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C. L. 422.•b
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Indice
p. 9 Introduzione polemica
479 Glossario
ANATOMIA DELLA CRITICA
Introduzione polemica
3
66 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI
' L'Erkennung dei Sonetti a Orfeo (Il, xn) di Rilke è un esempio me-
no vago; e serve anche a illustrare il concetto della scoperta tematica o
agnizione (cfr. pp. 72 e 407).
MODI TEMATICI
4
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI
modo in cui gli viene in mente. Egli deve, sotto la sua re-
sponsabilità, partorirla indenne, e se la poesia è viva, essa
è, allo stesso modo, ansiosa di liberarsi di lui e chiede a
gran voce di essere staccata dal cordone ombelicale del-
1'ego del poeta.
Il vero padre, o spirito formativo della poesia, è la for-
ma della poesia stessa e questa forma è la manifestazione
dello spirito universale della poesia, l' « onlie begetter » dei
sonetti di Shakespeare, che non era Shakespeare, né tanto
meno quel deprimente fantasma di W. H., ma il tema di
Shakespeare, il Sire-signora della sua passione. Quando
un poeta parla dello spirito interno che dà forma alla poe-
sia, è portato a ignorare la tradizionale invocazione alla
Musa femminile, e a pensare di essere personalmente in
relazione femminile, o per lo meno recettiva, nei riguardi
di qualche dio o signore, Apollo, Dioniso, Eros, Cristo
o (come nel caso di Milton), lo Spirito Santo. «Est deus
in nobis», dice Ovidio: in epoca moderna possiamo fare
un paragone con le osservazioni di Nietzsche sulla sua
ispirazione in Ecce Homo.
Il problema della convenzione è il problema di come
l'arte possa essere comunicativa, poiché la letteratura è,
evidentemente, una tecnica di comunicazione proprio co-
me le strutture verbali assertive. La poesia, presa global-
mente, non è piu un semplice aggregato di artifici che
imitano la natura, ma una delle attività dell'artificio uma-
no considerato globalmente. Se a questo proposito usia-
mo il termine «civiltà», possiamo dire che la nostra quar-
ta fase tende alla poesia come a una delle tecniche di civi-
lizzazione. Questo è perciò connesso con l'aspetto sociale
della poesia, con la poesia considerata come punto focale
di una comunità. In questa fase il simbolo è l'unità co-
municabile che qui definiamo archetipo, cioè una imma-
gine tipica o ricorrente. Indichiamo con archetipo un sim-
bolo che collega una poesia ad altre poesie e serve a uni-
ficare e integrare la nostra esperienza letteraria. E poiché
l'archetipo è il simbolo comunicabile, la critica archetipi-
ca è, in primo luogo, connessa con la letteratura come fat-
to sociale e come modo di comunicazione. Per mezzo del-
lo studio delle convenzioni e dei generi essa tenta di inse-
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO I 3I
rire le singole composizioni poetiche nel corpo della poe-
sia nel suo complesso.
La ripetizione di certe immagini proprie del mondo fi-
sico, come il mare o la foresta, in un cosl'. grande numero
di poesie non può essere considerata una «coincidenza»,
termine con cui indichiamo il particolare di una trama a
cui non siamo in grado di attribuire un fine. Ma indica an-
che una certa unità, sia nella natura che è imitata dalla poe-
sia, sia nell'attività comunicativa di cui la poesia fa parte.
A causa del piu ampio contesto comunicativo dell'istruzio-
ne è possibile che una storia di mare sia archetipica e che
faccia una profonda impressione fantastica su di un lettore
che non si è mai allontanato da Saskatchewan. E quando
le immagini pastorali vengono deliberatamente usate solo
perché sono convenzionali- come, ad esempio, in Lycidas
- possiamo renderci conto che la convenzione del genere
pastorale ci porta a mettere in relazione queste immagini
con altre della letteratura.
Per prima cosa, pensiamo che la poesia pastorale deriva
da Teocrito, in cui l'elegia pastorale appare per la prima
volta come adattamento letterario del rituale del lamento
di Adone 1, e da Teocrito passa a Virgilio, e attraverso l'in-
tera tradizione pastorale giunge sino a The Shepheardes
Calender e a Lycidas. Inoltre, pensiamo all'intricato sim-
bolismo pastorale della Bibbia e della Chiesa cristiana, ad
Abele e al XXIII Salmo, a Cristo il Buon Pastore, alle im-
plicazioni ecclesiastiche di «pastore» e di «gregge», e ai
rapporti tra tradizione classica e cristiana nella egloga mes-
sianica di Virgilio. Poi pensiamo all'estensione del sim-
bolismo pastorale nella Arcadia di Sidney, in The Faerie
Queene, nelle commedie boscherecce di Shakespeare e co-
sl'. via. Infine, allo sviluppo postmiltoniano della elegia pa-
storale in Shelley, Arnold, Whitman e Dylan Thomas; e,
forse, anche alle convenzioni pastorali nella musica e nel-
la pittura. In definitiva, possiamo anche farci una cultura
umanistica completa interessandoci semplicemente a una
poesia convenzionale e seguendone gli archetipi attraver-
1 Questa frase va interpretata alla luce del principio generale per cui
«rituale» si riferisce al contenuto piuttosto che alla fonte.
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI
6
162 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI
7
1 94 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI
spressione « that old dragon » del verso iniziale del canto XI.
IL «MYTHOS » DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 259
due sacramenti accettati dalla Chiesa riformata; sono i
due elementi del giardino dell'Eden che l'uomo possie-
derà di nuovo nell'Apocalisse, e hanno inoltre una piu
generale connessione con l'eucarestia. L'emblema di san
Giorgio è una croce rossa in campo bianco, che è lo stes-
so vessillo portato dal Cristo nella iconografia tradiziona-
le, quando ritorna in trionfo dopo aver abbattuto il drago
dell'inferno. Il bianco e il rosso simbolizzano i due aspetti
del corpo risorto, la carne e il sangue, il pane e il vino, e
in Spenser hanno una connotazione storica, poiché allu-
dono all'unione della rosa rossa e della rosa bianca nel-
l'emblema del capo regnante della chiesa. Il rapporto tra
l'aspetto sacramentale e quello sessuale del simbolismo
del bianco e del rosso è evidente nell'alchimia, che Spen-
ser sicuramente conosceva, dove una delle fasi cruciali per
la produzione dell'elisir dell'immortalità è nota come l'u-
nione del re rosso e della regina bianca.
1 Nature, VI.
IL « MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SA TIRA 3I 5
brugs; mentre le Directions to Servants e le sue meno ci-
tabili poesie rientrano nella tradizione dei predicatori me-
dievali che descrivevano la disgustosità della ghiottoneria
e della lascivia. Anche qui infatti, come sempre nella sati-
ra, vi sono implicazioni morali: va benissimo mangiare,
bere e stare allegri, ma non si può sempre rimandare il
giorno della morte.
La satira si immerge nel mondo caotico e sfrenato di
Rabelais, Petronio e Apuleio fino a raggiungere la sua vit-
toria finale sul senso comune. Quando abbiamo finito di
leggere le loro bizzarre fantasie di orgie, sogni e deliri, ci
svegliamo domandandoci se avesse ragione Paracelso nel
sostenere che le cose viste in stato di delirio esistono ve-
ramente, come esistono le stelle anche durante il giorno,
e sono invisibili per la stessa ragione per cui sono invisi-
bili durante il giorno le stelle. Lucio diventa un iniziato
ed esce ambiguamente dalla portata della nostra compren-
sione, sia che abbia mentito sia che abbia detto la verità,
come commenta sant' Agostino con una punta di esaspe-
razione; Rabelais ci promette un oracolo alla fine e noi al-
la fine ci troviamo a fissare stupefatti una bottiglia vuota;
HCE di Joyce lotta per pagine e pagine nel tentativo di
raggiungere uno stato di veglia, ma proprio quando ci
sembra di essere al punto di afferrare qualcosa di tangi-
bile veniamo rimandati alla prima pagina del libro. Il Sa-
tyricon è un frammento di qualcosa che assomiglia alla
storia di una mostruosa razza dell'Atlantide svanita nel
mare mentre era ancora in stato di ebbrezza.
La prima fase della satira è dominata dalla figura dello
sterminatore di giganti, ma in questa terza fase dove ve-
diamo spezzarsi l'equilibrio e la stabilità dell'universo,
viene richiesto all'interno della satira stessa l'intervento
di una potenza gigantesca. Quando il gigante filisteo esce
a dar battaglia ai figli della luce, si aspetta di dover af-
frontare qualcuno delle sue stesse dimensioni, qualcuno
che sorpassi di tutta la testa e le spalle ogni altro uomo in
Israele. Un tale Titano potrebbe schiacciare il suo avver-
sario con il semplice peso delle parole, e quindi essere un
maestro di quella tecnica di straripante improperio che
chiamiamo invettiva. Le figure gigantesche di personaggi
316 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI
in cui era stato scagliato giu dal cielo sull'altra parte della
terra. La tragedia e l'ironia tragica ci portano attraverso
un inferno fatto di spirali che si restringono sempre piu
fino a culminare nella visione della sorgente di tutti i ma-
li in una forma personalizzata. La tragedia non ci può por-
tare oltre; ma se continueremo nel mythos dell'ironia e
della satira, passeremo oltre il punto morto centrale e sa-
remo alla fine in grado di vedere capovolto il magnifico
Principe delle Tenebre.
Quarto saggio
Critica retorica: teoria dei generi
Introduzione
proibito, il cui assaggio mortale : recò morte nel mondo e tutta la nostra
di~gra%ia, i con la pc,tdita dell'Eden, finché un Uomo piu grande I non
venne a redimerci, e riguadagnò la sede beata i .•• »]
3 [«Dimentica l'odio loro, e cedi al timore»].
4 [«Né l'inferno /alberga) una furia pari a una donna oficsa»].
5 [«Il poco sapere è cosa pericolosa»].
JJ1n;.1nn1J
Un-to folkes / for to do plesaunce
n .J I J. .J>I n .n I J ,l
By the right honde (anoone) I shal the gripe
.J J 1n '/ ;1n
With these other /
n Id
to go vp-on my daunce
J I.J .J I J ). In n I J.
Ther is no scape / nowthcr a-voydauncc
JJI.J n1n n Id
On no side / to contrarie my sentence
.J .JI.J .J I .J .JI.J.J
Who maister is / shew his science '.
J J J )..
Placebo,
n J J
\X:ho is there, who_?
~
JJJ i
Di le xi,
J nJt
Dame Margery;
n J J
J
\Y/herefore and why, why?
nnnn
For the soul of Philip Sparowe,
nJ nn
That was late slayn at Carowe ... 1•
,n n1nrJ1n nin.t
Knees and tresses folded to slip and ripple idly,
mi, 1 per che cosa e perché, perché? : Per l'anima di Philip Passero '. di re-
cente ucciso a Ctrrow »].
1 [«Sotto qnel foggio soln sulla distcs; erbosa I sdrJiata con le braccia
dicti-u il c,1pn d'oro I ginocchia e trecce sci-rate a scivolare e ondeggiare
pigramente, I sta la mia giovane amata addormentata all'ombra» J.
34° CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI
1 [«Oh madre Ida, Ida dalle molte sorgenti, I cara madre Ida, ascolta
prima ch'io muoia. I Attendevo sotto i colli albeggianti, : in alto il prato
della montagna era scuro di rugiada i e scuro di rugiada in alto il pino di
montagna: : il bel Paride, Paride dal cuore malvagio, : guidando una capra
nerolucentc dalle bianche corna e dai bianchi zoccoli, ; sopraggiunse dal
Simocnta orlato di canne tutto solo»].
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L' «EPOS» 34 1
Of mucus and fucus from mere use of ccruse:
In short, shc grew from scalp to udder
Just the object to make you shudder'.
1 Ret<;rica, III, xt; ma il vero e proprio uso di questo verso (Od., XI,
1 Essay on Criticism, 347; naturnlmcnte, quel che stride nel verso non
è che ci siano troppi monosillabi, ma i troppi accenti ritmici.
' [«Quando dieci brevi parole si insinuano, come spesso accade, in un
S•.J lo fiacco verso»].
3 [«I tuoi desideri ullora non osano esser detti»].
4 [«Che incombe in alto, orrendo a vedersi» (riferito a un dirupo)],
5 [«Che, ass~ggi:ito, rern la conoscen%a del bene e del male»].
6 [«Neri nffumicati fabbri avvolti dal fumo I mi fanno morire col fra-
12
354 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI
lo stile appare nel suo stadio piu puro nella prosa discor-
siva, cosf il «decoro» si trova al suo stadio piu puro nel
teatro, dove il poeta non compare di persona. Secondo
questo nostro punto di vista, il teatro può essere defini-
to come un epos o fiction immessa nel ritmo del « de-
coro».
Il teatro è una mimesi del dialogo o della conversazio-
ne, e la retorica della conversazione deve naturalmente es-
sere molto flessibile. Essa può comprendere un discorso
preordinato come quella sorta di dialogo a botta e rispo-
sta, che viene chiamato sticomitia quando la sua base è
metrica; essa deve inoltre risolvere la duplice diffirnltà di
esprimere il carattere e il ritmo discorsivo del personag-
gio che parla e allo stesso tempo adattare entrambi alla
situazione e agli umori degli altri interlocutori. Nel teatro
elisabettiano il centro di gravità, per cosi dire, si trova in
una zona tra l'epos e la prosa, cosf da spostarsi liberamen-
te dall'uno all'altra, a seconda rlelle esigenze del « deco-
ro», che sono di solito quelle del livello sociale del perso-
naggio e del genere specifico del lavoro drammatico. La
commedia e gli strati sociali piu bassi tendono a esprimer-
si in prosa; in epoche piu tarde, mentre l'epos lascia il po-
sto alla fiction, la commedia e la prosa si adattano alle mu-
tate condizioni storiche e sociali in una misura sconosciu-
ta alla tragedia e all'epos in versi.
Tuttavia anche nella commedia in prosa, in cui è ormai
scomparso quasi completamente l'elevato stile retorico ne-
cessario ai personaggi appartenenti a una classe dominan-
te, resta ancora da risolvere il problema tecnico di come
rappresentare in prosa quegli elementi che il teatro in ver-
si esprime per l'appunto in versi: elementi come la digni-
tà, la passione, le immagini concettose (forse piu impor-
tanti di ogni altro elemento) e il pathos. Spesso la comme-
dia in prosa fa fronte a questa difficoltà sviluppando uno
stile epigrammatico e ricercato, in cui riappaiono le trac-
ce della struttura antitetica e ripetitiva della prosa retori-
ca. Quasi tutti i grandi commediografi di lingua inglese,
da Congreve a O'Casey, sono irlandesi, e l'Irlanda è il
paese in cui la tradizione retorica è sopravvissuta piu a
lungo. Anche la prosa del teatro di Synge è di tipo manie-
IL RITMO DEL «DECORO»: IL TEATRO 361
ristico1, sebbene si proponga di riprodurre il ritmo delle
parlate dei contadini irlandesi. Al contrario, un ritmo me-
trico come quello di Browning nell'Ottocento o di Eliot
e Fry nel nostro secolo sembra scavalcare l'abisso tra l'e-
pos e la prosa con uno sforzo molto minore. Forse Shaw
non ha tutti i torti quando afferma che è piu facile scrive-
re un lavoro drammatico in versi sciolti che in prosa. E se
ha ragione, il senso di forzatura e di innaturalczza della
maggior parte del teatro moderno in versi è forse dovuto
all'uso di una retorica non appropriata, una retorica trop-
po lontana dai ritmi della conversazione normale, cosa che
nel teatro elisabettiano, per stilizzato che sia, accade mol-
to di rado.
Il tentativo di tradurre in versi i ritmi della conversa-
zione non interessò molto i romantici o i vittoriani. Spes-
so si pretende dagli studenti di inglese che scrivano, come
voleva la consuetudine romantica, utilizzando il maggior
numero possibile di parole brevi di origine indigena, per-
ché ciò renderebbe il loro vocabolario il piu concreto pos-
sibile: ma uno stile basato sulle parole semplici indigene
può essere il più artificioso di tutti. Lo stile di Samuel
Johnson anche nei suoi momenti piu reboanti è pur sem-
pre colloquiale e simile alla conversazione quotidiana, se
paragonato a un romance di William Morris. Oggi la lin-
gua parlata inglese a un livello culturale medio, appesan-
tita com'è da molti vocaboli lunghi, astratti o tecnici e dal
forte accento dei vocaboli brevi, è un rumore polisillabico
che si addice assai piu alla prosa che alla poesia. I libri
profetici di Blake rappresentano uno dei pochi tentativi
riusciti di instaurare il ritmo della conversazione nel ver-
so, un tentativo cosi riuscito che molti critici si domanda-
no ancora adesso se sia « veramente poesia». L'opinione
di Blakc che fosse necessario un verso piu lungo del pen-
tametro per tradurre in versi un linguaggio colloquiale
colto può essere paragonata agli esperimenti di Clough e
Bridges con gli esametri. Sono anch'essi tentativi di affer-
rare lo stesso tipo di ritmo, sebbene si abbia l'impressio-
ne, almeno in Clough, che una stretta aderenza al metro
1 Cfr. T. s. ELIO'l", Poetry and Drama (1951).
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI
Il
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI
cialmente nel famoso passo « The corn was orient and im-
mortal wheat » 1•
Un gruppo molto importante di poesia del riconosci-
mento sono le poesie dell'autoriconoscimento, in cui il
poeta stesso è coinvolto in un risveglio che lo fa passare
dal mondo dell'esperienza a una realtà di carattere visio-
nario: ne sono esempi la Ode on the Poetica! Character di
Collins, il Kubla Khan di Coleridge e Tower e Sailing to
Byzantium di Yeats. Questo genere confina con il succes-
sivo e ultimo gruppo di temi che ci riporta di nuovo al-
l'oracolo. Si tratta delle forme ditirambiche o rapsodiche
in cui il poeta si sente posseduto da una forza interna e
quasi personale. La piu vicina alla poesia del riconosci-
mento è la poesia della risposta iconica, che caratterizza
alcune odi di Crashaw. Nel periodo del Romanticismo di-
venta molto popolare un tipo di poesia che ricorre piu
frequentemente a forme ditirambiche e a elementi sogget-
tivi: ne sono esempi l'Ode to the West Wind di Shelley,
buona parte della poesia di Swinburne, di Vietar Hugo,
di Nietzsche (che, curiosamente, affermò di aver inventa-
to lui il ditirambo), delle profezie di Blake, specialmente
la nona notte di The Four Zoas, e le due grandi poesie di
Smart. La maggior parte di queste sono forme di epos:
il ditirambo si presta molto al metro ricorrente. Tra le
forme liriche, osserviamo la convenzionale canzone del fol-
le, di cui sono esempi le canzoni di Edgar in King Lear, le
poesie di Crazy Janc in Yeats, e sporadicamente testi di al-
tri poeti, tra cui Scott. Il fatto che il personaggio che can-
ta le canzoni della follia sia di solito un vagabondo, sug•
gerisce l'idea di una sua piu stretta connessione, rispetto
agli uomini normali, con esseri e forze misteriosi, come
gli spiriti della natura. A un livello piu sofisticato, quan-
do il poeta suggerisce l'idea dell'irrompere di visioni auto-
nome all'interno della sua stessa mente, abbiamo le Illu-
minations di Rimbaud.
Man mano che ci avviciniamo al ritmo oracolare da cui
siamo partiti, i ritmi della prosa e del verso incominciano
di nuovo a fondersi. Notiamo per esempio che in Whit-
1 [«Il grano era splendido e immortale frumento»].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI
1 In G. lt. LEVY, The S1cord /rom the Rock I 19.54), si distinguono tre
tipi di struttura epica: l'epica mitic.i, l'epica della ricerca, l'epica del con-
flitto. Per quel che riP,u.irda il materiale epico utilizzato, i tre tipi coni-
spondono all'incirca alle forme da noi definite mitica, del ro111a11ce e enci-
clopedica dell'atea alto-mimetica.
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE
r6
GLOSSARIO
c. L. 422-6
Piccola Biblioteca Einaudi
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