempre meglio la
nuova lingua, ma conservano la competenza di quella precedente. Successivamente,
questo bilinguismo inizia a declinare e il vecchio idioma cede il passo a quello nuovo.
Questo segna il passaggio ad una terza fase, nel corso della quale la generazione pi
giovane migliora sempre pi la competenza della nuova lingua e finisce col
considerare la prima lingua sempre meno adatta alle nuove esigenze.

Tra due aree limitrofe, la fascia di contatto non risulta quasi mai stabile nel tempo.
Qualora tra le due regioni ci siano scambi di prodotti, servizi, informazioni e persone,
la pressione del gruppo culturalmente, economicamente o politicamente pi forte nei
confronti di quello pi debole far sentire i suoi effetti. La zona di contatto bilingue.
Lesistenza di questa frangia bilingue un utile indicatore per lanalisi delle tendenze
profonde delletnia verso lespansione o lassorbimento. Per comprendere meglio gli
aspetti territoriali del fenomeno, pu essere utile riferirsi ad un modello elaborato da
Breton. Secondo tale modello, procedendo dal centro di una regione etnolinguistica (A)
verso il centro di unaltra regione etnolinguistica (B), possiamo osservare una serie di
aree con connotazioni linguistiche differenti. La prima larea delletnia A e in cui si
parla solo la lingua a (Aa); andando verso lesterno, per, ancora nella regione
delletnia A, ci saranno persone che hanno a come prima lingua, ma utilizzano anche
la vicina lingua b (frangia bilingue Aab). Proseguendo ancora, si incontrer una zona,
sempre di etnia A, dove invece la lingua b a prevalere, mentre a ha solo
unimportanza secondaria. Ancora pi allesterno, infine, ci sar unarea appartenente,
s, alletnia A, ma monolingue b (Ab), e quindi completamente allofona. Pi avanti
ancora ci sar larea delletnia B, con monolinguismo etnofono (Bb). Le fasi territoriali
del passaggio dalla lingua a alla b possono darci unidea del processo di
deculturazione delletnia A per effetto della maggiore influenza delletnia B (dal cui
punto di vista si pu invece parlare di acculturazione). Lincidenza di queste frange
bilingui possono dunque costituire un utile indicatore nella valutazione dei processi di
acculturazione e, quindi, del dinamismo e della forza dei diversi gruppi. Pur non
essendoci alcun fondamento teorico per affermare la superiorit di una lingua sulle
altre, giocoforza riconoscere che certe lingue coprono spazi enormi e sono adoperate
da un gran numero di persone, mentre altre hanno un utilizzo ben pi limitato e
circoscritto a determinate aree. Si tratta, il pi delle volte, di un problema di potere.

4.3. Le politiche linguistiche


Lespansione di una lingua, cos come la sua scomparsa, derivano da tutta una serie di
elementi; su alcuni di questi chi governa la comunit pu agire concretamente. Chi
amministra una comunit, quindi, pu modificare il quadro linguistico di un territorio.
laffermarsi, nel corso del XIX secolo, dei nazionalismi port con s lidea che una
lingua comune, fonte di coesione e solidariet, fosse una necessit imprescindibile. Al
principio predominante allepoca della Riforma protestante (che imponeva la religione
del principe allintero territorio) and cos affiancandosi unaltra imposizione, quella
secondo cui la lingua del principe doveva diventare quella del Paese. Chi parlava una
lingua diversa da quella nazionale rappresentava un pericolo da combattere. Numerosi
furono i Paesi che da quel momento portarono avanti politiche decisamente
assimilazioniste nei confronti delle minoranze presenti nel loro territorio,
costringendole ad abbandonare la loro lingua in favore di quella nazionale e cercando
di eliminare qualsiasi forma espressiva che risultasse diversa rispetto a quella del
potere centrale. Le motivazioni concrete per decidere di intervenire in un senso o
nellaltro su una determinata situazione possono, comunque, essere diverse. Oltre,
infatti, ad una errata considerazione relativa alle forme espressive minori (i dialetti),
ritenute culturalmente povere e perci da eliminare, pi ragionate valutazioni di
opportunit politica possono portare, ad esempio, alla decisione di non ostacolare le

lingue di certi territori dominati: ci pu difatti rappresentare un modo efficace per


mantenere la divisione ed impedire la comunicazione, cos come pu rivelarsi utile per
precludere alle popolazioni dominate laccesso ad una cultura superiore. In
circostanze diverse lannessione di un territorio pu essere sicuramente consolidata
mediante limposizione di una dominazione linguistica. Quel che certo che un
gruppo che predomina su un territorio ove coesistono pi lingue difficilmente rinuncia
ad esercitare il proprio potere anche in ambito linguistico. Lo sforzo di valutazione
degli altri idiomi (declassati a patois) si accompagna solitamente a tutta una serie di
misure pratiche volte a favorire la diffusione di una lingua a scapito della o delle altre.
-

La prima la conquista del monopolio nella scuola, con linsegnamento


obbligatorio della lingua prescelta;
in un secondo momento, si pu introdurre ufficialmente il bilinguismo e possono
essere favorite leditoria e le comunicazioni nellidioma che si vuole diffondere,
cos da renderlo, a lungo andare, lunico conosciuto dalla popolazione.

Qualora si miri invece alleliminazione di una lingua, il pi delle volte si comincia con
delle azioni indirette, cercando di esercitare sui suoi locutori una sorta di
condizionamento psicologico che li spinga a ritenere di livello inferiore quella che la
loro parlata originaria. Le altre misure possono variare: si va dal semplice rifiuto di
accettare testi e dichiarazioni che non siano redatti nellidioma ufficiale allesclusione
dai mass media della lingua che si vuole colpire, fino al formale divieto di adoperare
una lingua messa al bando e alla cancellazione di ogni riferimento culturale
etnolinguistico dal territorio. Nei casi, poi, in cui si giunga alla totale estinzione di una
parlata per effetto di una politica risolutamente repressiva si potr parlare di
linguicidio (lesempio storico pi noto quello relativo alla distruzione delle lingue
native americane durane la colonizzazione spagnola in quei territori).
Praticamente tutti gli Stati hanno una propria politica linguistica con cui si pu cercare
di favorire luso di una lingua a scapito di unaltra cos da ridurre le differenze,
facilitare il controllo politico e sociale ed esercitare il potere in modo meno conflittuale.
Al di l degli atteggiamenti maggiormente repressivi alcune societ non solo si sono
adattate alla pluralit linguistica, ma lhanno preservata e difesa: in Svizzera, ad
esempio, lo spirito democratico ha favorito la piena accettazione di tutte le diverse
forme di espressione ed il multilinguismo, ha rafforzato uno spirito di tolleranza basato
sul riconoscimento reciproco e gli scambi tra le diverse culture. Tant che la Svizzera
rimane lunico Paese plurilingue in Europa privo di tensioni interne derivanti dalla
competizione fra parlate differenti. In altri casi stato ben pi difficile trovare una
soluzione: il Belgio, ad esempio, ha impiegato oltre 130 anni per trasformarsi da
monolingue in bilingue. Qui la convivenza fra Fiamminghi parlanti neerlandese e
Valloni francofoni stata particolarmente problematica e sul confine interno che taglia
a met il Paese si giocata da subito pi di una volta lunit del regno. Come idioma
ufficiale del nuovo Stato nato nel 1830 venne adottato unicamente il francese, che
allora godeva di un prestigio nettamente superiore. Alla divisione tra le due comunit
corrispondeva, daltra parte, una situazione di altrettanto chiara differenziazione
economica. La questione linguistica si conferm, per, un conflitto a pi ampio spettro
con il boom economico degli anni cinquanta, quando il baricentro economico del Paese
si spost dalle industrie minerarie e tessili della Vallonia ai nuovi poli industriali delle
Fiandre, e leconomia vallona inizi a ristagnare. La situazione si aggrav fortemente a

partire dagli anni sessanta e minacci pi volte di sfasciare lo Stato. Consapevoli della
complessit del problema linguistico e delle sue ripercussioni sulla vita del Paese, nel
1962 i leader politici vararono le leggi Gilson con cui fu fatto il primo passo sulla strada
del federalismo; si stabil in via definitiva il confine linguistico tra le due comunit,
venne istituito il bilinguismo nei comuni della regione di Bruxelles, e fu regolato luso
dei diversi idiomi nellinsegnamento. Negli anni successivi il Paese si dato una
struttura federale e ha consacrato la divisione linguistica attraverso quella istituzionale
e legislativa. Da allora il Belgio divenuto, pi che uno Stato bilingue, uno Stato con
due lingue contrapposte; soltanto Bruxelles luogo in cui effettivamente francese e
neerlandese si incontrano in un reale bilinguismo.
Anche nei casi in cui si provato a trovare una soluzione adeguata al problema,
tuttavia, talvolta le situazioni sono esplose drammaticamente. Si pensi allex Unione
Sovietica: la suddivisione principale sancita nella Costituzione riconosceva quindici
Repubbliche Socialiste, in molte delle quali si trovavano pi gruppi etnolinguistici
differenti che, in base al loro grado di sviluppo, godevano di una maggiore o minore
autonomia; lo Stato sovietico riusc a mantenere il controllo della situazione, ma con il
suo collasso le rivalit sopite per decenni sono esplose.
4.4. La tutela delle lingue minori
Anche relativamente ai rapporti tra maggioranza e minoranze linguistiche le politiche
degli Stati si presentano alquanto differenziate. Certi ordinamenti si limitano ad
assumere nei confronti dei fenomeni minoritari un atteggiamento di mera tolleranza.
Altri oscillano tra la considerazione delle espressioni linguistiche minoritarie come beni
culturali ed il riconoscimento dellidioma come elemento distintivo di un certo gruppo
sociale. Entro gli stessi confini nazionali, daltra parte, regimi giuridici differenziati
vengono talvolta predisposti per gli appartenenti ad un medesimo gruppo linguistico. Il
governo francese, ad esempio, ha riconosciuto alcuni diritti alla minoranza
germanofona dellAlsazia e della Lorena. Non un caso: lesistenza, al di l del
confine, di un grande e potente Stato di lingua tedesca ha infatti indotto la Francia a
concedere un maggior grado di libert linguistica a questi abitanti, cos da trovare pi
ampia legittimazione presso di loro attraverso una politica di apertura. Anche la scelta
di designare come ufficiale pi di un idioma, comunque, non sempre soddisfa le
ambizioni di comunit linguisticamente distinte. Oltretutto, la percezione del declino
della propria lingua pu rappresentare un vero e proprio trauma per la comunit etnica
del cui patrimonio culturale essa fa parte. Ogni lingua un insieme unico di parole,
suoni e architettura grammaticale; un insieme che anche una visione del mondo
originale. La conservazione della diversit linguistica fondamentale perch il
linguaggio lessenza stessa di ci che vuol dire essere umani; la lingua racchiude
in s la maggior parte della storia di una comunit e buona parte della sua identit e
costituisce il principale strumento di trasmissione della cultura. Il problema, da alcuni
anni a questa parte, notevolmente sentito. La lingua svolge un indubbio ruolo di
aggregazione allinterno dei gruppi umani, tant che laffermazione dellideologia
nazionalistica condusse alla sua esaltazione in quanto fattore unificante della nazione
e al declassamento degli altri idiomi eventualmente presenti nello stesso contesto. A
partire dal secondo dopoguerra, per, la sostituzione del principio delle nazionalit con
un altro principio, di tipo pluralistico, ha gradualmente influenzato le politiche
linguistiche degli Stati. Utili indicazioni in proposito possono giungere dalla Carta delle

lingue regionali e minoritarie. Premettendo che regionale una lingua parlata in


unarea limitata del territorio di uno Stato e dalla maggioranza della popolazione ivi
residente, mentre minoritaria quella parlata da persone che non sono stanziate in
uno spazio specifico o che, pur vivendo in unarea delimitata, costituiscono un gruppo
numericamente inferiore rispetto alla popolazione della regione che parla la lingua
maggioritaria dello Stato, va detto che la Carta non d una definizione politico-sociale
o etnica di lingua perch il suo obiettivo principale non tanto quello di tutelare le
minoranze linguistiche, quanto piuttosto quello di privilegiare la funzione culturale
della lingua. Il documento dichiara di perseguire essenzialmente finalit di ordine
culturale, nella consapevolezza che la salvaguardia delle lingue regionali e minoritarie
costituisce un arricchimento, potendo contribuire allo sviluppo delle tradizioni e al
rafforzamento del pi vasto complesso culturale europeo e che la possibilit di
adoperare una lingua un diritto imprescrittibile. LUnione Europea oggi una delle
comunit linguisticamente pi complesse del pianeta. Il rispetto per la diversit
linguistica e culturale rappresenta uno degli elementi costituitivi dellUE, ed ora
sancito dallarticolo 22 della Carta europea dei diritti fondamentali. Su iniziativa del
Parlamento europeo lUnione ha avviato la sua azione per la salvaguardia e la
promozione delle lingue regionali e minoritarie dEuropa seguendo sostanzialmente
due direttrici: da una parte, fornendo sostegno finanziario allUfficio per le lingue meno
diffuse (EBLUL); dallaltra, sostenendo la Rete informatica Mercator, sorta con
lobiettivo di migliorare lo scambio e la circolazione delle conoscenze sulle lingue e le
culture minoritarie. Le buone intenzioni in materia non mancano. Per tutelare una
lingua in declino occorrerebbe affrontare il problema della rivitalizzazione non di uno
solo, ma dei diversi elementi che caratterizzano unetnia. E senza intervenire su questi
diversi aspetti molto poco probabile che si possa invertire un processo di decadenza
che si presenta e viene percepito come linguistico, ma che in realt ha radici e
motivazioni ben pi varie e complesse. Una cosa certa: un mondo monolingue non
servirebbe a portar pace nel futuro. molto pi realistico, allora, cercare di
promuovere la pace prestando attenzione ai diritti delle persone e alla loro identit in
quanto membri di un gruppo: una politica di plurilinguismo sensibili e lattenzione per
le lingue minoritarie hanno molte pi probabilit di porre le fondamenta per una
coesistenza pacifica e reciprocamente vantaggiosa.

Capitolo 5
Genesi e distribuzione geografica delle lingue
5.1. Famiglie di lingue
Per identificare e raggruppare le migliaia di parlate esistenti opportuno analizzare la
struttura particolare di ciascuna di esse e compararla con quella delle altre, vicine e
lontane. Varie sono le classificazioni adottate negli anni dagli studiosi, che basandosi
ora sulla morfologia, ora sulla sintassi, ora su altri criteri hanno suddiviso le lingue in
grandi categorie; da un punto di vista geografico, per, nessuna di tali classificazioni
risulta particolarmente interessante. Lunica a presentare un certo interessa anche per
la Geografia la classificazione fondata sul criterio cosidetto genealogico. Secondo
tale criterio, nel panorama mondiale possono essere distinti vari gruppi di lingue,
caratterizzati da un elemento: i vari idiomi che ne fanno parte si assomigliano tra di
loro in quanto tutti discendenti da un medesimo idioma originario ormai estinto. In una
famiglia linguistica rientrano, pertanto, pi lingue accomunate da certi caratteri e
legate da una stessa evoluzione. Considerate da questo punto di vista, allora, le lingue
possono essere pensate come le fasi attuali di un idioma originario scomparso; il
tempo che passato, per, le ha rese diverse luna dallaltra e reciprocamente ben
poco comprensibili.
Il criterio genealogico era stato gi intuito da Leibnitz ma solo nel corso del XIX secolo
stato precisato dalla linguistica storico-comparativa. Prima con la teoria dellalbero di
August Schleicher, poi con lavvento, allinizio del Novecento, della glottocronologia (o
lessicostatistica), si sono presi ad analizzare i cambiamenti che avvengono nel
vocabolario delle lingue, e lo studio delle radici lessicali cos sviluppatosi ha consentito
di comparare centinaia di vocaboli di ogni famiglia. La scoperta delle famiglie
linguistiche ha cos permesso di ragionare sulle evoluzioni passate, ripercorrendo il
cammino del linguaggio lungo i millenni che hanno preceduto lavvento della scrittura,
e di legare il fenomeno linguistico al popolamento della superficie terrestre.
Alcune analogie lessicali e grammaticali consentono di riconoscere le relazioni tra le
famiglie linguistiche: tracciando determinate costanti fonetiche delle diverse lingue nel
corso del tempo, gli studiosi sono in grado di ricostruire le forme arcaiche di una
parola, fino a poter stabilire la matrice originaria di un termine prima che questa fosse
sottoposta ad una serie di processi di alterazione e divergenza. Questa forma primitiva
della lingua viene definita protolingua. In quasi tutta larea dellex impero romano
facile riscontrare come siano in uso una serie di idiomi tra loro somiglianti che
presentano altrettante affinit col latino; nel caso di queste lingue (cosidette romanze)
tale capostipite chiaramente identificabile nel latino. Una volta interrottasi, con la
caduta dellimpero romano, la continuit dei territori europei, alcune varianti regionali
andarono sviluppandosi autonomamente, emergendo nei secoli successivi come
singole lingue. Per altre famiglie, invece, risulta pi difficile tracciare con chiarezza
simili relazioni tra termini riconducibili alle medesime radici proto linguistiche: le
lingue appartenenti al gruppo germanico ad esempio (distinte in settore orientale,
settentrionale ed occidentale) derivano da una protolingua poco nota, e che non ha
lasciato praticamente alcuna documentazione scritta. Cos anche per il polacco, il
russo, il serbo-croato e le altre lingue che costituiscono il gruppo slavo mancano
documenti scritti relativi ad un supposto paleoslavo. Anche tra le lingue di questi

diversi gruppi esistono, comunque, delle somiglianze. Si consideri, ad esempio, la


nostra pronuncia del numero 7: questa deriva evidentemente (come anche quelle del
francese sept, dello spagnolo siete, del portoghese sete) dal latino. Studi specifici su
simili somiglianze portarono, nel corso dellOttocento, ad ipotizzare che le lingue
europee potessero essere considerate ramificazioni (sottofamiglie) di una protolingua
comune, e che quindi potessero essere ritenute parte di una famiglia ancora pi vasta,
che i linguisti denominarono indoeuropea.
I linguisti sono riusciti a ricostruire alcune parole della lingua originaria attraverso
lesame di alcuni termini facenti parte dei diversi idiomi della famiglia indoeuropea.
Lanalisi dello spostamento di suoni (o rotazione consonantica) ha consentito, cos, di
procedere a ritroso, ricostruendo, a partire dal lessico, lalbero genealogico delle lingue
dellumanit per una arco di tempo di migliaia di anni. Si prenda il caso del termine
latino lactis, da cui sono derivati litaliano latte, lo spagnolo leche, il francese lait ed il
rumeno lapt. Era stato Jakob Grimm, nel XIX secolo, ad introdurre lidea dello
spostamento di suoni. Era stato lui a far notare come idiomi collegati abbiano
consonanti simili ma non identiche e a teorizzare che tali consonanti sarebbero
cambiate nel corso del tempo in modo prevedibile. Dalle sue idee e da quelle,
precedenti, di William Jones (il quale gi alla fine del Settecento aveva studiato il
sanscrito, riscontrandone le straordinarie somiglianze lessicali e grammaticali col
greco ed il latino) era scaturita la prima importante ipotesi linguistica postulante
lesistenza di unantica lingua, il (proto)indoeuropeo appunto, da cui sarebbero
derivate, tra laltro, il latino, il greco ed il sanscrito.
[Allinterno della famiglia indoeuropea, la principale distinzione si basa sulla pronuncia
del numero 100, che separa i due gruppi detti kentum e satem. Kentum la
pronuncia del latino centum, corrispondente allantico gaelico irlandese ket; dallaltra
parte troviamo il sanscrito satam, il persiano satem.]
La scoperta di tali similarit permise di intuire che le lingue mutano nel tempo e nello
spazio seguendo precise leggi. La lingua ancestrale proposta avrebbe collegato non
solo le lingue romanze, ma anche le altre lingue parlate dalla Gran Bretagna al Nord
Africa e allAsia meridionale.

5.2. La ricerca linguistica nel tempo


August Schleicher afferm che, alla base della formazione di un idioma, vi un
processo di divergenza, ovvero di differenziazione nel tempo e nello spazio: le lingue
indoeuropee attuali erano derivate, quindi, per successive divisioni da una lingua
originaria. I diversi idiomi si sarebbero, cio, ramificati in dialetti e questi, col tempo,
divenuti, in seguito alla condizione di isolamento, sempre pi diversi uno dallaltro,
sarebbero a loro volta diventati lingue distinte. C, tuttavia, un fattore di
complicazione di cui non si pu non tener conto, e cio il fatto che i popoli si spostano.
Potendo allora le lingue propagarsi anche perch coloro che le parlano occupano nuovi
territori, possibile che dal contatto tra parlate a lungo isolate scaturisca una qualche
convergenza. In sostanza, migrazioni, cos come segregazione o isolamento delle
diverse societ, danno origine a lingue differenti e reciprocamente incomprensibili.
Accanto alla mobilit umana, per, va considerato un ulteriore elemento di

complicazione: le lingue di gruppi poco numerosi e tecnologicamente poco evoluti


sono sempre state considerevolmente modificate dalle lingue di invasori pi forti. Tale
processo (sostituzione linguistica) avviene sostanzialmente attraverso due
meccanismi: le espansioni demiche e la conquista da parte di un gruppo umano. In un
caso, individui sottoposti a pressione demografica si spostano verso aree disabitate o
abitate da altri gruppi etnici ad un livello economico meno evoluto, sopprimendo,
schiavizzando o assorbendo le popolazioni locali. Nellaltro, un popolo conquistatore
assume il comando di un territorio imponendovi la propria lingua e gran parte delle
proprie tradizioni culturali.
La ricostruzione anche solo di un piccolo ramo dellalbero linguistico risulta, pertanto,
impresa complessa per lo studioso. Basterebbe, daltra parte, notare come in Europa,
per esempio, lungherese non appartenga alla stessa famiglia di tutti i suoi vicini o
pensare al caso del basco, lantichissimo idioma dalle origini ancora oscure della
regione che si affaccia sul Golfo di Biscaglia. Si detto che, per misurare la
somiglianza tra due o pi dialetti o lingue, il metodo pi semplice consiste nel valutare
la proporzione di parole che presentano un origine comune. Chiaramente la ricerca
storico-comparativa non poteva essere condotta a caso, su qualsiasi parola; la scelta
doveva essere guidata dal ragionamento. Innanzitutto, allora, andavano messi a
confronto alcuni termini presenti in ciascuna lingua presa in considerazione (vi sono
alcuni concetti che si possono definire universali, in quanto esistenti in tutte le lingue:
si pensi, oltre ai numeri, ai termini adoperati per definire i componenti pi prossimi
della famiglia). Poi, per, al fine di indagare il modo di vivere delle diverse popolazioni,
sarebbe stato utile osservare altre parole, proprie di certe lingue e non di altre. Come
quelle relative alle condizioni ambientali, ad esempio, che forniscono utili informazioni
sulla regione dinsediamento di un gruppo umano. Riconoscendo parole simili nella
maggior parte degli idiomi indoeuropei, i linguisti hanno potuto scoprire che la
protolingua possedeva termini per certe forme del terreno, per un certo tipo di
vegetazione e per determinate caratteristiche naturali: ne hanno potuto dedurre che i
primi Indoeuropei dovevano essere insediati in una regione dotata di fiumi e specchi
dacqua, ma lontana dal mare, che lorganizzazione socioeconomica era quella del
Neolitico e che leconomia si basava pi sulla pastorizia che sullagricoltura; la
mancanza di una terminologia riferita alla vita urbana mostrava, inoltre, che si
trattava di genti nomadi.
Vi sono due principali teoria che cercano di spiegare lorigine e la diffusione
protoindoeuropeo. La prima la teoria della:

del

DIFFUSIONE PER CONQUISTA


A giudicare dal lessico ricostruito (secondo alcuni studiosi) il luogo dorigine del
protoindoeuropeo doveva trovarsi nelle vaste steppe delle attuali Ucraina e Russia; da
qui i primi parlanti protoindoeuropeo si propagarono sia verso est che verso ovest, con
migrazioni semiviolente o vere e proprie invasioni, soggiogando le popolazioni locali e
finendo con limporre ovunque si insediarono, insieme alla propria cultura, anche la
propria parlata. questa la teoria della dispersione della lingua attraverso la conquista
(detta anche demica, in quanto erano i popoli a muoversi). Non tutti gli studiosi, per,
sono convinti da questa ricostruzione.
TEORIA AGRICOLA

Negli anni ottanta, in particolare, alcuni linguisti hanno proposto una spiegazione
alternativa tanto rispetto ai percorsi seguiti quanto per le modalit, sostenendo che ad
espandersi, pi che le popolazioni, siano state le tecniche, per apprendimento. A
propagare il protoindoeuropeo sarebbe stata la diffusione dellagricoltura, e per questo
motivo larea dorigine dellantica lingua non avrebbe potuto corrispondere a quelle
zone della Russia e dellUcraina il cui modo di vita dominante era la pastorizia. Poich,
daltra parte, nel lessico del protoindoeuropeo poche erano le parole indicanti le
pianure, mentre ben pi numerose risultavano quelle riferite alle montagne, vallate,
torrenti e rapide, lipotesi che sembrava pi plausibile era che il centro dorigine si
trovasse in corrispondenza delle terre collinari e montuose, ben irrigate, dellaltopiano
anatolico e della vicina catena del Caucaso. I ritrovamenti archeologici indicavano che
in quei luoghi tra 7000 e 9000 anni fa era stato addomesticato il cavallo ed era entrata
in uso la ruota; dallaccresciuta produzione agricola sembra poi sia derivato un forte
aumento demografico di questi Indoeuropei, che migrarono in pi direzioni.

5.2.1 Genetica e linguistica


Allinizio degli anni novanta, la teoria agricola stata confermata dallanalisi del
contenuto proteico (genico) degli individui sparsi in diversi luoghi dellEuropa, che ha
mostrato come certi geni divengano rapidamente meno comuni dal sud della Turchia
attraverso la Bulgaria e verso i Balcani e lEuropa. Ci sembrerebbe dimostrare che i
popoli di agricoltori dellAnatolia, via via che si muovevano verso ovest e verso nord, si
mescolavano con le popolazioni indigene qui insediate, diluendo il loro patrimonio
genetico man mano che aumentava la distanza dalla loro area dorigine.
Fondamentale stato lapporto di uno studioso italiano, Luigi Luca Cavalli-Sforza che
insieme al collega Robert Ammerman, redasse una serie di carte sulla diffusione di
diverse caratteristiche genetiche umane. Andamento parallelo a quella genetica e/o
geografica risultava avere la variazione linguistica nello spazio. In sostanza, la
struttura del patrimonio genetico determinata da fattori di tipo geografico, dalla
presenza di differenze socioeconomiche e da un certo numero di fattori di altro tipo;
tutti questi elementi agiscono anche sul patrimonio culturale e lo condizionano in
modo parallelo: in questo modo, dunque, che si sono prodotte importanti correlazioni
tra patrimoni genetici, da una parte, e patrimoni socioculturali, dallaltra. Il
parallelismo tra evoluzione genetica ed evoluzione linguistica presenta, tuttavia,
alcune limitazioni: le lingue si evolvono molto pi velocemente dei geni, tant che
due lingue possono diventare reciprocamente incomprensibili in meno di mille anni.
Tra popolazioni e famiglie linguistiche, nota Cavalli-Sforza, vi una chiara
corrispondenza: ogni famiglia linguistica pu infatti essere associata o con una singola
popolazione genetica o con alcune popolazioni strettamente imparentate. Al di l delle
eccezioni esiste comunque un forte parallelismo tra evoluzione linguistica ed
evoluzione genetica, e la spiegazione va ricercata nelleffetto comune di certi fattori
che determinano la differenziazione tanto a livello genetico quanto a livello linguistico.
Barriere linguistiche possono rafforzare lisolamento genetico tra gruppi che parlano
lingue diverse; lisolamento reciproco dovuto ad eventi che determinano una

separazione fra due gruppi produce una differenziazione sia genetica che linguistica.
Ma anche altri fattori possono causare effetti simili su entrambi i tipi di evoluzione:
dimensioni demografiche limitate, favoriscono una differenziazione genetica pi
veloce e potrebbero avere il medesimo effetto sulle lingue, lo scambio migratorio tra
due popolazioni favorisce sia gli scambi genetici che quelli linguistici.

5.2.2. Teorie diverse su luoghi dorigine e percorsi


La teoria di Gamkrelidze e Ivanov non si mostra del tutto convincente: la topografia
delle zone elevate dellAnatolia, infatti, non sembrerebbe costituire un ambiente ideale
per lagricoltura, e non ci sono forti prove archeologiche dellesistenza in quel luogo di
un focolaio culturale agricolo. Ecco perch alcuni geografi delle lingue continuano a
preferire lipotesi della diffusione per conquista. Gli studiosi non hanno rinunciato ad
andare ancora pi allindietro, nellintento di individuare la lingua ancestrale del
protoindoeuropeo. Due linguisti russi in particolare affrontarono separatamente, gi
negli anni sessanta, il problema della ricostruzione profonda di tale lingua antenata del
protoindoeuropeo; utilizzando le parole ritenute pi stabili e le parti sicure del lessico
(come quelle che identificano alcune parti del corpo o i termini relativi agli elementi
dellambiente naturale), essi raggiunsero risultati concordanti in merito a numerosi
termini che si potevano ritenere comuni di una lingua antichissima, il nostratico. Un
idioma in cui non cerano nomi di piante o animale domesticati, in uso in una fase
sicuramente anteriore rispetto alla Prima rivoluzione agricola (12.000 anni fa). Per
quanto tempo il nostratico possa essere stato adoperato nessuno ancora in grado di
stabilirlo, ma anche dove sia nato e quali lingue lo abbiano generato restano dei
quesiti senza risposta. Pi di recente risultati di grande rilevanza in ambito linguistico
sono venuti, ancora una volta, dalla genetica. Le fasi finali della dispersione delle
lingue antiche nel mondo sono avvenute nellambito delle isole del Pacifico e nelle
Americhe. In particolare, per ci che riguarda le Americhe, almeno duecento erano,
secondo i linguisti, le famiglie relative ai nativi americani, ciascuna diversa dallaltra.
Non tutti, per, la pensavano allo stesso modo: lamericano Joseph Greenberg afferm
che le lingue precolombiane potevano essere raggruppate in tre sole famiglie, ognuna
corrispondente ad unimportante ondata migratoria dallAsia verso il Nuovo Mondo. La
pi antica ed ampiamente distribuita era quella amerindia; la seconda, molto meno
diffusa, era quella na-den; la terza, ultima in ordine di tempo ad essere arrivata nelle
Americhe, era la famiglia eskimo-aleutina. I risultati della genetica, tuttavia, finirono
col confermare in pieno la teoria di Greenberg. La distribuzione mondiale dellumanit
moderna era stata determinata da alcune grandi migrazioni, susseguitesi ad intervalli
sempre pi ridotti. La prima fu quella che vide la partenza dellHomo erectus
dallAfrica orientale. La seconda port gli uomini moderni (Homo sapiens) nellEurasia.
Qui, secondo alcuni studiosi, questi eliminarono lHomo erectus e, una volta
stabilizzatisi, si differenziarono negli attuali gruppi razziali delle varie aree geografiche.
Terza grande migrazione fu, infine, quella dellHomo sapiens sapiens; giunti
allestremit sud-orientale dellAsia, i sapiens si divisero in due rami: uno di questi
arriv fino in Nuova Guinea e in Australia; laltro diede origine alle popolazioni del SudEst asiatico e della Cina meridionale. Circa 30.000 anni fa, poi, venne raggiunto lo
stretto di Bering e da qui alcuni gruppi diedero inizio al popolamento del continente
americano. Nella fase di transizione tra Paleolitico e Mesolitico, circa 10.000 anni fa,

vari gruppi iniziarono a mettere a punto nuovi sistemi di agricoltura e allevamento,


grazie ai quali riuscirono ad ottenere disponibilit di cibo crescenti. Per gli incrementi
demografici che ne derivarono, per, divenne di una certa misura necessario cercare
nuovi territori. Le migrazioni divennero cos pi rapide.
Nello studio sistematico delle lingue la maggior parte di esse pu essere ricondotta a
determinate famiglie linguistiche. Una famiglia ununit filogenetica, ed i suoi
membri sono considerati derivanti da un antenato comune. Nonostante gli sforzi fatti,
sono pochi i passi in avanti compiuti verso il possibile traguardo di una classificazione
gerarchica completa e realmente filogenetica di tutte le famiglie linguistiche. Un
possibile progresso potrebbe essere il riconoscimento delle relazioni esistenti tra
alcune delle famiglie: in base a queste relazioni che gli studiosi sono giunti
allidentificazione di superfamiglie. Due gruppi di ricercatori, in particolare, hanno
identificato due superfamiglie in gran parte sovrapponibili: quella del nostratico e
quella euroasiatica.

5.3. La distribuzione delle lingue nel mondo


NON ME LO RICORDEREI

5.4. Limportanza ineguale delle lingue


Quello che si pu notare immediatamente la forte disparit quantitativa delle
comunit linguistiche. Il gruppo pi facilmente individuabile quello composto dalla
dozzina di lingue con pi di 100 milioni di locutori ciascuna, che raccoglie pi della
met della popolazione mondiale. Secondo Calvet questo club di grandi lingue
raggruppa attorno allinglese (lingua ipercentrale) una serie di comunit maggiori
corrispondenti, appunto, a quelle lingue (supercentrali) con almeno 100 milioni di
locutori nativi ognuna: il cinese, lhindi, lo spagnolo, larabo ecc
Sotto i 100 milioni di locutori, una serie di altre grandi lingue compone un gruppo dai
contorni meno definiti; se ne distinguono comunque generalmente almeno una
sessantina (tra i 10 e i 100 milioni i parlanti di ciascuna). Una cinquantina di lingue che
contano ognuna tra i 5 e 10 milioni di locutori costituiscono le comunit medie (in
totale circa 300 milione di persone).
Infine, al di sotto dei 5 milioni di locutori ciascuna, pi di cinquemila lingue
raggruppano in tutto meno di 200 milioni di persone. Molte di queste corrono seri
pericoli. Il fatto di classificare i Gruppi di Lingua Materna in base al numero dei
rispettivi locutori pu fornirci, per, solo una prima idea della base su cui le lingue
insistono. Indispensabile , allora, per valutare il posto di ciascuna lingua nel mondo,
osservare anche, accanto al numero di locutori, qual il valore di ognuna in termini di
Stati che la adottano e quale il ruolo nei rapporti tra i popoli. Le lingue ufficiali non
sono, in effetti, che un centinaio, e beneficiano di tutta una serie di vantaggi. La
disuguaglianza, daltra parte, ancora pi evidente se si guarda alla dispersione
territoriale dei diversi idiomi. Possiamo considerare internazionali quelle lingue, tra
cui larabo e pochissime altre, che sono diffuse non su pi continenti ma su pi stati

vicini. Da questo punto di vista, come lingua di grande diffusione dobbiamo


considerare in primis linglese; frutto dellazione concomitante di pi fattori. Seconda
lingua al mondo per diffusione il francese. Il francese ha esteso, nel corso del XVIII
secolo, la sua influenza a tutta lEuropa divenendo anche lingua diplomatica mondiale;
oggi conserva un posto di primo piano tanto nelle relazioni internazionali quanto
allinterno di numerosi Paesi. Ben pi compatta e delimitata di quella francese la
base geografica dello spagnolo, la cui importanza aumentata notevolmente negli
ultimi anni. Geograficamente compatte sono anche le aree di diffusione del russo e del
tedesco, entrambe le lingue internazionali parlate allinterno di Stati tra loro vicini, cos
come quella del persiano (o farsi), che, con i suoi dialetti viene parlato da pi di 75
milioni di persone in Iran, Tagikistan e Afghanistan. Esteso su quattro continenti
invece il portoghese. Intercontinentale anche la diffusione dellarabo, ufficiale in
oltre venti Stati. Ancora, una diffusione non limitata ad un solo continente la ha il
neerlandese. Crescente , infine, il prestigio di altre due lingue che hanno gi
raggiunto una diffusione internazionale: lo swahili ed il malese/indonesiano. Anche dal
punto di vista dei sistemi di scrittura evidente la sempre maggior diffusione delle
grandi lingue internazionali: ampia la supremazia dellalfabeto latino. In Europa suo
diretto rivale stato lalfabeto cirillico, creato per lo slavo e adottato da quasi tutte
le lingue dellex Unione Sovietica. Il cirillico deriva dallalfabeto glagolitico del IX
secolo, la cui invenzione attribuita ai santi Cirillo e Metodio.

Capitolo 6
La variet linguistica dellItalia
6.1. La frammentazione linguistica dellEuropa
Dal punto di vista dellappartenenza alle diverse famiglie la carta linguistica
dellEuropa evidenzia la netta prevalenza dellinsieme indoeuropeo. Ciascuna delle
lingue facenti parte di questa famiglia presenta alcune caratteristiche proprie e alcune
condivise con le altre. Due sono i fattori che storicamente hanno contribuito a
determinare la frammentazione linguistica europea. In primo luogo, le caratteristiche
fisiche di questarea geografica: le catene montuose, le vaste distese pianeggianti, le

valli fluviali, larticolazione delle coste, la variet dei climi e dei suoli, hanno finito col
disegnare una serie di ambienti con attitudini insediative e produttive differenti,
contribuendo a definire anche alcuni dei tratti culturali di coloro che in quegli ambienti
vivevano. Le ricerche di Geografia storica hanno mostrato come la frammentazione
possa essere ricondotta allestendersi graduale sul territorio di un popolamento dal
dinamismo accentuato, legato al sovrapporsi e allaffiancarsi di genti diverse per
origine, cultura, generi di vita. Allinterno delle pi ampie regioni linguistiche, dunque,
le popolazioni europee sono andate lentamente differenziandosi, e nel tempo i gruppi
pi forti e compatti sono riusciti a dar vita ad entit politiche ben caratterizzate dal
punto di vista culturale e linguistico. Dalla fine del XIX secolo,lEuropa degli Stati
nazionali, si presenta come linsieme di pi entit politiche ove il pi delle volte netta
la supremazia di un idioma, ma sul cui territorio sono insediati altres gruppi linguistici
minori. Pur potendosi riscontrare, allora, in vari casi una certa coincidenza tra lingua e
cultura, ci che emerge ad una pi attenta osservazione che il mosaico delle unit
etnolinguistiche coincide solo in parte col quadro politico-amministrativo; stato
proprio questo ad alimentare, nel corso del tempo, tutta una serie di contestazioni e
rivendicazioni. Bench molte siano le lingue parlate nei Paesi che compongono lo
spazio europeo, soltanto alcuni Stati ammettono ufficialmente il plurilinguismo; gli altri
si dichiarano monolingui pur non riconoscendo, talvolta, la presenza sul loro territorio
di comunit alloglotte cui concedono una qualche forma di tutela. La presenza di un
numero elevato di idiomi differenti costituisce inevitabilmente una difficolt nei
rapporti internazionali.
In effetti, non si possono capire le ragioni per cui i dibattiti sulle questioni linguistiche
sono cos spesso controversi se non si tiene conto della natura complessa delle lingue.
Oltre, infatti, a consentire la trasmissione delle informazioni (funzione comunicativa),
le lingue svolgono anche una funzione simbolica, associata a certi elementi politici e
culturali (ad esempio il senso di identit nazionale). Le due funzioni si combinano ed
assumono importanza in rapporto a determinati fattori (giuridici, politici, culturali,
economici, funzionari), e gli attori coinvolti possono decidere se privilegiare questa o
quella variabile, dando vita a modelli diversi di regime linguistico. Prendiamo il caso
degli aspetti giuridici legati al problema della gestione del multilinguismo europeo. A
tal proposito, lUnione Europea ha sempre ritenuto che tutti i testi nelle varie lingue
facciano fede in ugual misura: per questo motivo i trattati sono redatti in tutte le
lingue, e lo stesso vale per la Gazzetta Ufficiale, i regolamenti e gli altri testi di portata
generale. Ma il multilinguismo ritenuto necessario anche per garantire un pieno
esercizio dei diritti dei singoli. Le ragioni giuridiche, per, non sono sufficienti a
spiegare perch largomento sia cos delicato. Si deve tener conto, infatti, anche di
alcune variabili politiche, relative alluguale trattamento dei rappresentanti. Ci sono
delle istituzioni e degli organi in cui vi un effettivo uso di tutte le lingue ufficiali come
lingue di lavoro. In alcune istituzioni tuttavia il numero delle lingue di lavoro varia da
una ad un massimo di cinque o sei. Qui, in sostanza, hanno prevalso esigenze
funzionali e di contenimento dei costi, ed il risultato stato quello di limitare luso
delle lingue di lavoro, richiedendo ai singoli elevate competenze linguistiche.
Lallargamento delle competenze dellUnione, le nuove esigenze derivanti
dallaccelerata globalizzazione e dallincremento dei flussi migratori hanno
accresciuto, nel corso degli anni, limportanza della questione linguistica. Il
multilinguismo (sia individuale che istituzionale) divenuto un elemento chiave anche
per vivere e lavorare nella societ della conoscenza e dellinformazione.

6.2. Variet di lingue sul territorio italiano


Una delle situazioni pi articolate sicuramente quella esistente in Italia; anche sotto
laspetto linguistico, infatti, lunificazione del Paese stata un processo tardivo, e
tuttora sussistono accanto allitaliano una serie di comunit alloglotte. Allinterno del
quadro nazionale possibile distinguere tre differenti situazioni minoritarie.
6.2.1. Lingue regionali e dialetti francoprovenzali e provenzali
Il primo gruppo di realt linguistiche minoritarie da prendere in considerazione
formato da alcune parlate italo-romanze che non si sono integrate nel processo
unificatore iniziato nellOttocento ed hanno mantenuto una propria peculiarit e forza
espressiva. Si tratta del:
-

sardo;
friulano;
occitano;
francoprovenzale;
ladino dolomitico.

SARDO
Tra le minoranze linguistiche presenti in Italia, la pi consistente quella sardo fona.
Ritenuto da molti studiosi la pi conservativa delle lingue derivanti dal latino, il sardo
in realt costituito da una serie di dialetti raggruppati in due insiemi principali: campi
danese e logudorese-nuorese. Le due variet presentano notevoli differenze fonetiche
e lessicali ma allinterno di ciascun gruppo, comunque, il sardo risulta reciprocamente
comprensibile. Linsularit ha chiaramente favorito il conservarsi di numerosi
arcaismo: il vocabolario sardo mantiene non solo termini latini altrove scomparsi, ma
anche termini che risalgono con buona probabilit a strati linguistici pre-latini.
Questultima tendenza stata in qualche misura compensata dallinflusso delle lingue
di prestigio qui susseguitesi nel corso dei secoli. Entrata prima nellorbita di Pisa e
Genova, governata poi da Catalani e Spagnoli, e assegnata ancora ai Savoia, la
Sardegna non rimase sempre isolata, anzi: la sua posizione strategica attrasse fin dai
tempi antichi gli interessi stranieri dando origine anche ad un avvicendarsi di
dominazioni straniere. Parlato in quasi tutta la Sardegna, il sardo dal 1997 lingua
ufficiale della Sardegna, in regime di co-ufficialit con litaliano. A partire dagli anni
sessanta, per, con la sempre maggiore diffusione dei mezzi di comunicazione di
massa, unita allinsegnamento obbligatorio della lingua italiana, il sardo andato a
mano a mano perdendo locutori a vantaggio dellitaliano che costituisce un chiaro
simbolo di progresso sociale e di crescita culturale. Nellitaliano in sostanza si
individuato lo strumento per superare le vecchie strutture agropastorali. Continuando,
comunque, buona parte della popolazione ad utilizzare il sardo nella comunicazione
quotidiana, la Regione Sardegna, tenuto conto della presenza dei due gruppi dialettali
distinti, ha recentemente dato compito ad una commissione di esperti di elaborare una
proposta di standardizzazione, avviando i progetti di una Limba Sarda Unificada e di
una Limba Sarda Comuna. Se la prima non apparsa risolutiva ed , anzi, stata
criticata per la sua artificiosit, la seconda, ponendosi lessicalmente e foneticamente
come variet intermedia tra logudorese e campidanese, ha ottenuto invece un
riconoscimento dallamministrazione regionale, che nel 2006 lha adottata in via
sperimentale per gli atti e i documenti da essa emessi.

FRIULANO
Simile a quella del sardo, per certi aspetti, la situazione del friulano, lingua
appartenente al gruppo retoromanzo o ladino della famiglia neolatina parlata da circa
5/600.000 persone nel cosiddetto Friuli storico. La posizione arginale del proprio
territorio rispetto ai confini recenti dellItalia ha contribuito a dare ai Friulani quella
particolare fisionomia culturale che alla base della loro autonomia etnica. Quattro
sono i grandi gruppi dialettali del friulano che possibile identificare: il tipo centrale,
parlato in gran parte della provincia di Udine; quello carnico; il goriziano e il tipo
occidentale. Bench lopinione pubblica friulana avesse cominciato a chiedere una
certa autonomia per la propria regione gi subito dopo la Seconda guerra mondiale, fu
solo nella seconda met degli anni sessanta che lautonomismo friulano si svilupp
appieno e lallora fondato Movimento Friuli manifest espressamente la necessit di
modalit specifiche di difesa della cultura degli abitanti di questarea, riunita a territori
vissuti come storicamente e geograficamente estranei. Nel tempo, comunque, anche
la minoranza friulana ha saputo dotarsi di valide strutture per affermare la propria
particolarit (si pensi alla Societ filologica friulana o allOsservatorio regionale della
lingua e della cultura friulane); e, nonostante i problemi, la sua cultura rimasta una
delle pi vive in Italia.
OCCITANO
Loccitano presente, oltre che nel sud della Francia, anche in Piemonte e Calabria.
Mentre, per, in Francia tale lingua non gode di alcuna forma di riconoscimento o
autonomia, nel nostro Paese essa, con circa 50.000 locutori, lingua minoritaria
tutelata dalla legge. In un territorio la cui economia ha risentito fortemente
dellindustrializzazione della pianura piemontese e dei fondovalle, osserva Telmon, e in
una condizione in il bi o plurilinguismo hanno sempre rappresentato la normalit, le
parlate occitaniche sono venute assumendo il rango di codice della quotidianit pi
informale. Di tale situazione pressoch totale la coscienza degli stessi locutori, tant
che da parte degli stessi movimenti autonomisti questa consapevolezza si riflette
spesso in propositi di prospettive bi o plurilingui che in programmi di ritorno al
monolinguismo. Numerose sono state e restano le iniziative portate avanti da gruppi
di cultori e associazioni attivi nella valorizzazione delle tradizioni, ma spesso tali
specificit sono state utilizzate pi come fattori di richiamo turistico che non quali
elementi attorno a cui realizzare un effettivo recupero del patrimonio culturale e
linguistico locale.
FRANCO PROVENZALE
Parlato sia in Francia che nella Svizzera francese e in Italia il francoprovenzale (o
arpitano). Le valli piemontesi e valdostane conservano ancora luso quotidiano della
parlata; in Francia e in Svizzera, invece, il francese lha progressivamente soppiantata,
anche perch ai suoi locutori mancata la coscienza di costituire un gruppo a s. Se
per ci che concerne la Valle dAosta tale territorio corrisponde, in linea di massima,
con quello regionale, pur vero che la sua diffusione non appare uniforme. Numerose
sono, comunque, le iniziative di valorizzazione portate avanti da centri e associazioni
che cercano di promuovere il patrimonio culturale locale. Nella presa di coscienza dei
diversi gruppi francoprovenzali sembra infatti potersi individuare pi una regia esterna

rispetto al reale vissuto delle comunit che non la concreta condivisione di un comune
percorso teso alla riappropriazione (o allinvenzione) di tale identit.

LADINO
Infine la minoranza linguistica ladina. Sviluppatosi a partire dalla romanizzazione delle
Alpi, il ladino dolomitico oggi parlato da circa 30.000 persone; riconosciuto come
lingua minoritaria dallo Stato italiano, viene tutelato con diverse norme nelle province
di Bolzano e Trento.
6.2.2. Colonie linguistiche
Il secondo gruppo che possiamo individuare allinterno del quadro nazionale
composto da quelle comunit che, insediatesi in ambiti spaziali circoscritti, hanno
mantenuto la loro identit culturale bench immerse in un contesto differente. Si
tratta di piccoli gruppi che parlano lingue appartenenti a famiglie diverse.
CATALANO
Ad Alghero, circa 18.000 persone parlano Catalano. Le origini di questisola linguistica
possono essere fatte risalire allinizio del XIV secolo, ovvero agli anni in cui Alghero fu
conquistata dagli Aragonesi. Passata la Sardegna sotto la dominazione castigliana e
successivamente entrata lisola a far parte del regno sabaudo, Alghero resistette ai
cambiamenti e mantenne i contatti con la Catalogna, riuscendo probabilmente a
conservare la sua parlata proprio perch fu lunica localit sarda la cui popolazione era
integralmente o in maggioranza catalana. Distante fisicamente dalla madrepatria, il
catalano di Alghero se ne distingue tanto per arcaicit quanto per aver subito gli
influssi del castigliano e del sardo prima e dellitaliano poi.
TABARCHINO
Sempre in Sardegna circa 10.000 persone parlano abitualmente il tabarchino. Nella
prima met del XVIII secolo un cospicuo gruppo di Tabarchini cerc asilo altrove dalla
Tunisia, accogliendo linvito di Carlo Emanuele III di Savoia a contribuire al
ripopolamento di alcune terre sarde allora disabitate. Si stabilirono cos dapprima
nellisola di San Pietro e quindi, trentanni
pi tardi, a Calasetta. Essi hanno
conservato un uso molto ampio della parlata, tant che limpiego del tabarchino da
sempre tratto tipico delle consuetudini linguistiche della popolazione e anche, caso
unico nel contesto delle minoranze linguistiche presenti in Italia, presso le generazioni
pi giovani. Il tabarchino per ignorato dalla legislazione nazionale pertanto i suoi
locutori non sono considerati dallo Stato italiano come costituenti una minoranza
linguistica.
WALSER
Permeabili allingresso di piccole comunit germanofone sono state poi, in pi
momenti storici, le Alpi. I Walser, ad esempio, sono una popolazione parlante un
dialetto germanico. Questi gruppi sono riusciti a mantenere la memoria delle proprie

origini e certi caratteri culturali e linguistici peculiari. Numerosi sono stati i progetti di
recupero e valorizzazione di questo antico idioma portati avanti negli ultimi anni.
MOCHENA
Minoranza dalla storia travagliata, quella mchena, oggi riconosciuta dallo Stato
italiano ed interessata dalle norme di tutela e promozione del Trentino Alto Adige, e
conta poco pi di 2.000 locutori.

CIMBRO
Altri gruppi parlanti un dialetto bavarese arcaico, il cimbro, si stabilirono prima nel
Trentino e quindi sullaltopiano di Asiago. Il loro arrivo non fu casuale: essi vennero
espressamente chiamati dai vescovi del tempo per ripopolare aree quasi del tutto
abbandonate in seguito a guerre ed epidemie.
GERMANOFONA
Nel Veneto unisola linguistica germanofona poi presente a Sappada, comune della
provincia di Belluno. Il dialetto di Sappada spesso, in virt dei suoi caratteri peculiari,
oggetto di studi e di iniziative culturali, e negli ultimi anni stato al centro anche di
svariati progetti di valorizzazione in ambito scolastico.
CROATA, GRECO, ALBANESE
Per ci che riguarda, poi, lItalia meridionale, non si possono non considerare quelle
colonie di lingua croata, greca e albanese, nate anchesse dal trasferimento in nuovi
contesti di collettivit in grado di tenere in vita le proprie caratteristiche culturali. Due
sono le aree dellItalia meridionale dove tuttora risiedono comunit di lingua greca: il
Salento e la Bovesa, in Calabria. Assai dibattuta la questione relativa allorigine di
queste popolazioni grecofone, discendenti, secondo alcuni studiosi, dagli antichi coloni
della Magna Grecia o frutto, secondo altri, delle pi recenti colonizzazioni di epoca
bizantina. Questo il nucleo alloglotto pi antico tra quelli immigrati in Italia.
Sviluppatisi autonomamente rispetto al greco moderno e subendo in misura
consistente linfluenza delle vicine parlate neolatine, i dialetti grecanici dellItalia
meridionale hanno per perso via via locutori. Ben pi consistente invece la
componente di lingua albanese: in tutto circa 100.000 persone disseminate in una
serie di comunit.
6.2.3. Lingue di minoranze nazionali
Del terzo grande insieme individuabile fanno infine parte quelle lingue minoritarie che,
in regime di co-ufficialit con litaliano, rimandano ad altrettante minoranze nazionali
che hanno i propri riferimenti culturali e politici al di l dei nostri confini. Rispetto alle
altre tipologie minoritarie, queste lingue (tedesco, sloveno e francese) presentano
proprie caratteristiche peculiari e, proprio in quanto parlate da gruppi il cui nucleo

centrale nazionale situato oltre i confini dello Stato italiano, risultano tutelate da
accordi di diritto internazionale. La minoranza che ha ottenuto a livello legislativo,
nellambito dello Stato italiano, il riconoscimento del maggior numero di prerogative
sicuramente quella di lingua tedesca della provincia di Bolzano. La minoranza slovena
in Italia composta da circa 61.000 persone, concentrate nella provincia di Trieste e
nella parte orientale delle province di Gorizia e Udine. La terza lingua minoritaria che,
in regime di co-ufficialit con litaliano, corrisponde ad una minoranza nazionale che
ha i suoi riferimenti culturali e politici in un altro Paese il francese della Valle dAosta.
Pur essendo la Valle dAosta ufficialmente bilingue e pur continuando il francese, in un
certo senso, ad essere il simbolo dellautonomia della regione, nella realt il
francoprovenzale ad essere ancora usato e diffuso nei piccoli centri e nelle valli
laterali, rimanendo la lingua effettivamente parlata da molti valdostani, ed litaliano
ad aver soppiantato nelluso il francese.
6.3. La tutela delle lingue minoritarie
Nel 1919 nellambito dei lavori della Societ delle Nazioni, per la prima volta venne
fatto espressamente riferimento alle minoranze di nazionalit e razza in un passaggio
del secondo progetto Wilson e fu avviato in quelloccasione un programma di tutela
delle minoranze nazionali presenti negli Stati di nuova formazione o allinterno dei
nuovi confini di Stati gi esistenti. Per ci che riguarda lItalia, invece, il problema della
tutela delle realt alloglotte presenti sul territorio nazionale si posto pi di recente:
solo nel corso del secondo dopoguerra, durante i lavori dellAssemblea costituente,
infatti, si cominci ad ammettere che anche le espressioni delle culture locali diverse
da quelle ufficiali andassero, in una qualche misura, valorizzate. Il processo di
unificazione nazionale, daltra parte, era avvenuto allinsegna del nazionalismo.
Quando, perci, il primo censimento del Regno dItalia, nel 1861, rivel che meno di un
decimo degli abitanti del nuovo Stato parlava italiano, si pens che fosse possibile
fondere in un insieme coerente tutti i cittadini mediante leliminazione delle parlate
locali. La prima norma di portata generale a prendere in considerazione largomento fu
larticolo 6 della Costituzione, con cui la Repubblica riconosceva la necessit di
tutelare con apposite leggi le minoranze linguistiche. Ad ogni modo, ad una riflessione
pi generale sul problema si arrivati solo di recente, e si giunti ad una soluzione
legislativa solo dopo un percorso difficile e lento, durato circa ventanni. La legge
482/1999 lunica ad aver fissato regole generali, valide su tutto il territorio italiano,
relativamente ad una serie di situazioni che vengono ritenute meritevoli di specifiche
forme di valorizzazione. Nellarticolo 2 di tale legge, infatti, si fa riferimento alla tutela
della lingua e della cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche,
slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il
ladino, loccitano e il sardo. Dodici sono, dunque, le minoranze linguistiche storiche
cui il testo fa riferimento. In sostanza, ricorda ancora Toso, quello che accaduto che
lelencazione delle lingue ammesse a tutela ha finito con lincoraggiare un principio di
auto identificazione, portando, laddove se ne sono percepiti i vantaggi economici,
allinopportuna dilatazione di aree linguistiche minoritarie o allinattesa rinascita di
identit linguistiche allinterno di comunit presso le quali le variet alloglotte erano
ormai gi da tempo scomparse. Quanto contenuto nella 482/1999 non si rivelato,
dunque, garanzia di pieno riconoscimento del diritto di eguaglianza. LItalia, nei
confronti delle lingue minoritarie, ha spesso scelto la strada peggiore, elargendo da un
lato, nellintento di rendere pi malleabile chi aveva di fronte, provvidenze

economiche sproporzionate, ma mostrandosi, dallaltro, in pi casi inadempiente sulle


misure meno costose e pi a portata di mano. Ancora oggi, perci, necessario
rilanciare la questione approfondendola ulteriormente. Quel che certo, per, che
difficilmente si pu modificare la realt dei fatti: ovvero che le diverse espressioni
culturali di cui lItalia era ricca stanno progressivamente scomparendo a causa
dellallargamento dei contatti sociali e della trasformazione dei sistemi economici e dei
modelli comportamentali. Coinvolte dai grandi cambiamenti, le numerose isole
linguistiche dellItalia meridionale sono andate perdendo locutori, e lo stesso
successo per le comunit minori del Nord. Il riconoscimento del pluralismo linguistico
un aspetto non secondario di una democrazia reale.

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