Sei sulla pagina 1di 508

Teoria dei modi,

dei simboli, dei miti


edei generi letterari

Piccola
Biblioteca
Einaudi
C. L. 422.•b

Anatomia della critica, il piu noto e discusso libro di Northrop Frye 1


è tra le opere di fondo del moderno metodo critico.
Preminente è in Frye l'interesse per il simbolo come motivo lette-
rario e come segno critico. Questo «utopico pianificatore della città
letteraria», come è stato definito, tenta uno scandaglio inedito attt.r•
verso un minuzioso sforzo di classificazione per generi, che giunge a,
rivelare i congegni della convenzione retorica e a illuminare una tra;:
dizione letteraria. «Si può non essere d'accordo con le idee del Fl:y~
- ha scritto Remo Ceserani - ma non si può fare a meno di ammira-
re l'energia, l'apertura, la voracità, la corroborante forza propulsiva
della sua attività critica. La sua stessa insaziabile curiosità esplora-
tiva, che si rivolge ai piu diversi continenti dell'universo letterario,
è una forza trascinante».
Northrop Frye è nato nel 1912 a Sherbrooke, nel Quebec. Ha studiato a To
ronto e Oxford. Nel 1936 è stato ordinato pastore della United Church of Ca-
nada. Dal 1940 insegna al Victoria College, di cui è stato rettore dal 1959 al
1966.
È autore di numerosi lihri, saggi ed articoli, tra cui ricordiamo Fearful Sym,
metry: A Study of \Villiam Blake (1947), The Well-Tempered Critic (1963)
T. S. Eliot (1963), Fables of Identity: Stt1di:>s in Poetic Mythology (1963), A
Natural Perspective: The Development of Shakespearean Comedy and Roman,
ce (1965), The Return of Eden: Five Essays on Milton's Epics (1965).

Piccola Blblloteca Einaudi


Ultimi volumi pubblicuti 299. MARZIANOGUGLIELMINETTI,Me-
(all'interno del volume l'elenco completo) moria e scrittura. L'autobiogra-,
293. JULIEN BENDA, Il tradimento dei fia da Dante a Cellini
chierici 300. TILDE GIAN! GALLINO, Il com-
294. GIORGIO CAREDDA, Il Fronte po- plesso di Laio. I rapporti fami-
polare in Francia (1934-1938) gliari nei disegni dei ragazzi
301. DIEGO LANZA, Il tiranno e il sue
295. ANTOINE MEILLET, Lineamenti
di storia della lingua greca pubblico
296. PIERO CAMPORESI, La maschera
di Bertoldo Volumi di prossima pubblicazione
297. ANTONIO LA PENNA, L'integrazio- CHRISTOPHER BILI., La formazione
ne difficile. Un profilo di Pro- della potenza inglese. Dal 1530 al
perzio 1780
298. PAOLO SPRIANO, Gramsci e Go- FRANCO FIDO, Guida a Goldoni. Tea-
betti. Introduzione alla vita e al- tro e società nel Settecento
le opere
PICCOLA BIBLIOTECA EINAUDI II5
Filologia. Linguistica. Critica letteraria
Titolo originale Anatomy o/ Criticism. Four Essays

Copyright () 19:57 Princeton University Press

Copyright() r.969 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino


Terza edizione

Traduzione di Paola Rosa-Clot e Sandro Stratta

L'editore ringrazia Amleto Lorenzini


per la collaborazione nell'allestimento di questa nuova edizione
NORTHROP FRYE
ANATOMIA
DELLA CRITICA
Quattro saggi

Piccola
Biblioteca
Einaudi
Indice

p. 9 Introduzione polemica

Primo saggio Critica storica: teoria dei modi


45 Modi di invenzione: introduzione
49 Modi di invenzione tragica
59 Modi narrativi comici
71 Modi tematici

Secondo saggio Critica etica: teoria dei simboli


93 Introduzione
97 Fase letterale e fase descrittiva: il simbolo come motivo e
come segno
109 Fase formale: il simbolo come immagine
125 Fase mitica: il simbolo come archetipo
152 Fase anagogica: il simbolo come monade

Terzo saggio Critica archetipica: teoria dei miti


171 Introduzione
184 Teoria del significato archetipico. 1. Immagini apocalittiche
193 Teoria del significato archetipico. 2. Immagini demoniche
199 Teoria del significato archetipico. 3. Immagini analogiche
209 Teoria del mythos: introduzione
216 Il mythos della primavera: la commedia
247 Il mythos dell'estate: il romance
275 Il mythos dell'autunno: la tragedia
298 Il mythos dell'inverno: ironia e satira
6 INDICE

Quarto saggio Critica retorica: teoria dei generi


P,3 2 3 Introduzione
335 Il ritmo della ricorrenza: l'epos
351 Il ritmo della continuità: la prosa
359 Il ritmo del «decoro»: il teatro
363 Il ritmo dell'associazione: la lirica
379 Specifiche forme drammatiche
395 Specifiche forme tematiche (lirica e epos)
409 Specifiche forme continue (narrativa in prosa)
425 Specifiche forme enciclopediche
441 La retorica della prosa non-letteraria

457 Tentativo di conclusione

479 Glossario
ANATOMIA DELLA CRITICA
Introduzione polemica

Questo libro è composto di «saggi)> (intesi etimologi-


camente come prove o tentativi sommari) sulla possibili-
tà di una visione sinottica della sfera d'azione, della teo-
ria, <lei principi e delle tecniche della critica letter,tria. Il
primo scopo del libro è di spiegare i moti vi in base ai qua-
li io credo in questa visione sinottica: il secondo è di for-
nire una versione che, per quanto approssimativa, sia ab-
bastanza corretta da convincere i miei lettori che è pos-
sibile ottenere una visione del tipo indicato. Nel libro so-
no rimaste tali lacune nella trattazione degli argo.menti
che esso non può essere considerato come la presentazio-
ne né del mio metodo né della mia teoria; ma soltanto co-
me un insieme di suggerimenti connessi tra loro, che spe-
to possano essere di una qualche utilità pratica sia per i
critici che per gli studiosi di letteratura. Tutto ciò che non
sia di utilità pratica per alcuno è da abbandonate. Il mio
modo di accostarmi alla materia è basato sul precetto di
Matthew Arnold di lasciiir libero gioco al pensiero intor-
no a un tema che molti hanno indagato e pochi lrnnno cer-
cato di vedete in prospettiva. Tutti i saggi trattano di cri-
tica, ma con il termine critica intendo l'insieme de] lavoro
svolto sul piano dell'indagine filologica o del gusto intor-
no alla letterntura, e che è parte di ciò che viene variamen-
te chiamato educazione liberale, cultur,1, o studi umanisti-
ci. Parto dal principio che la critica non è soltanto una
parte di questa attività piu vasta, ma ne è una parte es-
senziale.
La critica letteraria si occup;1 di un'arte, e in qualche
modo è anch'essa, manifestamente, un'arte. Questo par-
IO INTRODUZIONE POLEMICA

rebhe significate che 1u critica è una forma parassitaria


dell'espressione letteraria, un'arte basata su un'arte pree-
sistente, un'imitazione derivata della forza creativa. In
base a questa teoria, i critici sarebbero degli .intellettuali
che posseggono gusto per l'arte, ma sono privi sia della
forza di produrla che del denaro per aiutarfo e costitui-
scono, quindi, una classe di mediatori culturali che distri-
buiscono la cultura nella società per il proprio profitto
personale, sfruttando l'artista e accrescendo la tensione
sul suo pubblico. L'idea che il critico sia un parassita o un
artista fallito è ancora molto diffusa, specialmente tra gli
artisti, ed è talvolta rafforzata da una dubbia analogia fra
la funzione creativa e quella procteativa, cosicché si sente
parlare di «impotenza» e di «aridità» del critico, del suo
odio per gli individui creativi e cosi via. L'età d'oro della
critica contro la ctitica è stata l'ultima patte del XIX seco-
lo e molti dei suoi pregiudizi continuano a sopravvivere.
È tuttavia istmttivo il destino dell'arte che cerca di fa-
re a meno della critica. Il tentativo di raggiungere il pub-
blico direttamente, per mezzo dell'arte «popolare», par-
te dal presupposto che la critica sia artificiale e H gusto
del pubblico naturale: dietro a questo presupposto se ne
nasconde un ,1ltro sul gusto naturale, che risale, attravet-
so Tolstoj, alle teorie romnntiche di un «popolo» sponta-
neamente artista. Queste teorie, giudicate alla luce dell'e-
sperienza e della storia letteraria, non hanno superato la
prova dei fatti cd è quindi giusto incominciare a scalzarle.
All'estremo opposto, come teaziom: alla concezione pri-
mitivistica e rifacendosi allo slogan dell'« arte per l'arte»,
si considera l'arte un mistero, un'iniziazione ad una eso-
terica comunità civilizzata. La Cl'itica è ridotta a gesti da
rituale massonico, a superciliosi ed ermetici commenti e
ad altri segni di una comprensione troppo recondita per
esser tr,1dotta in parole. Dirci che l'errore comune a que-
sti <lue atteggiamenti sia quello di una rozza correlazione
fra il merito dell'arte e il grndo di rispondenza del pub-
blico, correlazione intesa in modo diretto nel primo caso
ed in modo inverso nel secondo.
Possiamo trovare esempi che sembrano confortare l'u-
na come l'altra opinione, m,1 è evidente che non esiste nes-
lN'l'HODUZlONE POLEMICA TI

suna cotrelazione reale tra il v,1lore dell'arte e la sua frui-


bilità. Shakespeare era piu popolare di \X'ebstcr, ma non
p~rché fosse un miglior drammaturgo; Keats era meno
popolare di Montgomery, ma non perché fosse un miglior
poeta. Di conseguenza, non vi è modo di impedire al cri-
tico di essere, bene o male, il pioniere della cultura ed il
rnoddlatore della tradizione culturale. Quale che sia ogf!,i
la popolarità di Shakespeare e Keats, essa è ugualmente
il risultato della pubblicità della critica. Un pubblico che
cerchi di fare a meno della critica e sostenga di sapere che
cosa desideri ed ami, fa violenza alle arti e perde la sua
memoria culturale. L'arte per l'arte è una rinuncia alla
critica che si conclude con l'impLwerimento della stessa
vit,\ civile. Il solo modo di impedir!.! e di prevenire il la-
voro della critica è ricorrere alla censura, la qm1le ha con
fa critica gli stessi rapporti che il linciaggio ha c:on la giu-
stizia.
C'è un altro motivo che giustifìca l'esisten7.n <lella cri-
tirn: questa può parl..1tl.!, mentre tutte le arti sono mute.
Nella pittura, nella scultura o nella musica è nbbast:an,:a
facile yeJerl.! che l'arte cmel'ge, ma non può dire nulla. E
per qm111to ciò sembri voler dire che il poeta è muto o pri-
vo di parola, esiste un senso piu alto in cui le poesie sono
silenziose come statue: la poesia è uso disinteressato della
p,1r0Ia. Non si indirizza direttamente al lettore e, quando
lo fa, normalml.!ntc ci accorgiamo che il poeta diffida della
rnpacilà del lettore e elci critici di interpretare, senza aiu-
to, i suoi significali, ed è scivolato al livello subpoetico
del discorso metrico («verso» o « rima forzata») che tut-
ti pnssono imparare a compone. Non è solo per tradizio-
ne che il poeta è spinto a invorare la musa e ad affermare
che il suo eloquio è involontario. Né è per spirito bizzar-
ro che MacLcish, nella sua famosa Ars poetica, applica Je
paroh: «muto», «silenzioso» e « senza parole» ad una
poesia. Come John Stuart Mili' disse in un lampo di pe-
netrazione critica, le p,1role dell'artista non si ascoltano,
si sentono per cnso. L'assioma della critica non deve esse-
re che il poeta non sa ciò di cui sta parlando, ma che non
1 Tn11J,hts 011 l'r,e/ry t111d ils Varfrtes, Disserlatirm.1 ,11:d Discussions, scc-
rie I.
12 INTRODUZIONE POLEMICA

può parlare di ciò che sa. Difendere il diritto della critica


all'esistenza, significa perciò presumere che la critica sia
una struttura di pensiero e di conoscenza dotata di un'e-
sistenza propria e parzfalmente indipendente dall'arte di
cui si occupa.
Il poeta può senza dubbio possedere per suo conto una
certa capacità critica ed essere pertanto in grado di par-
lare della propria opera. Ma il Dante che scrivesse un
commento al primo can~o del Paradiso sarebbe soltanlo
uno dei critici di Dante. I suoi scritti avrebbero un parti-
colare interesse, ma non un'autorità particolare. Si accet-
ta generalmente che il critico sia miglior giudice del valo-
re di una poesia che non il suo creatore, ma perdura l'idea
che sia piuttosto ridicolo guardare al critico come al giu-
dice supremo del suo significato, per quanto sia chiaro
che, in pratica, egli lo <lebba essere. La causa di ciò con-
siste nell'incapacità di distinguere fra letteratura e scrit-
tura descrittiva o assertiva, la quale nasce dalla volontà
attiva e dal pensiero cosciente e tende prima di tutto a
«dire» qualcosa.
Uno dei motivi che inducono il critico a giudicare in
modo definitivo i poeti solo dopo la loro morte è che, da
quel momento, es:;i non possono piu turbarne il lavoro
avanzando, in nome dei loro meriti poetici, suggerimenti
dall'interno. All'affermazione di Ibsen che Cesare e Gali-
leo è il miglior dramma da lui scritto e che alcuni episodi
di Peer Gynt non sono allegorici, possiamo rispondere
soltanto che Ibsen è un critico non particolarmente acuto
di Ibsen. La prefazione di Wordsworth alle Lyrical Bal-
lads è un documento notevole, ma come critica a Word-
sworth raggiunge a mala pena la sufficienza. Si crede spes-
so di mettere in ridicolo i critici di Shakespeare, affer-
mando che se Shakespeare risuscitasse non sarebbe in
grado né di apprezzare, né di capire le loro critiche. Non
è improbabile: abbiamo una scarsa conoscenza <lell'inte-
resse di Shakespeare per la critica, concernente lui stesso
o chiunque altro. Ed anche se ne sapessimo qualcosa, la
sua spiegazione di che cosa intendesse dire con Hamlet
non potrebbe essere accettata come la critica definitiva di
questa tragedia, quella che ne chiarisce tutte le oscurità
lNTRODUZIONE POLEMICA 13
nd modo migliore, più di quanto potrebbe essere accet-
tata come definitiva una messinscena di Hamlet sotto la
sua regia. Quanto abbiamo detto del poeta in relazione
aJla propria opera è ancora piu giusto se riferito alle sue
opinioni sugli altri poeti. È molto <liiiìcilc per un poeta in
veste di critico evitare di trasformare le proprie predile-
zioni e la propria sensibilità, intimamente legate al suo
modo di far poesia, in una legge generale della letteraturn.
La critica deve basarsi su ciò che la letteratura in pratica
produce nel suo complesso: partendo da questo principio,
yualunque sia la funzione che un autorevole scrittore at-
tribuisce alla letteratura in generale, essa apparirà chiara-
mente nella sua propria prospettiva. Il poeta che parla
come critico non fa della critica, ma fornisce dei docu-
menti che devono essete esaminati dai critici. Possono
essere naturalmente documenti validissimi: mentre ri-
schiano di alimentare degli equivoci se sono accettati co-
me istruzioni per la critica.
L'idea che il poeta sia o debba essere necessariamente
l'ultimo e definitivo interprete di se stesso o delle teorie
letterarie, si sposa ad una concczfone del critico come pa-
rassita o sciacallo. Una volta ammesso che il critico ha un
proprio campo di attività e che possiede un'autonomia in
questo campo, dobbiamo anche ammettere che la critica
si pone di fronte alla letteratura come uno schema concet-
tuale specifico. Lo schema non è quello stesso della lette-
ratura (saremmo di nuovo alla teoria del suo parassiti-
smo), ma non è neppure qualcosa di estraneo alla lette-
ratura, poiché, in questo caso, l'autonomia della critica
scomparirebbe di nuovo e l'intera disciplina dovrebbe es-
sere assimilata a qualcos'altro.
Quest'ultima osservazione fornisce, in campo critico, la
prova della erroneità di quello che, storicamente, viene
detto determinismo: ne abbiamo un esempio quando uno
studioso, appassionato di geografia o di sciem:e economi-
che, esprime questa predile✓,ione attraverso l'espediente
retorico di stabilire una relazione causale tra quelle disci-
pline e qualsiasi attività presenti ai suoi occhi minor inte-
resse. Tale metodo dà l'illusione di studiare e, al tempo
stesso, di spiegare, sen7-a perdita di tempo, la propria ma-
INTRODUZIONE POLEMICA

teria. Sarebbe facile compilare un lungo elenco di questi


determinismi nella critica, ognuno dei quali - marxista,
tomista, liberal-umanista, neoclassico, freudiano, junghia-
no, esistenzialista-, sostituendo un atteggiamento critico
alla critica, si propone non di trovare uno schema concet-
tuale per la critica, ma di ricondurre la critica a uno dei
molti sistemi ad essa estranei. Gli assiomi ed i postulati
della critica, tuttavia, devono svilupparsi dall'arte stessa
di cui si occupano. La prima cosa che il critico letterario
deve fare è leggere la letteratura, fare un esame induttivo
del suo campo di azione e lasciare che i suoi principi criti-
ci scaturiscano interamente dalla sua conoscenza di questo
campo. I principi critici non possono esser presi già pron-
ti dalla teologia, dalla filosofia, dalla politica, dalla scienza
o da qualsiasi combinazione di queste discipline e attività.
Subordinare la critica ad un a.tteggiamento critico di de-
rivazione esterna, vuol dire sopravvalutare quegli aspet-
ti della letteratura che possono essere messi in relazione
con una qualsiasi fonte esterna. È realmente troppo fa-
cile sovrapporre alla letteratura uno schema extralette-
rario, una specie di filtro colorato religioso-politico, che
dia rilievo ad alcuni poeti, facendo apparire gli altri sfoca-
ti e imperfetti. Tutto ciò che il critico disinteressato può
fare ... è mormorare garbatamente che questo filtro colo-
rato mostra le cose sotto una nuova luce e che è davvero
un contributo molto stimolante per la critica. Natural-
mente questi critici filtranti in genere sottintendono, e
spesso credono, che quanto essi dicono sia esclusivo frut-
to della loro esperienza letteraria, senza interferenza de-
gli altri loro atteggiamenti: tacitamente rallegrandosi del-
la coincidenza tra i loro giudizi critici e le loro opinioni
politiche o religiose, che non vengono in alcun modo im-
poste al lettore. Neppure coloro che meglio intendono il
senso della critica sanno sempre mantenerla indipendente
dai pregiudizi. Quanto a quelli che non l'intendono, me-
glio non parlarne.
Un altro modo di negare l'esistenza della critica come
disciplina a sé è sostenere che non si può criticare la let-
teratura fino a quando non si sia acquistata una coerente
lìlosofìa della vita che abbia il suo centro di gravità al di
INTRODUZIONE POLEMICA 15
fuori della letteratura stessa. Il problema va posto diver-
s,unente: se la critica esiste, deve essere un esame della
letteratura nei termini di un sistema concettuale induttiva-
mente derivabile dalla letteratura stessa. La parola « in-
duttivamente» suggerisce l'idea di un procedimento scien-
tifico. Che cosa, se non la critica, è contemporaneamente
una scienza oltre che un'arte? Non una scienza «pura»
o «esatta», naturalmente: ma questa terminologia appar-
tiene ad una cosmologia ottocentesca da cui siamo lonta-
ni. Scrivere la storia è un'arte, ma nessuno dubita che lo
storico faccia uso di principt scientifici nell'occuparsi di
fatti accaduti, ed è la presenza di questo elemento scienti-
fico che differenzia la storia dalla leggenda. Anche nella
critica potrebbe esistere un elemento scientifico che la dif-
ferenzi da un lato dal parassitismo letterario e, dall'altro,
da un atteggiamento critico ad essa sovrapposto. La pre-
senza della scienza trasforma il carattere di qualsiasi ma-
teria di studio da casuale in causale, da disordinato e in-
tuitivo in sistematico, e salvaguarda l'integrità di questa
materia da intromissioni esterne. Tuttavia, se alla sensi-
bilità di qualche lettore il termine «scientifico» può in
qualche modo sembrare un barbarismo privo d'immagi-
nazione, può sostituirlo con «sistematico» o « progres-
sivo».
Pare assurdo dire che potrebbe esistere un elemento
scientifico nella critica, quando ci sono dozzine di riviste
erudite che vivono sul presupposto che esso esista e cen-
tinaia di studiosi impegnati in ricerche scientifiche legate
alla critica letteraria. I fatti sono esaminati scientificamen-
te, le fonti secondarie sono usate scientificamente, i vari
campi sono investigati scientificamente, i testi sono editi
scientificamente. La struttura della prosodia è scientifica:
cosI la fonetica, cosI la filologia. Quindi la critica lettera-
ria è scientifica, oppure tutti questi addestratissimi ed in-
telligenti studiosi stanno perdendo il loro tempo intorno
ad una pseudoscienza simile alla frenologia. Dobbiamo
tuttavia chiederci se gli studiosi afferrino le implicazioni
del carattere scientifico del loro lavoro. Nel sempre piu
complesso studio delle fonti, si perde quel senso di con-
solidante progresso che è proprio di ogni scienza. L'inda-
16 INTRODUZIONE POLEMICA

gine filologica inizia con un lavoro sullo « sfondo » e ci si


aspetterebbe che, andando avanti, essa procedesse ad una
analoga sistemazione del « primo piano». Dopo averci
adeguatamente ragguagliati sulla letteratura, la ricerca do-
vrebbe spiegarci ciò che la letteratura è. Ma, non appena
giunta a questa fase, la ricerca sembra trovarsi di fronte
ad un muro ed è costretta a ricominciare da capo e a ela-
borare nuovi progetti di indagine.
Di conseguenza per «apprezzare» la letteratura e sta-
bilire con essa un piu diretto contatto, ci rivolgiamo ai
saggisti, ai Lamb, agli Hazlitt, agli Arnold o ai Sainte-
Beuve, che rappresentano, con maggiore esperienza e pe-
netrazione, il lettore. Il compito del saggista è far vedere
come una pers.ona di gusto faccia uso e valuti la lettera-
tura, indicando cos{ come essa debba essere assorbita dal-
la società. Ma, a questo punto, non abbiamo piu la sen-
sazione di trovarci di fronte a un complesso impersonale
di progressive conoscenze. Il saggista tende a forme epi-
sodiche, come per l'appunto il saggio o la conferenza, e
la sua opera non è una scienza, ma un altro tipo di arte
letteraria. Le sue idee sono il frutto di uno studio prag-
matico della letteratura ed egli non tenta di elaborare
né di penetrare una struttura teoretica. Nella critica sha-
kespeariana abbiamo squisiti esempi di gusto settecente-
sco in Johnson, di gusto romantico in Coleridge e di gu-
sto vittoriano in Bradley. Ma noi pensiamo che il critico
ideale di Shakespeare non dovrebbe possedere le limita-
zioni ed i pregiudizi settecenteschi, romantici e vittoriani
di Johnson, Coleridge e Bradley. Né avvertiamo, nelle
loro opere, un progresso della critica shakespeariana o
sappiamo cosa possa diventare un critico che abbia letto
quanto hanno scritto i suoi predecessori, se non un esem-
pio del gusto di un'altra epoca, con tutte le limitazioni
ed i pregiudizi relativi.
In altre parole, non c'è stato modo fino ad ora di di-
stinguere ciò che è vera critica, e che quindi contribuisce
a rendere tutta la letteratura sempre piu comprensibile,
da ciò che appartiene esclusivamente alla storia del gusto
e segue le oscillazioni e i pregiudizi delle varie epoche.
Ed ecco un esempio della differenza fra queste due forme
INTRODUZIONE POLEMICA 17
di critica che provoca uno scontro frontale. In una delle
sue curiose, brillanti e scucite note a Munera pulveris,
John Ruskin scrive:
Dei nomi shakespeariani parlerò diffusamente in un se-
condo momento: essi provengono in modo bizzarro - e
spesso arbitrario - da diverse tradizioni e lingue. Già si è
parlato di tre, il cui significato è molto chiaro. Desdemona
- « dysdaimonia », cattiva sorte - è altrettanto chiaro. Otel-
lo significa, a mio parere, « il prudente»; infatti tutto il
dramma ruota intorno ad un'unica incrinatura della sua
mirabilmente raccolta forza. Ofelia, «gentilezza», la fede-
le, la perduta moglie di Amleto, il cui nome greco è sotto-
lineato da quello di Laerte, suo fratello; e le ultime parole
di Laerte su di lei alludono, con molta delicatezza, a que-
sto significato, quando la sua servizievole dolcezza è con-
trapposta all'inutilità del rozzo clero: « A ministering angel
shall my sister be, when thou liest bowling» [Un angelo
officiante la mia sorella sarà quando tu giacerai ululando 1 ].
Ed ecco il commento di Matthew Arnold 2 a questo passo:
Che bella stravaganza è, in verità, tutto questo! Non
voglio dire che il significato dei nomi shakespeariani (la-
scio da parte la questione dell'esattezza delle etimologie di
Ruskin) non abbia risonanza, e non debba esser tenuto in
alcun conto; ma dare ad essi tutto questo peso significa ab-
bandonarsi a delle fantasie, perdendo il senso delle propor-
zioni e, al tempo stesso, il controllo dei propri pensieri. E
dimostra, in un critico, un'estrema provincialità.
Ora, abbia ragione o torto, Ruskin cerca qui di fare
della vera critica. Egli tenta di interpretare Shakespeare
mediante un sistema concettuale che è rigorosamente cri-
tico, pur riferendosi soltanto alle tragedie. Arnold ha per-
fettamente ragione di sostenere che questo non è il tipo
di materiale che possa essere direttamente usato da un
critico-saggista; ma d'altro canto sembra non sospettare
nemmeno l'esistenza di una critica sistematica, autonoma
dalla storia del gusto. In questo caso è Arnold ad essere
provinciale. Ruskin ha imparato il mestiere dalla grande
1 [Trad. di Raffaello Piccoli].
2 Essays in Criticism, The Literary Inf/,uence o/ Academies, serie I.
r8 INTRODUZIONE POLEMICA

tradizione iconologica, che attraverso la dottrina classica


e biblica è giunta a Dante e Spenser, entrambi da lui pro-
fondamente studiati, e si manifesta in quelle cattedrali
medievali di cui egli aveva pazientemente esaminato ogni
dettaglio. Per Arnold hanno valore di legge universale
della natura certi facili assiomi critici, che prima dei tem-
pi di Dryden in pratica non esistevano e che sicuramente
non sopravviveranno ai tempi di Freud, Jung, Frazer e
Cassirer.
Fino a oggi lo « studio della letteratura» è consistito
da un lato nel lavoro dell'erudito che cerca di renderlo
possibile e, da un altro lato, in quello del saggista che ne
presuppone l'esistenza. In mezzo c'è la« letteratura)>, una
riserva di caccia in cui lo studioso vaga guidato solo dalla
sua intelligenza. Si suppone che lo studioso ed il saggista
abbiano dei rapporti per mezzo del comune interesse per
la letteratura. Lo studioso depone i suoi materiali fuori
dei portali della letteratura: come altre offerte fatte ad
invisibili consumatori, una buona quantità di questo sa-
pere sembra il prodotto di una fede piuttosto commoven-
te, talvolta solo della speranza che qualche sintetizzante
critico-messia del futuro lo trovi utilizzabile. Il saggista
o il portavoce dell'atteggiamento critico che poi si impo-
ne, tende a usare di questo materiale in modo sconnesso
e disordinato, e spesso in pratica a trattare lo studioso
come Amleto il becchino, ignorando tutto ciò che scava
eccettuato uno strano cranio che può raccogliere per mo-
ralizzarci sopra.
Spesso si rivolgono, a quelli che si occupano delle arti,
domande, non sempre benevole, sull'uso ed il valore di
ciò che stanno facendo. Forse è impossibile rispondere a
queste domande direttamente o ad ogni modo rispondere
a quelli che le fanno. Molte risposte, come quella di New-
man « una disciplina umanistica ha in se stessa il suo fine»,
fanno appello esclusivamente all'esperienza di quelli che
hanno fatto la giusta esperienza. Analogamente, molte
« difese della poesia» possono essere comprese solo da
quelli che possono farne a meno. Tuttavia la base delle
apologie critiche deve essere l'esperienza reale dell'arte
e, per quelli che si occupano di letteratura, la prima do-
INTRODUZIONE POLEMICA 19
manda a cui rispondere non è « a cosa serve lo studio del-
la letteratura? » ma « che cosa implica la possibilità di
questo studio?»
Chiunque si sia seriamente occupato di letteratura sa
che i processi mentali connessi con queste indagini sono
coerenti e progressivi, come quelli della scienza. Gli uni
e gli altri presuppongono un analogo allenamento del pen-
siero e l'elaborazione di un analogo senso dell'unità del
loro oggetto. Se l'unità risiede nella letteratura, allora
questa deve configurarsi come una scienza, il che contrad-
dice l'esperienza che ne abbiamo; o la letteratura deve
derivare una qualche virtu informante da un mistero inef-
fabile presente nel cuore dell'essere, il che sembra vago;
o i risultati intellettuali di cui essa sembra suscettibile
sono immaginari ed in realtà provengono da altre disci-
pline incidentalmente studiate in relazione ad essa.
Questo, nell'ipotesi che lo studioso e l'uomo di gusto
siano legati soltanto da un comune interesse per la lette-
ratura. Se questa supposizione fosse esatta, l'alta percen-
tuale di assoluta futilità presente in tutta la critica costi-
tuirebbe un problema da affrontare in tutta onestà, poi-
ché questa percentuale è destinata ad aumentare fino a
trasformare l'attività del critico, in particolare quella dei
professori universitari, in un sistema di automatico acqui-
sto di meriti, analogo a quello delle ruote di preghiera
buddiste. Ma questa ipotesi è solo inconscia; non l'ho mai
sentita presentare come una teoria, e qualora lo fosse, sa-
rebbe certamente opportuno che risultasse una sciocchez-
za. L'ipotesi alternativa è che gli studiosi e saggisti siano
posti direttamente in relazione da una forma intermedia
di critica, una teoria della letteratura coerente e compren-
siva organizzata in modo logico e scientifico che Io stu-
dioso, nel corso del suo lavoro, apprende inconsciamen-
te, ma i cui principi fondamentali ci sono ancora ignoti.
Lo sviluppo di questa critica completerebbe gli elementi
sistematici e progressivi della ricerca assimilando il suo
lavoro, come fanno le altre scienze, in un'unica struttura
di conoscenza; e istituirebbe, nello stesso tempo, un'au-
torità all'interno della critica, valida per il saggista e per
l'uomo di gusto.
20 INTRODUZIONE POLEMICA

Dovremmo riflettere alle implicazioni derivanti dalla


possibilità di questa critica intermedia. Una di queste è
che non esiste un apprendimento diretto della letteratura
in se stessa. La fisica è un complesso organizzato di cono-
scenze della natura, e chi la studia sa che sta imparando
la fisica e non la natura. Anche l'arte, come la natura, de-
ve essere distinta dallo studio sistematico di essa, cioè dal-
la critica. È perciò impossibile « imparare la letteratura»:
in un certo modo si impara di lei, ma ciò che uno impara
è, transitivamente, la critica della letteratura. Analoga-
mente le difficoltà che spesso sorgono nell' « insegnare la
letteratura» derivano dall'impossibilità di un simile inse-
gnamento: tutto quello che può essere direttamente co-
municato è la critica della letteratura. La letteratura non
è il soggetto, ma l'oggetto dello studio: il fatto che consi-
sta di parole, come abbiamo visto, ci porta a confonderla
con le discipline di commutazione verbale. Le biblioteche
riflettono questa confusione catalogando la critica come
una delle suddivisioni della letteratura. La critica è, piut-
tosto, per l'arte ciò che la storia è per l'azione e la filosofia
per la sapienza: l'imitazione verbale di un potere produt-
tivo umano che in se stesso è muto. E come non esiste
nulla che i filosofi non possano considerare filosoficamen-
te e gli storici storicamente, cosi il critico dovrebbe essere
capace di costruirsi e abitare un suo proprio universo con-
cettuale. Questo universo critico è una delle idee impli-
cite nella concezione della cultura di Arnold.
Non credo tuttavia che attualmente la critica letteraria
sia su una strada sbagliata e che debba cambiarla radical-
mente; credo soltanto che sia possibile avere una visione
panoramica della sua attività. Studiosi e saggisti devono
continuare a fornire il loro contributo alla critica. Contri-
buto che non deve affatto essere invisibile, come sono le
isole coralline per il polipo. Approfondendo la filologia
letteraria, lo studioso si rende conto di una corrente sot-
terranea che lo allontana dalla letteratura. Egli scopre che
la letteratura è la sezione centrale delle scienze umane e
che è affiancata dalla storia e dalla filosofia. E poiché la
letteratura non è una struttura organizzata di conoscenze,
il critico deve rivolgersi alla struttura concettuale dello
INTRODUZIONE POLEMICA 21

storico, per quanto riguarda gli avvenimenti, e al :filosofo,


per quanto riguarda le idee. Interrogato su quale argo-
mento stia lavorando, il critico risponderà invariabilmen-
te che sta lavorando sul pensiero di Donne e Shelley, sul
periodo 1640-60, o darà altre risposte analoghe in cui è
implicito che la base concettuale del suo lavoro sono la
storia, la filosofia o la letteratura stessa. Nell'improbabile
caso che egli si stia occupando della teoria della critica,
risponderebbe che egli sta lavorando su un argomento
«generale». L'assenza di una critica sistematica ha creato
un vuoto di potere, che è stato riempito da tutte le disci-
pline contigue. Di qui l'importanza del sofisma di Archi-
mede ricordato prima: l'idea che se riusciamo a puntare
saldamente i piedi nei valori cristiani, democratici o mar-
xisti saremo capaci di sollevare, allo stesso tempo, me-
diante una leva dialettica, tutta la critica. Ma se i diversi
interessi dei critici potessero essere riferiti a un modello
centrale di conoscenze in continuo sviluppo, la corrente
sotterranea scomparirebbe ed i critici darebbero l'impres·
sione di convergere sulla critica anziché allontanarsene.
Che la compr'ensione sistematica di una disciplina sia
oggi possibile è dimostrato dall'esistenza di testi scolasti-
ci elementari che spiegano i principi fondamentali di una
materia. Sarebbe interessante vedere che cosa conterreb-
be un libro di questo tipo sulla critica. Non inizierebbe
certo con una risposta precisa alla domanda piu importan-
te: « Che cosa è la letteratura?» Non possediamo delle re-
gole fisse per distinguere una struttura verbale che sia let•
teraria da una che non lo sia: né sappiamo cosa fare di
tutta quella vasta zona di libri in penombra che potreb-
bero essere rivendicati alla letteratura perché sono scritti
con «stile» o sono utili come «sfondo» o sono semplice-
mente finiti in un corso di lezioni universitarie sui «gran-
di libri». Allora ci accorgiamo di non possedere un termi-
ne corrispondente a «poesia» nella poesia o a « lavoro
drammatico» nel teatro per descrivere un'opera di arte
letteraria. Blake ha un bel dire che solo gli sciocchi gene-
ralizzano, ma quando ci troviamo nella situazione cultu-
rale di selvaggi che hanno parole per indicare il frassino
22 INTRODUZIONE POLEMICA

ed il salice, ma non l'albero, ci domandiamo se esista qual-


cosa di peggio che l'incapacità di generalizzare.
Questo per quanto riguarda pagina uno del nostro ma-
nuale. A pagina due dovrebbe essere spiegato uno dei fat-
ti letterari di maggior portata, cioè la distinzione ritmica
tra verso e prosa. Sembra che nessun critico riesca a di-
stinguere in teoria ciò che tutti sanno distinguere in pra-
tica. Continuiamo a sfogliare rapidamente pagine bian-
che. La prima cosa da fare è accennare alle fondamentali
categorie della letteratura: teatro, epica, narrativa in pro-
sa e cosi via. Questo, secondo Aristotele, era il naturale
primo passo della critica. Scopriamo che la teoria critica
dei generi non si è piu mossa dal punto in cui Aristotele
l'ha lasciata. La stessa parola « genre », in una frase ingle-
se, suona impronunciabile e straniera. Molti sforzi critici
per maneggiare termini generici come «epica» e « roman-
zo» costituiscono interessanti esempi di psicologia della
chiacchiera. I Greci ci hanno insegnato a distinguere, nel
teatro, la commedia dalla tragedia e siamo perciò portati
a ritenere che ciascuna di esse sia quella metà del teatro
che non è l'altra. Quando ci troviamo di fronte a forme
come la rappresentazione allegorica, l'opera, il cinema, il
balletto, il teatro dei burattini, il mistero, la moralità, la
commedia dell'arte e lo Zauberspiel, siamo nella stessa
posizione dei medici rinascimentali che non curavano la
sifilide perché Galeno non ne aveva parlato.
Per i Greci il problema di creare una classificazione
delle forme in prosa quasi non si pose. Per noi invece si
è posto, ma non lo abbiamo mai risolto. Non abbiamo,
come al solito, un termine per indicare la narrazione in
prosa, e cosi la parola «romanzo» deve servire a tutti gli
usi e finisce per perdere il suo vero significato di nome di
un genere. La distinzione in uso nelle biblioteche circo-
lanti fra narrativa e non narrativa, fra i libri che trattano
di fatti notoriamente inventati e i libri che si occupano
di tutti gli altri argomenti è, a quanto pare, dirimente per
i critici. Pochi critici, a cui si chiedesse qual è la forma
narrativa dei Gultiver's Travels, se potessero rispondere
« la satira menippea », considererebbero tale fatto essen-
ziale ai fini della conoscenza del libro; sebbene avere
INTRODUZIONE POLEMICA

un'idea della natura del romanzo sia certamente un requi-


sito necessario per studiare l'opera di un vero romanzie-
re. Altre forme di prosa sono in condizioni ancora peg-
giori. La letteratura occidentale è stata influenzata dalla
Bibbia piu che da qualsiasi altro libro, ma in genere il cri-
tico, con tutto il suo rispetto per le «fonti», sa ben poco
su questa influenza a parte il fq,tto che esiste. La tipologia
biblica è una lingua cosi morta che la maggior parte dei
lettori, studiosi compresi, non sanno neppure piu com-
prendere il significato superficiale delle composizioni poe-
tiche che ne fanno uso. E cosi via. Se la critica fosse con-
cepita come uno studio coerente e sistematico i cui prin-
cip1 elementari potessero essere insegnati a qualsiasi di-
ciannovenne intelligente, si dovrebbe concludere che nes-
sun critico oggi conosce i primi rudimenti della critica. I
critici hanno una religione misterica senza vangelo e co-
stituiscono una comunità di iniziati che possono comuni-
care o litigare soltanto tra di loro.
Ritengo che Aristotele intenda per poetica una teoria
della critica i cui princip1 siano applicabili alla letteratura
nel suo complesso e spieghino ogni valido tipo di proce-
dimento critico. Direi che Aristotele si accosta alla poesia
come il biologo si avvicina ad un sistema di organismi, de-
finendo i generi e le specie, formulando le leggi principali
dell'esperienza letteraria e, in breve, presupponendo l'e-
sistenza di una totalmente intelligibile struttura di acqui-
sibili conoscenze relative alla poesia, che non è la poesia
stessa o l'esperienza di essa, ma la poetica. Dopo duemi-
la anni di attività letteraria postaristotelica, si potrebbero
riesaminare alla luce di nuovi fatti, le sue opinioni sulla
poetica, come si è fatto per le sue opinioni sulla gene-
razione degli animali. Intanto l'inizio della Poetica resta
un'ottima introduzione all'argomento e descrive il meto-
do di inquadramento della materia che io ho cercato per-
sonalmente di seguire:
Poiché il nostro argomento è la poesia, propongo di par-
lare non solo dell'arte in generale, ma anche delle sue spe-
cie e delle loro rispettive funzioni; della struttura dell'in-
treccio richiesta per un buon poema, del numero e della
natura delle parti che lo compongono; e similmente di ogni
24 INTRODUZIONE POLEMICA

altro argomento che si incontrerà sulla stessa linea di inda-


gine.- Seguiamo l'ordine naturale ed iniziamo con i fatti
principali.
Naturalmente la letteratura è solo una di molte arti,
ma questo libro è costretto ad evitare la trattazione dei
problemi estetici che non hanno attinenza con la poetica.
Ogni arte tuttavia ha bisogno della propria organizzazio-
ne critica e la poetica costituirà una parte dell'estetica non
appena l'estetica diverrà la critica unitaria di tutte le arti
anziché ciò che è attualmente 1•

Normalmente le scienze iniziano in una condizione di


semplice induzione 2: tendono prima di tutto a cogliere i
fenomeni che si ritiene di interpretare come dati. Cosi la
fisica inizia prendendo quelle sensazioni immediate del-
!'esperienza che vanno sotto il nome di caldo, freddo, umi-
do e secco, come principi fondamentali. Successivamen-
te la fisica ha progredito e scoperto che la sua vera fun-
zione è invece spiegare che cosa sono il caldo e l'umido.
La storia inizia come cronaca; ma la differenza fra il cro-
nista antico e lo storico moderno è che per il cronista gli
eventi che egli registrava erano anche la struttura della
sua storia, mentre lo storico vede questi avvenimenti co-
me fenomeni storici che devono essere collegati mediante
un sistema concettuale, non solo piu ampio, ma differente
nella forma da essi. Tutte: le scienze moderne hanno in
modo analogo compiuto un salto induttivo (come lo defi-
nisce Bacone, anche se in un altro contesto) occupando
nuove, favorevoli posizioni dalle quali possono vedere i
1 Questa frase non implica disprezzo per l'estetica, ma la convinzione
che l'estetica deve ormai sottrarsi alla tutela della filosofia, come già la psi-
cologia ha fatto. La maggior parte dei filosofi tratta i problemi estetici come
se fossero analogie delle loro visioni logiche o metafisiche, per cui è diffici-
le usare, per esempio, l'idea kantiana o hegeliana dell'arte senza porsi in
una «posizione,. kantiana o hegeliana. Aristotele è, che io sappia, l'unico
filosofo che trattando specificamente della poetica sia non soltanto consape-
vole dell'esistenza di piu vasti problemi estetici, ma consideri tale poetica
come l'organo o il metodo di una disciplina indipendente. Di conseguenza
un critico può servirsi della Poetica senza impegnarsi su posizioni di ari-
stotelismo (anche se certi critici aristotelici non la pensano cosi).
2 Segno qui s. K, LANGER, The Practice of Philosophy (1930).
INTRODUZIONE POLEMICA 25
dati precedenti come nuovi problemi da chiarire. Quando
gli astronomi osservavano i movimenti dei corpi celesti
considerandoli come la struttura dell'astronomia, erano
naturalmente portati a considerare il proprio punto di vi-
sta come immobile. Non appena compresero che il movi-
mento era spiegabile in se stesso, il sistema concettuale si
trasformò in una teoria matematica del movimento apren-
do cosf la strada alla scoperta del sistema eliocentrico e
della legge di gravità. Per tutto il periodo in cui la biolo-
gia si occupò delle forme animali e vegetali ritenendole
l'unico oggetto di indagine, le varie branche della biolo-
gia non furono in gran parte che dei tentativi di cataloga-
zione. Non appena ci si accorse della necessità di spiegare
l'esistenza stessa delle forme di vita, si riversarono nella
biologia, dandole nuova vita, la teoria dell'evoluzione e
la scoperta del protoplasma e della cellula.
Sono dell'idea che la critica letteraria sia attualmente
nelle stesse condizioni di semplice induzione che noi no-
tiamo nelle scienze primitive. I suoi materiali, cioè i ca-
polavori della letteratura, non sono ancora considerati co-
me fenomeni da valutare mediante un sistema concettua-
le che solo la critica possiede. Essi sono ancora considera-
ti come qualcosa che costituisce anche il sistema o la strut-
tura della critica. Ritengo sia venuto il momento per la
critica di procedere verso posizioni che le permettano di
scoprire che cosa siano le forme organizzative e conteni-
tive del suo sistema concettuale. La critica ha tutta l'aria
di aver bisogno di un principio coordinatore, un'ipotesi
centrale che, come la teoria dell'evoluzione in biologia,
permetta di scorgere i fenomeni di cui si occupa come par-
ti di un tutto.
Il primo postulato di questo salto induttivo è identico
a quello di tutte le altre scienze: e consiste nel presuppor-
re una coerenza totale. Per quanto questo presupposto
possa apparire semplice, il cammino che una scienza deve
percorrere per scoprire che, di fatto, essa è un complesso
di conoscenze completamente intelligibile è molto lungo.
Fino a quando non ha compiuto questa scoperta, essa non
esiste come scienza individuale, ma rimane un embrione
entro il corpo di un'altra disciplina. La nascita della fisi-
INTRODUZIONE POLEMICA

ca dalla « filosofia naturale » e della sociologia dalla « filo-


sofia morale» sono esempi di questo processo. È anche
abbastanza vero che le scienze moderne si sono sviluppa-
te in ragione della loro prossimità alla matematica. La fi-
sica e l'astronomia hanno assunto la loro forma moderna
durante il Rinascimento, la chimica nel XVIII secolo, la
biologia nel XIX e le scienze sociali nel xx. Se la critica è
una scienza, essa è una scienza sociale ed il fatto che si
sviluppi soltanto ai giorni nostri non è anacronistico. Nel
frattempo la miopia della specializzazione continua ad es-
sere parte sostanziale della semplice induzione. In questa
prospettiva è umanamente impossibile occuparsi di que-
stioni «generali», poiché esse richiedono la «copertura»
di un campo terribilmente vasto. Il critico si trova nella
situazione di un matematico il quale debba occuparsi di
numeri talmente enormi da dover segnare cifra dopo cifra
fino alla prossima glaciazione, pur ricorrendo al sistema
convenzionale dei numeri interi. Critici e matematici de-
vono in qualche modo scoprire una forma di notazione
meno ingombrante.
Per l'induzione di tipo semplice, la letteratura consiste
in una bibliografia enumerativa: essa cioè vede la lettera-
tura come un immenso aggregato o un mucchio eteroge-
neo di «opere» differenziate. Se la letteratura è soltanto
questo, ogni indagine sistematica mentale diventa chiara-
mente impossibile. Un solo principio organizzativo è sta-
to da tempo scoperto in letteratura: quello cronologico.
Esso si fonda sulla parola magica «tradizione», la quale
significa che disponendo il suddetto mucchio eterogeneo
lungo una linea cronologica, la semplice sequenza genera
una certa coerenza. Ma neppure la tradizione può rispon-
dere a tutti gli interrogativi. La storia letteraria nel suo
complesso ci indica, seppur vagamente, la possibilità di
considerare la letteratura come la complicazione di quel
gruppo relativamente ristretto e semplice di forme che si
rintraccia in una cultura primitiva. Ma quando vediamo
che le formule primitive ricompaiono nei grandi classici,
ci rendiamo conto che il rapporto della letteratura poste-
riore con queste formule primitive non è affatto un rap-
porto di sola complicazione; perché in realtà pare esistere
INTRODUZIONE POLEMICA 27
una tendenza generale dei classici a fare ricorso ad esse.
Questo spiega una sensazione generalmente diffusa: che
lo studio di opere d'arte mediocri sia una forma di espe-
rienza critica casuale e periferica, mentre i capolavori ci
conducono ad un punto in cui abbiamo la sensazione di
scorgere un grandissimo numero di moduli convergenti
di significato. Incominciamo cosi'. a chiederci se non sia
possibile vedere la letteratura come un fenomeno che non
solo si complica nel tempo, ma si espande nello spazio
concettuale procedendo da un qualche centro che la cri-
tica potrebbe individuare.
È chiaro che la critica non potrà diventare uno studio
sistematico fino a quando non si scoprirà una qualche
particolarità della letteratura che la metta in grado di di-
ventarlo. Dobbiamo accettare l'ipotesi che, come esiste
un ordine naturale dietro le scienze naturali, cosi'. la lette-
ratura è un ordine di parole, e non è un affastellato cumu-
lo di «opere». La credenza in un ordine della natura, tut-
tavia, trae origine dalla comprensibilità delle scienze na-
turali; e se le scienze naturali riuscissero a spiegare l'or-
dine della natura probabilmente esaurirebbero il loro ar-
gomento. Analogamente la critica, se è una scienza, deve
essere completamente comprensibile, ma la letteratura,
come ordine di parole che rende possibile la scienza, è, per
quanto ne sappiamo, una fonte inesauribile di nuove sco-
perte critiche e continuerebbe ad esserlo anche se si smet-
tesse di fare della letteratura. È perciò uno sbaglio met-
tersi alla ricerca di un principio limitativo nella letteratu-
ra allo scopo di scoraggiare lo sviluppo della critica. L'as-
surda definizione quantistica della critica, l'affermazione
cioè che il critico deve limitarsi a « tirar fuori» da una
poesia solo ciò che, in maniera vaga, si ritiene vi sia stato
consapevolmente «messo dentro» dal poeta, è una delle
tante manifestazioni di ignoranza che si sono sviluppate
in assenza di una critica sistematica. Questa teoria quan-
tistica è l'equivalente letterario di quello che può essere
chiamato il sofisma della teleologia prematura. Corrispon-
de ad affermare, nelle scienze naturali, che un fenomeno
è quello che è per l'imperscrutabile saggezza della Provvi-
denza. In altre parole si presume che il critico non pos-
28 INTRODUZIONE POLEMICA

segga un sistema concettuale: il suo lavoro consiste nel


prendere una poesia in cui il poeta abbia diligentemente
infilato un certo numero di begli effetti e limitarsi com-
piacentemente ad estrarli ad uno ad uno come il suo ar-
chetipo Little Jack Horner1.
II primo passo per sviluppare una vera poetica consiste
nell'individuare e nell'eliminare quella critica senza sen-
so che parla di letteratura senza contribuire alla costru-
zione di una struttura sistematica di conoscenze. Pensia-
mo alle rumorose sciocchezze che cosi spesso si incontra-
no nelle generalizzazioni critiche, nei commenti meditati-
vi, nelle perorazioni ideologiche e in tutte le enunciazioni
che sono frutto della panoramica di una disciplina non or-
ganizzata. Pensiamo a tutti gli elenchi dei «migliori» ro-
manzi o testi poetici o scrittori, il cui particolar merito
risieda nelle esclusioni o viceversa nelle inclusioni. Pen-
siamo a tutti i casuali, sentimentali e preconcetti giudizi
di valore, a tutto il cascame letterario che fa salire alle
stelle e crollare la quotazione dei poeti in una Borsa im-
maginaria. Il signor Eliot, ricco operatore, dopo aver
svenduto sotto costo Milton, Io ricompra; Donne ha pro-
babilmente raggiunto il massimo e tende a diminuire;
Tennyson ha delle leggere oscillazioni, ma le azioni di
Shelley reggono ancora. Questo modo di procedere non
può fare parte di uno studio sistematico, poiché Io studio
sistematico può soltanto progredire: tutto ciò che ondeg-
gia o vacilla o reagisce è pettegolezzo di persone agiate.
La storia del gusto non fa parte della struttura della cri-
tica piu di quanto la disputa Huxley-Wilberforce faccia
parte della struttura delle scienze biologiche.
Io credo che se accettiamo questa distinzione e l'appli-
chiamo ai critici del passato, ciò che nel loro lavoro è ve-
ra critica rivelerà una sorprendente coincidenza di vedute:
e comincerà cosi a emergere il primo nucleo di uno studio
coerente e sistematico. Osservando la storia del gusto, do-
ve non ci sono fatti e tutte le verità sono state, hegeliana-
mente, spezzate in semiverità, al fine di renderle piu ta-
glienti, siamo forse portati a credere che lo studio della

1 [L'autore si riferisce a una celebre filastrocca settecentesca].


INTRODUZIONE POLEMICA 29
letteratura sia troppo relativo e soggettivo per raggiun-
gere un consistente significato. Ma poiché la storia del
gusto non ha rapporti organici con la critica, dovrebbe
essere facile tenerli separati. Eliot inizia il saggio T he
Function of Criticism affermando il principio che i mo•
numenti letterari esistenti costituiscono nel loro insieme
un ordine ideale, e non sono la semplice collezione degli
scritti di singole persone. Questo è un vero giudizio criti-
co, di importanza fondamentale, e il mio libro, per buona
parte, è fatto di osservazioni in margine ad esso. La sua
solidità è dimostrata dalla sua consonanza con numerose
affermazioni dei migliori critici di ogni tempo 1 • Esso è
seguito da una discussione retorica che fa della tradizione
e del suo contrario due forze personificate e contendenti,
la prima nobilitata con i titoli di« cattolica» e« classica»,
e la seconda schernita con l'epiteto di Whiggery 1 • Que-
st'ultima provoca confusione sino a quando non ci ren-
diamo conto di come sia semplice eliminarla con un taglio
netto. La disputa prosegue contro Middleton Murry, di
cui si parla con favore perché « è persuaso che esistano
posizioni definite da assumere e che si possa in pratica
rifiutare qualcosa e scegliere qualche cos'altro». Nella chi-
mica o nella filologia non vi sono posizioni definite da
assumere, e se questo accade nella critica, la critica non
è un campo di vero sapere. Perché in un simile campo la
sola risposta sensata alla sfida delle posizioni definite è
quella di Falstaff: «faccio cosf contro la mia volontà». La
« posizione definita» è una debolezza, una spinta, in cia-
scuno di noi, alla tendenza all'errore e al pregiudizio; e
guadagnare dei seguaci ad una posizione definita significa
solo espandere la propria debolezza come una infezione.
Il passo successivo consiste nel rendersi conto che la
critica possiede una grande quantità di vicini con i quali
il critico deve entrare in rapporto, purché sia salva la sua
indipendenza. Egli può voler conoscere qualcosa delle
1 Shelley per esempio parla in A De/ence of Poetry di « quel grande
poema che tutti i poeti, come i pensieri di una unica grande mente coope-
ranti tra di loro, hanno continuato a costruire dall'inizio del mondo».
2 [L'espressione allude alle tendenze liberali e progressiste del partito
whig].
30 INTRODUZIONE POLEMICA

scienze naturali, ma perderebbe il suo tempo se ne emu-


lasse i metodi. Sono assolutamente certo che esiste una te-
si di dottorato che elenca i romanzi di Hardy classifican-
doli in base alla percentuale di tristezza che contengono,
ma non è questo il tipo di attività che deve essere inco-
raggiato. Il critico può desiderare di sapere qualcosa in
fatto di scienze sociali, ma non devono esistere attività
come, per esempio, un« approccio» sociologico alla lette-
ratura. Un sociologo 1-,.1ò benissimo lavorare esclusiva-
mente su dei materiali letterari, ma in tal caso egli non
deve assolutamente occuparsi dei valori letterari. In que-
sto campo Horatio Alger ed i compilatori degli « Elsie
Books » possono essere piu importanti di Hawthorne e
Melville e un numero del « Ladies' Home Journal » piu
significativo di Henry James. Analogamente il critico non
deve rispettare i valori sociologici, in quanto le condizio-
ni sociali favorevoli alla nascita delle grandi opere d'arte
non sono necessariamente quelle a cui tendono le scienze
sociali. Il critico può avere bisogno di una certa compe-
tenza in fatto di religione, ma da un punto di vista teolo-
gico una poesia religiosa ortodossa esprime meglio il suo
contenuto che non una poesia eretica: questo genera as-
surdità nella critica e non c'è nulla da guadagnare confon-
dendo le regole delle due discipline.
La letteratura è sempre stata considerata come un pro-
dotto commerciale, fabbricata dagli scrittori e consumata
dai lettori colti guidati dai critici. Da questo punto di vi-
sta il critico, seguendo la metafora d'apertura, è il media-
tore. Possiede alcuni vantaggi del grossista, come le copie
gratuite delle riviste, ma la sua funzione, in quanto di-
stinta da quella del libraio, è in sostanza una forma di ri-
cerca del consumatore. Esiste, a mio avviso, un'altra di-
visione dei compiti nella letteratura che, come altre for-
me di costruzione mentale, ha un aspetto teorico e uno
pratico. Il professionista della letteratura ed il produtto-
re di letteratura non sono del tutto la stessa cosa, benché
coincidano in gran parte; il teorico ed il consumatore del-
la letteratura non lo sono affatto, nemmeno quando coe-
sistono nello stesso individuo. Il presente libro parte dal
presupposto che la teoria sia una ricerca non meno urna-
INTRODUZIONE POLEMICA 31
11istica e liberale della pratica della letteratura. Di conse•
p,uenza, pur ammettendo come pacifici certi valori lette-
1·,1 l'i riconosciuti dall'esperienza critica, non si occupa di-
1et tamente di giudizi di valore. Questo richiede una spie-
1-111zione, in quanto il giudizio di valore viene spesso con-
Hidcrnto, e a mio parere giustamente, come la caratteristi-
t11 fondamentale della ricerca umanistica e liberale.

I giudizi di valore sono soggettivi in quanto possono


c-ssere comunicati in modo indiretto, non in modo diretto.
Sembrano oggettivi quando sono alla moda o generalmen-
1l' 11ccettati, ma questo è tutto. La dimostrabilità del giu-
dizio di valore è per la critica letteraria come la carota per
l'usino; ed ogni nuova moda critica, come quella attuale,
fondata su elaborate analisi retoriche, è sempre accompa-
1-11111t11 dalla convinzione che la critica ha finalmente sco-
pel'to il metodo perfetto per sceverare l'ottimo dal buono.
M11 questa si rivela sempre una illusione della storia del
gusto. I giudizi di valore si basano sullo studio della let-
lt•rlltura; lo studio della letteratura non può mai basarsi
htii ~iudizi di valore. Noi diciamo, per esempio, che Sha-
kespeare fece parte di un gruppo di drammaturghi inglesi
<'he scrissero intorno al 1600 e che è stato uno dei piu
Kl'llndi poeti del mondo. La prima parte di questa frase è
1111 dato di fatto, la seconda un giudizio di valore cosi dif-
fuso e pacifico da sembrare un dato di fatto. Ma non è un
d1110 di fatto. Continua però ad essere un giudizio di va-
llll'e sul quale non può fondarsi, neppure in misura limi-
1111 issima, una critica sistematica.
Esistono due tipi di giudizio di valore, quello compa-
r11tivo e quello positivo. La critica che si basa sui valori
rnmparativi si divide in due filoni principali a seconda che
l'opera d'arte sia considerata come un prodotto o come
1111a proprietà. Dal primo nasce la critica biografica che
rnnsidcra l'opera d'arte innanzitutto in relazione allo scrit-
tmc. Possiamo definire la seconda come critica tropolo-
1-1irn: essa è strettamente legata al lettore suo contempo-
r1ineo. La critica biografica si occupa molto di questioni
rnmparative di grandezza e di meriti individuali. Consi-
32 INTRODUZIONE POLEMICA

dera la poesia come un'orazione del suo creatore ed è


molto sicura di sé quando dietro alla poesia individua l'e-
sistenza di una personalità ben definita e possibilmente
eroica. Se non riesce a trovare questa personalità può ten-
tare di costruirne una mediante un ectoplasma retorico co-
me fece Carlyle nei suoi saggi su Shakespeare come poeta
«eroico». La critica tropologica studia comparativamen-
te lo stile e l'abilità tecnica dello scrittore, la complessità
dei significati e l'assimilazione delle immagini. Tende a di-
sprezzare e a sottovalutare i poeti ampollosi e si occupa
difficilmente di personalità eroiche. Sono essenzialmente
due forme retoriche di critica una delle quali è legata alla
retorica del discorso persuasivo e l'altra alla retorica della
decorazione verbale, ma ognuna diffida della retorica del-
l'altra.
I giudizi di valore retorici sono in stretta relazione con
i valori sociali e vengono comunemente fatti passare attra-
verso una dogana di metafore morali: sincerità, economia,
acume, semplicità e cosi via. Ma poiché la poetica è ancora
primitiva, l'illegittima estensione della retorica alla teoria
della letteratura genera un equivoco. Invariabile prodot-
to di questo equivoco è una particolare tradizione, di cui
costituisce un chiarissimo esempio la teoria di Arnold del-
la « pietra di paragone»\ secondo la quale dall'intuizione
del valore della pietra di paragone si passa alla ripartizione
dei poeti in classi. L'abitudine di paragonare i poeti pesan-
do i loro versi (non è un'invenzione moderna e fu già
schernita da Aristofane nelle Rane) è comune alla critica
biografica e a quella tropologica principalmente allo scopo
di negare la preminenza di quelli favoriti dal gruppo con-
trario.
Esaminando la tecnica della pietra di paragone in Ar-
nold, sorgono, tuttavia, alcuni dubbi intorno alle sue mo-
tivazioni. Il verso di The Tempest: « In the dark back-
ward and abysm of time» 2 potrebbe benissimo essere usa-
to come pietra di paragone, mentre dubito che il verso:
« Yet a tailor might scratch her where'er she did itch » 3
1 The Study of Poetry, Essays in Criticism, serie II.
2 [«Nell'oscuro passato, nell'abisso del tempo»].
3 [«Eppure un sarto poteva grattarla dove le prudeva»].
INTRODUZIONE POLEMICA 33
1 ,c•1·va altrettanto bene allo scopo, benché siano entrambi
,,l1:1kespeariani ed entrambi altrettanto necessari al dram-
11111. (Gli estremisti di questa tendenza naturalmente so-
•i11·1-ranno che questo verso è stato interpolato da qualche
volgare scribacchino). Deve esserci dunque, all'origine di
q11csta differenza, un principio piu rigorosamente seletti-
vo dell'esperienza puramente critica del dramma.
I,'« alta serietà» di Arnold è strettamente legata all'idea
, lic l'epica e la tragedia sono l'aristocrazia delle forme let-
1c·rnl'ic in quanto hanno a che fare con personaggi appar-
11•11cnti alla classe dominante e richiedono lo stile elevato
, 11·1 «decoro». Tutte le pietre di paragone della sua Prima
( :l11ssc provengono o sono giudicate secondo i modelli del-
I'1•pica e della tragedia. Per questo la retrocessione di
I :111n1ccr e Burns in Seconda Classe sembra essere accom-
11,1Knata dalla convinzione che la commedia e la satira de-
vi llH> essere mantenute al proprio posto come le regole mo-
1,di e le classi sociali che simbolizzano. Incominciamo a so-
1,pt•ltnre che i giudizi di valore letterario siano la proiezio-
11t• di quelli sociali. Perché Arnold vuole assegnare un po-
Nlo ai poeti? Egli sostiene che la nostra ammirazione au-
111t·11111 nei riguardi di coloro che sono riusciti a rimanere
111 I'l'ima Classe dopo che noi abbiamo fatto di tutto per
, ,,n·iadi. Questa è manifestamente una sciocchezza, e noi
l ,ossinmo fare a meno di soffermarci su di essa. Quando
1•p.p.inmo « in poesia la distinzione fra eccellente ed inferio-
1r• ... è di somma importanza ... a causa dei grandi destini
, lr•ll11 poesia» incominciamo a scorgere il bandolo della
11111111ssa. Vediamo che Arnold sta cercando di create dalla
111 lt'sia un nuovo Canone scritturale che serva di guida per
q111·i principi sociali che egli desidera la cultura tragga dal-
1,, l'<·ligione.
( :onsiderare la critica come il riflesso di.un atteggiamen-
111 sociule è il risultato abbastanza naturale di ciò che ab-
I11111110 definito un vuoto di forza nella critica. Uno studio
1iis1cmatico si basa alternativamente sull'esperienza indut-
1iv11 e sui principi deduttivi. Nella critica, l'analisi retorica
, n'il ituisce parte dell'induzione e la poetica, la teoria della
, IÌlirn, dovrebbe essere la controparte deduttiva. In as-
•,1•11za di una poetica, il critico è costretto a ripiegare sul
34 INTRODUZIONE POLEMICA

pregiudizio che deriva dalla sua esistenza come essere so-


ciale: poiché un pregiudizio è semplicemente una deduzio-
ne non adeguata, e non può essere altro che una premessa
maggiore, sommersa per la massima parte come un ice-
berg.
Non è difficile individuare il pregiudizio di Arnold dal
momento che le sue opinioni sono invecchiate. Diventa
piu difficile quando I'« alta serietà» si trasforma in« matu-
rità» o in altri stimoli persuasivi della piu recente retori
ca critica. È piu difficile quando il vecchio problema dei
libri da portare con sé in un'isola deserta si trasforma da
un gioco di società - quale esso è in realtà - in una dispen-
diosa biblioteca che dovrebbe rappresentare il Canone dei
valori democratici. I giudizi di valore retorici si occupano
generalmente di questioni di decoro ed il concetto centra-
le del decoro è costituito dalla differenza fra gli stili alto,
medio e basso. Questi stili derivano dalla divisione in clas-
si della società, e la critica, se non vuole rifiutare metà dei
dati dell'esperienza letteraria, deve ovviamente considera-
re l'arte dal punto di vista di una società ideale senza clas-
si. Arnold stesso lo sottolinea quando scrive: « la cultura
tenta di fare a meno delle classi». Nella letteratura tutte
le gerarchie di valori deliberatamente costruite che io co-
nosco si basano su una segreta analogia sociale, morale o
intellettuale. Questo vale nel caso che l'analogia sia con-
servatrice e romantica, come in Arnold, e in quello che es-
sa sia radicale, come in Bernard Shaw: sottolineerà allora
l'importanza della commedia e della satira ed i valori della
prosa e del ragionamento. I molti pretesti con cui si cerca
di minimizzare la forza comunicativa di certi scrittori, di-
cendo che sono oscuri, osceni, nichilisti, reazionari, e cosi
via, nascondono sempre la convinzione che le idee di de-
coro difese dalla classe sociale o intellettuale dominante
debbano essere conservate o sfidate. Queste :fissazioni so-
ciali cambiano continuamente direzione come le pale di
un ventilatore in azione davanti a una luce, ed il cambia-
mento ispira la credenza che i posteri potranno finalmen-
te scoprire l'intera verità sull'arte.
Qualsiasi parziale interpretazione della tradizione con-
tiene invariabilmente nascosto in sé un burlone ultracriti-
IN l'RODUZIONE POLEMICA 35
1 11. Non si parla di accettare la letteratura nel suo comples-
1,11 rnme base di studio, ma di trarne una tradizione ( o, na-

111rnlmente, la tradizione) e di riferirla ai valori sociali


, ,111tcmporanei per difenderli. Il lettore esitante è invita-
I, 1 11 compiere i seguenti esercizi: scegliete tre grandi nomi
11 rnso, calcolate le otto possibili combinazioni di promo-
:i1111c e retrocessione (su base semplificata, a due classi),
,·.I esaminatele una dopo l'altra. Se avremo scelto Shake-
•qH"are, Milton e Shelley, l'elenco sarà questo:
1• Shelley: retrocesso perché immaturo nella tecnica e
meno profondo di pensiero in confronto agli altri.
J., Milton: retrocesso a causa del suo oscurantismo re-
ligioso e perché il suo pesante contenuto dottrinale
indebolisce la spontaneità dell'espressione.
\, Shakespeare: retrocesso perché il suo agnosticismo
ideologico fa dei suoi drammi piu un riflesso della
vita che un tentativo valido di migliorarla.
+ Shakespeare: promosso perché conserva l'integrità
della visione poetica che negli altri è offuscata dal
tono didattico.
~. Milton: promosso perché la sua penetrazione dei
piu grandi misteri della fede lo innalza sullo spirito
costantemente mondano di Shakespeare e sull'infan-
tilità di Shelley.
<i. Shelley: promosso in quanto il suo amore per la li-
bertà parla al cuore degli uomini moderni con piu
immediatezza di quanto facciano quei poeti che ac-
cettano logori valori sociali o religiosi.
/. Tutti e tre promossi (per sostenere questa tesi biso-
gnerebbe far uso di uno stile speciale che è quello
della perorazione).
H. Tutti e tre retrocessi a causa del disordine della men-
talità inglese esaminata secondo regole francesi,
classiche o cinesi.
11 lettore può simpatizzare con alcune di queste « posi-
: i1111i », come vengono chiamate, piu che con le altre, ed
t",',el'c indotto cosf a credere che una sia giusta e che sia
11uportante scoprire quale. Ma prima ancora di aver ter-
111i11ato il suo compito, si renderà conto che tutto l'eserci-
INTRODUZIONE POLEMICA

zio è il frutto di una nevrosi da ansia, provocata da un


censore morale, ed è assolutamente privo di contenuto.
Naturalmente, oltre ai moralisti, esistono poeti che con-
siderano veri poeti solo coloro che sono simili ad essi; e-
sistono critici che amano condurre campagne religiose,
antireligiose o politiche con soldatini di stagno cui viene
imposto il nome di Milton o di Shelley piu di quanto ami-
no studiare la poesia; esistono studiosi che hanno urgen-
te necessità di fare edificanti quanto inutili letture. Ma
nemmeno una coalizione di tutti costoro riuscirebbe a
produrre della critica.
Le dialettiche sociali operanti al di fuori della critica
sono, all'interno della critica, pseudodialettica o falsa re-
torica. Resta da definire la vera dialettica della critica. A
questo livello, il critico biografico diventa critico storico.
Egli procede dal culto dell'eroe verso un'accettazione to-
tale ed indiscriminata: non c'è nulla « nel suo campo»
che egli non sia disposto a leggere con interesse. Da un
punto di vista puramente storico, tuttavia, i fenomeni
culturali devono essere visti nel proprio contesto senza
applicarli al presente. Li studiamo come le stelle, esami-
nando le loro relazioni reciproche senza avvicinarle. A
questo punto la critica storica deve essere completata da
un'attività corrispondente che si sviluppi dalla critica
tropologica.
La definiremo critica etica, per etica intendendo non
una comparazione retorica di fatti sociali a valori prede-
terminati, ma la coscienza della presenza della società.
Come categoria critica questo sarebbe il significato della
presenza reale della cultura nella comunità. La critica eti-
ca, quindi, considera l'arte come una comunicazione del
presente col passato e si basa sul concetto di un possesso
totale e simultaneo della cultura passata. Un'accettazione
esclusiva di essa, che ignorasse la critica storica, porte-
rebbe ad un'ingenua traduzione di tutti i fenomeni cul-
turali nei nostri termini odierni senza considerare il loro
valore originario. Come contrappeso alla critica storica,
ha lo scopo di esprimere l'impatto contemporaneo di
qualsiasi arte senza scegliere una tradizione. Ogni nuova
moda critica ha fatto apprezzare alcuni poeti e disprez-
ltl l'l!OllUZIONE POLEMICA 37
·,1111c altri, come avvenne ventrcmque anni fa quando
I'1 11t1• rcs se per i poeti metafisici coincise con il disin teres-
•11 • per i romantici. Sul piano etico notiamo che ogni in-
' 11•111cnto di interesse è stato giusto ed ogni decremento
,,l,1111linto: che non è compito della critica reagire contro
11• 1nst~, bensl'. mostrare un netto avanzamento verso una
, ,11 tnlicità indiscriminata, Oscar Wilde ha detto che solo
1111 linnditore d'asta potrebbe apprezzare in ugual misura
111111i tipo di arte: egli pensava naturalmente al critico-
11111.u-,,ista, ed il lavoro del saggista che offre i tesori della
, 1il I lll'n n chi li richiede, è in un certo senso un lavoro da
l,1111ditore. E se questa affermazione è valida per lui lo è
,, fortiori per il critico filologo.
Ai due poli dell'asse dialettico della critica ci sono l'ac-
' ,. t I11zione totale dei dati della letteratura e l'accettazione
1111,tlc ciel valore potenziale di questi dati. Questa è la
11·111<· dimensione della cultura e dell'educazione umani-
•11 i,·,1, l'nrricchimento della vita mediante il sapere, in cui
il prngresso sistematico dello studio si trasforma in un
1'111µ,rcsso sistematico del gusto e della comprensione.
N, 111 esiste piu, a questo punto, il desiderio irresistibile
,11 formulare autorevoli giudizi, e cessano i cattivi effet•
11 rlic, in virtu della scomparsa di ogni prudenza, hanno
lo,t tn della critica una sorta di bisbetica istruita, Le valu-
111:ioni comparative sono delle autentiche deduzioni, tan-
111 ,,iii valide quanto piu silenziose, tratte dall'esercizio
ol,·1 11 ctitica; e non principi formulati che ne guidino
I'1",<'l'ci:do. Il critico si accorge subito e sempre che lavo-
' o111• su Milton è molto piu rimunerativo e interessante
, lii' lnvorare su Blackmore. Ma tanto piu questo diventa
,·vidcntc, e tanto meno egli desidera ricamarci sopra. Per-
' Iui l'irnmarci sopra è l'unica cosa che egli possa fare: ogni
, 1iI irn che sia ispirata dal desiderio di puntualizzare o
I'' ovare questo fatto diventa soltanto un altro documento
, 1,·11,, storia del gusto. Nella cultura del passato sono, sen-
/,1 dubbio, presenti molte cose che saranno sempre di
•11 arso valore per il presente. Ma la differenza fra arte re-
oli111ibile ed irredimibile, basata sulla esperienza totale
ol,·ll11 critica non può mai essere formulata teoricamente.
I : ,istono tra i poeti troppe Cenerentole, troppe pietre
0
INTRODUZIONE POLEMICA

che rifiutate nella costruzione di un edificio alla moda,


sono diventate pietre di volta di un nuovo edificio.
Possono quindi esistere regole di procedura critica e
leggi (nel senso di schemi di fenomeni osservati) di prati-
ca letteraria. Tutti gli sforzi dei critici volti a scoprire re-
gole e leggi nel senso di prescrizioni morali che spieghino
all'artista cosa deve fare o avrebbe dovuto fare per diven-
tare un artista autentico, sono falliti. « La poesia - scrive
Shelley- e l'arte che pretende di regolare e limitare i suoi
poteri non possono sussistere insieme». Non esiste e non
è mai esistita quest'arte. La sostituzione della subordina-
zione e del giudizio di valore alla coordinazione e alla de-
scrizione, la sostituzione di « ogni poeta deve» a « ogni
poeta fa» è unicamente un segno che i fatti importanti
non sono ancora stati considerati. Le affermazioni critiche
con «deve» o «dovrebbe» nei loro predicati non sono
che pedanterie o tautologie a seconda che siano piu o me-
no prese sul serio. Un critico drammatico può anche soste-
nere che « tutti i lavori drammatici devono avere l'unità
di azione». Se è un pedante, cercherà di definire l'unità di
azione in termini specifici. Ma data l'estrema versatilità
della forza creativa, egli troverà, presto o tardi, un qual-
che celebre drammaturgo, la cui padronanza della scena
è stata infinite volte provata, che non ha mai rispettato
l'unità di azione quale egli l'ha definita, e che quindi non
può essere ritenuto autore di ciò che egli giudica dei lavo-
ri drammatici. Il critico invece che applica tali principi in
modo meno meccanico o piu cauto formulerà regole piu
elastiche, non al punto di dire, ma di tentare di nasconde-
re che sta dicendo: « tutti i lavori drammatici che hanno
unità d'azione debbono avere unità d'azione» o, piu sem-
plicemente, « tutti i buoni lavori drammatici devono es-
sere buoni lavori drammatici».
In poche parole la critica, e in generale l'estetica, deve
imparare a fare ciò che l'etica ha già fatto. Ci fu un tempo
in cui l'etica poteva limitarsi semplicemente a paragonare
ciò che l'uomo fa con ciò che dovrebbe fare, cioè con il
bene. Il «bene» finiva invariabilmente con l'essere tutto
ciò in cui l'autore del libro era abituato a credere e che
era sanzionato dalla comunità a cui apparteneva. Oggi gli
INTRODUZIONE POLEMICA 39
scrittori di etica, pur credendo ancora in determinati valo-
ri, tendono ad occuparsi dei loro problemi in modo mol-
to diverso. È ancora di moda tra gli scrittori di problemi
estetici un tipo di procedimento che fortunatamente non
è piu in uso nell'etica. È ancora possibile per un critico
definire arte autentica tutto ciò che è di suo gusto e di ar-
rivare al punto di sostenere che tutto ciò che non è di suo
gusto non è, per ciò stesso, arte autentica. L'argomento
ha il grande vantaggio di non essere confutabile, come
tutti gli argomenti circolari, ma è un'ombra priva di so-
stanza.
Lasciamo da parte le insensate gerarchie di scrittori:
anche quando ci sentiamo obbligati a riconoscerne la giu-
stezza, non sono altro che sterili banalità. La cosa che piu
interessa il critico che valuta è il valore positivo, la bontà
o anche la genuinità della poesia piuttosto che la grandez-
za del suo autore. Tale critica produce il giudizio di va-
lore del sapiente buon gusto, il riconoscimento dell'arte
in base alle pulsazioni, la disciplinata risposta di un siste-
ma nervoso altamente organizzato allo shock della poesia.
Nessun critico·in possesso delle sue facoltà ne sottovalu-
terà l'importanza; eppure anche qui sorgono delle per-
pless~tà. In primo luogo è una superstizione credere che
la certezza prontamente intuitiva del buon gusto sia infal-
libile. Il buon gusto segue e si sviluppa dallo studio della
letteratura; la sua precisione deriva dalla conoscenza, ma
non la produce. Perciò la sicurezza del gusto di un critico
non garantisce affatto che le sue basi induttive nell'espe-
l'icnza letteraria siano adeguate. Questo può continuare
11d essere vero anche dopo che il critico abbia imparato a
hasare i suoi giudizi sulle sue esperienze letterarie e non
sulle sue preoccupazioni sociali, morali, religiose o perso-
nali. I critici onesti continuano a trovare delle lacune nel
loro gusto: scoprono la possibilità di individuare una va-
lida forma di esperienza poetica senza essere capaci di rea-
lizzarla essi stessi.
In secondo luogo il giudizio di valore positivo si basa
:a1 una esperienza diretta che è al centro della critica, ma
che da questa viene poi per sempre esclusa. La critica può
renderne conto solo con la terminologia critica e questa
INTRODUZIONE POLEMICA

terminologia non può mai riconquistare o includere l'e-


sperienza originale, L'esperienza originale è simile alla vi-
sione diretta del colore o alla sensazione diretta di caldo
e freddo che la fisica «spiega» in un modo che, dal pun-
to di vista dell'esperienza in sé, è abbastanza irrilevante.
L'esperienza della letteratura, per quanto disciplinata dal
gusto e dal mestiere, è incapace, come la letteratura stes-
sa, di parlare. « Se ho la sensazione fisica che la mia testa
viene tagliata - scrive Emily Dickinson - io so che questa
è poesia». Questa osservazione è perfettamente legittima,
ma si riferisce solo alla critica come esperienza. Il lettore
di letteratura dovrebbe, come il fedele nei Vangeli, fuggi-
re dal mondo parlante della critica e ritrarsi in una pre-
senza privata e segreta della letteratura. Altrimenti la let-
tura non sarà mai una genuina esperienza letteraria, ma
un semplice riflesso di convenzioni critiche, ricordi e pre-
giudizi. La presenza di una esperienza incomunicabile al-
l'interno della critica la manterrà sempre un'arte, finché
il critico riconoscerà che la critica trae origine da essa, ma
che su di essa non può basarsi.
Sebbene il gusto del critico tenda naturalmente verso
una sempre maggiore tolleranza ed universalità, la criti-
ca come conoscenza è una cosa, ed i giudizi di valore det-
tati dal gusto sono un'altra. Il tentativo di costringere l'e-
sperienza letteraria diretta dentro gli schemi della critica
produce le aberrazioni della storia del gusto già ricordate.
Il tentativo di rovesciare il procedimento e di costringere
la critica dentro l'esperienza diretta finisce col distrugge-
re l'integrità di entrambe. L'esperienza diretta, anche se
è collegata a cose già lette centinaia di volte, tende tutta-
via ad essere un'esperienza nuova e fresca ogni volta, co-
sa chiaramente impossibile se la poesia è stata sostitui-
ta da una visione critica di essa. La mia opinione che la
critica come conoscenza debba progredire costantemente
senza rifiutare nulla non implica un'esperienza diretta: al-
trimenti quest'ultima dovrebbe estendersi fino ad abbrac-
ciare con diletto tutto ciò che è stato scritto, il che non è
esattamente il mio pensiero.
Infine, il talento che si sviluppa in virtu di una costan-
te esperienza diretta della letteratura è un talento di tipo
INTRODUZIONE POLEMICA 41
particolare, come saper suonare il pianoforte, e non l'e-
spressione di un atteggiamento generale verso la vita come
cantare sotto la pioggia. Il critico possiede una base sog-
gettiva di esperienza, costituita dal suo carattere naturale
e da tutti i contatti che egli ha avuto con le parole: gior-
nali, pubblicità, conversazioni, film e letture fatte dall'in-
fanzia in poi. Possiede una capacità specifica di reagire
alla letteratura che non corrisponde a questa base sogget-
tiva con tutto ciò che essa comporta (ricordi personali, as-
sociazioni e pregiudizi arbitrari) piu di quanto leggere un
termometro corrisponda a tremare dal freddo, E ancora,
non c'è nessuno che, dotato di capacità critiche, non ab-
bia provato un piacere intenso e profondo per qualcosa
che egli stesso, su un piano critico, giudicava negativa-
mente. Vi sono forse decine di teorie critiche ed estetiche
basate sul principio che il piacere soggettivo e una speci-
fica reazione al fatto artistico sono, si sviluppano da, o di-
ventano, la stessa cosa. Ma ogni persona culturalmente
educata e che non soffra di una forma di grave paranoia,
sa che si tratta di cose fondamentalmente distinte. O, an-
cora, il valore ideale può essere molto diverso da quello
effettivo. Un critico può dedicare una tesi, un libro o an-
che la vita allo studio di un tema che egli sa, onestamente,
essere di limitato interesse, solo perché è in relazione con
qualcos'altro che egli ritiene sufficientemente importante
da giustificare i suoi sforzi. Nessuna teoria critica a me
nota fa il minimo conto dei diversi sistemi di valutazione
impliciti in una delle piu comuni prassi critiche.

Dopo avere spazzato, come si conveniva, il salotto del


nostro interprete, ed avere tolto la polvere, cercheremo
di lucidarlo con ogni unguento rivelatore in nostro pos-
sesso. Non credo sia necessario sottolineare che la mia
polemica è stata scritta usando la prima persona plurale
e che in realtà è una confessione quanto una polemica. È
anche chiaro che un libro di questo tipo può essere offer-
to soltanto a un lettore che abbia abbastanza simpatia per
gli scopi che esso si prefigge da scusare (non nel senso di
ignorare, ma di vedere oltre) tutto ciò che lo colpisca
42 INTRODUZIONE POLEMICA

come inadeguato o semplicemente sbagliato. Sono certo


che dovremo aspettare a lungo prima di trovare un criti-
co che abbia tutte le carte in regola per affrontare i temi
di questi saggi. Allo scopo di mantenere il libro entro
limiti che ne permettessero la redazione e la pubblica-
zione, ho fatto uso del metodo deduttivo e ho accurata-
mente selezionato esempi e spiegazioni. Il metodo dedut-
tivo non è stato impiegato che in un ambito tattico e, che
io sappia, nessun principio è stato formulato come una
perfetta premessa maggiore, tale da escludere eccezioni o
istanze negative. Espressioni come «solitamente», « co-
munemente», «generalmente» o « di norma» ricorrono
con molta frequenza. Il lettore può sempre fare un'obie-
zione del tipo « e cosa dire di questo o quello? » senza di-
struggere necessariamente le affermazioni che sono basa-
te su molteplici osservazioni; non sono in grado, inoltre,
di rispondere a molte domande del tipo « dove collocare
questo o quello?»
La forma schematica di questo libro è deliberata; ed è
sua caratteristica l'incapacità in cui mi trovo, dopo lunga
riflessione, di giustificarla. Vi è un posto per la classifica-
zione nella critica, come in ogni altra disciplina, che è piu
importante delle squisitezze raggiunte da una casta di
mandarini. La viva ed emotiva ripugnanza di molti critici
nei confronti di qualsiasi forma di schematismo nella poe-
tica è uno dei molti effetti della mancata distinzione fra la
critica come complesso di conoscenze, e l'esperienza diret-
ta della letteratura, in cui ogni atto è unico e non esistono
classificazioni. Nelle pagine seguenti, dovunque appaiano
delle schematizzazioni, nessuna importanza viene attri-
buita alla forma schematica in sé, la cui eventuale inade-
guatezza è frutto della mia mancanza di abilità. Credo e
spero che essa sia, in larga misura, una semplice impalca-
tura, da abbattere non appena la costruzione dell'edificio
sia piu avanzata. La parte rimanente appartiene allo stu-
dio sistematico delle cause formali dell'arte.
Primo saggio
Critica storica: teoria dei modi
Modi di invenzione: introduzione

Nel secondo paragrafo della Poetica Aristotele esami-


1111 le differenze nelle opere di immaginazione che deriva-
no dal differente grado di levatura dei personaggi. In al-
rnne, egli dice, i personaggi sono migliori di noi, in altre
peggiori ed in altre ancora uguali. Questo passo è stato
poco studiato dai critici moderni in quanto l'importanza
l'hc Aristotele attribuisce alla bontà ed alla malvagità par-
rebbero indicare una visione grettamente moralistica del-
l11 letteratura. I termini aristotelici per buono e malvagio
Hono, tuttavia, spoudaios e phaulos che posseggono un
Hcnso figurato di pesante e leggero. Nelle opere di inven-
zione l'intreccio consiste in qualcosa fatto da qualcuno.
11 qualcuno, se persona, è l'eroe ed il qualcosa che egli fa
o non fa è ciò che egli può fare o potrebbe aver fatto sulla
hnse dei postulati fornitigli dall'autore e delle conseguen-
1i speranze del pubblico. Le opere di invenzione, quindi,
1ossono essere classificate non moralmente, ma secondo
1
e capacità d'azione dell'eroe che possono essere maggio-
ri, uguali o minori delle nostre. Di conseguenza:
r. Se superiore come tipo sia agli altri uomini che al
loro ambiente, l'eroe è un essere divino e la sua sto-
ria sarà un mito nella normale accezione di storia di
un dio. Tali storie hanno un posto importante nella
letteratura, ma sono di regola al di fuori delle nor-
mali categorie letterarie.
2. Se superiore in grado agli altri uomini ed al suo am-
biente, l'eroe è il tipico eroe del romance, le cui a-
zioni sono meravigliose, ma che è un essere umano.
Questo eroe si muove in un mondo in cui le normali
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

leggi di natura sono in certa misura sospese: prodigi


di coraggio e di resistenza, innaturali per noi, sono
per lui naturali; e, una volta fissati i postulati del ro-
mance, armi incantate, animali parlanti, streghe ed
orchi terrificanti, talismani miracolosi non violano
la legge di probabilità. In questo caso passiamo dal
mito propriamente detto alla leggenda, al racconto
popolare, ai Maerchen ed ai loro affiliati e derivati
letterari.
3. Se superiore in grado agli altri uomini, ma non al
suo ambiente naturale, l'eroe è un capo. Possiede
autorità, passioni e capacità di espressione molto
piu grandi delle nostre, ma ciò che egli fa è soggetto
sia alla critica sociale che all'ordine della natura. È
l'eroe del modo alto-mimetico, di gran parte dell'e-
pica e della tragedia, ed è il tipo di eroe che interes-
sa particolarmente Aristotele.
4. Se non è superiore né agli altri uomini né al suo am-
biente, l'eroe è uno come noi: siamo sensibili alla
sua comune umanità e chiediamo al poeta l'obbe-
dienza agli stessi canoni di probabilità che sono pre-
senti nella nostra esperienza. È l'eroe del modo bas-
so-mimetico tipico di gran parte delle commedie e
della narrativa realistica. «Alto» e «basso» non
hanno le connotazioni di valutazioni comparative,
ma sono puramente diagrammatici come quando
vengono riferiti ai critici biblici o anglicani. A volte
un autore ha trovato qualche difficoltà nell'usare a
questo livello la parola «eroe», che nei modi prece-
denti ha un significato piu ristretto. Thackeray, per
esempio, si sente obbligato a definire Vanity Fair un
romanzo senza eroe.
5. Se inferiore a noi per forza o per intelligenza, cosi
da darci l'impressione di osservare dall'alto una sce-
na di impedimento, frustrazione o assurdità, l'eroe
appartiene al modo ironico. Questo accade anche
quando il lettore ha la sensazione di trovarsi o di
potersi trovare nella stessa situazione, giudicata pe-
rò dal punto di vista di chi gode una maggiore li-
bertà.
MODI DI INVENZIONE: INTRODUZIONE 47
Esaminando questa suddivisione ci accorgiamo che la
letteratura europea di invenzione durante gli ultimi quin-
dici secoli si è sviluppata percorrendo una dopo l'altra le
tappe del nostro elenco. La letteratura nel periodo pre-
medievale è in stretta relazione con i miti cristiani, tardo-
classici, celtici e teutonici. Se il cristianesimo non fosse
stato, contemporaneamente, un mito di importazione ed
un divoratore dei miti rivali, sarebbe piu facile isolare
questa fase della letteratura occidentale. Nella forma in
cui ci è pervenuta essa si è in gran parte riversata nella
categoria del romance. Questo si divide in due forme prin-
cipali: una forma secolare, che parla di cavalleria e cava-
lieri erranti ed una forma religiosa, dedicata alle leggen-
de dei santi. Entrambe le forme fanno grande uso di mi-
racolose trasgressioni della legge naturale per le finalità
del racconto. Questo tipo di letteratura dominò incontra-
stata finché il culto del principe e del cortigiano nel Rina-
scimento portarono in primo piano il modo alto-mimeti-
co. Le caratteristiche piu evidenti di questo modo sono
visibili nel teatro, in particolare nella tragedia, e nell'epi-
ca nazionale. In seguito un nuovo tipo di cultura borghe-
se introdusse il modo basso-mimetico che, nella letteratu-
ra inglese, dominò incontrastato dall'epoca di Defoe sino
alla fine del xrx secolo. Nella letteratura francese inizia e
finisce circa cinquant'anni prima. Nell'ultimo secolo mol-
ta narrativa di carattere serio ha avuto una tendenza cre-
scente a passare al modo ironico.
Possiamo, in una prospettiva di scorcio, individuare u-
na progressione analoga nella letteratura classica. Non è
facile distinguere gli elementi propri del romance, mitici,
e alto-mimetici quando la religione è mitologica e politei-
stica, quando sono presenti incarnazioni promiscue, eroi
divinizzati e re discendenti da dèi, quando lo stesso agget-
tivo «divino» può essere applicato sia a Giove che ad
Achille. L'elemento proprio del romance può essere iso-
lato piu facilmente quando la religione è teologica e si ba-
sa su una netta distinzione tra la natura divina e quella
umana, come accade nelle leggende della cavalleria e del-
la santità cristiane, nelle musulmane Mille e una notte e
nelle storie dei giudici e dei profeti taumaturghi di Israe-
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

le. Analogamente l'incapacità del mondo classico di sba-


razzarsi, nel suo ultimo periodo, della guida divina ha
molti rapporti con lo sviluppo mancato dei modi basso-
mimetico ed ironico che avevano appena esordito con la
satira latina. Allo stesso tempo, l'affermarsi di un modo
alto-mimetico, lo sviluppo di una tradizione letteraria do-
tata di un profondo senso di un ordine naturale dentro di
sé, costituisce uno dei maggiori risultati della civiltà gre-
ca. La narrativa orientale, per quanto ne so, non si è allon-
tanata troppo dalle formule del romance e mitiche.
Ci occuperemo qui principalmente dei cinque periodi
della letteratura occidentale prima ricordati, facendo uso
solo incidentalmente di paralleli con la letteratura classi-
ca. Per ciascuno dei modi è utile una distinzione tra lette-
ratura ingenua e letteratura sofisticata. Prendo la parola
«ingenuo» dal saggio di Schiller sulla letteratura inge-
nua e sentimentale: l'intendo, tuttavia, nel senso di pri-
mitivo o popolare, mentre Schiller la intendeva quasi nel
senso di classico. Anche il termine sentimentale ha, in in-
glese, un diverso significato, ma purtroppo non disponia-
mo di termini critici abbastanza genuini per poterne fare
a meno. Fra virgolette, tuttavia, «sentimentale» indica
la tarda ti-creazione di un modo preesistente. Cosi il ro-
manticismo è una forma «sentimentale» del romance e
i racconti di fate, nella maggior parte dei casi, una forma
sentimentale del racconto popolare. Vi è inoltre una di-
stinzione generale fra le opere di invenzione in cui l'eroe
è separato dal proprio mondo sociale e quelle in cui vi è
incorporato. Questa distinzione è espressa dai termini
«tragico» e «comico» quando sono riferiti ad aspetti del-
l'intreccio in generale e non solo alle forme del dramma.
Modi di invenzione tragica

Le storie tragiche che si riferiscono ad esseri divini pos-


sono essere definite dionisiache. Sono storie che narrano
la morte di dèi: Ercole con la tunica avvelenata e il rogo,
Orfeo fatto a pezzi dalle baccanti, Balder ucciso dal tra-
dimento di Loki, Cristo crocifisso che con le parole « per-
ché mi hai abbandonato?» sottolinea il senso della sua
esclusione, in quanto essere divino, dalla comunità della
trinità.
L'associazione della morte di un dio con l'autunno o
con il tramonto non significa necessariamente, in lettera-
tura, che egli sia un dio «della» vegetazione o un dio so-
lare, ma solo che egli è un dio soggetto alla morte, qua-
lunque sia la sua giurisdizione. Ma in quanto dio, egli è
superiore alla natura come agli altri uomini, e la sua mor-
te implica pertanto ciò che Shakespeare, in Venus and
Adonis, sottolineando le connessioni etimologiche della
parola solenne con rituale chiama la « solenne simpatia»
della natura. Quella che Ruskin chiama pathetic fallacy'
non è incongrua quando un dio è l'eroe dell'azione; quan-
do, ad esempio, il poeta di The Dream of the Rood ci dice
che tutta la creazione pianse alla morte di Cristo. Natu-
ralmente non è di per sé incongruo porre, in immagine,
sullo stesso piano l'uomo e la natura, ma il ricorso alla
« solenne simpatia» in un brano di narrazione piu reali-
stica indica che l'autore sta cercando di dare al suo eroe
alcuni tratti che richiamano il modo mitico. Un esempio,
secondo Ruskin, di pathetic fallacy è « la crudele schiu-
1 [L'errore di attribuire alla natura sentimenti umani].
50 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

ma che avanza» dalla ballata di Kingsley sulla ragazza


annegata durante la marea. Ma questa descrizione della
schiuma fa si che sulla ragazza di Kingsley si riverberi,
anche se vagamente, il mito di Andromeda.
Anche nel romance, in cui l'eroe è quasi un semidio,
permangono le stesse associazioni con il tramonto e la ca-
duta delle foglie. La sospensione delle leggi naturali e la
caratterizzazione delle gesta dell'eroe restringono la na-
tura al mondo animale e vegetale. Gran parte della vita
dell'eroe si svolge fra animali o, per lo meno, fra quegli
animali che sono incurabilmente romantic, cavalli, cani e
falconi, mentre il tipico ambiente di queste opere è la fo.
resta. La morte o l'isolamento dell'eroe dànno l'impres-
sione di uno spirito che si libera dalla natura ed evocano
uno stato d'animo che può essere ben definito elegiaco.
L'elegia presenta una forma di eroismo non toccato dal-
l'ironia. L'inevitabilità nella morte di Beowulf, il tradi-
mento nella morte di Orlando, le crudeltà che accompa-
gnano la morte dei santi martirizzati sono piu importanti,
dal punto di vista emotivo, di qualsiasi complicazione iro-
nica di hybris e hamartia. L'elegia è spesso accompagnata
da un diffuso, rassegnato e melanconico senso del trascor-
rere del tempo, del mutamento e della sottomissione del
vecchio ordine al nuovo: si pensa a Beowulf 1 che guarda,
mentre muore, i monumenti megalitici appartenenti ad
un'età della storia scomparsa prima di lui. In una forma
«sentimentale» molto piu tarda lo stesso stato d'animo si
ritrova in The Passing of Arthur di Tennyson.
La tragedia, che nel suo senso centrale o alto-mimetico
è la storia-invenzione della caduta di un capo (il quale de-
ve cadere poiché è questo il solo modo in cui un capo pos-
sa essere isolato dalla società a cui appartiene), unisce l'e-
roico con l'ironico. Nel romance elegiaco il fatto che l'e-
roe sia mortale è prima di tutto un fatto naturale, il segno
della sua umanità; nella tragedia alto-mimetica è anche
un fatto sociale e morale. L'eroe tragico deve possedere
una statura veramente eroica, ma la sua caduta è connessa
con il rapporto che esiste tra la società e lui, e con il senso
1 Il significato esatto di« enta geweorc» (2717) non invalida la spiega-
zione.
MODI DI INVENZIONE TRAGICA 51
della supremazia della legge naturale, che sono entrambi
di tipo ironico. La tragedia si è soprattutto sviluppata du-
rante le due fioriture di teatro tragico che si sono avute
nel v secolo in Atene, e nel secolo xvn in Europa, l'epoca
che va da Shakespeare a Racine. Questi due momenti so-
no accompagnati, sul piano sociale, dal rapido declino di
un'aristocrazia che pur perdendo il suo potere effettivo,
conserva un grande prestigio ideologico.
Il concetto tradizionale di catarsi esprime la posizio•
ne centrale della tragedia alto-mimetica' nei cinque modi
tragici, in equilibrio fra l'eroismo divino e l'ironia total-
mente umana. Possiamo mettere in relazione le parole pie-
tà e paura con le due direzioni generali dell'emozione ver-
so, o da, un oggetto. La forma ingenua del romance essen-
do strettamente legata all'appagamento di desideri irrea-
lizzabili, tende ad assorbire delle emozioni e a comunicar-
le soggettivamente al lettore. Essa è caratterizzata, quin-
di, dall'accettazione della pietà e della paura, che nella
vita reale sono accompagnate da sensazioni dolorose, co-
me forme di piacere. Trasforma la paura a distanza, o ter-
rore, in avventura; la paura al contatto, o orrore, nel me-
raviglioso, e la paura senza oggetto, o angoscia (Angst), in
una pensosa malinconia. Trasforma la pietà a distanza, o
sollecitudine, nel tema della liberazione cavalleresca; la
pietà al contatto, o tenerezza, in un languido e tranquillo
fascino e la pietà senza oggetto (che non ha parola per de-
finirla, ma è una specie di animismo che tratta ogni cosa
nella natura come se avesse sentimenti umani) nella fanta-
sia creativa. Nel romance di tipo sofisticato gli elementi
caratteristici di questa forma sono meno evidenti, special-
mente in quella tragica, dove il tema della morte inevita-
bile è in contrasto con il meraviglioso e spesso lo costringe
in una posizione di secondo piano. In Romeo and Juliet
il meraviglioso sopravvive soltanto nel discorso di Mercu-
zio sulla regina Mab. Ma questa tragedia è piu vicina al
romance che alle tragedie piu tarde, per via di mitiganti
influenze che operano in senso contrario alla catarsi e, per
1 Cfr. LUIS L. MARTZ, The Saint as Tragic Hero, Tragic Themes in
Western Literature, a cura di C. Brooks (19J.5), p. 176.
52 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

cosf dire, prosciugano da ogni ironia i personaggi prin-


cipali.
Nella tragedia alto-mimetica la pietà e la paura diven-
tano, rispettivamente, giudizi morali favorevoli e contra-
ri che sono rilevanti per la tragedia, ma non ne costitui-
scono il punto centrale. Compiangiamo Desdemona e te-
miamo lago, ma il personaggio centrale è Otello ed i no-
stri sentimenti verso di lui sono complessi. La particolare
vicenda, chiamata tragedia, che capita all'eroe tragico non
è subordinata al suo stato morale. Se riferita causalmente
a un'azione da lui compiuta, come di solito avviene, la
tragedia è costituita dalla inevitabilità delle conseguenze
dell'atto e non dai significati morali dell'atto stesso. Di
qui il paradosso che nella tragedia la pietà e la paura sono
provocate ed eliminate. La hamartia aristotelica, o « incri-
natura», non produce necessariamente un errore né, tan-
to meno, una debolezza morale: può semplicemente esse-
re un modo di sottolineare la forza di un personaggio in
posizione esposta, come Cordelia. La posizione esposta è,
normalmente, il posto di comando in cui un personaggio
è eccezionale e al tempo stesso isolato, e ci comunica quel-
lo strano senso di inevitabile e di incongruo, che è pecu-
liare della tragedia. Il principio dell'hamartia del coman-
do è particolarmente evidente nella tragedia alto-mimeti-
ca di tipo ingenuo, come vediamo in The Mirror of Magi-
strates ed in analoghe raccolte di racconti basati sul tema
del volgere della fortuna.
Nella tragedia basso-mimetica la pietà e la paura non
sono purificate nel piacere, ma vengono comunicate ester-
namente come sensazioni. La parola « sen~azionale » po-
trebbe avere largo impiego nella critica se non fosse con-
siderata esclusivamente un giudizio di valore negativo.
La parola che meglio di ogni altra definisce la tragedia
basso-mimetica o domestica è forse« pathos», e pathos è
in stretto rapporto con il riflesso del pianto suscitato da
una sensazione. Il pathos presenta l'eroe isolato da una
forma di debolezza che fa appello alla nostra simpatia poi-
ché è al nostro stesso livello di esperienza. Ho parlato di
eroe, ma la figura centrale del pathos è spesso una donna
o un bambino (o entrambi come nelle scene in cui muoio-
MODI DI INVENZIONE TRAGICA 53
no Little Eva e Little Nell) ed esiste nella letteratura in-
glese basso-mimetica una vera processione di patetici sa-
crifici femminili da Clarissa Harlowe alla Tess di Hardy
ed alla Daisy Miller di James. Osserveremo che mentre
la tragedia può massacrare un'intera compagnia teatrale,
il pathos è normalmente concentrato in un solo personag-
gio, anche perché la società basso-mimetica è piu forte-
mente individualizzata.
Il pathos, inoltre, contrariamente alla tragedia alto-mi-
metica, è accentuato dall'incapacità di esprimersi della
vittima. La morte di un animale è normalmente patetica,
e cosi è la catastrofe di una intelligenza minorata tanto
frequente nella letteratura americana moderna. Words-
worth, che come artista basso-mimetico fu uno dei nostri
maggiori maestri di pathos, fa parlare la madre del suo
marinaio in uno stile sciatto, triste, ridicolmente inade-
guato, dei tentativi da lei fatti di salvare gli abiti del fi-
glio e «le altre proprietà»: questo, prima che la cattiva
critica lo inducesse a guastare la sua poesia. Il pathos è
un'emozione curiosamente lugubre e gli sono peculiari al-
cune insufficienze di espressione reali o simulate. Darà
sempre vita a lacrimose elegie funebri e si nutrirà di sen-
timenti simili allo swiftiano rimpianto di Stella. Un pathos
fortemente sviluppato tende a trasformarsi in un'artifi-
ciosa disposizione a piangere sulla propria sorte. L'utiliz-
zazione della paura è di tipo sensazionale anche nella let-
teratura basso-mimetica ed è una sorta di pathos al con-
trario. In questa tradizione il personaggio terrificante,
esemplificato da Heathcliff, Simon Legree e dai malvagi
di Dickens è normalmente una figura spietata in netto
contrasto con le delicate virtu impersonate dalla impo-
tente vittima alla sua mercè.
L'idea fondamentale del pathos è l'esclusione di un in-
dividuo del nostro stesso livello da un gruppo sociale al
quale egli cerca di appartenere. Di conseguenza la tradi-
zione centrale del pathos sofisticato è l'analisi di un'ani-
ma isolata, la storia di come qualcuno, riconoscibile in noi
stessi, sia tormentato da un conflitto tra il mondo interno
e quello esterno, fra la realtà immaginata e quel tipo di
realtà che è stabilita dal consenso sociale. Questo tipo di
54 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

tragedia può riferirsi, come accade spesso in Balzac, a una


mania o ossessione dell'ascesa sociale che è nell'opera bas-
so-mimetica l'equivalente della caduta del capo. O può
esprimersi nel conflitto tra vita interna ed esterna, come
in Madame Bovary e Lord Jim, o nell'urto di una morale
inflessibile con gli avvenimenti reali come in Pierre di
Melville e nel Brand di Ibsen. Possiamo definire questo
tipo di personaggio con il termine greco alazon, che signi-
fica impostore, e designa un individuo che pretende o cer-
ca di essere qualcosa di piu di quello che è. I tipi piu popo-
lari di alazon sono il miles gloriosus ed il pedante o filosofo
fissato.
Questi personaggi sono frequenti soprattutto nella com-
media, in cui vengono osservati dall'esterno, cosicché noi
ne vediamo soltanto la maschera sociale. Ma l'alazon può
essere uno degli aspetti dell'eroe tragico: qualcosa del
miles gloriosus è indubbiamente in Tamberlano ed anche
in Otello, come qualcosa del filosofo fissato è presente in
Faustus e in Amleto. È molto difficile analizzare dall'in-
terno un caso di fissazione o anche di ipocrisia attraverso
un mezzo espressivo come il teatro: anche Tartufo, se si
considera la sua funzione drammatica, è piu uno studio
del parassitismo che dell'ipocrisia. L'analisi della fissazio-
ne appartiene di diritto alla narrazione in prosa o a un
mezzo semidrammatico come il monologo di Browning.
Malgrado tutte le differenze di tecnica e di atteggiamento,
Lord Jim è un discendente diretto del miles gloriosus, co-
me il Sergio di Shaw o il playboy di Synge, che sono tipi
paralleli in situazioni rispettivamente drammatiche e co-
miche. È naturalmente possibile dare un valore personale
all'alazon: lo fanno per esempio i creatori dei truci e in-
scrutabili eroi dei foschi romanzi «gotici», con i loro oc-
chi selvaggi e penetranti e le loro oscure allusioni a pec-
cati interessanti. Il risultato di solito non è una tragedia,
ma piuttosto quel genere di melodramma che può essere
definito commedia senza spirito. In tal caso ci troviamo
di fronte un'analisi della fissazione presentata in termini
di paura anziché di pietà: in altre parole la fissazione as-
sume l'aspetto di un'incontrollata volontà, che trascina la
sua vittima al di là dei confini normali dell'umanità. Uno
MODI DI INVENZIONE TRAGICA 55
degli esempi piu chiari è Heathcliff che, attraverso la mor-
te, si tuffa nel vampirismo; ma potremmo continuare
l'elenco con il Kurtz di Conrad per finire con gli scienziati
pazzi della letteratura popolare.
Nell'Etica di Aristotele incontriamo il concetto di iro-
nia; in quest'opera l'eiron è l'uomo che disprezza se stes-
so in contrapposizione all'alazon. Questo tipo di uomo
rende se stesso invulnerabile e, nonostante la disappro-
vazione di Aristotele, è manifestamente un artista prede-
stinato, cosi come l'alazon è una delle sue vittime pre-
destinate. Il termine ironia, dunque, indica una tecnica
per apparire meno di quanto si è, che in letteratura si
trasforma comunemente nella tecnica di dire il meno pos-
sibile lasciando intendere il massimo; o, su un piano piu
generale, un modulo di parole che rifugge da ogni afferma-
zione diretta o mette in forse il proprio piu ovvio e lette-
rale significato. (Uso qui la parola ironico nell'accezione
comune, per quanto stia indagando su alcune delle sue im-
plicazioni).
Il narratore ironico, dunque, disprezza se stesso e, co-
me Socrate, afferma di non saper nulla, neppure di essere
ironico. Sono essenziali per questo metodo la completa
obbiettività e l'eliminazione di ogni giudizio morale espli-
cito. Cosf nell'arte ironica la pietà e la paura non vengono
suscitate, ma piuttosto riflesse dall'arte al lettore. Quan-
do tentiamo di isolare l'ironico come tale, scopriamo che
esso appare soltanto come l'attitudine del poeta in quan-
to tale, una costruzione spassionata della forma letteraria
i cui elementi assertivi, impliciti o espliciti, sono comple-
tamente eliminati. L'ironia, come modo, nasce da quello
bassamente mimetico, e accetta la vita esattamente come
la trova. Ma lo scrittore ironico favoleggia senza moraliz-
zare e il suo oggetto non è che il suo soggetto. L'ironia è
per natura un modo sofisticato e la differenza fondamen-
tale tra ironia sofisticata e ironia ingenua è che quest'ul-
tima richiama l'attenzione sulla propria natura ironica,
mentre l'ironia sofisticata si limita ad enunciare e lascia
che sia il lettore ad aggiungere il tono ironico. Coleridge,
sottolineando un ironico commento di Defoe, fa notare
come la finezza di questi diventerebbe grossolana ed ov-
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

via, se soltanto si aggiungessero alle parole corsivi, tratti-


ni, punti esclamativi e altri segni che dimostrassero la con-
sapevolezza dell'ironia 1 •
L'ironia tragica, dunque, diventa semplicemente l'ana-
lisi dell'isolamento tragico come tale, e di conseguenza
elimina la particolarità del caso, presente a vari livelli in
tutti gli altri modi. Il suo eroe non ha nessuna hamartia
tragica o fissazione patetica. Si limita ad essere una perso-
na che si trova isolata dalla sua società. Il principio fon-
damentale dell'ironia tragica è che se qualcosa di eccezio-
nale accade all'eroe, è sfasato rispetto al personaggio. La
tragedia è comprensibile non perché abbia un qualche si-
gnificato morale, ma nel senso in cui Aristotele parla del-
la rivelazione o agnizione come essenziale alla trama dram-
matica. La tragedia è intelligibile in quanto la catastrofe
ha rapporti plausibili con le sue circostanze. L'ironia iso-
la dalla situazione tragica il senso dell'arbitrario, della
sfortuna della vittima scelta a caso o a sorte, e non piu
meritevole di ciò che le accade di qualunque altro indi-
viduo. Se esistono dei motivi per scegliere questa vittima
per la catastrofe, sono motivi inadeguati e che lasciano
senza risposta molte possibili obiezioni.
La figura della vittima tipica o casuale incomincia a
cristallizzarsi nella tragedia domestica quando il tono iro-
nico si approfondisce. Possiamo definire questa vittima
tipica pharmakos o capro espiatorio. Sono un pharmakos
Hester Prynne di Hawthorne, Billy Budd di Melville, Tess
di Hardy, Septimus protagonista di Mrs Dalloway, gli
ebrei, i negri perseguitati e gli artisti il cui genio fa di
essi degli Ismaeli della società borghese. Il pharmakos non
è innocente né colpevole. È innocente in quanto ciò che
gli accade supera di molto le conseguenze logiche del suo
agire, come il grido del montanaro che provoca la valan-
ga. È colpevole in quanto appartiene ad una società col-
pevole o vive in un mondo dove tali ingiustizie sono parte
inevitabile dell'esistenza. I due fatti non procedono uniti,
ma rimangono ironicamente separati. Il pharmakos, in
1 Cfr. Coleridge's Miscellaneous Criticism, a cura di T. M. Raysor
( 1936), p. 294; ho ampliato quello che Coleridge dice per poterne ricavare
il principio critico implicito.
MODI DI INVENZIONE TRAGICA 57
breve, è nella situazione di Giobbe. Giobbe può difen-
dersi dall'accusa di avere compiuto delle azioni che ren-
dano moralmente comprensibile la sua catastrofe; ma il
successo della sua difesa la rende moralmente incom-
prensibile.
L'incongruo e l'inevitabile, mescolati nella tragedia, si
situano ai poli opposti nell'ironia. Da un lato c'è l'ironia
inevitabile della vita umana. Ciò che accade al protago-
nista del Processo di Kafka non è il risultato di ciò che
egli ha fatto, ma è la fine di ciò che egli è, un essere « com-
pletamente umano». L'archetipo dell'ironia inevitabile è
Adamo, natura umana condannata a morte. Dall'altro lato
c'è l'ironia assurda della vita umana in cui tutti i tentativi
di trasferire la colpa sulla vittima le conferiscono la digni-
tà dell'innocenza. L'archetipo di questa ironia è Cristo, la
vittima perfettamente innocente, esclusa dalla società u-
mana. Nel mezzo sta la figura centrale della tragedia, che
è umana ma di dimensioni eroiche e possiede spesso carat-
teri divini. L'archetipo è Prometeo, il titano immortale
respinto dagli dèi per avere aiutato gli uomini. Il libro di
Giobbe non è una tragedia di tipo prometeico, ma un'iro-
nia tragica in cui la dialettica della natura divina e di quel-
la umana si risolve completamente. Giustificandosi come
vittima di Dio, Giobbe tende, senza riuscirci, a divenire
una figura tragica prometeica.
Questi esempi possono servire a spiegare alcune oscu-
rità della letteratura moderna. L'ironia proviene dal modo
basso-mimetico: ha le sue radici nel realismo e nell'osser-
vazione disinteressata. Ma ciononostante tende diretta-
mente al mito: non per nulla ricompaiono in essa vaghi
accenni a sacrifici rituali e a divinità morenti. Ovviamen-
te i nostri cinque modi girano in cerchio. La ricomparsa
del mito nell'ironia è particolarmente evidente in Kafka
ed in Joyce. Troviamo nell'opera di Kafka, che in un
certo senso potremmo definire un commento al libro di
Giobbe, i normali esempi contemporanei di ironia tragi-
ca: l'ebreo, l'artista. Ognuno è un cupo tipo di clown alla
Chaplin. Nello Shem di Joyce sono riuniti in forma comi-
ca molti di questi elementi. Il mito ironico, tuttavia, è
molto diffuso e senza di esso molti aspetti della letteratura
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

ironica sono incomprensibili. Henry James imparò il me-


stiere soprattutto dagli scrittori realisti e naturalisti del
XIX secolo, ma se dovessimo giudicare, per esempio, The
Altar of the Dead soltanto in base alle regole del modo
basso-mimetico, dovremmo definirlo un tessuto di coinci-
denze improbabili, motivi inadeguati e risultati non con-
clusivi. Se lo consideriamo un mito ironico, la storia di
come il dio di una persona sia il pharmakos di un'altra, la
sua struttura diventa semplice e logica.
Modi narrativi comici

Il tema del comico è l'integrazione della società che,


normalmente, assume la forma dell'incorporazione di un
personaggio centrale nella società stessa. La commedia mi-
tica corrispondente alla morte del dio dionisiaco è apolli-
nea, la storia di come un eroe sia accettato da una società
di dèi. Nella letteratura classica il tema dell'accettazione è
presente nelle storie di Ercole, di Mercurio e delle altre
divinità che dovettero superare delle prove. Nella lettera-
tura cristiana è il tema della salvezza o, in forma piu ri-
stretta, dell'assunzione: la commedia che costituisce l'e-
vento finale della Divina commedia. II modo della com-
media «romantica» corrispondente all'elegia può essere
meglio definito come idillico e il suo veicolo principale è
la pastorale. A causa dell'interesse sociale della commedia,
l'idillico non può uguagliare l'introversione dell'elegiaco,
ma mantiene il tema della fuga dalla società sino al punto
di idealizzare una vita semplice in campagna o in un ter-
ritorio lontano (la forma pastorale della letteratura mo-
derna popolare è l'avventura western). Le strette relazio-
ni con la vita animale e vegetale che abbiamo notato nel-
l'elegia ritornano con le pecore e gli ameni pascoli (o il
bestiame e le fattorie) dell'idillio, e la stessa facile connes-
sione con il mito si rivela nell'uso frequente di queste
immagini per il tema della salvezza, come accade nella
Bibbia.
L'esempio piu chiaro di commedia alto-mimetica è la
commedia antica di Aristofane. La commedia nuova di
Menandro si avvicina al modo basso-mimetico e le sue for-
mule, attraverso Plauto e Terenzio, hanno avuto vita fino
60 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

al Rinascimento: di conseguenza c'è sempre stata una for-


te e negativa tendenza basso-mimetica alla commedia so-
ciale. In Aristofane troviamo generalmente un personag-
gio centrale che costruisce la sua propria società a dispetto
di una forte opposizione respingendo una dopo l'altra
tutte le persone che tentano di ostacolarlo o di sfruttarlo,
e alla fine ottiene un trionfo eroico e talvolta gli onori ri-
servati ad un dio risorto. Come nella tragedia esiste la
catarsi della pietà e della paura, cosi nella commedia an-
tica esiste la catarsi delle emozioni comiche corrispondenti
che sono la simpatia e il ridicolo. L'eroe comico otterrà il
trionfo, intelligenti o stupide, oneste o disoneste che siano
le sue azioni. La commedia antica, come la tragedia a lei
contemporanea, è una miscela di eroico e di ironico. In
alcune opere, questo fatto è parzialmente dissimulato dalla
presenza delle opinioni personali di Aristofane sul com-
portamento dell'eroe, ma la sua commedia piu alta, Gli
uccelli, mantiene un perfetto equilibrio tra eroismo co-
mico e ironia comica.
La commedia nuova presenta di regola un intrigo ero-
tico tra due giovani, ostacolato da una qualche opposizio-
ne, generalmente paterna, e che si risolve con un colpo di
scena che è la forma comica della « agnizione» aristotelica
e presenta complicazioni maggiori della corrispondente
forma tragica. All'inizio della commedia, le forze che si
oppongono all'eroe sono controllate dalla società della
commedia ma, dopo la rivelazione di alcuni fatti per cui
l'eroe diventa ricco o l'eroina ritrova il suo vero rango
sociale, una nuova società si cristallizza intorno all'eroe e
alla sua sposa. L'azione della commedia, dunque, tendé
all'incorporazione dell'eroe in quella società a cui egli è
per natura idoneo. Raramente l'eroe è una persona inte-
ressante in se stessa: in conformità al decoro basso-mime-
tico le sue virtu sono comuni, ma attraenti dal punto di
vista sociale. In Shakespeare ed in quel tipo di commedia
«romantica» che ne deriva, queste forme rivelano esplici-
tamente uno sviluppo alto-mimetico. Nella figura di Pro-
spero abbiamo uno dei pochi esempi dell'uso della tecnica
aristofanesca di far procedere tutta l'azione comica dal
personaggio principale. I moduli alto-mimetici sono rag-
MODI NARRATIVI COMICI 61
giunti normalmente da Shakespeare facendo della lotta
fra la società repressiva e quella ideale una lotta fra due
livelli di esistenza, il primo simile o peggiore al nostro
mondo, il secondo incantato ed idilliaco. Tratteremo que-
sto argomento piu diffusamente in un altro luogo.
La commedia domestica piu tarda, per i motivi già ri-
cordati, fa uso delle stesse convenzioni adottate nel Ri-
nascimento. La commedia domestica si basa di regola sul-
l'archetipo di Cenerentola, su ciò che accade quando la
virtu di Pamela è ricompensata: l'accettazione di un indi-
viduo simile al lettore in un tipo di società desiderata da
entrambi, una società annunciata dal fruscio di abiti nu-
ziali e di biglietti di banca. La commedia shakesperiana
riesce a far sposare otto o dieci persone di interesse dram-
matico equivalente con la stessa facilità con cui la tragedia
altamente mimetica riesce a sterminarle; ma nella com-
media domestica un tale spreco di energia sessuale è piu
raro. La differenza principale fra commedia alto-mimetica
e basso-mimetica, tuttavia, consiste nel fatto che la solu-
zione di quest'ultima implica piu frequentemente un avan-
zamento sociale. Scrittori sofisticati di commedie basso-
mimetiche usano frequentemente la stessa formula del
successo con le ambiguità morali che abbiamo trovato in
Aristofane. In Balzac o Stendhal un abile e spietato fur-
fante riesce ad ottenere gli stessi risultati degli eroi vir-
tuosi di Samuel Smiles e Horatio Alger. Il corrispondente
comico dell'alazon è, dunque, il picaro astuto, simpatico e
senza scrupoli, del romanzo picaresco.
Studiando la commedia ironica dobbiamo incominciare
con il tema dell'esclusione del pharmakos dal punto di vi-
sta della società. La quale invoca il sollievo che proviamo
quando Volpone è condannato alla galera, Shylock è spo-
gliato delle sue ricchezze e Tartufo è gettato in prigione.
Tale tema, se non è trattato con molta abilità, difficilmen-
te convince per le ragioni accennate a proposito della tra-
gedia ironica. L'insistere sul tema della vendetta sociale
contro il singolo, per quanto disonesto egli possa essere,
tende a farlo considerare meno colpevole e a sottolineare
le colpe della società. Questo è particolarmente vero per
quei personaggi che hanno cercato di divertire il pubblico
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

reale o quello interno alla commedia e che sono i corri-


spondenti comici dell'eroe tragico come artista. La caccia-
ta del comico, può essere, come mostrano la cacciata di
Falstaff e certe scene di Chaplin, una delle piu terribili
ironie dell'arte, sia che si tratti di un pazzo, di un clown,
di un buffone che di un sempliciotto.
In certa poesia religiosa, nella fine del Paradiso, per
esempio, vediamo che la letteratura ha un limite superio-
re, un punto in cui l'immaginazione di un mondo eterno
diventa esperienza di esso. Nella commedia ironica notia-
mo che l'arte ha anche un limite inferiore nella vita reale.
È lo stato di barbarie, il mondo in cui la commedia con-
siste nell'infliggere una sofferenza ad una vittima impo-
tente, e la tragedia nel sopportarla. La commedia ironica
ci presenta la figura della vittima rituale e l'incubo nottur-
no, il simbolo umano che è il concentrato delle nostre
paure e dei nostri odi. Usciamo dai confini dell'arte quan-
do questo simbolo diventa esistenziale, come il negro del
linciaggio, l'ebreo del pogrom, la vecchia della caccia alla
strega o chiunque venga a caso scelto dalla plebaglia, come
Cinna, il poeta di Julius Caesar. In Aristofane l'ironia tal-
volta confina con la violenza della folla, in quanto gli at-
tacchi sono personali: si immaginano le facili risate che,
commedia dopo commedia, egli deve aver provocato sulla
pederastia di Clistene o sulla codardia di Cleonimo. In
Aristofane la parola pharmakos significa semplicemente
furfante, senza nonsense. Nel finale delle Nuvole, dove il
poeta dà quasi l'impressione di convocare un party di lin-
ciatori per dar fuoco alla casa di Socrate, abbiamo il corri-
spondente comico di uno dei piu grandi capolavori lette-
rari di ironia tragica, l'Apologia di Platone.
Ma l'elemento del gioco' è la barriera che divide l'arte
dalla barbarie e giocare a un sacrificio umano appare co-
me uno dei temi fondamentali della commedia ironica.
Perfino nel riso appare molto importante una specie di li-
berazione da ciò che è sgradevole 2 o terrificante. Lo no-
tiamo in particolare in tutte quelle forme artistiche che
1[Play nel testo: che significa sia lavoro drammatico sia gioco].
2Cfr. M. EASTMAN, Enioyment o/ Laughter (r936), che offre anche dei
commenti veramente illuminanti sui ruoli dell' eiron e del!' alazon.
MODI NARRATIVI COMICI

richiedono la presenza simultanea di un gran numero di


ascoltatori, come il teatro e, ancora piu naturalmente, nei
giochi. Notiamo inoltre che giocare al sacrificio non ha al-
cun rapporto di derivazione storica dal sacrificio rituale
come è stato suggerito per la Commedia Antica 1 • Tutte le
caratteristiche di questo rituale, il figlio del re, la morte
mimica, il carnefice, la vittima sostituita sono molto piu
esplicite in The Mikado di Gilbert e Sullivan che non in
Aristofane. Non esiste la prova della discendenza del base-
ball dai riti con cui si consumavano i sacrifici umani, ma
l'arbitro ha tante delle caratteristiche del pharmakos co-
me se cosi fosse: è un furfante senza ritegno, un ladrone
peggiore di Barabba; ha il malocchio; i tifosi della squa-
dra perdente invocano la sua morte. Le emozioni della fol-
la, al gioco, bollono, per cosi dire, in una pentola scoper-
chiata; nella folla scatenata al linciaggio sono contenute
in una fornace, ermeticamente sigillata, di ciò che Blake
definirebbe virtu morale. Il combattimento dei gladiatori
in cui il pubblico possiede un reale potere di vita e di mor-
te sulle persone che lo divertono è forse la piu intensa fra
tutte le parodie barbariche o demoniache del teatro.
Il fatto che la letteratura attraversa ora una fase ironi-
ca spiega ampiamente la popolarità dei romanzi polizie-
schi, la cui formula è costituita da un cacciatore di uomi-
ni che individua un pharmakos e si sbarazza di lui. Il ro-
manzo poliziesco inizia nell'epoca di Sherlock Holmes co-
me un'intensificazione del modo basso-mimetico, affinando
l'attenzione ai particolari cosi da trasformare i piu banali
e trascurati incidenti della vita quotidiana in fatti enigma-
tici e decisivi. Ma, allontanandoci sempre piu da tutto que-
sto, andiamo verso un dramma rituale intorno a un cada-
vere, in cui la condanna sociale si aggira come un esitante
dito accusatore puntato sopra un gruppo di «sospetti»,
finché finalmente ne indica uno. La sensazione di trovarsi
di fronte a una vittima estratta a sorte è molto forte poiché
gli indizi contro di essa sono soltanto probabili. Se fosse
realmente inevitabile avremmo un'ironia tragica come in
Delitto e castigo, dove il crimine di Raskol'nikov è cosi
1 Cfr. F. M. CONFORD, The Origin o/ Attic Comedy (1934).
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

intrecciato con il suo personaggio che non vi può essere


alcun mistero poliziesco. Nella crescente brutalità di que-
sto tipo di letteratura (brutalità tutelata dalla convenzione
della forma, poiché è convenzionalmente impossibile che
il cacciatore di uomini possa sbagliarsi nel credere che una
delle persone di cui sospetta è un assassino) il lato pura-
mente investigativo e deduttivo si fonde con il giallo in
una forma di melodramma. Nel melodramma sono rile-
vanti due temi: il trionfo della virtu morale sulla malvagi-
tà e la conseguente idealizzazione delle concezioni morali
che si presuppone siano quelle del pubblico. Nel brutale
e melodrammatico «thriller» ci avviciniamo, per quanto
all'arte è consentito, all'autogiustificazione della folla re-
sponsabile di un linciaggio.
Dovremmo anzi dire che tutte le forme di melodram-
ma, ed in particolare il romanzo poliziesco, sono, nella mi-
sura in cui è lecito prenderle sul serio, opere di propaganda
per la polizia di stato in quanto rappresentano la regola-
rizzazione della violenza della folla. Ma prenderle sul serio
non è possibile. Il muro di cinta del gioco è ancora pre-
sente. Il melodramma serio si ingarbuglia rapidamente
nella propria pietà e paura: piu è serio, e piu è probabile
· che il lettore lo veda ironicamente, e la sua pietà e paura
dànno l'impressione di uno sproloquio sentimentale e di
una scimmiesca solennità. Uno dei poli della commedia
ironica è il riconoscimento dell'assurdità del melodramma
ingenuo o, almeno, dell'assurdità del suo tentativo di defi-
nire il nemico della società come una persona al di fuori
di essa. Partendo da questo riconoscimento essa si svilup-
pa nella direzione opposta, che è quella dell'autentica iro-
nia comica o satira e che definisce il nemico della società
come uno spirito ad essa interno. Distinguiamo quindi le
forme della commedia ironica da questo punto di vista.
Le persone colte si recano al melodramma per fischiare
il malvagio con aria di condiscendenza: è per loro ovvio
che questo malvagio non può essere preso sul serio. È un
tipo di ironia che corrisponde esattamente a quello di due
altre arti maggiori dell'età ironica: la pubblicità e la pro-
paganda. Queste arti pretendono di indirizzarsi seriamen-
te all'attenzione subliminale di un pubblico di cretini, at-
MODI NARRATIVI COMICI

tenzione che può anche non esistere, ma che si suppone


essere abbastanza ingenua da accettare il valore nominale
delle affermazioni fatte sulla bontà di un sapone o sulle
ragioni del governo. Quelli fra di noi che sanno che l'iro-
nia non dice mai precisamente quello che pensa, conside-
rano queste arti ironicamente, o, al massimo, le guardano
come un gioco ironico. Analogamente leggiamo i romanzi
gialli con la consapevolezza che la malvagità dei loro per-
sonaggi è irreale. L'assassinio è senza dubbio un grave de-
litto, ma se il comune assassinio costituisse una reale, seria
minaccia per la nostra civiltà, leggere storie di assassini
non sarebbe riposante. Possiamo paragonarlo con la ripro-
vazione dei ruffiani nella commedia latina, che si basava,
analogamente, sull'indiscutibile tesi che i bordelli sono im-
morali.
C'è poi una commedia ironica che si rivolge a un pub-
blico capace di comprendere che la violenza omicida non
è tanto un attacco alla società virtuosa da parte di un sin-
golo malvagio, quanto un sintomo della depravazione della
società stessa. Questa commedia è il tipo di parodia intel-
lettuale delle formule melodrammatiche: i romanzi di Gra-
ham Greene ne costituiscono un esempio. Esiste inoltre la
commedia ironica che prende di mira lo spirito melodram-
matico in se stesso, una tradizione che persiste in modo
sorprendente nelle commedie dai molteplici fattori ironi-
ci. Si nota una tendenza ricorrente da parte della comme-
dia ironica a mettere in ridicolo e a beffare un pubblico
che si suppone desideri ardentemente il sentimento, la so-
lennità ed il trionfo della fedeltà e delle regole morali ap-
provate. L'arroganza di Jonson e di Congreve, lo sprezzo
dei sentimenti borghesi di Goldsmith, la parodia delle si-
tuazioni melodrammatiche in Wilde e Shaw appartengo-
no ad una tradizione coerente. Molière doveva compiacere
il suo re, ma l'istinto lo spingeva in questa direzione. Pos-
siamo aggiungere al dramma comico la presa in giro del
romanzo melodrammatico, da Fielding a Joyce.
Rimane, per ultima, la commedia di costume, il ritratto
di una società superficiale dedita allo snobismo e alla mal-
dicenza. In questo tipo di ironia i personaggi che si op-
pongono, o sono esclusi dalla società rappresentata, raccol-

3
66 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

gono le simpatie del pubblico. Siamo vicini alla parodia


dell'ironia tragica come si può notare nel terribile destino
del quasi inoffensivo protagonista di A Handful of Dust
di Evelyn Waugh. Oppure può esserci un personaggio che,
con l'approvazione dell'autore o del pubblico, respinge a
tal punto la società da allontanarsene deliberatamente sino
a divenire un pharmakos alla rovescia. Questo accade, per
esempio, alla fine di Those Barren Leaves di Aldous Hux-
ley. L'artista, tuttavia, crea di solito una situazione ironi-
ca senza via di uscita in cui il protagonista è considerato
dalla società del romanzo un pazzo o peggio, e tuttavia
convince i lettori di possedere valori piu grandi di quelli
su cui si fonda la sua società. L'esempio piu ovvio, e cer-
tamente uno dei maggiori, è L'idiota di Dostoevskij. Il
buon soldato Schweik, Heaven's My Destination e The
Horse's Mouth sono altri esempi che servono a dare un'i-
dea della vastità del tema.
Ciò che abbiamo detto sul ritorno dell'ironia al mito
nei modi tragici, vale anche per quelli comici. Perfino la
letteratura popolare dà l'impressione di spostare lenta-
mente il suo centro di gravità dalla storia poliziesca verso
la fantascienza; e la rapida crescita della fantascienza è
comunque una realtà della letteratura popolare contempo-
ranea. La fantascienza cerca spesso di descrivere un tipo
di vita che si svolga su un piano lontano da noi quanto
noi siamo lontani dalla barbarie primitiva; queste avven-
ture si svolgono sovente in uno scenario per noi miracolo-
so dal punto di vista tecnologico. Si tratta quindi di un
tipo di romance con una forte tendenza interna verso il
mito.

Il concetto di una sequenza di modi narrativi dovreb-


be, almeno speriamo, fornirci significati piu flessibili per
alcuni dei nostri termini letterari. Le parole «romantico»
e «realistico», per esempio, sono, nell'uso comune, ter-
mini relativi o comparativi: indicano delle tendenze nella
narrazione e non possono essere usati con esattezza come
semplici aggettivi descrittivi. Se noi prendiamo la sequen-
za: De raptu Proserpinae, The Man of Law's Tale, Much
MODI NARRATIVI COMICI

Ado About Nothing, Pride and Preiudice, An American


Tragedy, è evidente che ognuna di queste opere è« roman-
tica» rispetto a quelle che seguono e «realistica» rispetto
a quelle che precedono. D'altra parte, il termine « natura-
lismo» indica chiaramente, nella prospettiva che le è pro-
pria, una fase della narrazione che, analogamente al ro-
manzo poliziesco benché in modo molto diverso, inizia co-
me intensificazione del modo basso-mimetico, un tentati-
vo di descrivere la vita esattamente com'è, e finisce, se-
guendo la logica di questo tentativo, nella pura ironia. Co-
si la fissazione di Zola per le formule ironiche lo ha fatto
considerare un osservatore distaccato della scena umana.
La differenza fra il tono ironico che troviamo nei modi
basso-mimetici o piu antichi, e la struttura ironica del mo-
do ironico in sé non è difficile da comprendere in pratica.
Quando Dickens, ad esempio, fa uso dell'ironia, il lettore
è invitato a partecipare a questa ironia poiché sono presup-
poste certe regole di normalità comuni all'autore e al let-
tore. Ciò è indicativo di un modo relativamente popola-
re: come indica l'esempio di Dickens, la distinzione fra
narrativa seria e narrativa popolare è meno netta nella
scrittura basso-mimetica che in quella ironica. L'accetta-
zione letteraria di norme sociali relativamente stabili è in
stretta relazione con la reticenza della narrazione basso-
mimetica, paragonata a quella ironica. Nei modi basso-mi-
metici i personaggi sono, di norma, presentati come ap-
paiono agli altri nel loro aspetto esteriore, mentre buona
parte sia della loro vita fisica che dei loro monologhi in-
teriori viene accuratamente cancellata. Tale accostamento
si accorda perfettamente con le altre convenzioni usate.
Se facessimo di questa distinzione la base di un giudizio
di valore comparativo (che sarebbe, naturalmente, un giu-
dizio morale mascherato da giudizio critico), saremmo co-
stretti o a condannare le convenzioni basso-mimetiche per-
ché pudibonde, ipocrite e senza rapporto con gran parte
della vita, o a condannare le convenzioni ironiche perché
non sono morali, sane, popolari, rassicuratrici e profonde
come le convenzioni di Dickens. Finché distinguiamo sol-
tanto le diverse convenzioni, dobbiamo semplicemente
notare che il tono basso-mimetico è leggermente piu eroi-
68 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

co di quello ironico e che la reticenza basso-mimetica ha


come effetto di produrre personaggi che in genere sono
piu eroici, o almeno piu nobili, di quelli della narrazione
ironica.
Possiamo anche applicare il nostro schema ai principi
selettivi adottati da un romanziere. Prendiamo un esem-
pio a caso: l'uso dei fantasmi nella narrativa. In un mito
autentico non può esserci una decisa distinzione tra fan-
tasmi ed esseri viventi. In un romance esistono esseri uma-
ni, e di conseguenza i fantasmi appartengono ad un'altra
categoria; ma in questo tipo di opere il fantasma è solo
uno dei personaggi: la sorpresa che provoca non è eccessi-
va, poiché la sua comparsa non è piu meravigliosa di tanti
altri fatti narrati. Nel modo alto-mimetico, in cui ci muo-
viamo all'interno dell'ordine naturale, non è difficile in-
trodurre un fantasma, poiché il piano della rappresenta-
zione è al di sopra della nostra esperienza; ma, quando
esso compare, è una creatura terribile e misteriosa dietro
cui si intravvede un altro universo. Nel modo basso-mi-
metico i fantasmi sono stati, almeno da Defoe in poi, con-
finati quasi del tutto in una categoria separata di storie
di fantasmi. Nella comune narrazione basso-mimetica sono
inammissibili « per deferenza verso lo scetticismo del let-
tore» per dirla con Fielding, uno scetticismo che è valido
solo per le convenzioni basso-mimetiche. Le poche ecce-
zioni, come Wuthering Heights, finiscono per confermare
la regola (in questo romanzo è evidente un forte influsso
fantastico). In alcune forme di narrazione ironica, come
nelle ultime opere di Henry James, il fantasma ritorna
come frammento di una personalità disintegrata.
Dopo avere imparato a distinguere i modi, dobbiamo
però imparare a vederne le varie combinazioni. Poiché, se
un solo modo costituisce la tonalità di fondo di un'opera
narrativa, tutti gli altri quattro possono essere simultanea-
mente presenti. La sottigliezza della grande letteratura ri-
siede soprattutto in questo contrappunto modale. Chau-
cer è un poeta medievale specializzatosi essenzialmente
nei romances, sacri e profani. Nel gruppo dei suoi pelle-
grini, il cavaliere ed il parroco esprimono chiaramente le
regole della società in cui egli opera come poeta e i Can-
MODI NARRATIVI COMICI

terbury Tales, come ci sono pervenuti, cominciano e fini-


scono con queste due figure che aprono e chiudono la se-
rie. Ma trascurare la maestria di Chaucer nella tecnica bas-
so-mimetica ed ironica è un errore piu grave che conside-
rarlo come un romanziere moderno capitato per errore nel
Medioevo. Il tono di Anthony and Cleopatra è alto-mime-
tico, la storia della caduta di un grande capo. Ma è facile
considerare Marco Antonio ironicamente, come un uomo
reso schiavo dalla passione; è facile paragonare la sua co-
mune umanità con la nostra; è facile scorgere in lui un av-
venturiero «romantico», dotato di coraggio e di resisten-
za prodigiosi, tradito da una strega; ci sono persino allu-
sioni ad un essere sovrumano dalle facoltà eccezionali la
cui caduta è il risultato di fatali coincidenze, comprensi-
bili solo per un indovino. Tralasciare una qualsiasi di que-
ste caratteristiche semplificherebbe e sminuirebbe il dram-
ma. Questa analisi ci spinge ad affermare che i due aspetti
essenziali di un'opera d'arte, la sua contemporaneità ri-
spetto al tempo in cui fu scritta e rispetto a noi non sono
contraddittori, ma complementari.
Abbiamo anche scoperto, esaminando i modi narrativi,
che la tendenza mimetica, cioè la tendenza alla verosimi-
glianza ed alla esattezza della descrizione, è uno dei due
poli della letteratura. All'altro polo è qualcosa di affine a
ciò che Aristotele chiama mythos e a ciò che noi normal-
mente intendiamo con la parola «mito». Si tratta, in altri
termini, della tendenza a raccontare una storia che è in
origine una storia di personaggi che possono fare qualsiasi
cosa, e che solo gradualmente si trasforma nella tendenza
a raccontare una plausibile o credibile storia. I miti degli
dèi si trasformano in leggende di eroi; queste in intrecci
di tragedie e commedie, che, a loro volta, si trasformano
in intrecci di narrazioni piu o meno realistiche. Ma si trat-
ta di mutamenti di contesto sociale piuttosto che di forma
letteraria ed il principio costruttivo della narrazione per-
mane costante, pur adeguandosi naturalmente ad essi.
Tom Jones e Oliver Twist sono personaggi tipici del mo-
do basso-mimetico, ma le trame (imperniate sul mistero
della loro nascita) di cui essi sono protagonisti si possono
far risalire a Menandro e <la Menandro allo Ione di Euri-
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

pide e da Euripide alle leggende di Perseo e di Mosè. No-


tiamo, per inciso, che nella narrazione l'imitazione della
natura non produce una realtà o una verità, ma una plau-
sibilità, e che la plausibilità varia da semplici e quasi irri-
levanti concessioni, nel mito e nel racconto popolare, a
una sorta di legge inibitiva nel romanzo naturalistico. Se-
guendone lo sviluppo storico, possiamo pertanto conside-
rare i modi «romantico», alto-mimetico e basso-mimetico
come una serie di trasposti miti o mythoi, o schemi di in-
treccio in movimento: che si avvicinano progressivamente
all'opposto polo della verosimiglianza, dal quale poi, in
virtu dell'ironia, si allontanano di nuovo verso il punto
di partenza.
Modi tematici

Aristotele elenca sei tipi di poesia: tre di essi, melodia,


dizione e spettacolo, formano un gruppo a parte e li con-
sidereremo a tempo debito. Gli altri tre sono il mythos o
intreccio, l'ethos che comprende sia i personaggi che la
messa in scena, la dianoia o «pensiero». Le opere lettera-
rie che abbiamo sin qui esaminato sono opere di invenzio-
ne in cui l'intreccio è, secondo la definizione aristotelica,
«l'anima» o principio formante ed i personaggi esistono
principalmente in funzione dell'intreccio. Ma accanto al-
l'invenzione, interna all'opera, dell'eroe e della sua so-
cietà, esiste un'invenzione esterna attraverso la quale si
esprime il rapporto tra lo scrittore e la sua società. La poe-
sia può essere completamente assorbita nei suoi perso-
naggi interni, come accade in Shakespeare e in Omero,
dove il poeta si limita a introdurre la storia e scompare,
la seconda parola della Odissea, moi, essendo tutto ciò
che di lui appare nel poema. Non appena compare all'o-
rizzonte la personalità del poeta, si stabilisce una relazio-
ne con il lettore che penetra tutta la storia e può svilup-
parsi fino al punto che la storia non esiste piu indipen-
dentemente da ciò che il poeta comunica al lettore.
In generi letterari come i romanzi e i lavori dramma-
tici l'invenzione interna è normalmente di importanza
fondamentale; nei saggi e nella poesia lirica l'interesse fon-
damentale risiede nella dianoia, l'idea o pensiero poetico
( ben diverso, naturalmente, dagli altri tipi di pensiero)
che il lettore desume dallo scrittore. Forse la miglior tra-
duzione di dianoia è «tema» e la letteratura che ha que-
st'interesse ideale o concettuale può essere definita tema-
tica. Quando il lettore di un romanzo si chiede: «come
72 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

va a finire questa storia?» fa una domanda sull'intreccio


ed in particolare su quell'aspetto cruciale dell'intreccio
che Aristotele definisce scoperta o anagnorisis. Ma è pro-
babile anche che chieda: « qual è il senso di questa sto-
ria?» La domanda si riferisce alla dianoia ed indica che
anche i temi, come gli intrecci, posseggono i loro elementi
di scoperta.
È facile dire che alcune opere letterarie sono prevalen-
temente inventive ed altre prevalentemente tematiche.
Ma è chiaro che non esiste un'opera letteraria che sia solo
inventiva o solo tematica, in quanto tutti e quattro gliele-
menti etici ( etici nel senso che presuppongono degli in-
dividui), l'eroe, la società dell'eroe, il poeta e i lettori del
poeta sono sempre almeno potenzialmente presenti. È
difficilmente pensabile un'opera letteraria in cui non vi
sia un qualche rapporto, implicito o espresso, fra il suo
creatore ed i suoi lettori. Quando il pubblico a cui il poe-
ta si rivolge viene sostituito dalla posterità, il rapporto
cambia, pur continuando ad esistere. D'altra parte, perfi-
no nella lirica e nella saggistica, lo scrittore è almeno fino
a un certo punto, un eroe immaginario con un pubbli-
co immaginario, poiché se l'elemento dell'immaginazione
scomparisse completamente, lo scritto sarebbe un'allo-
cuzione diretta o prosa esplicitamente discorsiva e cesse-
rebbe di essere letteratura. Il poeta che invia una poesia
d'amore alla sua donna lamentandone la crudeltà, ha ste-
reoscopicamente ridotto gli elementi etici da quattro a
due, ma i•quattro continuano ad essere presenti.
Ogni opera letteraria, di conseguenza, possiede un a-
spetto di invenzione e uno tematico; e stabilire quale sia
piu importante è spesso solo questione di opinione o di
accento nell'interpretazione. Abbiamo citato Omero come
esempio di scrittore impersonale, ma la corrente princi-
pale della critica omerica, sino al 1750 almeno, è stata
decisamente tematica e si è interessata della dianoia o
ideale del comando implicito nei due poemi. La Storia di
Tom Jones, un trovatello è un romanzo il cui titolo deriva
dall'intreccio'; Senso e sensibilità è suggerito dal tema. Ma
1 Cfr. R. s. CRANE, The Concept o/ Plot and tbe Plot o/ «Tom ]ones»,
Critics and Criticism, a cura di R. S. Crane (1952), pp. 616 sgg.
MODI TEMATICI 73
Fielding attribuisce al tema (come mostrano chiaramen-
te i capitoli introduttivi dei vari libri) un'importanza non
minore di quella che Jane Austen attribuisce a una buo-
na trama. In entrambi i romanzi il fattore invenzione ha
maggior rilievo che nella Capanna dello zio T om o in Fu-
rore dove l'intreccio esiste soprattutto per illustrare i te-
mi della schiavitu e del lavoro nomade. In questi, a loro
volta, lo stesso fattore è piu importante che in Pilgrim's
Progress nel quale, a sua volta, conta di piu che in un
essay di Montaigne. Scopriamo cosi che, passando da ope-
re prevalentemente di invenzione a opere prevalentemen-
te tematiche, l'elemento indicato dal termine mythos ten-
de sempre piu ad assumere il significato di << narrazio-
ne» piuttosto che di «intreccio».
Quando un'opera di invenzione è scritta o interpreta-
ta dal punto di vista tematico, diventa una parabola o fa-
vola esplicativa. Tutte le allegorie ipso facto presentano,
in quanto tali, un forte interesse dal punto di vista tema-
tico; anche se questo non significa, come molti credono,
che ogni critica tematica di un'opera di invenzione la tra-
sformi in una allegoria, sebbene, come vedremo, ciò possa
accadere e di fatto accada. L'allegoria autentica è, in let-
teratura, un elemento strutturale: esso deve già essere pre-
sente e non può essere aggiunto dall'interpretazione cri-
tica.
Inoltre, quasi ogni cultura possiede nel suo patrimo-
nio di miti tradizionali un gruppo particolare che è con-
siderato piu importante, piu autorevole, piu educativo e
piu vicino alla realtà e alla verità che non gli altri. Per
molti poeti dell'epoca cristiana che si sono ispirati sia
alla letteratura biblica che a quella classica, questa non
era sullo stesso piano di autorità dell'altra, pur essendo
entrambe mitologiche dal punto di vista critico-lettera-
rio. Questa distinzione fra mito canonico e apocrifo, os-
servabile anche nelle società primitive, riveste il primo
gruppo di una importanza tematica particolare.
Dobbiamo ora esaminare come la nostra serie di modi
operi nell'aspetto tematico della letteratura. Dovremo li-
mitarci piu strettamente alla letteratura occidentale in
quanto il processo prospettico che abbiamo osservato nel-
74 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

la narrativa classica è dal punto di vista tematico ancora


piu caratterizzato.
Abbiamo rilevato nella letteratura d'invenzione due
tendenze principali, quella «comica» volta ad integrare
l'eroe nella sua società e quella «tragica» volta ad iso-
larlo. Nella letteratura tematica il poeta può scrivere co-
me individuo, sottolineando l'isolamento della sua perso-
nalità e la precisione della sua visione. Da questo atteggia-
mento nascono molte poesie e molti saggi, una buona
quantità di satire, epigrammi ed «egloghe» o in generale
scritti d'occasione. La frequenza di sentimenti di prote-
sta, scontentezza, ridicolo e solitudine (sia triste che se-
rena) può, forse, indicare un'analogia superficiale fra que-
ste opere ed i modi tragici della letteratura d'invenzione.
Oppure il poeta può farsi portavoce della sua società, il
che significa che, non indirizzandosi ad un'altra società,
la conoscenza poetica e la forza espressiva latenti o neces-
sarie di questa società si articolano in lui.
Questo atteggiamento produce una poesia che è edu-
cativa nel senso piu lato: epiche del tipo piu artificiale o
tematico, poesia e prosa didattiche, compilazioni enciclo-
pediche di miti, folklore e leggende come quelle di Ovi-
dio e di Snorri, in cui le storie in sé sono di tipo narra-
tivo, mentre la loro compilazione ed il motivo per cui
vengono raccolte sono tematici. In questo tipo di poesia
educativa la funzione sociale del poeta spicca in modo de-
ciso come tema. Se definiamo «lirica» la poesia dell'indi-
viduo isolato ed «epica» quella del portavoce sociale (pa-
ragonate alle narrazioni piu «drammatiche» dei personag-
gi interni) riusciamo forse ad avere di esse una qualche
idea preliminare. È evidente che in questa sede non usia-
mo questi termini in senso generico e, poiché dovrebbero
essere certamente usati in senso generico, li abbandonere-
mo immediatamente e li sostituiremo invece con « episo-
dico» e «enciclopedico». In altre parole, il poeta che co-
munica come individuo tende a fare uso di forme discon-
tinue, mentre quello che comunica come un professioni-
sta dotato di una funzione sociale tende a ricorrere a mo-
duli piu ampi.
Su un piano mitico esiste piu leggenda che verità pro-
MODI TEMATICI 75
vata, ma è chiaro che il poeta il quale canta gli dèi è spes-
so considerato o un dio cantore o lo strumento di un dio.
La sua funzione sociale è quella di un oracolo; ha delle
estasi frequenti e si narrano strane storie dei suoi poteri.
Orfeo poteva trascinarsi dietro gli alberi; i bardi e i can-
tori del mondo celtico sapevano uccidere i nemici con i
loro sarcasmi; i profeti di Israele predicevano il futuro.
La funzione visionaria del poeta, il suo vero lavoro come
poeta, consiste a questo livello nel rivelare il dio per cui
egli parla. Questo significa, normalmente, che egli rivela
la volontà del dio in rapporto a una occasione particolare,
quando è consultato come oracolo in condizioni di « en-
tusiasmo» o possesso divino. Ma, col tempo, il dio che è in
lui rivela la sua natura e la sua storia oltre alla sua vo-
lontà, e cosf, da una serie di enunciazioni oracolari, nasce
un complesso piu ampio di miti e di riti. Ciò si avverte
molto chiaramente nella nascita del mito messianico dagli
oracoli dei profeti ebraici. Il Corano è un chiaro esempio
storico del modo mitico in atto agli inizi della civiltà occi-
dentale post-classica. È molto difficile isolare gli esempi
autentici di poesia oracolare, dato il suo carattere ampia-
mente pre e extraletterario. Per degli esempi piu recenti,
come gli oracoli estatici che sembra abbiano avuto un'im-
portanza fondamentale nella civiltà degli Indiani delle
Grandi Pianure, dobbiamo ricorrere agli antropologi.
Due principi abbastanza importanti sono già impliciti
nella nostra discussione. Uno è il concetto di una totale,
organica visione attribuita ai poeti come classe, visione
destinata a incorporarsi in un'unica forma enciclopedica
che può essere tentata da un solo poeta, se è sufficiente-
mente colto o ispirato, o da una scuola o tradizione poe-
tica, se la cultura è sufficientemente omogenea. Notiamo
che i racconti tradizionali, i miti e le storie hanno una
forte tendenza a unirsi ed a costituire degli aggregati en-
ciclopedici, specialmente quando fanno uso, come normal-
mente accade, di un metro convenzionale. Si ritiene che
un esempio di questo tipo di processo sia costituito dal-
l'epica omerica; anche nell'Edda in prosa i temi dei lai
frammentari dell'Edda antica sono stati raccolti e organiz-
zati in una sequenza in prosa. Le storie bibliche si sono svi-
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

luppate ovviamente in modo simile, e in India, dove i pro-


cessi di trasmissione erano piu lenti, le due epopee tradi-
zionali, il Mahabharata ed il Ramayana, apparentemente
si sono dilatate per secoli come pitoni che inghiottono pe-
core. La dilatazione del Roman de la Rose in una satira
enciclopedica a opera di un secondo autore è uno degli
esempi medievali. Nel Kalevala finnico tutto quello che è
unificato o continuo nel poema è di ricostruzione ottocen-
tesca. La conseguenza non è che il Kalevala, considerato
come epopea singola, sia un falso: al contrario, ne deriva
che il materiale del Kalevala è quel tipo di materiale che
si presta a questa ricostruzione. Nel modo mitico una for-
ma enciclopedica è rappresentata dalla Sacra Scrittura e
dovremmo aspettarci di scoprire, negli altri modi, forme
enciclopediche che costituiscano analogie sempre piu uma-
ne della rivelazione mitica o scritturale.
L'altro principio è che, pur dandosi una grande varietà
di forme episodiche in tutti i modi, noi possiamo, in cia-
scun modo, conferire un'importanza speciale a quella for-
ma episodica particolare che sembra il germe da cui si svi-
luppano le forme enciclopediche. Nel modo mitico questo
prodotto episodico centrale o tipico è l'oracolo. L'oracolo
sviluppa un certo numero di forme sussidiarie, in parti-
colare il comandamento, la parabola, l'aforisma e la pro-
fezia. Da esse, siano collegate in modo vago, come nel
Corano, o accuratamente raccolte e disposte, come nella
Bibbia, trae origine e prende forma la scrittura o libro
sacro. Il Libro di Isaia, per esempio, può essere suddiviso
in un gran numero di oracoli distinti con tre epicentri
principali, uno in prevalenza antecedente all'Esilio, uno
coincidente con l'Esilio, e uno posteriore all'Esilio. I cri-
tici piu autorevoli della Bibbia non sono critici letterari
e noi stessi dobbiamo riconoscere che il Libro di Isaia co-
stituisce, di fatto, quell'unità che si è sempre tradizional-
mente ritenuto costituisse: unità, non di autore, ma di
tema, il quale, a sua volta, è in riassunto, il tema di tutta
la Bibbia, la parabola di Israele smarrito, imprigionato e
redento.
Nel periodo del romance, il poeta, come l'eroe corri-
spondente, è diventato un essere umano, e il dio si è riti-
MODI TEMATICI 77
rato in cielo. La sua funzione è ora, soprattutto, quella di
ricordare. La memoria, narra un mito greco degli inizi
del periodo storico, è la madre delle Muse, che ispira il
poeta, ma non piu come il dio ispirava l'oracolo, benché
i poeti si siano aggrappati il piu a lungo possibile a questo
rapporto. In Omero, nel forse piu primitivo Esiodo, nei
poeti dell'epoca nordica eroica possiamo vedere quali co-
se il poeta dovesse ricordare. Elenchi di re e di tribu
straniere, miti e genealogie di dèi, tradizioni storiche,
proverbi della saggezza popolare, tabu, giorni propizi o
infausti, incantesimi, gesta di eroi della tribu erano alcu-
ne delle cose che venivano alla luce quando il poeta apri-
va il suo scrigno di parole. Appartengono alla stessa ca-
tegoria il menestrello medievale con il suo repertorio di
racconti imparati a memoria ed il chierico-poeta che, co-
me Gower o l'autore del Cursor mundi, tentano di river-
sare le loro conoscenze in un vasto poema o testamento
poetico. In tali poemi la conoscenza enciclopedica è con-
siderata in modo sacramentale quale un'analogia umana
della sapienza divina.
Quest'epoca di eroi romanzeschi è in larga misura un'e-
poca nomade, e i suoi poeti sono spesso degli errabondi.
Il menestrello errante cieco è tradizionale sia nella lette-
ratura greca che in quella celtica; nell'antica poesia ingle-
se risuonano gli accenti di piu sconsolata solitudine che si
siano uditi nella nostra lingua; i trovatori e gli autori di
satire goliardiche percorsero nel Medioevo tutta l'Euro•
pa; Dante stesso fu in esilio. Oppure se il poeta rimane
dov'è, è la poesia che viaggia: i racconti popolari seguono
le strade commerciali; ballate e racconti giungono dalle
grandi fiere; Malory, scrivendo in Inghilterra, racconta
ai suoi lettori ciò che è scritto nel« libro francese» che gli
è capitato tra le mani. Il viaggio meraviglioso è fra tutti
i generi della letteratura di invenzione, il piu inesauribile,
ed è esso che è stato scelto e funge da parabola nella
Commedia di Dante, il poema enciclopedico definitivo di
questo modo. Modo in cui la poesia è agente di cattolicità,
greca in un'epoca, e romano-cristiana in un'altra.
Si può definire il suo tema episodico tipico come il te-
ma del limite della coscienza, la sensazione del passaggio
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

dello spirito poetico da un mondo ad un altro o della


sua consapevolezza simultanea di entrambi. La poesia del-
l'esilio, il lamento del Widsith o viandante che può essere
un menestrello errante, un amante respinto o un poeta
satirico nomade si oppone normalmente ai mondi della
memoria e dell'esperienza. La poesia della visione, con-
venzionalmente situata in un mattino di maggio, si op-
pone ai mondi dell'esperienza e del sogno. La poesia della
rivelazione attraverso la grazia femminile o la grazia divi-
na si oppone alla vecchia Legge con la vita nova. Nei ver-
si iniziali dell'Inferno è chiaramente sottolineata la pa-
rentela del grande poema enciclopedico con la poesia del-
l'esilio e la poesia della visione.
Il periodo alto-mimetico conduce ad una società dispo-
sta piu rigidamente intorno alla corte e alla capitale e
una prospettiva centripeta sostituisce quella centrifuga
del romance. Le lontane mete della ricerca, il Santo Graal
e la Città di Dio trasformano in simboli di convergenza
gli emblemi di principe, di nazione e di lealtà nazionale.
I poemi enciclopedici di quest'epoca, The Faerie Queene,
I Lusiadi, La Gerusalemme liberata, Paradise Lost sono
epiche nazionali unificate da idee patriottiche e religiose.
I motivi dell'importanza fondamentale degli elementi po-
litici in Paradise Lost sono noti e non impediscono di con-
siderarlo un'epica nazionale. Insieme a The Pilgrim's Pro-
gress, il poema di Milton costituisce anche un'introduzio-
ne al modo basso-mimetico inglese, uno dei cui aspetti es-
senziali è la storia di Ognuno. Queste epiche tematiche
presentano in genere un carattere molto diverso da quello
delle forme narrative il cui scopo principale è raccontare
una storia: pensiamo ai molti poemi epici dell'età eroica,
a molte saghe islandesi e romanzi cavallereschi celtici e,
nel Rinascimento, alla piu gran parte dell'Orlando furio-
so, sebbene i critici rinascimentali abbiano dimostrato
la possibilità di interpretare tematicamente l'Ariosto.
Il tema episodico centrale del modo alto-mimetico è
quello della stella polare o dell'osservazione centripeta
che, sia essa rivolta ad amanti, ad amici o a divinità, ha
in sé qualcosa della corte che guarda fissamente il sovra-
no, dell'uditorio che guarda fissamente l'oratore o del
MODI TEMATICI 79
pubblico che guarda fissamente l'attore. Poiché il poeta
alto-mimetico è essenzialmente un cortigiano, un consi-
gliere, un predicatore, un oratore, un maestro di belle ma-
niere, e l'epoca del modo alto-mimetico è quella in cui il
teatro, non piu nomade, diventa il fondamentale mezzo di
trasmissione della letteratura di invenzione. In Shake-
speare il senso del decorum è cosi grande che la sua perso-
nalità scompare completamente dietro di esso, ma questo
difficilmente accade in un drammaturgo dai forti interessi
tematici come Ben Jonson. Di regola il poeta alto-mime-
tico tende a considerare la sua funzione in rapporto al co-
mando sociale o divino, tema che è al centro del suo nor-
male modo inventivo. Il poeta di corte dedica la sua cul-
tura alla corte e la sua vita alla cortesia: la sua cultura è
al servizio del principe ed il climax di tale cultura è l'a-
mor cortese, concepito come contemplazione della bellez-
za in unione con essa. Il poeta religioso può trasferire
questo complesso di immagini alla vita spirituale, come
spesso fanno i poeti metafisici inglesi, o può trovare le
sue immagini centripete nella liturgia. La poesia gesuitica
del xvn secolo, ed il suo equivalente inglese, Crashaw,
posseggono un'eccezionale intensità iconica: anche Her-
bert guida gradualmente il lettore verso un «tempio» vi-
sibile.
Il platonismo letterario del periodo alto-mimetico è ap-
propriato al modo. Molti umanisti rinascimentali hanno
un forte senso dell'importanza del banchetto e del dialo-
go che sono rispettivamente l'aspetto sociale ed educati-
vo di una cultura di élite. È anche molto diffuso il pre-
supposto che la dianoia poetica rappresenti una forma, un
modulo, un ideale o un modello esistente in natura. « Il
mondo della natura è d'ottone - dice Sidney- solo il poe-
ta ne crea uno d'oro». E spiega che questo mondo dorato
non è qualcosa di separato dalla natura, ma è « in effetti
una seconda natura»: una unificazione del fatto, o esem-
pio, con il modello, o precetto. Ciò che normalmente vie-
ne definito nell'arte e nella critica «neoclassico» è princi-
palmente, nella nostra terminologia, il senso della dianoia
poetica come una manifestazione della vera forma della
natura, forma che viene assunta come ideale.
80 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

Nel modo basso-mimetico, dove le forme della lettera-


tura d'invenzione hanno a che fare con una società inten-
samente individualizzata, solo una cosa può prodursi di
analogo al mito, ed è un atto di creazione individuale. Il
risultato tipico è il Romanticismo, uno sviluppo tematico
che in larga misura si allontana dalle forme di invenzione
contemporanee e sviluppa i propri contrastanti caratteri.
Le qualità necessarie per scrivere Hyperion, e per scri-
vere Pride and Prejudice appaiono curiosamente contra-
stanti fra di loro, benché le due opere siano contempo-
ranee, come se esistesse una divisione piu netta fra inven-
tivo e tematico nel modo basso-mimetico che negli altri
modi. In certa misura questo è vero, perché un senso di
contrasto tra soggettivo e oggettivo, stato mentale e con-
dizione esterna, fattori individuali e sociali o fisici è carat-
teristico del basso-mimetico. In quest'epoca il poeta te-
matico diventa ciò che era stato l'eroe nell'epoca del ro-
mance, un individuo straordinario che vive in un ordine
di esperienze piu alte e fantastiche dell'ordine naturale.
Crea egli stesso il suo mondo, che riproduce molte delle
caratteristiche del romance brevemente esaminate in pre-
cedenza. La mente del poeta romantico ha con la natura
un rapporto generalmente di tipo panteistico ed appare
stranamente invulnerabile agli assalti del male reale. Nel
sadismo e nella immaginazione diabolica della « agonia
romantica» 1 si riflette la tendenza, esistente anche nel piu
antico romance di tramutare il dolore ed il terrore in una
sorta di piacere. La tendenza enciclopedica di questo pe-
riodo mira alla costruzione di epiche mitologiche in cui i
miti rappresentano degli stati psicologici o soggettivi. L'e-
sempio piu significativo è il Faust, soprattutto la seconda
parte; in Inghilterra i casi piu noti sono le profezie di
Blake e le poesie mitologiche di Keats e Shelley.
Il poeta tematico di questo periodo è interessato a se
stesso, non necessariamente per egotismo, ma perché il
suo talento poetico poggia su basi individuali e, di conse-
guenza, genetiche e psicologiche. Egli fa uso di metafore
biologiche, contrappone l'organico con il morto ed il mec-
1 [Romantic Agony è il titolo della traduzione inglese di La carne, la
morte e il diavolo nella letteratura romantica, di Mario Praz].
MODI TEMATICI 81
canico, pensa socialmente in termini di differenza biologi-
ca fra il genio e l'uomo comune, e per lui il genio è il se-
me fertile tra i semi sterili. Egli affronta la natura diret-
tamente, come individuo e, a differenza di molti suoi pre-
decessori, è portato a considerare la tradizione letteraria
come un inferiore surrogato dell'esperienza personale. Il
poeta romantico è spesso, come l'eroe della commedia
basso-mimetica, socialmente aggressivo: il possesso del
genio creativo conferisce autorità e il suo impatto sociale
è rivoluzionario. I critici romantici hanno spesso svilup-
pato teoriche della poesia come retorica della grandezza
personale. Il tema episodico centrale è l'analisi o presen-
tazione dello stato mentale soggettivo, tema generalmente
considerato tipico dei movimenti letterari legati ai nomi
di Rousseau e di Byron. Il poeta romantico riesce piu fa-
cilmente dei suoi predecessori a essere individuale nel
contenuto e nell'atteggiamento e, al tempo stesso, conti-
nuo nella forma. Il fatto che tante poesie brevi di Words-
worth possano essere assorbite nel Prelude, cosi come gli
antichi lai si fondono nei poemi epici, costituisce una si-
gnificativa innovazione tecnica.
I poeti posteriori ai romantici, ad esempio i simbolisti
francesi, iniziano con l'atto ironico di allontanarsi dal
mondo dei rapporti comuni, con tutti i suoi rumori con-
fusi ed i suoi significati imprecisi: rinunciano alla retori-
ca, al giudizio morale ed a tutti gli altri idoli della tribu e
dedicano tutte le loro energie alla funzione vera e propria
del poeta come autore di versi. Abbiamo detto che lo
scrittore ironico non è influenzato da considerazioni diver-
se dalla sua padronanza del mestiere, e che il poeta tema-
tico dell'età ironica considera se stesso piu un artigiano
che un creatore o «un legislatore non riconosciuto». In
altre parole, non rivendica quasi nulla per la sua persona-
lità e moltissimo per la sua arte: contrasto che sta alla
base della teoria di Y eats della maschera poetica. Nel mi-
gliore dei casi è uno spirito consacrato, un santo o un
anacoreta della poesia. Flaubert, Rilke, Mallarmé, Proust
furono, in modo diverso, artisti «puri». Di conseguenza
il tema episodico centrale è il tema della visione pura, ma
passeggera, il momento estetico o senza tempo, l'illumi-
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

nazione di Rimbaud, l'epifania di Joyce, lo Augenblick


del pensiero tedesco moderno' e tutte quelle forme di ri-
velazione non didattica espresse da vocaboli come « sim-
bolismo » e « imagismo ».
Il confronto tra questi momenti e il vasto panorama di-
spiegato dalla storia (« temps perdu ») è il tema principale
della tendenza enciclopedica. In Proust la ripetizione di
alcune esperienze a lungamente distanziati intervalli, crea
fuori del tempo questi momenti senza tempo; in Finne-
gans W ake la stessa storia nel suo complesso è presen-
tata come un'unica gigantesca antiepifania. Su scala mi-
nore, ma ancora enciclopedica, The Waste Land di Eliot
e l'ultimo e piu profondo libro di Virginia Woolf, Bet-
ween the Acts, hanno in comune (fatto tanto piu note-
vole in quanto queste opere non hanno niente altro in
comune) il senso del contrasto fra il procedere di tutta
la civiltà ed i brevi bagliori dei momenti importanti che
ne rivelano il significato. E come il poeta romantico sco-
pri che gli era possibile scrivere in quanto individuo uti-
lizzando delle forme continue, cosi le teorie critiche im-
perniate sulla fondamentale discontinuità della poesia ra-
zionalizzano il modo ironico. La tecnica paradossale della
poesia che è enciclopedica e al tempo stesso discontinua,
la tecnica di.The Waste Lande dei Cantos di Ezra Pound,
è, proprio come il suo esatto contrario esemplificato da
Wordsworth, un'innovazione tecnica che annuncia un
nuovo modo.
I dettagli di questa tecnica si adattano al modulo gene-
rale dell'ironia tematica. Il metodo ironico di dire una
cosa e di intenderne una diversa è incorporato nella dot-
trina di Mallarmé che esclude ogni affermazione diretta.
L'abitudine di escludere l'affermazione e di sovrapporre
soltanto le immagini senza spiegare i loro rapporti riflette
l'intento di evitare la retorica oratoria. Lo stesso accade
con l'eliminazione delle apostrofi e simili espedienti in
quanto contengono delle imitazioni di discorso diretto. È

' L'Erkennung dei Sonetti a Orfeo (Il, xn) di Rilke è un esempio me-
no vago; e serve anche a illustrare il concetto della scoperta tematica o
agnizione (cfr. pp. 72 e 407).
MODI TEMATICI

stato anche dimostrato' un sensibile aumento nell'uso


dell'articolo determinato nel modo ironico, che si ritie-
ne collegato con l'idea implicita di un gruppo iniziatico
che è a conoscenza di un significato vero, nascosto dietro
ad una apparenza ironicamente elusiva.
Il ritorno dell'ironia al mito, già notato nella lettera-
tura di invenzione, è accompagnato da una certa tendenza
dello scrittore ironico a ritornare al linguaggio profetico.
Questa tendenza è spesso accompagnata da teorie cicliche
della storia che contribuiscono a dare una certa razionalità
all'idea di un ritorno, e la cui comparsa rappresenta un fe-
nomeno tipico del modo ironico. Abbiamo Rimbaud ed
il suo « dérèglement de tous les sens » destinato a fare di
lui una reincarnazione di Prometeo che donò il fuoco divi-
no all'uomo ed a rinnovare l'antico rapporto mitico tra il
mondo manico e quello mantice. Abbiamo Rilke e la sua
vita trascorsa completamente ad ascoltare con intensità
una voce oracolare dentro di sé. Abbiamo Nietzsche che
proclama l'avvento di un nuovo potere divino nell'uomo,
affermazione che è resa un po' confusa dall'inclusione di
una teoria dei ritorni identici. Abbiamo Yeats che procla-
ma che il ciclo occidentale è quasi compiuto e che sta per
iniziare un nuovo periodo classico in cui Leda ed il cigno
sostituiranno la colomba e la vergine. Abbiamo Joyce e
la sua teoria vichiana della storia che vede la nostra epoca
come un'apocalisse mancata, seguita immediatamente da
un ritorno al periodo precedente a Tristano.

Una delle conclusioni che possiamo trarre dal panora-


ma che abbiamo tracciato è che molti assunti critici cor-
renti hanno un esile significato storico. Sta prendendo pie-
de ai nostri giorni un provincialismo ironico che ricerca
ovunque, nella letteratura, l'obbiettività completa, la so-
spensione dei giudizi morali, la concentrazione sull'abi-
lità puramente verbale ed altre virtu analoghe. Ma conti-
nua a sopravvivere un provincialismo romantico che ri-
cerca ovunque il genio e l'apparizione di una grande per-
1 Cfr. G. R. HAMILTON, The Te/I-Tale Artide (1949).
CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

sonalità. Anche il modo alto-mimetico ha avuto i suoi pe-


danti, alcuni dei quali continuarono a tentare di applicare
canoni di forma ideale nel XVIII ed anche nel XIX secolo.
L'ipotesi che noi suggeriamo è che nessun complesso di
regole critiche, derivato da un solo modo, possa contene-
re tutta la verità intorno alla poesia.
Si può osservare una tendenza generale a reagire con
forza contro il modo immediatamente precedente e, in mi-
nor misura, a far ricorso ad alcune regole dell'avo moda-
le. Cosi gli umanisti dell'età alto-mimetica nutrivano un
generale disprezzo verso i « fablers and loud lyars » come
Spenser definisce gli autori dei romances medievali. Ma,
come vediamo in Sidney, essi non si stancarono mai di
giustificare la poesia appellandosi all'importanza sociale
della fase mitica originaria. Erano portati a considerarsi
oracoli secolari dell'ordine naturale, che emettevano re-
sponsi in occasioni di pubblico interesse, come poeti-pro-
feti, all'interno di un contesto di leggi sociali e naturali. I
romantici, i poeti tematici del periodo basso-mimetico,
disdegnarono il metodo dei loro predecessori di seguire la
natura, e ritornarono al modo del romance.
Le regole romantiche nella letteratura inglese furono
in gran parte rispettate dai vittoriani, segno questo di
una continuità di modo; la lunga rivolta antiromantica
che iniziò intorno al 1900 (alcuni decenni prima nella let-
teratura francese) rappresentò un cambiamento verso l'i-
ronico. Nel nuovo modo, la predilezione per i clan di ini-
ziati, il senso dell'esoterico, e la nostalgia per la civiltà
aristocratica che ha prodotto fenomeni diversi come la
fede monarchica di Eliot, il fascismo di Pound ed il culto
della cavalleria di Yeats, sono tutti aspetti di un ritorno
verso le regole alto-mimetiche. Il senso del poeta come
cortigiano, della poesia al servizio di un principe, della
suprema importanza del «simposio» o gruppo di élite so-
no alcune delle idee del modo alto-mimetico che si riflet-
tono nella letteratura del xx secolo, in particolare nella
poesia simbolista da Mallarmé a George e Rilke. Le ecce-
zioni a questa tendenza sono spesso meno eccezionali di
quanto sembri a prima vista. La Società Fabiana era, quan-
do Bernard Shaw entrò a farne parte, un gruppo abba-
MODI TEMATICI

stanza esoterico da poter soddisfare lo stesso Yeats: una


volta trasformatosi il socialismo fabiano in movimento
di massa, Shaw ripiegò su posizioni che senza dubbio di-
vennero alla lunga quelle di un monarchico frustrato.
Possiamo inoltre notare che tutti i periodi della cultu-
ra occidentale hanno sempre utilizzato quella parte della
letteratura classica ad essi piu vicina nel modo: versioni
di Omero in chiave di romance nel Medioevo; l'epica vir-
giliana, il simposio platonico e l'amore cortese di Ovidio
nel periodo alto-mimetico; la satira latina in quello bas-
so-mimetico; le opere del periodo piu tardo della latinità
nella fase ironica di A rebours di Huysmans.
Abbiamo constatato, nel nostro esame dei modi della
letteratura di invenzione che il poeta non imita mai la
«vita» nel senso che la vita diventi qualche cosa di piu del
contenuto della sua opera. In ciascuno dei modi, egli im-
pone al suo contenuto lo stesso tipo di forma mitica, pur
adattandolo secondo schemi diversi. Analogamente, nei
modi tematici, il poeta non imita mai il pensiero se non
nel senso che impone una forma letteraria al suo pensiero.
L'incapacità di comprendere ciò genera un errore a cui
possiamo applicare il termine generale di « proiezione esi-
stenziale». Supponiamo che uno scrittore scopra di otte-
nere eccellenti risultati nella tragedia. Le sue opere saran-
no inevitabilmente piene di cupezza e catastrofi e nei suoi
finali i personaggi faranno considerazioni sulla crudeltà
degli eventi, Je vicissitudini della fortuna e l'ineluttabilità
del fato. Questi sentimenti appartengono alla dianoia del-
la tragedia, ma uno scrittore specializzato in tragedie può
benissimo giungere a credere che essi esprimano le verità
piu profonde di tutta la filosofia e fare dichiarazioni ana-
loghe quando viene interrogato sulla sua filosofia della
vita. Cosi, Io scrittore specializzato in commedie e lieti fì.
ni farà parlare i suoi personaggi, nel finale, della bontà
della provvidenza, dei miracoli che si producono quando
uno meno se li aspetta, del sentimento di gratitudine e di
gioia che tutti dovremmo provare per le benedizioni del-
la vita.
È quindi naturale che la tragedia e la commedia proiet-
tino, per cosi dire, le loro ombre sulla filosofia e produca-
86 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

no rispettivamente una filosofia del fato ed una della Prov-


videnza. Thomas Hardv e Bernard Shaw fiorirono entram-
bi intorno al 1900 e ~i interessarono all'evoluzionismo.
Hardy riusci meglio nella tragedia e considerò l'evoluzio-
ne in termini di miglior soluzione stoica, di volontà scho-
penhaueriana immanente, e di attività del «caso» o del-
la «probabilità» che può sacrificare ogni vita individuale.
Shaw, che scrisse commedie, considerò l'evoluzione come
creativa, capace di condurre a politiche rivoluzionarie, al-
l'avvento del Superuomo ed a tutto ciò che è metabiolo-
gico. È evidente, però, che né Hardy né Shaw sono veri
filosofi e che sono destinati a sopravvivere o a scompari-
re solo per i loro risultati poetici, narrativi e drammatici.
Ogni modo letterario, analogamente, sviluppa la pro-
pria proiezione esistenziale. La mitologia si proietta come
teologia: in altre parole un poeta mitopoieico accetta nor-
malmente alcuni miti come «veri» e modella in confor-
mità ad essi la sua struttura poetica. Il romance popola il
mondo di esseri e forze fantastiche e normalmente invisi-
bili: angeli, demoni, fate, fantasmi, animali incantati, spi-
riti degli elementi come quelli di The Tempest e di Ca-
mus. Dante scrisse secondo questo modo, ma non da un
punto di vista speculativo: accettò gli esseri spirituali am-
messi dalla dottrina cristiana e non si occupò degli altri.
Ma per un poeta piu tardo, interessato alle tecniche del
romance - Yeats, per esempio - l'interrogativo se e qua-
li di queste misteriose creature « esistano realmente» è
probabile che si ponga. Il modo alto-mimetico proietta
principalmente una filosofia quasi platonica delle forme
ideali, come l'amore e la bellezza negli inni di Spenser o
le virtu in The Faerie Queene e quello basso-mimetico so-
prattutto una filosofia della genesi e dell'organismo, come
quella di Goethe, che scopre unità e sviluppo in ogni co-
sa. La proiezione esistenziale dell'ironia è, forse, lo stesso
esistenzialismo; ed il ritorno dell'ironia al mito è accom-
pagnato, non solo dalle teorie cicliche della storia prima
ricordate ma, in una fase successiva, da un diffuso inte-
resse per la filosofia sacramentale e la teologia dogmatica.
Eliot distingue tra il poeta che si crea una propria filo-
sofia e quello che ne sceglie una tra quelle a portata di
MODI TEMATICI

mano, ed avanza l'ipotesi che quest'ultima soluzione sia


la migliore, o almeno la piu sicura, per la maggior parte
dei poeti. Si tratta fondamentalmente di una distinzione
fra la pratica dei poeti tematici del modo basso-mimetico
e di quello ironico. Poeti come Blake, Shelley, Goethe e
Victor Hugo furono indotti dalle convenzioni proprie del
loro modo a presentare come frutto di generazione spon-
tanea il lato concettuale della loro opera; i poeti dell'ulti-
mo secolo obbediscono a convenzioni e suggestioni diver-
se. Ma se le vedute qui esposte sulla relazione fra forma e
contenuto in poesia sono esatte, il poeta, quale che sia la
sua scelta, dovrà sempre affrontare gli stessi problemi tec-
nici.

La critica, già con Aristotele, ha sempre dimostrato la


tendenza a considerare la letteratura come essenzialmente
mimetica e suddivisa in una forma« alta», come l'epica e
la tragedia, imperniata su personaggi della classe domi-
nante, ed in una «bassa», come la commedia e la satira,
imperniata su personaggi simili a noi. Il piu ampio schema
esposto in questo capitolo fornirà, almeno si spera, uno
sfondo adeguato sul quale disporre le varie ed apparente-
mente contraddittorie affermazioni di Platone sulla poe-
sia. Il Fedro tratta essenzialmente della poesia come mi-
to, e offre un commento alla concezione platonica del mi-
to; lo Ione, che si incentra sulla figura di un menestrello
o rapsodo, espone la concezione enciclopedica e comme-
morativa della poesia che sono tipici del modo « romanti-
co»; il Simposio, in cui Aristofane è tra gli interlocutori,
adotta i canoni alto-mimetici che sono probabilmente i
piu vicini alla concezione genuinamente platonica. La ce-
lebre discussione alla fine della Repubblica trova quindi
la sua collocazione come polemica contro l'elemento bas-
so-mimetico in poesia; e nel Cratilo ci troviamo di fronte
alle tecniche ironiche dell'ambiguità, dell'associazione ver-
bale, della paronomasia e di tutto quell'apparato in uso
ora nella critica per affrontare la poesia del modo ironi-
co; la quale critica, con un'ulteriore raffinatezza dell'iro-
nia, è definita «nuova» critica.
88 CRITICA STORICA: TEORIA DEI MODI

La differenza che abbiamo sottolineato tra letteratura


di invenzione e letteratura tematica corrisponde a una di-
stinzione fra due modi di considerare la letteratura pre-
senti lungo tutta la storia della critica. Si tratta della con-
cezione estetica e di quella creativa, quella aristotelica e
quella longiniana, la concezione della letteratura come
prodotto e la concezione della letteratura come proces-
so. Per Aristotele la poesia è una techne o prodotto ar-
tificiale estetico: il suo interesse critico è rivolto soprat-
tutto alle forme piu oggettive di invenzione e la sua idea
centrale è quella della catarsi. La catarsi implica il distac-
co dello spettatore dall'opera d'arte stessa e dal suo auto-
re. La frase « distanza estetica» è generalmente accettata
dalla critica, ma è quasi una tautologia: dovunque esiste
una comprensione estetica esiste un distacco emotivo ed
intellettuale. I principi della catarsi in forme diverse dalla
tragedia, come la commedia e la satira, non vennero presi
in considerazione da Aristotele, né lo furono in seguito.
Se della letteratura si considera l'aspetto tematico, le
relazioni esterne fra autore e lettore acquistano maggiore
importanza; e, quando ciò accade, si suscitano o si presup-
pongono (e non si purificano) sentimenti di pietà e di ter-
rore. Nella catarsi, le emozioni sono purificate, perché si
attribuisce ad esse un oggetto; e quando vengono suscita-
te sono come indipendenti e rimangono condizioni ante-
riori della mente. Abbiamo notato che il terrore senza og-
getto, come condizione della mente anteriore allo spaven-
to provocato in essa da qualsiasi cosa, è ora concepita co-
me Angst o ansia, vocabolo di significato piuttosto ristret-
to per un sentimento che va dal piacere del Penseroso al
tormento delle Fleurs du mal. Alla vasta area del pia-
cere appartiene l'idea del sublime in cui austerità, tristez-
za, magnificenza, melanconia o anche minaccia sono fonte
di sentimenti romantici o « penserosi ».
Analogamente abbiamo definito la pietà senza oggetto
come un animismo immaginoso che attribuisce a tutta la
natura caratteri umani e comprende il «bello», termine
che corrisponde tradizionalmente al sublime. Il bello ha
le stesse relazioni con il piccolo che il sublime ha con il
grandioso ed è in stretta relazione con il complesso e lo
MODI TEMATICI

squisito. Le fate del folklore inglese diventano Mustard-


Seed in Shakespeare e Pigwiggen in Drayton e l'animismo
di Yeats è strettamente collegato con il suo senso delle
« molte, ingegnose, amabili cose», ed alla sua immagine
dell'uccello giocattolo in Sailing to Byzantium.
Come la catarsi è l'idea centrale della concezione aristo-
telica della letteratura, l'estasi, o assorbimento, lo è di
quella longiniana. Si tratta di uno stato di identificazione
che coinvolge il lettore, la poesia e, talvolta, almeno ideal-
mente, anche il poeta. Abbiamo detto il lettore perché la
concezione longiniana presuppone una recezione essen-
zialmente tematica o individualizzata: ed è utile soprat-
tutto per la poesia lirica, cosi come quella aristotelica lo è
soprattutto per il teatro. A volte, tuttavia, le normali ca-
tegorie di approccio non sono le piu valide. In Hamlet,
come ha dimostrato Eliot, la quantità di emozione pro-
dotta dall'eroe è troppo grande per i fini della tragedia;
ma certamente la giusta conclusione che si deve trarre da
questa penetrante osservazione è che Hamlet va visto piu
come una tragedia di Angst o di melanconia in se stessa,
che come una semplice imitazione aristotelica di un'azio-
ne. D'altra parte, la mancanza di partecipazione emotiva
in Lycidas è stata considerata da alcuni, fra cui Johnson,
come un limite di quest'opera, ma la verità è che Lycidas,
come Samson Agonistes dovrebbe essere letto in termini
di catarsi, al di fuori di ogni passione.
Secondo saggio
Critica etica: teoria dei simboli
Introduzione

Tra i problemi che sorgono dalla mancanza di un voca-


bolario tecnico della poetica 1, due richiedono particolare
attenzione. Uno, che a mio parere è particolarmente scon-
certante, è la mancanza, già ricordata, di una parola che
serva a indicare un'opera letteraria. Si potrebbe invoca-
re l'autorità di Aristotele e valersi, con questo significato,
del termine «poesia», ma l'uso vuole che si intenda per
poesia un componimento in versi e parlare di Tam ]ones
come di una poesia sarebbe abusare del linguaggio comu-
ne. Ci si può chiedere se le grandi opere in prosa possano
essere definite poesia, dando alla parola un significato piu
ampio, ma la risposta può essere solo questione di gusto
in fatto di definizioni. Il tentativo di introdurre un giu-
dizio di valore nella definizione della poesia (per esem-
pio: « che cosa, infine intendiamo con poesia, cioè qual-
cosa di degno del nome di poesia?») non fa che aumen-
tare la confusione. Cosf, naturalmente, fa l'antico pregiu-
dizio sulla superiorità del verso, da cui è derivato il signi-
ficato di noioso che ha acquistato « prosy » e di pedestre
che attribuiamo a «prosaico». Quanto piu spesso è pos-
sibile, uso la parola poesia e i suoi derivati in sineddoche;

1 Se riesumassimo il linguaggio tecnico della retorica non soltanto a-


vremmo dei termini molto utili, ma in molti casi faremmo rivivere i con-
cetti che sono stati dimenticati insieme ai termini che li definivano. Può
essere vero che, come dice Samuel Butler: « ... ali a rhetoritian's rules I
Teach nothing but to name his tools » [ ... tutte le regole del retore I non
insegnano altro che a dare un nome agli strumenti che usa]; ma se un cri-
tico non è in grado di dare un nome agli strumenti che usa, è probabile
che si dia ben poco valore al suo mestiere. Non affideremmo certamente le
nostre macchine a dei meccanici che parlassero solo di aggeggi e gingilli.
94 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

ma quando la sineddoche potrebbe generare confusione,


il lettore si imbatterà in cacofonie gergali come « struttu-
ra verbale ipotetica» e simili.
L'altro problema riguarda l'uso della parola« simbolo»
che in questo saggio indica qualsiasi unità di qualsiasi
struttura letteraria suscettibile di analisi critica. Un voca-
bolo, una frase, o un'immagine usati con un certo spe-
ciale riferimento a qualche cosa (è in ciò che il simbolo
consiste) sono tutti simboli quando sono elementi distin-
guibili nell'analisi critica. Anche le lettere che uno scrit-
tore usa per formare le parole fanno parte del suo simbo-
lismo inteso in questo senso: possono essere isolate solo
in casi particolari, come quando si vogliono sottolineare
le allitterazioni o nelle grafie dialettali, ma sappiamo pur
sempre che simboleggiano dei suoni. La critica nel suo in-
sieme, stando a questa definizione, avrebbe inizio e in
gran parte consisterebbe nella sistemazione del simboli-
smo letterario. Ne deriva che bisogna far uso di altri vo-
caboli per classificare i differenti tipi di simbolismo.
Devono esserci, infatti, diversi tipi: ben difficilmente la
critica letteraria può essere un'attività semplice o a livello
unico. Con il crescere della familiarità con un capolavoro
della letteratura, si accresce anche la comprensione di es-
so. Inoltre si ha l'impressione del crescere nella compren-
sione dell'opera stessa, ma non nel numero di cose che vi
si possono connettere. Non si può dunque eludere la con-
clusione che un'opera letteraria contenga una varietà o se-
quenza di significati. Tuttavia essa è stata raramente comi-
derata dalla critica sin dal Medioevo, allorché uno schema
preciso di significati letterari, alleg0rici, morali e anagogi-
ci, venne tratto dalla teologia e applicato alla letteratura.
Oggi vi è una forte tendenza a considerare il problema del
significato letterario come sussidiario rispetto ai proble-
mi della logica simbolica e della semantica. Nelle pagine
che seguono io cerco di lavorare quanto piu indipendente-
mente possibile da questi ultimi, partendo dal presuppo-
sto che il luogo migliore per iniziare la ricerca di una teo-
ria del significato letterario è nella letteratura stessa.
Il principio del significato molteplice o polysemos, co-
me lo definisce Dante, non è piu una teoria, e tanto meno
INTRODUZIONE 95
una screditata superstizione, ma un dato di fatto. Ciò che
ha determinato questo dato di fatto è lo sviluppo simul-
taneo di differenti e numerose scuole moderne di critica,
ognuna delle quali ha fatto una particolare scelta di sim-
boli nelle sue analisi. Lo studioso contemporaneo di teorie
critiche si trova di fronte a un esercito di retori, che par-
lano di tessuto e di assalti frontali, a studiosi di storia che
si occupano di tradizioni e fonti, a critici che fanno uso
di materiale tratto dalla psicologia e dall'antropologia, ad
aristotelici, seguaci di Coleridge, tomisti, freudiani, jun-
ghiani, marxisti, studiosi di miti, rituali, archetipi, meta-
fore, ambiguità e forme significanti. Lo studioso, allora,
può ammettere il principio del significato polysemos, o
scegliere uno di questi gruppi e tentare di dimostrare che
tutti gli altri sono meno legittimi. La prima via è quella
dell'indagine filosofica e porta al progresso della cono-
scenza; l'altra, è la via della pedanteria, e offre un'ampia
scelta di mete, le piu appariscenti delle quali sono oggi la
dottrina fantastica, o critica mitica, la dottrina conten-
ziosa o critica storica, la dottrina squisita o «nuova» cri-
tica.
Una volta ammesso il principio del significato polyse-
mos, possiamo fermarci su una posizione esclusivamente
relativistica e pluralistica, o procedere considerando la
possibilità che esista un numero finito di metodi critici va-
lidi e che possano tutti quanti essere racchiusi in una teo-
ria unica. Da ciò non deriva che tutti i significati possano
essere sistemati in ordine gerarchico, come nel caso dello
schema medievale dei quattro livelli, in cui i primi gradi
sono relativamente elementari e la comprensione si affina
e diventa rarefatta progressivamente. Il termine «livello»
è usato qui solo per motivi pratici e non deve essere rite-
nuto indicativo di una mia credenza in una serie di gradi
dell'iniziazione critica. Inoltre bisogna fare un'osserva-
zione pregiudiziale sul concetto di significato polysemos:
il significato di un'opera letteraria fa parte di un comples-
so piu ampio. Nel saggio precedente abbiamo visto che
uno dei tre elementi costitutivi è il significato o dianoia,
mentre gli altri due sono il mythos o narrazione e l'ethos
o caratterizzazione. È meglio tuttavia pensare non a una
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

semplice sequenza di significati, ma a una sequenza di con-


testi o relazioni nelle quali può essere collocata l'intera o-
pera letteraria, mantenendo ogni singolo contesto i propri
mythos, ethos e dianoia o significato che lo caratterizza-
no. Definisco questi contesti o relazioni con il termine
«fasi».
Fase letterale e fase descrittiva:
il simbolo come motivo e come segno

Ogni volta che leggiamo qualcosa, la nostra attenzione


si muove contemporaneamente in due direzioni. La prima
è esterna e centrifuga, e in essa noi andiamo oltre la let-
tura, passando dalle parole singole alle cose che esse si-
gnificano, cioè, in pratica, alla nostra memoria delle asso-
ciazioni convenzionali tra di esse. La seconda è interna o
centripeta, e in essa cerchiamo di sviluppare dalle parole
il senso del piu ampio schema verbale che esse formano.
In entrambi i casi si tratta di simboli, ma quando aggiun-
giamo un significato esterno a una parola abbiamo, oltre
al simbolo verbale, la cosa rappresentata o simbolizzata da
esso. Infatti abbiamo una serie di diverse rappresentazio-
ni: il simbolo verbale «gatto» è un gruppo di segni neri
sulla carta i quali rappresentano una sequenza di rumori
che rappresentano un'immagine o memoria che rappre-
senta un'esperienza sensoriale che rappresenta un anima-
le che dice «miao». I simboli cosl'. intesi possono essere
definiti segni, unità verbali che convenzionalmente e arbi-
trariamente significano e indicano cose che sono al di fuo-
ri del posto in cui i segni stessi si trovano. Quando ten-
tiamo di afferrare il contesto delle parole, tuttavia, la pa-
rola «gatto» è un elemento solo di un piu largo comples-
so di significati. Non è, innanzitutto, simbolo «di» qual-
cosa, poiché sotto questo aspetto non rappresenta ma col-
lega. Non possiamo neppure dire che rappresenti una
parte dell'intenzione dell'autore di metterla in quel pun-
to, poiché l'intenzione dell'autore cessa di esistere come
fattore separato non appena ha terminato la revisione del
suo lavoro. Gli elementi verbali intesi in senso interno o

4
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

centripeto, quali parti di una struttura verbale, sono, co-


me simboli, elementi verbali semplici e letterali, ovvero
unità di una struttura verbale. (La parola «letterali» va
sottolineata). Si potrebbe, mutuando un termine musica-
le, definire ciascun elemento motivo.
Questi due tipi di comprensione si verificano simulta-
neamente in ogni lettura. Non è possibile leggere in un
contesto la parola «gatto» senza che vi sia una certa quale
immagine rappresentativa di questo animale; non è pos-
sibile vedere il semplice segno « gatto» senza chiedersi a
quale contesto esso appartenga. Ma le strutture verbali
possono essere classificate a seconda che la direzione finale
del significato sia esterna o interna. Nella scrittura descrit-
tiva o assertiva la direzione finale è esterna. In questo ca-
so la struttura verbale tende a rappresentare cose a lei
esterne ed è valutata a seconda della maggiore o minore
aderenza con cui le rappresenta. La verità consiste nella
corrispondenza fra fenomeno e segno verbale; la falsità
nella mancanza di essa; la tautologia, struttura puramente
verbale che non può uscire fuori di se stessa, in una inca-
pacità di connessione.
In tutte le strutture verbali letterarie la direzione finale
del significato è interna. Nella letteratura i tipi di signifi-
cato esterno sono secondari perché le opere letterarie non
pretendono di descrivere né di asserire, e non sono quin-
di né vere né false né tautologiche, almeno non nel senso
in cui è tautologica un'espressione come« il bene è meglio
del male». Il significato letterario può forse essere meglio
definito come ipotetico, e un'ipotetica o presunta relazio-
ne con il mondo esterno fa parte di ciò che comunemente
si definisce «immaginativo». Questo termine non deve
essere confuso con «immaginario», che comunemente è
riferito a una struttura verbale assertiva la quale nella
realtà non corrisponde alle affermazioni. In letteratura i
problemi di realtà o verità sono subordinati allo scopo
primario di creare una struttura di parole fine a se stessa,
e il valore segnico dei simboli è subordinato alla loro im-
portanza come struttura di motivi connessi tra di loro.
Ogniqualvolta esiste una struttura verbale autonoma di
questo tipo esiste letteratura. Ogniqualvolta questa strut-
IL SIMBOLO COME MOTIVO E COME SEGNO 99
tura autonoma manca esiste linguaggio, esistono parole
usate in modo strumentale per aiutare la coscienza umana
a fare o a comprendere qualcosa d'altro. La letteratura è
una forma di linguaggio specializzato, come il linguaggio
è una forma specializzata della comunicazione.
La ragione per cui si produce una struttura letteraria è,
a quanto pare, che il significato interno del modulo verba-
le concluso in sé è il campo delle reazioni connesse con il
piacere, la bellezza e l'interesse. La contemplazione di un
modulo a sé stante, di parole o no, è chiaramente la mag-
gior causa del senso del bello e del piacere che lo accom-
pagna. Il fatto che l'interesse sorga molto piu facilmente
da un simile modulo è noto a chiunque faccia uso di paro-
le, dal poeta all'oratore da discorso conviviale, che si al-
lontana da un discorso di tipo assertivo per offrire quella
struttura di interrelazioni verbali non comunicative, note
come scherzo. Accade talvolta che uno scritto, originaria-
mente di tipo descrittivo, come, ad esempio le storie di
Fuller e Gibbon, sopravviva in virtu del suo «stile» o di
moduli verbali interessanti, anche dopo che il suo valore
di rappresentazione di fatti è cessato.
La vecchia regola che la poesia ha come scopi il diletto
e l'educazione suona come una goffa endiadi, in quanto
comunemente non abbiamo la sensazione che una poesia
produca questo effetto su di noi, ma possiamo compren-
derlo quando riferiamo questo precetto a questi due a-
spetti del simbolismo. In letteratura ciò che diverte ha la
priorità su ciò che istruisce, ovvero, il principio della real-
tà è subordinato al principio del piacere. Nelle strutture
verbali assertive la priorità è invertita. Né l'uno né l'al-
tro elemento può, evidentemente, essere eliminato da un
qualsiasi tipo di scrittura.
Uno degli aspetti piu noti e importanti della letteratura
è l'assenza di un rigoroso proposito di accuratezza descrit-
tiva. Ci piacerebbe forse sapere che l'autore di un dramma
storico conosceva alla perfezione i fatti da lui descritti e
che non li avrebbe alterati senza buone ragioni. Ma nes-
suno nega che possano esistere in letteratura queste buo-
ne ragioni. Esse sembrano esistere solo in letteratura: lo
storico seleziona i fatti, ma l'insinuare che li abbia mani-
IOO CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

polati per produrre una struttura piu simmetrica sarebbe


una diffamazione. Alcuni sostengono che diversi altri tipi
di strutture verbali, quali la teologia e la metafisica, sono
centripete nel loro significato finale, quindi sono tautolo-
giche («esclusivamente verbali»). Tutto quello che posso
dire in proposito è che per la critica letteraria la teologia e
la metafisica devono essere considerate come assertive,
perché sono letteratura esterna, e qualsiasi cosa che in-
fluenza la letteratura dall'esterno, crea in essa un movi-
mento centrifugo, non importa se diretto verso la natura
dell'essere assoluto o verso consigli circa la coltivazione
del luppolo. È inoltre evidente che la proporzione tra l'im-
pressione di essere piacevolmente intrattenuti e l'impre~-
sione di essere istruiti, cioè destati alla realtà, possa essere
diversa nei vari tipi di letteratura. Per esempio, il senso
della realtà è molto piu forte nella tragedia che nella com-
media, poiché nella commedia la logica degli avvenimenti
normalmente va incontro all'aspirazione dell'ascoltatore
a un lieto fine.
Il privilegio apparentemente unico di ignorare la real-
tà dei fatti ha dato ai poeti la tradizionale reputazione di
essere dei bugiardi patentati, e spiega perché un cosi gran-
de numero di parole che si riferiscono a strutture lettera-
rie, come «favole», «finzione», «mito» e simili, hanno
un significato secondario di non vero (come, ad esempio,
la parola norvegese digter che significa sia bugiardo sia
poeta). Ma, come fa notare Sir Philip Sidney, «il poeta
non fa mai affermazioni», perciò non può né mentire né
dire la verità. Il poeta, come il matematico puro, fa asse-
gnamento non sulla verità descrittiva, ma sulla conformi-
tà ai suoi postulati ipotetici. L'apparizione del fantasma
in Hamlet presuppone l'ipotesi: « Ammettiamo che ci sia
un fantasma in Hamlet ». Tutto ciò non ha nulla a che ve-
dere con la reale o meno esistenza dei fantasmi né con
un'eventuale credenza di questo genere in Shakespeare o
nei suoi spettatori. Il lettore che trovi a ridire sui postu-
lati o che non apprezzi Hamlet perché personalmente non
crede ai fantasmi né gli risulta che la gente parli in penta-
metri è evidentemente del tutto estraneo alla letteratura.
Non sa distinguere tra fatti reali e finzione, e appartiene
IL SIMBOLO COME MOTIVO E COME SEGNO IOI

a quella categoria di persone che inviano assegni alle sta-


zioni radio per alleviare le sofferenze delle eroine delle
trasmissioni radiofoniche o televisive a carattere senti-
mentale. Faccio notare qui - e la cosa si rivelerà impor-
tante piu tardi - che il postulato concordato, il contratto
accettato dal lettore prima che dia inizio alla lettura equi-
vale a una convenzione.
Le persone che non possono essere portate alla com-
prensione delle convenzioni letterarie sono definite comu-
nemente« literal-minded », ma dal momento che« literal »
è in certo modo connesso con le lettere sembra strano
usare l'espressione « literal-minded » per degli illetterati
dell'immaginazione. Il motivo di questa anomalia è inte-
ressante e ha importanza per la nostra discussione. Per
consuetudine l'espressione« significato letterale» si riferi-
sce a un significato descrittivo libero da ogni ambiguità.
Comunemente diciamo che la parola gatto « significa let-
teralmente» gatto quando è un segno adeguato al gatto,
quando, cioè, è in semplice relazione rappresentativa con
l'animale che fa miao. Questo significato del termine «let-
terale» proviene dal Medioevo e potrebbe essere dovuto
all'origine teologica delle categorie critiche. In teologia il
significato letterale delle Sacre Scritture è di solito il si-
gnificato storico, la sua esattezza come registrazione di
fatti o verità.
Commentando il versetto dei Salmi « Quando Israele
usd dall'Egitto», Dante dice': «considerando soltanto la
lettera, l'esodo degli israeliti verso la Palestina all'epoca
di Mosè è tutto quello che ci viene notificato (significa-
tur no bis)» La parola «notificato» mostra come il signi-
ficato letterale sia, in questo caso, il tipo piu semplice di
significato rappresentativo o descrittivo, quale sarebbe
tuttora per un « letteralista » della Bibbia.
Ma questa concezione del significato letterale come
semplice significato descrittivo è del tutto inadeguata per
la critica letteraria. Un avvenimento storico non può esse-
re letteralmente che un avvenimento storico; una prosa
narrativa che lo descriva non può essere letteralmente che
1 Epistola X (a Can Grande). Cfr. anche Convivio, Il, I.
102 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

una prosa narrativa. Il significato letterale della Comme-


dia di Dante non è storico e, in ogni caso, non è una sem-
plice descrizione di che cosa « è realmente accaduto» a
Dante. Quindi, se una poesia non è letteralmente null'al-
tro che una poesia, allora le basi letterali del significato
possono essere la sua lettera, la struttura intima dei moti-
vi concatenati. Facendo della critica commettiamo un er-
rore quando diciamo: « questa poesia significa letteral-
mente» e facciamo seguire una parafrasi in prosa. Ogni
parafrasi astrae dalla cosa parafrasata un significato secon-
dario o esterno. Comprendere una poesia letteralmente si-
gnifica comprenderla nella sua totalità, come poesia, e co-
me ci si presenta. Tale comprensione inizia con un totale
abbandono della mente e dei sensi all'urto dell'opera come
un tutto unico e procede attraverso lo sforzo di collegare
i simboli in vista di una percezione simultanea dell'unità
strutturale. Questa è una sequenza logica di elementi cri-
tici, cioè l'integritas, la consonantia e la claritas della di-
mostrazione di Stephen nel Portrait di Joyce. Non so che
cosa sia una sequenza psicologica o se vi sia addirittura
una sequenza (ritengo in ogni caso che non ci sarebbe in
una teoria della Gestalt). L'interpretazione letterale nella
critica occupa lo stesso posto dell'osservazione, della di-
retta esposizione del pensiero alla natura nel metodo scien-
tifico. «Ogni poesia deve essere necessariamente un'unità
perfetta», afferma Blake. Il che, detto in questo modo,
non è una constatazione di fatto su ogni poesia esistente,
ma un'ipotesi che tutti i lettori adottano quando tentano
di comprendere anche la piu caotica poesia che sia mai
stata scritta.
Alcuni principi di ricorrenza paiono fondamentali in
ogni opera d'arte e questa ricorrenza è comunemente defi-
nita ritmo se ha luogo nel tempo, e modulo se si articola
nello spazio. Cosi si parla di ritmo in musica e di moduli
in pittura. Ma a un livello leggermente piu raffinato noi
possiamo parlare di moduli della musica e di ritmi della
pittura. Ne deriva che in ogni arte sono presenti tanto l'a-
spetto temporale quanto l'aspetto spaziale, e che entram-
bi possono essere preminenti. La partitura di una sinfo-
nia può essere studiata nel suo insieme come un modulo
IL SIMBOLO COME MOTIVO E COME SEGNO 103

articolato, un quadro come l'impronta di un'intricata dan-


za dell'occhio. Anche le opere letterarie si muovono nel
tempo, come la musica, e si svolgono in immagini come
la pittura. Il termine narrativo, o mythos, esprime il senso
di movimento colto dall'orecchio, mentre il termine signi-
ficato o dianoia, esprime il senso, o quanto meno lo con-
serva, di simultaneità colto dall'occhio. Ascoltiamo una
poesia mentre procede dall'inizio alla fine, ma « scorgia-
mo» di colpo il significato solo quando essa è tutta quanta
presente alla nostra intelligenza. Piu esattamente, questa
reazione non è solo a il tutto della poesia ma a un tutto in
essa: abbiamo una visione del significato, o dianoia, allor-
ché è possibile una percezione simultanea.
Ora, poiché una poesia è letteralmente una poesia, essa
appartiene, nel suo contesto letterale, alla categoria di og-
getti definiti poesie, i quali, a loro volta, fanno parte della
piu ampia categoria detta delle opere d'arte. La poesia da
questo punto di vista presenta un flusso di suoni che si av-
vicinano alla musica da un lato, e un completo disegno di
immagini che si avvicinano alla pittura dall'altro. Lette-
ralmente, quindi, l'elemento narrativo di una poesia è nei
suoi ritmi o movimenti delle parole. Se un drammaturgo
scrive un discorso in prosa, e lo riscrive in versi sciolti,
compie un mutamento ritmico e, di conseguenza, un mu-
tamento nella narrazione letterale. Anche se trasforma
« spunta il giorno» in « il giorno spunta» ha leggermente
alterato la sequenza e, letteralmente, il ritmo e la narra-
zione. Analogamente il significato di una poesia consiste
letteralmente nel suo modulo o integrità come struttura
verbale. Le sue parole non possono essere unite o disgiun-
te dai valori segnici: ogni possibile valore segnico di una
parola è assorbito dalla complessità delle relazioni verbali.
Il significato delle parole pertanto, dal punto di vista
centripeto o del significato interno, è variabile o ambiguo,
per usare un termine che oggi è comune nella critica; ter-
mine che, abbastanza significativamente, è peggiorativo
quando viene riferito a uno scritto assertivo. Pope, nel-
l'Essay on Criticism, usa il termine «wit » con nove diver-
si significati. In uno scritto assertivo un simile tema con
variazioni semantiche non può produrre che una dispe-
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

rante confusione. In poesia, esso indica le serie di signi-


ficati e di contesti che una parola può avere. Il poeta non
identifica una parola con un significato; egli stabilisce le
funzioni e i poteri delle parole. Ma quando consideriamo
i simboli di una poesia come segni verbali, la poesia appa-
re in un contesto completamente diverso, e cosi ciò che
essa narra e ciò che essa significa. Da un punto di vista de-
scrittivo una poesia non è per prima cosa un'opera d'arte,
ma una struttura verbale, o serie di parole rappresentative
da classificare insieme con altre strutture verbali come i
libri sul giardinaggio. In questo senso, narrazione significa
relazione dell'ordine delle parole con eventi che assomi-
gliano agli eventi della «vita» al di fuori; significato, in-
vece, significa relazione del suo modulo con il complesso
delle proporzioni assertive, e l'idea di simbolismo che vi
è contenuta è l'unica che la letteratura ha in comune non
con le arti, ma con le altre strutture di parole.
A questo punto l'astrazione assume una notevole im-
portanza. Quando pensiamo all'elemento narrativo di una
poesia come a una descrizione di eventi non possiamo
piu pensare alla narrazione come a qualcosa che com-
prenda letteralmente ogni parola e ogni lettera. Pensiamo
piuttosto a una sequenza di avvenimenti grezzi, agli ele-
menti evidenti e provenienti dall'esterno nella disposizio-
ne delle parole. Analogamente, noi pensiamo al significa-
to come a un tipo di significato discorsivo che può esse-
re riprodotto da una parafrasi in prosa. Di qui proviene
un'analoga astrazione nella concezione del simbolismo. Su
un piano letterale, in cui i simboli sono motivi, qualsiasi
unità, a cominciare dalle lettere, può essere rilevante per
la comprensione. Ma è possibile trattare criticamente co-
me segni soltanto i simboli rilevanti e notevoli: nomi,
verbi e frasi costituite da termini rilevanti. Le preposi-
zioni e le congiunzioni sono invece semplici connettivi. Un
dizionario, che come prima cosa è una tavola di valori se-
gnici convenzionali, non può dirci nulla intorno a tali pa-
role, a meno che non le comprendiamo già.
Quindi la letteratura, nel suo significato descrittivo, è
un complesso di strutture verbali ipotetiche. Queste ulti-
me sono situate tra le strutture verbali che descrivono o
IL SIMBOLO COME MOTIVO E COME SEGNO ro5
ordinano avvenimenti veri e propri, cioè storie, e quelle
che descrivono o ordinano idee vere e proprie o rappre-
sentano oggetti fisici, come le strutture verbali della filo-
sofia e della scienza. Il rapporto fra il mondo spaziale e il
mondo concettuale non può evidentemente essere qui esa-
minato; ma, dal punto di vista della critica letteraria, la
scrittura descrittiva e la scrittura didattica - la rappresen-
tazione degli oggetti naturali e delle idee - sono sem-
plicemente due diversi aspetti del significato centrifugo.
Possiamo usare il termine «intreccio» o « story » per indi-
care la sequenza di avvenimenti grezzi e i rapporti fra
« story » e « history » appaiono evidenti dall'etimologia.
Ma è assai piu difficile usare «pensiero» o anche « conte-
nuto di pensiero» per indicare l'elemento rappresentati-
vo del modulo, o significato grezzo, poiché «pensiero»
definisce anche ciò che cerchiamo di distinguere da esso.
Questi sono i problemi di un vocabolario di poetica.
La fase letterale e quella descrittiva del simbolismo so-
no presenti, naturalmente, in ogni opera letteraria. Ma
vediamo che ogni fase - e lo vedremo anche con le altre -
ha una relazione particolarmente stretta con un particola-
re tipo di letteratura e, inoltre, con un particolare tipo di
procedimento critico. La letteratura fortemente influen-
zata dall'aspetto descrittivo del simbolismo tende, nella
narrazione, al realismo, e, nel significato, alla didattica e
alla descrittività. Il suo ritmo prevalente è la prosa del
discorso diretto e il suo principale scopo è di dare l'im-
pressione piu chiara ed esatta della realtà esterna possibi-
le in una struttura ipotetica. Nel naturalismo documenta-
rio, generalmente collegato a nomi come quello di Zola e
Dreiser, la letteratura si spinge sino al punto della rappre-
sentazione della vita, cos1 da essere giudicata per la sua
aderenza alla descrizione piuttosto che per la sua integrità
quale struttura di parole, pur rimanendo letteratura. Ol-
tre questo punto, l'elemento ipotetico o inventivo del-
la letteratura si dissolverebbe. I limiti di questo tipo di
espressione letteraria sono evidentemente molto ampi e
pressoché tutto il grande regno della poesia, del teatro e
della prosa narrativa realistici possono esservi compresi.
Ma noi sappiamo che l'età della maggiore fioritura del na-
ro6 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

turalismo documentario, l'Ottocento, fu anche l'età della


poesia romantica la quale, mediante una concentrazione
nel processo di creazione immaginativa, indicava una ten-
sione tra gli elementi ipotetico e assertivo della lettera-
tura.
Questa tensione in ultimo sfociò in quel movimento
definito comunemente simbolismo, termine usato in que-
st'opera in un senso piu ampio, che comprende tutta la
tradizione che, partendo da Rimbaud e Mallarmé, giunge
a Valéry in Francia, a Rilke in Germania e a Pound ed
Eliot in Inghilterra. Nella teoria del simbolismo vi è il
complemento del naturalismo estremo, un'accentuazione
dell'aspetto letterale del significato e un trattamento del-
la letteratura come modulo verbale centripeto in cui gli
elementi di un'affermazione diretta o verificabile sono su-
bordinati all'integrità del modulo stesso. L'idea di poesia
«pura», o struttura verbale evocativa lesa dal significato
assertivo, fu un sottoprodotto minore del movimento. La
grande forza del simbolismo fu di riuscire a isolare l'em-
brione ipotetico della letteratura, per quanto sia stata li-
mitata nella prima fase del movimento, dalla tendenza a
confondere questo isolamento con l'intero processo crea-
tivo. Tutte le sue caratteristiche sono chiaramente basate
su questa idea della poesia come fenomeno connesso con
l'aspetto centripeto del significato. Cosi il raggiungimen-
to di una accettabile teoria del significato letterale nella
critica si basa su uno sviluppo relativamente recente della
lettera tura.
II simbolismo, quello di Mallarmé ad esempio, sostie-
ne che la risposta rappresentativa alla domanda: «questo
che cosa significa? » non deve essere chiesta nella lettura
di poesie, poiché il simbolo poetico significa per prima co-
sa se stesso in relazione con la poesia. L'unità di una poe-
sia, allora, è meglio definita come unità di umori. essen-
do l'umore una fase dell'emozione e l'emozione, comune-
mente parlando, uno stato mentale tendente all'esperien-
za del piacere o alla contemplazione della bellezza. E poi-
ché gli umori non durano a lungo la letteratura è, per il
simbolismo, essenzialmente discontinua, e le poesie di am-
pio respiro sono tenute insieme dall'uso di strutture gram-
IL SIMBOLO COME MOTIVO E COME SEGNO

maticali piu appropriate alla scrittura descrittiva. Le im-


magini poetiche non affermano né indicano nulla, ma ten-
dendo l'una verso l'altra, suggeriscono o evocano l'umore
che informa la poesia. Cioè esse esprimono o articolano
l'umore. L'emozione non è caotica, né inarticolata: sareb-
be restata tale se non si fosse trasformata in poesia, e
quando questo avviene essa è la poesia e non qualcosa che
le sta dietro. Ciononostante i vocaboli che evoca e sug-
gerisce sono appropriati poiché nel simbolismo la parola
non è eco delle cose, ma di altre parole: pertanto la prima
impressione che il simbolismo dà al lettore è quella del-
l'incanto, dell'armonia dei suoni e della crescente ric-
chezza di significati che non sono limitati dalla denota-
zione.
Alcuni filosofi, che ritengono che tutti i significati so-
no descrittivi, sostengono che una poesia, se non è descri-
zione razionale di cose, deve essere descrizione di una e-
mozione. Secondo questa teoria il nocciolo della poesia sa-
rebbe, per usare un'espressione elegante, un cri de cceur,
una reazione diretta di un organismo nervoso a qualcosa
che pare pretendere una risposta emotiva, come quella del
cane che abbaia alla luna. Seguendo questa teoria l'allegro
e il penseroso sarebbero rispettivamente l'elaborazione
di « io sono felice» e « io sono meditabondo». Al contra-
rio, abbiamo visto che il centro vero della poesia consiste
in un modulo verbale sottile ed elusivo che annulla, anzi-
ché produrre cosi perentorie affermazioni. Sappiamo che
nella storia della letteratura gli enigmi, gli oracoli, le for-
mule magiche e i giochi di parole sono piu antichi della
dichiarazione dei sentimenti soggettivi. I critici che so-
stengono che la base dell'espressione poetica è l'ironia,
ovvero un modulo di parole che si discosta dal significa-
to evidente (cioè descrittivo), sono molto piu vicini al-
l'esperienza letteraria, perlomeno al livello letterale. La
struttura letteraria è ironica perché « ciò che dice» è sem-
pre differente per tipo o grado da« ciò che significa». Nel-
la scrittura discorsiva ciò che è detto tende ad approssi-
marsi, teoricamente a identificarsi, con ciò che è signifi-
cato.
La critica, analogamente alla creazione letteraria, ri-
ro8 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

specchia la distinzione fra l'aspetto letterale e quello de-


scrittivo del simbolismo. Il tipo di critica che è in rela-
zione con la ricerca e le riviste erudite considera la poesia
come un documento verbale che deve essere visto in rap-
porto, per quanto è possibile, alla storia e alle idee che
esso riflette. Una poesia è tanto piu apprezzata da questo
tipo di critica quanto piu essa è esplicita e descrittiva e il
suo nocciolo di ipotesi immaginative può facilmente esse-
re enucleato. (Si badi che sto parlando di un certo tipo di
critica e non di un certo tipo di critici). Quella che viene
oggi chiamata « nuova critica» 1, d'altra parte, è una for-
ma di critica ampiamente basata sull'idea che una poesia
letteralmente è una poesia. Essa studia il simbolismo di
una poesia come una struttura ambigua di motivi connes-
si tra di loro; considera il modulo poetico del significato
come un «tessuto» chiuso in se stesso e pensa che le rela-
zioni esterne di una poesia, come accade per le altre arti,
debbano essere affrontate esclusivamente con il precetto
oraziano del fave te linguis e non storicamente o didattica-
mente. La parola tessuto, alludendo a una complicata su-
perficie, è adattissima a indicare questa impostazione.
Queste due forme di critica spesso sono considerate anti-
tetiche, come lo erano nel secolo scorso i due gruppi cor-
rispondenti di scrittori. Esse sono ovviamente comple-
mentari e non antitetiche, ma è importante afferrare anche
la differenza di accentuazione fra di loro prima di tentare
di risolvere le antitesi in una terza fase di simbolismo.
1 La nostra spiegazione del significato letterale si rifà in particolare ai
critici I. A. Richards, Richard Blackmur, \X,'illiam Empson (ambiguità),
Cleanth Brooks (ironia letterale), e John Crowe Ransom ( tessuto).
Fase formale: il simbolo come immagine

Abbiamo dato un nuovo senso all'espressione « signifi-


cato letterale» per la critica letteraria e abbiamo anche as-
segnato alla letteratura, come uno dei suoi aspetti subor-
dinati di significato, l'ordinario significato descrittivo che
le opere letterarie condividono con tutte le altre struttu-
re di parole. Ma non pare sufficiente concludere con que-
sta problematica antitesi tra piacere e istruzione, fuga iro-
nica dalla realtà e connessione esplicita con essa. Certa-
mente, si dirà, abbiamo trascurato l'unità essenziale nelle
opere letterarie espressa dal termine piu comune nella cri-
tica: la parola forma'. Infatti le comuni associazioni della
parola «forma» paiono riunire questi aspetti apparente-
mente contraddittori. Da un lato, forma indica ciò che ab-
biamo definito significato letterale o unità di struttura;
dall'altro, implica taluni termini complementari, come
contenuto e argomento, che esprimono ciò che essa condi-
vide con la natura esterna. La poesia non è naturale nella
forma, ma è naturalmente in relazione con la natura e,
per citare nuovamente Sidney: « crea veramente una se-
conda natura».
Giungiamo cosf a una concezione piu unitaria della nar-
razione e del significato. Aristotele parla di mimesis pra-
xeos, di un'imitazione dell'azione, e pare che identifichi
mimesis praxeos e mythos. Il brevissimo accenno di Ari-
stotele necessita di una spiegazione. L'azione umana (pra-
xis) è per prima cosa imitata dalle storie, o strutture ver-
' Per la teoria della fase formale, ho attinto ampiamente all'opera di
R. s.
CRANE,J'he Languages o/ Criticism and the Structure of Poetry (1953)
e a Critics and Criticism (1952) da lui curato.
IIO CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

bali che descrivono azioni specifiche e particolari. Il my-


thos è un'imitazione secondaria di un'azione, il che signi-
fica che esso non è a doppia distanza dalla realtà, ma che,
essendo piu filosofico della storia, descrive azioni tipiche.
Il pensiero umano (theoria) è prima di tutto imitato dalla
scrittura discorsiva che fa affermazioni specifiche e parti-
colari. La dianoia è un'imitazione secondaria dei pensie-
ri, una mimesis logou, riferita a pensieri tipici, immagini,
metafore, diagrammi e ambiguità verbali dai quali si svi-
luppano le idee. La poesia è cosi piu storica della filosofi.a,
piu coinvolta in immagini ed esempi. Perché è evidente
che tutte le strutture verbali con significato sono imitazio-
ni verbali di quell'elusivo processo psicologico e fisiologi-
co noto come pensiero; processo che incespica tra grovigli
emotivi, improvvise convinzioni irrazionali, barlumi invo-
lontari di intuito, pregiudizi razionalizzati, crisi di pani-
co e di inerzia, per giungere, alla fine, a un'intuizione
assolutamente incomunicabile. Chiunque crede che la filo-
sofia sia non un'imitazione verbale di questo processo, ma
il processo stesso, non ha evidentemente pensato troppo.
La forma di una composizione poetica, ciò a cui ogni
particolare in essa si riferisce, è identica, esaminata sia in
quiete sia in movimento lungo tutta l'opera dall'inizio al-
la fine, allo stesso modo che una composizione musicale ha
la stessa forma sia che studiamo la partitura sia che ascol-
tiamo l'esecuzione. Il mythos è la dianoia in movimen-
to; la dianoia è il mythos in stasi. Uno dei motivi per cui
noi siamo portati a pensare al simbolismo letterario esclu-
sivamente in termini di significato, è che non possediamo
una parola la quale indichi il complesso delle immagini in
movimento in un'opera letteraria. Il termine forma ha
comunemente due termini complementari: argomento e
contenuto, e vi è forse una certa qual differenza se noi ci
riferiamo alla forma come a un principio di conformazio-
ne o come a un principio di contenimento. Come princi-
pio di conformazione può essere concepita come narrazio-
ne che organizza temporalmente ciò che Milton, in un'e-
tà di maggiore esattezza terminologica, definiva « l'argo-
mento» della sua poesia. Come principio di contenimento
IL SIMBOLO COME IMMAGINE III

può essere concepita come significato che tiene unita la


poesia in una struttura simultanea.
Le norme letterarie comunemente chiamate « classi-
che» o «neoclassiche» che prevalsero nell'Europa Occi-
dentale tra il XVI e il XVIII secolo, erano strettamente affi-
ni a questa fase formale. Ordine e chiarezza erano parti-
colarmente apprezzati: l'ordine, in conseguenza dell'im-
portanza attribuita al raggiungimento di una forma cen-
trale, e la chiarezza, a causa della sensazione che questa
forma non deve dissolversi o scomparire nell'ambiguità,
ma deve continuare a mantenere una relazione continua
con la natura che è il suo specifico contenuto. È l'atteg-
giamento caratteristico dell' «umanesimo» in senso stori-
co, atteggiamento definito da un lato dalla devozione alla
retorica e all'artigianato verbale, dall'altro da un forte at-
taccamento alle questioni storiche ed etiche.
Gli scrittori rappresentativi della fase formale - ad
esempio, Ben Jonson- sono positivamente in contatto con
la realtà e seguono la natura, tuttavia l'effetto che essi
producono è notevolmente diverso dal realismo descritti-
vo del XIX secolo, consistendo questa differenza in modo
determinante nella concezione dell'imitazione che vi è im-
plicata. Nell'imitazione formale - la mimesi aristotelica -
l'opera d'arte non riflette gli eventi e le idee esterne, ma
si colloca tra l'esempio e il precetto. Gli eventi e le idee
sono aspetti del suo contenuto e non campi esterni di os-
servazione. Le opere di immaginazione d'argomento sto-
rico non sono destinate a penetrare un periodo storico,
ma sono esemplari: illustrano azioni, e sono ideali in
quanto manifestano la forma universale dell'azione uma-
na. (Per i capricci della lingua l'aggettivo «esemplare» si
riferisce sia all'esempio sia al precetto). Shakespeare e
Jonson erano particolarmente interessati alla storia, tut-
tavia le loro opere paiono al di fuori del tempo; Jane Au-
sten non scrisse racconti storici, tuttavia, poiché essa rap-
presenta un metodo piu tardo e piu esteriorizzato di se-
guire la natura, la sua raffigurazione della società della
Reggenza ha un particolare valore storico.
Una poesia, secondo Amleto (che, pur parlando di reci-
tazione, segue i canoni della poetica rinascimentale), ten-
II2 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

de uno specchio alla natura. Dobbiamo però chiarire ciò


che questo implica: la poesia non è essa stessa lo specchio.
Essa non riproduce solo un'ombra della natura: obbliga
la natura a riflettersi nella sua forma contenente. Quando
il critico formale si occupa dei simboli, le unità che egli
isola sono quelle che mostrano analogia di proporzioni
tra la poesia e la natura che è imitata. Il simbolo sotto
questo aspetto potrebbe meglio essere definito l'immagi-
ne. Siamo abituati ad associare il termine« natura» in pri-
mo luogo con il mondo fisico esterno e siamo quindi por-
tati a pensare al simbolo in primo luogo come a una repli-
ca dell'oggetto naturale. Ma, naturalmente, entrambe le
parole sono molto piu comprensive: la natura comprende
sia l'ordine concettuale o intellegibile sia quello spazia-
le, e ciò che si definisce «idea» può anche essere un'im-
. magine poetica.
• Difficilmente si potrebbe trovare un principio critico
piu elementare della constatazione che gli avvenimenti di
una finzione letteraria non sono reali, ma ipotetici. Per
vari motivi non si è mai compreso chiaramente che le idee
della letteratura non sono proposizioni reali, ma formule
verbali che imitano le proposizioni reali. L'Essay on Man
non espone un sistema di ottimismo metafisico basato sul-
la catena dell'essere: fa uso di un tale sistema come mo-
dello per costruire una serie di affermazioni ipotetiche che
sono piu o meno inutili come proposizioni, ma estrema-
mente ricche e suggestive quando sono lette nel proprio
contesto come epigrammi. Come epigrammi, come strut-
ture verbali solide, centripete e risonanti possono essere
riferiti a milioni di situazioni umane che nulla hanno a
che vedere con l'ottimismo metafisico. Il panteismo di
Wordsworth, il tomismo di Dante, l'epicureismo di Lu-
crezio, devono essere considerati in modo analogo, e cosf
Gibbon o Macauly o Hume quando sono letti per lo stile
e non per il contenuto.
La critica formale inizia con l'esame dell'imagery 1 del-
la poesia al fine di scoprire il modulo distintivo. Le imma-
gini ricorrenti, o piu spesso ripetute, dànno, per cosi dire,
1 [Complesso di immagini].
IL SIMBOLO COME IMMAGINE II3
la tonalità, e le immagini modulanti, isolate ed episodi-
che vanno viste in rapporto a essa, nell'ambito di una
struttura gerarchica che è l'analogia critica della forma
della poesia stessa. Ogni poesia ha il suo particolare na-
stro spettroscopico di immagini dovuto alle necessità del
genere cui appartiene, alle predilezioni dell'autore e ad
infiniti altri fattori. Nel Macbeth, per esempio, le imma-
gini del sangue e dell'insonnia hanno importanza temati-
ca, come è naturale in una tragedia di uccisione e di ri-
morso. Nel verso: « Facendo del verde un rosso», i colori
sono di intensità tematica diversa. Il verde è usato casual-
mente e per contrasto: il rosso, essendo piu aderente alla
chiave dell'opera nel complesso, è assai simile alla ripeti-
zione dell'accordo di tonica in musica. Il contrario sareb-
be vero nel contrasto tra rosso e verde in The Garden di
Marwell.
La forma di una poesia non muta, sia che la si esamini
come narrazione, sia come significato; perciò la struttura
dell'imagery del Macbeth può essere esaminata sia come
modulo derivato dal testo, sia come ritmo di ripetizione
che giunge alle orecchie di un uditorio. Si ha la vaga sen-
sazione che l'ultimo sistema produca un risultato piu sem-
plice e possa essere talvolta usato come antidoto di buon
senso alle sottigliezze eccessive dello studio testuale. Può
servire un'altra analogia con la musica. Il pubblico medio
di un concerto sinfonico sa ben poco della forma della so-
nata e non riesce ad afferrare praticamente tutte le sotti-
gliezze che si possono scoprire esaminando una partitu-
ra; queste sottigliezze esistono realmente, ma il pubblico,
pur udendo tutto ciò che viene eseguito, lo considera
esclusivamente parte di un'esperienza lineare; le sue sen-
sazioni sono meno coscienti, ma non meno reali. Lo stesso
accade di fronte al complesso di immagini di un lavoro
teatrale di forte concentrazione poetica.
L'analisi delle immagini ricorrenti è, naturalmente, una
delle tecniche fondamentali della critica retorica o « nuo-
va» critica; la differenza è che la critica formale, connet-
tendo il complesso delle immagini alla forma centrale del-
la poesia, traduce un aspetto della forma in proposizioni
discorsive. In altre parole, la critica formale è un com-
II4 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

mento; e un commento è quel particolare processo per


cui si traduce in linguaggio discorsivo o esplicito ciò che
è implicito nella poesia. Un buon commento, naturalmen-
te, non legge idee in una poesia: legge e traduce solo ciò
che vi è, e la materia che vi è contenuta è offerta dallo stu-
dio della struttura del complesso di immagini con le quali
inizia. Il senso della misura, o l'opportunità di non spin-
gere le interpretazioni « troppo oltre», deriva dal fatto
che dovrebbe esserci una certa qual analogia tra ciò che si
fa risaltare nella critica e ciò che si fa risaltare nell'opera
poetica.
Il non aver fatto la distinzione pio elementare nella let-
teratura, quella, cioè, fra finzione e fatto, ipotesi e asser-
zione, scrittura immaginativa e scrittura discorsiva, ha da-
to luogo a ciò che nel linguaggio critico è stato chiamato
« errore intenzionale» 1 , cioè dall'idea che il poeta abbia
l'intenzione fondamentale di far giungere al lettore dei si-
gnificati e che è dovere principale del critico cogliere que-
sta intenzione. La parola intenzione è analogica: essa im-
plica una relazione fra due cose che sono normalmente
una concezione e un atto. Alcuni dei termini riferiti dimo-
strano in modo ancora piu evidente questa dualità: « mi-
rare a» qualcosa implica un allineamento del proiettile e
del bersaglio. Quindi tali termini appartengono propria-
mente e soltanto al tipo di scrittura discorsiva, nella qua-
le la corrispondenza di un modulo verbale con ciò che esso
descrive è di primaria importanza. Ma ciò che riguarda
soprattutto il poeta è la creazione di un'opera d'arte, e,
di conseguenza, la sua intenzione non può esprimersi se
non mediante una qualche specie di tautologia.
In altre parole, l'intenzione del poeta è centripeta. È
diretta a mettere insieme delle parole, non ad allineare le
parole ai significati. Se avessimo il privilegio di Gulliver a
Glubbdubdrib di evocare il fantasma di Shakespeare per
chiedergli che cosa abbia mai inteso dire in questo o quel
passo della sua opera otterremmo come tutta risposta, con
irritante iterazione: « l'ho immaginato come parte del la-

1 Cfr. w. K. WIMSATT JR e MONROE nEARDSLEY, The Verbal Icon (1954),


cap. r. Ho preso da questo stesso Jihro, p. 238, la parola« holism » (p. 440).
IL SIMBOLO COME IMMAGINE II5
voto drammatico». Si può individuare l'intenzione cen-
tripeta come il genere, in quanto il poeta intende produr-
re non soltanto una poesia qualunque, ma un determinato
tipo di poesia. Leggendo, ad esempio, Zuleika Dobson
come descrizione della vita di Oxford, dovremmo avere
l'accortezza di tener presente l'intenzione ironica. Si deve
assumere, come assioma euristico essenziale, che l'opera
non appena terminata costituisce la registrazione definiti-
va delle intenzioni dello scrittore. Per molti degli errori
che un critico inesperto pensa di scoprire è sufficiente la
risposta: « Vuole essere cosf ». Tutte le altre affermazioni
di intenzione, per quanto pienamente documentate, sono
sospette. Il poeta può mutare idee e umori; può avere in-
teso una cosa e realizzata un'altra, quindi razionalizzato
ciò che ha fatto. (Una vignetta sul «New Yorker» di al-
cuni anni fa puntualizza perfettamente il problema: uno
scultore sta osservando la statua che ha appena terminato
di scolpire e dice a un amico: « Sf, la testa è troppo gran-
de. Quando la esporrò la intitolerò Donna con la testa
grossa»). Se ci si ostina a pensare che l'intenzione debba
essere manifesta nella poesia, l'opera stessa risulta incom-
pleta, come il compito di una matricola che costringe l'in-
segnante a chiedersi che cosa l'autore intendesse realmen-
te dire. Se l'autore è morto da secoli, questo pensare non
può portarci molto lontano, per quanto possa sembrare
importantissimo.
Ciò che il poeta intendeva è, dunque, letteralmente, la
poesia stessa; ciò che intendeva dire in ogni singolo passo
è, nel suo significato letterale, parte della poesia. Ma il
significato letterale, come abbiamo visto, è variabile e
ambiguo. Il lettore può essere insoddisfatto della risposta
del fantasma di Shakespeare: può avere l'impressione che
Shakespeare, diversamente da Mallarmé, sia un poeta di
cui ci si può fidare e che inoltre intenda il passo come in-
telligibile in se stesso (cioè dotato di un significato de-
scrit_tivo o parafrasabile). Senza dubbio lo intese come ta-
le, ma la relazione del passo con il resto del lavoro dram-
matico crea in esso un numero infinito di nuovi significa-
ti. Come uno schizzo vivace di un gatto, fatto da un buon
disegnatore, può contenere in poche linee incisive tutta
II6 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

l'esperienza che abbiamo relativamente a questi felini,


quel particolare modulo di parole robustamente costruito,
a noi noto come Hamlet, può contenere un tal numero di
significati da non poter essere esauriti da un'intera, vasta
e sempre crescente biblioteca critica sulla tragedia. I com-
menti che rendono esplicito ciò che è implicito possono
solo isolare quell'aspetto del significato, vasto o limitato
che sia, che per certi lettori è appropriato o interessante
afferrare in un determinato momento. Si tratta di un'ope-
razione con la quale il poeta ha ben poco a che fare. La re-
lazione quantitativa fra il commento e il libro sacro, ad
esempio la Bibbia e gli Inni vedici, colpisce ancora di piu,
e indica che quando una struttura poetica raggiunge un
certo grado di concentrazione o di diffusione sociale, il
complesso di commenti che può sopportare è infinito.
Questo fatto non è in se stesso piu incredibile del fatto
che uno scienziato stabilisca una legge naturale dimostra-
bile con piu fenomeni di quanti egli possa mai osservare
o computare; e non è il caso di meravigliarsi, come i vil-
lani di Goldsmith, che una minuscola testa di poeta pos-
sa abbracciare tutto lo spirito, la saggezza, l'erudizione
e il significato che Shakespeare e Dante hanno dato al
mondo.
Eppure, in arte esiste qualcosa di realmente misterioso
e sorprendente. Nel Sartor resartus, Carlyle, distingue i
simboli estrinseci, quali la croce o la bandiera nazionale,
che sono privi di valore di per se stessi, ma che sono tut-
tavia segni o indicatori di qualcosa di esistente, dai sim-
boli intrinseci fra i quali figurano le opere d'arte. Parten-
do da questa base possiamo distinguere due tipi di miste-
ro. (Un terzo tipo, il mistero che è indovinello, problema
da risolvere e da annullare, appartiene al pensiero discor-
sivo e non ha nulla a che vedere con le arti, tranne che per
questioni di tecnica). Il mistero del non conosciuto o del-
l'essenza non conoscibile è un mistero estrinseco che è
attinente all'arte solo quando questa è illustrativa di qual-
che cosa d'altro, come, ad esempio, l'arte religiosa per chi
si preoccupa soprattutto del culto. Ma il mistero intrinse-
co è quello che rimane mistero in se stesso per quanto
pienamente possa essere conosciuto, e non è quindi un
IL SIMBOLO COME IMMAGINE

mistero separato da ciò che è conosciuto. Il mistero nella


grandezza di King Lear o di Macbeth non proviene dal-
l'essere nascosto ma dall'essere rivelato, non da qualcosa
di ignoto o di inconoscibile nell'opera, ma da qualcosa di
illimitato in essa.
Si potrebbe anche dire che la poesia è prodotta non so-
lo da un atto deliberato e volontario di coscienza, come
la scrittura discorsiva, ma anche da processi che sono sub-
consci o preconsci o inconsci o semiconsci a seconda della
metafora psicologica che si usa. Occorre molta forza di
volontà per scrivere poesie, ma parte di essa deve essere
impiegata per rilasciare la volontà, rendendo cosi involon-
taria una buona parte di ciò che si scrive. Questo è veris-
simo, ed è altrettanto vero che la tecnica poetica, come
ogni altra tecnica, è un'abilità dovuta all'abitudine, perciò
suscettibile di crescere inconsciamente. Ma ho la convin-
zione che i fatti letterari alla lunga siano spiegabili solo
dalla critica, e sono riluttante a chiarirli per mezzo di cli-
chés psicologici. Tuttavia non sembra possibile evitare il
termine «creativo» con tutte le analogie biologiche che
esso suggerisce, quando si parla delle arti. E la creazione,
quella di Dio, dell'uomo, della natura, paiono essere atti-
vità il cui solo intento è di abolire l'intento, di eliminare
la dipendenza finale da qualcosa di diverso e la sua rela-
zione con esso, di distruggere l'ombra che si trova tra
essa e la sua concezione.
Sarebbe desiderabile che la critica letteraria avesse
un Samuel Butler per formulare qualcuno dei paradossi
impliciti in questo paragone fra l'opera d'arte e l'organi-
smo. Possiamo descrivere obbiettivamente che cosa acca-
de quando un tulipano fiorisce in primavera e un crisan-
temo in autunno, ma non possiamo descriverlo dall'inter-
no della pianta, se non per metafore derivate dalla co-
scienza umana e riferite a qualche agente quale Dio, la
natura, l'ambiente, l'élan vita!, la pianta stessa. È metafo-
ra dire che la pianta «sa» quando è tempo per lei di fio-
rire, e dire che « la natura sa» è semplicemente introdurre
il culto delle dee madri in biologia. Comprensibilmente i
biologi troverebbero tali metafore teleologiche non neces-
sarie e atte a ingenerare confusione nelle loro discipline:
II8 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

le giudicherebbero frutto di un errore di concretezza ma-


le apposta. Lo stesso può dirsi della critica nella misura in
cui essa deve trattare con dati imponderabili, diversi dal-
la consapevolezza o dalla volontà logicamente diretta. Se
un critico afferma che un altro critico ha scoperto in un
poeta una gran quantità di sottili significati di cui questo
poeta probabilmente non si è affatto reso conto, la frase
indica l'analogia biologica. Probabilmente, un fiocco di
neve non si rende affatto conto di costituire un cristallo,
ma val la pena di studiare il suo comportamento anche se
non ci vogliamo occupare dei suoi processi mentali inte-
riori.

Spesso non ci si rende conto che ogni commento è


un'interpretazione allegorica, un collegare idee alla strut-
tura immaginativa poetica. Nel momento in cui un critico
fa un commento genuino su una composizione poetica (ad
esempio: « In Hamlet, Shakespeare sembra descrivere la
tragedia della irresolutezza») egli ha iniziato a fare alle-
gorie. I commenti cosi guardano alla letteratura, nella sua
fase formale, come a una potenziale allegoria di eventi e
di idee. La relazione dei commenti con la poesia stessa è
all'origine del contrasto di cui hanno parlato parecchi cri-
tici dell'età romantica tra «simbolismo» e «allegoria»,
dando qui alla parola simbolismo il significato di imma-
gine tematicamente significante. Il contrasto è tra un ap-
proccio «concreto» ai simboli, che inizia con immagini
di realtà effettive e procede verso l'esterno, verso idee e
proposizioni, e un approccio «astratto», che parte dall'i-
dea, quindi tende a trovare l'immagine concreta per rap-
presentarla. La distinzione è sufficiente in se stessa, ma
ha depositato un'ampia morena terminale di confusione
nella critica moderna, soprattutto perché il termine alle-
goria è poco rigorosamente usato per una grande varietà
di fenomeni letterari.
Abbiamo un'allegoria in atto quando un poeta indica
esplicitamente le relazioni delle sue immagini con gli
esempi e le regole, e cosi cerca di indicare come dovrebbe
procedere un commento alla sua opera. Uno scrittore è
IL SIMBOLO COME IMMAGINE II9
allegorico ogniqualvolta dice con chiarezza: « con questo
io intendo anche (allos) quello». Se ciò viene fatto con
continuità possiamo dire, con cautela, che tale scritto« è»
un'allegoria. In The Faerie Queene, per esempio, la nar-
razione si riferisce sistematicamente a esempi storici e il
significato a precetti morali, oltre a svolgere il loro pro-
prio compito nel poema. L'allegoria, dunque, è una tecni-
ca contrappuntistica simile all'imitazione canonica in mu-
sica. Dante, Spenser, Tasso, Bunyan, fanno uso della me-
tafora per tutta la loro opera; le loro opere sono le messe
e gli oratori della letteratura. Ariosto, Goethe, Ibsen,
Hawthorne scrivono in stile freistimmige, nel quale a pia-
cimento si può togliere o rimettere l'allegoria. Ma anche
l'allegoria continua è una struttura di immagini e non di
idee travestite, e il commento deve procedere con essa
non diversamente che con ogni altra letteratura, cercan-
do di scoprire quali precetti ed esempi sono suggeriti dal-
la imagery considerata come un tutto.
Il critico che commenta ha spesso dei pregiudizi con-
tro l'allegoria senza conoscerne la vera ragione, che consi-
ste nel fatto che l'allegoria continua prescrive la direzio-
ne del suo commento restringendone cosf la libertà. Cosf
spesso ci si invita a leggere Spenser o Bunyan, ad esem-
pio, solo per il racconto e trascurando l'allegoria, perché
il critico ritiene che il suo tipo di commento sia piu inte-
ressante. Oppure, egli darà una definizione dell'allegoria
che escluda le poesie che ama. Un tale critico è spesso por-
tato a trattare ogni allegoria come se fosse un'allegoria in-
genua, ovvero una trasposizione di idee in immagini.
L'allegoria ingenua è una forma travestita della scrit-
tura discorsiva e appartiene principalmente alla letteratu-
re educativa a livello elementare; moralità scolastica,
esempi di devozione, manifestazioni locali e simili. La sua
base sono le idee abituali o consuete incoraggiate dall'e-
ducazione e dal rito, e la sua forma normale è quella dello
spettacolo effimero. Sotto l'eccitazione di una particolare
occasione certe idee familiari divengono improvvisamen-
te esperienze sensibili e con l'occasione si dissolvono. La
sconfitta della Sedizione e della Discordia da parte del
Buon Governo e dell'Incoraggiamento del Commercio è
!20 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

il tema giusto per una parata destinata solo a intrattenere


per una mezz'ora un monarca in visita. L'apparato dei
« mezzi di comunicazione di massa » dei « sussidi audio-
visivi» giocano nell'istruzione contemporanea un ruolo
allegorico simile. A causa di questa base nello spettacolo,
l'allegoria ingenua ha il suo centro di gravità nelle arti
pittoriche e ha un maggior successo come arte quando la
si riconosce come una forma di spirito occasionale, quale
essa è, ad esempio, nelle vignette politiche. Le piu solen-
ni e permanenti allegorie ingenue delle decorazioni e del-
la statuaria ufficiale dimostrano una netta tendenza a pas-
sare di moda.
A un estremo del commento, dunque, c'è l'allegoria in-
genua, cosf impaziente di raggiungere il proprio scopo al-
legorico da non avere un reale centro ipotetico o lettera-
rio. Quando dico che l'allegoria ingenua« passa di moda»,
intendo che ogni allegoria che esclude un'analisi anche
superficiale della sua imagery - cioè un'allegoria che è
semplicemente una scrittura discorsiva, accompagnata da
un'immagine illustrativa o due - deve essere trattata non
tanto come letteratura quanto come documento nella sto-
ria delle idee. Quando l'autore del II Libro di Esdra in-
troduce la figura allegorica di un'aquila e dice « Guarda,
là sulla destra si è levato un uccello, che ha regnato su tut-
ta la terra», è chiaro che egli non è sufficientemente inte-
ressato alla sua aquila come immagine poetica da rimane-
re nei normali limiti dell'espressione letteraria. La base
dell'espressione poetica ·è la metafora, e la base dell'alle-
goria ingenua è la metafora mista.
All'mterno della letteratura troviamo una scala mobi-
le che va dall'allegorico piu esplicito da un lato, coeren-
te con la sua natura di letteratura, al piu elusivo, anti-
espliciro e antiallegorico, dall'altro. Per prime troviamo
le allegorie continue, come The Pilgrim's Progress e The
Faerie Queene, quindi le allegorie di stile libero prima
menzionate. Poi vengono le strutture poetiche che hanno
un vasto e preminente interesse dottrinale, nelle quali le
invenzioni interne sono exempla, come i poemi epici di
Milton. Inoltre, vi è al centro una serie di opere nelle qua-
li la struttura dell'immagine, pur suggerendo varie cose,
IL SIMBOLO COME IMMAGINE I2I

ha un rapporto soltanto implicito con gli avvenimenti e


le idee, ed è questo il caso di buona parte del teatro di
Shakespeare. Al di sotto di ciò si verifica il fatto che l'im-
maginazione poetica comincia ad abbandonare precetti
ed esempi divenendo progressivamente ironica e para-
dossale. A questo punto la moderna critica incomincia a
sentirsi piu a suo agio, e la ragione è che questo tipo di
immaginazione è in piu stretta relazione con la moderna,
letterale visione dell'arte, e del senso della poesia come
qualcosa di diverso dal linguaggio assertivo.
Molti tipi di questa imagery ironica e antiallegorica so-
no familiari. Uno è il simbolo tipico della scuola metafisi-
ca del periodo barocco, il «concettismo», ovvero, unio-
ne deliberatamente forzata di cose normalmente dispara-
te. Le tecniche paradossali della poesia metafisica sono
basate sul senso della rottura della relazione interna fra
arte e natura, che diviene esterna. Un'altra è l'immagine
sostitutiva del simbolismo, mezzo di una tecnica volta a
suggerire o evocare le cose evitando di nominarle esplici-
tamente. Un'altra ancora è il tipo di immagine descritta
da Eliot come un correlativo oggettivo, l'immagine che
fissa un punto focale emotivo interno alla poesia e che
nello stesso tempo sostituisce se stessa all'idea. Un altro
ancora, strettamente connesso se non identico al correla-
tivo oggettivo, è il simbolo araldico, l'immagine emble-
matica centrale che per prima si presenta alla mente quan-
do pensiamo alla parola «simbolo» nella letteratura mo-
derna. Pensiamo, per esempio, alla lettera scarlatta di
Hawthorne, alla balena bianca di Melville, alla coppa d'o-
ro di James o al faro della Woolf. Una tale immagine dif-
ferisce dall'immagine dell'allegoria formale in quanto non
vi è una relazione continua tra arte e natura. In contrasto
con i simboli allegorici di Spenser, ad esempio, l'immagi-
ne emblematica araldica è in relazione paradossale e iro-
nica sia con la narrazione che con il significato, Come uni-
tà di significato essa sospende la narrazione, come unità
di narrazione rende ambiguo il significato. Unisce le qua-
lità del simbolo intrinseco di Carlyle, che ha significato di
per sé, al simbolo estrinseco che enigmaticamente sugge-
risce qualcosa d'altro. È una tecnica di simbolismo che si
122 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

basa su un forte senso dell'antagonismo nascosto tra l'a-


spetto letterale e quello descrittivo dei simboli: lo stesso
antagonismo che fece di Mallarmé e Zola i due punti
estremi della letteratura del XIX secolo.
Facendo un altro passo, ci troviamo di fronte a tecni-
che ancora piu indirette, come associazioni personali, il
simbolismo che si prefigge di non essere completamente
inteso, la mistificazione deliberata del dadaismo, e simili
indizi dell'approssimarsi dei confini dell'espressione let-
teraria. Dovremmo cercare di tener ben presente l'intero
complesso di possibili commenti cosi da correggere sia
la prospettiva della critica medievale e rinascimentale che
partiva dal presupposto che la piu alta poesia doveva es-
sere trattata quanto piu era possibile come continua al-
legoria, sia quella della critica moderna che ritiene che la
poesia è essenzialmente antiallegorica e paradossale.

Siamo cosi giunti a formulare un concetto di letteratu-


ra come complesso di creazioni ipotetiche che non è ne-
cessariamente legato al mondo della verità e del fatto, non
necessariamente lontano da esso, ma che può assumere con
esso qualsiasi tipo di relazione, dalla piu esplicita alla me-
no esplicita. Abbiamo una chiara coscienza delle relazioni
che intercorrono tra matematica e scienze naturali. La ma-
tematica, come la letteratura, procede per ipotesi da una
coerenza interna e non descrittivamente dall'aderenza
esterna al mondo della natura. Quando la si applica a fatti
esterni, non viene verificata la sua verità, ma la sua appli-
cabilità. Poiché in questo saggio mi sono riferito al gatto
come emblema semantico, ricorderò che questo partico-
lare risalta nella discussione tra Yea ts e Sturge Moore 1
sul problema del gatto di Ruskin, gatto che era stato pre-
so e gettato dalla finestra da Ruskin, benché non ci fosse.
Chiunque voglia verificare nella realtà esterna il proprio
pensiero, deve ripiegare su un assioma di fede. La distin-
zione tra fatto empirico e illusione non è una distinzione

1 Cfr. W. B. Y eats and T. Sturge Moore; Their Correspondence, r9or-


1937 (r953).
IL SIMBOLO COME IMMAGINE 123

razionale e non può essere provata logicamente. È « pro-


vata» solo dalla necessità pratica ed emotiva di fare una
distinzione. Per il poeta, in quanto poeta, questa neces-
sità non esiste e non c'è motivo poetico perché egli debba
affermare o negare l'esistenza di un qualsivoglia gatto,
reale o ruskiniano.
Il concetto di arte come qualcosa che ha una relazione
con la realtà, che non è né diretta né negativa, ma poten-
ziale, risolve definitivamente la dicotomia tra piacere e
istruzione, tra stile e messaggio. Piacere non è facilmente
differenziabile da godimento e apre la strada a quell'edo-
nismo estetico, a cui abbiamo accennato nell'introduzio-
ne, che è incapacità di distinguere l'aspetto personale e
quello impersonale della valutazione. La teoria tradizio-
nale della catarsi implica che la reazione emotiva all'arte
non è fonte di un'emozione effettiva, ma suscitamento e
espulsione di un'emozione effettiva basata su qualcosa
d'altro. Questo qualcosa d'altro potrebbe essere definito,
all'incirca, come esultanza o esuberanza: la visione di
qualcosa liberato dall'esperienza, la reazione suscitata nel
lettore dalla trasformazione dell'esperienza in mimesi, del-
la vita in arte, dell'abitudine in gioco. Al centro dell'edu-
cazione liberale qualcosa certamente dovrebbe essere li-
berato. La metafora della creazione suggerisce un'imma-
gine parallela di nascita, l'ingresso di un organismo appe-
na nato nella vita indipendente. L'estasi della creazione e
la sua reazione producono a un certo livello di sforzo crea-
tivo il grido della gallina; a un altro quella particolare qua-
lità che i critici italiani definivano sprezzatura e che nella
traduzione di Hoby del Castiglione diventa « reckless-
ness », la sensazione di leggerezza o abbandono che accom-
pagna la disciplina piu perfetta, quando non possiamo piu
distinguere il danzatore dalla danza. Non è lecito suppor-
re che la tragedia definita da Milton « gorgeous Tragedy »
produce un'emozione reale di tristezza e dolore. I Persia-
ni di Eschilo e Macbeth di Shakespeare sono indubbia-
mente tragedie, ma sono anche collegate rispettivamente
con la vittoria di Salamina e la salita al trono di Giaco-
mo I, entrambe occasioni di gaudio nazionale. Alcuni cri-
tici applicano la teoria dell'emozione reale allo stesso Sha-
124 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

kespeare e parlano di un « periodo tragico» dal r 600 al


r 608 nel quale si suppone che egli si sentisse triste. Mol-
ti, se avessero appena terminato di scrivere una tragedia
del valore di King Lear, sarebbero d'umore esultante, e
mentre non abbiamo diritto di attribuire questo umore a
Shakespeare, tuttavia è questo l'unico modo esatto di de-
scrivere la nostra reazione alla tragedia. D'altro canto fa
un certo effetto pensare che l'accecamento di Gloucester
è prima di tutto divertimento, tanto piu che il piacere che
ne ricaviamo non ha nulla a che vedere con il sadismo. Se
ogni opera letteraria è dal punto di vista emotivo « depri-
mente», sia la reazione dello scrittore sia quella del letto-
re sono errate. L'arte sembra produrre una specie di feli-
cità che, per quanto spesso definita piacere, come da Word-
sworth per esempio, è tuttavia piu complessa del sem-
plice piacere. «L'esuberanza è bellezza», dice Blake. Mi
pare che questa sia la soluzione praticamente definitiva
non solo del problema meno importante di che cosa sia
la bellezza, ma anche di quello infinitamente piu impor-
tante di che cosa realmente significhino i concetti di ca-
tarsi e di estasi.
Tale esuberanza è, evidentemente, piu intellettuale che
emotiva: lo stesso Blake giunse a definire la poesia un'« al
legoria indirizzata alle facoltà intellettuali». Viviamo in
un mondo di triplice costrizione esterna: costrizione nel-
l'agire o legge; costrizione del pensiero o dato di fatto;
costrizione del sentire, ed è questa la caratteristica di ogni
piacere, sia che derivi dal Paradiso sia che derivi da un
ice cream soda. Ma nel mondo dell'immaginazione una
quarta forza, che contiene morale, bellezza e verità senza
peraltro essere loro soggetta, nasce liberamente da tutte
le loro costrizioni. L'opera di immaginazione presenta ai
nostri occhi la visione non della grandezza personale del
poeta, ma di qualcosa di impersonale e di molto piu gran-
de: la visione di un atto decisivo di libertà spirituale, la
visione della ricreazione dell'uomo.
Fase mitica: il simbolo come archetipo

Nella fase formale una poesia non appartiene né alla


classe «arte» né alla classe «verbale», ma rappresenta
una classe a sé. La sua forma presenta cosi due aspetti.
In primo luogo essa è un unicum, una techne o artificio,
dotato di una sua peculiare struttura di immagini, che de-
ve essere esaminata per se stessa senza immediati riferi-
menti ad altre cose analoghe. Per analizzare questo aspet-
to, il critico inizia il suo lavoro dalla singola poesia e non
da una concezione o definizione predeterminata di poesia
in generale. In secondo luogo la singola poesia è una tra
le forme similari appartenenti a una certa classe. Aristo-
tele sa che Edipo re è, in un certo senso, diverso da ogni
altra tragedia, ma sa anche che essa appartiene alla classe
definita tragedia. Noi, che possiamo giovarci dell'esperien-
za di Shakespeare e di Racine, possiamo aggiungere come
corollario che la tragedia è qualcosa di piti ampio che non
una fase del teatro greco. Inoltre, possiamo individuare
elementi tragici in opere letterarie che non sono lavori
drammatici. Perciò il comprendere che cosa è la tragedia
ci consente di passare da un problema di natura meramen-
te storica al problema di valutare che cosa sia un aspetto
della letteratura considerata come un tutto. Acquisita l'i-
dea delle relazioni esterne di una poesia con altre poesie,
per il critico diventano allora importanti due fattori: la
convenzione e il genere'.
1 Il concetto dell'autonomia della forma nell'arte è essenziale all'argo-
mentazione di Les voix du si/e11ce (1951) di A. Malraux. Nella critica mo-
derna inglese lo studio degli archetipi è molto sviluppato sia nella teoria
che nella pratica. Per quanto riguarda la teoria sono di chiara ed ecceziona-
126 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

Lo studio dei generi è basato sulle analogie nella for-


ma. È una caratteristica della critica documentaria e sto-
rica l'impossibilità di esaminare tali analogie: il critico
storico può plausibilmente occuparsi delle influenze, esi-
stenti o non esistenti; ma dovendo confrontare una tra-
gedia di Shakespeare con una di Sofocle solo ed unicamen-
te perché sono tutte e due tragedie, deve limitarsi a consi-
derazioni generali sulla serietà della vita. Analogamente,
non vi è nulla di piu urtante nella critica retorica della
mancanza di ogni considerazione per i generi: il critico
retorico analizza l'opera senza tenere in considerazione se
si tratta di commedia, lirica o romanzo. Come giustifica-
zione egli può sempre sostenere che in letteratura non esi-
stono generi, ma in realtà ciò avviene perché egli si occu-
pa della sua struttura semplicemente come di un'opera
d'arte e non come di un artificio dotato di una possibile
funzione. Tuttavia in letteratura esistono molte analogie
al di fuori delle fonti e delle influenze (molte delle quali,
naturalmente, non sono affatto analogie), e il notarle co-
stituisce una parte rilevante della nostra esperienza lette-
raria, qualunque sia stato fino ad oggi il ruolo di questo
metodo nella critica.
Il principio fondamentale della fase formale, e cioè che
la poesia sia imitazione della natura, sebbene sia perfetta-
mente valido, è tuttavia un principio secondo cui si isola
una singola poesia. È evidente che ogni poesia può essere
esaminata non solo come imitazione della natura, ma an-
che come imitazione di altre poesie. Secondo l'opinione di
Pope, Virgilio scopri che seguire la natura era, in ultima
analisi, come seguire Omero. Se pensiamo a una poesia
come unità e in relazione ad altre poesie, possiamo vedere
che lo studio dei generi deve essere basato sullo studio
della convenzione. La critica che voglia occuparsi di simili
problemi deve essere basata su quell'aspetto del simboli-
smo che pone in rapporto tra loro le singole composizioni
poetiche, e sceglierà come principale campo di indagini
i simboli che collegano tra di loro le poesie. Il suo scopo
le utilità i testi di ~1aud Bodkin, Kenneth Burke, Gaston Bachelard, Fran-
cis Fergusson, e Philip Wheelwrigbt. Si vedano le eccellenti bibliografie in
R. WELLEK e A. WARREN, Theory of Literature (1942), cap, xv.
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 127

non consiste semplicemente nel considerare una poesia


come una imitazione della natura, ma l'ordine della natu-
ra come un tutto unico, imitato da un corrispondente or-
dine di parole.
Tutte le arti sono convenzionali, ma in genere non av-
vertiamo questo fatto, a meno che la convenzione non sia
nuova per noi. Ai nostri giorni l'elemento convenzionale
nella letteratura è accuratamente celato dalla legge sul di-
ritto d'autore, per cui ogni opera d'arte è un'invenzione
abbastanza differenziata da poter essere brevettata. Per-
ciò, le forze che tendono a rendere convenzionale la lette-
ratura moderna - il modo, ad esempio, in cui la politica
di un editore e l'aspettativa dei lettori si combinano per
rendere convenzionali gli articoli di una rivista - spesso
non vengono riconosciute. Dimostrare il debito di A ver-
so B è erudizione se A è morto, ma prova di bassezza mo-
rale se A è in vita. Questo stato di cose rende difficile va-
lutare una letteratura che comprende Chaucer, molte delle
cui poesie sono traduzioni o parafrasi di altre; Shakespea-
re, le cui commedie seguono talvolta la fonte letteralmen-
te; Milton che non chiedeva nulla di meglio che attingere
a piene mani dalla Bibbia. E non è solo il lettore sprovve-
duto che cerca in tali opere una originalità residua. Molti
di noi sono portati a credere che i risultati veri ottenuti
dal poeta siano distinti, e persino contrastanti, dai risul-
tati che sono già presenti in ciò che egli ha preso da altri
e, di conseguenza, siamo portati a concentrarci sui fatti
critici periferici anziché su quelli centrali. Per esempio, il
merito fondamentale di Paradise Regained non risiede
nella grandiosità delle decorazioni retoriche che Milton
aggiunge alla sua fonte, ma in quella del tema in sé, che
Milton trasferisce dalla sua fonte al lettore. Questa idea
del grande poeta a cui sono affidati grandi temi, era molto
chiara per Milton, ma viola molti dei pregiudizi basso-mi-
metici sulla creazione accettati da molti di noi.
Il discredito della convenzione sembra essere uno dei
risultati, e può anche essere un aspetto della tendenza,
che risale al Romanticismo, di concedere all'individuo la
priorità sulla società. La concezione opposta, per la qua-
le il bambino è condizionato dalla parentela che lo attor-
128 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

nia e da una società preesistente, ha il vantaggio iniziale


di essere piu vicina ai fatti di cui tratta, qualunque dottri-
na se ne possa dedurre. In letteratura, la conseguenza di
questo secondo punto di vista è che la nuova poesia, come
il nuovo bambino, nasce in un ordine preesistente di pa-
role ed è tipica della struttura poetica a cui si riallaccia. Il
nuovo bambino è la sua propria società, che appare una
volta di piu come un'unità individuale, e la nuova poesia
ha una relazione analoga con la sua propria società poetica.
Non è possibile accettare un'opinione critica che con-
fonde originale con aborigeno ed immagina che un poeta
«creatore» se ne stia seduto con la penna e dei fogli bian-
chi, e che alla fine produca una nuova poesia mediante
un particolare atto di creazione ex nihilo. Gli esseri uma-
ni non creano in questo modo. Proprio come una nuova
scoperta scientifica, che rivela qualcosa rimasto fino a quel
momento latente nell'ordine della natura, pur essendo
nel contempo in relazione logica con la totalità struttura-
le della scienza esistente, cosf una nuova poesia rivela
qualcosa che sino ad allora era latente nel mondo delle pa-
role. La letteratura può avere per suo contenuto vita, real-
tà, esperienza, natura, verità immaginativa, condizioni so-
ciali o quel che si preferisce; ma la letteratura in sé non è
fatta di questo. La poesia può essere generata solo da al-
tre poesie; un romanzo da altri romanzi. La letteratura dà
forma a se stessa e non è formata dall'esterno: le forme
letterarie non possono esistere al di fuori della letteratu-
ra, cosf come le forme della sonata, della fuga, del rondò,
non possono esistere al di fuori della musica.
Tutto ciò era molto piu chiaro prima che l'assimilazio-
ne della letteratura all'iniziativa privata nascondesse tan-
ti fatti critici. Quando Milton si accingeva a scrivere un
poemetto su Eduard King non si poneva certo il proble-
ma: « Che cosa posso dire su King », ma « qual è il modo
richiesto dalla poesia per trattare un simile argomento?»
L'idea che la convenzione dimostri una mancanza di sen-
timento e che un poeta raggiunga la «sincerità» (normal-
mente intesa come emozione articolata) ignorandola, è
contraddetta da tutta l'esperienza letteraria e dalla storia.
Questa idea trae anch'essa origine dall'opinione che la
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 129

poesia sia una descrizione di emozioni e che il suo signifi-


cato« letterale» sia una asserzione sulle emozioni provate
dal singolo poeta. Ma ogni studio serio sulla letteratura
dimostra chiaramente che la differenza tra poeta originale
e imitatore consiste nel fatto che il primo imita con piu
profondità di pensiero del secondo. Originalità rinvia alle
origini della letteratura, cosi come radicalismo rinvia alle
sue radici. L'osservazione di Eliot1 che un buon poeta è
molto piu portato a rubare che non a imitare, offre un'idea
di convenzione molto piu equilibrata, indicando che una
poesia è chiaramente connessa con altre poesie e non va-
gamente connessa con astrazioni quali la tradizione o lo
stile. La legge sui diritti d'autore e le usanze a essa con-
nesse rendono difficile per un autore moderno rubare qual-
cosa dalla letteratura precedente se non i titoli; di con-
seguenza è solo da titoli del tipo Por Whom the Bell
Tolls, The Grapes of Wrath, The Sound and the Fury che
possiamo renderci conto di quanta dignità impersonale e
ricchezza di associazioni possa guadagnare un autore dal
comunismo della convenzione.
Come per altri prodotti della attività divina, è piu diffi-
cile identificare il padre che non la madre della poesia.
Nessuna critica seria negherà mai che la madre è sempre
la natura, il dominio dell'oggettivo considerato come un
campo di comunicazioni; ma per quanto si assuma come
padre della poesia il poeta stesso, non abbiamo ancora di-
stinto la letteratura dalle strutture verbali discorsive. Lo
scrittore discorsivo scrive mediante un atto di volontà co-
sciente, e questa volontà cosciente, in accordo con il siste-
ma simbolico che utilizza, copre tutto il complesso di cose
che egli descrive. Ma il poeta che scrive in modo creativo
piuttosto che in modo deliberato, non è il padre della sua
poesia; è la levatrice o, al massimo, il ventre di Madre Na-
tura: i suoi genitali, per cosi dire. Il fatto che sia possi-
bile una revisione, che il poeta possa apportare dei mu-
tamenti in una poesia, non perché gli piacciano di piu, ma
perché rappresentano una soluzione migliore, dimostra
chiaramente come il poeta debba generare la poesia nel
1 Nel suo saggio su Philip Massinger.
130 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

modo in cui gli viene in mente. Egli deve, sotto la sua re-
sponsabilità, partorirla indenne, e se la poesia è viva, essa
è, allo stesso modo, ansiosa di liberarsi di lui e chiede a
gran voce di essere staccata dal cordone ombelicale del-
1'ego del poeta.
Il vero padre, o spirito formativo della poesia, è la for-
ma della poesia stessa e questa forma è la manifestazione
dello spirito universale della poesia, l' « onlie begetter » dei
sonetti di Shakespeare, che non era Shakespeare, né tanto
meno quel deprimente fantasma di W. H., ma il tema di
Shakespeare, il Sire-signora della sua passione. Quando
un poeta parla dello spirito interno che dà forma alla poe-
sia, è portato a ignorare la tradizionale invocazione alla
Musa femminile, e a pensare di essere personalmente in
relazione femminile, o per lo meno recettiva, nei riguardi
di qualche dio o signore, Apollo, Dioniso, Eros, Cristo
o (come nel caso di Milton), lo Spirito Santo. «Est deus
in nobis», dice Ovidio: in epoca moderna possiamo fare
un paragone con le osservazioni di Nietzsche sulla sua
ispirazione in Ecce Homo.
Il problema della convenzione è il problema di come
l'arte possa essere comunicativa, poiché la letteratura è,
evidentemente, una tecnica di comunicazione proprio co-
me le strutture verbali assertive. La poesia, presa global-
mente, non è piu un semplice aggregato di artifici che
imitano la natura, ma una delle attività dell'artificio uma-
no considerato globalmente. Se a questo proposito usia-
mo il termine «civiltà», possiamo dire che la nostra quar-
ta fase tende alla poesia come a una delle tecniche di civi-
lizzazione. Questo è perciò connesso con l'aspetto sociale
della poesia, con la poesia considerata come punto focale
di una comunità. In questa fase il simbolo è l'unità co-
municabile che qui definiamo archetipo, cioè una imma-
gine tipica o ricorrente. Indichiamo con archetipo un sim-
bolo che collega una poesia ad altre poesie e serve a uni-
ficare e integrare la nostra esperienza letteraria. E poiché
l'archetipo è il simbolo comunicabile, la critica archetipi-
ca è, in primo luogo, connessa con la letteratura come fat-
to sociale e come modo di comunicazione. Per mezzo del-
lo studio delle convenzioni e dei generi essa tenta di inse-
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO I 3I
rire le singole composizioni poetiche nel corpo della poe-
sia nel suo complesso.
La ripetizione di certe immagini proprie del mondo fi-
sico, come il mare o la foresta, in un cosl'. grande numero
di poesie non può essere considerata una «coincidenza»,
termine con cui indichiamo il particolare di una trama a
cui non siamo in grado di attribuire un fine. Ma indica an-
che una certa unità, sia nella natura che è imitata dalla poe-
sia, sia nell'attività comunicativa di cui la poesia fa parte.
A causa del piu ampio contesto comunicativo dell'istruzio-
ne è possibile che una storia di mare sia archetipica e che
faccia una profonda impressione fantastica su di un lettore
che non si è mai allontanato da Saskatchewan. E quando
le immagini pastorali vengono deliberatamente usate solo
perché sono convenzionali- come, ad esempio, in Lycidas
- possiamo renderci conto che la convenzione del genere
pastorale ci porta a mettere in relazione queste immagini
con altre della letteratura.
Per prima cosa, pensiamo che la poesia pastorale deriva
da Teocrito, in cui l'elegia pastorale appare per la prima
volta come adattamento letterario del rituale del lamento
di Adone 1, e da Teocrito passa a Virgilio, e attraverso l'in-
tera tradizione pastorale giunge sino a The Shepheardes
Calender e a Lycidas. Inoltre, pensiamo all'intricato sim-
bolismo pastorale della Bibbia e della Chiesa cristiana, ad
Abele e al XXIII Salmo, a Cristo il Buon Pastore, alle im-
plicazioni ecclesiastiche di «pastore» e di «gregge», e ai
rapporti tra tradizione classica e cristiana nella egloga mes-
sianica di Virgilio. Poi pensiamo all'estensione del sim-
bolismo pastorale nella Arcadia di Sidney, in The Faerie
Queene, nelle commedie boscherecce di Shakespeare e co-
sl'. via. Infine, allo sviluppo postmiltoniano della elegia pa-
storale in Shelley, Arnold, Whitman e Dylan Thomas; e,
forse, anche alle convenzioni pastorali nella musica e nel-
la pittura. In definitiva, possiamo anche farci una cultura
umanistica completa interessandoci semplicemente a una
poesia convenzionale e seguendone gli archetipi attraver-

1 Questa frase va interpretata alla luce del principio generale per cui
«rituale» si riferisce al contenuto piuttosto che alla fonte.
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

so tutta la letteratura. Una composizione poetica dichiara-


tamente convenzionale, come Lycidas, ha bisogno di un ti-
po di critica che la inserisca in uno studio della letteratura
intesa come un tutto unico, e ci si aspetta che questa attivi-
tà cominci subito, con il primo lettore colto. Abbiamo, in
questo caso, una situazione letteraria molto simile a quella
della matematica o della scienza in cui l'opera del genio è
assimilata dall'insieme dell'argomento in modo cosf rapido
che difficilmente si riesce a scorgere la differenza tra attivi-
tà creativa e attività critica.
Se non accettiamo l'elemento archetipo o convenziona-
le nel complesso di immagini che legano tra di loro le va-
rie composizioni poetiche, non ci è possibile ottenere un
addestramento mentale sistematico unicamente dalla let-
tura delle opere letterarie. Ma, se oltre a desiderare di co-
noscere la letteratura, desideriamo anche sapere in che
modo la conosciamo, scopriamo che la dilatazione e tra-
sformazione delle immagini in archetipi convenzionali è
un processo che avviene inconsciamente in ogni lettore.
Simboli come il mare o la brughiera non possono restare
chiusi in Conrad o Hardy; non possono fare a meno di tra-
sformarsi, attraverso innumerevoli opere, in simboli ar-
chetipi che sono patrimonio di tutta la letteratura. Moby
Dick non può restare nel romanzo di Melville, fa parte
della nostra esperienza immaginativa di draghi e mostri
degli abissi dal Vecchio Testamento in poi. Ciò che è vero
per il lettore, a fortiori è vero per il poeta, il quale impara
rapidamente che per la sua anima non esiste altra scuola
di canto se non lo studio dei monumenti della sua propria
magnificenza.
In ogni fase del simbolismo arriva un momento in cui
il critico è costretto a distaccarsi dal campo della cono-
scenza propria del poeta. Il critico storico o documentario
deve presto o tardi definire Dante un poeta «medievale»,
concetto ignoto e incomprensibile per Dante. Nella critica
archetipica le conoscenze coscienti di un poeta sono consi-
derate solo in quanto il poeta alluda o imiti altri poeti
(«fonti»), o faccia uso deliberatamente di una convenzio-
ne: al di là di questo, il controllo del poeta sulla poesia
termina con la poesia e solo il critico archetipico può oc-
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 1 33

cuparsi delle sue relazioni con il resto della letteratura.


Dobbiamo di nuovo distinguere tra letteratura dichiarata-
mente convenzionale - è il caso di Lycidas, in cui il poeta
stesso ci inizia riferendosi a Teocrito, Virgilio, alle pa-
storali del Rinascimento, alla Bibbia - e la letteratura che
nasconde o ignora le sue connessioni convenzionali. Il con-
cetto di proprietà letteraria e la natura rivoluzionaria del-
la concezione basso-mimetica della creazione fanno sf che
gli autori dei tempi del diritto d'autore vedano malvolen-
tieri che il loro complesso di immagini peculiari sia stu-
diato in modo convenzionale; e, per quanto riguarda que-
sto periodo, molti archetipi sono stati scoperti solo me-
diante l'esame critico.
Per fare un esempio tra i tanti, ricordiamo come una
convenzione molto diffusa nel romanzo ottocentesco sia
quella di presentare due eroine, una bruna e una bionda:
quella bruna ha un carattere passionale, orgoglioso, sem-
plice, è straniera o ebrea, e in qualche modo evoca l'inde-
siderabile, o suggerisce il frutto proibito, come l'incesto.
Quando le due eroine sono legate allo stesso eroe, ci si de-
ve liberare della bruna o, se la storia è a lieto fine, trasfor-
marla nella sorella dell'eroe. Gli esempi comprendono I-
vanhoe, The Last of the Mohicans, The Woman in White,
Ligeia, Pierre (ma quest'ultimo è una tragedia perché l'e-
roe sceglie l'eroina bruna, che è anche sua sorella), The
Marble Faun ed un numero infinito di altre opere. Una
versione maschile forma la base simbolica di Wuthering
Heights. Questo espediente non è meno convenzionale di
chiamare Edward King - come fa Milton - con un nome
tratto dalle Egloghe di Virgilio; ma dimostra un confuso
o, come diciamo, «inconscio» avvicinamento alle conven-
zioni. Inoltre, quando incontriamo l'immagine dell'uomo,
della donna e del serpente, nel nono libro di Paradise
Lost, non possiamo dubitare dei loro legami convenziona-
li con le analoghe figure del libro della Genési. In Green
Mansions di Hudson l'eroe e l'eroina per prima cosa in-
contrano un serpente in un luogo quasi paradisiaco: qui
la natura convenzionale dell'immagine è tale che l'autore
non ci offre il minimo aiuto. Il critico quando si trova di
fronte a san Giorgio, il cavaliere dalla rossa croce di Spen-
1 34 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

ser, ha un'idea abbastanza chiara di come affrontare que-


sta figura. Quando, in Henry James, si trova di fronte ad
una donna che si ·chiama Rose Armiger (in The Other
House) vestita di bianco e con un ombrellino rosso, si tro-
va disarmato 1• È evidente che una deficienza dell'istruzio-
ne contemporanea spesso lamentata e la scomparsa di una
base culturale comune, per cui le allusioni di un poeta mo-
derno alla Bibbia o alla mitologia classica sono di scarso
effetto, sono tra le cause principali della decadenza dell'u-
so esplicito degli archetipi.
Whitman - come è noto - fu il portavoce di una conce-
zione antiarchetipica della letteratura ed esortò la Musa a
dimenticare Troia e a sviluppare nuovi temi. Questo è un
pregiudizio, di tipo basso-mimetico, e perciò adatto a
Whitman che sbaglia ed è nel giusto allo stesso tempo:
sbaglia perché l'argomento della guerra di Troia sarà sem-
pre, in un prevedibile futuro, parte integrante del patri-
monio culturale dell'Occidente e, di conseguenza, i riferi-
menti ad Agamennone nella Leda di Yeats o nel Sweeney
among the Nightingales continueranno a possedere una
grande forza di associazione e di suggestione sul lettore
istruito. Ma è perfettamente nel giusto quando crede che
il contenuto di una poesia consista normalmente in fatti
immediati e contemporanei. Aveva ragione, essendo il
poeta che era, di fare del suo W hen Lilacs Last in the
Dooryard Bloomed una elegia su Lincoln e non un con-
venzionale lamento di Adone; per quanto la sua elegia
sia, per la forma, non meno convenzionale di Lycidas, con
i suoi fiori purpurei sparsi sulle bare, la grande stella che
si affievolisce ad occidente, le immagini della « sempiter-
na primavera» e cosi via. La poesia organizza il contenuto
del mondo come esso si presenta dinanzi al poeta, ma le
forme con le quali questo contenuto viene organizzato
provengono dalla struttura della poesia stessa.
Gli archetipi sono dei grappoli associativi e differisco-
no dai segni in quanto sono dei complessi variabili. Nel
complesso sono sovente presenti numerose associazioni
1 La mia è una mera congettura, ma poiché Rose Armiger è sorella di
draghi anziché di cavalieri erranti, c'è una vaga probabilità che si tratti di
simbolismo parodistico, del tipo che viene discusso piu sotto.
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 1 35

dotte, le quali sono comunicabili perché un gran numero


di persone appartenenti ad un dato livello culturale ha fa.
miliarità con esse. Parlando di «simbolismo» nella vita
quotidiana, pensiamo comunemente ad alcuni archetipi
dotti come la corona o la croce o ad associazioni conven-
zionali come il bianco in riferimento alla purezza e il ver-
de alla gelosia. In quanto archetipo, il verde può rappre-
sentare il simbolo della speranza o del mondo vegetale,
della strada libera o del patriottismo irlandese, come quel-
lo della gelosia, ma la parola verde, come segno verbale,
si riferirà sempre ad un colore determinato. Alcuni arche-
tipi sono cosi profondamente radicati in una certa asso-
ciazione convenzionale che ben difficilmente si può evita-
re che la suggeriscano, come ad esempio la figura geome-
trica della croce che suggerisce inevitabilmente la morte
di Cristo. Un'arte completamente convenzionale sarebbe
un'arte in cui gli archetipi, o unità comunicabili, forme-
rebbero un gruppo di segni esoterici. Questo può accade-
re nelle arti - per esempio in molte danze sacre indiane -,
ma fìnora non è mai avvenuto nella letteratura occidenta-
le e la reticenza degli scrittori moderni a rendere i loro ar-
chetipi «individuabili», per cosi dire, è dovuta ad un na-
turale desiderio di usarli con la maggiore versatilità possi-
bile senza confinarli in una unica interpretazione. Il poeta
può dimostrare una certa tendenza all'esoterismo qualo-
ra si fissi su di una associazione particolare come fa Y eats
nelle note ad alcune delle sue prime poesie. Non esisto-
no associazioni necessarie: esistono soltanto associazioni
estremamente ovvie come quella del buio con il terrore e
il mistero, tuttavia non esistono corrispondenze intrinse-
che o inerenti che possano essere presenti in modo inva-
riabile. Come vedremo in seguito, esiste un contesto in cui
l'espressione « simbolo universale» ha un senso, però non
si tratta del contesto di cui stiamo parlando ora. La cor-
rente della letteratura, come ogni altra corrente, segue per
primi i canali piu agevoli: il poeta che usa le associazioni
comuni può comunicare piu rapidamente.
Ad un estremo della letteratura c'è la convenzione pu-
ra che viene usata dal poeta solo perché è già stata usata
parecchie volte nel passato e sempre nello stesso modo.
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

Questo accade di frequente nella poesia ingenua, nelle


espressioni standardizzate e nelle frasi fatte delle roman-
ze e ballate medievali, negli invariabili intrecci e tipi del
teatro ingenuo e, in minor grado, nei topoi' o luoghi co-
muni retorici, i quali, analogamente alle altre idee nella
letteratura, sono insipidi se vengono assunti come propo-
sizioni e ricchi di sfumature e significati se usati come
principi strutturali di un'opera. All'altro estremo c'è il va-
riabile puro che consiste in un tentativo voluto di novità
o di stranezza, e di conseguenza in un mascheramento o
complicazione degli archetipi. Tali tecniche mettono spes-
so in dubbio che la comunicazione sia la funzione della
letteratura; tuttavia - come dice Coleridge - gli estremi
si toccano e la poesia non convenzionale diventa a sua vol-
ta convenzione, che deve essere esplorata da studiosi co-
raggiosi abituati alla desolazione dei terreni letterari mal-
sani. Tra questi punti estremi, le convenzioni variano dal-
le piu semplici e chiare alle piu indirette, lungo una scala
che è parallela a quella dell'allegoria e del paradosso di
cui abbiamo già parlato. Le due scale spesso si confon-
dono e si identificano, ma tradurre l'imagery in esempi e
in precetti è un processo completamente diverso dal se-
guire immagini in altre poesie.
Vicino all'estremo della convenzione pura c'è la tradu-
zione, la parafrasi e l'uso che Chaucer fa di Boccaccio in
Troilus e in The Knight's Tale. Segue poi la convenzione
deliberata ed esplicita, come l'abbiamo osservata in Lyci-
das. Un altro passo avanti ci porta alla convenzione para-
dossale o ironica di cui fa parte la parodia, che è spesso se-
gno del trascorrere delle mode. Successivamente viene il
tentativo di pervenire all'originalità tramite il rifiuto del-
la convenzione esplicita, tentativo che si risolve, per esem-
pio, nella convenzione implicita che abbiamo riscontrato
in Whitman. Successivamente ancora la tendenza a iden-
tificare l'originalità con la scrittura «sperimentale», che
oggi si basa su una analogia con le scoperte scientifiche,
1 Per questi cfr. E. R. CURTIUS, Europiiische Literatur und lateinisches
Mittelalter (r948). Una prova della tesi sostenuta in questo libro è il rap-
porto tra la prima prolusione di Mii ton ìVhether Day is more cxcellent
than Night e L'Allegro e Il Penseroso.
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO r37
e di cui si parla frequentemente come di « rottura dalla
convenzione». E naturalmente a ogni livello letterario,
compreso questo ultimo, esiste una certa quantità di con-
venzioni superficiali ed inorganiche da cui nasce quel tipo
di scrittura che lo studioso preferisce affrontare da una
certa distanza: banali sonetti e liriche dell'epoca elisabet-
tiana, commedie su moduli plautini, pastorali del XVIII se-
colo, romanzi a lieto fine del XIX, opere tutte di seguaci,
imitatori, scuole, tendenze e cosI via.
Da tutto ciò deriva che è piu facile studiare gli archeti-
pi in quella letteratura che rivela un alto grado di conven-
zione; letteratura che, per la maggior parte, è ingenua,
primitiva e popolare. Suggerendo la possibilità di una cri-
tica degli archetipi, suggerisco anche la possibilità di
estendere a tutto il resto della letteratura il tipo di studio
comparativo e morfologico che è attualmente adottato per
i racconti e le ballate popolari. Questo dovrebbe essere piu
facilmente accettato oggi che la letteratura popolare e pri-·
mitiva non viene piu distinta cosI radicalmente come in
passato dall'altra letteratura. Troveremo inoltre che la let-
teratura superficiale - del tipo di cui abbiamo appena par-
lato - è molto importante per la critica degli archetipi
proprio in quanto essa è convenzionale. Se nel corso di
questo libro mi riferisco alla letteratura di invenzione po-
polare altrettanto frequentemente che ai grandi poemi e
romanzi, lo faccio per lo stesso motivo per cui un musici-
sta che cerchi di spiegare i rudimenti del contrappunto
preferisce farlo prendendo ad esempio Three Blind Mice
anziché una complessa fuga di Bach.

Ogni fase del simbolismo possiede un suo peculiare


modo di affrontare la narrazione e il significato. Nella fa.
se letterale la narrazione è un flusso di suoni significanti
e il significato è un modulo verbale complesso e ambiguo.
Nella fase descrittiva la narrazione è una imitazione di
fatti concreti e il significato è una imitazione di oggetti o
proposizioni reali. Nella fase formale la poesia si muove
tra l'esempio e il precetto. Nel fatto esemplare esiste un
elemento di ricorrenza; nel precetto, o esposizione di ciò
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

che deve essere, esiste un forte elemento di desiderio


o di ciò che può dirsi un pensiero-auspicio. Questi ele-
menti di ricorrenza e desiderio occupano una posizione
di primo piano nella critica archetipica, la quale analizza
le poesie nel loro complesso come singole unità della poe-
sia come un tutto, ed i simboli come unità di comunica-
zione.
Sotto tale punto di vista, l'aspetto narrativo della lette-
ratura è un atto ricorrente di comunicazione simbolica: in
altre parole, un rituale. Il critico degli archetipi studia la
narrazione sotto l'aspetto del rituale o imitazione delle
azioni umane considerate globalmente e non solo come
mimesis praxeos o imitazione di una azione. Analogamen-
te, nella critica degli archetipi il contenuto significante è
il conflitto fra desiderio e realtà che ha come base l'attivi-
tà de] sogno 1• Rituale e sogno sono dunque rispettivamen-
te il contenuto narrativo e significante della letteratura
dal punto di vista degli archetipi. L'analisi archetipica del-
l'intreccio di un romanzo o di un lavoro drammatico af-
fronta queste opere in termini di azioni generiche, ricor-
renti o convenzionali: matrimoni, funerali, iniziazioni in-
tellettuali e sociali, esecuzioni reali o da burla e cosi via.
L'analisi archetipica del significato di una tale opera ne
indaga la forma generica, ricorrente o convenzionale, in-
dicata dal clima e dalle soluzioni, tragiche, comiche, iro-
niche o d'altro genere, soluzioni in cui viene espresso il
rapporto tra desiderio ed esperienza.
La ricorrenza ed il desiderio si compenetrano e sono u-
gualmente importanti sia per il rituale che per il sogno.
Nella fase archetipa, la poesia imita la natura: ma, a diffe-
renza di ciò che avviene nella fase normale, la natura non
viene imitata in quanto struttura o sistema, bens{ come
processo ciclico. Il principio della ricorrenza nel ritmo ar-
tistico pare derivare dalla ripetizione nella natura, ripeti-
zione che ci permette di intendere il t~mpo. I rituali si
raccordano ai movimenti ciclici del sole, della luna e della
1 Nel corso di questo libro la parola «sogno» è usata in un senso moJ.
to ampio, e non indica semplicemente le fantasticherie della mente duran.
te il sonno, ma l'intera attività del desiderio e della repulsione che, reci-
prncamente influenzandosi, dànno forma al pensiero,
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 139
vita umana. Ogni periodicità fondamentale dell'esperien-
za: l'alba, il tramonto, le fasi lunari, la semina, il raccolto,
gli equinozi, i solstizi, la nascita, l'iniziazione, il matrimo-
nio, la morte, producono dei rituali connessi con questi
fenomeni. L'impulso del rituale è verso la pura narrazio-
ne ciclica che, ove fosse possibile, sarebbe ripetizione au-
tomatica ed inconscia. Tuttavia, al centro di tutte queste
ricorrenze, vi è il ciclo ricorrente del sonno e della veglia,
la frustrazione quotidiana dell'ego, il risveglio notturno
di un titanico io.
Il critico archetipico studia la singola poesia come par-
te della poesia in generale, ma la studia anche come parte
della totale imitazione umana della natura che definiamo
civiltà. La civiltà non è semplicemente imitazione della na-
tura, ma un processo di costruzione di una forma umana
totale dalle viscere della natura, ed è sospinta da quella
forza che abbiamo definito desiderio. Il desiderio del ci-
bo e della casa non è appagato dalle radici e dalle caverne;
produce quelle forme umane di natura che definiamo col-
tivazione e architettura. Il desiderio non è dunque una
semplice risposta alla necessità, per cui un animale può a-
ver bisogno di cibo e ottenerlo senza coltivare i campi, né è
semplicemente la risposta alla mancanza o desiderio di
qualcosa in particolare. Non è né limitata né soddisfatta
dagli oggetti, ma è una forza che guida la società umana
a sviluppare la sua forma peculiare. In questo senso, il
desiderio è l'equivalente sociale di ciò che è l'emozione al
livello letterale, vale a dire un impulso verso l'espressio-
ne che sarebbe rimasto amorfo se la poesia non lo avesse
liberato dotandolo della forma per esprimersi. Analoga-
mente la forma del desiderio è liberata e resa apparente
dalla civiltà. La causa efficiente della civiltà è il lavoro, e
la poesia, dal punto di vista sociale, ha lo scopo di espri-
mere, come ipotesi verbale, la visione della meta del lavo-
ro e delle forme del desiderio.
Esiste tuttavia una dialettica morale del desiderio. L'i-
dea di giardino genera l'idea di «gramigna», e costruire
un recinto per le pecore fa del lupo un temibile avversa-
rio. La poesia nel suo aspetto sociale o archetipo non solo
tende ad illustrare la realizzazione del desiderio, ma anche
I4O CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

a definire gli ostacoli che vi si oppongono. Il rituale non è


solo un atto ricorrente, bensf un atto espressivo della dia-
lettica di desiderio e ripugnanza: desiderio di fertilità e
vittoria, ripugnanza per la siccità e per il nemico. Esisto-
no rituali di integrazione sociale e rituali di espulsione, di
punizione ed esecuzione. Nel sogno esiste una dialettica
parallela, cosi come abbiamo il sogno di realizzazione del
desiderio e l'incubo o ansietà di ripugnanza. La critica de-
gli archetipi, dunque, si basa su due ritmi o moduli orga-
nizzati: l'uno ciclico, l'altro dialettico.
L'unione tra sogno e rituale è rappresentata, sotto l'a-
spetto di comunicazione verbale, dal mito. Uso ora il ter-
mine mito in modo alquanto differente da quello del pri-
mo saggio. Ma, innanzitutto, il significato è altrettanto
familiare e l'ambiguità non è mia, bensf del lessico; inol-
tre, esiste una connessione reale tra i due significati, con-
nessione che si chiarirà procedendo nel discorso. Il mito
spiega e rende comunicabile il rituale e il sogno. Il rituale,
in se stesso, non può rappresentarsi: è prelogico, prever-
bale, e in un certo senso, preumano. La sua relazione con
il calendario fa supporre che la vita umana sia legata e di-
penda biologicamente dal ciclo naturale che le piante e in
una certa misura gli animali hanno tuttora. Tutto ciò che
in natura riteniamo abbia una qualche relazione con l'ar-
te, come il canto degli uccelli o i fiori, nasce dalla sincro-
nizzazione tra un organismo e i ritmi del suo ambiente na-
turale, in particolare quello dell'anno solare. Per quello
che riguarda gli animali, alcune espressioni di sincroniz-
zazione, come la danza d'accoppiamento degli uccelli si
potrebbero quasi definire rituali. Il mito è piu specifica-
mente umano: neppure la pernice piu intelligente può
raccontare storie, assurde quanto si vuole, che spieghino
la ragione del suo stridio durante la stagione degli accop-
piamenti. Analogamente, il sogno in se stesso è un com-
plesso di nascoste allusioni alla vita dell'individuo che so-
gna, mal comprese da lui e, per quanto ne sappiamo, inu-
tili. In ogni sogno, tuttavia, vi è un elemento mitico che
possiede una capacità di comunicazione indipendente, co-
me appare, non solo nell'esempio classico di Edipo, ma in
ogni raccolta di racconti popolari. Il mito, dunque, non
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO

solo conferisce un significato al rituale e un elemento nar-


rativo al sogno, ma è anche l'identificazione di rituale e
sogno in cui l'uno pare essere l'altro in movimento. Que-
sto non sarebbe possibile se non esistesse un fattore co-
mune per il rituale ed il sogno che fa dell'uno l'espressio-
ne sociale dell'altro. Lo studio di questo fattore comune
sarà affrontato piu tardi; bisogna soltanto dire, a questo
punto, che il rituale è l'aspetto archetipo del mythos e
che il sogno è l'aspetto archetipo della dianoia.
Ci troviamo nuovamente di fronte alla stessa distinzio-
ne che avevamo fatto nel primo saggio tra letteratura di
immaginazione e letteratura tematica. Alcune forme let-
terarie, il teatro per esempio, ci ricordano con particolare
vivacità di analogie il rituale, poiché il teatro in lettera-
tura, come il rituale in religione, è, innanzitutto, una rap-
presentazione sociale o collettiva. Altre forme, come il ro-
mance, suggeriscono analogie con il sogno. È piu facile
scorgere le analogie rituali nel teatro ingenuo e spettaco-
lare che in quello colto: nel teat_ro popolare, negli spetta-
coli di marionette, nella pantomima, nella farsa, nella pa-
rata e nei loro discendenti nell'ambito del masque, l'opera
comica, il film commerciale, la rivista. Le analogie con
il sogno sono piu evidenti nel romance ingenuo, di cui
fanno parte i racconti popolari, i racconti delle fate che
sono strettamente legati al sogno di desideri meraviglio-
si che si avverano, agli incubi di orchi e streghe. Natural-
mente il romance e il teatro ingenui si compenetrano l'un
l'altro. Il teatro ingenuo rappresenta drammaticamente
una specie di romance e le relazioni molto strette tra ro-
mance e rituale sono facilmente visibili nel gran numero
di romances medievali che sono legati al calendario, al
solstizio d'inverno, a Calendimaggio o alla festa di un san-
to; oppure a qualche rituale di classe come il torneo. Il
fatto che gli archetipi siano prima di tutto un simbolo co-
municabile spiega chiaramente la facilità con cui le bal-
late, i racconti popolari e i mimi viaggiano per il mondo
infrangendo, come molti dei loro eroi, tutte le barriere di
lingua e di cultura. Ritorniamo al fatto che la letteratura
piu profondamente influenzata dalla fase archetipa del
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

simbolismo dà l'impressione di essere primitiva e popo-


lare.
Con questi due aggettivi intendo dire che essa ha la ca-
pacità di comunicare rispettivamente nel tempo e nello
spazio. D'altra parte essi significano all'incirca la stessa
cosa. Comunemente l'arte popolare è disprezzata dai con-
temporanei colti; essa perde poi il favore del suo pubblico
originario con il sorgere di una nuova generazione; si ini-
zia allora a considerarla sotto l'aspetto del «bizzarro», le
persone colte le dimostrano un certo interesse, e infine es-
sa acquista l'arcaica dignità del primitivo. Questo senso
dell'arcaicità ricorre ogni volta che la grande arte fa uso di
forme popolari, come nelle opere dell'ultimo Shakespeare
e nella Bibbia, là dove si narrano cose meravigliose a pro-
posito di una damigella in pericolo, di un eroe che uccide
draghi, di una strega perversa, e di una favolosa città scin-
tillante di gioielli. L'arcaismo è un regolare aspetto di
tutti gli usi sociali di archetipi. La Russia sovietica è mol-
to orgogliosa della sua produzione di trattori, ma dovran-
no passare molti anni prima che il trattore sostituisca la
falce sulla bandiera sovietica.
Ed è a questo punto che possiamo considerare ed evi-
tare l'errore•di una teoria del mitologico contratto. In al-
tre parole possiamo ammettere il contratto sociale nella
teoria politica se la discussione verte su fatti osservabili
riguardanti l'attuale struttura sociale; ma quando questi
fatti si riferiscono a una favola su avvenimenti talmente
remoti che non vi sono prove per confutarli, e ci viene
detto che in passato gli uomini di comune accordo cedet-
tero o furono costretti con degli stratagemmi a cedere il
loro potere nelle mani di altri uomini a ciò delegati, al-
lora la teoria politica è diventata semplicemente una delle
menzogne pedagogiche di Platone. E poiché l'unica pro-
va di questo remoto evento è costituita dall'analogia con
fatti attuali, la conclusione è che si paragonano i fatti at-
tuali con le loro ombre. Un esattamente analogo processo
fiabesco ha caratterizzato la critica letteraria nei suoi rap-
porti con i miti, e solo di recente essa ha cominciato a
uscire dallo stadio del contratto storico.
Il critico archetipico, in quanto interessato al rituale e
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 143
al sogno, troverà probabilmente materiale molto interes-
sante negli studi compiuti dagli antropologi contempora-
nei sul rituale e dagli psicologi sul sogno: in particolare,
gli studi compiuti sulla base rituale del teatro ingenuo
da Frazer in The Golden Bough e sulla base onirica del
romance ingenuo da Jung e dalla sua scuola gli saranno
di grandissimo aiuto. Ma tra antropologia, psicologia .e
critica letteraria non vi è distinzione netta ed è necessa-
rio guardarsi dal pericolo del determinismo. Per il cri-
tico il rituale è il contenuto dell'azione drammatica, non
la fonte o l'origine di essa. The Golden Bough, dal punto
di vista della critica letteraria, è un saggio sul contenuto
rituale del teatro ingenuo; ricostruisce, cioè, il rituale ar-
chetipo da cui sarebbero derivati logicamente, ma non cro-
nologicamente, i principi strutturali e generici del teatro.
Al critico letterario non importa nulla che un certo ritua-
le abbia avuto, o meno, un'esistenza storica. È molto pro-
babile che l'ipotetico rituale di Frazer abbia numerose e
strette analogie con i rituali reali, e raccogliere tali ana-
logie fa parte dell'argomento da lui studiato; ma una
analogia non è necessariamente né una fonte, né una in-
fluenza, né una causa, né una forma embrionale, né, tanto
meno, una identità. La relazione letteraria fra rituale e
teatro, similmente alla relazione di ogni altra azione uma-
na con il teatro, è esclusivamente la relazione del conte-
nuto con la forma e non la relazione della fonte con la
derivazione.
Il critico si interessa dei moduli rituali e onirici che so-
no presenti nell'opera che sta analizzando, quale che ne
sia l'origine. L'opera degli studiosi che hanno seguito le
orme di Frazer ha prodotto una teoria generale dell'ele-
mento spettacolare o del contenuto rituale del teatro gre-
co. The Golden Bough vuol essere un'opera di antropo-
logia, ma ha avuto maggiore influenza sulla critica lette-
raria che non nel suo specifico campo, e questa potrebbe
essere la prova che in realtà si tratta proprio di un'opera
di critica letteraria. Se il modulo rituale è presente nei
lavori drammatici - ed è un dato di fatto, non un'opinio-
ne: basti come esempio l'Ifigenia in Tauride, in cui uno
dei temi fondamentali è quello del sacrificio umano - il
1 44 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

critico non può prender posizione sulla controversia sto-


rica dell'origine rituale del teatro greco. Perciò il rituale
- come contenuto dell'azione e, piu particolarmente, del-
l'azione drammatica - è qualcosa che è sempre latente nel-
l'ordine delle parole, ed è del tutto indipendente dalle in-
fluenze dirette. Vediamo che anche nel XIX secolo il teatro
di immediato consumo si fa primitivo e popolare, come
nel già ricordato Mikado; e vi ritorna tutto l'apparato di
Frazer, il figlio del re, il sacrificio simulato, l'analogia con
la festività dei Sacea e molte altre cose che Gilbert cono-
sceva, e di cui non gli importava nulla. Vi ritorna perché
costituisce ancora il modo migliore per mantenere desto
l'interesse del pubblico, come l'esperto drammaturgo sa
perfettamente.
Il prestigio della critica documentaria, che si occupa
esclusivamente di fonti e di trasmissione storica, ha indot-
to alcuni critici archetipici a credere che sia possibile far
risalire questi elementi rituali - come si ricostruisce la ge-
nealogia di una dinastia - tanto lontano quanto può per-
metterlo una deliberata mancanza di incredulità. Le enor-
mi lacune cronologiche che ne risultano sono superate da
una particolare teoria della memoria della razza o da certe
concezioni della storia che comprendono segreti custoditi
gelosamente nei secoli da culti e da tradizioni esoteriche.
È abbastanza curioso il fatto che, quando il critico arche-
tipico aderisce a una concezione storicistica, crea imman-
cabilmente una teoria sulla degenerazione continua di una
età dell'oro scomparsa in secoli remoti. Cosi il preludio
alla tetralogia di Giuseppe di Thomas Mann rintraccia pa-
recchi miti riferibili ad Atlantide, considerata non tanto
come idea storica quanto come idea archetipa. Quando nel
xrx secolo la critica archetipica ebbe un periodo di vitalità
particolare con la moda dei miti solari, si cercò di coprirla
di ridicolo provando molto plausibilmente che Napoleone
non era altro che un mito solare. Il ridicolo è reale solo
per una distorsione storica del metodo. Da un punto di
vista archetipico Napoleone diviene un mito solare quan-
do noi parliamo del sorgere della sua fortuna, dello zenit
della sua fama o dell'eclissi della sua gloria.
La storia culturale e sociale, che, in senso lato, è antro-
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 145

pologia, costituirà sempre una parte del contesto della


critica, e quanto piu chiaramente si distingue tra conside-
razione antropologica e critica del rituale tanto piu bene-
fica sarà l'influenza dell'una sull'altra. Lo stesso discorso
vale per la relazione tra psicologia e critica. La prima e
piu importante unità di poesia, che sia piu vasta del sin-
golo componimento poetico è l'opera complessiva di un
poeta. La biografia farà sempre parte della critica, e il
biografo si interessa della poesia della persona di cui si
occupa come di un documento personale che registra i so-
gni privati, le associazioni, le ambizioni, i desideri espressi
o repressi. Indagini di questo genere sono parte essen-
ziale della critica. Naturalmente non mi riferisco a la-
vori di critici privi di serietà che si limitano a tracciare
una pseudocartella clinica del proprio erotismo personale
proiettandolo su un poeta, ma ai lavori di studiosi tecni-
camente competenti sia in fatto di psicologia che di criti-
ca, i quali sanno bene quanto lavoro di congettura ciò com-
porti e quanto provvisorie debbano essere tutte le con
elusioni.
L'indagine di cui stiamo parlando diventa molto piu
semplice e piu vantaggiosa quando viene applicata a quel-
li che prima abbiamo chiamato scrittori tematici del basso-
mimetico e, in particolare, a quelli dell'epoca romantica
che usano frequentemente i loro processi psicologici come
tema di poesia. Con altri scrittori, ad esempio un dram-
maturgo consapevole sin da quando comincia a scrivere
che« coloro che vivono per piacere devono piacere per vi-
vere», vi è il pericolo di astrarre irrealmente il poeta dal-
la sua comunità letteraria. Suppomamo che un critico ab-
bia scoperto che un certo modulo è ripetutamente impie-
gato nei lavori drammatici di Shakespeare. Se l'uso che
Shakespeare ne fa è unico o anomalo o eccezionale, il mo-
tivo di questa scelta particolare potrebbe parzialmente es-
sere psicologko. Se apparisse chiaro che ha persistito nel-
l'uso di questo modulo a dispetto della reazione del pub-
blico, aumenterebbero di molto le probabilità che si tratti
realmente di un motivo psicologico personale, ma se sco-
priamo lo stesso modulo in una dozzina di altri autori a
lui contemporanei dobbiamo dedurne che si tratta di una
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

convenzione. Infine, se scopriamo il nostro modulo in una


dozzina di autori di epoche e culture differenti dobbiamo
concludere che ci troviamo di fronte a un genere, a una
esigenza strutturale del teatro in sé. In realtà, troviamo
nelle commedie di Shakespeare la ripetizione continua di
alcuni espedienti, ed è compito del critico letterario con-
frontare questi espedienti con quelli di altri drammatur-
ghi in uno studio morfologico della forma comica. Altri-
menti non possiamo piu apprezzare, com'è nostro diritto,
l'erudizione di Shakespeare, né scorgere nei ripetuti espe•
clienti delle sue commedie una sorta di Arte della Fuga
della commedia.
Uno psicologo tende a scorgere nelle poesie che esami-
na ciò che scorge nei sogni, cioè un miscuglio di contenu-
ti latenti ed espressi. Per il critico letterario il contenuto
espresso di una poesia è la forma di essa: perciò, il conte-
nuto latente diviene il contenuto effettivo, la dianoia 1 o
tema; e questa dianoia a livello archetipo è sogno, rappre-
sentazione del conflitto fra desiderio e realtà. Solo appa-
rentemente ci troviamo in un circolo chiuso: esiste per il
critico un problema che non appare all'analisi psicologica,
vale a dire quello del contenuto latente comunicabile, del
sogno intelligibile, la concezione platonica dell'arte come
sogno della mente quando è desta. Per lo psicologo tutti
i simboli onirici sono individuali, e vanno interpretati sul-
la base della vita personale di chi sogna; per il critico non
esiste il simbolismo personale o, se esiste, è compito suo
fare in modo che non resti tale.
Questo problema è presente nell'analisi freudiana di
Edipo re, considerata come opera che deve molto della
sua forza al fatto che svolge in forma drammatica il com-
plesso di Edipo. Gli elementi drammatici e psicologici
possono essere concatenati senza alcun necessario riferi-
mento alla vita privata di Sofocle della quale non sappia-
mo nulla. Sono stati in particolare Jung e la sua scuola a
sottolinearne il contenuto impersonale, analizzando la co-
municabilità degli archetipi mediante la teoria dell'incon-

1 L'espressione qui è piuttosto imprecisa, dato che dianoia si riferisce


alla forma.
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 147
scio collettivo, ipotesi che, per quanto posso giudicare,
non è necessaria alla critica letteraria.
Abbiamo visto che ciò che è vero delle intenzioni dello
scrittore, è altrettanto vero dell'attenzione del pubblico.
Entrambe sono centripete e nelle reazioni del pubblico
vi sono correlazioni come nella creazione, correlazioni di
cui il pubblico stesso non è esplicitamente consapevole.
Nell'insieme della reazione solo pochi dettagli riflettono
una relativa consapevolezza. Questo stato di cose permise
per esempio a Tennyson di essere apprezzato per la ca-
stità del suo linguaggio e letto per la sua carica erotica.
Esso rende inoltre possibile a un critico contemporaneo
di far uso di tutte le risorse della sapienza moderna per
spiegare un'opera d'arte senza pericolo di commettere
anacronismi.
Ad esempio Le malade imaginaire è una commedia su
un uomo che nel xvn secolo - che era anche il secolo di
Molière - non era realmente ammalato, ma credeva di es-
serlo. Un critico di oggi potrebbe obbiettare che la vita
non è cosi semplice: è perfettamente possibile che un
malade imaginaire sia un malade véritable, e che il malan-
no di Argan sia il rifiuto di veder crescere i figli, regressio-
ne infantile che la moglie - seconda moglie, si noti - di-
mostra di capire benissimo coccolandolo e mormorandogli
frasi come « pauvre petit fils ». Il critico trova la spiega-
zione del comportamento di Argan in una battuta che egli
dice dopo la scena con la piccola Louison (la cui natura
erotica il critico non manca di rilevare): « Il n'y a plus
d'enfants ». In conclusione questo tipo di lettura, giusto
o sbagliato che sia, non si allontana dal testo di Molière,
eppure non ci dice nulla su Molière stesso. Il lavoro ap-
partiene al genere della commedia; deve terminare feli-
cemente; Argan deve ritrovare la ragione; la moglie, la
cui funzione drammatica è di alimentare le sue ossessioni,
deve quindi essere «smascherata» come a lui ostile. L'in-
treccio, consiste in un rituale che tende alla rimozione
del capro espiatorio, seguita da un matrimonio, e il tema
è quello del modulo onirico del desiderio irrazionale in
conflitto con la realtà.
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

Ci occuperemo in un altro saggio di questo libro dei


dettagli e dell'esercizio della critica archetipica; per ora
ci limitiamo all'analisi del posto che essa occupa nel con-
testo della critica come un tutto unico. Sotto l'aspetto
archetipico l'arte è una parte della civiltà, civiltà che de-
finiamo come un processo di costruzione di una forma
umana dalla natura. L'aspetto di questa forma umana è
rivelato dalla civiltà stessa nel corso del suo sviluppo;
elementi fondamentali sono la città, il giardino, la fatto-
ria, l'ovile e simili, oltre alla società umana stessa. Nor-
malmente un simbolo archetipo è un oggetto naturale con
un significato umano, ed è parte della visione critica del-
l'arte come prodotto civile, visione delle mete del lavoro
umano.
Una tale concezione è portata a idealizzare alcuni aspet-
ti della civiltà e a ridicolizzarne o ignorarne altri: cioè, il
contesto sociale è anche il contesto morale dell'arte. Tutti
gli artisti devono venire a patti con le comunità di cui fan-
no parte; molti artisti, e molti grandi artisti, sono lieti di
esserne i portavoce. Ma dal punto di vista morale il poeta
riflette e segue a distanza ciò che la sua comunità raggiun-
ge attraverso il lavoro. Di conseguenza, la visione morale
dell'artista invariabilmente esige che egli assista il lavoro
della società cui appartiene formulando plausibili ipotesi,
inquadrando l'attività e il pensiero umani, cosi da sugge-
rire, per l'una e per l'altro, modelli attuabili. Se non fa
questo, le sue ipotesi dovrebbero almeno essere chiara-
mente etichettate come scherzose e fantastiche. Questa
è, grosso modo, la concezione marxista dell'arte, che ri-
prende gli argomenti addotti nell'ultima parte della Re-
pubblica platonica. Vi si dice, se dobbiamo accettare tali
argomenti come vengono formulati, che secondo giusti-
zia, o secondo una corretta concezione del lavoro sociale,
il letto del pittore è un'imitazione esterna del letto co-
struito dall'artigiano. L'artista dunque è costretto a imi-
tare o ad allontanarsi dal mondo creato dal vero lavora-
tore.
Abbiamo adottato in questo saggio il principio che gli
avvenimenti e le idee della poesia siano rispettivamente
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 149
imitazioni ipotetiche della storia e degli scritti discorsivi,
i quali, a loro volta, sono imitazioni verbali dell'azione e
del pensiero. Questo principio ci porta a considerare la
poesia come imitazione secondaria della realtà. Tuttavia
interpretiamo la mimesis non come «reminiscenza» pla-
tonica, ma come emancipazione dell'esteriore nell'imma-
gine, della natura nell'arte. Da questo punto di vista l'o-
pera d'arte deve essere l'oggetto di se stessa 1 ; non può
essere, in ultima analisi, descrittiva di qualcosa e non
può neppure essere, in ultima analisi, riferita a nessun
altro sistema di fenomeni, norme, valori o cause finali.
Tutte queste relazioni esterne fanno parte dell' « errore
intenzionale». La poesia è veicolo di morale, verità, bel-
lezza; tuttavia il poeta non mira a queste cose ma sol-
tanto a una forza verbale interiore. Il poeta in quanto
poeta intende soltanto scrivere una poesia, ma di regola
non è il poeta che governa questa attività, bensf l'ego del-
l'artista il quale fuorvia dal proprio lavoro per andare a
caccia di questi altri seducenti fuochi fatui.
È un assioma elementare per la critica che, moralmen-
te, l'agnello e il leone si trovano sullo stesso piano. Bu-
nyan e Rochester, Sade e Jane Austen, The Miller's Tale
e The Second Nun's Tale, sono tutti elementi di una edu-
cazione umanistica, alla quale l'unico criterio morale che
si può applicare è quello della dignità letteraria. Allo stes-
so modo, l'atteggiamento morale assunto dal poeta nella
sua opera deriva in gran parte dalla struttura di essa. Che
Le malade imaginaire sia una commedia è l'unico motivo
che faccia della moglie di Argan una ipocrita; ci si deve
sbarazzare di lei perché il lieto fìne lo esige.
La ricerca della bellezza è una sciocchezza molto peg-
giore che la ricerca della verità o della bontà, poiché offre
delle tentazioni molto piu forti all'ego dell'artista. Come
la verità e la bontà, la bellezza è una qualità che può esse-
re predicato di ogni grande arte, ma la d~liberata ricerca
di essa può, in se stessa, soltanto svilire la forza creativa.
La bellezza nell'arte è come la felicità nella morale: può
accompagnare l'atto, ma non può essere lo scopo dell'at-
1 Ilo preso questa espressione da una conferenza di Jacques Maritain.
150 CRI'l'ICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

to, esattamente come non si può « ricercare la felicità»,


bens{ solo qualcosa d'altro che dia la felicità. La ricerca
della bellezza produce al massimo il piacevole, cioè, quel
tipo di bellezza che si può definire con la parola amabilità,
una qualità che deriva da una scelta estremamente limita-
ta sia di soggetto che di tecnica. Un pittore di soggetti re-
ligiosi, ad esempio, può realizzare questa qualità solo sino
a quando le chiese gli commissioneranno Madonne; se
una chiesa gli richiede una Crocifissione, dovrà per forza
dipingere crudeltà ed orrore.
Quando definiamo «bello» il corpo umano, pensiamo
normalmente al corpo di un individuo in buona salute tra
i diciotto ed i trent'anni, e se, ad esempio, Degas ci mo-
stra quadri rappresentanti donne dalle natiche robuste che
sguazzano in una tinozza confondiamo l'offesa alla nostra
decenza con un giudizio estetico. Ogni qualvolta la parola
bellezza assume il significato di piacevole e di amabile, co-
me non può non accadere quando se ne fa lo scopo del-
1'arte, essa assume un significato reazionario; perché ten-
de a restringere o il numero delle cose che un artista può
scegliere come soggetto della sua opera, o il metodo che
egli sceglie per trattare il suo argomento, e a convogliare
tutte le forze del pudore per rinchiuderne la visione in un
arido ed insipido pseudo-classicismo. Ruskin lo fece con
molte delle sue piu fini intuizioni critiche; Tennyson svi-
gori spesso in questo modo la sua poesia, ed in molti altri
estetisti della stessa epoca possiamo notare chiaramente
gli effetti del desiderio nevrotico di bellezza. Si giunge ad
un salto esagerato dello stile, a una tecnica che fa sembra-
re tutto simile in un'opera d'arte, e anche in un lavoro
teatrale; e tutto simile all'autore, all'autore nel suo mo-
mento di grazia. A questo punto la vanità dell'ego ha so-
stituito l'orgoglio dell'artigiano.
La terza fase, quella formale, della narrazione e del si-
gnificato, per quanto comprenda le relazioni esterne della
letteratura con i fatti e le idee, ciò non di meno ci porta
in definitiva alla visione estetica dell'opera d'arte come
oggetto di contemplazione, techne destinata ad essere or-
namento e piacere piu che ad essere usata. Questa opinio-
ne ci porta a separare gli oggetti estetici dagli altri arte-
IL SIMBOLO COME ARCHETIPO 151

fatti, ed a postulare una esperienza estetica diversa dalle


altre esperienze. Come per il bibliografo la letteratura è
un aggregato di tutti i libri, i lavori drammatici, le poesie
che sono stati scritti, cosi per il critico estetico essa è una
serie di particolari, e a volte vagamente sacramentali ap-
prensioni. Non vi è motivo di non apprezzare questa con-
cezione per i suoi lati validi; la si può riprovare solo quan-
do essa esclude altre impostazioni.
La concezione archetipica della letteratura tratta la let-
teratura come una forma totale e l'esperienza letteraria
come una parte di quel continuum che è la vita, in cui
uno degli scopi del poeta è rendere visibili le mete del la-
voro umano. Non appena aggiungiamo questa impostazio-
ne alle altre tre, la letteratura diviene uno strumento eti-
co, e superiamo il dilemma dell'aut-aut kierkegaardiano
tra idolatria estetica e libertà morale senza essere tentati
di sacrificare le arti. Di qui l'importanza, per chi abbia ac-
cettato una tale concezione della letteratura, di rifiutare
le mete esterne della bellezza, della verità, della morale.
Il fatto di essere esterne le rende idolatriche e demonia-
che. Ma se nessuna regola sociale, morale o estetica è, in
ultima analisi, determinante del valore dell'arte, ne con-
segue che la fase archetipica, in cui l'arte è parte della ci-
viltà, non può essere la definitiva. Deve esserci un'altra
fase in cui possiamo passare dalla civiltà, in cui la poesia
è utile e funzionale: alla cultura, in cui essa è disinteressa-
ta e liberale e autonoma.
Fase anagogica: il simbolo come monade

Tracciando le differenti fasi del simbolismo letterario,


abbiamo seguito uno schema parallelo a quello della cri-
tica medievale. Però abbiamo stabilito un diverso signifì-
cato per la parola «letterale». Il nostro livello descrittivo
o secondo livello, corrisponde al livello letterario o sto-
rico dello schema medievale o, per lo meno, alla sua ver-
sione dantesca. Il nostro terzo livello, commento e inter-
pretazione, è il secondo livello, o livello allegorico, medie-
vale. Il nostro quarto livello, quello in cui si studiano i
miti e la poesia come tecnica di comunicazione sociale è il
terzo livello medievale del significato morale e tropologi-
co che si riferisce agli aspetti sociali e, al tempo stesso, a
quelli figurativi del significato. La distinzione medievale
tra l'allegorico o quello che uno crede (quid credas) e la
morale o quello che uno fa (quid agas), si riflette anche
nella nostra concezione della fase formale come estetica
e speculativa e della fase archetipica come sociale e facente
parte della continuità del lavoro. Bisogna vedere ora se
possiamo trovare un corrispondente moderno della conce-
zione medievale anagogica o del significato universale.
Il lettore può avere inoltre notato il parallelismo che si
è delineato tra le cinque parti del nostro saggio preceden-
te e le fasi del simbolismo in questo saggio. Il significato
letterale, come noi l'abbiamo interpretato, è molto vicino
alle tecniche della tematica ironica introdotte dal simboli-
smo e alle opinioni di molti dei« nuovi» critici per i qua-
li la poesia è innanzitutto (letteralmente) una struttura
ironica. Il simbolismo descrittivo, visto nel suo apice di
estrema intransigenza, cioè nel naturalismo documenta-
IL SIMBOLO COME MONADE 1 53

rio del XIX secolo, pare essere strettamente connesso con


il simbolismo basso-mimetico, e il simbolismo formale.,
quale si può scorgere nelle opere degli scrittori rinasci-
mentali e neoclassici con quello alto-mimetico. La critica
archetipica trova il suo centro di gravità nel modo del ro-
mance quando l'interscambio tra ballate, racconti popo-
lari e fìabe era frequentissimo. Se il parallelo è valido,
l'ultima fase del simbolismo sarà anch'essa in relazione,
come la precedente, con l'aspetto mitopoietico della let-
teratura, intendendo però il mito nel senso piu stretto e
piu tecnico di finzione; e i suoi temi verteranno su esseri
e forze divini e quasi divini.
Abbiamo associato gli archetipi, e in particolare i miti,
con la letteratura primitiva e popolare. In realtà potrem-
mo quasi definire la letteratura popolare, in modo - biso-
gna riconoscerlo - alquanto circolare, come la lettera-
tura che offre una chiara visione degli archetipi. Trovia-
mo questa particolarità ad ogni livello letterario: nelle
fìabe e nei racconti popolari, in Shakespeare (in molte
delle sue commedie), nella Bibbia (che sarebbe ancora un
libro popolare se non fosse un libro sacro), in Bunyan,
in Richardson, in Dickens, in Poe, e naturalmente anche
in molta infima ed effimera letteratura. All'inizio del li-
bro avevamo notato che non si può istituire un rapporto
tra popolarità e valore, ma vi è anche il pericolo di ridur-
re la letteratura ad un fenomeno essenzialmente primi-
tivo e popolare. Questa opinione ebbe molta fortuna nel
XIX secolo e non è morta neppure oggi, ma se dovessi-
mo adottarla saremmo costretti a escludere dalla nostr'a
analisi una terza ed importantissima fonte per la critica
archetipica.
Sappiamo che molti scrittori oscuri e colti, la cui opera
richiede un paziente lavoro d'analisi, sono chiaramente
scrittori mitopoietici: ne sono esempi Dante e Spenser, e
nel nostro secolo quasi tutti gli scrittori «difficili», siano
essi poeti o prosatori. Le opere di questi scrittori, se sono
opere di immaginazione, si basano spesso sul teatro in-
genuo (Faust, Peer Gynt) o sul romance ingenuo (Haw-
thorne, Melville; si vedano ai nostri giorni le sofisticate
allegorie di Charles Williams e C. S. Lewis, che sono
1 54 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

largamente basate sul Boy's Own Paper). La mitopoie-


si colta, quella dell'ultimo periodo di James, o quella di
Joyce, può essere particolarmente complessa; ma la com-
plessità ha lo scopo di rivelare e non di nascondere il mi-
to. Non è lecito supporre che un mito primitivo e popola-
re sia stato involto come una mummia in una verbosità
elaborata: conclusione a cui giunge chi accetta l'ipotesi
riduttiva. Se ne può forse inferire che il colto ed il sot-
tile, cosf come il primitivo ed il popolare, tendono verso
un centro di esperienza immaginativa.
Sapendo che The Two Gentlemen of Verona è prece-
dente a The Winter's Tale lo studioso si aspetta che la
seconda commedia sia molto piu complessa e difficile del-
la prima; ma potrebbe non aspettarsi che essa sia an-
che, come di fatto è, piu arcaica e primitiva, piu ricca di
suggestioni dovute a miti e rituali antichi. La seconda
commedia è anche piu popolare, ma non nel senso che of-
fre a un pubblico piccolo-borghese ciò che esso crede
di desiderare. Come risultato dell'esprimere le forme in-
time del teatro con maggior forza ed intensità, Shake-
speare giunse in ultimo alla vetta dell'arte drammatica,
lo spettacolo « romantic » dal quale in definitiva proven-
gono, e al quale spesso ritornano, tutte le altre forme
specializzate di teatro come la tragedia e la commedia
sociale. Nei momenti piu alti dell'opera di Dante e di
Shakespeare, come in The Tempest o nel climax del Pur-
gatorio, abbiamo l'impressione di un convergere di si-
gnificati, la sensazione di essere vicini a cogliere il signi-
ficato di tutta la nostra esperienza letteraria, la sensa-
zione di esserci accostati al centro immobile dell'ordine
delle parole. La critica come conoscenza, la critica che
avverte la necessità di aderire strettamente al proprio og-
getto, riconosce che esiste un centro dell'ordine delle
parole.
Se tale centro non esistesse, nulla impedirebbe alle
analogie fornite dal genere e dalla convenzione di rima-
nere una infinita serie di associazioni libere, suggestive
quanto si vuole, talvolta al limite della creazione, ma pri-
ve in ogni caso della capacità di costruire una struttura
reale. Lo studio degli archetipi è lo studio dei simboli let-
IL SIMBOLO COME MONADE 155
terali come parti di un tutto. Se esistono gli archetipi, al-
lora dobbiamo fare un altro passo avanti e ammettere la
possibilità di un universo letterario autonomo. O la cri-
tica archetipica è un fuoco fatuo, un infinito labirinto
senza vie d'uscita, oppure dobbiamo ritenere che la let-
teratura sia una forma totale e non semplicemente un no-
me con cui indicare il complesso di tutte le opere lettera-
rie esistenti. Abbiamo già parlato della concezione mitica
della letteratura che immagina un ordine naturale imita-
to da un ordine verbale corrispondente.
Se gli archetipi sono simboli comunicabili ed esiste un
centro di archetipi, dovremmo ragionevolmente trovare
in questo centro un gruppo di simboli universali. Non in-
tendo dire che esiste un codice archetipico presente nella
memoria di tutte le società umane senza eccezioni, ma
che alcuni simboli sono immagini di oggetti comuni a
tutti e hanno una capacità di comunicazione che è poten-
zialmente illimitata. Tali simboli comprendono quelli del
cibo e della bevanda, della ricerca o viaggio, della luce
e delle tenebre, della soddisfazione sessuale che prende
normalmente la forma di matrimonio. Non è consiglia-
bile ritenere che il mito di Adone o di Edipo sia univer-
sale, o che certe associazioni come quella del serpente
con il fallo siano universali, poiché quando scopriamo
un gruppo di persone che ignorano questi fatti dovrem-
mo dedurne che sapevano e hanno dimenticato, o che
sanno e non vogliono parlare, o che non fanno parte del-
la razza umana. D'altro canto bisognerebbe escluderli
dalla razza umana se non comprendessero il significato
del cibo; e di conseguenza ogni simbolismo basato sul ci-
bo deve essere ritenuto universale nel senso che ha una
portata indefinitamente estensibile: non esistono cioè li-
miti alla sua intelligibilità.
Nella fase archetipa l'opera letteraria è un mito e riu-
nisce il rituale e il sogno. Cosi: facendo limita il sogno e
lo rende accettabile e plausibile alla desta coscienza so-
ciale. Come un fatto morale nella civiltà, la letteratura
assorbe una gran parte dello spirito che nel sogno è chia-
mato censura. Ma la censura ostacola l'impeto del sogno.
Quando consideriamo il sogno nel suo complesso possia-
156 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

mo notare tre cose: primo, il suo limite non è il reale ma


il concepibile; secondo, il limite del concepibile è il mon-
do del desiderio soddisfatto, emancipato da tutte le an-
sietà e frustrazioni; terzo, l'universo del sogno è tutto
nella mente del sognatore.
Nella fase anagogica la letteratura imita il sogno totale
dell'uomo e cosi imita i pensieri di una mente umana che
si trova alla circonferenza e non al centro della sua realtà.
Vediamo qui completarsi la rivoluzione immaginativa ini-
ziata con il passaggio dalla fase descrittiva alla fase for-
male del simbolismo. Con tale passaggio l'imitazione del-
la natura si trasforma da riflesso della natura esterna in
un'organizzazione formale di cui la natura era il contenu-
to. Ma nella fase formale la singola poesia è ancora conte-
nuta dalla natura e nella fase archetipa il complesso della
poesia è ancora contenuto nei limiti del naturale e del
plausibile. Giungendo alla fase anagogica, la natura non è
piu il contenente ma il contenuto, e i simboli universali
archetipi come la città, il giardino, la ricerca, il matrimo-
nio non sono piu le forme desiderabili che l'uomo costrui-
sce nella natura, ma sono essi stessi le forme della natura.
La natura è dentro la mente di un uomo infinito che con
la Via Lattea costruisce le sue città. Questa non è la realtà
ma il limite concepibile o immaginativo del desiderio che
è infinito, eterno e di conseguenza apocalittico. Per apo-
calisse intendo prima di tutto la concezione immaginativa
del complesso della natura come contenuto di un infinito
ed eterno corpo vivente, il quale, anche se non umano, è
piu vicino a essere umano che a essere inanimato. «Il de-
siderio dell'uomo essendo infinito - dice Blake - il pos-
sesso è infinito ed egli stesso infinito». Se questa testimo-
nianza appare sospetta, possiamo citare Hooker: « Che ci
sia qualcosa di piu alto di queste due perfezioni ( quella
sensuale e quella intellettuale) è sufficientemente dimo-
strato dal processo stesso del desiderio umano che, in
quanto naturale, rimarrebbe sempre frustrato se non vi
fosse per esso un piu lontano oggetto di soddisfazione:
soddisfazione che gli è negata dall'oggetto piu vicino».
Per quanto riguarda il rituale, vi scorgiamo un'imita-
zione della natura che ha in sé una forte componente di
IL SIMBOLO COME MONADE 157
ciò che chiamiamo magia. La magia sembra essere uno
sforzo volontario tendente a riconquistare un rapporto
perduto con il ciclo naturale. Questo senso di deliberata
riconquista di qualcosa che non si possiede piu è uno dei
segni distintivi del rituale umano. Il rituale costruisce un
calendario e si sforza di imitare l'esattezza precisa e sen-
sibile dei movimenti dei corpi celesti e la corrispondente
reazione del mondo vegetale. Il contadino deve mietere in
un periodo stabilito dell'anno, ma poiché deve farlo co-
munque, la mietitura in se stessa non è un rituale. È l'e-
spressione di una volontà di sincronizzare le energie uma-
ne e naturali in un determinato periodo a produrre i can-
ti, i sacrifici e le tradizioni popolari della mietitura che
noi associamo con il rituale. Ma nel rituale l'impulso del-
l'elemento magico è chiaramente volto verso un universo
in cui una natura ottusa ed indifferente non contiene piu
la società umana, ma è contenuta in questa società e deve
far piovere o far risplendere il sole secondo i desideri del-
l'uomo. Osserviamo nuovamente che il rituale tende a di-
ventare non solo ciclico, ma anche enciclopedico. Nella
sua fase anagogica, dunque, la poesia imita l'azione uma-
na come rituale totale e cosf imita l'azione di una onnipo-
tente società umana che ha in sé tutti i poteri naturali.
La poesia da un punto di vista anagogico unisce dun-
que il rituale totale, o azione sociale illimitata, con il so-
gno totale o pensiero individuale illimitato. Il suo uni-
verso è un'ipotesi infinita e illimitata: non può essere con-
tenuto in nessuna cultura o complesso di valori morali at-
tuali per gli stessi motivi per i quali nessuna struttura di
imagery' può essere confinata in un'interpretazione alle-
gorica. A questo punto la dianoia dell'arte non è piu una
mimesis logou, ma il Logos, la parola formante che è ora-
gione o, come sostiene Faust in Goethe, praxis o atto crea-
tivo. L'ethos dell'arte non è piu un gruppo di personaggi
dentro uno scenario naturale, ma è l'uomo universale che
è anche un essere divino, o è un essere divino concepito
in forma antropomorfica.
La Scrittura o rivelazione apocalittica è la forma lette-
1 [Insieme, complesso di immagini].
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

raria piu influenzata dalla fase anagogica. Il dio (divinità


tradizionale, eroe glorificato o poeta giunto all'apoteosi)
è l'immagine centrale a cui ricorre la poesia per convo-
gliare il senso di una forza illimitata in una forma umana.
Molte di queste scritture sono testi religiosi e presentano
quindi una mescolanza di elementi fantastici ed esisten-
ziali. Quando perdono il loro contenuto esistenziale, di-
ventano puramente fantastiche, come accadde alla mito-
logia classica dopo l'avvento del cristianesimo. Essi ap-
partengono in generale, naturalmente, al modo mitico o
teogonico. Scorgiamo il rapporto con l'anagogia anche nel-
l'ampia struttura enciclopedica della poesia che appare
come un mondo in se stessa, e poggia sulla sua cultura
come un'inesauribile riserva di suggestioni fantastiche:
essa sembra potersi applicare, come la teoria della gravi-
tazione e quella della relatività nell'universo fisico, a tut-
te le parti dell'universo letterario, o essere in rapporto di
analogia con esse. Simili opere sono miti definitivi o orga-
nizzazioni complete di archetipi. Esse contengono ciò che
nel saggio precedente abbiamo definito analogie di rivela-
zioni: è il caso dei poemi di Dante e Milton, e dei loro
equivalenti negli altri modi.
Ma la prospettiva anagogica non deve essere limitata
soltanto a quelle opere che paiono comprendere tutto,
poiché il principio dell'anagogia non è che il tutto è il te-
ma della poesia, ma che qualsiasi cosa può esserlo. Il senso
dell'unità infinitamente variata della poesia può essere e-
spresso non solo esplicitamente da un'epica apocalittica,
ma implicitamente da ogni poesia. Abbiamo detto che po-
tremmo farci una completa cultura umanistica partendo
da una qualsiasi opera poetica, da L·ycidas per esempio, e
seguendone gli archetipi attraverso la letteratura, Il cen-
tro dell'universo letterario può quindi essere qualsiasi
poesia ci accada di leggere. Ancora un passo e la poesia
appare come un microcosmo di tutta la letteratura, una
manifestazione individuale dell'ordine totale delle parole.
Anagogicamente dunque il simbolo è una monade, essen-
do tutti i simboli uniti in un unico infinito ed eterno sim-
bolo verbale che, come dianoia, è il Logos e, come my-
thos, è l'atto totalmente creativo. È questa l'idea espressa
IL SIMBOLO COME MONADE 159
da Joyce, in termini di contenuto, come «epifania», e da
Hopkins, in termini di forma, come « inscape » 1 •
Se per esempio esaminiamo Lycidas anagogicamente,
notiamo che il protagonista dell'elegia è stato identificato
in un dio che personifica sia il sole che tramonta la sera
nell'Oceano occidentale sia la vita vegetale che si spegne
in autunno. L'ultimo aspetto di Lycidas è quello di Adone
o Tammuz la cui « ferita annuale», come la definisce altro-
ve Milton, era il tema di un pianto rituale nella religione
mediterranea ed è stata incorporata nell'elegia pastorale a
partire da Teocrito come dimostra chiaramente il titolo
dell'Adonais di Shelley. Come poeta, l'archetipo di Lyci-
das è Orfeo, che mori giovane, rappresentando la stessa
parte di Adone, e fu gettato nell'acqua. Come prete il suo
archetipo è Pietro, che sarebbe annegato nel« lago di Ga-
lilea» senza l'aiuto di Cristo. Ogni aspetto di Lycidas po-
ne il problema della morte prematura riferita alla vita del-
l'uomo, della poesia e della Chiesa. Ma tutti questi aspet-
ti sono contenuti nella figura di Cristo, il giovane dio mo-
rente che è eternamente vivo, la Parola che contiene ogni
poesia il capo ed il corpo della Chiesa, il Buon Pastore il
cui mondo pastorale non conosce inverno, il Sole della
giustizia che non tramonta, la cui forza può sollevare Ly-
cidas, come Pietro, dalle onde, poiché egli redime le ani-
me dal mondo inferiore, cosa che non riusci ad Orfeo.
Cristo non entra nella poesia come personaggio, ma ne
pervade a tal punto ogni verso che la poesia, se cosi pos-
siamo esprimerci, entra in lui.
La critica anagogica è normalmente in rapporto diretto
con la religione ed è soprattutto riconoscibile nei piu liberi
sfoghi dei poeti. La troviamo nei quartetti di Eliot, là do-
ve le parole del poeta sono poste all'interno del contesto
della Parola incarnata. Un'affermazione ancora piu espli-
cita la troviamo in una lettera di Rilke 2 in cui si parla
della funzione del poeta come rivelatore di una prospetti-
va della realtà simile a quella di un angelo, che contiene
tutto lo spazio e il tempo, e che, essendo cieco, guarda

1 [Alla lettera: «fuga dentro»].


2 Lettera a Ellen Delp del 27 ottobre 1915.
160 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

dentro se stesso. L'angelo di Rilke è una modificazione del


dio o del Cristo, piu frequentemente utilizzati, e la sua
affermazione è tanto piu significativa in quanto è dichia-
ratamente non cristiana, ed illustra l'indipendenza della
prospettiva anagogica, il tentativo del poeta di parlare
dalla circonferenza, anziché dal centro della realtà e in no-
me di una specifica religione. Simili vedute sono espresse
o sottintese nell'idea di Valéry di un'intelligenza totale
che è rappresentata nell'immaginario personaggio di Mon-
sieur Teste; nelle velate affermazioni di Yeats sull'artifi-
cio dell'eternità e, in The Tower e altrove, sull'uomo co-
me creatore di tutta la creazione, della vita e della morte;
nell'uso non teologico di Joyce del termine teologico epi-
fania; negli inni esultanti di Dylan Thomas ad un corpo
umano universale'. Notiamo di passaggio che quanto piu
chiaramente distinguiamo la funzione del poeta da quella
del critico, tanto piu facilmente potremo prendere sul se-
rio ciò che i grandi scrittori hanno detto sulla propria
opera.
La visione anagogica della critica conduce cosi alla con-
cezione della letteratura come esistente nel suo proprio
universo, non piu un commento sulla vita e la realtà ma
qualcosa che contiene vita e realtà in un sistema di rela-
zioni verbali. Da questo punto di vista il critico non può
piu continuare a considerare la letteratura come un picco-
lo palazzo dell'arte con vista su una «vita» inconcepibil-
mente gigantesca. La «vita» è diventata per lui il terreno
da semina della letteratura, una grande massa di potenzia-
li forme letterarie, delle quali soltanto alcune cresceranno
nel piu vasto mondo dell'universo letterario. Simili uni-
versi esistono per tutte le arti. « Noi costruiamo per noi
stessi riproduzioni pittoriche di fatti» ha scritto Witt-
genstein, ma per riproduzioni pittoriche egli intende illu-
strazioni rappresentative che non sono riproduzioni. Le
riproduzioni, in quanto pittoriche, sono esse stesse dei

1 Si potrebbe aggiungere la grandiosa meditazione sul tempo nella se-


conda parte di Le temps retrouvé. Ci si chiede se siano solo dubbi giochi
verbali a connettere la prospettiva anagogica in letteratura e la concezione
kantiana dell' « estetica trascendentale» o della consapevolezza a priori del-
lo spazio e del tempo.
IL SIMBOLO COME MONADE

fatti ed esistono solo in un universo pittorko. «Tout, au


monde - dice Mallarmé - existe pour aboutir à un livre ».

Ci siamo occupati sinora dei simboli come unità isolate,


ma è chiaro che l'unità di relazione fra due simboli, corri-
spondente alla frase musicale, è di uguale importanza. La
critica da Aristotele in poi testimonia quasi unanimemen-
te che quest'unità di relazione è la metafora. La metafora
nella sua forma radicale è una affermazione di identità del
ti po « A è B », o, piuttosto, usando la sua specifica forma
ipotetica, è del tipo «supponiamo che A sia B». Cosl'. la
metafora rifiuta il significato descrittivo comune e presen-
ta una struttura che, presa alla lettera, è ironica e para-
dossale. Nel significato descrittivo comune, se « A è B »
ne discende che « B è A », e ciò che in realtà diciamo è
che «A è se stesso». Nella metafora due oggetti vengono
identificati mantenendo entrambi la propria forma. Cosf
se diciamo: « l'eroe era un leone», identifichiamo l'eroe
con il leone, mentre allo stesso tempo l'eroe e il leone so-
no identificati come se stessi. L'opera letteraria deve la
sua unità a questo processo di identificazione con, e la sua
varietà, chiarezza, intensità all'identificazione come.
Al livello letterale del significato, la metafora appare
nella sua forma letterale, che è di semplice giustapposi-
zione. Ezra Pound, spiegando questo aspetto della meta-
fora, usa la figura illustrativa dell'ideogramma cinese che
esprime un'immagine complessa unendo un gruppo di ele-
menti senza predicato. Nel noto, didattico esempio poun-
diano di questa metafora e cioè la poesia di due versi In a
Station of the Metro, le immagini dei visi della folla e dei
petali sul ramo nero sono giustapposte senza alcun predi-
cato che le unisca. Il predicato appartiene all'asserzione e
al significato descrittivo, e non alla struttura letterale del-
la poesia.
Al livello descrittivo esiste la doppia prospettiva della
struttura verbale e del fenomeno a cui essa si riferisce. In
questo caso il significato è «letterale» nel senso comune
del termine che, come abbiamo detto, non va bene per la
critica, un allineamento non ambiguo di parole e di fatti.

6
162 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

Dal punto di vista descrittivo, dunque, tutte le metafore


sono similitudini. Quando ricorriamo a una metafora in
una nòrmale prosa descrittiva, non affermiamo che « A è
B », ma diciamo «realmente» che A è paragonabile sotto
alcuni punti di vista con B; un fatto analogo avviene quan-
do estraiamo il significato descrittivo o parafrasabile di
una poesia. Al livello descrittivo, dunque, «l'eroe era un
leone» è un paragone da cui è stato omesso « simile a»
per maggior vivacità e per indicare piu chiaramente che
l'analogia è soltanto ipotetica. Nella poesia di Whitman
Out o/ the Craddle Endlessly Rocking ci sono ombre « che
si accoppiano e si contorcono come se fossero vive» ed
una luna gonfia« come di lacrime». Non esistendo un mo-
tivo poetico che impedisca alle ombre di essere vive o alla
luna di essere piena di lacrime, possiamo forse scorgere
nel cauto «come» l'intervento dell'atteggiamento che si
esprime nella prosa discorsiva del livello basso-mimetico.
Al livello formale, dove i simboli sono immagini o fe-
nomeni naturali concepiti come materia o contenuto, la
metafora è una analogia di proporzione naturale. Letteral-
mente la metafora è una giustapposizione; diciamo sem-
plicemente« A, B ». Descrittivamente diciamo« A è (simi-
le a) B ». Ma sul piano formale diciamo « A è come B ».
Una analogia di proporzione richiede quindi quattro ter-
mini, due dei quali hanno un fattore in comune. Cosf « l'e-
roe era un leone», come forma di espressione il cui conte-
nuto interno è la natura, significa che l'eroe è per il corag-
gio umano quello che il leone è per il coraggio animale,
essendo il coraggio il fattore comune al terzo ed al quarto
termine.
Dal punto di vista archetipico, per il quale il simbolo è
un grappolo associativo, la metafora unisce due immagini
individuali ciascuna delle quali rappresenta una classe o
genere. La rosa nel Paradiso di Dante e la rosa nelle pri-
me poesie di Yeats sono identificate con cose diverse, ma
rappresentano entrambe tutte le rose: naturalmente quel-
le poetiche e non quelle botaniche. La metafora archetipi-
ca implica quindi l'uso di ciò che è stato definito l'univer-
sale concreto, l'individuale identificato con la sua classe,
!'«albero fra tanti altri» di Wordsworth. È naturale che
IL SIMBOLO COME MONADE

in poesia non esistano degli universali reali, ma solo poe-


tici. Nella Poetica Aristotele, trattando della metafora,
analizza, sia pur brevemente ed ellitticamente, tutti que-
sti aspetti.
Nell'aspetto anagogico del significato, la forma radica-
le della metafora « A è B » ha il suo terreno di elezione. Ci
stiamo ora occupando della poesia nella sua totalità, in
cui la formula « A è B » può essere applicata ipoteticamen-
te a tutto poiché non esiste metafora, neppure « il bianco
è nero», che il lettore possa con diritto contestare a prio-
ri. L'universo letterario è perciò un universo in cui ogni
cosa è potenzialmente identica ad ogni altra. Ciò non si-
gnifica però che in questo universo due cose siano contem-
poraneamente separate e molto simili, come i piselli nel
baccello o come due gemelli (che volgarmente ed erronea-
mente vengono definiti identici). Se i gemelli fossero real-
mente identici, sarebbero la stessa persona. D'altro canto
un uomo adulto si sente identico a quando aveva sette an-
ni benché le due manifestazioni della sua identità, l'uo-
mo ed il ragazzo, abbiano poco in comune per quanto ri-
guarda somiglianza e affinità. Uomo e ragazzo sono molto
dissimili per forma, personalità, tempo e spazio: non mi
viene ora in mente alcun'altra immagine che illustri il pro-
cesso di identificazione di due forme indipendenti. Tutta
la poesia, dunque, procede come se tutte le immagini poe-
tiche fossero contenute in un singolo corpo universale.
L'identità è l'opposto della somiglianza, e l'identità to-
tale non è uniformità (meno ancora monotonia) ma unità
di cose diverse.
L'identificazione, infine, appartiene non solo alla strut-
tura della poesia, ma anche a quella della critica, per lo
meno del commento. L'interpretazione procede per meta-
fore come la creazione ed anche in modo piu esplicito.
Per esempio san Paolo interpretando la storia delle mo-
gli di Abramo nella Genesi dice che Agar «è» il monte
Sinai in Arabia. La poesia, ha scritto Coleridge1, è l'iden-
tità della conoscenza.
1 Co/eridge's Miscellaneous Criticism, a cura di T. M. Raysor (1936),
p. 343.
CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

L'universo della poesia, tuttavia, è un universo lettera-


rio e non un universo esistenziale separato. Apocalisse si-
gnifica rivelazione, e l'arte, quando diventa apocalittica,
rivela. Ma rivela esclusivamente nei termini e nelle for-
me che le sono propri: non descrive né rappresenta un
contenuto separato di rivelazione. Quando il poeta ed il
critico passano dalla fase degli archetipi a quella anagogi-
ca, penetrano in una fase di cui soltanto la religione, o
qualcosa di infinito nel suo ambito come la religione, può
costituire la meta esterna. L'immaginazione poetica finisce
per soffrire di claustrofobia se non le è permesso di par-
lare che della natura umana e di quella subumana, a me-
no che si autodisciplini come in Hardy e Housman; ed i
poeti sono servitori piu felici della religione che non della
politica, perché la prospettiva trascendentale ed apocalit-
tica della religione è una potente emancipazione dell'in-
telletto immaginativo. Se gli uomini fossero costretti a
compiere la melanconica scelta fra ateismo e superstizio-
ne, lo scienziato, come ha fatto rilevare molto tempo fa
Bacone, sarebbe costretto a scegliere l'ateismo, ma il poe-
ta sarebbe costretto a scegliere la superstizione poiché an-
che la superstizione, a causa della sua totale confusione di
valori, apre all'immaginazione poetica una prospettiva piu
ampia della negazione dogmatica di un infinito immagina-
rio. Ma la religione piu alta, non meno della piu grosso-
lana superstizione, giunge al poeta, in quanto poeta, solo
come gli spiriti giungono a Yeats, latori di metafore per
la poesia.
Lo studio della letteratura ci conduce ad una visione
della poesia come imitazione di un'azione sociale e di un
pensiero umano infiniti, come intelletto di un uomo che
è tutti gli uomini, come parola creatrice universale che è
tutte le parole. In quanto critici possiamo dire ontologica-
mente una sola cosa su quest'uomo e su questa parola:
non abbiamo alcun motivo di supporne né l'esistenza, né
l'inesistenza. Possiamo definirli divini se intendiamo con
divino l'umano illimitato o proiettato fuori di sé. Ma il
critico, in quanto critico, non può dire nulla pro o contro
le affermazioni che una religione deriva da queste conce-
zioni. Se il cristianesimo desidera identificare la Parola e
IL SIMBOLO COME MONADE

l'Uomo infiniti dell'universo letterario con la Parola di


Dio, la persc;ma di Gesu, il Cristo storico, la Bibbia o i
dogmi della Chiesa, queste identificazioni possono essere
accettate da ogni poeta e da ogni critico senza danno per
il proprio lavoro: accettarle può anzi, in certi tempera-
menti e situazioni, contribuire a chiarire e a intensificare
questo lavoro. Ma non possono mai essere accettate dalla
poesia o dalla critica come un tutto complessivo. Il critico
letterario, come lo storico, deve considerare tutte le reli-
gioni come queste si considerano l'un l'altra, come se fos-
sero ipotesi umane qualunque cosa egli, ad altri livelli,
creda che esse siano. Le affermazioni sulla Parola univer-
sale all'inizio del Chhtmdogya Upanishad (dove è simbo-
lizzata dalla parola sacra « Om ») hanno, per la critica let-
teraria, la stessa esatta importanza e non importanza delle
affermazioni che aprono il Vangelo di Giovanni. Aveva
ragione Coleridge quando pensava che il « Logos » era lo
scopo del suo lavoro di critico, ma aveva torto quando
pensava che il suo Logos poetico sarebbe stato inevitabil-
mente assorbito in Cristo, cosi da fare della critica lette-
raria una specie di teologia naturale.
Il Logos totale della critica non può mai diventare in sé
oggetto di fede o personalità ontologica. Il concetto di u-
na Parola totale è postulato dall'esistenza di un ordine di
parole e dal fatto che la critica che lo studia ha o dovreb-
be avere un significato completo. La Fisica di Aristotele
conduce a postulare un primo motore immobile alla cir-
conferenza dell'universo fisico. Questo significa fondamen-
talmente che la fisica ha un universo. Lo studio sistema-
tico del moto sarebbe impossibile se tutti i fenomeni di
moto non potessero essere riferiti a dei principt unifica-
tori, e questi a loro volta a un principio unificatore totale
di movimento che non sia, in se stesso, semplicemente un
altro fenomeno di moto. Se la teologia identifica il moto-
re immobile di Aristotele con il Dio creatore, questo ri-
guarda la teologia; la fisica, in quanto fisica, se ne disinte-
ressa. I critici cristiani possono concepire la loro Parola to-
tale come analogia del Cristo, e cosi fecero i critici medie-
vali, ma poiché la letteratura può essere accompagnata,
nella storia della cultura, da qualsiasi religione, la critica
r66 CRITICA ETICA: TEORIA DEI SIMBOLI

deve sapersene distaccare. In breve, lo studio della lette-


ratura appartiene alle « scienze umane» e le scienze uma-
ne, come indica il loro nome, possono avere una visione
solamente umana del sovrumano.
La somiglianza fra le concezioni della critica anagogica
e quelle della religione ha indotto molti a ritenere che es-
se possano esser messe in relazione solo attribuendo una
superiorità ad una delle due. Quelli che scelgono la reli-
gione, come Coleridge, cercheranno di trasformare la cri-
tica in una teologia naturale; quelli che scelgono la cultu-
ra, come Arnold, tenteranno di ridurre la religione ad un
mito culturale oggettivato. Ma per la purezza di entrambe
deve essere garantita la loro autonomia. La cultura inter-
pone fra la vita ordinaria e quella religiosa una visione to-
tale di possibilità ed insiste su questa totalità: qualunque
cosa infatti sia esclusa dalla cultura, da parte della religio-
ne o dello stato, otterrà in qualche modo la sua rivincita.
In questo modo l'utilità essenziale della cultura per la re-
ligione è la distruzione dell'idolatria intellettuale, della
tendenza sempre ricorrente, nella religione, di sostituire
l'oggetto del suo culto con la comprensione attuale di es-
so e con le forme di approccio a quest'oggetto. Come ogni
argomento a favore di una dottrina religiosa o politica è
privo di valore se non è intellettualmente corretto e tale
da garantire l'autonomia della logica, cosi nessun mito re-
ligioso o politico è rispettabile o valido, se non presuppo-
ne l'autonomia della cultura, la quale può essere provviso-
riamente definita come un organico complesso di ipotesi
immaginative all'interno di una società e delle sue tradi-
zioni. Ritengo che la difesa dell'autonomia della cultura
sia, in questo senso, il dovere sociale degli «intellettuali»
nel mondo moderno: difendere la sua subordinazione ad
una sintesi totale di qualsiasi tipo, religioso o politico, sa-
rebbe la forma autentica della trahison des clercs.
Inoltre, è proprio dell'assenza di cultura immaginativa
trascendere i limiti di ciò che è possibile naturalmente o
di ciò che è accettabile moralmente. L'affermazione che
non c'è posto per i poeti in nessuna società umana il cui
fine sia se stessa, rimane incontestabile anche quando la
società è il popolo di Dio. Poiché la religione è anche un'i-
IL SIMBOLO COME MONADE

stituzione sociale, e in quanto tale impone alle arti dei


limiti, come farebbe uno stato marxista o platonico. La
teologia cristiana non è inferiore alla dialettica rivoluzio-
naria o unione indissolubile di teoria e di pratica sociale.
Le religioni, nonostante la loro amplissima prospettiva,
non possono, come istituzioni sociali, contenere un'arte
di ipotesi illimitate. A loro volta le arti non possono ri-
nunciare a dar libero sfogo ai potenti acidi della satira,
del realismo, della licenziosità e della fantasia con cui cor-
rodono tutte le concrezioni esistenziali che incontrano sul
loro cammino. Molto sovente l'artista deve scoprire che,
come dice Dio nel Faust, egli « muss als Teufel schaffen »;
il che ritengo significhi molto di piu che egli deve agire
come il diavolo. Fra il « cosi'. è» della religione ed il « sup-
poniamo che sia cosi'.» della poesia deve sempre esistere
una certa tensione sino all'incontro, all'infinito, del possi-
bile e dell'effettivo. Nessuno ha bisogno di un poeta nello
stato umano perfetto e, come dicono gli stessi poeti, nes-
suno, se non Dio, potrebbe tollerare un fantasma chiasso-
so nella Città di Dio.
Terzo saggio
Critica archetipica: teoria dei miti
Introduzione

Nella pittura è facile distinguere elementi strutturali da


elementi figurativi. Un quadro è di solito una rappresenta-
zione pittorica «di» qualcosa: esso rappresenta o illustra
un «soggetto» costituito di cose analoghe ad «oggetti»
dell'esperienza sensoria. Nello stesso tempo sono in esso
presenti certi elementi di disegno pittorico: ciò che un
quadro rappresenta è organizzato secondo schemi e con-
venzioni strutturali propri soltanto della pittura. Per de-
scrivere questi due aspetti complementari della pittura si
usano spesso le parole «contenuto» e «forma». « Rea-
lismo» indica un'accentuazione dell'elemento figurativo;
stilizzazione, sia essa primitiva o sofisticata, indica un'ac-
centuazione della struttura pittorica. Un estremo reali-
smo di tipo illusionistico, come quello del trompe l'reil, è
il limite massimo a cui il pittore possa giungere nella pri-
ma direzione; la pittura astratta, o, piu esattamente, non-
oggettiva, è il limite massimo a cui il pittore può giungere
nella seconda. (L'espressione « pittura non-figurativa» mi
pare illogica, poiché un quadro è in se stesso una figura-
zione). Tuttavia il pittore illusionista non può sfuggire al-
le convenzioni pittoriche, cosi come la pittura non-ogget-
tiva è pur sempre un'arte imitativa nel senso aristotelico
della parola: perciò possiamo dire, senza paura di cadere
in una vera e propria contraddizione, che l'intera arte del-
la pittura consiste in una combinazione di «forma» o
struttura pittorica e« contenuto» o soggetto pittorico.
Per particolari ragioni in Occidente le tradizioni sia
della teoria che della pratica pittorica hanno sempre mes-
so in evidenza il fine imitativo o rappresentativo. Persino
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

dalla pittura classica abbiamo ereditato una quantità di


storie deprimenti, di uccelli che vanno a beccare uva di-
pinta su quadri, e simili, tali da suggerire l'idea che la
maggiore aspirazione dei pittori greci fosse architettare
effetti di trompe l'ceil. Lo sviluppo della pittura prospet-
tica nel Rinascimento attribui un gran prestigio a queste
tecniche: infatti suggerire tre dimensioni in un mezzo a
due dimensioni non è che un espediente da pittura !rom-
pe l'ceil. Chi si mettesse ad ascoltare i commenti del pub-
blico in una galleria d'arte moderna scoprirebbe facilmen-
te quanto sia tuttora forte e persistente l'opinione che sia
un obbligo morale del pittore dipingere quadri che siano
manifestamente somiglianti ai loro soggetti, e fare di que-
sta somiglianza la cosa piu importante del suo lavoro. La
bizzarria dei movimenti sperimentali nella pittura di que-
st'ultimo mezzo secolo o poco di piu è dovuta in buona
parte a una energica rivolta contro la predominante ten-
denza illusionistica della pittura figurativa.
Un vero pittore naturalmente sa che quando il pubbli-
co esige la somiglianza con l'oggetto rappresentato, di so-
lito desidera esattamente l'opposto, cioè una somiglianza
con le convenzioni pittoriche che gli sono familiari. Per-
ciò quando cessa di rispettare queste convenzioni, il pit-
tore tende in genere a dichiarare di non essere altro che
un occhio, di dipingere solo quel che egli vede come lo
vede, e cosi via. La ragione per cui racconta tali sciocchez-
ze è evidente: egli desidera dire che dipingere non è sem-
plicemente un facile lavoro di decorazione e implica la dif-
ficile soluzione di concreti e reali problemi spaziali. Ma
questo si può accettare in tutta tranquillità senza dover
ammettere che la causa formale del quadro sia al di fuori
del quadro stesso, asserzione che distruggerebbe l'intera
arte pittorica se fosse presa sul serio. In realtà il pittore
ha soltanto obbedito a un oscuro ma profondo impulso a
ribellarsi alle convenzioni stabilite del suo tempo per ri-
scoprire, a un piu profondo livello, una diversa conven-
zione. Tagliando i ponti con la scuola di Barbizon, Manet
riscopri una sua piu profonda affinità con Goya e Velaz-
quez; tagliando i ponti con gli impressionisti, Cézanne ri-
scopri una sua piu profonda affinità con Chardin e Masac-
INTRODUZIONE 173
cio. L'originalità non rende un artista meno convenziona-
le; anzi lo immerge piu a fondo nella convenzione, secon-
do la legge dell'arte stessa, che cerca sempre di riplasmar-
si dall'interno e che attraverso i suoi geni opera metamor-
fosi, cosi come produce mutamenti attraverso personalità
di minor talento.
La musica offre un piacevole contrasto con la pittura
per ciò che riguarda la teoria critica. Quando si scopri la
prospettiva nel campo della pittura, la musica avrebbe po-
tuto prendere la stessa direzione, ma di fatto lo sviluppo
della musica rappresentativa o « a programma» è stato as-
sai limitato. Si può anche provare diletto nell'ascoltare
una musica che imiti abilmente determinati suoni, ma nes-
suno afferma che un compositore è un decadente o un
ciarlatano se non riesce in simili imitazioni. Né si pensa
che queste imitazioni siano di importanza superiore alle
forme della musica stessa, e ancor meno che costituiscano
le forme stesse. Ne risulta che i principi strutturali della
musica sono chiaramente comprensibili e possono essere
insegnati anche ai bambini.
Supponiamo, per esempio, che questo libro sia un'in-
troduzione alla teoria della musica anziché alla poetica.
Potremmo cominciare con l'isolare dalla gamma di suoni
udibili l'intervallo dell'ottava, e spiegare che l'ottava è di-
visa in dodici semitoni teoricamente eguali tra loro, i qua-
li formano una scala di dodici note che contiene allo stato
potenziale tutte le melodie ed armonie che il lettore è abi-
tuato ad ascoltare. Potremmo poi astrarre i due punti di
armonia in questa scala, cioè gli accordi comuni maggiore
e minore, e spiegare il sistema di ventiquattro tonalità
concatenate e le convenzioni di timbri secondo le quali
un brano si deve aprire e chiudere nella stessa tonalità.
Potremmo descrivere la base del ritmo come una accen-
tuazione di ogni due o tre battute, e cosi via per tutti i
primi rudimenti.
Una simile introduzione offrirebbe un panorama coe-
rente della struttura della musica occidentale dal 1600 al
1900 e (in una forma leggermente modificata e piu fles-
sibile ma non sostanzialmente diversa) di tutto ciò che il
lettore del libro è abituato a chiamare musica. Se volessi-
174 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

mo, potremmo trattare tutta la musica che è al di fuori


della tradizione occidentale in un breve capitolo introdut-
tivo, prima di affrontare l'argomento vero e proprio. Al-
cuni forse obbietterebbero che il sistema di temperamento
equabile, nel quale do diesis e re bemolle sono la stessa
nota, è un'invenzione arbitraria. Altri che un compositore
non dovrebbe essere legato ad un insieme di elementi mu-
sicali cosi rigidamente convenzionale, e che nella musica
le risorse dell'espressione dovrebbero essere libere come
l'aria. Altri ancora che non stiamo affatto parlando di mu-
sica, e che se la Sinfonia Jupiter è in do maggiore e la
Quinta di Beethoven in do minore, spiegare la differenza
tra le due tonalità principali non dà a nessuno una reale
nozione della differenza tra le due sinfonie. Ma tutte que-
ste obbiezioni potrebbero tranquillamente essere ignora-
te. Il nostro manuale non darebbe al lettore una comple-
ta educazione musicale, né un'idea della musica come essa
esiste nella mente di Dio o nei cori angelici; ma servireb-
be agli scopi prefissi.
In questo libro stiamo cercando di delineare alcuni ru-
dimenti fondamentali di una grammatica dell'espressione
letteraria e gli elementi di tale espressione che corrispon-
dono ad elementi musicali quali la tonalità, il ritmo sem-
plice e composto, l'imitazione canonica, e simili. Il nostro
scopo è fornire un'esposizione razionale di alcuni dei prin-
cipi strutturali della letteratura occidentale nel contesto
della sua eredità classica e cristiana. Nel far ciò suggeria-
mo al lettore l'idea che le risorse dell'espressione verbale
siano limitate, se cosi si può dire, agli equivalenti letterari
del ritmo e della tonalità, sebbene ciò non significhi, né
piu né meno di quanto significhi in musica, che le risorse
di tale espressione siano esauribili artisticamente. Senza
dubbio ci troviamo anche qui di fronte ad obbiezioni co-
me quelle or ora immaginate per la musica, secondo le
quali le nostre categorie sarebbero artificiali, non rende-
rebbero giustizia alla varietà della letteratura, e avrebbe-
ro poca attinenza con una normale esperienza di lettura.
Tuttavia il problema di quello che i principi strutturali
:!ella letteratura siano in realtà sembra abbastanza impor-
tante da meritare di essere discusso; e, poiché la letteratu-
INTRODUZIONE 1 75

ra è un'arte di parole, dovrebbe essere almeno altrettanto


facile trovar parole per descriverle quanto trovare parole
come sonata o fuga nella musica.
In letteratura, come in pittura, si è sempre data mag-
giore importanza, sia in campo pratico che teorico, alla
rappresentazione o « somiglianza con la vita». Quando,
per esempio, parliamo di un romanzo di Dickens, il nostro
primo impulso, per un'abitudine creata in noi da tutta la
critica che conosciamo, è di paragonarlo alla vita, sia essa
quella vissuta da noi o dai contemporanei di Dickens. Poi
ci imbattiamo in personaggi come Heep o Quilp e, poiché
né noi né i contemporanei di Dickens hanno mai incon-
trato nulla di «simile» a questi curiosi mostri, il metodo
immediatamente fallisce. Alcuni lettori lamenteranno che
Dickens è caduto sul piano della «semplice» caricatura
(come se la caricatura fosse facile); altri, con maggiore
sensibilità, rinunceranno semplicemente al criterio di so-
miglianza con la vita e apprezzeranno la creazione artisti-
ca in se stessa.
I principi strutturali della pittura sono spesso descritti
in termini presi a prestito da principi analoghi in geome-
tria piana (o solida, con una ulteriore estensione dell'ana-
logia). Una famosa lettera di Cézanne parla di avvicinare
la forma pittorica alla sfera e al cubo, e la pratica dei pit-
tori astratti sembra confermare la sua opinione. Le forme
geometriche sono soltanto analoghe alle forme pittoriche,
e non certo identiche ad esse; i veri principi strutturali
della pittura devono essere desunti, non da un'analogia
esterna con qualcos'altro, ma dall'analogia interna all'arte
stessa. Cosf, i principi strutturali della letteratura devono
essere desunti dalla critica archetipica ed anagogica, gli
unici tipi di critica che considerano un ampio contesto di
letteratura come un tutto organico. Ma abbiamo visto nel
primo saggio che, a mano a mano che i modi di invenzione
procedono dal livello mitico a quello basso-mimetico e
ironico, s'avvicinano a un punto di estremo« realismo» o
somiglianza con la vita nella rappresentazione. Ne deriva
che il modo mitico, cioè le storie degli dèi, in cui i perso-
naggi hanno il maggior potere d'azione possibile, è il piu
astratto e convenzionale di tutti i modi letterari, proprio
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

come i modi corrispondenti nelle altre arti - la pittura re-


ligiosa bizantina, per esempio - rivelano il massimo gra-
do di stilizzazione nella loro struttura. Quindi i principi
strutturali della letteratura sono tanto strettamente colle-
gati alla mitologia e alla religione comparata quanto quel-
li della pittura alla geometria. In questo saggio useremo il
simbolismo della Bibbia, e in minor misura la mitologia
classica, come grammatica di archetipi letterari.
Nel racconto egiziano dei Due fratelli, che si pensa sia
la fonte della storia della moglie di Putifarre nella leggen-
da di Giuseppe, la moglie di un fratello maggiore tenta di
sedurre il fratello minore non sposato che vive con loro,
e, davanti al suo rifiuto, lo accusa di aver tentato di vio-
lentarla. Il fratello minore è allora costretto a fuggire, in-
seguito dal maggiore infuriato. Fin qui gli avvenimenti ri-
producono fatti della vita piu o meno credibili'. Poi il
fratello minore chiede la protezione del dio Ra, dichiaran-
dosi innocente; Ra frappone un ampio lago tra lui e il fra-
tello, e, in uno slancio di strapotenza divina, lo riempie di
coccodrilli. Questo è un episodio del tutto immaginario,
come lo sono i precedenti, ed è stato anch'esso inserito
con coerenza nello sviluppo logico della trama, ma in esso
viene meno l'analogia esterna con la «vita»: queste cose,
si dice, succedono soltanto nelle favole. Il racconto egizia-
no ha acquistato, con tale episodio mitico, una qualità let-
teraria astratta; e, poiché il narratore avrebbe potuto al-
trettanto facilmente risolvere il suo piccolo problema in
un modo piu «realistico», appare chiaro che in Egitto la
letteratura, come pure le altre arti, preferiva un certo gra-
do di stilizzazione.
Analogamente un santo medievale con un'enorme au-
reola intorno al capo può assomigliare ad un vecchio, ma
il particolare mitico, l'aureola, conferisce una struttura
piu astratta al dipinto e insieme dà al santo il tipo di sem-
bianza che si vede solo nei quadri. Nelle società primitive,
un fiorente sviluppo del mito e del racconto popolare s'ac-
compagna di solito ad un gusto per l'ornamento geome-

1 Tralascio il fatto che il fratello piu giovane è avvertito del pericolo


dalla mucca del fratello maggiore.
INTRODUZIONE 177
trico nelle arti plastiche. Nella nostra tradizione invece
larga parte ha la verosimiglianza, l'imitazione abile e coe-
rente dell'esperienza umana. Le rare burle in cui l'inven-
zione è presentata, o persino accettata, come un fatto rea-
le (valgano d'esempio il Journal of the Plague Y ear di De-
foe o The Fair Haven di Samuel Butler) corrispondono
agli effetti di trompe l'ceil in pittura. All'altro estremo
abbiamo miti o astratte invenzioni di trame in cui delle
divinità o altri simili esseri fanno tutto quel che vogliono,
il che in pratica significa tutto quel che il narratore vuole.
Il ritorno dell'ironia al mito che abbiamo notato nel pri-
mo saggio è contemporaneo e parallelo all'astrattismo,
espressionismo, cubismo, e analoghi tentativi della pittu-
ra di accentuare gli elementi strutturali propri di quest'ar-
te. Sessant'anni fa Bernard Shaw sottolineò il significato
sociale dei temi dei drammi di Ibsen e dei suoi. Oggi Eliot
richiama la nostra attenzione su Alcesti come archetipo
di un personaggio di The Cocktail Party, e su Ione come
archetipo di The Confidential Clerk. L'uno è dell'epoca di
Manet e Degas, l'altro dell'epoca di Braque e Graham Su-
therland.
Iniziamo perciò il nostro studio degli archetipi con il
mondo del mito, un mondo astratto o puramente lettera-
rio di ricorrenti invenzioni e temi che prescinde totalmen-
te dai canoni di verisimiglianza e plausibilità dell'espe-
rienza comune. In termini di narrativa, il mito è l'imita-
zione di azioni che gli uomini desidererebbero e quasi pos-
sono compiere. Gli dèi possiedono bellissime donne, si
combattono l'un l'altro con forza prodigiosa, confortano
ed assistono gli uomini, oppure ne guardano le sventure
dall'alto della loro libertà immortale. Il fatto che il mito
operi al limite del desiderio umano non significa necessa-
riamente che esso presenti il proprio mondo come rag-
giunto o raggiungibile dagli esseri umani. Se ci atteniamo
al principio per cui il significato o lo schema della poesia
è una struttura di immagini metaforiche con implicazioni
concettuali, il mito, in termini di significato o dianoia è lo
stesso mondo visto come un'area o campo di libera e co-
stante creazione. Il mondo della imagery mitica è di so-
lito rappresentato dalla concezione del cielo o Paradiso in
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

religione, ed è apocalittico, nel senso già spiegato della pa-


rola, cioè un mondo di totale metafora, dove ogni cosa è
potenzialmente identica a qualsiasi altra cosa, come se
tutto fosse all'interno di un'unica infinita sostanza.
Il realismo, o arte della verosimiglianza, provoca la rea-
zione « come tutto ciò assomiglia a quel che conosciamo! »
Quando ciò che viene scritto è simile a ciò che si incon-
tra nella realtà, abbiamo un'arte di generalizzata o im-
plicita similitudine. E come il realismo è un'arte di si-
militudine implicita, il mito è un'arte di identità metafori-
ca implicita. La parola dio-sole, con un trattino al posto
di un predicato, è un puro ideogramma, secondo la termi-
nologia poundiana, o una metafora letteraria, secondo la
nostra. Nel mito vediamo i principi strutturali della lette-
ratura isolati; nel realismo vediamo i medesimi principi
strutturali (non dei principi soltanto simili ad essi) adatta-
ti a un contesto di plausibilità. (Allo stesso modo, in cam-
po musicale, un brano di Purcell e uno di Benjamin Brit-
ten possono non essere affatto simili l'uno all'altro, ma se
sono ambedue in re maggiore la loro tonalità sarà identi-
ca). La presenza di una struttura mitica nella letteratura
realistica, tuttavia, pone alcuni particolari problemi tecni-
ci per ciò che concerne la plausibilità; gli espedienti usati
per risolvere questi problemi possono essere definiti con
il nome generico di trasposizione.
Il mito si trova dunque a una estremità del disegno let-
terario e il naturalismo all'altra; nel mezzo c'è l'intera
area del romance, termine con il quale vogliamo indicare
non il genere storico di cui si è detto nel primo saggio, ma
la tendenza, cui si fa riferimento piu oltre nel medesimo
saggio, a trasporre il mito in una direzione umana, e tutta-
via, in contrasto con il «realismo», a creare dei moduli
convenzionali secondo i quali la narrazione tende verso
una direzione idealizzata. Il principio base della trasposi-
zione è che quel che nel mito può essere identificato meta-
foricamente, nel romance può soltanto essere collegato da
una qualche forma di similitudine: analogia, associazione
significante, casuale connessione di immagini, e simili. In
un mito possiamo avere un dio sole o un dio albero; in un
romance avremo una persona legata da un'associazione si-
INTRODUZIONE 1 79

gnificante al sole o agli alberi. Nelle forme piu realistiche


del mito l'associazione diventa meno significante e l'ima-
gery è piuttosto una questione di coincidenza e di casi.
Nella leggenda dell'uccisione del drago, quella di san Gior-
gio o di Perseo, di cui si parlerà in seguito, un paese go-
vernato da un vecchio e debole re è terrorizzato da un dra-
go che alla fine chiede la figlia del re~ ma viene trucidato
dall'eroe. Questa sembra, nell'ambito del romance, un'a-
nalogia (e forse anche, in questo caso, una derivazione)
del mito di una terra desolata riportata alla vita da un dio
della fertilità. Nel mito dunque il drago e il vecchio re sa-
rebbero identificati. Possiamo andare ancor oltre e far ri-
salire il mito ad una fantasia edipica in cui l'eroe non sa-
rebbe il genero del vecchio re, ma il figlio, e la fanciulla
salvata la madre dell'eroe. Se la storia fosse il sogno di un
individuo tali identificazioni sarebbero piu che naturali.
Ma per farne una storia plausibile, simmetrica e moral-
mente accettabile, è necessario un certo sforzo di trasposi-
zione, e soltanto dopo uno studio comparato del genere
cui la storia appartiene, cominciamo a vederne l'interna
struttura metaforica.
In The Marble Faun di Hawthorne la statua che dà il
nome alla storia è cosf insistentemente associata a un per-
sonaggio di nome Donatello che il lettore dovrebbe essere
proprio balordo o distratto per non accorgersi che Dona-
tello «è» la statua. Piu tardi incontriamo una ragazza di
nome Hilda, di singolare grazia e purezza, che vive in una
torre circondata da colombe. Le colombe le vogliono mol-
to bene; uno dei personaggi la chiama la sua« colomba»,
e sia l'autore che i personaggi fanno alcune osservazioni
che indicano una speciale affinità tra la fanciulJa e le co-
lombe. Se dicessimo che Hilda è una dea colomba come
Venere, identificata con le sue colombe, non interprete-
remmo la storia correttamente e secondo il suo modo, ma
la tradurremmo direttamente in mito. Tuttavia è giusto
riconoscere quanto Hawthorne si avvicini al mito in que-
st'opera. Cioè noi riconosciamo che The Marble Faun non
è una narrazione tipicamente basso-mimetica: in essa pre-
vale un carattere ereditato dal romance e che anticipa le
opere di scrittori ironico-mitici del secolo seguente, come
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

religione, ed è apocalittico, nel senso già spiegato della pa-


rola, cioè un mondo di totale metafora, dove ogni cosa è
potenzialmente identica a qualsiasi altra cosa, come se
tutto fosse all'interno di un'unica infìnita sostanza.
Il realismo, o arte della verosimiglianza, provoca la rea-
zione« come tutto ciò assomiglia a quel che conosciamo!»
Quando ciò che viene scritto è simile a ciò che si incon-
tra nella realtà, abbiamo un'arte di generalizzata o im-
plicita similitudine. E come il realismo è un'arte di si-
militudine implicita, il mito è un'arte di identità metafori-
ca implicita. La parola dio-sole, con un trattino al posto
di un predicato, è un puro ideogramma, secondo la termi-
nologia poundiana, o una metafora letteraria, secondo la
nostra. Nel mito vediamo i principi strutturali della lette-
ratura isolati; nel realismo vediamo i medesimi principi
strutturali (non dei principi soltanto simili ad essi) adatta-
ti a un contesto di plausibilità. (Allo stesso modo, in cam-
po musicale, un brano di Purcell e uno di Benjamin Brit-
ten possono non essere affatto simili l'uno all'altro, ma se
sono ambedue in re maggiore la loro tonalità sarà identi-
ca). La presenza di una struttura mitica nella letteratura
realistica, tuttavia, pone alcuni particolari problemi tecni-
ci per ciò che concerne la plausibilità; gli espedienti usati
per risolvere questi problemi possono essere defìniti con
il nome generico di trasposizione.
Il mito si trova dunque a una estremità del disegno let-
terario e il naturalismo all'altra; nel mezzo c'è l'intera
area del romance, termine con il quale vogliamo indicare
non il genere storico di cui si è detto nel primo saggio, ma
la tendenza, cui si fa riferimento piu oltre nel medesimo
saggio, a trasporre il mito in una direzione umana, e tutta-
via, in contrasto con il «realismo», a creare dei moduli
convenzionali secondo i quali la narrazione tende verso
una direzione idealizzata. Il principio base della trasposi-
zione è che quel che nel mito può essere identifìcato meta-
foricamente, nel romance può soltanto essere collegato da
una qualche forma di similitudine: analogia, associazione
significante, casuale connessione di immagini, e simili. In
un mito possiamo avere un dio sole o un dio albero; in un
romance avremo una persona legata da un'associazione si-
INTRODUZIONE r79
gnificante al sole o agli alberi. Nelle forme piu realistiche
del mito l'associazione diventa meno significante e l'ima-
gery è piuttosto una questione di coincidenza e di casi.
Nella leggenda dell'uccisione del drago, quella di san Gior-
gio o di Perseo, di cui si parlerà in seguito, un paese go-
vernato da un vecchio e debole re è terrorizzato da un dra-
go che alla fine chiede la figlia del re, ma viene trucidato
dall'eroe. Questa sembra, nell'ambito del romance, un'a-
nalogia (e forse anche, in questo caso, una derivazione)
del mito di una terra desolata riportata alla vita da un dio
della fertilità. Nel mito dunque il drago e il vecchio re sa-
rebbero identificati. Possiamo andare ancor oltre e far ri-
salire il mito ad una fantasia edipica in cui l'eroe non sa-
rebbe il genero del vecchio re, ma il figlio, e la fanciulla
salvata la madre dell'eroe. Se la storia fosse il sogno di un
individuo tali identificazioni sarebbero piu che naturali.
Ma per farne una storia plausibile, simmetrica e moral-
mente accettabile, è necessario un certo sforzo di trasposi-
zione, e soltanto dopo uno studio comparato del genere
cui la storia appartiene, cominciamo a vederne l'interna
struttura metaforica.
In The Marble Faun di Hawthorne la statua che dà il
nome alla storia è cosi insistentemente associata a un per-
sonaggio di nome Donatello che il lettore dovrebbe essere
proprio balordo o distratto per non accorgersi che Dona-
tello «è» la statua. Piu tardi incontriamo una ragazza di
nome Hilda, di singolare grazia e purezza, che vive in una
torre circondata da colombe. Le colombe le vogliono mol-
to bene; uno dei personaggi la chiama la sua «colomba»,
e sia l'autore che i personaggi fanno alcune osservazioni
che indicano una speciale affinità tra la fanciulla e le co-
lombe. Se dicessimo che Hilda è una dea colomba come
Venere, identificata con le sue colombe, non interprete-
remmo la storia correttamente e secondo il suo modo, ma
la tradurremmo direttamente in mito. Tuttavia è giusto
riconoscere quanto Hawthorne si avvicini al mito in que-
st'opera. Cioè noi riconosciamo che The Marble Faun non
è una narrazione tipicamente basso-mimetica: in essa pre-
vale un carattere ereditato dal romance e che anticipa le
opere di scrittori ironico-mitici del secolo seguente, come
180 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Kafka o Cocteau. Questo atteggiamento è spesso chiama-


to allegoria, ma probabilmente Hawthorne aveva ragione
a chiamarlo romance: vediamo infatti che esso porta a
costruire i personaggi in modo tendenzialmente astratto,
cosa che può darci noia se gli unici canoni che riconoscia-
mo sono quelli basso-mimetici.
Oppure ancora, abbiamo nella mitologia la storia di
Proserpina che sparisce nell'oltretomba per sei mesi al-
l'anno. Il mito puro e semplice è chiaramente un mito di
morte e rinascita; la storia, come la conosciamo, è legger-
mente trasposta, ma il modulo mitico si scorge facilmen-
te. Lo stesso elemento strutturale ricorre spesso nella com-
media shakespeariana, dove deve essere adattato ad un
livello piu o meno alto-mimetico di credibilità. Ero in
Much Ado è sufficientemente morta perché un canto fune-
bre le sia dedicato, e le spiegazioni plausibili sono riman-
date a dopo la fine del dramma. Imogene in Cymbeline ha
un nome fittizio e una tomba vuota, ma anche lei riceve,
in un certo senso, onori funebri. Ma la storia di Ermione
e di Perdita è cosi simile al mito di Demetrio e Proserpina
che non si cerca neppure di offrirne una spiegazione plau-
sibile. Ermione, dopo la sua scomparsa, ritorna una volta
come fantasma in un sogno; il suo ritorno alla vita dalla
condizione di statua - una trasposizione del mito di Pig-
malione - presuppone un risveglio della fede, anche se, a
un livello di plausibilità, Ermione non è mai stata una sta-
tua e nulla è successo se non un innocuo inganno. Notia-
mo quale maggior uso di astrazioni e di schemi mitici fa
lo scrittore tematico rispetto allo scrittore che s'interes-
sa soprattutto alla trama e all'invenzione: la Florimell di
Spenser, per esempio, sparisce sotto il mare durante l'in-
verno senza che si senta il bisogno di una spiegazione; es-
sa lascia al suo posto una « dama di neve» e ritorna quindi
con impetuose inondazioni primaverili alla fine del quarto
libro.
Al livello basso-mimetico, riconosciamo lo stesso mo-
dulo strutturale di morte e rinascita dell'eroina quando
Esther Summerson s'ammala di vaiolo, o Lorna Doone è
colpita a morte all'altare delle sue nozze. Ma qui ci avvi-
ciniamo già alle convenzioni del realismo, e sebbene gli
INTRODUZIONE r8r
occhi di Lorna siano «velati dalla morte», noi sappiamo
che l'autore non pensa seriamente alla morte se progetta
di farla rivivere. A questo punto è di nuovo interessante
il paragone con The Marble Faun, dove si parla tanto di
scultori e di rapporto tra statue ed esseri umani viventi
che quasi ci aspettiamo un denouement simile a quello di
T he W inter's Tale. Hilda sparisce misteriosamente; du-
rante la sua assenza, lo scultore Kenyon, che è innamorato
di lei, scavando nella terra trova una statua che egli iden-
tifica con Hilda. Poi Hilda torna in scena, mentre alla sua
assenza viene finalmente attribuita una ragione plausibile,
ma non senza alcune osservazioni piuttosto acute e petu-
lanti da parte di Hawthorne stesso per dimostrare che egli
non ha alcun interesse ad architettare spiegazioni plausibi-
li e che vorrebbe dai suoi lettori un po' piu di libertà. Tut-
tavia le inibizioni di Hawthorne sembrano, almeno in par-
te, autoimposte, come rivela un confronto con Ligeia di
Poe, dove il puro e semplice schema mitico di morte e ri-
nascita ci è presentato senza alcuna giustificazione. Poe è
chiaramente uno scrittore assai piu astratto di Hawthor-
ne, e questo spiega la ragione per cui il suo influsso sul
nostro secolo è piu immediato.
Questa affinità tra il genere mitico e il genere astratto
illumina molti aspetti della letteratura di invenzione, spe-
cialmente di quella piu popolare che è abbastanza realisti-
ca da essere plausibile nelle sue vicende, e tuttavia abba-
stanza vicina all'impostazione del romance per essere una
« buona storia», cioè una storia ben architettata. L'utiliz-
zazione di un presagio o portento, o l'espediente di fare
dell'intera storia l'adempimento di una profezia enuncia-
ta al principio dell'opera servono benissimo a tale scopo.
Quest'ultimo espediente suggerisce, nella sua proiezione
esistenziale, un concetto di fato ineluttabile o di una se-
greta volontà onnipotente. In realtà si tratta di una pura
e semplice costruzione letteraria, in cui viene creata una
qualche simmetrica relazione tra il principio e la fine, e
l'unica ineluttabile volontà coinvolta è quella dell'autore.
Perciò troviamo spesso questi espedienti anche in scritto-
ri che per temperamento non sono molto inclini al porten-
toso. In Anna Karenina, per esempio, la morte del facchi-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

no ad apertura del romanzo è accolta da Anna come un


presagio della sua propria fìne. E cosi, se troviamo porten-
ti e presagi in Sofocle, è perché essi s'adattano bene alla
struttura del suo tipo di tragedia teatrale, ma questo non
prova affatto che il drammaturgo o il suo pubblico credes-
sero cosi ciecamente nel fato.
Abbiamo dunque in letteratura tre tipi di organizzazio-
ne di miti e di simboli archetipici. In primo luogo il mito
non trasposto, che di solito tratta di dèi o demoni e prende
la forma di due mondi contrastanti di totale identificazio-
ne metaforica, l'uno desiderabile e l'altro indesiderabile.
Questi mondi sono spesso identificati con il cielo e l'infer-
no esistenziali delle religioni contemporanee a tale lette-
ratura. A queste due forme di organizzazione metaforica
diamo rispettivamente i nomi di apocalittica e demonica.
In secondo luogo c'è la tendenza propria di quello che ab-
biamo chiamato il romance, cioè la tendenza a suggerire
schemi mitici impliciti in un mondo piu strettamente as-
sociato all'esperienza umana. In terzo luogo abbiamo la
tendenza del «realismo» (le virgolette riflettono la mia
antipatia per questo termine inadeguato) a porre l'accento
sul contenuto e la rappresentazione piuttosto che sulla for-
ma della storia. La letteratura ironica inizia con il reali-
smo e tende verso il mito, usando di regola schemi mitici
che suggeriscono piuttosto il mondo demonico che quello
apocalittico; tuttavia essa è talvolta una semplice con-
tinuazione della tradizione stilizzante del romance. Ce
ne forniscono esempi Hawthorne, Poe, Conrad, Hardy e
Virginia Woolf.
Se ci troviamo di fronte a un quadro, possiamo os-
servarlo molto da vicino, analizzando i dettagli dei tocchi
di spatola e pennello. In letteratura questo atteggiamen-
to corrisponde approssimativamente all'analisi stilistica
compiuta dalla nuova critica. Facendo qualche passo in-
dietro lo schema del quadro si fa piu evidente e la nostra
attenzione si rivolge piuttosto al contenuto rappresenta-
to: per i quadri realistici olandesi, per esempio, questa è
la distanza migliore ai fìni di una «lettura» del quadro.
Piu indietro ci spostiamo, piu ci rendiamo conto del dise-
gno organizzativo. A una grande distanza da una Madon-
INTRODUZIONE

na, per esempio, non vediamo altro che l'archetipo della


Madonna, un'ampia massa blu ruotante intorno a un pun-
to centrale che si stacca nettamente da essa e attira tutta
l'attenzione. Anche nella critica letteraria dobbiamo spes-
so « fare un passo indietro» rispetto a una poesia per ve-
derne l'organizzazione archetipica. Se guardiamo da lon-
tano i Mutabilitie Cantoes di Spenser, vediamo una luce
disposta in cerchio sullo sfondo, e una sinistra massa nera
irrompente in primo piano in basso: la stessa forma arche-
tipica che vediamo ad apertura del Libro di Giobbe. Se
guardiamo da una maggiore distanza il quinto atto di
Hamlet dall'inizio, vediamo una fossa aperta sulla scena,
l'eroe, il suo nemico e l'eroina che scendono nella fossa',
e quindi una lotta fatale nel mondo superiore. Se guardia-
mo da una maggiore distanza un romanzo realistico come
Resurrezione di Tolstoj o Germina! di Zola, possiamo ve-
dere le trame mitopoietiche indicate dai titoli. Altri esem-
pi verranno addotti in seguito.
Tracceremo ora in primo luogo un profilo della struttu-
ra dell'imagery, o dianoia, dei due mondi non trasposti,
quello apocalittico e quello demonico, utilizzando larga-
mente la Bibbia che, nella nostra tradizione, è la fonte
principale del mito non trasposto. Tratteremo poi delle
due strutture intermedie di immagini metaforiche, e infi-
ne delle narrazioni generiche o mythoi, cioè di queste
strutture di immagini in movimento.
1 L'affermazione che Amleto scende nella tomba è forse discutibile, ma
il contrasto nell'umore del personaggio prima e dopo la scena indica una
sorta di rite de passage.
Teoria del significato archetipico
I. Immagini apocalittiche

Procediamo secondo lo schema generale del Gioco del-


le Venti Domande\ o, se si preferisce, della Grande Ca-
tena dell'Essere, schema tradizionale per classificare i dati
sensori.
Il mondo apocalittico, secondo la religione il Paradi-
so, presenta in primo luogo le categorie della realtà nelle
forme che l'uomo piu desidera, quali sono suggerite dal-
le forme che tali categorie assumono per opera della ci-
viltà umana. La forma imposta dall'opera e dal desiderio
umano al mondo vegetale, per esempio, è quella del giar-
dino, della fattoria, del boschetto, o del parco. La forma
umana del mondo animale è un mondo di animali dome-
stici, tra cui la pecora ha tradizionalmente una priorità sia
nella metafora classica che in quella cristiana. La forma
umana del mondo minerale, la forma in cui l'opera umana
trasforma la pietra, è la città. La città, il giardino, e l'ovile
sono le metafore fondamentali della Bibbia e della mag-
gior parte del simbolismo cristiano; esse sono spinte ad
una completa identificazione metaforica nel libro chiama-
to appunto l'Apocalisse o Rivelazione, che è stato atten-
tamente costruito per offrire una conclusione mitica non
trasposta della Bibbia nel suo insieme. Dal nostro punto
di vista ciò significa che l'Apocalisse biblica è la nostra
grammatica dell'imagery apocalittica 2 •

1 [Consiste nell'indovinare una parola o un oggetto, proposto dall'or-


ganizzatore del gioco, a cui si può rivolgere un massimo di venti domande].
2 Per la tipologia biblica è utile il libro di A. FARRER, A Rebirth of
Images (r949). Cfr. anche ALAN w. WATTS, Myth and Ritual in Christianity
(r954).
IMMAGINI APOCALITTICHE

Secondo il principio della metafora archetipa di cui si


è trattato nel saggio precedente e che, ricordiamo, è l'uni-
versale concreto, ciascuna di queste tre categorie, la città,
il giardino e l'ovile, è identica alle altre e a ogni categoria
individuale ad essa interna. Analogamente, il mondo divi-
no e umano sono identici all'ovile, alla città e al giardino,
e identici sono pure gli aspetti sociali e individuali di cia-
scuno. Perciò il mondo apocalittico della Bibbia presenta
il seguente schema:
mondo divino = società degli dèi = Un Solo Dio
mondo umano = società degli uomini = Un Solo Uomo
mondo animale =
ovile =
Un Solo Agnello
mondo vegetale = giardino o parco = Un Solo Albero (della Vi
mondo minerale = città = Un Solo Edificio,
Tempio, Pietra
Nell'idea «Cristo» tutte queste categorie si identificano:
Cristo è il solo Dio e il solo Uomo, l'Agnello di Dio, l'al-
bero della vita, o la vite di cui noi siamo i tralci, la pietra
che i costruttori hanno scartato, e il tempio ricostruito
che è identico al suo corpo risorto. L'identificazione reli-
giosa e quella poetica differiscono soltanto nell'intenzio-
ne: la prima ha carattere esistenziale, la seconda carattere
metaforico. Nella critica medievale questa differenza era
poco importante e la parola« figura» 1, usata per l'identifi-
cazione di un simbolo con Cristo, di solito implicava am-
bedue i tipi di identificazione.
Proviamo ora ad estendere un poco questo schema. Nel
cristianesimo l'universale concreto è applicato al mondo
divino nella forma della Trinità. Il cristianesimo sostiene
- e non importa quali alterazioni dei normali processi
mentali ciò implichi - che Dio è tre persone e tuttavia uno
solo. I concetti di persona e sostanza sono tra le difficoltà
che incontriamo nell'estendere la metafora al campo della
logica. In termini di pura metafora, naturalmente, l'uni-
tà di Dio si potrebbe applicare a cinque, a diciassette o
a un milione di persone divine come a tre, e si trovano fa-
cilmente esempi dell'universale concreto divino in poesia
1 Cfr. E. AUERBACH, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abend-
liindischen Literatur (1946).
186 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

al di fuori dell'orbita trinitaria. Quando, all'inizio dell'ot-


tavo libro dell'Iliade, Zeus afferma che egli può attrarre
a sé l'intera catena dell'essere ogniqualvolta gli piaccia, ci
accorgiamo che per Omero c'era una sorta di duplice pro-
spettiva in Olimpo, dove un gruppo di litigiose divinità
poteva, in qualsiasi momento, armonizzarsi secondo i det-
tami di un'unica volontà divina. In Virgilio incontriamo
dapprima una Giunone maligna e viziata; ma pochi versi
dopo l'osservazione di Enea ai suoi uomini« deus dabit his
quoque finem » indica che una simile duplice prospettiva
esiste anche per lui. Possiamo forse istituire un confronto
con il Libro di Giobbe, dove Giobbe e i suoi amici sono
troppo devoti perché li sfiori il pensiero che le sofferenze
di Giobbe siano il risultato di una scommessa semiseria
tra Dio e Satana. Da un certo punto di vista essi hanno
ragione, ed è sbagliato quanto si dice al lettore su Satana
in cielo. Alla fine del libro Satana scompare, e anche se si
vuole attribuire questo fatto ad un rifacimento posteriore,
è difficile immaginare che l'illuminazione finale di Giobbe
consenta di tornare, dall'idea di un'unica volontà divina,
allo spirito della scena iniziale.
Quanto alla società umana, la metafora secondo cui sia-
mo tutti membri di un solo corpo è alla base della maggior
parte delle teorie politiche da Platone ai giorni nostri. La
concezione di Milton per cui « un Commonwealth dovreb-
be essere una sorta di immensa personalità cristiana, un
potente corpo in sviluppo, della statura morale di un uomo
onesto » appartiene ad una versione cristiana di questa
metafora nella quale, come nella dottrina della Trinità,
viene accettata come ortodossa la totale affermazione me-
taforica « Cristo è Dio e Uomo», e vengono condanna te
come eretiche le affermazioni ariane e docetiche che pon-
gono il problema in termini di affinità o somiglianza. Il
Leviathan di Hobbes, il cui frontespizio originale rappre-
senta tanti piccoli uomini all'interno del corpo di un uni-
co gigante, va anch'esso visto in relazione con lo stesso
tipo d'identificazione. La Repubblica di Platone, in cui la
ragione, la volontà e i desideri dell'individuo vengono pre-
sentati come il re-filosofo, le guardie, e gli artigiani dello
stato, è anch'essa basata su questa metafora, che di fatto
IMMAGINI APOCALITTICHE

continuiamo a usare ogniqualvolta parliamo di un gruppo


o aggregato di esseri umani come di un « corpo».
Nel simbolismo sessuale, naturalmente, è ancora piu fa-
cile usare la metafora di « una sola carne» a proposito di
due corpi che diventano uno solo per mezzo dell'amore.
The Extasie di Donne è una delle molte composizioni poe-
tiche intessute su quest'immagine, e in Phoenix and the
Turtle Shakespeare gioca a lungo sull'idea dell'oltraggio
fatto alla «ragione» da tale identità. La stessa metafora
compare anche nei temi della lealtà, della venerazione del-
l'eroe, della fedeltà dei seguaci e simili.
Il mondo animale e quello vegetale sono identificati l'u-
no con l'altro, e cosi pure quello divino e quello umano,
nella dottrina cristiana della transustanziazione, per la
quale le forme umane essenziali del mondo vegetale, cioè
cibo e bevanda, raccolto e vendemmia, pane e vino, sono
il corpo e il sangue dell'Agnello che è anche Uomo e Dio,
e nel cui corpo noi esistiamo come in una città o tempio.
Qui nuovamente la dottrina ortodossa insiste sulla meta-
fora come opposta alla similitudine, e qui nuovamente il
concetto di sostanza illustra le difficoltà della logica a di-
gerire la metafora. Appare chiaro dalle prime pagine delle
Leggi che per Platone il simposio aveva qualcosa del sim-
bolismo della comunione. Sarebbe difficile trovare un'im-
magine della civiltà umana, con cui l'uomo cerca di ab-
bracciare la natura e porla all'interno del suo corpo (socia-
le), che sia piu semplice o viva dell'immagine della mensa
sacramentale.
Il valore tradizionalmente attribuito alla pecora nel
mondo animale ci fornisce l'archetipo centrale dell'ima-
gery pastorale e giustifica l'uso delle metafore di « pasto-
re» e «gregge» in campo religioso. La metafora del re,
pastore del suo popolo, si rifà all'antico Egitto. Forse
l'uso di questa particolare convenzione è dovuto al fatto
che, essendo le pecore animali stupidi, disciplinati, pau-
rosi e affezionati al padrone, esse formano comunità molto
simili a quelle umane. Ma naturalmente in poesia qua-
lunque altro animale andrebbe bene, purché il lettore vi
fosse preparato: all'inizio del Brihadaranyaka Upanishad,
per esempio, si parla del cavallo sacrificale il cui corpo
r88 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

contiene l'intero universo, come in un'opera cristiana di


poesia si parlerebbe dell'Agnello di Dio. E cosi pure, tra
gli uccelli 1 , la colomba ha tradizionalmente rappresentato
la concordia o amore universale sia di Venere che dello
Spirito Santo cristiano. Identificazioni di dèi con animali
o piante e di queste a loro volta con la società umana for-
mano la base del simbolismo totemico. Certi tipi di rac-
conti popolari etiologici, cioè le, storie di come esseri so-
prannaturali furono tramutati negli animali e nelle piante
che noi conosciamo, rappresentano una forma attenuata
dello stesso tipo di metafora, e sopravvivono nell'arche-
tipo della «metamorfosi» che ci è familiare sin da Ovidio.
Una simile flessibilità si riscontra pure nelle immagini
vegetali. Nella Bibbia anche le foglie o i frutti dell'albero
della vita sono usati come simboli della comunione al po-
sto del pane e del vino. Oppure l'universale concreto si
può applicare non soltanto a un albero ma a un singolo
frutto o fiore. In Occidente la rosa ha per tradizione una
priorità tra i fiori apocalittici: viene subito in mente l'uso
della rosa come simbolo di comunione nel Paradiso. Nel
primo libro di The Faerie Queene l'emblema di san Gior-
gio, una croce rossa in campo bianco, è connesso non sol-
tanto con il corpo risorto di Cristo e il simbolismo sacra-
mentale che l'accompagna, ma anche con l'unione della
rosa bianca con quella rossa nella dinastia dei Tudor. In
Oriente il fior di loto o il« fiore d'oro» cinese hanno occu-
pato spesso il posto che la rosa occupa in Occidente, e nel
romanticismo tedesco è stato di moda per un breve perio-
do il fiordaliso.
L'identificazione del corpo umano con il mondo vegeta-
le ci dà l'archetipo delle immagini arcadiche, del verde
mondo di Marvell, delle commedie shakespeariane con la
foresta come sfondo, del mondo di Robin Hood e di altri
1 Parecchie poesie di Wallace Stevens, compresa The Dove in the Bel!,
usano questo simbolismo. Altri membri del regno animale frequentemente
utilizzati sono il pesce e il delfino, tradizionalmente cristiani a differenza
del leviatano, e tra gli insetti l'ape, tanto amata da Virgilio, la cui dolcezza
e luminosità contrastano con il ragno divoratore. Cfr. la poesia di D. E.
Sitwell The Bee Gracles. L'antica teoria dei «primati» nei vari regni natu-
rali, è connessa con questo uso simbolico dei rappresentanti tipici di un
certo gruppo.
IMMAGINI APOCALITTICHE

simili uomini che si annidano nelle foreste dei romanzi


di avventura, offrendo l'equivalente nel romance di quello
che il dio albero è nel mito metaforico. In The Garden di
Marvell troviamo un'ulteriore estensione di questo con-
cetto, sebbene su una linea ancora convenzionale, nell'i-
dentificazione dell'anima umana con un uccello appollaia-
to sui rami dell'albero della vita. L'olivo e l'olio da esso
ricavato hanno fornito un'altra identificazione nella perso-
na del sovrano «unto».
La città, sia o no chiamata Gerusalemme, è identica, sul
piano apocalittico, a un edificio singolo o tempio, una« ca-
sa con molte dimore» di cui gli individui sono « pietre vi-
venti», per usare un'espressione del Nuovo Testamento.
L'uso umano del mondo inorganico implica tanto la stra-
da maestra quanto la città con le sue vie, e la metafora
della «via» è inseparabile da tutta la letteratura di ricer-
ca, sia essa esplicitamente cristiana come in The Pilgrim's
Progress oppure no. A questa categoria appartengono an-
che le immagini geometriche e architettoniche: la torre e
la scala a chiocciola di Dante e di Yeats, la scala di Gia-
cobbe, la scala dei poeti dell'amore neoplatonico, la spira-
le ascendente o cornucopia, il « sontuoso palazzo dei pia-
ceri» ordinato da Kublai Khan, la disposizione a croce e a
quinconce che Browne cercò in ogni angolo dell'arte e del-
la natura, il cerchio come emblema dell'eternità, quale
« l'anello di luce pura e senza fine» di Vaughan, e cosf via.
A livello archetipo propriamente detto, dove la poesia
è un prodotto della civiltà umana, la natura è capace di
contenere l'uomo. A livello anagogico, l'uomo è capace di
contenere la natura, e le sue città e i suoi giardini non so-
no piu delle piccole intaccature sulla superficie della terra,
ma le forme dell'universo umano. Perciò nel simbolismo
apocalittico non possiamo limitare l'uomo ai due soli ele-
menti naturali di terra e aria; spostandosi da un livello al-
l'altro, il simbolismo, come Tamino in The Magie Flute,
deve passare attraverso le prove dell'acqua e del fuoco. Il
simbolismo poetico situa l'elemento del fuoco immediata-
mente al di sopra del livello della vita umana in questo
mondo, e l'elemento dell'acqua immediatamente al di sot-
to. Dante dovette attraversare un anello di fuoco e il fiu-
190 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

me dell'Eden per andare dalla montagna del Purgatorio,


che è ancora sulla superficie di questo nostro mondo, al
paradiso o mondo apocalittico propriamente detto. Le im-
magini della luce e del fuoco che circondano gli angeli nel-
la Bibbia, le lingue di fuoco che scendono sugli uomini al-
la Pentecoste, e il carbone di fuoco messo sulla bocca di
Isaia dal serafino, associano il fuoco a un mondo spirituale
o angelico a metà strada tra l'umano e il divino. Una simi-
le provenienza del fuoco è indicata nella mitologia classica
dalla storia di Prometeo ed anche dall'associazione di Zeus
con il fulmine o fuoco della saetta. In poche parole, il cie-
lo in senso astronomico, contenente i corpi ignei del sole,
della luna e delle stelle, è di solito ritenuto il punto di
passaggio verso il cielo del mondo apocalittico o paradiso,
oppure è addirittura identificato con esso.
Quindi tutte le altre categorie possono essere identifica-
te con il fuoco o pensate come ardenti. È ovvio menziona-
re qui l'apparizione della divinità giudeo-cristiana in for-
ma di fuoco, circondata dagli angeli del fuoco (serafini) e
della luce (cherubini). Il rito del sacrificio in cui viene bru-
ciato un animale, cioè l'atto dell'assorbimento di un corpo
animale in una sorta di comunione tra il mondo divino e
quello umano, è all'origine di tutte le immagini connesse
con il fuoco e il fumo dell'altare, il salire dell'incenso ver-
so l'alto, e simili. L'immagine dell'uomo che brucia I è rap-
presentata dall'aureola del santo e dalla corona del re, per-
sonaggi analoghi al dio sole; si può anche ricordare il
« bambino ardente» della poesia sul Natale di Southwell.
L'immagine dell'uccello che brucia è presente nella leg-
gendaria fenice. L'albero della vita può anche essere un
albero in fiamme, il cespuglio che brucia senza essere di-
strutto di Mosè, il candelabro del rituale ebraico, o la
« croce con la rosa» di un piu recente occultismo. In alchi-
mia 2 i mondi della vegetazione, dei minerali e dell'acqua
1 Cfr. l'osservazione di D. H. Lawrence sul colore vermiglio in Etrus-
can Places, cap. III.
2 Per il simbolismo alchimistico cfr. H. sn.nERER, Problems of Mystz-
cism and its Symbolism, trad. inglese di Smith Ely Jelliffe (1917), e c. G.
JUNG, Psychologie und Alchemie ( 1944). L'alchimia allegorica, il rosacro-
cianesimo, la cabala, la massoneria, e i tarocchi sono tutti costrutti tipolo-
gici basati su paradigmi simili a quelli qui indicati. Per il critico letterario
IMMAGINI APOCALITTICHE

si identificano rispettivamente con la rosa, la pietra e l'eli-


sir; gli archetipi del fiore e della pietra preziosa sono iden-
tificati nel « gioiello nel loto» della preghiera buddista.
Sono pure comuni le connessioni tra il fuoco, il vino in-
tossicante e il sangue caldo e rosso degli animali.
L'identificazione della città con il fuoco spiega perché
nell'Apocalisse la città di Dio sia presentata come una
massa incandescente d'oro e pietre preziose, dove presu-
mibilmente ogni pietra brucia di una fiamma dura come
una gemma. Infatti nel simbolismo apocalittico i corpi
ignei del cielo, il sole, la luna e le stelle, sono tutti all'in-
terno del corpo universale divino e umano. Il simbolismo
dell'alchimia è simbolismo apocalittico dello stesso tipo:
il centro della natura, cioè l'oro e le pietre preziose nasco-
ste nella terra, deve alla fine unirsi alla sua circonferenza
nel sole, nella luna e nelle stelle del cielo; il centro del
mondo spirituale, cioè l'anima dell'uomo, deve unirsi alla
sua circonferenza in Dio. Esiste quindi una stretta asso-
ciazione tra la purificazione dell'anima umana e la trasfor-
mazione della terra in oro, non solo l'oro comunemen-
te inteso, ma l'ignea quintessenza d'oro di cui sono fatti
i corpi celesti. L'albero d'oro con l'uccello meccanico in
Sailing to Byzantium identifica il mondo vegetale e quello
minerale secondo un procedimento che ricorda l'alchimia.
Dall'altro lato abbiamo l'acqua, che appartiene tradizio-
nalmente a un regno d'esistenza inferiore alla vita umana,
cioè lo stato di caos o dissoluzione che segue alla morte
naturale, o la riduzione all'inorganico. Quindi, molto spes-
so, morendo l'anima attraversa l'acqua o affonda in essa.
Nel simbolismo apocalittico abbiamo l' « acqua della vita»,
il quadruplice fiume dell'Eden che riappare nella Città di
Dio, ed è rappresentato nel rituale dal battesimo. Secon-
do Ezechiele, il ritorno di questo fiume trasforma il mare
in acqua dolce, e questa sarebbe la ragione per cui l'au-
tore della Rivelazione dice che nella Apocalisse non esi-
ste piu il mare. In senso apocalittico perciò l'acqua cir-
cola nel corpo universale come il sangue nel corpo indivi-
essi sono semplicemente tavole di riferimento: l'atmosfera oracolare che si
riscontra in rapporto ad essi in alcune forme di critica archetipa, è piutto-
sto fuor di luogo.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

duale. Forse dovremmo dire « è contenuta» anziché « cir-


cola», per evitare l'anacronismo di connettere la conoscen-
za della circolazione del sangue con dei temi biblici. Natu-
ralmente per molti secoli il sangue è stato considerato uno
dei quattro «umori», o liquidi del corpo, cosi'. come per
tradizione il fiume della vita era ritenuto quadruplice.
Teoria del significato archetipico
2. Immagini demoniche

Opposta al simbolismo apocalittico è la presentazione


di un mondo che il desiderio umano rifiuta totalmente: il
mondo dell'incubo, del capro espiatorio, della schiavitu,
del dolore e del disordine; il mondo come si presenta pri-
ma che l'immaginazione umana incominci a compiervi la
sua opera, e prima che qualunque immagine di ciò che
l'uomo desidera, come la città o il giardino, vi sia stata
saldamente instaurata; il mondo, ancora, del lavoro spre-
cato o contro natura, delle rovine e delle catacombe, degli
strumenti di tortura e dei monumenti di follia. E proprio
come le immagini apocalittiche in poesia sono strettamen-
te associate al paradiso religioso, cosi il loro opposto dia-
lettico è strettamente connesso con l'inferno esistenziale,
come l'Inferno di Dante, o con il tipo di inferno che l'uo-
mo può creare sulla terra, come in 1984, No Exit, e Dark-
ness at Noon, dove gli ultimi due titoli parlano da sé.
Quindi uno dei temi centrali della struttura metaforica
demonica è la parodia, cioè il tentativo di deridere le fan-
tastiche invenzioni dell'arte suggerendone l'imitazione in
termini di « vita reale».
Il mondo divino di carattere demonico personifica per
lo piu le spaventose e non-intelligenti forze della natura
come esse appaiono ad una società tecnologicamente sot-
tosviluppata. In tale mondo i simboli del cielo tendono ad
essere associati all'inaccessibile volta celeste, e l'idea prin-
cipale che ne deriva è quella del fato imperscrutabile o ne-
cessità esterna. Il meccanismo del fato è regolato da un in-
sieme di divinità remote ed invisibili: esse godono di li-
bertà e di piaceri che sono ironici nei confronti dell'uomo

7
1 94 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

perché lo escludono, e intervengono nelle faccende umane


soprattutto per salvaguardare le loro prerogative. Tali di-
vinità esigono sacrifici, puniscono la presunzione ed im-
pongono una cieca obbedienza alla legge naturale e mora-
le come fine a se stessa. Non cerchiamo qui di descrivere,
per esempio, gli dèi della tragedia greca: cerchiamo di
isolare il senso di infinita distanza e futilità dell'uomo in
rapporto all'ordine divino, che è soltanto uno degli ele-
menti costitutivi della maggior parte delle visioni tragi-
che della vita, ma un elemento essenziale. In epoche piu
tarde i poeti diventano molto piu espliciti riguardo a que-
sto modo di vedere la divinità: ne sono esempi il Nobo-
daddy di Blake, il Jupiter di Shelley, il « supremo male,
Dio» di Swinburne, la Volontà cieca e confusa di Hardy
e il« bruto e furfante» di Housman.
Il mondo umano di carattere demonico è una società te-
nuta insieme da una specie di tensione molecolare di nu-
merosi ego, cioè da una forma di lealtà al gruppo o al capo
che sminuisce l'individuo o, nei casi migliori, oppone al
piacere dell'individuo il dovere e l'onore. Una tale società
è fonte perenne di dilemmi tragici come quelli di Amleto
o di Antigone. Nella concezione apocalittica della vita
umana troviamo tre generi di appagamento: individuale,
sessuale e sociale. In un mondo umano sinistro un polo
individuale è rappresentato dal capo-tiranno, imperscruta-
bile, malinconico e spietato, dotato di volontà insaziabile,
il quale ispira sentimenti di lealtà solo se è abbastanza
egocentrico da rappresentare l'ego collettivo dei suoi se-
guaci. L'altro polo è rappresentato dal pharmakos o vitti-
ma sacrificale che deve essere uccisa per accrescere la for-
za degli altri. Nella forma piu concentrata di parodia de-
monica i due diventano la stessa cosa. Il rituale dell'ucci-
sione del re divino che troviamo in Frazer, qualunque si-
gnificato abbia in antropologia, nella critica letteraria rap-
presenta la forma radicale demonica o non trasposta delle
strutture della tragedia e dell'ironia.
Nella religione il mondo spirituale è una realtà distinta
dal mondo fisico. In poesia ciò che è fisico o reale è oppo-
sto non a ciò che è esistenziale spiritualmente, ma a ciò
che è ipotetico. Abbiamo visto nel primo saggio il princi-
IMMAGINI DEMONICHE 1 95

pio per cui la trasformazione di un'azione in mimo, cioè il


progredire da una vera celebrazione del rito ad una sem-
plice imitazione di esso, è uno degli elementi principali
dello sviluppo dallo stato selvaggio alla cultura. È facile
vedere l'imitazione di un conflitto in una partita di tennis
o di calcio, ma proprio per questo i giocatori di tennis e di
calcio rappresentano una cultura superiore a quella dei
gladiatori o di coloro che si affrontavano in duello. La tra-
duzione in gioco dell'azione effettiva è una forma fonda-
mentale della liberazione della vita, di quel processo che
a un livello piu intellettuale, assume l'aspetto di educazio-
ne umanistica, la trasfigurazione di un fatto in immagina-
zione. Coerentemente con questa teoria, il simbolismo eu-
caristico del mondo apocalittico, cioè l'identificazione me-
taforica dei corpi vegetale, animale, umano e divino, do-
vrebbe avere come sua parodia nel mondo demonico le
immagini del rituale cannibalesco. L'ultima visione del-
l'inferno umano di Dante è quella del conte Ugolino che
morde il cranio del suo tormentatore; l'ultima grande vi-
sione allegorica di Spenser è quella di Serena spogliata e
preparata per un banchetto cannibalesco. Il rituale del
cannibalismo include di solito non soltanto immagini di
tortura e mutilazione, ma anche di ciò che tecnicamente è
chiamato sparagmos ossia l'atto di squarciare il corpo sa-
crificale, come si trova nei miti di Osiride, Orfeo e Pen-
teo. L'orco o il gigante cannibale delle favole popolari che
compare nella letteratura come Polifemo, e tutta una lun-
ga serie di sinistre vicende di sangue e carne umana dalla
storia di Tieste al patto di Shylock, appartengono a que-
sto filone. Anche qui la forma descritta da Frazer come la
forma storicamente originaria è, nel campo della critica
letteraria, la forma demonica radicale. Salammbo di Flau-
bert è uno studio di immagini demoniche che ai suoi tem-
pi fu ritenuto di carattere archeologico, ma si rivelò poi
di carattere profetico.
La relazione erotica di tipo demonico diventa una pas-
sione selvaggia e distruttiva che opera contro la lealtà e
frustra colui che la possiede. È di solito simboleggiata da
una prostituta, strega, sirena, o altra femmina tentatrice,
cioè un oggetto fisico del desiderio umano che è ricercato
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

come possesso e perciò non può mai essere posseduto. La


parodia demonica del matrimonio, ossia l'unione di due a-
nime in una sola carne, può assumere la forma di ermafro-
ditismo, incesto (la piu comune), o omosessualità. Il rap-
porto sociale è quello della plebaglia, che è essenzialmen-
te una società umana alla ricerca di un pharmakos; e la ple-
baglia è spesso identificata con qualche sinistra immagine
di animale come l'idra, la Fama di Virgilio, o una sua de-
rivazione quale la «Blatant Beast» di Spenser.
Quanto agli altri mondi, basterà un cenno. Il mondo
animale assume le sembianze di mostri o bestie da preda.
Sono comuni il lupo, tradizionale nemico della pecora, la
tigre, l'avvoltoio, il serpente, animale freddo e legato alla
terra, e il drago. Nella Bibbia, dove la società demonica è
rappresentata dall'Egitto e da Babilonia, i capi dei due
paesi sono identificati con bestie mostruose: Nabucodono-
sor viene trasformato in bestia nel Libro di Daniele, e il
Faraone è chiamato drago del fiume da Ezechiele. Il drago
è particolarmente indicato perché non è soltanto mostruo-
so e sinistro, ma favoloso e quindi rappresenta la natura
paradossale del male come fatto morale e negazione eter-
na. Nell'Apocalisse il drago è chiamato «la bestia che era,
non è, e tuttavia è».
Il mondo vegetale è una foresta sinistra come quelle
che incontriamo in Camus o all'inizio dell'Inferno, o una
landa, che da Shakespeare a Hardy è sempre stata associa-
ta a un destino tragico, o una zona selvaggia e desolata co-
me quella del Childe Roland di Browning o della W aste
Land di Eliot. O può essere un sinistro giardino incantato
come quello di Circe o le sue derivazioni rinascimentali in
Tasso e Spenser. Nella Bibbia la terra desolata appare nel-
la sua forma universale concreta come albero della morte,
albero della conoscenza proibita nella Genesi, sterile albe-
ro di fico nel Vangelo, e come croce. Il rogo con la figura
incappucciata dell'eretico, l'uomo nero o la strega ad esso
collegati, rappresenta l'albero e il corpo ardenti del mon-
do infernale. Sono o potrebbero essere sue variazioni i pa-
tiboli, le forche, le gogne, le berline, le sferze e le verghe
di betulla. Il contrasto tra l'albero della vita e quello della
IMMAGINI DEMONICHE 197
morte è espresso magnificamente da Yeats nella poesia
The Two Trees.
Il mondo inorganico può rimanere nella forma, non ri-
plasmata dall'opera umana, di deserto, rocce e terra deso-
lata. Sono di questo tipo le città dove regnano la distru-
zione e il buio terrificante, e le grandi rovine dell'orgoglio,
dalla torre di Babele alle possenti opere di Ozymandias.
Sono pure di questo tipo le immagini di lavoro compiuto
per scopi perversi: macchine di tortura, armi per la guer-
ra, armature, e immagini di strumenti meccanici senza vi-
ta che, in quanto non umanizzano la natura, sono e inna-
turali e inumani. Al posto del tempio o dell'edificio dell'a-
pocalisse, abbiamo la prigione o la cella e la fornace chiu-
sa ermeticamente, caldissima e senza luce, come la Città
di Dite in Dante. Ci sono pure i sinistri corrispondenti
delle immagini geometriche: la sinistra spirale (il mal-
strom, il gorgo, Cariddi), la sinistra croce e il sinistro cer-
chio, come la ruota del fato o della fortuna. L'identifica-
zione del cerchio con il serpente, che è per convenzione un
animale demonico, ci dà l'ouroboros, ossia il serpente che
si morde la coda. In corrispondenza del sentiero apocalit-
tico o strada diritta, cioè la strada maestra nel deserto di-
retta verso Dio, quale è profetizzata da Isaia, abbiamo nel
mondo demonico il labirinto o dedalo, l'immagine della
direzione perduta, spesso con un mostro come il Minotau-
ro al centro. I vagabondaggi labirintici di Israele nel de-
serto, ripetuti da Gesu quando è tentato dal diavolo (o
dalle « bestie selvagge», secondo Marco) rientrano in que-
sto stesso schema. Il labirinto può essere anche una fore-
sta sinistra come in Camus. Analogamente, in The Marble
Faun sono utilizzate con molta efficacia le catacombe; e
naturalmente, con una ulteriore concentrazione della me-
tafora, il labirinto può diventare il groviglio dei visceri
nel ventre stesso del mostro.
Il mondo del fuoco è un mondo di demoni maligni co-
me i fuochi fatui, o spiriti fuggiti dall'inferno, e compare
in questo mondo nella forma di autodafé, come abbiamo
detto, o di città in fiamme come Sodoma. Esso è opposto
al fuoco del purgatorio o fuoco purificatore, quale è quel-
lo della fornace ardente di Daniele. Il mondo dell'acqua è
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

rappresentato dall'acqua della morte, spesso identificata


con il sangue versato, come nella Passione e nella rappre-
sentazione simbolica della storia in Dante, e soprattutto
dal« mare salato, insondabile, alienante» che assorbe tutti
i fiumi di questo mondo, ma scompare nell'apocalisse per
lasciar posto ad una circolazione di acqua dolce. Nella Bib-
bia il mare e l'animale mostruoso sono identificati nella fi.
gura del leviatano, mostro marino identificato anche con
le tirannidi sociali di Babilonia e dell'Egitto.
Teoria del significato archetipico
3. Immagini analogiche

Naturalmente, in poesia, la maggior parte delle imma-


gini è legata a mondi meno estremi di quelli che per solito
sono rappresentati come i mondi eterni e immutabili del
Paradiso e dell'Inferno. Le immagini apocalittiche sono
appropriate al modo mitico, e le immagini demoniche al
modo ironico nella fase tarda in cui esso ritorna verso il
mito. Negli altri tre modi queste strutture operano in sen-
so dialettico, attraendo il lettore verso il nucleo metafori-
co e mitico non trasposto dell'opera. Ci dovremmo perciò
aspettare tre strutture intermedie di immagini, corrispon-
denti approssimativamente, al modo del romance e a quel-
lo alto- e basso-mimetici. Non presteremo tuttavia molta
attenzione alle immagini di tipo alto-mimetico, per atte-
nerci al piu semplice schema delle tendenze verso il ro-
mance o verso il« realismo» nell'ambito delle due non tra-
sposte strutture indicate all'inizio del saggio.
Queste tre strutture sono meno rigorosamente metafo-
riche, e sono significative costellazioni di immagini che,
quando si trovano insieme, formano quella che viene spes-
so chiamata, in mancanza di un vocabolo piu efficace,« at-
mosfera». Il modo del romance presenta un mondo idea-
lizzato: nel romance gli eroi sono coraggiosi, le eroine bel-
lissime, i malvagi cattivissimi, e si tiene ben poco conto
delle frustrazioni, delle ambiguità, e delle difficoltà della
vita comune. Quindi le immagini del romance offrono il
corrispondente umano del mondo apocalittico che possia-
mo chiamare l'analogia dell'innocenza. Gli esempi miglio-
ri ci vengono non dall'epoca del romance stesso, ma da te-
sti piu tardi che si muovono nella scia del romance: Co-
200 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

mus, The Tempest, e il terzo libro di The Faerie Queene


nel Rinascimento; i canti dell'innocenza e l'imagery di
«Beulah» in Blake, l'Endymion di Keats e l'Epipsychi-
dion di Shelley nel periodo romantico propriamente detto.
Nell'analogia dell'innocenza le figure spirituali o divine
sono in genere dei vecchi, saggi e paterni, dotati di poteri
magici come Prospero, o spiriti custodi benigni come Raf-
faele prima della caduta di Adamo. Tra le figure umane
vengono in primo luogo i bambini, e tra le virtu quella
piu strettamente associata all'infanzia e allo stato di inno-
cenza, cioè la castità, che di solito in questa struttura di
immagini include anche la verginità. In Comus la castità
della Dama è associata con la magia, come lo è la saggezza
di Prospero e l'invincibile castità di Britomart in Spenser.
L'idea della castità viene normalmente associata a giovani
donne - la Matelda di Dante e la Miranda di Shakespeare
ne sono esempi -, ma anche la castità maschile è impor-
tante, come dimostrano i romances del Graal. L'osserva-
zione di Sir Galahad, nell'idillio di Tennyson, sul molti-
plicarsi della sua forza in virtu della sua purezza di cuore,
è coerente con le immagini del mondo a cui egli appartie-
ne. Il fuoco nel mondo dell'innocenza è di solito un simbo-
lo di purificazione, un mondo di fiamme che nessuno può
attraversare, se non chi è perfettamente casto, come nel
castello di Busirane di Spenser, o il fuoco che «affina» in
cima al purgatorio di Dante, o la spada fiammeggiante che
tiene Adamo ed Eva lontani dal paradiso. Nella storia del-
la bella addormentata, che appartiene a questo filone, la
parete di fiamme è sostituita da una di rovi e spini: La
Valchiria di Wagner, tuttavia, conserva anche l'elemento
del fuoco, con grave disagio di chi mette l'opera in scena.
In tale mondo ha una speciale importanza la luna, il piu
freddo e perciò il piu casto di tutti i corpi ignei celesti.
Tra gli animali, gli esempi piu ovvi sono le pecore e gli
agnelli pastorali e cosf pure i cavalli e i cani del romance,
per le loro qualità piu nobili, la fedeltà e la devozione. Un
posto d'onore spetta qui all'unicorno, tradizionale emble-
ma di castità e amante delle vergini; al delfino, che per la
sua associazione con Arione rappresenta l'opposto del mo-
stro divoratore, del leviatano; ed anche a un animale ben
IMMAGINI ANALOGICHE 20I

diverso, l'asino, per la sua umiltà e docilità. Appartiene a


questa struttura dell'imagery la rappresentazione dramma-
tica dell'asino, come pure quella del Boy Bishop. Quando
Shakespeare mise una testa d'asino nel paese delle fate
non fece qualcosa di singolare, come suggerisce la poesia
di Robinson, ma segui una tradizione antica almeno quan-
to il Lucio di Apuleio che, trasformato in asino, ascolta la
storia di Amore e Psiche. Uccelli, farfalle (poiché questo
è il mondo di Psiche, e Psiche significa farfalla), e spiriti
con i loro attributi, come Ariel o come Rima di Hudson,
sono altri abitanti naturalizzati di questo mondo.
Il giardino paradisiaco e l'albero della vita appartengo-
no alla struttura apocalittica, come abbiamo visto, ma il
giardino dell'Eden vero e proprio, come è presentato nel-
la Bibbia e in Milton, appartiene piuttosto a questo mon-
do, e Dante lo mette appena al di sotto del paradiso. Lo
stesso può dirsi dei giardini di Adone in Spenser, da cui
proviene lo spirito guardiano di Camus, e degli sviluppi
medievali del tema del locus amoenus. Particolarmente si-
gnificativo è il simbolo del corpo della Vergine come hor-
tus conclusus, derivato dal Cantico dei Cantici. Nel ro-
mance la bacchetta magica che dà la vita, corrisponde al-
l'albero della vita, e cosi anche altri simboli come la verga
fiorita nel T annhauser.
Le città sono piu estranee allo spirito pastorale e rurale
di questo mondo, e la torre e il castello, con una eventuale
casupola o eremo, sono le principali immagini di abitazio-
ni. Le immagini d'acqua sono rappresentate soprattutto
da fontane e specchi d'acqua, piogge fertilizzanti e, tal-
volta, da un corso d'acqua che separa un uomo da una
donna, proteggendo cosi la castità di ciascuno, come il
Lete in Dante. L'episodio iniziale del giardino di rose in
Burnt Norton presenta una sintesi breve ma straordina-
riamente completa dei simboli dell'analogia dell'innocen-
za. Si può anche fare il paragone con la seconda sezione
di Kairos and Logos di Auden.
Il mondo dell'innocenza non è né completamente vivo,
come quello apocalittico, né quasi interamente morto co-
me il nostro: è un mondo animistico pieno di spiriti degli
elementi. Tutti i personaggi di Camus sono spiriti di ele-
202 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

menti eccetto la Dama e i suoi fratelli; sono pure abba-


stanza chiare le connessioni di Ariel con gli spiriti dell'a-
ria, di Puck con gli spiriti del fuoco (Burton dice degli spi-
riti del fuoco che « li chiamiamo comunemente Puck » ), e
di Calibano con gli spiriti della terra. In Spenser troviamo
Florimell e Marinell, i cui nomi indicano che essi sono spi-
riti dei fiori e dell'acqua, una Proserpina e un Adone.
Spesso, per esempio in Comus e nella Nativity Ode, la
natura allo stato di innocenza o prima della caduta, cioè
la natura come ordine sancito dalla divinità, può anche
essere rappresentata dalla impercettibile armonia della
musica delle sfere.
Come le idee fondamentali del romance sono la castità
e la magia, cosI le idee fondamentali del modo alto-mime-
tico sembrano essere l'amore e la forma. E come il campo
delle immagini del romance può essere chiamato un'ana-
logia dell'innocenza, cosI il campo delle immagini del
modo altamente mimetico può essere chiamato una ana-
logia della natura e della ragione. Le caratteristiche di
questo modo sono la concentrazione degli sguardi su un
solo punto focale e la tendenza ad idealizzare i rappresen-
tanti umani del mondo divino e spirituale. Il re è circon-
dato da un'aura divina; la dama che segue i dettami del
raffinato amore cortese è una dea; l'amore di entrambi è
una potenza educatrice ed ispiratrice che porta all'unità
e all'armonia con il mondo spirituale e divino. Il fuoco
del mondo angelico arde sulla corona del re e negli occhi
della dama. Gli animali tipici sono quelli di una bellezza
superba: l'aquila e il leone rappresentano la regalità e
la lealtà; il cavallo e il falcone rappresentano la « cavalle-
ria» o aristocrazia a cavallo; il pavone e il cigno sono gli
uccelli dello sguardo centripeto; e la fenice o unico esem-
plare dell'uccello di fuoco è un emblema poetico molto
usato, specialmente in Inghilterra per la regina Elisabet-
ta. Il simbolismo del giardino non è piu in primo piano
ma nello sfondo, come quello della città nel romance; ci
sono giardini molto regolari in stretta connessione con gli
edifici, ma l'idea di un mondo-giardino è pur sempre pe-
culiare del romance. La bacchetta magica si trasforma in
scettro reale, e l'albero magico in bandiera sventolante.
IMMAGINI ANALOGICHE 203

La città è soprattutto la capitale, con la corte al centro e


una serie di gradi di iniziazione all'interno della corte il
cui culmine è rappresentato dalla «presenza» regale. No-
tiamo che a mano a mano che scendiamo attraverso i va-
ri modi un numero crescente di immagini poetiche viene
tratto da reali condizioni sociali di vita. Il simbolismo del-
l'acqua è incentrato sull'immagine del fiume disciplinato
dall'uomo: in Inghilterra è il Tamigi, che scorre quieta-
mente in Spenser e nei ritmi neoclassici di Denham, un
fiume il cui ornamento piu appropriato è la chiatta reale.
Nel modo basso-mimetico entriamo in un mondo che
possiamo chiamare l'analogia dell'esperienza, il quale sta
al mondo demonico nello stesso rapporto in cui l'inno-
cente mondo del romance sta a quello apocalittico. Ec-
cetto che per questa connessione potenzialmente ironica
e per determinati simboli ieratici o espliciti come la let-
tera scarlatta di Hawthorne e la coppa d'oro o la torre
d'avorio di Henry James, le immagini sono quelle comu-
ni del mondo dell'esperienza, e non hanno bisogno di ul-
teriori spiegazioni, salvo forse per alcune loro particola-
ri caratteristiche. Le fondamentali idee basso-mimetiche
sembrano essere la genesi e l'opera. In questo tipo di in-
venzione ben poco posto e funzione hanno gli esseri divi-
ni e spirituali, e nella letteratura tematica essi sono spesso
deliberatamente riscoperti o trattati come surrogati este-
tici. Il consiglio dato al nascituro in Erewhon (che proba-
bilmente riflette il pensiero dello stesso Butler, dato che
questa idea ricompare in Li/e and Habit) è che se un mon-
do spirituale esiste bisogna voltargli le spalle e riscoprirlo
nella concretezza dell'attività umana. La stessa dottrina
della riscoperta della fede attraverso le opere si può tro-
vare in Carlyle, Ruskin, Morris e Shaw. Nei poeti, anche
in quelli che si richiamano al valore sacramentale delle co-
se, vi sono tendenze simili. Sotto molti aspetti non si po-
trebbe trovare maggior contrasto di quello tra « il movi-
mento e lo spirito» scoperti da Wordsworth nella Tintern
Abbey e il «cavaliere» scoperto da Hopkins nel falco, e
tuttavia tutti e due rivelano la tendenza ad ancorare una
visione spirituale a una esperienza psicologica empirica.
Il trattamento basso-mimetico della società umana ri-
204 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

flette, naturalmente, la dottrina di Wordsworth secondo


la quale le situazioni umane a cui il poeta deve interessar-
si sono quelle comuni e tipiche, e comporta una certa pa-
rodia dell'idealizzazione della vita fatta dal romance, pa-
rodia che si estende all'esperienza religiosa ed estetica. In
quanto al mondo animale, il riferimento di Thomas Hux-
ley alle qualità che l'uomo ha in comune con la scimmia
e la tigre è indicativo del modo basso-mimetico. La scim-
mia è sempre stata l'animale mimetico per eccellenza, e
già molto prima che venisse formulata la teoria dell'evo-
luzione, era considerata imitatrice dell'uomo. Lo sviluppo
evolutivo ascendente suggerisce anzi l'idea, presente nel
Zarathustra di Nietzsche, che la scimmia stia all'uomo del
presente, come questi all'uomo del futuro. L'abbinamen-
to di tigre e scimmia fatto da Huxley richiama alla mente
la credenza popolare che le scimmie e gli « uomini delle
caverne» avessero in comune un'implacabile ferocia: per
tale credenza non esistono prove maggiori di quante ce ne
siano per l'esistenza degli unicorni e delle fenici; tuttavia
essa, come ogni altra credenza di questo tipo, ha una sua
funzione, cioè rivela nell'uomo la tendenza ad osservare la
storia naturale dall'interno di una appropriata struttura di
metafore poetiche. Il modo basso-mimetico non è ricco di
simboli animali; ma troviamo ancora la scimmia e la tigre
di Huxley nel ]ungle Book di Kipling, dove le scimmie
chiacchierano a vanvera sulla cima degli alberi come degli
intellettuali, mentre l'animale uomo impara invece l'oscu-
ra saggezza della caccia dalla pantera nella giungla sotto-
stante.
I giardini nella letteratura basso-mimetica cedono il po-
sto alle fattorie e alla penosa fatica dell'uomo che lavora
con la zappa, del contadino che taglia arbu~ti spinosi, il
quale è per Hardy l'immagine dell'uomo stesso, creatura
« disprezzata e paziente». Le città assumono naturalmente
la forma della moderna metropoli labirintica, in cui pre-
vale, sul piano emotivo, un senso di solitudine e la man-
canza di comunicazione. Ed esattamente come i simboli
dell'acqua nel mondo dell'innocenza consistono in gran
parte in fontane e corsi d'acqua, cosi in quest'altro mondo
si ricorre al mare, !'«elemento distruttivo» di Conrad, sul-
IMMAGINI ANALOGICHE 205

la cui superficie si trova in genere qualche leviatano uma-


nizzato o qualche bateau ivre, di misura variabile dal Ti-
tanic di Hardy alla barchetta facilmente rovesciabile che,
per un'ironia rara persino in letteratura, è l'immagine pre-
ferita di Shelley. Moby Dick ci riporta a una forma piu
tradizionale del leviatano. Il cacciatorpediniere che com-
pare alla fine di Tono-Bungay merita di essere ricordato
proprio perché H. G. \Y✓ells non è uno scrittore che facil-
mente tenda a introdurre simboli ieratici. I simboli del
fuoco sono spesso ironici e distruttivi, come il fuoco con
il quale termina l'azione di The Spoils of Poynton. Tutta-
via nell'età dell'industria, Prometeo, donatore del fuoco
agli uomini, è una delle figure mitologiche preferite, se
non la preferita, dai poeti.

Il rapporto del mondo dell'innocenza e di quello dell'e-


sperienza.con le immagini apocalittiche e demoniche illu-
stra un aspetto di quel tipo di trasposizione di cui finora
abbiamo parlato poco: la trasposizione in•direzione mo-
rale. Le due strutture dialettiche rappresentano essenzial-
mente ciò che è desiderabile e ciò che è indesiderabile.
Strumenti di tortura e prigioni appartengono alla visione
sinistra non perché essi siano proibiti per ragioni morali,
ma perché è impossibile che diventino oggetto di deside-
rio. Il soddisfacimento sessuale, d'altra parte, può esse-
re desiderato anche se moralmente condannato. La civiltà
tende a far sf che ciò che è desiderabile e ciò che è mora-
le coincidano. Lo studioso di mitologia comparata scopre
talvolta in un culto primitivo o antico un certo grado di
mitopoiesi non inibita che gli fa capire a quale enorme
processo di limitazione e restrizione tutte le forme piu al-
te di religione abbiano sottoposto le proprie visioni apo-
calittiche per renderle moralmente accettabili. Lo svilup-
po della mitologia ebraica, greca, e di altre è stato eviden-
temente accompagnato da un'opera di espurgazione; o,
come dicevano gli studiosi di mitologia dell'epoca vitto-
riana, una barbarie repellente e grottesca è stata purificata
da un crescente raffinamento etico. La mitologia egiziana
inizia con un dio che crea il mondo con un atto di mastur-
206 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

bazione: modo abbastanza logico di simboleggiare il pro-


cesso della creazione de Deo, ma che non ci aspetteremmo
di trovare in Omero, tanto meno nel Vecchio Testamento.
Fino a che la poesia procede insieme alla religione verso
ciò che è morale, gli archetipi religiosi e poetici sono mol-
to vicini, come in Dante. Sotto tale influenza le immagini
sessuali apocalittiche, per esempio, tenderanno verso il
modello matrimoniale o verginale; il modello incestuoso,
omosessuale e adultero staranno dalla parte demonica. La
qualità nell'arte che Aristotele chiama spoudaios e che
Matthew Arnold traduce con « alto livello di serietà» ri-
sulta da questo ravvicinamento della religione e della poe-
sia all'interno di una comune struttura morale.
Ma la poesia tende continuamente a raddrizzare la pro-
pria bilancia, a ritornare allo schema corrispondente al
desiderio umano e ad allontanarsi dal piano convenziona-
le e morale. Questo di solito avviene nella satira, il genere
che è piu lontano dall' « alto livello di serietà», ma non
sempre. Il piano morale e quello del desiderio hanno mol-
ti importanti e significativi punti di contatto; cionono-
stante la moralità, che viene a patti con l'esperienza e la
necessità, è una cosa, e il desiderio, che tenta di sfuggire
alla necessità, è assolutamente un'altra. Perciò la lettera-
tura è di regola meno inflessibile della moralità, e a ciò
essa deve in gran parte la sua condizione di arte liberale.
Gli atteggiamenti che la moralità e la religione chiama-
no di solito licenziosi, osceni, sovversivi, lascivi, blasfemi
hanno in genere una parte essenziale nella letteratura, ma
spesso possono raggiungere il piano dell'espressione solo
attraverso ingegnose tecniche di trasposizione. i
La piu semplice di queste tecniche è il fenomeno che
possiamo chiamare « modulazione demonica», ossia in-
versione deliberata delle abituali associazioni morali di
archetipi. In genere ogni simbolo trae il suo significato
dal contesto in cui appare: un drago può essere funesto in
un romanzo d'avventure medievale o benigno in uno ci-
nese; un'isola può essere l'isola di Prospero o quella di
Circe. Ma data la grande quantità di simboli tradizionali
e carichi di significato in letteratura, certe associazioni
secondarie sono diventate abituali. Il serpente, per il ruo-
IMMAGINI ANALOGICHE 207

lo che svolge nella storia dell'Eden, appartiene di solito


al gruppo di simboli funesti nella letteratura occidentale;
solo le simpatie rivoluzionarie di Shelley lo spingono ad
usare il serpente come animale innocente in The Revolt
of Islam. Oppure una società di uomini liberi e uguali
può essere simboleggiata da una banda di ladroni, pirati
o zingari; o l'amore vero può essere simboleggiato dal
trionfo di un legame adulterino sul matrimonio, come
nella maggior parte delle commedie a triangolo; o da una
passione omosessuale ( se è amore vero quello che viene
celebrato nella seconda egloga di Virgilio) o da uno ince-
stuoso, come in molti scrittori romantici. Nel xrx secolo,
quando ci si avvicina ormai al mito demonico, questa spe-
cie di simbolismo capovolto viene organizzato secondo
tutti i moduli dell' « agonia romantica», e in particolar
modo il sadismo, il culto prometeico e quello diabolico,
che in taluni «decadenti» sembra presentare tutti gli
svantaggi della superstizione senza alcuno dei vantaggi
della religione. Il culto del diavolo non conosce soltanto
uno sviluppo sofisticato: Huckleberry Finn, per esem-
pio, ha tutta la nostra simpatia e ammirazione quando,
insieme al suo amico perseguitato, preferisce l'inferno
al paradiso del dio degli schiavisti bianchi. D'altra par-
te immagini tradizionalmente demoniche possono esse-
re usate come punto di partenza di un movimento di
redenzione, come la Città della Distruzione in The Pil-
grim's Progress. Il simbolismo alchimistico pone l'ouro-
boros, l'ermafrodita (res bina), ed anche il drago tradi-
zionale del romance in questo contesto di redenzione.
Il simbolismo apocalittico presenta ciò che è infinita-
mente desiderabile: in esso le brame e le ambizioni degli
uomini sono trasferite negli dèi o adattate agli dèi. L'arte
dell'analogia dell'innocenza, che comprende quasi tutte le.
forme del comico (per il suo lieto fine), dell'idillico, del
romantico, del rispettoso, del laudativo, dell'idealizzato,
del magico, è essenzialmente un tentativo di presentare in
termini umani, familiari, accessibili e moralmente accetta-
bili ciò che è desiderabile. Lo stesso si può dire del rap-
porto tra il mondo demonico e l'analogia dell'esperienza.
La tragedia, per esempio, è una visione di ciò che succede
208 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

in realtà e deve essere accettato. Entro questi limiti essa


è una trasposizione morale e plausibile dell'amaro senso
di risentimento che l'umanità prova verso tutto ciò che
ostacola i suoi desideri. Per quanto maligna ci possa sem-
brare Atena nell'Aiace di Sofocle, la tragedia lascia chia-
ramente intendere che dobbiamo accettare il suo potere,
persino sui nostri pensieri. Un cristiano che non avesse vi-
sto negli dèi greci altro che diavoli, analizzando una trage-
dia di Sofocle, ne avrebbe dato un'interpretazione non
trasposta o demonica. Una simile interpretazione avrebbe
messo in luce tutto ciò che Sofocle cercava di non dire;
ma avrebbe anche potuto essere, nonostante tutto, un'a-
bile analisi della latente o sottostante struttura demonica
di quella tragedia. Lo stesso genere di interpretazione sa-
rebbe pure possibile per molti brani poetici cristiani che
trattano della giusta ira di Dio, dove il contenuto demoni-
co è spesso rappresentato da una odiata figura di padre.
Nel mettere in evidenza gli schemi apocalittici o demonici
latenti in un'opera letteraria, non dobbiamo però com-
mettere l'errore di vedere in questo contenuto latente il
vero contenuto, abilmente mascherato da un censore ipo-
crita. Si tratta semplicemente di uno dei fattori rilevanti
agli effetti di una completa analisi critica; un fattore su
cui spesso poggia la distinzione tra un'opera letteraria e le
opere puramente storiche.
Teoria del mythos: introduzione

Il significato di una poesia, cioè la struttura della sua


imagery, è un modulo statico. Le cinque strutture di signi-
ficato che abbiamo descritto sono, per usare un'altra ana-
logia musicale, le tonalità in cui le poesie sono scritte e
si risolvono; ma la narrativa comporta un movimento da
una struttura a un'altra. L'area principale di tale movi-
mento deve essere ovviamente quella dei tre campi inter-
medi. Infatti il mondo apocalittico e quello demonico,
essendo strutture di pura identità metaforica, suggerisco-
no l'immutabilità eterna, e si prestano a essere tradotti
in senso esistenziale come paradiso e inferno, dove c'è
vita eterna ma nessun processo di vita. Le analogie dell'in-
nocenza dell'esperienza rappresentano l'adattamento del
mito alla natura: esse ci presentano non la città o il giardi-
no come essi sono alla meta finale della visione umana, ma
il processo di costruzione e di coltivazione. La forma fon-
damentale del processo è il movimento ciclico, l'alternarsi
di successo e decadenza di sforzo e riposo, di vita e mor-
te, che è il ritmo di tutto ciò che procede. Quindi le no-
stre sette categorie di immagini possono anche essere vi-
ste come forme diverse del movimento rotatorio o cicli-
co. Cosf:
r. Nel mondo divino il processo o movimento centrale
è quello di morte e rinascita, o scomparsa e ritorno,
o incarnazione e dipartita di un dio. Questa attività
divina è spesso identificata o associata con uno o piu
processi ciclici della natura. Il dio può essere un dio-
sole, che muore alla sera e rinasce all'alba, oppure ri-
210 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

nasce annualmente al solstizio invernale; o può es-


sere un dio della vegetazione che muore in autunno
e rivive in primavera; o (come nelle storie della na-
scita del Budda) può essere un dio incarnato che pas-
sa attraverso una serie di cicli di vita umana o ani-
male. Poiché un dio è quasi per definizione immorta-
le, è caratteristico di tutti questi miti che il dio mo-
rente rinasca come la stessa persona. Quindi il prin-
cipio strutturale mitico o astratto del ciclo è che la
continuità di identità nella vita individuale dalla na-
scita alla morte si prolunghi anche dalla morte alla
rinascita. Tutti gli altri schemi ciclici sono di regola
simili a questo ricorrere identico, cioè morte e rina-
scita dello stesso individuo. Naturalmente la somi-
glianza può essere assai piu stretta in Oriente, dove
la dottrina della reincarnazione è generalmente ac-
cettata, che non in Occidente.
2. Il mondo di fuoco dei corpi celesti presenta tre ritmi
ciclici importanti. Il piu ovvio è il quotidiano viag-
gio, attraverso il cielo del dio sole, spesso immagi-
nato alla guida di una barca o di un carro: ad esso
segue il passaggio misterioso attraverso un oscuro
mondo sotterraneo, immaginato talvolta come il ven-
tre di un mostro divoratore, fino al ritorno al punto
di partenza. Il ciclo solstiziale dell'anno solare offre
un'estensione dello stesso simbolismo, incorporata
nella nostra letteratura sul Natale. Qui viene parti-
colarmente sottolineato il tema di una luce appena
sorta minacciata dalle potenze delle tenebre. Il ciclo
lunare è stato in complesso di minore importanza
nella poesia occidentale in tempi storici, qualunque
sia stata la sua funzione in epoca preistorica. Ma la
sua sequenza cruciale di luna vecchia, « caverna in-
terlunare» e luna nuova, può essere ali' origine del
ritmo triduano di morte, scomparsa, e risurrezione
del nostro simbolismo pasquale, e ne è comunque
un'analogia.
3. Il mondo umano è a metà strada tra quello spirituale
e quello animale e riflette questa dualità nei suoi rit-
mi ciclici. Strettamente parallelo al ciclo solare di lu-
TEORIA DEL « MYTHOS »: INTRODUZIONE 2II

ce e oscurità è il ciclo immaginativo di vita a occhi


aperti e vita del sogno. Questo ciclo sottolinea l'an-
titesi tra l'immaginazione dell'esperienza e quella
dell'innocenza di cui si è già parlato. Infatti il ritmo
umano è l'opposto di quello solare: una titanica libi-
dine si desta quando il sole dorme, e la luce del gior-
no spesso corrisponde all'eclissarsi dei desideri. L'uo-
mo ha inoltre, in comune con gli animali, il ciclo nor-
male di vita e morte in cui vi è una rinascita in senso
generale ma non individuale.
4. È raro, sia nella letteratura che nella vita, trovare
un animale, persino un animale domestico, che viva
pacificamente l'intero corso della sua vita sino a rag-
giungere un finale nunc dimittis. Le eccezioni, come
il cane di Ulisse, sono appropriate al tema del nostos
o perfetta chiusura di un movimento ciclico. Le vi-
te degli animali', e le vite umane anch'esse soggette
all'ordine della natura, suggeriscono piu frequente-
mente il tragico processo della vita troncata violen-
temente da un incidente, sacrificio, atto di ferocia o
necessità incalzante: la continuità che esiste dopo
l'atto tragico essendo qualcosa di diverso dalla vita
stessa.
5. Il mondo vegetale ci presenta il ciclo annuale delle
stagioni, spesso rappresentate da una figura divina
che muore in autunno o è uccisa al momento del rac-
colto e della vendemmia, scompare in inverno e ri-
vive in primavera. La figura divina può essere ma-
schio (Adone) o femmina (Proserpina), ma le strut-
ture simboliche che ne derivano sono un po' diffe-
renti.
6. I poeti, come pure i critici, hanno generalmente se-
guito teorie spengleriane, nel senso che in poesia, co-
me in Spengler, la vita della civiltà è stata spesso pa-
ragonata al ciclo organico di crescita, maturità, de-
clino, morte e rinascita in un'altra forma individua-
le. Appartengono a questa concezione i temi di un'e-
1 Quindi il rapporto tra il simbolismo animale e la fase del ciclo è ca-
ratterizzato dalla scelta dell'animale piuttosto che dall'epoca. Ci aspettia-
mo infatti di trovare cervi nei romances, e topi in The \Vaste La11d.
212 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

tà dell'oro ed eroica nel passato, di un periodo di


grande prosperità nel futuro, della ruota della for-
tuna negli affari sociali, dell'atteggiamento elegiaco
dell'uhi sunt, delle meditazioni sulle rovine, della
nostalgia per una perduta semplicità pastorale, del
rammarico o dell'esultazione per la caduta di un im-
pero.
7. Anche il simbolismo dell'acqua ha il suo ciclo, dalle
piogge alle sorgenti, dalle sorgenti e dalle fontane ai
ruscelli e ai fiumi, dai fiumi al mare o alla neve inver-
nale, e di nuovo daccapo.
Questi simboli ciclici sono di solito divisi in quattro fa-
si principali: le quattro stagioni dell'anno sono il modello
per i quattro periodi del giorno (mattino, meriggio, sera,
notte), i quattro aspetti del ciclo dell'acqua (pioggia, sor-
genti, fiumi, mare o neve), i quattro periodi della vita
(gioventu, maturità, vecchiaia, morte) e simili. Troviamo
un gran numero di simboli appartenenti alla prima e alla
seconda fase nell'Endymion di Keats, e di quelli della ter-
za e quarta fase in T he W aste Land (dove dobbiamo ag-
giungere i quattro stadi della cultura occidentale, Medioe-
vo, Rinascimento, XVIII secolo, ed età contemporanea).
Notiamo che non vi è alcun ciclo dell'aria: il vento soffia
dove vuole e le immagini che trattano del movimento del-
lo «spirito» sono piuttosto associate al tema dell'impre-
vedibilità o di crisi improvvise.

Se ci dedichiamo allo studio di poemi di ampio respiro


come la Commedia o Paradise Lost, ci accorgiamo che, se
non le abbiamo già, dobbiamo imparare parecchie nozioni
di cosmologia. Questa cosmologia ci viene presentata,
giustamente del resto, come la scienza di un tempo remo-
to; uno schematismo di corrispondenza che, dopo averci
fornito un calendario non troppo esatto e alcune parole
come «flemmatico» e «gioviale», avrebbe svolto la sua
funzione di scienza e sarebbe scomparso. Ci sono pure al-
tri poemi che incorporano scienze altrettanto antiquate
come The Purple Island, The Loves o/ the Plants, The
TEORIA DEL «MYTHOS »: INTRODUZIONE 2r3
Art of Preserving Health, che sopravvivono soprattutto
come curiosità. Un critico letterario non dovrebbe trascu-
rare di notare il complimento fatto alla poesia dall'esi-
stenza di tali poemi; ciò nondimeno la scienza versifica-
ta, in quanto tale, mantiene la struttura descrittiva della
scienza e perciò impone una forma non-poetica alla poesia.
È necessario avere molto tatto per farne della buona poe-
sia, e tuttavia coloro che sono piu affascinati da questi
temi sembrano essere in genere privi di discernimento
come poeti. Dante e Milton furono certamente poeti mi-
gliori di Darwin o Fletcher: tuttavia sarebbe forse piu
utile dire che fu la maggior finezza dei loro istinti e dei
loro giudizi a guidarli verso temi cosmologici, in quanto
distinti da quelli scientifici o descrittivi.
Infatti la forma della cosmologia è chiaramente molto
piu vicina a quella della poesia, ed è abbastanza naturale
pensare che la cosmologia simmetrica possa essere una
branca della mitologia. In tal caso essa sarebbe, come il
mito, uno dei principi strutturali della poesia, mentre co-
me scienza in sé e per sé la cosmologia simmetrica è esat-
tamente ciò che Bacone disse, cioè un idolum theatri. Al-
lora forse possiamo dire che tutto questo mondo pseudo-
scientifico dei tre spiriti, quattro umori, cinque elementi,
sette pianeti, nove sfere, dodici segni zodiacali e cosf via
appartiene non solo in pratica ma anche in realtà alla
grammatica delle immagini letterarie. È stato osservato
già da molto tempo che l'universo tolemaico fornisce una
struttura simbolica migliore, con tutte le identità, associa-
zioni e corrispondenze che il simbolismo richiede, di quel-
lo copernicano. Forse non soltanto fornisce, ma è una
struttura di simboli poetici, o in ogni caso lo diventa do-
po aver perso la sua validità come scienza, proprio come la
mitologia classica divenne puramente poetica quando i
suoi oracoli cessarono. Lo stesso principio spiega il fasci-
no che hanno esercitato sui poeti di questi ultimi due se-
coli i sistemi di corrispondenze occulte, o la loro tendenza
verso costruzioni come quelle di Vision di Yeats e di Eu-
reka di Poe.
La concezione di un cielo soprastante, un inferno sotto-
stante, e un cosmo o ordine naturale ciclico tra i due for-
214 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

ma lo schema base, mutatis mutandis, sia di Dante che di


Milton. Lo stesso schema si trova nei dipinti del Giudizio
Universale dove vi è un movimento rotatorio degli elet-
ti in ascesa sulla destra e dei dannati che precipitano sul-
la sinistra. Possiamo applicare questa struttura al nostro
principio dei due movimenti fondamentali della narrati-
va: il movimento ciclico all'interno dell'ordine naturale, e
il movimento dialettico da questo ordine al mondo apoca-
littico soprastante (il movimento verso il mondo demoni-
co sottostante è molto raro, perché una costante rotazione
all'interno dell'ordine naturale è demonica in se stessa).
La metà superiore del ciclo naturale è il mondo del ro-
mance e l'analogia dell'innocenza; la metà inferiore è il
mondo del «realismo» e l'analogia dell'esperienza. Ci so-
no perciò quattro tipi principali di movimento mitico:
all'interno del romance, all'interno dell'esperienza, verso
l'alto e verso il basso. Il movimento verso il basso è il
movimento tragico, che segna il passaggio della ruota del-
la fortuna dall'innocenza all'hamartia e dall'hamartia alla
catastrofe. Il movimento verso l'alto è il movimento comi-
co, che segna il passaggio da complicazioni minacciose a
un lieto fine e generalmente presuppone uno stato di in-
nocenza scoperto a posteriori, nel quale ciascuno vive per
sempre felicemente. In Dante il movimento verso l'alto
è quello attraverso il Purgatorio.
Abbiamo cosf risposto alla seguente domanda: esisto-
no categorie letterarie narrative piu ampie e, su un piano
logico, anteriori ai comuni generi letterari? Ci sono quat-
tro categorie di questo tipo: quella del romance, la cate-
goria tragica, la comica, e l'ironica o satirica. Otteniamo la
stessa risposta se, per una verifica, diamo un'occhiata al
significato comune di questi termini. Tragedia e comme-
dia possono essere stati originariamente i nomi di due ti-
pi di lavori drammatici, ma questi termini vengono anche
usati per descrivere determinate caratteristiche generali
di opere d'immaginazione a prescindere dal genere lette-
rario cui appartengono. Sarebbe sciocco obbiettare che il
termine commedia può essere usato solo quando si parla
di un certo tipo di lavoro drammatico e non deve mai es-
sere usato in connessione con Chaucer o Jane Austcn.
TEORIA DEL «MYTHOS »: INTRODUZIONE 215

Chaucer stesso avrebbe certamente definito la commedia,


come il suo monaco definisce la tragedia, in un senso assai
piu ampio. Se ci viene detto che quanto stiamo per legge-
re è tragico o comico, noi ci aspettiamo un certo tipo di
struttura e di atmosfera, ma non necessariamente un cer-
to genere letterario. Lo stesso si può dire della parola ro-
mance, ed anche delle parole ironia e satira che sono, nel
modo in cui vengono di solito usate, elementi della lette-
ratura dell'esperienza, e che adotteremo qui al posto del
termine «realismo». Abbiamo cosi in letteratura quattro
elementi narrativi che, logicamente, sono anteriori ai ge-
neri e che chiameremo mythoi o trame generiche.
Se pensiamo alla nostra esperienza di questi mythoi ci
accorgiamo che essi formano due coppie in opposizione.
La tragedia e la commedia tendono ad essere in contra-
sto piuttosto che a mescolarsi, e cosi pure il romance e
l'ironia, modelli rispettivamente dell'ideale e del reale.
D'altro canto, la commedia tende insensibilmente a tra-
sformarsi da una parte in satira e dall'altra in romance;
il romance può essere comico o tragico; la tragedia va dal
romance piu idealizzato al realismo piu amaro e ironico.
Il mythos della primavera: la commedia

La commedia teatrale, dalla quale la commedia nar-


rativa soprattutto deriva, è sempre stata piuttosto rigida
nei suoi princip1 strutturali e tipi di personaggi. Bernard
Shaw ha fatto osservare che un commediografo potrebbe
farsi una fama di originalissimo autore rubando il metodo
a Molière e i personaggi a Dickens: e cosf se dicessimo
che Menandro e Aristofane sono creditori di Molière e
Dickens, l'affermazione non sarebbe meno vera, almeno
in linea generale. La prima commedia europea esistente,
Gli Acarnesi di Aristofane, contiene il tipo del miles glo-
riosus o soldato millantatore che è stato ancora ripreso
con successo in The Great Dictator di Chaplin. Il Joxer
Daly di ]uno and the Paycock di O'Casey ha lo stesso ca-
rattere e funzione drammatica dei parassiti di duemilacin-
quecento anni fa, e il pubblico del vaudeville, dei racconti
a fumetti e dei programmi televisivi ride ancora ascoltan-
do battute che sono state già dichiarate sorpassate nell'e-
sordio delle Rane.
La struttura della trama della commedia nuova greca,
come ci è stata trasmessa da Plauto e Terenzio - in se
stessa non tanto una forma quanto una formula - è diven-
tata la base della maggior parte delle commedie fino ai
giorni nostri, specialmente per quelle di piu elevata con-
venzione drammatica. Ci sarà molto utile ricostruire la
teoria della struttura comica partendo dal teatro ed usan-
do solo incidentalmente esempi narrativi. Quel che di so-
lito accade nella commedia è che un giovane vuole una
ragazza, ma il suo desiderio è ostacolato da una opposizio-
ne, per lo piu paterna, finché, verso la conclusione, la tra-
IL «MYTHOS» DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 2I7

ma prende improvvisamente una piega diversa e l'eroe


può soddisfare la sua volontà. In questo semplice schema
si inseriscono parecchie complicazioni. In primo luogo, il
movimento della commedia è di solito un movimento da
un certo genere di società ad un altro. All'inizio del dram-
ma i personaggi che hanno funzione di ostacoli sono an-
che coloro che presiedono alla società presentata in scena,
e il pubblico riconosce in essi degli usurpatori. Alla fine
del dramma lo stratagemma nell'intreccio che riunisce
l'eroe e l'eroina provoca la cristallizzazione di una nuova
società intorno all'eroe, e il momento in cui ciò avviene
è il momento risolutivo dell'azione, la scoperta comica,
anagnorisis o cognitio.
Il comparire di questa nuova società è spesso segnalato
da un qualche tipo di festa o rituale festivo, che ha luogo
alla fine del dramma o si presume seguirà subito dopo.
Gli sposalizi sono tra le conclusioni piu comuni, e talvol-
ta sono cosf numerosi in una stessa commedia ( si pensi al
quadruplice matrimonio alla fine di As You Like It) da
suggerire anche il formarsi di numerosissime coppie du-
rante una danza, la quale è pure un'altra conclusione co-
mune, anzi è quella regolare nel masque. Il banchetto al-
la fine di The Taming of the Shrew risale alla Comme-
dia greca di mezzo; in Plauto talvolta gli spettatori sono
scherzosamente invitati a un banchetto immaginario dopo
lo spettacolo; nella Commedia Antica, come nelle moder-
ne pantomime natalizie, si era piu generosi e si gettavano
di tanto in tanto pezzi di cibo agli spettatori. Poiché la so-
cietà finale raggiunta dalla commedia è quella che gli spet-
tatori hanno riconosciuto durante tutto il dramma come
lo stato di cose giusto e desiderabile, questo atto finale di
comunione con il pubblico è appropriato e normale. An-
che gli attori tragici si aspettano, come i comici, di essere
applauditi e tuttavia la parola «plaudite» usata alla fine
della commedia romana, cioè l'invito al pubblico ad entra-
re a far parte della società comica, sembrerebbe piuttosto
fuor di luogo alla fine di una tragedia. Nella commedia la
soluzione viene, per cosf dire, dalla parte del teatro dove
è il pubblico; nella tragedia essa viene da un mondo mi-
sterioso situato dalla parte opposta. Al cinema, dove l'o-
218 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

scurità crea un pubblico orientato in senso piu erotico, la


trama si sviluppa di solito verso un atto che, come la mor-
te nella tragedia greca, ha luogo fuori della scena, ed è
simboleggiato da un amplesso finale.
Quindi gli ostacoli posti al desiderio dell'eroe dànno
vita all'azione della commedia e il loro superamento for-
ma la risoluzione comica. Gli ostacoli sono di solito da
parte dei genitori: quindi la commedia è spesso incentra-
ta sull'urto tra la volontà di un figlio e quella di un pa-
dre. Ciò significa che di regola il commediografo scrive
per il pubblico giovane, mentre in quasi ogni società i vec-
chi tendono a vedere nella commedia qualcosa di sovver-
sivo. Questa è certamente una delle cause per cui il teatro
è stato oggetto di persecuzioni, e non soltanto tra i puri-
tani o i cristiani, poiché Terenzio incontrò nella Roma pa-
gana lo stesso genere di opposizione sociale a cui si urtò
Ben Jonson. C'è, per esempio, in Plauto una scena in cui
un figlio e un padre fanno all'amore con la stessa cortigia-
na e il figlio chiede esplicitamente al padre se egli ami la
madre: bisogna vedere questa scena sullo sfondo della vi-
ta familiare romana per capire la sua importanza come
scarico psicologico. Persino in Shakespeare ci sono sor-
prendenti esplosioni emotive di vecchi vogliosi, e nel ci-
nema contemporaneo il trionfo della gioventu è cosi fre-
quente ed eccessivo che gli autori di film trovano difficol-
tà a inserire nel loro pubblico persone al di sopra dei di-
ciassette anni.
Se non è il padre, colui che si oppone ai desideri dell'e-
roe è di solito qualcuno che come il padre ha uno stretto
rapporto con la società stabilita: cioè un rivale con meno
gioventu e piu denaro. In Plauto e Terenzio esso è di so-
lito il mezzano che possiede la ragazza, o un soldato vaga-
bondo con una buona provvista di denaro contante. La
furia con cui questi personaggi sono scherniti e screditati
sulla scena mostra che essi sono surrogati della figura del
padre; ma, anche se non lo fossero, sarebbero sempre u-
surpatori, e la loro pretesa di possedere la ragazza deve es-
sere smascherata come fraudolenta. Si tratta, in altri ter-
mini, di impostori e la misura in cui essi hanno un potere
reale implica una critica della società che concede loro di
IL «MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 219

detenere tale potere. In Plauto e Terenzio la critica vara-


ramente oltre la denuncia dell'immoralità dei bordelli e
delle prostitute di professione, ma tra i drammaturghi ri-
nascimentali, compreso Ben Jonson, vi sono alcune acute
osservazioni sul crescente potere del denaro e sul genere
di classe dirigente che esso sta creando.
La commedia tende ad includere il maggior numero
possibile di persone nella sua società finale: i personaggi
che hanno funzione di ostacoli sono piu spesso riconciliati
o convertiti che semplicemente ripudiati. Spesso la com-
media fa uso dell'elemento ritualistico dell'espulsione del
capro espiatorio per liberarsi di un personaggio irrecon-
ciliabile; ma lo smascheramento e la vergogna servono
piuttosto a creare il pathos o persino la tragedia. The
Merchant of Venice sembra quasi un esperimento della
massima alterazione possibile dell'equilibrio comico: se
il ruolo drammatico di Shylock è anche solo leggermente
esagerato, come succede di solito quando il primo attore
della compagnia ne recita la parte, l'equilibrio resta alte-
rato e il dramma diventa la tragedia dell'Ebreo di Vene-
zia con un epilogo comico. Volpone termina con un gran
trambusto di condanne ai lavori forzati e alle galere, e si
ha l'impressione che per liberare la società non ci sia biso-
gno di tanta fatica; ma Volpone è un'eccezione, essendo
una specie di imitazione comica di una tragedia, con chia-
ramente accentuato' l'elemento di hybris in Volpone.
Il principio della conversione diventa piu esplicito nei
personaggi la cui funzione principale è divertire il pubbli-
co. Il miles gloriosus originario in Plauto è un figlio di
Giove e Venere il quale ha ucciso un elefante con un pu-
gno e settemila uomini in un solo giorno di combattimen-
to. In altre parole egli sta cercando di dare spettacolo:
l'esuberanza della sua millanteria aiuta a condurre a ter-
mine la rappresentazione. Secondo la convenzione lo spac-
cone dovrebbe essere smascherato, messo in ridicolo, rag-
girato e infine battuto. Ma perché mai proprio il dramma-
turgo di professione dovrebbe voler perseguitare un per-
sonaggio che sta dando un bello spettacolo, il suo spetta-
1 Volpone, V, n, 12-14.
220 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

colo per giunta? Quando vediamo che Falstaff è invitato


al banchetto finale in The Merry Wives, che la condanna
di Calibano è sospesa, che si fanno dei tentativi di placare
Malvolio, e che ad Angelo e Parolles è concesso di vivere
nonostante la loro ignominia, ci accorgiamo che qui è ope-
rante il principio fondamentale della commedia. La ten-
denza della società comica ad includere piuttosto che e-
scludere spiega la tradizionale importanza data al parassi-
ta che non ha niente a che fare con il festeggiamento fina-
le eppure vi è presente. La parola «grazia» con tutte le
implicazioni rinascimentali, dalla graziosità di modi del
cortigiano del Castiglione alla grazia dispensata dal Dio
del cristianesimo, è una parola tematica importantissima
nella commedia shakespeariana.
Nello spostarsi da un centro sociale ad un altro, l'a-
zione della commedia non è diversa da un processo dove
il querelante e l'imputato costruiscono versioni diverse
della stessa situazione, una delle quali viene alla fine giu-
dicata vera e l'altra illusoria. Questa rassomiglianza tra la
retorica della commedia e quella della giurisprudenza è
stata riconosciuta sin dai tempi piu antichi. Un opusco-
letto intitolato Tractatus coislinianus', che è strettamente
collegato alla Poetica di Aristotele, e che in poco piu di
una pagina definisce tutti gli elementi essenziali della
commedia, divide la dianoia della commedia in due parti,
opinione (pistis) e dimostrazione (gnosis ). Esse corrispon-
dono grosso modo alla società usurpatrice e a quella desi-
derabile. Le dimostrazioni ( cioè i mezzi per realizzare la
società piu felice) sono suddivise in giuramenti, contratti,
testimonianze, ordalie (o torture), e leggi: in altre paro-
le le cinque forme di prove materiali nei casi legali, quali
sono elencate nella Retorica. Notiamo quanto frequente-
mente l'azione di una commedia shakespeariana comin-
ci con una legge assurda, crudele o irrazionale: la legge
per l'uccisione dei Siracusani nella Comedy of Errors, la
legge del matrimonio forzato in A Midsummer Night's
Dream, la legge che conferma il contratto di Shylock, i
tentativi di Angelo per forzare il popolo alla rettitudine
1 Cfr. LANE COOPER, An Aristotelian Theory of Comedy (1922).
IL «MYTHOS» DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 221

mediante la legge, e simili, tutte leggi che poi nell'azione


della commedia vengono evase o infrante. I contratti so-
no di solito le congiure organizzate dalla società dell'eroe;
i testimoni, per esempio coloro che ascoltano per caso una
conversazione oppure coloro che sono a conoscenza di fat-
ti speciali (come la vecchia nutrice dell'eroe che ricorda
esattamente i segni caratteristici della nascita) sono gli
espedienti piu comuni per giungere alla scoperta comica.
Le ordalie (basanoi) sono di solito prove o pietre di para-
gone del carattere dell'eroe: anche la parola greca signifi-
ca «pietre di paragone», e sembra essere riecheggiata nel
Bassanio di Shakespeare, la cui prova consiste nel giudi-
care il valore dei metalli.
Ci sono due modi di sviluppare la forma della comme-
dia: concentrare l'attenzione soprattutto sui personaggi
che hanno funzione di ostacoli; e costruire la commedia
stessa in funzione delle scene di scoperta e riconciliazione.
La prima è la tendenza generale dell'ironia, della satira e
del realismo comici e degli studi di costume; la seconda
è la tendenza delle commedie shakespeariane e degli al-
tri tipi di commedie in cui prevale lo spirito del romance.
Nella commedia di costume l'interesse etico principale
è concentrato di solito sui personaggi negativi. L'eroe e
l'eroina tecnici spesso non sono gente molto interessante:
gli adulescentes di Plauto e Terenzio sono tutti uguali e
difficili da distinguersi al buio come Demetrio e Lisan-
dro, che forse sono loro parodie. In generale il personag-
gio dell'eroe ha una neutralità che gli permette di rappre-
sentare la realizzazione di un desiderio. Le cose stanno
ben diversamente con il personaggio del padre avaro o
crudele, del rivale frivolo e vanaglorioso, o con gli altri
personaggi che ostacolano lo svolgimento dell'azione. In
Molière abbiamo una formula semplice, ma felicemente
sperimentata, nella quale l'interesse etico è concentrato
su un unico personaggio negativo, un padre severo, un
avaro, un misantropo, un ipocrita, o un ipocondriaco.
Queste sono le figure che ricordiamo, e spesso esse dànno
il titolo alla commedia, ma ben di rado ci capita di ricor-
dare i Valentini e le Angeliche che riescono a sgusciare
fuori dalle loro grinfie. In The Merry Wives colui che è
222 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

tecnicamente l'eroe, cioè un uomo di nome Fenton, ha so-


lo una piccolissima parte nell'azione: questa commedia ha
tratto uno o due spunti dalla Casina di Plauto, dove addi-
rittura l'eroe e l'eroina non sono nemmeno portati in sce-
na. La commedia narrativa, specialmente in Dickens, se-
gue spesso la stessa norma di raggruppare i personaggi
interessanti intorno ad un paio di protagonisti piuttosto
insipidi. Persino il personaggio di Tam Jones, sebbene sia
molto piu vivo, è deliberatamente associato, come il suo
nome piuttosto comune suggerisce, al mondo piu tipico e
convenzionale.
La commedia procede di solito verso un lieto fine, al
quale generalmente il pubblico reagisce dicendo « cosi do-
vrebbe essere». Questo suona come un giudizio morale e
difatti lo è: solo che non si tratta di un giudizio morale in
senso stretto, ma sociale. Il suo opposto non è la malva-
gità, ma l'assurdità: la commedia trova le virtu di Malvo-
lio assurde come i vizi di Angelo. Il misantropo di Moliè-
re, che pratica la virtu della sincerità sempre e ad ogni co-
sto, si trova in una posizione morale molto forte, ma il
pubblico si accorge ben presto che il suo amico Philinte,
che non si fa scrupolo di mentire per permettere alla gen-
te di mantenere il rispetto di sé, è il piu genuinamente sin-
cero dei due. Naturalmente esistono commedie morali,
ma spesso si risolvono in quel genere di melodramma che
abbiamo descritto come commedia senza comicità, e che
raggiunge il lieto fine con un tono di fariseismo accura-
tamente evitato dalla maggior parte delle commedie. È
quasi impossibile immaginare un lavoro drammatico sen-
za conflitto e cosi'. pure immaginare un conflitto senza un
qualche genere di inimicizia. Ma come l'amore, compreso
l'amore sessuale, è molto diverso dalla concupiscenza, co-
si l'inimicizia è una cosa molto diversa dall'odio. Nella
tragedia naturalmente l'inimicizia include quasi sempre
l'odio; la commedia è diversa e ci si accorge che il giudizio
sociale contro l'assurdità è piu vicino al modello comico
che non il giudizio morale contro la malvagità.
Sorge allora il problema di che cosa renda assurdo il
personaggio con funzione di ostacolo. Ben Jonson ne da.
va una spiegazione mediante la sua teoria dell'humor, o
IL « MYTHOS » DELLA PRIMA VERA: LA COMMEDIA 223

personaggio dominato da quella che Pope chiama una pas-


sione sovrana. La funzione drammatica dell'«humor» è
esprimere uno stato di quella che può essere definita schia-
vitu rituale. Egli è ossessionato dal suo humor e la sua
funzione nel dramma è soprattutto quella di ripetere la
sua ossessione, Un uomo ammalato non costituisce un hu-
mor, ma un ipocondriaco sf, perché, in quanto ipocondria-
co, non può mai essere in buona salute e non può mai fare
nulla che non sia coerente con il ruolo che si è imposto.
Allo stesso modo un avaro non può fare o dire nulla che
non sia connesso con il fatto di nascondere dell'oro o di
risparmiare del denaro. In The Silent Woman, il dramma
in cui Jonson piu si avvicina al tipo di costruzione molie-
resco, l'intera azione procede con un movimento di allon-
tanamento dall'atmosfera che l'humor di Morose crea; an-
zi è proprio la determinazione di Morose di eliminare il
rumore dalla sua vita a produrre un'azione comica cosf lo-
quace.
Il principio su cui si basa la teoria dell' humor è la co-
micità della ripetizione gratuita ed inutile, sistema adotta-
to in letteratura per rappresentare lo stato di schiavitu ri-
tuale. In una tragedia - l'Edipo tiranno ne è l'esempio ti-
pico - la ripetizione porta logicamente alla catastrofe. La
ripetizione eccessiva o non diretta a nessun fine, è tipica
della commedia; infatti il riso è in parte un riflesso e, co-
me altri riflessi, può essere condizionato da una semplice
ripetizione di schemi. In Riders to the Sea di Synge, una
madre, dopo aver perso il marito e cinque figli sul mare,
perde alla fine il suo ultimo figlio e quel che ne risulta è
un dramma bellissimo e commovente. Ma se tale dramma
avesse l'ampiezza di un'intera tragedia regolare e com-
prendesse nella sua lugubre azione i sette annegamenti u-
no dopo l'altro, il pubblico non potrebbe fare a meno di
manifestare ridendo la sua incomprensione assai prima
della fine. Il principio della ripetizione come base sia del-
1'humor in senso jonsoniano che dell'umorismo nel senso
moderno è ben noto ai creatori di fumetti comici: nei qua-
li compare un personaggio, per esempio un parassita, un
ghiottone (spesso avido di un unico cibo), o una bisbeti-
ca, che comincia ad essere divertente dopo che la sua ca-
224 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

ratteristica è stata sottolineata ogni giorno per parecchi


mesi. Lo stesso succede con i programmi comici continua-
ti alla radio, che sono molto piu divertenti per gli habi-
tués che per i neofiti. La sottopancia di Falstaff e le alluci-
nazioni di Don Chisciotte sono basate sulle stesse leggi
comiche. E. M. Forster 1 parla con disdegno di Mrs Mi-
cawber di Dickens la quale si limita a ripetere che non
abbandonerà mai Mr Micawber: qui è fortemente sottoli-
neato il contrasto tra lo scrittore ricercato, troppo ricer-
cato per adottare formule popolari, e il grande scrittore
che non si fa scrupolo di utilizzarle.
Lo humor comico è di solito un personaggio di notevo-
le prestigio e potere sociale, la cui mania influenza buona
parte della società rappresentata nella commedia. Perciò
l'humor è intimamente connesso con il tema della legge
assurda o irrazionale che l'azione della commedia svilup-
pandosi tende a infrangere. È significativo che il perso-
naggio centrale della piu antica commedia di questo filo-
ne, Le vespe, sia ossessionato da casi legali: anche Shy-
lock ha, al tempo stesso, la mania della legge e della ven-
detta. Spesso la legge assurda viene presentata come il
capriccio di un tiranno incoerente la cui volontà è legge,
come Leonte o il volubile duca Federico in Shakespeare
che prende decisioni arbitrarie e fa promesse avventate:
qui la legge è sostituita dal« giuramento», menzionato an-
che nel Tractatus. Oppure può prendere la forma di una
simulata Utopia, di una società fondata su legami rituali
e a cui dà vita una volontà capricciosa o pedante, come il
ritiro accademico in Love's Labor's Lost. Inoltre questo
tema è vecchio come Aristofane che lo tratta nelle sue
parodie dei modelli sociali platonici negli Uccelli e nelle
Ecclesiazuse.
La società che emerge alla fine della commedia rappre-
senta per contrasto una specie di norma morale o una so-
1 Aspects of the Novel (1927), cap, I. Sarebbe forse meglio sottolineare
il contrasto tra una ripetizione nella letteratura di invenzione, come nella
formula di Mrs Micawber, e la ripetizione nella letteratura tematica, come
in Matthew Arnold che replica sino alla nausea le fatue espressioni dei
suoi avversari. Per ciò che riguarda 1a funzione di tali ripetizioni tematiche
nell'opera stessa di Forster dr. E. K. BROWN, Rhythm in the Novel (19.50).
IL «MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 225

cietà libera in senso prammatico. Raramente i suoi ideali


vengono definiti o formulati: definizione e formulazione
appartengono agli humors, la cui attività deve essere pre-
vedibile. Alla fine della commedia ci viene semplicemente
fatto capire che il giovane e la ragazza appena sposati vi-
vranno sempre felici, o che comunque la loro unione non
conoscerà contrasti né complicazioni. Questa è una delle
ragioni per cui spesso il personaggio dell'eroe vittorioso
non viene affatto sviluppato: la sua vita vera e propria in-
comincia alla fine del dramma, e a noi è richiesto di crede-
re che egli sia potenzialmente un personaggio piu interes-
sante di quanto appaia. Negli Adelphoi di Terenzio, i pro-
tagonisti sono due fratelli, Demea che è un padre molto
severo, e Micione che è invece persona molto indulgente.
Micione con la sua maggiore generosità prepara la risolu-
zione comica e converte Demea, ma a questo punto De-
mea dimostra che l'indolenza ispira buona parte della libe-
ralità di Micione e anche questi subisce un processo di li-
berazione da un vincolo ossessivo, che aveva però nella
commedia una funzione secondaria.
Perciò il movimento dalla pistis alla gnosis, da una so-
cietà in cui imperano la consuetudine, il vincolo rituale,
la legge arbitraria e i personaggi piu anziani a una società
in cui regnano i giovani e la libertà di agire è, come i ter-
mini greci suggeriscono, fondamentalmente un movimen-
to dall'illusione alla realtà. Illusione è tutto ciò che è fis-
sato o definibile, e realtà è ciò che non lo è: qualunque
cosa la realtà sia, certamente non è questo. Donde l'im-
portanza nella commedia del tema della creazione e disper-
sione dell'illusione: illusione che può essere provocata da
un travestimento, un'ossessione, un'ipocrisia, o un'ignota
paternità.
Il finale comico è generalmente provocato da un'im-
provvisa variazione della trama. Nella commedia romana
si scopre che l'eroina, di solito una schiava o una cortigia-
na, è la figlia di un qualche personaggio rispettabile sicché
l'eroe può sposarla senza perdere la faccia. La cognitio
nella commedia, nella quale i personaggi scoprono chi so-
no i loro parenti e chi invece, del sesso opposto, non es-
sendo parente resta disponibile per il matrimonio, è uno
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

degli elementi tipici della commedia che non ha subito


molti cambiamenti: The Confidential Clerk indica che es-
so attira ancor oggi l'attenzione dei drammaturghi. Vi è
una brillante parodia di un caso di cognitio alla fine di
Major Barbara (il fatto che l'eroe di questa commedia sia
un professore di greco indica forse una insolita affinità con
le convenzioni di Euripide e di Menandro), dove Under-
shaf t riesce ad infrangere la norma secondo cui egli non
può designare il genero come suo successore semplicemen-
te scoprendo che il padre di suo genero ha sposato in Au-
stralia la sorella della sua defunta moglie, e quindi lui e
suo genero sono cugini primi. La faccenda sembra compli-
cata, ma le trame delle commedie sono spesso complicate
perché alle complicazioni è inerente un certo carattere di
assurdità. Poiché la commedia concentra molto spesso il
suo interesse sul personaggio del fallito o del vinto, essa
serve di regola a illustrare la vittoria di una trama arbitra-
ria sulla coerenza di un personaggio. Quindi, a differen-
za di quel che accade nella tragedia, non può darsi la com-
media inevitabile, almeno per quel che concerne l'azione
dei singoli lavori teatrali. Cioè, noi possiamo anche sapere
che la commedia si chiuderà inevitabilmente per conven-
zione con un lieto fine, ma per ogni commedia il dramma-
turgo deve studiare uno specifico gimmick o weenie, per
usare due irrispettosi sinonimi hollywoodiani di anagnori-
sis. I lieti fini non ci sembrano reali, ma desiderabili, e so-
no di solito il frutto di un artificio. Chi assiste a uno spet-
tacolo di tragedia e di morte non ha altro da fare che star
seduto e aspettare la fine inevitabile; ma qualcosa comin-
cia alla fine della commedia e chi assiste a questo inizio è
un membro di una società attiva.
Non sempre questo artificio implica la metamorfosi di
un personaggio, ma anche se ciò accade, non si può dire
che le regole comiche siano state violate. A differenza del-
le conversioni, le trasformazioni miracolose e l'assistenza
provvidenziale sono inseparabili dalla commedia. Inoltre
si suppone che qualunque risultato sia duraturo: se il bi-
sbetico diventa simpatico, si dà per scontato che non rica-
drà subito nella sua vecchia abitudine. Le civiltà che ac-
centuano ciò che è desiderabile piuttosto che ciò che è rea-
IL «MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 227

le e giudicano la prospettiva religiosa opposta a quella


scientifica, pensano al teatro quasi solo in termini di com-
media. Sembra che nel teatro classico indiano il finale tra-
gico fosse considerato di cattivo gusto, piu o meno come
l'artificioso lieto fine della commedia è considerato di cat-
tivo gusto dai romanzieri che inclinano al realismo iro-
nico.
Il mythos completo della commedia, di cui solo una
piccola parte viene di solito presentata, ha regolarmente
quella che in musica viene chiamata una forma ternaria:
la società dell'eroe si ribella alla società del senex e trion-
fa, ma la società dell'eroe è un Saturnale, un rovesciamen-
to dei moduli sociali che presuppone un'età dell'oro, ante-
riore all'inizio dell'azione nella commedia. Abbiamo quin-
di un ordine stabile e armonioso infranto dalla follia, dal-
l'ossessione, dalla dimenticanza, da « orgoglio e pregiudi-
zio», o da eventi non compresi dai personaggi stessi, e alla
fine una restaurazione dell'ordine primitivo. Spesso c'è
una benevola figura di vecchio che domina l'azione pro-
vocata dall' humor con funzione di ostacolo e che collega
cosi la prima e la terza parte. Ne è un esempio Mr Bur-
chell, lo zio nascosto del malvagio signorotto, in The Vi-
car of Wakefield. Un lavoro drammatico molto lungo, co-
me il Sakuntala indiano, può presentare tutte e tre le fasi;
una commedia molto intricata, come probabilmente erano
parecchie commedie di Menandro, può indicarne i con-
torni. Ma naturalmente molto spesso la prima fase viene
completamente omessa: il pubblico dà per scontata la
preesistenza di uno stato di cose ideale migliore di quello
che viene mostrato sulla scena e simile a quello verso cui
tende l'azione. Da un punto di vista rituale, questa azione
ternaria è come una contesa tra estate e inverno nella qua-
le l'inverno occupa l'azione centrale'; da un punto di vi-
sta psicologico, è come la rimozione di una nevrosi o di
un punto d'ostacolo e il ripristino di una ininterrotta cor-
rente di energia e memoria. Il masque jonsoniano, inter-
1 Quindi l'archetipo del personaggio con funzione di ostacolo è nella
commedia l'interrex o la persona cui è demandato il comando: cfr. T. H.
GASTER, Tbespis (1950), p. 34. Angelo in Measure /or Measure ne è l'e-
sempio piu chiaro.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

rotto da un antimasque nel mezzo, ne dà una versione


«astratta» o altamente convenzionale.

Passiamo ora ai personaggi tipici della commedia. Nel


teatro la caratterizzazione dei personaggi dipende dalla lo-
ro funzione: quel che un personaggio è, deriva da quello
che deve fare sulla scena. La funzione drammatica a sua
volta dipende dalla struttura dell'opera; il personaggio
dovrà fare certe cose perché l'opera avrà quella certa for-
ma. La struttura dell'opera a sua volta dipende dalla cate-
goria a cui essa appartiene; se si tratta di una commedia,
la sua struttura richiederà una soluzione comica e la pre-
dominanza di un'atmosfera comica. Quindi, quando par-
liamo di personaggi tipici, non vogliamo ridurre dei per-
sonaggi dotati di vita propria a tipi schematizzati, ma in-
sinuare che la sentimentale contrapposizione del perso-
naggio dotato di vita propria al tipo schematizzato è un
volgare errore. Tutti i personaggi dotati di vita propria
sia nel teatro che nella narrativa, debbono la loro consi-
stenza all'adeguatezza del tipo schematizzato cui è de-
mandata la loro funzione drammatica. Questo tipo sche-
matizzato non è il personaggio, ma è necessario al perso-
naggio come lo scheletro all'attore che ne recita la parte.
Riguardo alla caratterizzazione nella commedia, il Trac-
tatus elenca tre tipi di personaggi comici: gli alazones o
impostori, gli eirones o intercessori per se stessi, e i buffo-
ni (bomolochoi). Questo elenco è in stretto rapporto con
un passo dell'Etica in cui i primi due tipi vengono de-
scritti come opposti e la figura del buffone è a sua volta
contrapposta alla figura che Aristotele chiama agroikos o
villano, letteralmente rustico. Si può ragionevolmente ac-
cettare il villano come quarto tipo di personaggio ed avere
cosf due coppie opposte. La contesa tra l' eiron e l' alazon
forma la base dell'azione comica, e il buffone e il villano
polarizzano l'atmosfera comica.
Si è trattato precedentemente dei termini eiron e ala-
zon. Nella commedia gli humors con funzione di ostacolo
sono quasi sempre degli impostori, sebbene ciò che li ca-
ratterizza sia piu spesso una mancanza di autoconsapevo-
IL «MYTHOS» DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 229

lezza che una semplice ipocrisia. Le innumerevoli scene


comiche nelle quali un personaggio si compiace di tenere
un soliloquio mentre un altro fa dei commenti sarcastici
« a parte» rivolto al pubblico, rappresentano la contesa tra
l' eiron e l' alazon nella sua forma piu genuina e rivelano
anche che la simpatia del pubblico è tutta per l'eiron. Fi-
gura centrale del gruppo alazon è il senex iratus o padre
severo, che con i suoi furori e le sue minacce, le sue osses-
sioni e la sua credulità sembra strettamente imparentato
ai personaggi demonici del romance, come per esempio
Polifemo. Può capitare che un personaggio abbia tale fun-
zione drammatica senza avere queste caratteristiche: ne
è esempio Squire Allworthy in Tom ]ones, il cui compor-
tamento nella trama è quasi stupido come quello di Squi-
re Western. Tra i surrogati del padre severo, è stato men-
zionato il miles gloriosus: la sua popolarità è dovuta al
fatto che si tratta di un uomo di parole piu che di azioni,
ed è perciò molto piu utile a un drammaturgo di profes-
sione di qualsiasi eroe di poche parole. Non è necessario
dilungarsi in commenti sulla figura del pedante, che nella
commedia rinascimentale è spesso uno studioso di scien-
ze occulte, su quella del vagheggino o bellimbusto, e si-
mili. L'alazon femminile è raro: Caterina, la bisbetica,
rappresenta fino ad un certo grado un miles gloriosus in
gonnella, e la précieuse ridicule una versione femminile
del pedante, ma la «minaccia» o sirena che si pone come
ostacolo alla vera eroina si incontra assai piu spesso come
figura sinistra nel melodramma o nel romance che non
come figura ridicola nella commedia.
La figura dell'eiron richiede un po' piu d'attenzione.
Personaggio centrale di questo gruppo è l'eroe, che è una
figura eiron perché, come si è spiegato, il drammaturgo
tende ad attribuirgli una parte meno vistosa e un caratte-
re piuttosto neutro e informe. Seconda in ordine d'impor-
tanza è l'eroina, anch'essa spesso tenuta in secondo pia-
no: nella Commedia Antica quando una ragazza accompa-
gna l'eroe maschio nel suo trionfo, essa è generalmente un
personaggio di spalla, una muta persona che non è stata
presentata precedentemente. Si ha una forma di cognitio
piu difficile quando l'eroina si traveste o provoca la solu-
230 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

zione comica mediante qualche altro trucco: per esempio


quando la persona che l'eroe sta cercando risulta essere
esattamente quella che era alla ricerca di lui. Merita qui
una breve menzione la predilezione di Shakespeare per il
tema« ella si umilia per vincere», che appartiene piu logi-
camente al mythos del romance che non a quello della
commedia.
Un'altra figura eiron centrale è il tipo che ha la funzio-
ne di organizzare gli intrighi che provocheranno la vitto-
ria dell'eroe. Nella commedia romana questo personaggio
è quasi sempre uno schiavo scaltro (dolosus servus), e nel-
la commedia rinascimentale esso diventa il valletto intd-
gante, frequentissimo nel teatro europeo non inglese (è il
gracioso della commedia spagnola). Esso è molto familia-
re al pubblico moderno grazie a Figaro e al Leporello del
Don Giovanni. Attraverso uno stadio intermedio rappre-
sentato dalle figure ottocentesche di Micawber e di Touch-
wood nel St Ronan's Well di Scott, che come il gracioso
hanno affiliazioni buffonesche, esso si evolve nel detective
dilettante della letteratura d'invenzione moderna 1 oppu-
re in figure come il Jeeves di P. G. Wodehouse che ne è
un discendente piu diretto. Confidenti femminili apparte-
nenti a questo stesso genere sono spesso introdotte per
oliare il meccanismo della commedia ben organizzata. La
commedia elisabettiana possedeva un altro tipo di bricco-
ne, rappresentato dal Matthew Merrygreek di Ralph Roi-
ster Doister, che sembra discendere dal vizio o dall'iniqui-
tà della morality play: come al solito, l'analogia regge be-
ne, qualunque cosa dicano gli storici riguardo alla vera
origine. Il vizio, per dare un nome a questa figura, è mol-
to utile a un commediografo perché agisce per puro amo-
re della malvagità e può avviare un'azione comica con il
1 Questa è la forma piu ingenua che esso riveste; in una fase piu sofi-
sticata della commedia, una forma molto popolare di gracioso è il dandy,
una figura del tutto disinvolta i cui epigrammi sono in gran parte clichés
capovolti, il cui atteggiamento è di disprezzo ironico per il sentimentali-
smo nella forma descritta a p, 65, e che è di solito un conservatore, in con-
trasto con un gruppo di humors che si sentono progressisti perché guarda-
no tutti nella stessa direzione. Esso è ben rappresentato in An Idea/ Hus-
band di Wilde. Negli anni '20 la figura del dandy tornò di moda, sia nei
personaggi che nei temi, in Firbank, Huxley, Waugh, nel Knickerbocker
di «The New Yorker», ecc.
IL « MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 23I

minimo di motivazione. Il vizio può essere allegro come


Puck o maligno come Don John in Much Ado, ma di re-
gola a dispetto del suo nome la sua attività è benefica.
Uno degli schiavi scaltri di Plauto si vanta, in un solilo-
quio, di essere l'architectus dell'azione comica: tale perso-
naggio esegue la volontà dell'autore per il raggiungimento
del lieto fine. Egli è infatti lo spirito della commedia e i
due esempi piu evidenti di questo tipo in Shakespeare,
Puck e Ariele, sono ambedue esseri spirituali. Lo schiavo
scaltro mira spesso alla libertà come ricompensa per le
sue prestazioni: il desiderio di liberazione di Ariele ap-
partiene alla stessa tradizione.
Il ruolo del vizio comprende una grande quantità di
travestimenti, e spesso è proprio il travestimento che ce lo
fa riconoscere sulla scena. Un esempio tipico è il Brain-
worm di Every Man in His Humour di Jonson, che defi-
nisce l'azione della commedia il giorno delle sue metamor-
fosi. Allo stesso modo Ariele deve affrontare la difficile
didascalia scenica « Entra invisibile». Il vizio si combina
con l'eroe ogni qual volta quest'ultimo sia un giovanotto
sfacciato e imprevidente che organizza i propri imbrogli
da solo e convince con l'inganno il ricco padre o zio a dar-
gli il patrimonio e naturalmente la ragazza.
Un'altra figura eiron è spesso passata inosservata. Si
tratta di un personaggio, generalmente un vecchio, che
inizia l'azione del dramma ritirandosene e pone fine al
dramma quando ritorna in scena. È spesso un padre che
vuol vedere quello che suo figlio saprà fare. L'azione di
Every Man in His Humour è avviata in questo modo da
Knowell Senior. La scomparsa e il ritorno di Lovewit,
proprietario della casa che costituisce la scena di The Al-
chemist, ha la stessa funzione drammatica sebbene la ca-
ratterizzazione sia diversa. L'esempio shakespeariano piu
evidente è il duca di Measure /or Measure, ma Shake-
speare è incline ad usare questo tipo piu di quanto possa
apparire a prima vista. In Shakespeare il vizio è raramente
il vero architectus: sia Puck che Ariele agiscono secondo
gli ordini di un uomo piu anziano, se si può chiamare uo-
mo Oberon. In The Tempest Shakespeare ritorna a un ti-
po di azione comica stabilito da Aristofane, nella quale un
232 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

vecchio, invece di ritirarsi dall'azione, la costruisce mo-


mento per momento sulla scena. Quando l'eroina assume
il ruolo del vizio in Shakespeare, essa è spesso significati-
vamente in stretta relazione con il padre, anche quando il
padre non compare affatto nella commedia, come il padre
di Elena che le comunica la sua conoscenza della medicina,
o il padre di Porzia che organizza l'intrigo degli scrigni.
Un recente esempio, trattato in modo piu convenzionale,
della stessa benevola figura del tipo di Prospero è lo psi-
chiatra di The Cocktail Party; ad esso si può anche av-
vicinare il misterioso alchimista che è il padre dell'eroina
in The Lady's not /or Burning. Questa formula non è limi-
tata alla commedia: Polonio, che rivela molti degli incon-
venienti di una educazione letteraria, tenta il ruolo di un
paterno eiron che si ritira almeno tre volte dalla scena,
una volta di troppo. Hamlet e King Lear contengono in-
trecci secondari che sono versioni ironiche di temi comici
convenzionali: la storia di Gloucester infatti non è altro
che il regolare tema comico del senex credulone raggirato
dal figlio intelligente e senza scrupoli.
Passiamo ora ai tipi dei buffoni, cioè a coloro la cui fun-
zione è piuttosto accrescere il tono di festosità che contri-
buire alla trama. La commedia rinascimentale, diversa-
mente da quella romana, aveva una grande varietà di tali
personaggi, buffoni di professione, pagliacci, paggi, can-
terini, e personaggi del tutto casuali con caratteristiche
comiche convenzionali come l'abitudine a impaperarsi o
l'accento straniero. Il piu antico buffone con tale caratte-
re casuale è il parassita, a cui può essere attribuito qual-
che compito - come Jonson dà a Mosca il ruolo di un
vizio in Volpone - ma che in quanto parassita si limita a
intrattenere il pubblico parlando del suo appetito. Egli
deriva principalmente dalla commedia greca di mezzo, che
sembra fosse piena di riferimenti al cibo e dove egli era,
non senza ragione, strettamente associato a un altro tipo
convenzionale di buffone, il cuoco, figura che irrompe sul-
le scene per creare agitazione, dar ordini e fare lunghi di-
scorsi sui misteri dell'arte culinaria. Nelle vesti di cuoco,
il buffone o chi diverte il pubblico non è semplicemente
un personaggio superfluo come il parassita, ma un perso-
IL «MYTHOS» DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 233
naggio simile al maestro di cerimonia, un punto di con-
centrazione dell'atmosfera comica. Non c'è nessun cuoco
in Shakespeare, sebbene vi sia una magnifica descrizione
di un cuoco nella Comedy of Errors, ma un ruolo simile
è spesso affidato ad un oste gioviale e loquace come l' « o-
ste pazzo» di The Merry Wives o il Simon Eyre di The
Shoemakers Holiday. In A Trick to Catch the Old One
di Middleton il tipo dell'oste pazzo è combinato con il ti-
po del vizio. In Falstaff e in Sir Toby Belch possiamo ve-
dere le affinità del buffone o di chi diverte il pubblico con
il parassita e con il maestro delle feste. Se studiamo atten-
tamente il ruolo di questo buffone o oste, ci accorgiamo
che si tratta di uno sviluppo di ciò che nella commedia di
Aristofane è rappresentato dal coro, il quale a sua volta
si rifà al komos o festa da cui si dice che la commedia di-
scenda.
E infine c'è un quarto gruppo che abbiamo definito con
il termine di agroikos, che di solito significa villano o ru-
stico, a seconda del contesto. Questo tipo può estendersi
sino a comprendere il credulone deìla commedia elisabet-
tiana e quello che era chiamato nel vaudeville l'uomo tut-
to d'un pezzo, cioè il personaggio solenne e non articolato
che si lascia, per cosi dire, smontare dallo humor. Sono
esempi di villani i personaggi avari, affettati o presuntuo-
si che svolgono il ruolo del guastafeste, di colui che cerca
di rovinare il divertimento o, come Malvolio, tiene sotto-
chiave cibo e bevande invece di distribuirli. Ad essi è
strettamente connessa la figura del malinconico Jacopo di
As You Like It, che se ne va abbandonando i festeggia-
menti finali. Nel tetro ed egoistico Bertramo di All's Well
c'è una combinazione insolita e ingegnosa di questo tipo
con il personaggio dell'eroe. Tuttavia piu spesso il villa-
no appartiene al gruppo alazon: infatti tutti i vecchi spi-
lorci delle commedie compreso Shylock sono dei villani.
In The Tempest Calibano ha esattamente lo stesso rap-
porto con il tipo del villano che Ariele ha con il tipo del
«vizio» o dello schiavo scaltro. Ma spesso dove il tono
generale è piu allegro possiamo tradurre agroikos sempli-
cemente con la parola rustico; è il caso degli innumerevo-
li signorotti di campagna o personaggi simili che fanno
2 34 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

le spese dell'allegria del pubblico in una commedia di am-


biente cittadino. Questi tipi non rifiutano un tono di fe-
sta e allegria, ma ne segnano in certo modo i limiti. In
una commedia pastorale le virtu idealizzate della vita ru-
rale possono essere rappresentate da un uomo semplice
che difende l'ideale pastorale, come Carino in As You
Like I t. Carino ha lo stesso ruolo agroikos del « campa-
gnolo» o «bifolco» di commedie piu cittadine, ma l'at-
teggiamento morale verso il ruolo che deve sostenere è
esattamente opposto. Ancora una volta notiamo il princi-
pio per cui la struttura drammatica è un fattore permanen-
te in letteratura mentre l'atteggiamento morale è un fat-
tore variabile.
In una commedia fortemente ironica il ruolo di chi ri-
fiuta l'allegria può essere rappresentato da un tipo di per-
sonaggio assai diverso. Piu la commedia è ironica, piu as-
surda è la società che essa porta in scena, e una società
assurda può essere condannata o per lo meno vista in an-
titesi con un personaggio che potremmo chiamare l'uomo
schietto', avvocato sincero di una specie di norma morale,
al quale va la simpatia del pubblico. Manly di Wycherley,
sebbene dia il nome a questo tipo di personaggio, non ne
è un esempio particolarmente significativo: assai meglio
in questo senso è il Cleante di Tartuffe. La presenza di un
simile personaggio è opportuna quando il tono è abba-
stanza ironico da confondere le idee del pubblico in mate-
ria di norme sociali: esso corrisponde approssimativamen-
te al coro della tragedia, che ha la stessa ragione d'essere.
Quando il tono si fa piu cupo e da ironico diventa amaro,
l'uomo schietto può diventare il tipo del malcontento o
del canzonatore, che sarà forse moralmente superiore alla
sua società, come lo è in una certa misura il protagonista
dell'omonima commedia di Marston, ma che è spesso trop-
po spinto dall'invidia per essere qualcosa di piu di un al-
tro aspetto dei mali della società, come Tersite o, in un
certo senso Apemanto.
Nella tragedia, la pietà e la paura, cioè le emozioni di
1 [The Plain Dealer, in inglese: è il titolo di una commedia di Wy-
cherley].
IL « MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 2 35

attrazione e repulsione morale, vengono provocate ed eli-


minate. La commedia sembra fare un uso piu funzionale
del giudizio sociale e persino di quello morale che non la
tragedia, eppure anch'essa sembra provocare le emozioni
corrispondenti, cioè ·la simpatia e il ridicolo, ed eliminarle
allo stesso modo. Il campo della commedia va dalla piu
feroce ironia alla piu fantastica e romanzesca realizzazione
dei desideri umani, ma i suoi schemi strutturali e la sua
caratterizzazione sono sempre gli stessi a tutti i livelli.
Questo principio dell'uniformità della struttura comica
attraverso gli atteggiamenti piu diversi è ben chiaro in
Aristofane. Aristofane è il piu personale degli scrittori e
le sue opinioni su qualunque argomento si trovano sparse
in tutti i suoi drammi. Sappiamo che voleva la pace con
Sparta e che odiava Cleonte; perciò quando in una com-
media descrive il raggiungimento della pace e la disfatta
di Cleonte, ci rendiamo conto che egli approva e vuole che
il pubblico approvi. Ma nelle Ecclesiazuse un gruppo di
donne travestite fa approvare in tutta furia dall'Assem-
blea un progetto di legge comunistico che è un'orribile pa-
rodia di una repubblica platonica, e ne mette in atto il
comunismo sessuale con sorprendenti applicazioni. Presu-
mibilmente Aristofane non condivideva tale teoria, e tut-
tavia la commedia segue lo stesso schema e la stessa riso-
luzione della precedente. Negli Uccelli Gabbacompagno,
che sfìda Zeus e ostruisce la via per l'Olimpo con il suo
Paese della Cuccagna, ottiene lo stesso trionfo che ottiene
Trigeo nella Pace, il quale vola sino al cielo e torna ripor-
tando l'età dell'oro ad Atene.
Osserviamo ora la varietà di strutture comiche che sta
tra i due estremi dell'ironia e del romance. Poiché la com-
media si fonde da un lato con l'ironia e la satira, e dal-
l'altro con il romance, se vi sono diverse fasi o tipi di
struttura comica, alcune di esse saranno strettamente pa-
rallele ad alcuni dei tipi dell'ironia e del romance. A que-
sto punto compare nella nostra discussione un caso di sim-
metria in qualche modo minaccioso che sembra avere una
qualche analogia letteraria con la serie delle quinte in mu-
sica. Io riconosco l'esistenza di sei fasi in ciascun mythos,
a tre a tre parallele alle fasi del mythos confinante. Lepri-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

me tre fasi della commedia sono parallele alle prime tre


fasi dell'ironia e della satira, e le seconde tre alle seconde
tre del romance. La distinzione tra una commedia ironica
e una satira comica, o tra una commedia affine al romance
e un romance comico, è tenue, ma pur con qualche diffe-
renza.
La prima fase della commedia, ossia la piu ironica, è
naturalmente quella in cui una società dominata dagli hu-
mors trionfa o rimane imbattuta. Un bell'esempio di com-
media di questo tipo è The Alchemist, in cui l'eiron che
ritorna in scena, Lovewit, si unisce ai furfanti, e ci si bur-
la dello schietto Surly. In The Beggar's Opera c'è una 5i-
mile improvvisa variazione verso la fine: l'autore (proiet-
tato nella propria opera) ha la sensazione che l'impicca-
gione dell'eroe sia un finale comico, ma viene avvertito
dal direttore teatrale che il senso delle regole comiche nel
pubblico richiede invece una sospensione della pena, qua-
lunque sia la situazione morale di Macheath. Questa fase
della commedia presenta quello che i critici rinascimentali
chiamavano speculum consuetudinis, o The Way of the
W orld', o cosi fan tutte. Si raggiunge un grado di piu in-
tensa ironia quando la società dominata dagli humors si
disintegra semplicemente, senza che nulla la sostituisca,
come in Heartbreak House e, frequentemente, in Cechov.
Nella commedia di tipo ironico notiamo che non si è
mai molto lontani dal mondo demonico. Le furie del se-
nex iratus nella commedia romana son dirette soprattutto
contro lo schiavo scaltro che viene minacciato di essere
mandato alla macina, di essere fustigato a morte, di essere
crocifisso, di aver la testa intinta nel catrame bollente e si-
mili, tutte punizioni che potevano essere ed erano di fatto
inflitte nella vita reale agli schiavi. Un epilogo in Plauto
ci informa che l'attore schiavo impaperatosi nella recita-
zione sarà fustigato; in uno dei frammenti di Menandro
uno schiavo viene legato e bruciato con una torcia in sce-
na. Si ha talvolta l'impressione che il pubblico di Plauto
e di Terenzio avrebbe sghignazzato rumorosamente alle
scene della Passione. Si potrebbe ascrivere questo fatto
1 [È il titolo di una famosa commedia di Congteve].
IL « MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 2 37

alla brutalità di una società schiavista, ma poi viene in


mente che l'olio bollente e il seppellimento da vivi («una
morte cosf soffocante») compaiono anche in T he Mikado.
The Cocktail Party e The Lady's Not /or Burning sono
due allegre commedie del teatro moderno, ma in una ap-
pare nello sfondo la croce e nell'altra il rogo. In Shake-
speare compaiono il coltello di Shylock e la forca di An-
gelo: in Measure /or Measure ogni personaggio maschile
è prima o poi minacciato di morte. L'azione della comme-
dia è diretta verso la liberazione da qualcosa che, per es-
sere assurda, non è detto che sia sempre assolutamente in-
nocua. Si noti anche quante volte il commediografo cerchi
di spingere l'azione il piu vicino possibile ad una disfatta
catastrofica dell'eroe e poi con la massima rapidità capo-
volga la situazione 1 • Spesso si arriva a un pelo dalla fine,
prima che una legge crudele venga evasa o infranta. L'in-
tervento del re alla fine di T artufje è deliberatamente ar-
bitrario: non c'è nulla nell'azione della commedia che pos-
sa impedire il trionfo di Tartufo. Nel libro finale, Tom
Jones, accusato di assassinio, incesto, debiti, e inganno,
respinto dagli amici, dal tutore, dall'innamorata, è una fi-
gura veramente triste e dolente, prima che tutti questi fat-
ti si rivelino falsi. Qualunque lettore può ricordare molte
commedie dove la paura della morte, talvolta una morte
orrenda, incombe sul personaggio principale sino alla fine,
e viene dissipata cosf rapidamente che si ha quasi l'impres-
sione di svegliarsi da un incubo.
Qualche volta l'agente salvatore è effettivamente divi-
no, come Diana in Pericles; in T artufje è il re immaginato
come parte del pubblico e incarnazione della sua volontà.
Una straordinaria quantità di storie comiche, sia nel tea-
tro che nella narrativa, sembra verso la fine giungere mol-
1 Il movimento dell'ironia o «realismo» è tutto teso verso una conclu-
sione che resta nell'ambito dell'esperienza; il movimento della commedia
è tutto teso nello sforzo di uscire da questa condizione superandola. La
conclusione che l'autore sceglie è spesso tutta contenuta in una frase o
due, come in un brano di musica in chiave minore che può finire o non
finire sul parallelo accordo maggiore. Si noti inoltre che T be Beggar' s
Opera, Great Expectations di Dickens e Villette di Charlotte Bronte ar-
rivano al punto di fornire due soluzioni alternative, una convenzional-
mente comica, l'altra piu equivoca.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

to vicino a una crisi almeno potenzialmente tragica. Ca-


ratteristica che chiamerei il « punto della morte rituale»:
espressione purtroppo goffa, che cambierei volentieri con
una migliore. È una caratteristica che i critici non hanno
quasi mai notato, ma che quando è presente, è inconfondi-
bile come uno stretto in una fuga, a cui in qualche modo
assomiglia. In Humphry Clinker di Smollet (scelgo que-
st'opera perché nessuno sospetterà Smollet di deliberata
mitopoiesi, seguendo egli sempre schemi convenzionali,
almeno per quel che riguarda la trama) i personaggi prin-
cipali per poco non annegano nel rovesciamento di una
carrozza; essi vengono poi condotti in una casa vicina per
asciugarsi e qui ha luogo una cognitio, nel corso della qua-
le le loro relazioni familiari sono ricostituite in modo di-
verso, il segreto di alcune nascite viene alla luce e dei no-
mi sono cambiati. Punti simili di morte rituale si possono
riscontrare in quasi ogni storia in cui l'eroe venga impri-
gionato o in cui si attribuisca all'eroina una malattia qua-
si mortale prima del lieto fine.
Talvolta il punto di morte rituale è residuale, cioè non
è un elemento della trama, ma un semplice mutamento
di tono. Ciascuno avrà notato nelle azioni comiche, per-
sino in banalissimi fìlms o racconti su riviste, che vi è un
punto verso la fine in cui il tono diventa improvvisamen-
te serio, sentimentale, o lascia presagire una potenziale
catastrofe. In Crome Yellow di Aldous Huxley, l'eroe
Denis arriva ad un punto di autovalutazione in cui il sui-
cidio si suggerisce quasi da solo: nella maggior parte delle
opere piu tarde di Huxley ad un punto corrispondente a
questo avviene una qualche azione violenta, generalmente
il suicidio. In Mrs Dalloway il suicidio reale di Septimus
diventa un punto di morte rituale per l'eroina nel mezzo
della festa che ella dà. Vi è anche qualche interessante va-
riante shakespeariana di questo espediente: un buffone,
per esempio, farà un discorso verso la fine in cui improv-
visamente la maschera buffonesca cade e ci troviamo di
fronte a uno schiavo battuto e schernito. Ne sono esempi
il discorso di Dromio di Efeso che incomincia « Sono un
somaro davvero» nella Comedy of Errors, e il discorso
IL «MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 239

del buffone in All's W ell che inizia « Sono un povero uo-


mo dei boschi».
La seconda fase della commedia nella sua forma piu
semplice è una commedia in cui l'eroe non trasforma una
società dominata dagli humors ma semplicemente la sfug-
ge o l'abbandona, lasciandone intatta la struttura. In que-
sta fase si raggiunge un livello di ironia piu complessa
quando vi è una società costruita da un eroe o intorno a
lui, ma non sufficientemente reale o forte da imporsi. In
questo caso l'eroe è di solito anche lui almeno in parte un
humor comico o un sognatore, e il punto centrale della
commedia è la frustrazione delle sue illusioni ad opera
di una realtà superiore oppure lo scontro tra due illusioni.
Questa è la fase donchisciottesca della commedia, piutto-
sto difficile nel teatro, sebbene The Wild Duck ne sia un
esempio quasi puro; nel teatro essa compare di solito co-
me tema subordinato di un'altra fase. Cosi in The Alche-
mist il sogno di Sir Epicure Mammon su quello che egli
farà con la pietra filosofale è un sogno gigantesco corrie
quello di Don Chisciotte, e fa del personaggio una paro-
dia ironica di Faustus (che è menzionato nella commedia),
cosi come Don Chisciotte è una parodia ironica di Amadi-
gi e Lancillotto. Quando il tono è piu allegro, la soluzione
comica può essere sufficientemente forte da spazzar via
tutte le illusioni donchisciottesche. In Huckleberr'V Finn
il tema principale è uno dei piu antichi nella commedia,
la liberazione di uno schiavo, e la cognitio ci dice che Jim
è già stato liberato prima che la sua fuga venga malamen-
te organizzata e ostacolata dai mille cavilli di Tom Sa-
wyer. A causa delle impareggiabili occasioni che essa of-
fre per l'ironia a doppio taglio, questa è la fase preferita
di Henry J ames: una delle sue indagini piu minuziose in
questo campo è The Sacred Fount, dove l'eroe è una pa-
rodia ironica della figura di Prospero che trasforma la vec-
chia in una nuova società.
La terza fase della commedia è quella normale che ab-
biamo già discusso, nella quale un senex iratus o un altro
humor deve cedere di fronte ai desideri di un giovane. Il
senso della legge comica è cosi forte che quando Shake-
speare tentò l'esperimento di rovesciarne lo schema in
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Alt's W etl, dove due vecchi obbligano Bertramo a sposare


Elena, il risultato fu una commedia «problematica» poco
popolare, con un che di sinistro nel tono. Abbiamo notato
che nella cognitio della commedia si chiariscono bene i det-
tagli della nuova società, distinguendo le spose dalle so-
relle e i genitori veri da quelli adottivi. Il fatto che il figlio
e il padre siano cosf spesso in conflitto significa che essi
sono spesso rivali nell'amore per la stessa ragazza, e spes-
so vi è, implicita o apertamente espressa, un'alleanza psi-
cologica tra la sposa e la madre dell'eroe. L'occasionale
«malvagità» nella commedia, per esempio in quella del
periodo della Restaurazione, è imperniata non solo sul-
l'infedeltà del marito, ma su una specie di comica situa-
zione edipica in cui l'eroe prende il posto del padre come
amante. In Love /or Love di Congreve vi sono due temi
edipici in contrappunto: l'eroe sottrae l'eroina a suo pa-
dre con l'inganno, e il suo miglior amico violenta la moglie
di un vecchio impotente che è il guardiano dell'eroina. In
The Country Wife di Wycherley viene usato un tema pre-
so dall'Eunuchus di Terenzio che nella vita reale appari-
rebbe come una forma di regresso infantile: è il tema del-
l'eroe che finge di essere impotente per venir ammesso
nella residenza delle donne.
Le possibilità di combinazioni incestuose formano uno
dei temi minori della commedia. La vecchia ripugnante
offerta in moglie a Figaro risulta poi essere sua madre, e
il tema della paura di violentare la madre si ritrova anche
in Tom Jones. Quando negli Spettri e nel Piccolo Eyolf
Ibsen usò l'immagine del vecchio castagno in connessione
con l'affetto dell'eroe per sua sorella ( tema che risale a
Menandro), i suoi ascoltatori stupefatti lo ritennero un
presagio di rivoluzione sociale. In Shakespeare la ricor-
rente e un po' misteriosa relazione padre-figlia cui si è già
accennato appare in forma incestuosa all'inizio di Peri-
cles, e forma un'antitesi demonica dell'unione dell'eroe
con la moglie e la figlia alla fine del dramma. Il genio che
presiede alla commedia è Eros, ed Eros si deve adattare
alla realtà morale della società: i temi di Edipo e dell'in-
cesto indicano che le passioni erotiche hanno una versati-
IL «MYTHOS» DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 241

lità assai maggiore nella loro origine mitica e non traspo-


sta.
Ne risultano naturalmente degli atteggiamenti ambiva-
lenti, e l'ambivalenza sembra essere la ragione principale
di un curioso fatto che si ritrova in tutta la storia della
commedia, cioè l'apparire di personaggi in coppia. Nella
commedia romana c'è spesso una coppia di giovanotti, e
conseguentemente una coppia di ragazze, delle quali spes-
so una è imparentata con uno dei giovani ed esogama ri-
spetto all'altro. La figura del senex è duplice quando vi è
un padre severo sia per l'eroe che per l'eroina, come in
The Winter's Tale, o talvolta un padre severo e uno zio
benevolo, come negli Adelphoi di Terenzio e in Tartuffe,
e cosi via. L'azione della commedia, come l'azione della
Bibbia cristiana, muove dalla legge verso la libertà. Nella
legge vi è un elemento di vincolo rituale che viene aboli-
to, ed un elemento di abitudine o convenzione che viene
realizzato. Nella evoluzione del nomos comico il primo è
rappresentato dalle qualità intollerabili del senex e il se-
condo dal compromesso che si stipula con lui.
Con la quarta fase della commedia incominciamo a u-
scire dal mondo dell'esperienza per entrare in quello idea-
le dell'innocenza e del romance. Abbiamo detto che nor-
malmente la società di tipo piu felice stabilita alla fine
della commedia viene lasciata indefinita, all'opposto del
vincolo rituale degli humors. È anche possibile però che
una commedia presenti la sua azione su due piani sociali,
uno dei quali è preferito e perciò in una certa misura idea-
lizzato. All'inizio della Repubblica di Platone vi è un'a-
spra contesa tra I'alazon Trasimaco e l'ironico Socrate. Il
dialogo avrebbe potuto fermarsi qui come molti altri di
Platone, con una vittoria negativa su un humor e sul tipo
di società ad esso legata. Invece nella Repubblica il resto
della compagnia, compreso Trasimaco, segue Socrate per
cosf dire all'interno del suo cervello, e là contempla il mo-
dello dello stato giusto. In Aristofane l'azione comica è
spesso ironica ma Gli Acarnesi sono invece una commedia
in cui l'eroe che ha il significativo nome di Diceopoli (cit-
tà o cittadino giusto) stipula privatamente la pace con
Sparta, celebra la pacifica festa di Dioniso con la sua fa-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

miglia ed instaura un modello di ordine sociale temperato


sulla scena, dove esso rimane per tutta la commedia, men-
tre gli eccentrici, i fanatici, gli imbroglioni e i furfanti ne
vengono espulsi. Questa, che è una delle tipiche azioni co-
miche, non è meno chiaramente presente nella piu antica
commedia che nelle opere successive.
Il genere di commedia affine al romance che troviamo
in Shakespeare appartiene ad una tradizione instaurata da
Peele e sviluppata da Greene e da Lyly, simile alla tradi-
zione medievale della rappresentazione rituale stagionale.
Lo si può chiamare il teatro del mondo «verde», dove la
trama segue lo sviluppo del tema rituale del trionfo della
vita e dell'amore sulla terra desolata. In The Two Gentle-
men of Verona l'eroe Valentino diventa il capo di una
banda di fuorilegge in una foresta, e tutti gli altri perso-
naggi si raccolgono in questa foresta e si uniscono a lui.
Quindi l'azione della commedia inizia in un. mondo pre-
sentato come normale, si sposta nel mondo «verde», su-
bisce qui una metamorfosi durante la quale si raggiunge
la soluzione comica, e ritorna infine al mondo normale. La
foresta di questa commedia è la forma embrionale del
mondo fatato di A Midsummer Night's Dream, della fo-
resta di Arden in As Y ou Like I t, della foresta di Wind-
sor in The Merry Wives, e del mondo pastorale di quella
mitica Boemia costeggiata dal mare che compare in The
Winter's Tale. In tutte queste commedie vi è il medesimo
movimento ritmico dal mondo normale al mondo « ver-
de» e da questo al primo. In The Merchant of Venice il
secondo mondo compare sotto forma della casa misterio-
sa di Porzia in Belmont, con i suoi scrigni magici e le me-
ravigliose armonie cosmologiche che da essa emanano nel
quinto atto. Notiamo anche che questo secondo mondo
manca completamente nelle due commedie di carattere
piu ironico All's Well e Measure for Measure.
Questo mondo «verde» fornisce alla commedia il sim-
bolismo della vittoria dell'estate sull'inverno, come appa-
re esplicitamente in Love's Labor's Lost, dove alla fine il
dialogo comico prende la forma di una disputa medievale
tra primavera e inverno. In The Merry Wives vi è un ela-
borato rituale della sconfitta dell'inverno, noto agli stu-
IL «MYTHOS» DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 243
diosi di folklore come «il compimento della Morte», del
quale Falstaff è la vittima; e Falstaff deve essersi reso con-
to che, dopo esser stato gettato nell'acqua, travestito da
strega, cacciato a bastonate e tra maledizioni da una casa,
e infine dotato di una testa d'animale e bruciacchiato con
candele, aveva fatto press'a poco tutto quel che si può
pretendere da uno spirito della fertilità.
Generalmente nei miti e nelle celebrazioni rituali la ter-
ra che produce la rinascita è una figura femminile, e quin-
di nella commedia affine al romance la morte e la rinasci-
ta, o la scomparsa e il congedo di personaggi umani coin-
volge in genere la figura dell'eroina. È ben noto il fatto
che l'eroina spesso provoca la soluzione comica travesten-
dosi da ragazzo. Il trattamento di Ero in Much Ado, di
Elena in All's Well, di Taisa in Pericles, di Fidele in Cym-
beline, di Ermione in The Winter's Tale, mostra la ripe-
tizione di un espediente a cui ci si preoccupa sempre me-
no di dare un'apparenza di plausibilità, e in cui perciò tra-
spare sempre piu il modulo mitico che si rifà alla figura di
Proserpina. Questi sono esempi shakespeariani del tema
comico dell'assalto rituale a una figura femminile centra-
le, tema che va da Menandro sino alle commedie televisi-
ve a puntate dei giorni nostri. I titoli di molte commedie
di Menandro sono participi femminili che indicano il tipo
di offesa che l'eroina subisce nel dramma, e la formula su
cui si basano le commedie contemporanee prima citate si
dice sia « mettere l'eroina nei guai e tenercela». Il tema
può essere trattato con brio come in The Rape of the
Lock o con ostinata insistenza come in Pamela. Tuttavia
non si può affermare che il tema della rinascita sia sempre
femminile: si vedano per esempio il ringiovanimento del
senex nei Cavalieri di Aristofane e un tema simile in All's
Well, basato sul motivo popolare della guarigione di un
re impotente.
Il mondo «verde» è analogo non solo al mondo fertile
che troviamo nei riti ma anche al mondo di sogno che noi
creiamo in conformità ai nostri desideri. Questo mondo
di sogno cozza contro gli ostacoli e le cieche follie del
mondo dell'esperienza, dell'Atene di Teseo con le sue in-
sensate leggi matrimoniali, del duca Federico con la sua
2 44 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

cupa e malinconica tirannia, di Leonte con la sua folle ge-


losia, della società di corte con le sue trame e i suoi intri-
ghi, eppure si rivela abbastanza solido da imporre a que-
sto mondo la forma voluta dal desiderio umano. Cosi la
commedia shakespeariana altro non fa che illustrare con
la stessa chiarezza che troviamo in qualunque mythos la
funzione archetipica della letteratura, cioè quella di dare
forma visibile al mondo del desiderio, rappresentandolo
non come una fuga dalla «realtà» ma come l'autentica for-
ma del mondo che la vita umana cerca di imitare.
Nella quinta fase della commedia, di cui abbiamo già
anticipato alcuni temi, ci troviamo in un mondo ancor piu
simile a quello del romance, meno utopico e piu arcadico,
meno festoso e piu meditativo, dove il finale comico non
dipende tanto dall'abile soluzione dell'intrigo quanto da
una messa a fuoco secondo la prospettiva del pubblico.
Quando paragoniamo le commedie shakespeariane della
quarta fase con i piu tardi romances della quinta fase, no-
tiamo subito che quest'ultimi sono caratterizzati da un'a-
zione molto piu seria: infatti non evitano anzi assorbono
elementi tragici. L'azione sembra consistere in un movi-
mento non solo da un« racconto d'inverno» alla primave-
ra ma da un mondo inferiore di tipo caotico ad uno supe-
riore dove regna l'ordine. La scena finale di The Winter's
Tale non ci fa pensare semplicemente a un movimento ci-
clico che va dalla tragedia e dall'assenza alla felicità e al
ritorno, ma ad una metamorfosi corporea e ad una trasfor-
mazione da un genere di vita ad un altro. Gli elementi del-
la cognitio in Pericles o in The Winter's Tale sono cosi
tradizionali che potrebbero essere « fischiati come una vec-
chia favola» e tuttavia sono al tempo stesso stiracchiati e
appropriatissimi, poiché sconvolgono la realtà e ci intro-
ducono in un mondo di innocenza infantile che da sempre
si è rivelato piu vero e sensato della realtà.
In questa fase il lettore o il pubblico si sente innalzato
al di sopra dell'azione drammatica, nella situazione di cui
Christopher Sly è la parodia ironica. Alle trame di Cleone
e Dionisa in Pericles o dei cortigiani in The Tempest, noi
diamo il valore di un comportamento umano generico o
tipico: l'azione, o almeno l'implicazione tragica dell'azio-
IL «MYTHOS » DELLA PRIMAVERA: LA COMMEDIA 245
ne, è presentata come se fosse una commedia in commedia
di cui, con una sola occhiata, possiamo vedere tutte le di-
mensioni. In poche parole, noi vediamo l'azione dal pun-
to di vista di un mondo piu alto e meglio ordinato. Eco-
me la foresta di Shakespeare è il simbolo consueto del
mondo del sogno in conflitto con il mondo dell'esperienza
al quale tenta di imporre le proprie forme, cosf il simbolo
consueto per il mondo inferiore o dominato dal caos è il
mare da cui tutti i personaggi, o almeno quelli piu impor-
tanti, devono essere salvati. Il gruppo di commedie del
«mare» comprende A Comedy of Errors, Twelfth Night,
Pericles, e The Tempest. A Comedy of Errors, sebbene
basata su un originale plautino, è molto piu vicina al mon-
do di Apuleio che a quello di Plauto nelle sue immagini,
e la sua azione principale, che comincia con un naufragio
e una separazione per concludersi con una riunione in un
tempio di Efeso, ricompare in Pericles, lavoro assai piu
tardo. E mentre il secondo mondo manca completamente
nelle due commedie «problematiche», esso costituisce lo
sfondo di tutta l'azione di due delle commedie del gruppo
«marino», Twelfth Night e The Tempest. In Measure for
Measure il duca scompare dall'azione e ritorna alla fine
del dramma; The Tempest sembra presentare lo stesso ti-
po di azione alla rovescia, dato che tutti i personaggi se-
guono Prospero nel suo ritiro e qui prende forma un nuo-
vo ordine sociale.
Queste cinque fasi della commedia possono essere viste
come stadi successivi nella vita di una società in via di li-
berazione. La commedia puramente ironica mostra questa
società nel suo stadio infantile, avviluppata e soffocata
dalla società a cui essa si dovrebbe sostituire. La comme-
dia donchisciottesca la mostra nella sua adolescenza, quan-
do essa è ancor troppo ignara degli schemi del mondo a
cui si trova di fronte per potersi imporre. Nella terza fa.
se essa giunge a maturità e trionfa; nella quarta è già ma-
tura e saldamente instaurata. Nella quinta fa parte di un
ordine stabilito esistente fin dal principio, un ordine che
assume piu un tono religioso e allo stesso tempo sembra
allontanarsi dall'esperienza umana. A questo punto la
commedia senza trasposizione, per esempio la visione del
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Paradiso in Dante, esce dal nostro gruppo di mythoi ed


entra a far parte del mondo apocalittico o mondo mitico
astratto che è ad un livello superiore. Noi ci accorgiamo
allora che anche la piu realistica formula della commedia
plautina ha la stessa struttura del mito cristiano centrale,
dove vi è un figlio divino che tenta di placare l'ira di un
padre e di redimere quella che è ad un tempo una società
e una sposa.
Qui infine la commedia propriamente detta entra nella
sua fase finale o sesta fase, quella del crollo e della disin-
tegrazione della società comica. In questa fase le unità so-
ciali della commedia diventano gruppi piccoli ed esoterici,
o sono addirittura limitate a un singolo individuo. Hanno
sempre piu risalto elementi paesistici come luoghi segreti
e rifugi, foreste al chiaro di luna, valli solitarie e isole fe-
lici, ed elementi spirituali come l'atteggiamento penseroso
che troviamo nel romance, l'amore per l'occulto e il mera-
viglioso, il senso del distacco individuale dall'esistenza
quotidiana. In questo tipo di commedia finalmente il
mondo dell'arguzia e della battuta è stato messo da parte
e si è risvegliata una curiosità critica per l'atteggiamento
opposto, quello di una solennità misteriosa che, se ci ab-
bandoniamo ad essa senza spirito critico, provocherà in
noi un piacevole frisson. Questo è il mondo delle storie
di fantasmi, dei racconti sensazionali, dei romanzi gotici
e, ad un livello piu sofisticato, di quel genere di ritiro nel-
l'immaginazione che Huysmans rappresenta in A rebours.
L'oscurità dell'ambiente di Des Esseintes non ha niente
a che vedere con la tragedia: Des Esseintes è un dilettan-
te che cerca di divertirsi. La società comica ha compiuto
l'intero ciclo dall'infanzia alla morte, e nella sua ultima
fase i miti piu appropriati sono quelli strettamente con-
nessi, su un piano psicologico, con un ritorno nel grembo
materno.
Il mythos dell'estate: il romance

Il romance è tra tutte le forme letterarie quella che piu


si avvicina alla rappresentazione del sogno o soddisfazio-
ne dei desideri umani, e ha perciò una funzione strana-
mente paradossale da un punto di vista sociale. In ogni
epoca la classe sociale o intellettuale dominante tende a
proiettare i suoi ideali in una qualche forma di romance,
in cui gli eroi virtuosi e le eroine bellissime rappresenta-
no gli ideali, e i cattivi la minaccia che ostacola l'influsso
dei primi sulla società. Questa è la caratteristica generale
del romance cavalleresco nel Medioevo, del romance ari-
stocratico nel Rinascimento, del romance borghese dal
xvnr secolo in poi, e del romance rivoluzionario nella
Russia contemporanea. E tuttavia nel romance vi è un
elemento genuinamente «proletario» che non è mai soddi-
sfatto dalle sue varie incarnazioni, e infatti le incarnazio-
ni stesse indicano che per quanto grande possa essere il
cambiamento che avviene nella società, il romance com-
parirà di nuovo, piu insaziabile che mai, in cerca di nuove
speranze e nuovi desideri di cui nutrirsi. L'elemento di
perenne fanciullezza tipico del romance è sottolineato dal-
la sua straordinariamente persistente nostalgia, dalla sua
ricerca di un'immaginaria età dell'oro attraverso il tempo
o lo spazio. Non è mai esistito, che io sappia, nella lette-
ratura inglese un periodo gotico, ma l'elenco dei cultori
del gotico si estende per tutto il corso della storia inglese,
dal poeta di Beowulf agli scrittori di oggi.
Nel romance l'elemento essenziale della trama è l'av-
ventura, il che significa che il romance è di sua natura u-
na forma continua a sviluppo progressivo: ne deriva logi-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

camente che gli esempi migliori ci vengono dalla narrati-


va e non dal teatro. Al livello piu semplice, esso è una
forma senza fine' in cui un personaggio centrale, che non
matura o non invecchia mai, passa da un'avventura all'al-
tra finché l'autore stesso crolla. Se ne può vedere un e-
sempio nei fumetti, dove i personaggi principali resistono
per anni in uno stato di congelata non-mortalità. Tuttavia
nessun libro può avere la continuità del giornale; appena
il romance raggiunge una forma letteraria, esso tende a
limitarsi a una sequela di avventure minori che preparano
gradatamente alla avventura maggiore o punto culminan-
te della tensione, già preannunciato sin dall'inizio, che de-
ve essere raggiunto per concludere la storia. Possiamo
chiamare questa avventura principale, cioè questo ele-
mento che dà forma letteraria al romance, la ricerca.
La forma finale del romance è quella della ricerca por-
tata a termine con successo, che si ha di solito passando
per tre stadi: lo stadio del viaggio pieno di pericoli e del-
le avventure minori preliminari; la lotta cruciale che è d1
solito una battaglia in cui o l'eroe o il suo nemico o tutti
e due devono morire; infine l'esaltazione dell'eroe. Pos-
siamo chiamare questi tre stadi, usando termini greci 2, ri-
spettivamente l' agon o conflitto, il pathos o lotta morta-
le, e la anagnorisis o scoperta o agnizione dell'eroe, che si
è rivelato come eroe anche se non sopravvive al conflitto.
In tal modo il romance esprime piu chiaramente quel pas-
saggio dalla lotta all'agnizione attraverso un punto di
morte rituale che abbiamo già riscontrato nella comme-
dia. Una ttiplice struttura caratterizza parecchi elementi
1 Questa forma senza fine ha assunto molti aspetti in letteratura: dalla
serie di novelle basate sulla stessa formula, come T he Monk' s Tale di
Chaucer e le sue meno brillanti derivazioni che troviamo in Lydgate e in
The Mirror /r!r Magistrates, e dalla raccolta di novelle in numero arbitra-
riamente determinato che devono essere raccontate in una data situazione
(è il caso delle mille e una novelle che Scheherezade racconta per aver sal-
va la vita) alla conclusione curiosamente muta della Storia di Ge11ij di
Murasaki eh~, sebbene sia sufficientemente logica, non avrebbe certo im-
pedito all'autore di ricominciare daccapo. Per quel che riguarda la com-
parsa di tale forma nel teatro si veda la nota a p. 389. La regola dell'agni-
zione, che pone sulla stessa linea la fine e l'inizio, dà alla trama di tipo
simmetrico la sua caratteristica forma parabolica.
2 Cioè usando i termini adoperati da Gilbert Murray nel suo Excursus,

in J. HARRISON, Themis (r927 2 ), pp. 341 sgg.


IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 249

del romance: molto spesso per esempio l'eroe è un terzo-


genito, oppure il terzo personaggio a intraprendere la ri-
cerca, oppure ottiene il successo al suo terzo tentativo.
Questa caratteristica appare piu direttamente nello sche-
ma triduano di morte, scomparsa e rinascita quale si ri-
scontra nel mito di Attis e di altri dèi che passano attra-
verso la morte, e quale è stato incorporato nella nostra
Pasqua.
Una ricerca che implica un conflitto ha di solito due
personaggi principali, un protagonista o eroe e un anta-
gonista o nemico. (È forse opportuno precisare, ad uso di
qualche lettore, che ho letto l'articolo Protagonist nel Mo-
dern English Usage di Fowler). Il nemico può essere un
comune essere umano, ma piu il romance si avvicina al
mito, piu vengono attribuite all'eroe caratteristiche divi-
ne e al nemico qualità mitiche di carattere demonico. La
forma fondamentale del romance è dialettica: tutto è con-
centrato sul conflitto tra l'eroe e il suo nemico, e il lettore
accetta pienamente tutti i valori rappresentati nella figura
dell'eroe. Quindi l'eroe del romance è analogo al mitico
Messia o liberatore che viene da un mondo superiore, e
il suo nemico è analogo alle potenze demoniche di un
mondo inferiore. Tuttavia il conflitto ha come teatro, e
comunque interessa soprattutto il nostro mondo, che sta
nel mezzo ed è caratterizzato dal movimento ciclico della
natura. Perciò i poli opposti dei cicli della natura vengono
paragonati all'opposizione tra l'eroe e il suo nemico: la
figura del nemico è associata all'inverno, all'oscurità, alla
confusione, alla sterilità, alla vita che muore e alla vec-
chiaia, e quella dell'eroe alla primavera, all'alba, all'ordi-
ne, alla fertilità, al vigore e alla giovinezza. Poiché tutti
i fenomeni ciclici possono essere facilmente associati o
identificati, sembra superfluo cercar di provare che la sto-
ria di un dete1minato romance è piu o meno simile a un
certo mito solare, o che il suo eroe è piu o meno simile a
un certo dio-sole. Se è una storia che rientra nell'area del
romance è molto probabile che abbia un'imagery ciclica,
e tra le imageries cicliche quella solare è in genere la piu
importante. Se l'eroe di un romance ritorna dalle sue pe-
regrinazioni travestito, e poi si strappa di dosso gli stracci
250 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

da mendicante ed emerge nella sua vera identità di princi-


pe con un manto purpureo e splendente, non si tratta ne-
cessariamente di un tema derivato da un mito solare, ma
dell'espediente letterario della trasposizione. L'eroe com-
pie un gesto che possiamo associare o non associare al mi-
to del sole che ritorna all'alba. Se leggiamo la storia come
critici letterari, tenendo d'occhio i principi strutturali, do-
vremo riscontrare questa somiglianza, perché l'analogia
con il mito solare spiega la ragione per cui l'atto dell'eroe
è un evento di notevole efficacia e corrisponde alle con-
venzioni. Se invece leggiamo la storia per divertirci, non
abbiamo bisogno di preoccuparcene: ma in virtu di qual-
che oscuro e «subcosciente» fattore ', leggendo, registre-
remo in qualche modo l'associazione.
Abbiamo mostrato che la differenza tra il mito e il ro-
mance è data dal potere d'azione dell'eroe: nel mito pro-
priamente detto l'eroe è divino, nel romance è umano. La
distinzione è assai piu netta in campo teologico che in
campo poetico; infatti sia il mito che il romance appar-
tengono alla categoria della letteratura mitopoietica. Tut-
tavia l'attribuire carattere divino ai personaggi principali
di un mito tende a dare a questo mito la posizione di pre-
minenza o posizione canonica cui si è già accennato. In
quasi tutte le culture infatti vi sono storie considerate con
maggior riguardo di altre, o perché sono ritenute storica-
mente vere o perché sono venute man mano assumendo
una maggior ricchezza concettuale. Per esempio la storia
di Adamo ed Eva nell'Eden ha una posizione canonica per
i poeti della nostra tradizione, che essi credano o no alla
sua storicità. Il carattere di maggior profondità del mito
canonico è dovuto non soltanto alla tradizione, ma il risul-
tato del maggior grado di identificazione metaforica pos-
1 Si dovrebbe aggiungere, tuttavia, che la critica archetipica, la quale
non può far altro se non astrarre, ridurre a simboli e a tonvenzioni, ha un
« ruolo subcosciente» solo nell'esperienza diretta della letteratura, dove
l'unicità è tutto. Nell'esperienza diretta noi percepiamo in modo confuso
la presenza di convenzioni a noi familiari, ma di solito ne siamo cosciente-
mente consapevoli solo quando siamo annoiati o delusi, e sentiamo che
non vi è in quell'opera niente di nuovo. Quindi la confusione che si fa
assai spesso tra l'esperienza diretta e la critica può facilmente provocare la
sensazione che b critica archetipa non sia altro che una cattiva forma di
critica, come risulta da alcune affermazioni di Wyndham Lewis.
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 251

sibile è mito esso stesso. Nella critica letteraria il mito è


di solito la chiave metaforica per le trasposizioni del ro-
mance, donde l'importanza del mito della ricerca nella
Bibbia per ciò che diremo in seguito. Ma data la tendenza
del mito canonico a espurgare e moralizzare, una altret-
tanto densa concentrazione di significato mitico si può
spesso trovare nell'area assai meno inibita della leggenda
e del racconto popolare.
Il tema centrale del romance imperniato sulla ricerca è
quello dell'uccisione del drago, come nelle storie di san
Giorgio e di Perseo cui si è già fatto riferimento. Una ter-
ra governata da un vecchio e impotente re è resa sterile e
desolata da un mostro marino, a cui vengono dati in pasto
giovani creature scelte a caso, finché la stessa sorte tocca
alla figlia del re: a questo punto arriva l'eroe che uccide il
drago, sposa la figlia del re e succede al trono. Abbiamo
di nuovo come per la commedia uno schema semplice con
molti elementi complessi. Le analogie rituali del mito sug-
geriscono l'idea che il mostro sia la sterilità stessa della
terra e che questa sterilità sia pure rispecchiata nella vec-
chiaia e nell'impotenza del re, spesso affetto da una ma-
lattia o da una ferita incurabile, come Amfortas in Wag-
ner. La sua posizione è quella di Adone sopraffatto dal
cinghiale d'inverno e, secondo la tradizione, ferito alla co-
scia, il che sia anatomicamente che simbolicamente è mol-
to vicino alla castrazione.
Nella Bibbia abbiamo un mostro marino di solito chia-
mato leviatano, che è descritto come il nemico del Messia
e che il Messia è destinato a uccidere nel « giorno del Si-
gnore». Il leviatano è la fonte della sterilità sociale poiché
è identificato con l'Egitto e Babilonia, oppressori di Israe
le, ed è descritto nel Libro di Giobbe come «colui che re-
gna su tutti i figli dell'orgoglio». È anche associato con la
sterilità naturale del mondo dopo la caduta, con il mondo
maledetto di lotte, povertà e malattie in cui Giobbe è get-
tato da Satana, e Adamo dal serpente dell'Eden. Nel Libro
di Giobbe la rivelazione di Dio a Giobbe consiste soprat-
tutto in descrizioni del leviatano e di un suo collega, ap-
pena un po' meno funesto, chiamato behemoth. Pare dun-
que che questi mostri rappresentino l'ordine della natura
252 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

dopo la caduta e perciò sottoposto a un certo controllo da


parte di Satana. (Sto cercando di interpretare il significato
del Libro di Giobbe nella forma in cui lo leggiamo oggi,
partendo dal presupposto che chiunque sia responsabile
di questa versione abbia avuto una ragione per redigerla,
e che sia del tutto inutile tentar di ricostruire la redazio-
ne o il significato originale del libro, dato che soltanto
quella che ci è pervenuta ha avuto un'influenza sulla no-
stra letteratura). Nell'Apocalisse il leviatano, Satana e il
serpente dell'Eden sono la stessa cosa. Questa identifica-
zione è la base di una elaborata metafora nel simbolismo
cristiano tratta dal tema dell'uccisione del drago: Cristo
sarebbe l'eroe (infatti è spesso rappresentato nell'arte fi-
gurativa in piedi vittorioso su un mostro abbattuto), Sa-
tana il drago, Adamo il vecchio re impotente, di cui Cristo
diventa il figlio, e la Chiesa la sposa riscattata.
Ora, se il leviatano rappresenta l'intero mondo di mor-
te, peccato e tirannia in cui Adamo è gettato dopo la ca-
duta, ne deriva che i figli di Adamo nascono, vivono e
muoiono all'interno del suo ventre. Quindi il fatto che il
Messia venga a liberarci uccidendo il leviatano, significa
che ci fa uscire da tale prigione. Nelle versioni popolari
delle storie di uccisioni di draghi si nota che molto spesso
le vittime del drago escono vive dal suo ventre dopo che
esso è stato ucciso. È tipica l'immagine dell'eroe che scen-
de tra le fauci spalancate del mostro, come Giona (in cui
Gesu riconobbe un prototipo di se stesso), per andare a
liberare coloro che si trovano rinchiusi nel suo ventre, e
ne esce portandoseli dietro sani e salvi. Appartengono a
quest'area anche i simboli dello strazio e del tormento
dell'Inferno, inferno che l'iconografia presenta di solito
nella forma di « gola dentata di un vecchio pescecane» per
citare una definizione moderna. Versioni secolari di viag-
gi all'interno di mostri ricorrono nella letteratura, da Lu-
ciano sino ai giorni nostri, e forse persino il cavallo di
Troia aveva originariamente qualche connessione con que-
sto tema. Per rappresentare il ventre del mostro è abba-
stanza naturale ricorrere all'immagine di un labirinto oscu-
ro e tortuoso, quale si trova spesso nelle storie di peregri-
nazioni degli eroi, tra cui soprattutto famosa quella di
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 253

Teseo. Una versione meno trasposta della storia di Teseo


ce lo avrebbe mostrato uscente dal labirinto alla testa di
una processione di giovani e giovanette ateniesi preceden-
temente sacrificati al Minotauro. Anche nei miti solari
l'eroe viaggia attraverso mille pericoli in un mondo d'ol-
tretomba labirintico e pieno di mostri, nel periodo che in-
tercorre tra il tramonto e l'aurora. Questo tema può di-
ventare uno dei principi strutturali della letteratura d'in-
venzione a qualunque livello di sofisticazione. Ci si aspet-
terebbe di trovarlo soprattutto in storie di fate o comun-
que per bambini, e infatti se ci « poniamo dietro» Tom
Sawyer possiamo vedere un giovanetto senza padre né
madre che esce con una fanciulla da una caverna labirinti-
ca, lasciandosi alle spalle imprigionato un demone avido
di pipistrelli. Ma il medesimo tema si trova anche nel ro-
manzo piu complesso e ambiguo dell'ultimo James, The
Sense of the Past, dove il mondo labirintico è un periodo
del passato da cui l'eroe viene liberato mediante il sacrifi-
cio di un'eroina, che ha la funzione di Arianna. In questo,
come in molti altri racconti popolari, è anche presente il
motivo dei due fratelli uniti da un'intima affinità che ha
qualcosa di magico.
Nel Vecchio Testamento la figura messianica di Mosè
guida il popolo di Israele fuori dall'Egitto. Ezechiele iden-
tifica il faraone egiziano con il leviatano e il fatto che Mo-
sè bambino sia stato salvato dalla figlia del faraone confe-
risce a quest'ultimo qualcosa della figura del padre crude-
le che vuole la morte dell'eroe, come succede pure all'E-
rode furioso nelle rappresentazioni dei miracoli medievali.
Mosè e gli Ebrei vagano per un deserto labirintico finché
termina il periodo del regno della legge e Giosuè, il cui
nome è identico a quello di Gesu, conquista la Terra Pro-
messa. Perciò, quando l'angelo Gabriele dice alla Vergine
di chiamare suo figlio Gesu, il significato tipologico è che
l'epoca della legge è finita e sta per incominciare l'assalto
alla Terra Promessa. Vi sono quindi due miti di peregri-
nazioni concentrici nella Bibbia, il mito dalla Genesi al-
l'Apocalisse e il mito dall'Esodo all'età felice. Nel primo
Adamo è cacciato dall'Eden, perde il fiume della vita e
l'albero della vita, e vaga per il labirinto della storia urna-
2 54 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

na fino a che il Messia lo reintegra nel suo stato origina-


rio. Nel secondo Israele è cacciato dalla terra degli avi e
vaga per i labirinti della cattività egiziana e babilonese fin-
ché è reintegrato nel suo stato originario nella Terra Pro-
messa. Perciò l'Eden e la Terra Promessa sono tipologica-
mente identici, come lo sono le tirannie egiziana e babilo-
nese e la desolata aridità della legge. Paradise Regained'
tratta delle tentazioni a cui Cristo viene sottoposto da Sa-
tana, e Michele in Paradise Lost ci dice che questa è la
vera forma messianica del mito dell'uccisione del drago.
Cristo è nella condizione di Israele durante il periodo del-
la legge, cioè vaga nel deserto: la sua vittoria è allo stesso
tempo la conquista della Terra Promessa esemplificata dal
suo omonimo Giosuè e l'instaurazione dell'Eden in mez-
zo al deserto.
Il leviatano è di solito un mostro marino, il che signifi-
ca metaforicamente che esso è il mare, e la profezia di
Ezechiele secondo cui il Signore arpionerà e trarrà a terra
il leviatano è identica alla profezia dell'Apocalisse secon-
do cui non ci sarà piu mare. Come cittadini del ventre di
tale mostro anche noi siamo perciò, metaforicamente, sot-
t'acqua, donde l'importanza della pesca nei Vangeli, dove
gli apostoli sono « pescatori di uomini» che gettano le lo-
ro reti nel mare di questo mondo. Donde anche lo svilup-
po piu tardo, cui si allude in The Waste Land, di Adamo
o del re impotente come « re pescatore» incapace. Sempre
in T he W aste Land si stabilisce un appropriato rapporto
tra questo atteggiamento e quello di Prospero, che in T he
Tempest salva dalle acque del mare un piccolo nucleo di
esseri umani. Anche in altre commedie, da Sakuntala a
Rudens, qualcosa di indispensabile all'azione o alla cogni-
tio viene pescato dal mare, e molti eroi, compreso Beo-
wulf, durante le loro peregrinazioni compiono le gesta
piu insigni in mondi sottomarini. A questa stessa area
simbolica va collegata l'insistenza sul potere di Cristo di
comandare alle acque del mare. E come il leviatano, in
quanto simbolo del mondo dopo la caduta, contiene tutte
1 Cfr. The Typology o/ «Paradise Regained», «Modem Philology»
{1956), pp. 227 sgg.
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 255
le forme di vita imprigionate nel suo ventre, cosi esso, in
quanto simbolo del mare, contiene in sé le acque della
pioggia rivivificatrice la cui venuta segna l'inizio della pri-
mavera. Nei racconti popolari è molto comune l'immagi-
ne di un animale mostruoso che inghiotte tutta l'acqua
del mondo e viene poi forzato con tormenti, inganni e vio-
lenza a vomitarla; una versione mesopotamica di tale sto-
ria è molto vicina alla storia della creazione nella Genesi.
In molti miti solari il dio-sole è rappresentato navigante
in una barca sulla superficie del nostro mondo.
Infine se il leviatano rappresenta la morte e l'eroe deve
entrare nel corpo della morte, il significato del mito è che
l'eroe deve morire; e, se egli ha compiuto il suo pellegri-
naggio, l'ultimo stadio sarà una rinascita in senso ciclico
e una risurrezione in senso dialettico. Nei drammi che
rappresentano la storia di san Giorgio l'eroe muore du-
rante il combattimento con il drago e viene riportato in
vita da un dottore, e questo stesso tipo di simbolismo si
ritrova in tutti i miti di dèi morenti. Si possono quindi di-
stinguere non tre ma quattro aspetti nel mito della ricer-
ca. Primo, l' agon o lotta vera e propria. Secondo, il pa-
thos o morte, spesso sia dell'eroe che del mostro. Terzo,
la scomparsa dell'eroe, tema che spesso prende la forma
di sparagmos o strazio del corpo dell'eroe. Il corpo dell'e-
roe talvolta viene diviso tra i suoi seguaci come nel sim-
bolismo eucaristico, oppure sparso per il mondo come
nelle storie di Orfeo e piu specialmente di Osiride. Quar-
to, la ricomparsa e l'agnizione dell'eroe, in cui il cristiane-
simo sacramentale segue la logica della metafora: coloro
che nel mondo non ancora redento hanno spartito il corpo
del loro redentore, sono riuniti grazie al suo corpo risorto.
I quattro mythoi di cui stiamo trattando, commedia,
romance, tragedia e ironia possono ora essere visti come
quattro aspetti di un mito centrale unificante 1• L'agon o
lotta è la base o il tema archetipo del romance, poiché il
1 Cfr. JOSEPH CAMPBELL, The Hero with a Thousand Faces (1949); RA-
GLAN, The Hero (1936); c. G. JUNG, \Vandlungen und Symbole der Libido,
e la spiegazione dell'eniautos-daimo11 in Themis di Jane Harrison. A que-
sti potrei forse aggiungere la mia spiegazione del simbolismo dell'Orca in
Blake, in Fearful Simmetry (1947), cap. VII.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

suo schema fondamentale è una sequela di avventure pro-


digiose. Il pathos o catastrofe, sia nel trionfo che nella
disfatta, è il tema archetipo della tragedia. Lo sparagmos,
o il senso che l'eroismo e l'azione fruttuosa siano assenti
o male organizzati o destinati alla sconfitta, e che la con-
fusione e l'anarchia regnino nel mondo, è il tema archeti-
po dell'ironia e della satira. L' anagnorisis, o l'agnizione di
una novella società che sorge trionfante intorno alla figu-
ra ancor vagamente misteriosa di un eroe con la sua sposa,
è il tema archetipo della commedia.

Abbiamo parlato dell'eroe messianico come redentore


della società, ma nella letteratura profana di ricerca si tro-
vano frequentemente motivazioni e ricompense per il com-
pimento dell'impresa assai piu comuni. Spesso il drago è
posto a guardia di un tesoro: la ricerca di un tesoro se-
polto è il tema centrale del romance dal ciclo di Sigfrido
sino a Nostromo e probabilmente non è ancora esaurito.
Tesoro significa ricchezza che nel romance mitopoietico
compare spesso nella forma ideale di potenza e saggezza.
Il mondo inferiore, quello all'interno o alle spalle del dra-
go guardiano, è spesso abitato da una sibilla profetica ed
è un luogo che contiene oracoli e segreti, come quelli per
il cui possesso Odino era pronto a mutilarsi. La mutila-
zione o impedimento fisico, che rappresenta insieme il te-
ma dello sparagmos e della morte rituale, è spesso il prez-
zo che si paga per una non comune dose di saggezza o di
potere: è il caso del fabbro storpio Weyland o Efeso, e
nella storia delle benedizioni di Giacobbe. Le Mille e una
notte sono piene di storie di quella che possiamo chiama-
re l'eziologia della mutilazione. E di nuovo la ricompensa
dell'impresa è o comprende una sposa. Questa figura di
sposa è ambigua: la sua connessione psicologica con la
madre in una sorta di fantasia edipica è piu insistente che
nella commedia. Tale sposa viene trovata spesso in un luo-
go pericoloso, proibito o interdetto, come il muro di fiam-
me di Brunilde o il muro di spine della bella addormen-
tata, e naturalmente essa viene di solito salvata dagli sgra-
devoli amplessi di un altro maschio in genere piu vecchio,
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 257
o da giganti o banditi o altri usurpatori. Sia nel romance
che nella commedia ha notevole sviluppo il motivo dell'e-
liminazione di una macchia dalla figura dell'eroina, moti-
vo che va dal tema della « donna disgustosa» nella Wife
of Bath's Tale di Chaucer alla prostituta perdonata del Li-
bro di Osea. La« bruna eppur leggiadra» sposa del Canti-
co dei Cantici rientra in questo gruppo.
II romance della ricerca presenta analogie sia con i riti
che con i sogni, e vi è una notevole somiglianza di forme
tra i riti esaminati da Frazer e i sogni esaminati da Jung:
somiglianza che non deve sorprendere, trattandosi di due
strutture simboliche analoghe alla stessa cosa. Tradotto in
termini onirici, il romance di cui stiamo parlando è la ri-
cerca di una soddisfazione della libido o io desiderante
che liberi l'io stesso dalle ansie della realtà, pur conti-
nuando a contenere tutta questa realtà. Coloro che osta-
colano il compimento dell'impresa sono di solito figure si-
nistre, giganti, orchi, streghe e maghi che hanno chiara-
mente un'origine paterna o materna; tuttavia si trovano
spesso anche figure paterne emancipate e riscattate, come
nelle ricerche psicologiche di Freud e Jung. Tradotto in
termini rituali questo tipo di romance è la vittoria della
fertilità su una terra arida e desolata; e con fertilità si in-
tende cibo e bevanda, pane e vino, corpo e sangue, unione
di maschio e femmina. Gli oggetti preziosi riportati dalla
ricerca o visti o attenuti come risultato della ricerca stes-
sa, combinano talvolta le associazioni rituali e quelle psi-
cologiche. Il Graal per esempio è connesso con il simbolo
eucaristico cristiano; è in relazione o diretta discendenza
da un miracoloso dispensatore di cibo come la cornuco-
pia, e come altre coppe o vasi concavi, ha una connotazio-
ne sessuale femminile, mentre si dice' che il suo corri-
spondente maschile sia rappresentato dalla lancia sangui-
nante. L'abbinamento di cibo solido e sostanze ristoratrici
liquide ricorre nelle immagini dell'albero che nutre e del-
l'acqua della vita che troviamo nell'Apocalisse biblica.
Possiamo prendere il primo libro di The Faerie Queene
come il testo forse piu vicino, nella letteratura inglese,

1 J. WESTON, From Rit11al to Romance (r920).


CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

al tema biblico della ricerca; piu vicino anche di The Pil-


grim's Progress che gli assomiglia perché ambedue assomi-
gliano alla Bibbia. Sono da considerare piu o meno aber-
ranti i tentativi di paragonare Bunyan e Spenser senza far
riferimento alla Bibbia, o senza attribuire la loro somi-
glianza a una comune derivazione da un romance di carat-
tere secolare. Nella versione spenseriana dell'impresa di
san Giorgio, santo patrono dell'Inghilterra, il protagoni-
sta rappresenta la Chiesa cristiana in Inghilterra e quin-
di la sua impresa è un'imitazione di quella di Cristo. In
Spenser Redcross è condotto dalla dama Una (velata di
nero) nel regno dei suoi genitori che è continuamente de-
vastato da un drago. Tale drago è, almeno nell'allegoria,
di dimensioni non comuni. Ci viene detto che i genito-
ri di Una tenevano « tutto il mondo» sotto il loro con-
trollo finché il drago « devastò tutta la loro terra e li spo-
destò». I genitori di Una sono Adamo ed Eva; il loro re-
gno è l'Eden o il mondo prima della caduta, e il drago, che
rappresenta tutto il mondo dopo la caduta, è identifìcato 1
con il leviatano, il serpente dell'Eden, Satana e la bestia
dell'Apocalisse. Quindi la missione di san Giorgio, che è
una ripetizione di quella di Cristo, è uccidere il drago per
instaurare l'Eden in mezzo al deserto e restituire l'In-
ghilterra al suo stato edenico. L'associazione di una Inghil-
terra ideale con l'Eden, rafforzata anche dalla leggenda di
un'isola felice nell'Oceano occidentale e dalla somiglian-
za della storia delle Esperidi con quella dell'Eden, ricorre
in tutta la letteratura inglese, almeno dalla conclusione di
Friar Bacon di Greene sino all'inno Jerusalem di Blake.
Le peregrinazioni di san Giorgio con o senza Una sono
parallele a quelle degli Ebrei nel deserto tra l'Egitto e la
Terra Promessa, quando portavano con loro l'arca velata
dell'alleanza e tuttavia erano pronti ad adorare il vitello
d'oro.
Naturalmente la battaglia con il drago dura tre giorni:
alla fine di ciascuno dei primi due giorni san Giorgio è ri-
cacciato indietro e rinnova le sue forze prima con l'acqua
della vita, poi con l'albero della vita, che rappresentano i
1 L'identificazione biblica si trova in Apoc., XII, 9, da cui viene l'e-

spressione « that old dragon » del verso iniziale del canto XI.
IL «MYTHOS » DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 259
due sacramenti accettati dalla Chiesa riformata; sono i
due elementi del giardino dell'Eden che l'uomo possie-
derà di nuovo nell'Apocalisse, e hanno inoltre una piu
generale connessione con l'eucarestia. L'emblema di san
Giorgio è una croce rossa in campo bianco, che è lo stes-
so vessillo portato dal Cristo nella iconografia tradiziona-
le, quando ritorna in trionfo dopo aver abbattuto il drago
dell'inferno. Il bianco e il rosso simbolizzano i due aspetti
del corpo risorto, la carne e il sangue, il pane e il vino, e
in Spenser hanno una connotazione storica, poiché allu-
dono all'unione della rosa rossa e della rosa bianca nel-
l'emblema del capo regnante della chiesa. Il rapporto tra
l'aspetto sacramentale e quello sessuale del simbolismo
del bianco e del rosso è evidente nell'alchimia, che Spen-
ser sicuramente conosceva, dove una delle fasi cruciali per
la produzione dell'elisir dell'immortalità è nota come l'u-
nione del re rosso e della regina bianca.

La caratterizzazione dei personaggi nel romance tende


a seguire la struttura dialettica di questo genere lettera-
rio, il che signifìca che non rivelano né sottigliezza né
complessità. I personaggi tendono a essere pro o contro la
ricerca. Se la favoriscono, sono idealizzati come esseri in-
teramente puri o coraggiosi. Se la ostacolano, sono presen-
tati quasi come caricature della loro malvagità e viltà.
Quindi nel romance ogni personaggio tipico tende a tro-
varsi di fronte al suo opposto, in senso morale, come av-
viene dei pezzi bianchi e neri negli scacchi. Nel romance
i pezzi «bianchi» che lottano per la riuscita dell'impresa
corrispondono al gruppo eiron della commedia, sebbene
questo vocabolo qui non sia appropriato poiché nel ro-
mance vi è ben poco posto per l'ironia. Il corrispondente
nel romance della figura dell'eiron benevolo della comme-
dia che si ritira dall'azione è la figura del « vecchio sag-
gio», come lo chiama Jung, del tipo di Prospero, di Mer-
lino, o del palmiere della seconda ricerca in Spenser, il
quale può essere spesso un mago che influisce sull'azione
affidata alla sua sorveglianza. Questa è la funzione di Ar-
thur in The Faerie Queene, sebbene non sia un vecchio.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Il corrispondente femminile è una figura materna saggia


e sibillina, che si presenta spesso come una potenziale
sposa; si veda Solveig in Peer Gynt, che se ne sta tran-
quilla a casa aspettando che l'eroe abbia compiuto la ri-
cerca e torni da lei. Spesso si tratta di una dama, per amo-
re o per ordine della quale l'impresa viene compiuta: tale
è la Faerie Queene in Spenser o Atena nella storia di Per-
seo. Queste figure sono il re e la regina bianchi nel gioco
degli scacchi, anche se nel gioco vero e proprio le loro pos-
sibilità di movimento sono invertite. Facendo della figura
della regina l'amante dell'eroe in senso piu che politico,
si rovina all'eroe il piacere di divertirsi con le damigelle
che gli capita d'incontrare nel suo viaggio immerse in mil-
le pericoli e angustie e spesso legate, nude e seducenti,
ad alberi o rocce, come Andromeda o l'Angelica di Ario-
sto. Si può cosl'. stabilire una polarizzazione tra la dama
del dovere e la dama del piacere: abbiamo già visto un
tardo sviluppo di questo tema nel contrasto tra le eroine
bionde e quelle brune del romance vittoriano. Un modo
molto semplice per risolvere il contrasto è quello di creare
tra i due tipi di donna un rapporto di parentela da suocera
a nuora: ne risulta di solito il tema della riconciliazione
dopo la gelosia e le inimicizie, come nei rapporti tra Ve-
nere e Psiche in Apuleio. Dove non vi è riconciliazione,
la donna piu vecchia continua a mantenere un carattere
sinistro e diventa la matrigna crudele delle fiabe.
Il mago perverso e la strega - in Spenser, Archimago e
Duessa - sono il re e la regina neri. Quest'ultima è chia-
mata da Jung la« madre terribile», ed è associata alla pau-
ra dell'incesto e a figure di megere come Medusa, che sem-
brano circondate da un'aura di perversione erotica. Le fi-
gure redente, a parte la sposa, sono di solito troppo debo-
li per avere una forte caratterizzazione. Il compagno o
ombra fedele dell'eroe ha il suo opposto nel traditore, l'e-
roina ha il suo opposto nella sirena o strega incantevole,
il drago ha il suo opposto negli animali amici e soccorrito-
ri che sono cosl'. importanti nel romance, primo tra tutti il
cavallo che è il mezzo usato dall'eroe nel suo viaggio. An-
che nel romance è presente il conflitto tra padre e figlio
che abbiamo notato nella commedia: nella Bibbia il se-
IL «MYTHOS » DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 261

condo Adamo viene a riscattare il primo, e nel ciclo delle


leggende del Graal il purissimo Galahad compie ciò che il
suo indegno padre Lancillotto non era riuscito a fare.
I personaggi che sfuggono a questa antitesi morale di
eroi e malvagi, sono o sembrano spiriti della natura. Essi
rappresentano in parte la neutralità morale del mondo
della natura e in parte un mondo misterioso, che si può
intravedere ma di cui non si ha mai una visione totale,
poiché si ritrae non appena qualcuno tenta di avvicinarsi
ad esso. Tra i personaggi femminili di questo tipo vi sono
le timide ninfe delle leggende classiche e le creature am-
bigue e semiselvagge che potremmo chiamare figure filia-
li, come la Florimell di Spenser, Pearl di Hawthorne,
Kundry di Wagner, e Rima di Hudson. I loro corrispon-
denti maschili presentano un po' piu di varietà. Mowgli
di Kipling è il piu famoso dei ragazzi selvaggi; Robin
Hood e il cavaliere incontrato da Gawain sono esempi del-
l'uomo della foresta che troviamo nell'Inghilterra medie-
vale; l' « uomo selvaggio» come il Satyrane di Spenser, è
tipico del Rinascimento, e il gigante goffo ma fedele dalla
chioma scarmigliata è da secoli un amabile personaggio
del romance.
Tali personaggi sono tutti piu o meno figli della natura,
e possono servire l'eroe, come il Venerdf di Crusoe, ma
restano sempre impenetrabili per quel che riguarda la lo-
ro origine. In funzione di servi o amici dell'eroe essi sono
i tramiti di quel misterioso rapporto con la natura che
molto spesso caratterizza la figura centrale del romance.
Il paradosso per cui molti di questi figli della natura sono
esseri «soprannaturali» non è cosi difficile da accettare
nel romance come nella logica. Gli esempi piu comuni che
si trovano nelle leggende popolari sono la fata protettrice,
il morto riconoscente, il servo bravissimo che sa fare pro-
prio ciò di cui l'eroe ha bisogno nel momento di crisi. Es-
si sono versioni caricate, come conviene al romance, del
servo astuto della commedia, cioè dell'architectus dell'au-
tore. In The Thirteen Clocks di James Thurber questo
tipo di personaggio è chiamato il « Golux », e non v'è ra-
gione per cui non si possa adottare questo nome come ter-
mine critico.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Nel romance, come nella commedia, sembrano esserci


quattro poli di caratterizzazione dei personaggi. La lotta
dell'eroe e del suo nemico corrisponde alla disputa comi-
ca dell'eiron e dell'alazon. Gli spiriti naturali, cui si è or
ora accennato, hanno il loro parallelo comico nella figura
del buffone o maestro di cerimonia, cioè la loro funzione è
intensificare e fornire un punto focale all'atmosfera del
romance. Resta da vedere se esiste nel romance un perso-
naggio corrispondente al tipo dell' agroikos nella comme•
dia, cioè il guastafeste o buffone rozzo e maligno.
Un tale personaggio avrebbe la funzione di richiamare
l'attenzione sugli aspetti realistici della vita, per esempio
la paura in presenza del pericolo, che minaccia l'unità del-
l'atmosfera del romance. San Giorgio e Una in Spenser so-
no accompagnati da un nano che porta una sacca di « cose
necessarie». Non è un traditore, come l'altro accompagna-
tore, Giuda Iscariota, ma è un« fifone» e suggerisce affan-
nosamente la ritirata quando l'impresa è difficile. Questo
nano con la sua sacca rappresenta nel mondo di sogno del
romance la forma rimpicciolita e contratta della realtà
pratica che affrontiamo durante la veglia quotidiana; piu
realistica diventa la storia, e piu importante diventa tale
figura finché, quando raggiungiamo il polo opposto in
Don Chisciotte, esso tocca la sua apoteosi nella figura di
Sancio Pancia. In altri romances troviamo buffoni e giul-
lari cui è consentito aver paura o fare commenti realistici,
e che offrono una ben localizzata valvola di sicurezza per
il realismo, senza tuttavia infrangere le convenzioni del
romance. Questo ruolo è assunto in Malory dalla figura di
Sir Dinadan che, come ci viene accuratamente spiegato, è
un prode cavaliere oltreché un giullare: quando faceva
una delle sue beffe, « il re e Lancillotto ridevano tanto da
cader dalla sedia», il che suggerisce l'idea realistica, e psi-
cologicamente adeguata, di un riso eccessivo e isterico.
Nel romance come nella commedia si possono isolare sei
fasi di cui, via via che ci si sposta dall'area tragica a quel-
la comica, tre sono parallele alle prime tre fasi della tra-
gedia e tre alle seconde tre fasi della commedia che abbia-
mo già esaminato da un punto di vista comico. Le fasi for-
mano una sequenza ciclica nella vita dell'eroe del romance.
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 263
La prima fase è il mito della nascita dell'eroe, la cui
morfologia è stata studiata in modo piuttosto dettagliato 1
nel folklore. Questo mito è spesso associato a un'inonda-
zione, tipico simbolo dell'inizio e della fine di un ciclo.
Spesso l'eroe ancora in fasce viene messo in un'arca o cas-
sa galleggiante sul mare come nel caso di Perseo; di qui
andando alla deriva egli è trasportato a terra, come nel-
l'esordio di Beowulf, o è salvato tra le canne e giunchi
delle rive di un fiume, come nella storia di Mosè. Un pae-
saggio con gli elementi dell'acqua, della barca e del canne-
to appare all'inizio del viaggio di Dante sulla montagna
del purgatorio, durante il quale piu volte si suggerisce che
l'anima è nello stadio di un bambino appena nato. Sulla
terraferma, invece, il bambino deve essere salvato dalle
grinfie di un animale, o per merito di un animale, e molti
eroi sono nutriti da animali nelle foreste durante la loro
prima infanzia. Quando in Goethe Faust comincia a cer-
care la sua Elena, egli cerca prima tra i canneti del Peneo
e poi trova un centauro che l'aveva portata in salvo sul
suo dorso quand'era bambina.
Psicologicamente questa immagine è collegata a quella
dell'embrione nel seno materno, al mondo prenatale im-
maginato spesso come liquido; antropologicamente essa è
connessa all'immagine dei semi di una nuova vita sepolti
in un mondo morto ricoperto di neve o formato da paludi.
Il tesoro custodito dal drago è pure strettamente collega-
to a questa misteriosa vita infantile racchiusa in uno scri-
gno. Il fatto che la vera sorgente della ricchezza sia la fer-
tilità, anche se solo potenziale, o una nuova vita, vegeta-
le o umana, si trova in tutto il romance dai miti antichi
sino al King of the Golden River di Ruskin: il quale, trat-
tando della ricchezza nelle sue opere economiche, non fa-
ceva che commentare questa fiaba. Un'associazione simile
tra il mucchio del tesoro e la vita di un bambino appare
in modo piu plausibile in Silas Marner. È già stata men-
zionata la lunga storia letteraria del tema dei genitori mi-
steriosi da Euripide a Dickens.
1 Cfr. o. RANK, Der Mythus von de Geburt der Helden (1922); e anche
c. G. JUNG e c. KRRENYI, Ein/11hrung in dar Wesen der Mithologie (1941).
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Nella Bibbia, la fine e l'inizio di un ciclo storico sono


contrassegnati da simboli molto simili. Dapprima vi sono
un diluvio universale e un'arca galleggiante sulle acque
che contiene in potenza tutta la vita futura; poi abbiamo
la storia dell'esercito egiziano annegato nel Mar Rosso e
degli Ebrei finalmente liberi di trasportare la loro arca at-
traverso il deserto, immagine adottata da Dante come ba-
se del simbolismo del Purgatorio. Il Nuovo Testamento
incomincia con un bambino in una mangiatoia, e la tradi-
zione secondo cui il mondo esterno viene descritto come
immerso nella neve collega la Natività alla stessa fase ar-
chetipa. A questa fase seguono immediatamente immagi-
ni del ritorno della primavera: l'arcobaleno nella storia di
Noè, lo scaturire dell'acqua da una roccia ad opera di Mo-
sè, il battesimo di Cristo; tutte queste immagini mostrano
lo sviluppo del ciclo dall'invernale acqua di morte alle ac-
que rivivificatrici della vita. Allo stesso gruppo apparten-
gono gli uccelli provvidenziali, il corvo e la colomba della
storia di Noè, i corvi che nutrono Elia nel deserto, la co-
lomba che aleggia su Cristo durante il battesimo.
Un altro tema molto frequente è quello della ricerca
del bambino, che deve essere tenuto nascosto in un luogo
segreto. Infatti, poiché le origini dell'eroe sono misterio-
se e la sua vera paternità è spesso celata, compare in scena
un falso padre che vuole la morte del bambino. Questo è
il ruolo di Acrisia nella storia di Perseo, di Crono che cer-
ca di inghiottire i suoi figli nel mito di Esiodo, del faraone
che uccide i bambini nel Vecchio Testamento e di Ero-
de nel Nuovo. In opere piu tarde esso si trasforma spesso
nel vecchio zio usurpatore, presente in parecchie opere di
Shakespeare. Ne consegue che la madre appare spesso vit-
tima della gelosia, ed è perseguitata o calunniata, come la
madre di Perseo o come Costanza nella Man of Law's Tale.
Questa versione è molto vicina psicologicamente al tema
della rivalità tra un figlio e un padre odioso, per il posses-
so della madre. Il tema della fanciulla calunniata, scaccia-
ta di casa con il suo bimbo da un padre crudele, di solito
durante una tempesta di neve, riusciva ancora a strappare
lacrime al pubblico dei melodrammi vittoriani, e nello
stesso periodo troviamo sviluppi letterari del tema della
IL «MYTHOS » DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 265
madre perseguitata, a cominciare da Eliza che attraversa il
fiume ghiacciato in Uncle Tom's Cabin fino a Adam Bede
e Far /rom the Madding Crowd. Anche la figura della fal-
sa madre, la famosa matrigna crudele, è molto comune:
naturalmente la sua vittima è di solito una fanciulla, e la
lotta tra le due è descritta in molte ballate e in fiabe del
tipo di Cenerentola. Il vero padre è spesso rappresentato
come un vecchio saggio o un maestro: tale è il rappor-
to tra Prospero e Ferdinando, tra il centauro Chirone e
Achille. La corrispondente figura della vera madre è, per
esempio, la figlia del faraone che adotta Mosè. Nelle for-
me piu realistiche di romance il genitore crudele assume
la forma o la voce di un'opinione pubblica meschina.
La seconda fase riguarda il periodo di giovinezza e in-
nocenza dell'eroe, quale ben conosciamo dalla storia di
Adamo ed Eva nell'Eden prima della caduta. In letteratu-
ra è caratterizzata da un mondo arcadico e pastorale; si
tratta di solito di un paesaggio boscoso e piacevole, pieno
di radure, valli ombrose, ruscelli mormoranti, la luna, ed
altri elementi strettamente connessi con l'aspetto femmi-
nile e materno delle immagini sessuali. I suoi colori aral-
dici sono il verde e l'oro che per tradizione rappresentano
la gioventu che svanisce: si pensi alla poesia di Sandburg
Between Two Worlds. È spesso un mondo regolato da
leggi magiche o piacevoli, al cui centro sta l'eroe giovane
che è ancora sotto la protezione dei genitori ed è circon-
dato da compagni anch'essi giovani. L'archetipo dell'inno-
cenza in campo erotico non è tanto il matrimonio, quanto
il tipo di amore «casto» che precede il matrimonio, l'a-
more del fratello per la sorella o di due ragazzi l'uno ver-
so l'altro. Quindi, anche se in fasi piu tarde questa viene
spesso ricordata come un'epoca felice o età dell'oro per-
duta, è molto frequente la sensazione che con essa ci si
avvicina a un tabu morale, come nella storia stessa dell'E-
den. Rasselas di Johnson, Eleonora di Poe, e il Book of
Thel di Blake ci presentano una specie di paradiso-prigio-
ne o mondo embrionico da cui i personaggi principali de-
siderano fuggire per entrare in un mondo inferiore; la
stessa sensazione di disagio e lo stesso desiderio di entra-
re in un mondo d'azione percorre l'Endymion di Keats,
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

che offre il piu esauriente trattamento di tale fase nella


letteratura inglese.
Il tema della barriera sessuale in questa fase assume
molti aspetti: in Green Mansions troviamo il serpente
dell'Eden, e in Spenser Amoret è separata dal suo aman-
te Scudamour da una barriera di fuoco. Alla fine del Pur-
gatorio l'anima raggiunge di nuovo il suo stato di fanciul-
lezza prima della caduta o età dell'oro, e perciò Dante
si ritrova nel giardino dell'Eden separato dalla giovane
Matelda dal fiume Lete. Il fiume come barriera è presen-
te nella strana storia di William Morris The Sundering
Flood, dove una freccia scagliata al di là del fiume simbo-
leggia il contatto sessuale. In Kublai Khan,poemettostret-
tamente associato sia alla storia dell'Eden di Paradise Lost
che a Rasselas, la descrizione di un «fiume sacro» è quasi
subito seguita dalla visione in lontananza di una damigel-
la che canta. Pierre di Melville si apre con una sardonica
parodia di questa fase, presentandoci l'eroe ancora domi-
nato dalla madre, che egli tuttavia chiama con l'appellati-
vo di sorella. Moltissime immagini di questa fase si posso-
no trovare nel sesto libro di The Faerie Queene, special-
mente nelle storie di Tristram e Pastorella.
La terza fase è il tema della ricerca che abbiamo discus-
so finora e non ha bisogno di ulteriori commenti. La quar-
ta fase corrisponde alla quarta fase della commedia, in cui
la società migliore è piu o meno visibile durante tutto il
corso dell'azione, invece di emergere solo negli ultimi
istanti. Nel romance il tema centrale di questa fase è la
salvaguardia del mondo dell'innocenza nella sua totale in-
tegrità dagli attacchi del mondo dell'esperienza. In questo
caso perciò il romance prende spesso la forma di un'alle-
goria morale, come nel Camus di Milton, in Holy War di
Bunyan, e in molte morality plays medievali, compreso
The Castel! of Perseverance. Lo schema assai piu sem-
plice dei Canterbury Tales, dove l'unico conflitto sta nel-
lo sforzo di mantenere il tono di festa e allegria contro la
tendenza al litigio e alla disputa, per qualche ignota ragio-
ne sembra meno frequente.
Il corpo da difendere nel suo insieme può essere tan-
to un corpo individuale quanto un corpo sociale o l'uno
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 267

e l'altro insieme. L'aspetto individuale è presente nel-


l'allegoria della temperanza nel secondo libro di The Fae-
rie Queene, che costituisce una naturale continuazione
del primo I poiché tratta il tema relativamente piu diffi-
cile di come si possa consolidare l'innocenza eroica in
questo mondo dopo che la prima grande ricerca è stata
compiuta. Guyon, cavaliere della temperanza, ha come
principali antagonisti Acrasia, cioè la dama del Verziere
di Delizie, e Mammone, i quali rappresentano « Bellezza
e denaro» trasformati da beni strumentali in fini esterni
da ricercarsi per se stessi. Lo spirito temperante contiene
in sé tutti i suoi beni - ricordiamo che la continenza è il
suo primo requisito - e perciò appartiene a quello che noi
chiamiamo mondo dell'innocenza. Lo spirito intemperan-
te cerca il proprio bene negli oggetti esterni del mondo
dell'esperienza. Sia la temperanza che l'intemperanza si
possono chiamare naturali, ma l'una appartiene alla natu-
ra come ordine, l'altra alla natura come mondo dopo la ca-
duta. La tentazione a cui Comus sottopone la Dama è ba-
sata su un'ambiguità di questo genere riguardo al signifi-
cato di natura. Un'immagine fondamentale in questa fase
del romance è quella del castello assediato, rappresentato
in Spenser dalla Casa di Alma, descritta con una termino-
logia tratta dal corpo umano.
L'aspetto sociale della stessa fase è trattato nel quinto
libro di The Faerie Queene che ci presenta la leggenda
della giustizia, in cui il primo requisito della giustizia è il
potere, cosf come la continenza lo era per la temperanza.
Ritroviamo qui, nella visione di Iside e Osiride, una delle
immagini tipiche della quarta fase, quella del mostro do-
mato e tenuto a freno dalla vergine, che era già apparsa
saltuariamente nel primo libro in connessione con Una, la
quale domava dei satiri e un leone. Il prototipo classico
di tale immagine è la testa della Gorgone sullo scudo di
1 L'archetipo è quello della costruzione di una abitazione per il dio o
l'eroe dopo il suo trionfo: cfr. T. H. GASTER, Thespis, p. 163. L'espressio-
ne « Beauty and Money » viene dalla Faerie Queene, Il, xr. Per la distin-
zione tra temperanza e continenza e i due livelli della natura, dr. A. s. P.
W00DH0USE, Nature and Grace in «The Faerie Queene», in «ELII» (1949),
pp. 194 sgg. e The Argument of Milton's «Camus», in «University of To-
ronto Quarterly » ( 1941 ), pp. 46 sgg.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

Atena. Il tema dell'innocenza o verginità inespugnabile è


associato a immagini di questo tipo in letteratura, dal bim-
bo che guida le belve da preda in Isaia alla figura di Mari-
na nel bordello in Pericles, e riappare in opere narrative
piu tarde dove un eroe insolitamente feroce viene sotto-
messo dall'eroina. Una parodia ironica di questo stesso
tema forma la base della Lisistrata di Aristofane.
La quinta fase corrisponde alla quinta fase della com-
media, e come questa consiste in una rappresentazione
idillica e riflessiva del mondo dell'esperienza visto dall'al-
to e pone di solito in primo piano il movimento del ciclo
naturale. Il mondo che essa rappresenta è molto simile a
quello della seconda fase, salvo che l'atmosfera qui non è
piu quella della giovanile preparazione all'azione, bensf
quella di un ritiro contemplativo dall'azione, o quella del-
lo stadio che segue all'azione. Come nella seconda fase,
anche qui abbiamo un mondo erotico, dove però l'espe-
rienza è presentata come comprensibile e non come un
mistero. Questo è il mondo della maggior parte dei ro-
mances di Mortis, del Blitbedale Romance di Hawthor-
ne, della saggezza matura e innocente di The Franklin's
Tale, e della maggior parte delle immagini del terzo li-
bro di The Faerie Queene. In quest'ultima, come pure nei
tardi romances shakespeariani, soprattutto in Pericles, e
persino in Tbe Tempest, notiamo una tendenza alla stra-
tificazione morale dei personaggi. Gli amanti fedeli e sin-
ceri sono in testa alla gerarchia che potremmo chiamare
delle imitazioni erotiche e che si estende all'ingiu per tutti
i vari gradi della lussuria e della passione fino alla perver-
sione (Argante e Olifante in Spenser; Antioco e sua figlia
in Pericles ). Tale disposizione dei personaggi è coerente
con la visione distaccata e contemplativa della società
propria di questa fase.
La sesta fase o fase del penseroso è l'ultima nel roman-
ce come nella commedia. Nella commedia essa ci presenta
il frantumarsi della società comica in piccole unità o indi-
vidui; nel romance essa segna la fine del movimento com-
preso tra i due poli dell'avventura attiva e di quella con-
templativa. Un'immagine centrale di questa fase, e prefe-
rita tra tutte da Yeats, è quella del vecchio nella torre,
IL «MYTHOS» DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 269
dell'eremita solitario immerso in studi di magia o occul-
tismo. Ad un livello piu popolare e sociale questa fase
comprende anche quella che si potrebbe chiamare la nar-
rativa rosa, cioè quel tipo di romance che viene associato
con la sensazione fisica di piacere e di comodità data da un
letto oppure da poltrone raccolte intorno al caminetto o
in generale da angolini pieni di calore e di intimità. Una
caratteristica di questa fase è il racconto tra virgolette, o
racconto dentro il racconto: a una scena d'apertura con
un piccolo gruppo di persone ben affiatate segue la storia
vera e propria, raccontata da uno dei membri del gruppo.
In The Turn of the Schrew vi è una numerosa comitiva di
persone che raccontano storie di fantasmi in una casa di
campagna; poi alcuni se ne vanno ed un gruppetto molto
piu piccolo e intimo si riunisce ad ascoltare il racconto
cruciale. L'allontanamento dei catecumeni all'inizio di un
rito rientra completamente nello spirito e nelle convenzio-
ni di questa fase. Tali espedienti ci presentano la storia fil-
trata attraverso uno stadio di distensione e contemplazio-
ne, in modo che essa sia per noi oggetto di divertimento e
non, per cosf dire, di reazione diretta e violenta come av-
viene con la tragedia.
Appartengono a questa fase le raccolte di racconti ba-
sate sul sistema del simposio, come il Decamerone. Un
esempio tipico e senza alcuna contaminazione è Earthly
Paradise di Mortis, in cui alcuni dei grandi miti archetipi
della cultura greca e nordica sono personificati in un grup-
po di vecchi che hanno abbandonato il mondo durante il
Medioevo, rifiutando di diventare re o dèi, e sono ora riu-
niti in una neutra terra di sogno dove si scambiano i loro
miti. Troviamo qui collegati i temi del vecchio solitario,
del gruppo affiatato e della favola raccontata da uno del
gruppo. I racconti sono disposti secondo l'ordine del ca-
lendario e perciò si rifanno ai simboli del ciclo naturale.
Un altro trattamento molto concentrato di questa fase è
Between the Acts di Virginia Woolf, dove davanti a un
gruppo di persone viene portato in scena un dramma rap-.
presentante la storia della vita inglese. Tale storia è con-
cepita non solo come uno sviluppo di stadi successivi ma
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

anche come un ciclo di cui il pubblico è il termine e, come


indica l'ultima pagina, anche il principio.
Dall'Anello di Wagner fino alla fantascienza possiamo
notare una crescente popolarità dell'archetipo del dilu-
vio. Esso di solito prende la forma di un disastro cosmi-
co che distrugge l'intera società rappresentata nell'opera,
eccetto un piccolo gruppo che dà origine a una nuova vi-
ta in un sito sicuro e riparato. Sono piu che evidenti le af-
finità tra questo tema e quello del gruppo ristretto che è
riuscito ad isolarsi dal resto del mondo, ed appare inoltre
chiaro il collegamento con l'immagine del neonato miste-
rioso in balia delle onde marine.

Resta da considerare un elemento importante del sim-


bolismo poetico, cioè la presentazione simbolica del punto
in cui il mondo apocalittico non trasposto e il mondo ci-
clico della natura vengono ad allinearsi, punto che chia-
meremo di epifania. L'ambiente piu naturale è in questo
caso la cima di una montagna, l'isola, la torre, il faro, la
scala. Le leggende popolari e le mitologie sono piene di
storie che accennano ad un originario legame tra il cielo o
il sole e la terra. Leggiamo di scale fatte con le frecce, di
corde che uccelli maligni spezzano a colpi di becco, e cosf
via. Tali storie sono spesso analoghe a quella biblica della
caduta 1 dell'uomo, e se ne trovano ancora echi nella pian-
ta di fagiolo di Jack, nei capelli di Raperonzolo, e persino
in quel curioso spettacolo folcloristico noto come il trucco
della corda indiana. Il movimento dal mondo apocalittico
a quello naturale può essere simboleggiato dal fuoco d'oro
che discende dal sole, come nel mito di Danae, e dal suo
corrispondente umano, il fuoco acceso sull'altare sacrifi-
cale. Lo« scarabeo d'oro» del racconto di Poe 2, che ci ri-
1 Cfr. APDLLODDRD, Bibliotheca, a cura di Frazer («Loeb Classica! Li-
brary», 1921); J. FRAZER, Folk Lore in the O/d Testament (1918); L. FRO·
BENIUS, The Childhood of Man, trad. inglese di A. H. Keane (1909).
2 Questo esempio non incontrerà l'approvazione della critica superci-

liosa, ma è stato aggiunto perché illustra il principio per cui la costruzione


logica, in una fiaba popolare, consiste nel saper collegare gli archetipi.
L'uso dello scarabeo d'oro per scoprire il tesoro non è necessario, se lo
consideriamo dal punto di vista, irrilevante, della plausibilità, e la giu-
stificazione che ne viene data nel dialogo è delle piu goffe e imperfette.
IL «MYTHOS » DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 271

corda lo scarabeo egiziano simbolo del sole, è calato dal-


l'alto appeso all'estremità di una corda attraverso l'orbita
vuota di un teschio che pende da un albero e cade sopra
un tesoro sepolto: l'archetipo di tale storia è strettamente
connesso con il complesso di immagini di cui stiamo trat-
tando, e si rifà piu specificamente a un aspetto alchimisti-
co di queste immagini.
Nella Bibbia abbiamo la scala di Giacobbe, che in Pa-
radise Lost è associata con il diagramma cosmologico mil-
toniano di un cosmo sferico appeso al cielo con un'apertu-
ra in cima. Vi sono nella Bibbia numerose epifanie che av-
vengono in cima alla montagna, tra cui la piu famosa è la
Trasfigurazione; tipologicamente connessa con queste è
anche la visione della montagna di Pisgah, termine della
strada attraverso il deserto da cui Mosè vide la lontana
Terra Promessa. Finché i poeti accettarono l'universo to-
lemaico, il luogo naturale per l'epifania fu considerato la
cima di una montagna proprio sotto la luna, cioè sotto il
piu basso dei corpi celesti. Il purgatorio di Dante è un'e-
norme montagna con un sentiero che sale a spirale intorno
ad essa e con il giardino dell'Eden in cima, poiché chi vi
arriva ha a poco a poco ricuperato la perduta innocenza e
si è completamente liberato del peccato originale. È a que-
sto punto che si compie la prodigiosa epifania apocalitti-
ca dei canti finali del Purgatorio. Si avverte anche la sen-
sazione di trovarsi tra un mondo apocalittico sovrastante
e un mondo ciclico sottostante: infatti dal giardino del-
l'Eden tutti i semi di vita vegetale ricadono nel mondo
sottostante, mentre la vita umana procede oltre.
Nel primo libro di The Faerie Queene vi è una visione
come quella di Pisgah, quando san Giorgio sale sulla mon-
tagna della contemplazione e vede in lontananza la città
celeste. Poiché il drago che egli deve uccidere rappresenta
il mondo dopo la caduta, in senso allegorico questo drago
è lo spazio che separa san Giorgio dalla città lontana. Nel-
l'episodio ariostesco corrispondente è ancora piu evidente
la connessione tra la cima della montagna e la sfera luna•
re. In Spenser c'è il piu completo trattamento di questo
tema: si trova nella brillante commedia metafisica nota
come Mutabilitie Cantoes, dove il conflitto tra l'essere e
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

il divenire, tra Giove e la Mutevolezza, tra l'ordine e il


cambiamento, viene risolto nella sfera lunare. La prova
della Mutevolezza è data dai movimenti ciclici della natu-
ra, ma tale prova viene ritorta contro di lei perché non si
tratta di un vero mutamento ma di un principio di ordine
nella natura. In quest'opera il rapporto dei corpi celesti
con il mondo apocalittico non è di identificazione metafo-
rica, come avviene, almeno a livello di convenzione poeti-
ca, nel Paradiso dantesco, ma di somiglianza: essi sono
ancora considerati appartenenti al mondo naturale, e il
vero mondo apocalittico compare solo nell'ultima stanza
dell'opera.
La distinzione di livelli implica che ci possono essere
forme analoghe del momento di epifania. Per esempio, es-
so può essere presentato in termini erotici come il mo-
mento della completa soddisfazione sessuale, dove non vi
è alcuna visione apocalittica ma semplicemente la sensa-
zione di essere arrivati al massimo dell'esperienza in cam-
po naturale. Questa forma naturale del momento di epi-
fania è chiamata da Spenser i giardini di Adone. Sotto
questo nome essa è presente nell'Endymion di Keats, ed
è inoltre il mondo in cui entrano gli amanti alla fine di
Revolt of Islam di Shelley. I giardini di Adone, come l'E-
den di Dante, contengono i semi della vita e sono il luogo
in cui ogni essere soggetto all'ordine ciclico della natura
entra al momento della morte e da cui esce al momento
della nascita. Le prime opere poetiche di Milton rifletto-
no, come i Mutabilitie Cantoes, un acuto senso della di-
stinzione tra la natura come ordine sanzionato dalla divi-
nità, cioè la natura della musica delle sfere, e la natura
come mondo dopo la caduta, cioè in gran parte immersa
nel caos. La prima è simboleggiata dai giardini di Adone
in Comus, dai quali lo spirito custode scende a proteggere
la Dama. L'immagine centrale di questo archetipo, quella
di Venere che protegge Adone, è analoga (per usare una
distinzione moderna) in termini di Eros a quella della
Madonna e del Figlio nel contesto dell'Agape.
Milton riprende il tema della visione di Pisgah in Pa-
radise Regained, dove viene usato uno dei principi ele-
mentari della tipologia biblica: quello per cui gli eventi
IL «MYTHOS » DELL'ESTATE: IL «ROMANCE» 273
della vita di Cristo ripetono gli eventi della storia di Israe-
le. Il popolo d'Israele va in Egitto, chiamato da Giusep-
pe, sfugge a una strage di innocenti, è isolato dall'Egitto
mediante il Mar Rosso, si organizza in dodici tribu, vaga
per quarant'anni nel deserto, riceve la legge sul Sinai, è
salvato da un serpente di bronzo su un palo di legno, at-
traversa il Giordano, ed entra nella Terra Promessa sotto
la guida di « Giosuè, che i Gentili chiamano Gesu ». Ge-
su va in Egitto durante l'infanzia, guidato da Giuseppe,
sfugge a una strage di innocenti, è battezzato e riconosciu-
to come il Messia, vaga per quaranta giorni nel deserto,
raduna dodici seguaci, fa il Discorso della Montagna, sal-
va l'umanità morendo su un palo di legno, e perciò con-
quista la Terra Promessa rivelandosi il vero Giosuè. In
Milton la tentazione di Gesu corrisponde alla visione di
Pisgah di Mosè, salvo che lo sguardo è rivolto nella dire-
zione opposta; essa segna il punto piu alto dell'obbedien-
za di Gesu alla legge, proprio prima dell'inizio della sua
op~ra redentrice, e il suo schema, cioè la sequenza delle
tre tentazioni, suggerisce la totale identificazione del mon-
do, della carne e del diavolo nell'unica forma di Satana.
Il punto di epifania è qui rappresentato dal pinnacolo del
tempio, da cui Satana cade mentre Gesu rimane immobile
in cima ad esso. La caduta di Satana ci ricorda che il mo-
mento di epifania è anche rappresentato dal culmine della
ruota della fortuna dal quale l'eroe tragico inizia la sua
caduta. Tale uso ironico del momento di epifania è pre-
sente nella Bibbia nella storia della Torre di Babele.
Il cosmo tolemaico scomparirà all'alba dell'epoca mo-
derna, ma non il momento di epifania, sebbene nella let-
teratura piu recente esso sia spesso invertito ironicamente
o espresso in modo tale da soddisfare i canoni di verisimi-
glianza dell'uomo moderno. A parte ciò, possiamo ritro-
vare il medesimo archetipo nella scena finale sulla cima
di una montagna in Quando noi morti ci destiamo di Ib-
sen e nell'immagine centrale di To the Lighthouse di Vir-
ginia Woolf. Esso diventa infine un'immagine centrale u-
nificatrice nella poesia tarda di Y eats e Eliot. Titoli come
The Tower e The Winding Stair indicano l'importanza di
tale archetipo per Yeats, e rientrano perfettamente in
2 74 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

questo schema il simbolismo lunare e le immagini apoca-


littiche di The Tower e Sailing to Byzantium. In Eliot es-
so si riscontra nell'immagine della fiamma che compare
nel sermone del fuoco di The Waste Land ed è in contra-
sto con il ciclo naturale simboleggiato dall'acqua, ed an-
che nella« rosa dai molti petali» di The Hollow Men. Ash
W ednesday ci riporta di nuovo alla scala a spirale del pur-
gatorio, e Little Gidding alla rosa ardente, dove c'è un
movimento discendente del fuoco simboleggiato dalle lin-
gue di fuoco della Pentecoste e un movimento ascendente
simboleggiato dal rogo e dalla « camicia di fiamme» di Er-
cole.
Il mythos dell'autunno: la tragedia

Grazie come sempre ad Aristotele, la teoria della tra-


gedia ci si presenta in forma molto migliore degli altri tre
mythoi e possiamo trattarne piu alla svelta perché il terre-
no ci è piu familiare. Senza la tragedia, tutte le forme d'in-
venzione letteraria potrebbero essere plausibilmente spie-
gate come espressioni di fattori emotivi, sia di ripugnanza
che di soddisfazione dei desideri: l'invenzione tragica ga-
rantisce, per cosf dire, il disinteresse dell'esperienza let-
teraria. Per esempio, il senso dell'autentica base natura-
le dei temperamenti umani entra nella letteratura soprat-
tutto attraverso le tragedie di cultura greca. Nel romance
i personaggi sono per lo piu ancora molto ideali; nella sa-
tira tendono ad essere caricature; nella commedia le loro
azioni sono forzate in modo da soddisfare le esigenze di
un lieto fine. Nella vera tragedia, i personaggi principali
sono affrancati dall'idealità, affrancamento che al tempo
stesso è una costrizione, poiché li vincola all'ordine na-
turale. Per quanto fittamente costellata di fantasmi, por-
tenti, streghe o oracoli una tragedia possa essere, sap-
piamo che l'eroe tragico non può semplicemente strofina-
re una lampada e evocare uno spirito che lo tiri fuori dai
guai.
Come già la commedia, la tragedia si può studiare me-
glio e piu facilmente nella sua forma teatrale, ma non è li-
mitata a tale forma né ad azioni che terminano con un
disastro. Lavori drammatici che sono di solito chiamati o
classificati tragedie terminano in un clima di serenità, co-
me Cymbeline, o persino di gioia, come Alcestis o Ester
di Racine, o in un'atmosfera ambigua, difficile da definir-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

si, come Filottete. D'altro canto, se un'atmosfera preva-


lentemente cupa è parte essenziale dell'unità della strut-
tura tragica, non è detto che l'accentuazione di questa
atmosfera intensifichi l'effetto tragico: se ciò fosse, Titus
Andronicus sarebbe la piu potente tragedia shakespearia-
na. La fonte dell'effetto tragico deve essere ricercata, co-
me ha indicato Aristotele, nel mythos tragico o struttura
della trama.
Secondo un luogo comune della critica, la commedia
tende a rappresentare i personaggi nel loro contesto so-
ciale, mentre la tragedia è piu centrata su un singolo indi-
viduo. Abbiamo già spiegato nel primo saggio la ragione
per cui pensiamo che l'eroe tragico tipico stia tra il divino
e il « troppo umano». Questo vale anche per le figure di
dèi morenti: Prometeo, essendo un dio, non può morire,
ma soffre per la sua simpatia verso gli uomini« morenti»
(brotoi) o «mortali», e persino la sofferenza ha qualcosa
in sé di inferiore al livello divino. L'eroe tragico è grande,
se paragonato a noi, ma è piccolo di fronte a qualcos'al-
tro che sta dalla parte opposta del pubblico rispetto a lui.
Questo qualcos'altro può essere chiamato Dio, dèi, fato,
caso, fortuna, necessità, circostanze, o una combinazione
qualsiasi di questi fattori, ma qualunque cosa sia, l'eroe
tragico è il mediatore tra noi ed essa.
Di norma l'eroe tragico è in cima alla ruota della fortu-
na, a metà strada tra la società umana sulla terra e qual-
cosa di piu grande nei cieli. Prometeo, Adamo e Cristo so-
no sospesi tra il cielo e la terra, tra un mondo di libertà
paradisiaca e un mondo di servitu. Nel paesaggio umano
gli eroi tragici sono le punte piu alte, sf da sembrare gli
inevitabili conduttori delle forze e delle energie vicine a
loro, come grandi alberi che sono piu facilmente colpiti
dal fulmine che non un mucchietto d'erba. Naturalmente
i conduttori possono essere sia strumenti che vittime del
fulmine divino: il Sansone di Milton distrugge il tempio
filisteo insieme a se stesso, e Amleto quasi stermina, ca-
dendo, tutta la corte di Danimarca. La figura dell'eroe
tragico possiede qualcosa dei valori impenetrabili, rivela-
ti, secondo Nietzsche, nell'epifania sulla cima della mon-
tagna: i suoi pensieri come le sue azioni non sono di que-
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 277
sto mondo anche se, come Faustus, egli viene trascinato
in inferno proprio per essi. Qualunque grado di eloquen-
za o di affabilità egli abbia, si tratta di qualità che proven-
gono da una fonte imperscrutabile. Persino eroi sinistri
come Tamerlano, Macbeth e Creonte, mantengono que-
sto riserbo e dobbiamo ricordare che gli uomini muoio-
no con lealtà per un uomo malvagio o crudele, ma non per
un buontempone cordiale e amichevole. Coloro che si at-
tirano il maggior grado di devozione e fedeltà sono quelli
che riescono a far capire con il loro comportamento che
non ne hanno affatto bisogno; dalla cortesia di Amleto al-
la tetra ferocia di Aiace, gli eroi tragici sono avvolti nel
mistero della loro possibilità di comunicare con qualcosa
che noi possiamo intuire solo attraverso di essi, e che è la
causa della loro forza e, al tempo stesso, del loro destino.
Secondo l'espressione che affascinava tanto Yeats, l'eroe
tragico lascia ai suoi servi il compito di procurargli di che
vivere, e il momento centrale della tragedia consiste nel
suo isolamento, non nel tradimento da parte del malva-
gio, anche nel caso assai frequente che il malvagio sia par-
te dell'eroe stesso.
Per ciò che concerne quel qualcosa che sta al di là, vi
sono varie definizioni, ma la forma in cui si manifesta è
piu o meno costante. Qualunque sia il contesto, greco,
cristiano, o senza alcuna etichetta, la tragedia sembra con-
durre sempre ad un'epifania della legge, di ciò che è e de-
ve essere. Non è per puro caso che le due piu grandi fiori-
ture di teatro tragico, quelle che si sono avute nell'Atene
del v secolo e nell'Europa del xvn, sono contemporanee
al sorgere della scienza ionica e di quella rinascimentale 1 •
In tali concezioni scientifiche la natura è vista come un
processo impersonale che la legge umana tenta di imitare
meglio che può, e questa relazione diretta tra l'uomo e la
legge naturale viene portata in primo piano. Nella trage-
dia greca il senso che il fato sia piu forte degli dèi implica
in realtà che gli dèi esistono soprattutto per ratificare l'or-
dine naturale e che se una qualunque personalità, anche
divina, ha il potere di mettere un veto alla legge, rara-
1 Cfr. A, N. WHITEHEAD, Science and the Modern World (1925), cap. I.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

mente essa vorrà esercitarlo. Nel cristianesimo si può dire


la stessa cosa della personalità di Cristo in rapporto ai de-
creti imperscrutabili del Padre. Allo stesso modoinShake-
speare il processo tragico è del tutto naturale, nel senso
che esso si verifica e basta, quali che ne siano la causa, la
spiegazione o le implicazioni. I personaggi della tragedia
possono anche immaginare che gli dèi uccidano gli uomi-
ni per loro divertimento o che una divinità determini il
fine della vita umana, ma l'azione della tragedia rifiuta di
prendere in considerazione tali tentativi, fatto che viene
spesso attribuito alla personalità di Shakespeare.
Nella sua forma piu elementare, la visione della legge
(dike) opera come lex talionis o vendetta. L'eroe provoca
un'inimicizia o eredita una situazione di inimicizia, e il
ritorno del vendicatore crea la catastrofe. La tragedia di
vendetta costituisce una struttura tragica molto semplice
e come tutte le strutture piu semplici può essere molto
potente ed efficace, tanto che spesso è mantenuta come
tema centrale anche nelle tragedie piu complesse. In que-
ste ultime l'atto originario che provoca la vendetta dà pu-
re inizio a un movimento antitetico o controbilanciante la
cui conclusione risolve la tragedia. Ciò accade cosf spesso
che possiamo quasi definire il mythos della tragedia come
binario, in contrasto con il movimento saturnale triplice
della commedia.
Notiamo tuttavia che l'espediente di far venire la ven-
detta da un altro mondo, ad opera di dèi, fantasmi o oraco-
li, ricorre spesso. Tale espediente estende il concetto dina-
tura e di legge al di là dei limiti di ciò che è ovvio e tangi-
bile; ma non ci fa trascendere questi concetti poiché è an-
cora sempre la legge naturale che si manifesta nell'azione
tragica. Infatti l'eroe tragico crea uno squilibrio nella na-
tura, concepita come un ordine che si estende sul regno vi-
sibile come su quello invisibile, e prima o poi l'equilibrio
deve essere ristabilito. Il ricupero dell'equilibrio è ciò che
i Greci chiamano nemesis: anche qui l'agente o strumento
della nemesis può essere la vendetta dell'uomo, o di uno
spirito, o di un dio, oppure la giustizia divina, un inciden-
te, il fato o la logica degli eventi, ma l'essenziale è che la
nemesis avvenga, ed avvenga in modo impersonale, per
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 279

nulla influenzata, come mostra l'Edipo tiranno, dall'aspet-


to morale dell'implicita motivazione umana. Nell'Orestea
veniamo condotti attraverso una serie di momenti di ven-
detta sino ad una visione finale della legge naturale, di un
patto universale che comprende in sé anche la legge mo-
rale, e che gli dèi, rappresentati dalla dea della saggezza,
appoggiano e confermano. Cosl'. la nemesis, come la legge
mosaica che è il suo corrispondente nel cristianesimo, non
è abolita, ma soddisfatta. Da ristabilimento meccanico e
arbitrario dell'ordine, simboleggiato dalle Furie, essa di-
venne la spiegazione razionale di questo stesso ordine, a
opera di Atena: la cui comparsa non trasforma l'Orestea
in una commedia, ma ne illumina la visione tragica.
Due formule riduttive sono state spesso usate per spie-
gare la tragedia. Nessuna delle due è veramente persuasi-
va, eppure ciascuna lo è un po', e poiché si contraddicono,
è chiaro che esse rappresentano concezioni estreme della
tragedia. Una di queste è la teoria secondo cui ogni trage-
dia rivela l'onnipotenza di un fato imposto all'uomo dal-
l'esterno. E non c'è dubbio che la grandissima maggioran-
za delle tragedie ci dà la sensazione di assistere all'affer-
mazione vittoriosa di poteri impersonali e alla dimostra-
zione dei limiti degli sforzi umani. Ma questa interpreta-
zione fatalistica della tragedia confonde la condizione tra-
gica con il processo tragico: il fato in una tragedia diven-
ta di solito un fattore esterno all'er0e soltanto dopo che
il processo tragico si è iniziato. La ananke o moira greca
è nella sua forma normale o pretragica la condizione inter-
na equilibratrice della vita. Essa appare come necessità
esterna o antitetica solo dopo esser stata violata come
condizione di vita, proprio come la giustizia è la condizio-
ne interna di un uomo onesto, ma l'antagonista esterno
del criminale. Omero usa una frase profondamente signi-
ficativa per la teoria della tragedia quando fa dire a Zeus
che Egitto va hyper moron, al di là del fato.
L'interpretazione fatalistica della tragedia non distin-
gue la tragedia dall'ironia, ed è significativo che noi par-
liamo di ironia piuttosto che di tragedia del destino. L'i-
ronia non ha bisogno di una figura centrale eccezionale:
di solito, piu insignificante è l'eroe e piu pungente è l'iro-
280 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

nia, quando l'ironia è l'unico scopo che ci si propone. Una


certa dose di eroismo è ciò che dà alla tragedia il suo ca-
ratteristico splendore e tono di celebrazione. L'eroe tra-
gico ha di solito quasi a portata di mano un destino straor-
dinario, spesso pressoché divino, e la gloria di tale visio-
ne originaria non svanisce mai dalla tragedia. Inoltre la
retorica della tragedia richiede la dizione piu nobile a cui
i piu grandi poeti possano giungere, e se la catastrofe è
la conclusione normale della tragedia, essa è però bilan-
ciata da una grandiosità iniziale ugualmente significativa,
come una specie di paradiso perduto.
L'altra teoria riduttiva della tragedia è che l'atto ini-
ziale del processo tragico debba essere soprattutto una
violazione della legge morale, umana o divina; cioè che la
hamartia o difetto di cui parla Aristotele debbano essere
connessi con un peccato o misfatto. Anche qui è vero che
la grande maggioranza degli eroi tragici è dotata di hybris,
cioè di un animo orgoglioso, passionale, ossessionato o
ambizioso che porta l'eroe a una caduta in senso morale.
Tale hybris è il normale espediente per affrettare la cata-
strofe, come nella commedia la causa del lieto fine è di
solito un atto di umiltà di uno schiavo o di una eroina
mascherata sotto modeste sembianze. Aristotele associa la
hamartia dell'eroe tragico al suo concetto etico di proai-
resis, o libera scelta di un fine, ed egli certamente tende
a pensare la tragedia come moralmente, quasi fisicamen-
te intelligibile. Tuttavia si è già accennato che la nozione
di catarsi, fondamentale nella concezione aristotelica, non
è conciliabile con una visione esclusivamente morale del-
'la tragedia. La pietà e il terrore sono sentimenti morali
ed essi sono importanti ma non determinanti nella situa-
zione tragica. Shakespeare, per esempio, ha una tenden-
za tutta particolare a situare parafulmini morali a fianco
dei suoi eroi per distogliere da essi la pietà e il terrore:
perciò Otello è fiancheggiato da Jago e Desdemona, come
abbiamo già rilevato altrove, Amleto da Claudio e Ofelia,
Lear dalle figlie, e persino Macbeth da Lady Macbeth e
Duncan. In tutte queste tragedie vi è il senso di un gran-
dioso mistero di cui il processo morale non è che una par-
te. L'atto iniziale dell'eroe ha messo in moto gli ingranag-
IL « MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 28 I

gi di una macchina piu grande della sua stessa vita o per-


sino della sua società.
Tutte le teorie che tentano di dare una spiegazione del-
la tragedia in termini morali si trovano prima o poi a do-
ver rispondere a questo interrogativo: chi nella tragedia
soffre pur essendo innocente (cioè innocente in senso poe-
tico) come Ifigenia, Cordelia, Socrate nell'Apologia di
Platone, Cristo nella Passione, non è forse una figura tra-
gica? Non pare molto convincente il tentativo di trovare
pecche morali di fondo in tali personaggi. Cordelia rivela
un animo coraggioso, forse un po' ostinato, nel rifiutarsi
di adulare il padre, e quel che ottiene è di essere impicca-
ta. Giovanna d'Arco nel dramma di Schiller ha un mo-
mento di tenerezza per un soldato inglese, e finisce sul
rogo, o ci finirebbe se Schiller non avesse deciso di sacrifi-
care i fatti per salvare la sua teoria morale. Qui ci allonta-
niamo già dalla tragedia e ci avviciniamo a un tipo di a-
normale racconto ammonitorio, come quello del ragazzino
di Mrs Pipchin che fu fatto colpire a morte da un toro per
aver posto delle domande sconvenienti. In pratica la tra-
gedia sembra eludere l'antitesi tra responsabilità morale
e fato arbitrario, proprio come essa elude l'antitesi tra be-
ne e male.
Nel terzo libro di Paradise Los!, Milton ci presenta
Dio che sostiene di aver creato l'uomo «capace di resiste-
re, sebbene libero di cadere». Dio sapeva che Adamo sa-
rebbe caduto, ma non lo costrinse a ciò, onde il suo rifiuto
di assumersene la responsabilità legale. Questa argomenta-
zione è cosi poco persuasiva che Milton fece bene ad at-
tribuirla a Dio, se intendeva evitare ogni possibilità di con-
futazione. Pensiero e azione non possono essere separati in
tal modo: se Dio era presciente, doveva sapere nel momen-
to della creazione di Adamo che egli creava un essere che
sarebbe caduto. E tuttavia questo passo di Milton è uno
dei piu suggestivi e impressionanti. Infatti Paradise Lost
non è soltanto un tentativo di scrivere una tragedia, ma
di spiegare quello che Milton considerava il mito arche-
tipo della tragedia. Quindi il passo citato è ancora una
volta un esempio di proiezione esistenziale: la vera base
del rapporto tra il Dio di Milton e Adamo è il rapporto
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

tra il poeta tragico e il suo eroe. Il poeta tragico sa che il


suo eroe si troverà in una situazione tragica, ma egli fa
ogni sforzo per evitare di dare la sensazione di aver mani-
polato la situazione per i suoi propri fini. Egli ci presenta
il suo eroe come Dio presentava Adamo agli angeli. Se
l'eroe è incapace di resistere, la forma è puramente iro-
nica; se non è libero di cadere, la forma è quella del ro-
mance: abbiamo cioè la tipica storia dell'eroe invincibile
che trionfa su i suoi antagonisti per tutto il tempo che la
storia parla di lui. Ora, la maggior parte delle teorie tra-
giche prende una delle grandi tragedie come modello nor-
mativo: cosi la teoria aristotelica è basata soprattutto
sull'Edipo tiranno, e quella hegeliana sull'Antigone. Ri-
scontrando l'archetipo della tragedia umana nella storia
di Adamo, Milton si trovava d'accordo, naturalmente,
con l'intera tradizione culturale giudaico-cristiana, e pro-
babilmente gli argomenti derivati dalla storia di Adamo
hanno maggior fortuna nella critica letteraria che nei cam-
pi in cui si è costretti ad accettare per vera l'esistenza di
Adamo, sia come fatto storico, sia come pura finzione le-
gale. Il monaco di Chaucer, che sapeva bene quel che si
faceva, incominciò la sua storia da Lucifero e da Adamo,
e faremmo bene a seguire il suo esempio.
Riassumendo: Adamo si trova in una situazione eroi-
ca, cioè sta in cima alla ruota della fortuna ed ha quasi a
portata di mano il destino degli dèi. Egli perde il diritto
a questo destino in un modo che a taluni suggerisce l'i-
dea di una sua responsabilità morale, ad altri di una co-
spirazione del fato. In pratica egli scambia una sorte di
libertà illimitata con il fato che deriva da tale atto di
scambio, proprio come per un uomo che si butta delibe-
ratamente in un baratro la legge di gravitazione agisce co-
me fato per i brevi istanti di vita che gli rimangono. Lo
scambio è presentato da Milton come un atto libero in se
stesso o proairesis, un uso della libertà al fine di perdere
la libertà. E come spesso la commedia parte da una legge
arbitraria e poi organizza l'azione per infrangerla o eva-
derla, cosi la tragedia presenta il tema inverso per cui una
vita relativamente libera viene sempre piu limitata da un
processo di causalità. Ciò accade a Macbeth quando egli
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 283

accetta la logica dell'usurpazione, a Amleto quando accet-


ta la logica della vendetta, a Lear quando accetta la logi-
ca dell'abdicazione. La scoperta o anagnorisis che avviene
alla fine della trama tragica non è semplicemente la presa
di coscienza da parte dell'eroe di quello che gli è successo
- l'Edipo tiranno, a dispetto della sua fama di tragedia ti-
pica, è piuttosto un'eccezione in questo senso - ma è il
riconoscimento da parte dell'eroe della forma di vita che
egli si è creata, il che implica il confronto con l'altra for-
ma di vita potenziale a cui egli ha rinunciato. Il verso di
Milton sulla caduta dei diavoli, «O quanto diverso dal
luogo da cui essi caddero!» allude sia al virgiliano quan-
tum mutatus ab illo che al versetto di Isaia « quanto lon-
tano dal cielo sei caduto, o Lucifero figlio del mattino», e
in tal modo combina l'archetipo tragico classico e quello
cristiano: poiché Satana, come Adamo, viveva originaria-
mente in una condizione di gloria. In Milton la figura di
Adamo, che sta in cima alla ruota della fortuna e cade nel
mondo rappresentato da questa ruota, corrisponde alla fi-
gura del Cristo in piedi sul pinnacolo del tempio, incitato
da Satana a cadere, e tuttavia capace di resistere immo-
bile.
Appena Adamo cade, egli entra nella sua vita creata,
che è anche l'ordine della natura come noi lo conosciamo.
Perciò la tragedia di Adamo si risolve, come tutte le altre
tragedie, nella manifestazione della legge naturale. Egli
entra in un mondo in cui l'esistenza è tragica in se stessa,
non in quanto modificata da un atto inconscio o delibera-
to. Il fatto stesso di esistere disturba l'equilibrio della na-
tura. Ogni uomo di questo mondo naturale è una tesi he-
geliana e implica una antitesi o reazione: ogni nuova na-
scita provoca il ritorno di una morte che la vendichi. Ta-
le fatto, che di per se stesso è ironico e viene oggi chiama-
to Angst, diventa tragico se ad esso si aggiunge il senso
della perdita di un destino originariamente piu alto. Quin-
di la hamartia di Aristotele è una condizione dell'essere,
non una causa del divenire: la ragione per cui Milton at-
tribuisce a Dio la sua debole e confusa argomentazione è
che egli cerca affannosamente di escludere Dio da una pre-
determinata successione causale. L'eroe tragico ha da un
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

lato la possibilità di essere libero, dall'altro la perdita ine-


vitabile di tale libertà. Questi due aspetti della condizione
di Adamo sono rappresentati in Milton rispettivamente
dal discorso di Raffaele e da quello di Michele. La stessa
situazione si ripete persino con un eroe innocente o marti-
re: nella storia della Passione essa si verifica al momento
della preghiera di Gesu nell'orto di Getsemani. La trage-
dia sembra muoversi verso un Augenblick o punto cru-
ciale da cui si possono vedere contemporaneamente la
strada verso ciò che avrebbe potuto essere e la strada ver-
so ciò che sarà. Chi le può vedere tutte e due è lo spetta-
tore: l'eroe non può vederle se è in uno stato di hybris,
poiché in questo caso il momento cruciale è per lui un
momento di stordimento, il momento in cui la ruota della
fortuna incomincia il suo movimento circolare verso il
basso.
La condizione di Adamo sembra suggerire (come nella
cultura cristiana si è avvertito fin dai tempi di sant'Ago-
stino) che il tempo incomincia con la caduta; che la cadu-
ta dallo stato di libertà al ciclo del mondo naturale ha se-
gnato l'inizio del movimento del tempo come a noi è no-
to. Anche in altre tragedie si avverte che la nemesis è pro-
fondamente legata al movimento del tempo: ora è il senso
di un'importante occasione mancata, ora è la consapevo-
lezza di uno sfasamento del tempo, ora è l'idea che il tem-
po sia il divç>ratore della vita, un'anticipazione della boc-
ca dell'inferno nel momento in cui il possibile si traduce
per sempre nel reale, ora infine, per colmo di orrore, il
tempo diventa quello che è per Macbeth: il semplice tic-
tac scandito dall'orologio, un colpo dopo l'altro. Nella
commedia invece il tempo ha una funzione redentrice:
esso scopre e porta alla luce ciò che è essenziale per il lieto
fine. Il sottotitolo del Pandosto di Greene, fonte di The
Winter's Tale, è The Triumph of Time, e descrive molto
bene la natura dell'azione shakespeariana, in cui il tempo
funge da coro. Ma nella tragedia la cognitio è di solito il
riconoscimento della inevitabilità di una successione cau-
sale nel tempo, e i presentimenti e le anticipazioni ironi-
che che la accompagnano sono basati sul senso di un ri-
torno ciclico.
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 285
Nell'ironia, in quanto distinta dalla tragedia, la ruota
del tempo racchiude completamente l'azione, e non vi è
alcuna sensazione di un originario contatto con un mondo
relativamente senza tempo. Nella Bibbia, la tragica cadu-
ta di Adamo è seguita dalla sua ripetizione storica, cioè la
caduta di Israele nella cattività egiziana, che ne è per cosi
dire la conferma ironica. Allo stesso modo, nella storia
inglese, finché fu accettata la versione geoffreyiana, l'e-
vento corrispondente alla caduta di Adamo è rappresen-
tato dalla caduta di Troia: anzi, poiché la caduta di Troia
ebbe origine da un uso errato e idolatrico di una mela, vi
si può trovare persino un parallelo simbolico. Il dramma
shakespeariano piu ironico, Troilus and Cressida, presen-
ta in Ulisse la voce della saggezza mondana, che spiega
con grande eloquenza le due categorie primarie dell'iro-
nia tragica nel mondo dopo la caduta, cioè il tempo e la
catena gerarchica dell'essere. Il singolarissimo modo in
cui la visione tragica del tempo I è ripresentata da Zaratu-
stra in Nietzsche (per il quale l'accettazione eroica del ri-
torno ciclico si trasforma in una accettazione tristemente
gioiosa di una cosmologia caratterizzata dal medesimo fe-
nomeno dei ricorsi ciclici), rivela chiaramente l'impronta
di un'età ironica.
Chiunque sia abituato a interpretare la letteratura in
chiave archetipica, riconoscerà nella tragedia una mimesi
del sacrificio. La tragedia è una combinazione paradossale
di un tremendo senso di giustizia (l'eroe deve cadere) e di
un pietoso senso di ingiustizia (è triste che egli cada). Un
paradosso simile si ritrova nei due elementi costitutivi del
sacrificio rituale: la comunione, cioè la spartizione di un
corpo divino o eroico tra un gruppo di individui in modo
da unirli a tale corpo e farli diventare parte di esso; e la
propiziazione o il senso che, nonostante la comunione, ta-
1 Cfr. Cosi parlò Zarathustra, III, 57. Zarathustra è al punto di epifa-
nia, e il mondo ciclico è al di sotto di lui; poiché la sua visione è in pri-
mo luogo quella dell'eroe tragico, il suo movimento naturale è all'ingiu,
verso il ciclo. Come il discorso del Padre in Milton, con il quale può es-
sere utilmente confrontata, la tesi in se stessa può essere poco convincen-
te, ma la ragione per cui essa si trova in quel luogo è abbastanza chiara.
Ash \Vednesday di Eliot e Dia/ogue o/ Self and Soul di Yeats, che trat-
tano lo stesso archetipo da punti di vista esattamente opposti, sono molto
piu chiari nella loro struttura.
286 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

le corpo appartiene in realtà a un'altra piu grande e po-


tente entità il cui sdegno si può riversare sull'uomo. Per
la tragedia si trovano piu facilmente analogie in campo ri-
tuale che in campo psicologico; infatti l'incubo o il sogno
angoscioso non sono oggetto della rappresentazione tra-
gica, ma di quella ironica. Tuttavia, come il critico lette-
rario trae ispiraziòne da Freud per la teoria della comme-
dia, e da Jung per la teoria del romance, cosl'. per la trage-
dia vien fatto di ricorrere alla psicologia della volontà di
potere, come è stata analizzata da Adler e da Nietzsche.
In essi infatti troviamo il concetto di una volontà aggres-
siva« dionisiaca», esaltata dal sogno della propria onnipo-
tenza, e in urto con il senso «apollineo» di un ordine e-
sterno immutabile. Il rapporto di analogia con il sacrificio
rituale non implica che l'eroe tragico sia realmente ucci-
so o mangiato; si verifica però l'evento corrispondente a
tale sacrificio in campo artistico, cioè una visione della
morte che attira e fonde in una nuova unità coloro che so-
pravvivono. Il rapporto di analogia con il sogno fa sl'. che
l'eroe tragico, misterioso e imperscrutabile, come il cigno
fiero e silenzioso, parli chiaramente nel momento della
morte, e che il pubblico, come il poeta di Kublai Khan,
faccia rivivere dentro di sé il suo canto. Con la caduta del-
l'eroe tragico, un mondo piu grande, di fronte al quale il
suo spirito eccelso ha dovuto cedere, diventa per un mo-
mento visibile, pur restando lontano e misterioso.
Se è vera la nostra supposizione che il romance, la tra-
gedia, l'ironia e la commedia siano tutti episodi di un piu
vasto mito impostato sul tema della ricerca, possiamo ve-
dere come la commedia racchiuda in sé una tragedia po-
tenziale. Nel mito, l'eroe è un dio, e quindi non muo-
re, ma muore e risorge. Lo schema rituale che sta alla ba-
se della catarsi della commedia è la resurrezione che se-
gue alla morte, l'epifania o manifestazione dell'eroe risor-
to. In Aristofane l'eroe, che attraversa spesso una fase di
morte rituale, è trattato come un dio risorto, salutato co-
me un nuovo Zeus, ed esaltato con gli onori quasi divini
attribuiti al vincitore olimpico. Nella Commedia Nova
l'entità umana nata a nuova vita può essere un eroe come
un gruppo sociale. La trilogia di Eschilo è immediatamen-
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 287

te seguita dal dramma satiresco che si dice abbia affinità


con le celebrazioni per l'avvento della primavera. Anche
il cristianesimo vede la tragedia come un episodio nel-
1' ambito della commedia divina, cioè nel piu ampio sche-
ma di redenzione e resurrezione. Il senso della tragedia
come preludio alla commedia sembra pressoché insepara-
bile da tutto ctò che si definisce esplicitamente cristiano.
La serenità del doppio coro finale della Passione secondo
Matteo sarebbe difficilmente raggiungibile se il composi-
tore e il pubblico non conoscessero l'ulteriore svolgimen-
to della storia. Né la morte di Sansone condurrebbe ad
una « calma dello spirito, dopoché tutte le passioni si so-
no placate», se Sansone non fosse un prototipo del Cristo
risorgente, associato, al momento opportuno, alla fenice.
Questo è un esempio del modo in cui il mito spiega i
principi strutturali che stanno alla base di fatti letterari
piuttosto comuni: in questo caso, come sia relativamente
facile condurre un'azione cupa a un lieto fine, ma quasi
·impossibile seguire il procedimento inverso. (Si potrebbe
dire che l'uomo naturalmente si dispiace se una situazio-
ne positiva si risolve in un disastro, ma la verità è che se
il poeta lavora su una solida base strutturale, il nostro pia-
cere o dispiacere non ha niente a che fare con l'imposta-
7.ione della soluzione). Persino Shakespeare, che è capace
di tutto, non rovescia del tutto questo procedimento. L'a-
zione di King Lear, che sembra diretta verso il raggiungi-
mento di una certa serenità, è improvvisamente deviata
verso una forma di agonia per l'impiccagione di Cordelia
( una conclusione della tragedia che per piu di un secolo
i teatri rifiutarono di rappresentare), ma nessuna delle
tragedie shakespeariane ci sembra una commedia finita
male. Vi è un accenno di tale possibilità in Romeo and
Juliet, ma è soltanto un accenno. È del tutto normale
che una tragedia possa contenere una azione comica, ma
la contiene solo in forma episodica come fattore contra-
stante o seconda trama subordinata alla principale.

La caratterizzazione dei personaggi nella tragedia è


molto simile a quella della commedia, ma in modo inverso.
288 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

La fonte della nemesis è in ogni caso un eiron che può


assumere le piu diverse sembianze, da quelle di un dio
irato a quelle di un malvagio ipocrita. Nella commedia ri-
scontriamo tre tipi principali di personaggi eiron: una fi-
gura benevola che si ritira dall'azione e piu tardi vi ritor-
na, il servo astuto o «vizio», e l'eroe e l'eroina. Il corri-
spondente tragico del primo tipo è il dio che decreta l'a-
zione tragica, come Atena in Aiace o Afrodite in Ippolito;
un esempio in campo cristiano è il Dio Padre di Paradise
Lost. Oppure può essere un fantasma, come il padre di
Amleto; oppure può non essere affatto una persona, bensi
semplicemente una forza invisibile nota soltanto attraver-
so i suoi effetti, come la morte che si impossessa silenzio-
samente di Tamerlano quando è giunta la sua ora. Spesso,
come per esempio nella tragedia di vendetta, è un evento
anteriore all'azione, e di cui la tragedia stessa è una con-
seguenza.
Il corrispondente tragico del «vizio» o servo scaltro si
può riscontrare nell'indovino o profeta che prevede la fi-
ne inevitabile, o comunque prevede piu in là dell'eroe
stesso, come Tiresia. Un esempio piu vicino al modello co-
mico è il malvagio machiavellico del dramma elisabettia-
no che, come il «vizio» nella commedia, è un ottimo ca-
talizzatore dell'azione: infatti il suo comportamento qua-
si non ha bisogno di motivazione, poiché si riconosce in
lui a priori un principio di malignità. Come il «vizio» co-
mico inoltre, egli è una specie di architectus o proiezione
della volontà dell'autore, in questo caso ai fini di una con-
clusione tragica. « Io ho dipinto quest'opera tenebrosa -
dice il Lodovico di Webster- ed è la mia migliore». lago
domina l'azione di Othello quasi al punto di essere il cor-
rispondente tragico del re nero o mago maligno del ro-
mance. Naturalmente il tipo machiavellico ha una stretta
affinità con il tipo diabolico e può essere un diavolo vero
e proprio come Mefistofele, ma il senso di terrore e di im-
ponenza che caratterizzano chi provoca una catastrofe
possono anche fare di lui qualcosa di simile al sacerdote
supremo di un sacrificio. Vi è un accenno a tale qualità
nel Bosola di Webster. In King Lear il malvagio machia-
vellico è Edmund, il cui opposto è rappresentato da Ed-
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 289

gar. Edgar con la sua stupefacente varietà di travestimen-


ti, il suo apparire a gente pazza o cieca in diversi ruoli, la
sua tendenza ad entrare in scena al terzo suono di tromba
e ad arrivare sempre a proposito come la catastrofe della
commedia antica, sembra essere una forma sperimentale
di un nuovo tipo, una specie di « virtu » tragica, se posso
coniare questa parola per analogia, cioè un corrisponden-
te, sul piano naturale, dell'angelo custode o di una figura
che svolga simili funzioni nel romance.
L'eroe tragico appartiene di solito al gruppo degli ala-
zon, cioè è un impostore nel senso che egli inganna o ine-
bria se stesso mediante la hybris. In molte tragedie egli è
all'inizio una figura semidivina, almeno ai propri occhi,
ma poi una inesorabile dialettica entra in azione per sepa-
rare la pretesa divina dalla realtà umana. « Mi dissero che
ero tutto - afferma Lear - non è vero: non sono immune
dalla febbre malarica». L'eroe tragico è di solito investito
di un'autorità suprema, ma si trova piu spesso nella ambi-
gua posizione del tyrannos il cui governo dipende dalle
sue doti personali, che non in quella di un monarca per
eredità o de jure (basileus), come Duncan. Quest'ultimo
è scopertamente un simbolo della visione originale o di-
ritto di nascita, ed è spesso rappresentato da una vittima
con una sfumatura patetica, come Riccardo II, o anche
Agamennone. Tali figure paterne hanno lo stesso carat-
tere di ambivalenza nella tragedia che in tutte le altre
forme.
Abbiamo notato a proposito della commedia che il ter-
mine bomolochos o buffone non deve essere confinato nel-
l'ambito della farsa, ma può designare anche i personaggi
comici che hanno la funzione essenziale di intrattenere il
pubblico, mettendo cosf a fuoco e caricando l'atmosfera
comica. Il tipo corrispondente e opposto nella tragedia è
il supplice, personaggio spesso femminile che offre uno
spettacolo di totale miseria e impotenza. È una figura pa-
tetica, e il pathos, per quanto sembri creare un'atmosfera
piu mite e piu calma di quella della tragedia, è ancor piu
terrificante. Esso si basa sull'esclusione di un individuo
da un gruppo, e perciò suscita uno dei terrori piu radicati
in noi, un terrore assai piu profondo di quello provoca-
IO
290 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

to dallo spauracchio relativamente familiare dell'inferno.


Nella figura del supplice la pietà e il terrore sono portati
al piu alto grado possibile di intensità, e le terribili conse-
guenze di un atto di ripulsa del supplice per tutti coloro
che vi sono implicati costituiscono un tema centrale del-
la tragedia greca. Figure di supplici sono spesso rappre-
sentate da donne minacciate di morte o di violenza, o da
bambini come il principe Arthur in King John. La fragi-
lità dell'Ofelia shakespeariana ne indica l'affinità con il
tipo del supplice. O ancora, spesso, il supplice è nella po-
sizione, strutturalmente tragica, di chi ha perso una posi•
zione di grandezza: tale è la situazione di Adamo ed Eva
nel decimo libro di Paradise Lost, delle donne troiane do-
po la caduta di Troia, di Edipo nell'Edipo a Colono, e co-
si via. Una figura subordinata che ha la funzione di mette-
re a fuoco e intensificare l'atmosfera tragica è il messagge-
ro, cioè colui che annuncia di solito la catastrofe nella tra-
gedia greca. Il corrispondente comico è rappresentato da
un personaggio che talvolta viene introdotto nella scena
finale della commedia, quando in genere l'autore tenta di
avere tutti i personaggi in scena contemporaneamente: si
tratta quasi sempre di un messaggero che porta uno degli
elementi mancanti per il verificarsi della cognitio, come
Jacopo de Boys in As Y ou Like I t o il mite falconiere in
All's Well.
Infine abbiamo il corrispondente tragico del personag-
gio che nella commedia rifiuta l'allegria, e che è di solito
la versione tragica dell'uomo schietto: può essere talora
semplicemente l'amico fedele dell'eroe, come Orazio in
Hamlet, ma è spesso un critico aperto e dichiarato dell'a-
zione tragica, come Kent in King Lear o Enobarbo in An-
thony and Cleopatra. Tale personaggio si trova nella posi-
zione di respingere, o almeno ostacolare, il movimento
tragico verso la catastrofe. Simile a questo è il ruolo di
Abdiel nella tragedia di Satana in Paradise Lost. Le note
figure di Cassandra e di Tiresia combinano questo ruolo
con quello dell'indovino. Se tali figure compaiono in una
tragedia senza coro, vengono chiamate personaggi corali,
poiché in tal caso illustrano una delle funzioni essenziali
del coro tragico. Nella commedia si tende a formare una
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 29r

nuova società intorno all'eroe; nella tragedia il coro, per


quanto in accordo o simpatia con l'eroe, rappresenta di
solito la società da cui l'eroe è gradualmente isolato,
Quindi il coro è l'espressione di una norma sociale in rap-
porto alla quale l'hybris dell'eroe può venir misurata: es-
so non è affatto la voce della coscienza dell'eroe, ma può
in rarissimi casi incoraggiarne l' hybris o spingerlo all 'azio-
ne disastrosa. Si può dire che il coro o il personaggio co-
rale è il germe della commedia contenuto nella tragedia,
cosf come il personaggio che rifiuta l'allegria, il malinco-
nico Jacopo o Alcesti, è il germe della tragedia nella com-
media.
Nella commedia l'atteggiamento erotico e quello socia-
le dell'eroe sono combinati e unificati nella scena finale;
la tragedia invece fa dell'amore e della struttura sociale
due forze nemiche e irriconciliabili, e tale conflitto riduce
l'amore a pura passionalità e l'attività sociale a una norma
di imposizione e di proibizione. La commedia si propone
soprattutto di creare l'unità nella famiglia e di adattare la
famiglia alla società nel suo insieme; la tragedia invece
rappresenta la disintegrazione della famiglia e la sua op-
posizione al resto della società. Questa definizione ci dà
l'archetipo tragico di Antigone, in cui troviamo il conflit-
to tra amore e onore secondo il teatro classico francese,
tra Neigung e Pfiicht secondo Schiller, tra passione e sen-
so dell'autorità secondo i tragediografi dell'epoca di Gia-
como I; tali diverse forme di conflitto non sono altro che
esemplificazioni morali dell'archetipo tragico sopraindica-
to. Esiste inoltre un parallelo tra l'eroina della commedia,
nelle cui mani spesso sono riuniti tutti i fili dell'azione, e
la figura femminile centrale della tragedia, che spesso co-
stituisce il punto di polarizzazione del conflitto tragico. I
primi esempi che ci vengono in mente sono Eva, Elena,
Geltrude, Emilia nel Knight's Tale; e anche il ruolo strut-
turale di Briseide nell'Iliade ha un valore simile, La com-
media riesce a stabilire il giusto rapporto tra i suoi perso-
naggi, e a impedire agli eroi di sposare le loro madri o so-
relle; la tragedia ci offre invece la catastrofe di Edipo o
l'incesto di Sigmund. Nella tragedia si parla molto di or-
goglio di razza e diritto di nascita, ma la tendenza genera-
292 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

le è di isolare una famiglia nobile o in posizione di domi-


nio dal resto della società.

Le fasi della tragedia vanno dall'eroico all'ironico: le


prime tre corrispondono alle prime tre fasi del romance,
le ultime tre alle ultime tre dell'ironia. La prima fase del-
la tragedia è quella in cui il personaggio principale è dota-
to della maggiore dignità possibile in contrasto con gli al-
tri personaggi, sicché viene posto nella prospettiva di un
cervo abbattuto dai lupi. Le fonti della dignità sono il co-
raggio e l'innocenza, e in questa fase l'eroe o l'eroina so-
no di solito innocenti. Tale fase corrisponde al mito della
nascita dell'eroe nel romance, tema che può talvolta veni-
re incorporato nella struttura tragica, come nell'Athalie
di Racine. Ma data la difficoltà di fare di un infante un
personaggio drammatico interessante, la figura centrale ti-
pica di questa fase è di solito quella della donna calunnia-
ta, molto spesso una madre del cui figlio si sospetta la le-
gittimità. Appartiene a questo genere un'intera serie di
tragedie basate su una figura del tipo di Griselda, che va
dall'Octavia di Seneca alla Tess di Hardy, e include la tra-
gedia di Ermione in The Winter's Tale. Se l'Alcesti è da
considerarsi una tragedia, la dobbiamo vedere come una
tragedia appartenente a questa fase: Alcesti è rapita dal-
la Morte, ma la sua fedeltà è provata poiché essa viene re-
stituita alla vita. Anche Cymbeline appartiene a questa
fase: qui il tema della nascita dell'eroe è implicitamente
accennato, perché Cymbeline era re di Britannia al tempo
della nascita di Cristo, e vi si allude di nuovo, anche se
velatamente, con la serenità e la pace che dominano alla
fine della tragedia.
Un esempio ancora piu chiaro, e certamente uno dei piu
grandi nella letteratura inglese, è The Duchess of Malfi.
La duchessa è in una condizione di innocenza e vita rigo-
gliosa in una società malata e malinconica, per la quale
il fatto che essa abbia « gioventu e un po' di bellezza» è
sufficiente a renderla odiosa. Essa ci ricorda inoltre che
una delle caratteristiche essenziali dell'innocenza, nella fi-
gura del martire, è la sua riluttanza a morire. Quando Bo-
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 293

sola va ad assassinarla egli tenta con incredibile abilità di


conciliarla con l'idea di una morte dolce e riposante, e di
suggerirle che la morte è veramente una liberazione; tale
tentativo è motivato da una sinistra pietà ed è press'a po-
co l'equivalente della spugna inzuppata nell'aceto della
Passione. Quando la duchessa con le spalle al muro dice
« Sono ancora la Duchessa di Malfi », dove «ancora» ha il
valore pregnante di« sempre», noi capiamo come persino
dopo la morte la sua presenza invisibile possa continuare
ad essere il personaggio piu vitale del dramma. T he W hite
Devi! è un trattamento parodistico e ironico della mede-
sima fase.
La seconda fase corrisponde alla giovinezza dell'eroe
del romance; essa è in un modo o nell'altro la tragedia
dell'innocenza intesa come inesperienza, e coinvolge di so-
lito i giovani. Talvolta si tratta semplicemente della trage-
dia di una giovane vita spezzata, come nelle storie di Ifi-
genia o della figlia di Jefte, di Romeo e Giulietta, o come
nella piu complicata vicenda di Ippolito, portato dalla sua
stupefacente mescolanza di idealismo e presunzione alla
catastrofe. Si può aggiungere anche la Giovanna d'Arco di
Shaw per la sua semplicità e mancanza di saggezza mon-
dana. Tuttavia questa fase è dominata, a nostro avviso,
dalla tragedia archetipa di un mondo verde e aureo, la tra-
gedia della perduta innocenza di Adamo ed Eva, i quali,
nonostante le numerose costruzioni dottrinarie ed esege-
tiche, resteranno sempre, su un piano drammatico, nella
posizione di bambini ingannati e confusi dal loro primo
contatto con il mondo degli adulti. In molte tragedie di
questo tipo il personaggio principale sopravvive, sicché
l'azione si chiude con una forma di adattamento a una
nuova e piu matura esperienza di vita. « E perciò ho impa-
rato che è meglio obbedire» dice Adamo, mentre si avvia,
tenendo per mano Eva, verso il mondo che si apre davan-
ti a lui. Un taglio meno netto ma con un simile atteggia-
mento risolutivo si produce quando Filottete, la cui ferita
provocata da un serpente richiama alla mente Adamo, vie-
ne portato via dall'isola e condotto alla guerra di Troia.
Il piccolo Eyolf di Ibsen è una tragedia di questa fase, e
In sua conclusione indica la possibilità di uno sviluppo po-
2 94 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

sitivo: in essa la morte di un bambino rappresenta una le-


zione per i personaggi piu anziani.
La terza fase che corrisponde al tema centrale del ro-
mance, cioè quello della ricerca, è rappresentata dalla tra-
gedia in cui viene dato forte rilievo al successo o comple-
tamento dell'azione intrapresa dall'eroe. Appartengono a
questo gruppo la Passione e tutte le tragedie in cui l'eroe
è in qualche modo connesso con il Cristo, o con un proto-
tipo di Cristo, come il Samson Agonistes. Il paradosso di
una vittoria nell'ambito di una tragedia si può spiegare
esaminando la doppia prospettiva che l'azione offre. San-
sone è una figura di buffone in un carnevale dei Filistei e
allo stesso tempo un eroe tragico per gli Israeliti, ma la
tragedia finisce con un trionfo e il carnevale con una cata-
strofe. Lo stesso si può dire per il Cristo schernito nella
Passione. Ma bisogna tener presente che, come la seconda
fase spesso termina con l'anticipazione di uno stadio di
piu profonda maturità, cosf essa è spesso una conseguen-
za di una precedente azione tragica o eroica, e conclude
una vita vissuta eroicamente. Uno dei piu grandi esempi
nel teatro è l'Edipo a Colono, dove troviamo la solita du-
plice forma di una tragedia condizionata da un precedente
atto tragico, che questa volta però non finisce in una ca-
tastrofe, ma in una serenità ricca e piena che va molto al
di là di una pura e semplice rassegnazione al Fato. Nella
narrativa possiamo citare l'ultima lotta di Beowulf con il
drago, pendant della sua ricerca di Grendel. Henry V di
Shakespeare è il romance di un'impresa condotta a termi-
ne con successo che diventa tragedia per il suo implicito
contesto: tutti sanno che Enrico V morf subito dopo, e
che i successivi sessanta anni furono per l'Inghilterra anni
di ininterrotta calamità; e se tra il pubblico shakespea-
riano vi era qualcuno che non lo sapeva, non si può certo
attribuire a Shakespeare la colpa di tale ignoranza.
La quarta fase è quella della tipica caduta dell'eroe a
causa dell'hybris e dell'hamartia, di cui si è già discusso.
In questa fase si supera la linea che separa l'innocenza
dall'esperienza, ed è in questa direzione che si produce la
caduta dell'eroe. Nella quinta fase l'elemento ironico si
accentua, quello eroico diminuisce, e i personaggi sembra-
IL «MYTHOS » DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 295

no piu lontani, e come in una prospettiva piu limitata. Ti-


mon of Athens ci pare una tragedia piu ironica e meno
eroica delle tragedie piu famose, non soltanto perché Ti-
mone è un eroe piu borghese che deve pagare in denaro
l'autorità che possiede, ma perché si ha veramente la sen-
sazione che il suo suicidio non abbia raggiunto un livello
totalmente eroico. Timone è stranamente isolato dall'azio-
ne finale, in cui la frattura tra Alcibiade e gli Ateniesi si
rinsalda proprio a sue spese, e questo è in palese contrasto
con la conclusione della maggior parte delle tragedie, do-
ve non si permette a nessuno di distogliere l'attenzione
dal protagonista.
La prospettiva ironica nella tragedia si ottiene ponendo
i personaggi in uno stato di libertà inferiore a quello del
pubblico. Per un pubblico cristiano un ambiente pagano o
da Vecchio Testamento è ironico poiché i personaggi si
muovono in esso secondo le formule di una legge, quella
naturale nel primo caso, quella ebraica nel secondo, da cui
gli spettatori sono stati almeno teoricamente riscattati.
Samson Agonistes, unico esempio nella letteratura ingle-
se, presenta una combinazione di forma classica e mate-
riale ebraico cui pervenne, alla fìne della sua vita, anche
il piu grande tragediografo contemporaneo, Racine, con
Athalie e Esther. Analogamente, l'epilogo del Troilus di
( :haucer pone una tragedia di Amor Cortese in relazione
storica con « vecchi e rozzi riti pagani». Gli eventi della
storia britannica di Geoffrey di Monmouth si suppone sia-
no contemporanei a quelli del Vecchio Testamento, e in
King Lear è continuamente presente il senso della vita
sottoposta alla legge. Lo stesso principio strutturale giu-
stifica il ricorso all'astrologia e ad altri meccanismi fata-
listici connessi con le ruote del fato e della fortuna. Ro-
meo e Giulietta sono «segnati» dalle stelle, e Trailo per-
de Cressida perché ogni cinquecento anni Giove e Satur-
no incontrano la luna crescente nel Cancro ed esigono
1111'.1ltra vittima. L'azione tragica della quinta fase consi-
ste per lo piu nella tragedia della perdita di direzione e
mancanza di conoscenza, pressappoco come nella seconda
fnse, salvo che qui il contesto è il mondo dell'esperienza
degli adulti. Rientrano in questa fase l'Edipo tiranno e
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

tutte le tragedie ed episodi tragici che suggeriscono una


proiezione esistenziale del fatalismo, e, come buona parte
del Libro di Giobbe, sembrano sollevare problemi meta-
fisici o teologici piuttosto che sociali o morali.
L'Edipo tiranno, tuttavia, si muove già nell'ambito del-
la sesta fase della tragedia, che è costituita da un mondo
di violente emozioni ed orrori, in cui predominano le im-
magini di sparagmos, cioè di cannibalismo, mutilazioni e
torture. La reazione specifica, nota come choc, è appro-
priata a tali situazioni di crudeltà ed oltraggio. (Lo choc
secondario o falso, provocato dall'offeso a qualche attac-
camento o fissazione emotiva - valga d'esempb l'iniziale
reazione della critica a opere come ]ude the Obscure o
Ulysses - non ha diritto di cittadinanza nella critica, poi-
ché non è altro che una forma mascherata di resistenza al-
la autonomia della cultura). Qualunque tragedia può con-
tenere una o piu scene impressionanti, ma la tragedia del-
la sesta fase crea una scossa emotiva nel suo insieme, nel
suo effetto complessivo. Questa fase è piu comune come
tema secondario della tragedia che non come tema princi-
pale, poiché è difficile mantenere un ritmo sostenuto di
orrore o disperazione totali. Prometeo incatenato è una
tragedia di questa fase, benché ciò sia parzialmente un'il-
lusione dovuta al suo isolamento nell'ambito della trilo-
gia alla quale appartiene. In tali tragedie l'eroe è sottopo-
sto a una agonia o umiliazione troppo grandi per avere il
privilegio di assumere atteggiamenti eroici; perciò di so-
lito è piu facile farne un eroe malvagio come il Barabba di
Marlowe, per quanto anche Faustus appartenga a questa
fase. Seneca ha una particolare predilezione per questa fa.
se, e ha lasciato in eredità agli elisabettiani un gusto per
il macabro, che è di solito connesso con la mutilazione, co-
me nell'episodio in cui Ferdinando offre una stretta di
mano alla duchessa di Malfi e le dà la mano di un morto.
Titus Andronicus è un esperimento di orrori senechiani
con frequente ricorso alle mutilazioni, e rivela sin dalla
prima scena la tendenza al simbolismo sacrificale della tra-
gedia.
Alla fine di questa fase raggiungiamo un punto di epi-
fania demonica, dove ci viene mostrato completamente o
IL «MYTHOS» DELL'AUTUNNO: LA TRAGEDIA 297

anche solo di scorcio il mondo demonico senza alcuna tra-


sposizione, il mondo dell'Inferno. I suoi simboli princi-
pali, oltre alla prigione e al manicomio, sono gli strumenti
della morte per tortura, tra cui la croce alla luce del tra-
monto, che è in antitesi con l'immagine della torre alla lu-
ce della luna. Il mito tragico e quello ironico sfruttano an-
che quel forte elemento di rito demonico che si riscontra
nelle punizioni pubbliche o in simili divertimenti della
plebaglia. Il supplizio della ruota diventa la ruota cli fuo-
co di Lear; il combattimento di cani contro orsi è l'imma-
gine per Gloucester e Macbeth, e per Prometeo crocifisso
la maggiore infelicità non è il dolore fisico, ma l'umilia-
zione di esser messo in mostra, l'orrore di essere conti-
nuamente osservato. Derkou theama (guarda questo spet-
tacolo; riempitene gli occhi) è il suo grido piu amaro.
L'impossibilità in cui si trova il Sansone accecato di Mil-
ton di guardare chi lo guarda è il suo piu grande tormen-
to, un tormento cosi grande che gli fa urlare a Dalila, in
uno degli episodi piu tremendi di tutto il teatro tragico,
che la farà a brani se essa lo toccherà.
II mythos dell'inverno: ironia e satira

Passiamo ora ai moduli mitici del mondo dell'esperien-


za, ai tentativi di dar forma al mondo mutevole, amhiguo
e complesso dell'esistenza non idealizzata. Questi moduli
non si possono rintracciare nell'aspetto puramente mime-
tico o descrittivo di tale letteratura, perché esso è un a-
spetto contenutistico e non formale. Da un punto di vista
strutturale, ci è piu facile scoprire il principio fondamen-
tale del mito dell'ironia se consideriamo l'ironia come una
parodia del romance: cioè come l'applicazione di forme
mitiche del romance a un contenuto piu realistico che si
confà ad esse in modo del tutto inaspettato. A nessuno in
un romance, protesta Don Chisciotte, viene mai in mente
di domandare chi è che paga l'alloggio dell'eroe.
La distinzione principale tra ironia e satira è che la sa-
tira è ironia militante: le sue norme morali sono relativa-
mente chiare, ed essa presuppone delle regole in base alle
quali giudicare il grottesco e l'assurdo. L'invettiva pura
e semplice o l'ingiuria diretta (« flyting » ') è satira con un
pizzico di ironia: al contrario, quando il lettore non è si-
curo di quale sia l'atteggiamento dell'autore o quale deb-
ba essere il proprio atteggiamento, abbiamo dell'ironia con
un pizzico di satira. Il ]onathan Wild di Fielding è ironia
satirica: certi piatti giudizi morali del narratore (per
esempio nella descrizione di Bagshot al capitolo XII) sono
in perfetto accordo con il decorum dell'opera, ma sareb-
bero assolutamente stonati in un romanzo come Mada-
me Bovary. L'ironia è compatibile soltanto con un asso-
1 [«Rimproverare gridando»: è voce antica].
IL «MYTHOS» DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 299

luto realismo di contenuto e con l'eliminazione di ogni


presa di posizione manifesta da parte dell'autore. La sa-
tira richiede almeno un minimo di invenzione fantastica,
cioè un contenuto che il lettore riconosca come grottesco,
e almeno una norma morale implicita, che è essenziale in
una presa di posizione militante nei confronti del mondo
dell'esperienza. Alcuni fenomeni, per esempio le stragi
provocate dalle epidemie, possono rientrare nell'ambito
del grottesco, ma un atteggiamento derisorio nei loro con-
fronti non produrrà un buon effetto satirico; lo scrittore
satirico deve saper scegliere un determinato tipo di assur-
dità e tale scelta è un atto morale.
L'argomentazione della Modest Proposal di Swift ha
un aspetto di plausibilità che potrebbe demolire anche le
piu accanite opposizioni: si ha quasi la sensazione che il
narratore sia non solo ragionevole, ma pietosamente uma-
no; tuttavia quel «quasi» non può essere eliminato dalla
reazione di chiunque sia sano di mente e finché esso esiste
è chiaro che la modesta proposta swiftiana continuerà ad
essere considerata fantastica e immorale. Quando in un
altro punto dell'opera Swift dice a un tratto, discutendo
della povertà dell'Irlanda, «Ma il mio cuore è troppo tri-
ste perché io possa continuare piu a lungo questa ironia»,
egli parla in realtà della satira, che viene meno quando il
suo contenuto è troppo reale ed opprimente perché si pos-
sa mantenere il tono fantastico o ipotetico. Quindi la sati-
ra è ironia strutturalmente vicina all'area comica: la comi-
ca lotta tra due società, l'una normale e l'altra assurda, si
riflette nel contrasto tra i due angoli visuali da cui esse
vengono osservate, quello della moralità nel primo caso,
quello della fantasia nel secondo. L'ironia con un pizzico
di satira è il residuo non eroico della tragedia, imperniato
su un tema di perplessità e di sconfitta.
Due cose quindi sono essenziali alla satira: l'arguzia o
umorismo provocati da un'invenzione fantastica oppure
un senso del grottesco o dell'assurdo, e un oggetto che
funga da bersaglio. L'attacco senza sfumature umoristi-
che, o la denuncia pura e semplice, sono al limite della sa-
tira. Si tratta di un limite molto incerto però, perché l'in-
vettiva è una delle forme di letteratura piu piacevoli a leg-
300 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

gersi, proprio come il panegirico è una delle piu insignifi-


canti. Anche in letteratura infatti ci piace sentir criticare
o attaccare la gente e ci annoiamo nel sentirne tessere le
lodi; anzi in letteratura qualunque forma di denuncia,
purché abbastanza vigorosa, viene seguita dal lettore con
un genere di godimento che presto si trasforma in un sor-
riso. Perché la denuncia o l'attacco siano possibili, biso-
gna che lo scrittore e il pubblico siano d'accordo sulla ne-
gatività del fatto che si discute; questo significa che buo-
na parte delle satire basate su rivalità nazionali, atteggia-
menti snobistici, pregiudizi e risentimenti personali per-
de ben presto di attualità.
Ma l'attacco in letteratura non può mai essere soltanto
espressione di un odio puramente personale o anche socia-
le, qualunque ne sia la motivazione, poiché per esprimere
l'odio, in quanto distinto dall'inimicizia, vi è una gamma
di parole troppo limitata. Il tipo di parole che abbiamo
sono quasi tutte derivate dal mondo animale, ma dire di
un uomo che è un porco o una carogna o di una donna che
è una cagna, dà ben poca soddisfazione perché dicendolo
ci rendiamo conto che quasi tutte le qualità spiacevoli che
attribuiamo agli animali sono proiezioni di vizi umani.
Come il Tersite shakespeariano dice di Menelao« in quale
altra cosa da quello che è potrebbe trasformarlo l'intelli-
genza lardellata di malizia, o la malizia farcita di intel-
ligenza? In un asino sarebbe niente, perché lui è asino e
bue tutt'insieme; in un bue sarebbe niente perché lui è
asino e bue tutt'insieme » '. L'attacco è efficace solo se si
raggiunge un certo livello di impersonalità; il che compor-
ta un impegno, anche se solo implicito, sul piano morale.
Lo scrittore satirico di solito adotta una norma morale
molto alta: per esempio, Pope afferma di essere « della
Virtu soltanto e dei suoi amici amico», volendo con ciò
sottolineare che egli è veramente tale anche nel momento
in cui medita sulla pulizia della biancheria indossata dalla
dama che si è presa gioco di lui.
La letteratura umoristica come quella di denuncia è ba-
sata su convenzioni. Quello dell'umorismo è un mondo di
1 [Trailo e Cressida, atto V, scena r, trad. it. di Cesare Vico Lodovici].
IL «MYTHOS» DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 3or
rigide stilizzazioni nel quale gli scozzesi generosi, le mogli
obbedienti, ie suocere benvolute, e i professori dotati di
presenza di spirito non hanno diritto di cittadinanza. È
una regola dell'umorismo che certe cose, come per esem-
pio la vignetta di una moglie che batte il marito in un fu.
metto, vengano accettate per convenzione come diverten-
ti. L'introduzione di un fumetto in cui il marito battesse
la moglie, disturberebbe il lettore perché lo obblighereb-
be a imparare una nuova convenzione. L'umorismo basa-
to completamente sulla immaginazione, che rappresenta
l'altro limite della satira, appartiene alla sfera del roman-
ce, sebbene anche quello non sia esattamente il suo posto,
perché l'umorismo percepisce i lati incongrui della vita,
mentre le convenzioni del romance ne mettono in eviden-
za l'aspetto ideale. Molto spesso creazioni fantastiche ve-
re e proprie vengono ricacciate nell'area satirica da un po-
tente riflusso chiamato allegoria, che si può descrivere co-
me il riferimento implicito all'esperienza nell'istante in
cui si percepisce l'elemento incongruo. Il Cavaliere Bian-
co in Alice che pensava si dovesse sempre essere provvisti
di tutto e perciò metteva delle cavigliere al suo cavallo
per proteggerlo dai morsi dei pescicani può essere preso
a tutta prima per una creazione fantastica pura e sempli-
ce. Ma quando lo vediamo tessere una elaborata parodia
di Wordsworth, incominciamo ad annusare l'odore acre e
pungente della satira e, se lo guardiamo di nuovo attenta-
mente, riconosciamo in lui un tipo di personaggio molto
vicino sia a Don Chisciotte che al pedante della commedia.
Poiché trattando di questo mythos dobbiamo preoccu-
parci non di una, ma di due parole, ironia e satira, sarà
forse piu semplice, se il lettore si è ormai abituato alla no-
stra classificazione in sei fasi, partire da queste e darne
una descrizione progressiva, invece di astrarre prima una
delle due forme tipiche che stiamo trattando e di discuter-
la a parte. Le prime tre fasi riguardano la satira, e corri-
spondono alle prime tre fasi, o fasi ironiche, della com-
media.
La prima fase corrisponde alla prima fase della comme-
dia ironica in cui non vi è alcuna trasposizione della socie-
tà caratterizzata dagli humors. Il senso dell'assurdo, a pro-
302 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

posito di questa commedia, sorge come effetto di un ri-


pensamento, cioè viene in mente dopo che l'opera è stata
letta o vista. Una volta che l'abbiamo terminata, si spa-
lancano da ogni lato abissi di futilità e, a dispetto dell'at-
mosfera e del tono umoristici, sorge in noi una sensazione
di incubo e quasi di contatto con qualcosa di demonico.
Persino le commedie di tono molto allegro possono desta-
re in noi tale sensazione: per esempio, se il tema principa-
le di Pride and Pre;udice fosse stato la vita coniugale di
Collins e di Charlotte Lucas, ci si potrebbe domandare
per quanto tempo Collins avrebbe continuato a essere un
personaggio divertente. Accade quindi che anche una sati-
ra di tono prevalentemente allegro, come il secondo« mo-
ral essay » di Pope sul carattere delle donne, giunga a un
climax di forte intensità morale.
La satira tipica di questa fase si può chiamare-satira di
norma inferiore. Essa accetta senza discutere un mondo
che è pieno di anomalie, ingiustizie, follie, crimini, e che
tuttavia non può cambiare, né subire trasposizioni. Tale
satira afferma il principio che chiunque voglia mantenersi
in equilibrio in questo mondo deve imparare prima di tut-
to a tenere gli occhi aperti e la bocca chiusa. Sin dalla let-
teratura egiziana riscontriamo frequenti casi di opere che
diffondono consigli di prudenza, il che obbliga il lettore
ad adottare un ruolo di eiron. Quel che si raccomanda è
una vita di conformismo, nel senso migliore: una pene-
trante conoscenza della natura umana quale si configura
in noi stessi e negli altri, la capacità di evitare ogni ingan-
no e qualunque forma di comportamento coercitivo, l'a-
bitudine a reagire in base all'osservazione e all'opportuni-
tà piuttosto che in base a un istinto di aggressività. Que-
sta è saggezza, cioè un modo di vivere provato e verificato,
che non vuol mettere in discussione la logica delle conven-
zioni sociali, ma ne segue semplicemente i processi, i qua-
li infatti aiutano a mantenere l'equilibrio giorno per gior-
no. L'eiron di norma inferiore assume un atteggiamento
di flessibile pragmatismo; egli parte dal presupposto che,
ogniqualvolta se ne presenti l'occasione, la società tenda
a comportarsi piu o meno come il Setebos di Calibano nel-
la poesia di Browning, e si regola di conseguenza. In tutti
IL « MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 303
i casi di dubbio circa l'atteggiamento da assumere egli si
attiene strettamente a ciò che le regole convenzionali sug-
geriscono. E qualunque sia il giudizio morale che si può
dare di tale atteggiamento, esso è certamente l'atteggia-
mento piu difficile da colpire con la satira, per lo stesso
motivo per cui chi si fa promotore di nuove norme di
comportamento, anche se santo o profeta è di sicuro uno
degli individui che piu facilmente si possono mettere in
ridicolo e accusare di eccentricità.
Quindi lo scrittore satirico può usare un personaggio
semplice, di buon senso e convenzionale da opporre ai va-
ri alazon della società. Tale personaggio può essere l'auto-
re stesso o il narratore, ed esso corrisponde all'individuo
semplice e schietto della commedia e al consigliere un po'
ottuso della tragedia. Quando non è l'autore, è spesso un
contadino con elementi tratti dall'ambiente pastorale e
perciò assai simile al tipo dell'agroikos della commedia.
Esso viene molto usato in quel tipo di satira americana
che viene definita folk humor, e di cui sono esempi i Big-
low Papers, Mr Dooley, Artemus Ward e Will Rogers;
strettamente legate a questo genere sono anche opere co-
me il Poor Richard's Almanac e le massime di Sam Slick,
che rappresentano nella letteratura nordamericana uno svi-
luppo del manuale di saggezza. Si possono trovare abba-
stanza facilmente altri esempi, sia dove ce li aspettiamo,
come per esempio in Crabbe, il cui racconto The Patron
appartiene anch'esso al genere dei manuali di saggezza,
sia dove non ce li aspetteremmo, come nel dialogo del
Mangiatore di pesce nei Colloquia di Erasmo. Chaucer si
presenta come un membro non molto importante, timido
e riservato, del pellegrinaggio che va a Canterbury, mol-
to civilmente si dichiara sempre d'accordo con tutti («E
io dissi che il suo parere era buono»), e non mostra mai
nei confronti dei pellegrini quella capacità di osservazione
che rivela invece al lettore. Non ci sorprende perciò che
uno dei suoi racconti rientri nella tradizione dei consigli
di saggezza.
La forma piu elaborata di satira di norma inferiore è
la forma enciclopedica molto usata nel Medioevo, che è
strettamente collegata alla predicazione ed è di solito ba-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

sata sullo schema enciclopedico dei sette peccati capitali;


tale forma sopravvive sino all'epoca elisabettiana in Pierce
Penilesse di Nashe e in Wits Miserie di Lodge. Rientra
in questa tradizione l'Elogio della Pazzia di Erasmo, nel
quale si può chiaramente vedere il legame con la corri-
spondente fase comica, quella cioè dove si ha una visione
capovolta del mondo e perciò gli humors e le passioni
hanno il sopravvento. Se adottato da un predicatore o an-
che da un intellettuale, l'espediente della norma inferiore
è parte di un'argomentazione implicita a fortiori: se la
gente non arriva nemmeno al comune buon senso, cioè a
una forma preliminare di virtu, è inutile giudicarla da un
punto di vista piu alto.
Quando in tale satira predomina un tono di allegria,
l'atteggiamento fondamentale è di accettazione delle con-
venzioni sociali; anche se, nel loro ambito, suggerisce una
certa tolleranza e flessibilità. Assai vicino alle norme con-
venzionali è la figura dell'eccentrico simpatico, come Un-
de Toby o Betsey Trotwood, che modifica senza sfidarli,
i codici di comportamento accettati dalla società. Tali per-
sonaggi hanno molto di infantile, e il comportamento del
bambino si immagina di solito come diretto piuttosto ver-
so l'accettazione di un modello che verso il rifiuto di esso.
Dove invece predomina il tono di denuncia abbiamo una
figura di eiron modesta e riservata in contrasto con gli
alazon o humors che creano ostacoli e sono le guide del-
la società. L'archetipo di tale situazione è il tema ironico
corrispondente a quello dell'uccisione del gigante nel ro-
mance. Perché la società esista, una certa dose di prestigio
e di influenza deve essere devoluta a certi gruppi organiz-
zati come la chiesa, l'esercito, le corporazioni e il governo,
ciascuno dei quali consiste di individui a cui viene dato un
potere piu che individuale dalle istituzioni stesse a cui ap-
partengono. Se per esempio uno scrittore satirico presenta
un prete come stupido o ipocrita, egli, in quanto scrittore
satirico, non attacca né un uomo, né una chiesa. Il primo
non ha niente a che fare con la letteratura e con la finzio-
ne, la seconda lo porterebbe al di fuori dell'ambito della
satira. Egli attacca invece un malvagio protetto dalla sua
chiesa, e tale uomo è un mostro gigantesco: è mostruoso
IL «MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 305
perché non è ciò che dovrebbe essere, ed è gigantesco per-
ché è protetto dalla sua posizione privilegiata e dal presti-
gio dei preti buoni. L'abito farebbe il monaco se non esi-
stesse la satira.
Milton dice che « poiché la Satira nacque dalla Trage-
dia, essa dovrebbe assomigliare a ciò da cui ebbe origine e
perciò colpire molto in alto e avventurarsi pericolosamen-
te tra i vizi piu evidenti delle persone piu famose». A par-
te l'etimologia, questa affermazione ha bisogno di una pre-
cisazione: non è necessaria una grande personalità 1 per
rappresentare un grande vizio. Si è già parlato della di-
mensione gigantesca del sogno di Sir Epicure Mammon in
The Alchemist: in esso è contenuto l'intero mistero della
corruzione della volontà umana, e tuttavia la totale impo-
tenza di colui che fa questo sogno è uno degli elementi es-
senziali della satira. Analogamente, Jonathan Wild perde
molto del suo significato se non consideriamo seriamente
l'eroe come una parodia della grandezza o di false norme
di valutazione sociale. Ma in generale si può accettare il
principio che piu grandi sono gli antagonisti dello scritto-
re satirico e piu facilmente essi crollano. Nella satira di
questo tipo l'alazon è un Golia che si trova di fronte ad
un piccolo Davide che gli tira all'improvviso e con mali-
gnità delle pietre, cioè è un gigante stuzzicato da un nemi-
co freddo e attento, ma quasi invisibile che lo porta fino
a uno stadio di furia cieca e di tremendo panico, e poi con
calma lo demolisce. Questa situazione continua a ripetersi
nella satira, dalle storie di Polifemo a Blunderbore sino ai
fìlms di Chaplin, che tuttavia presuppongono un contesto
moto piu ironico ed equivoco. Dryden trasforma le sue
vittime in fantastici dinosauri rigonfi di carne e con cer-
velli di gallina; egli sembra sinceramente impressionato
dalla « bella e grossa» mole di Og e dalla furiosa energia
del poeta Doeg.
La figura dell'eiron in questa fase è il sostituto ironico
dell'eroe; il fatto che tale figura spesso non compaia nella
satira ci indica chiaramente che uno dei temi centrali di
questo mythos è la scomparsa dell'eroico. Questa è la ra-
1 Il venditore di indulgenze di Chaucer è forse un esempio migliore.
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

gione principale della predominanza, nell'invenzione sati-


rica, di quello che si può chiamare l'archetipo di Onfalo,
cioè la figura dell'uomo tiranneggiato o dominato dalle
donne, che è una delle piu rilevanti nelle satire di tutti i
tempi e abbraccia buona parte dell'umorismo contempo-
raneo, sia di tipo popolare che di tipo sofisticato. Analo-
gamente, quando scompare la figura del gigante o del mo-
stro, ci accorgiamo che esso non era altro che una rappre-
sentazione mitica della società, cioè l'idra o la fama dalle
innumerevoli lingue, o la « fiera chiassosa» di Spenser che
è ancora in libertà. E se la figura dell'eccentrico con le sue
nuove idee è un ovvio bersaglio della satira, tuttavia si
può dire che le convenzioni sociali sono soprattutto dog-
mi fossilizzati, e che il tipo di norme che la satira di que-
sta fase prende a modelli è un insieme di convenzioni in-
ventate in gran parte da eccentrici del passato. La forza di
chi si attiene alle convenzioni non sta nelle convenzioni
stesse, ma nel buon senso con cui le applica. Quindi la lo-
gica della satira stessa procede da una prima fase di satira
convenzionale contro ciò che è anticonvenzionale a una
seconda in cui la fonte e il valore stesso delle convenzioni
diventano oggetto di ridicolo.
Questa seconda fase della satira corrisponde alla secon-
da fase della commedia, che nella sua forma piu semplice
è rappresentata dal tipo di commedia in cui l'eroe si rifu-
gia in una società che gli è piu congeniale, senza cercar di
modificare la propria. Equivalente satirico ne è il roman-
zo picaresco, che è in pratica la storia dei successi di un
briccone che, dal personaggio di Renart in poi, è sempre
riuscito a far sembrare la società con le sue convenzioni
assolutamente stupida, senza però mai suggerirci dei mo-
delli positivi con cui sostituirla. Il romanzo picaresco è la
forma sociale di quel tipo di satira che con il Don Chi-
sciotte assume una forma piu intellettualistica, e la cui na-
tura cercheremo ora di spiegare.
La satira, secondo la definizione molto utile, anche se
trita, di Giovenale, si interessa di qualunque cosa gli uo-
mini facciano. Il filosofo invece insegna un certo modo o
metodo di vita: egli sottolinea alcune cose e ne scarta al-
tre; i consigli che egli dà sono il frutto di un attento esa-
IL «MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 307

me dei dati della vita umana, e da lui ci vengono continua-


mente giudizi morali sul comportamento sociale. Il suo at-
teggiamento è dogmatico, mentre quello dello scrittore sa-
tirico è pragmatico: quindi la satira può spesso rappresen-
tare il conflitto tra una scelta di tipi di comportamento
tratti dall'esperienza e la sensazione che l'esperienza sia
piu importante di qualsiasi sistema di opinioni intorno a
essa. Lo scrittore satirico dimostra l'infinita varietà di
quello che gli uomini fanno, provando non solo la futilità
di definire le norme secondo cui gli uomini dovrebbero
agire, ma persino di sistematizzare o di formulare uno
schema coerente di quello che in effetti essi fanno. Le filo-
sofie della vita astraggono dalla vita, e un'astrazione impli-
ca lo scarto dei fattori che disturbano. Lo scrittore satirico
mette in evidenza questi fattori che disturbano, talvolta
nella forma di un'alternativa possibile ed altrettanto plau-
sibile, come il trattamento del crimine e delle malattie in
Erewhon o la dimostrazione swiftiana del funzionamento
meccanico dello spirito.
Quindi il tema centrale della seconda fase della satira,
o fase donchisciottesca, è la contrapposizione di idee, ge-
neralizzazioni, teorie e dogmi alla vita che essi avrebbero
la funzione di schematizzare e spiegare. Questo tema è
presentato molto chiaramente nel dialogo di Luciano Vite
all'incanto, nel quale dei filosofi-schiavi sfilano, presentan-
do tutte le loro argomentazioni e garanzie, dinanzi a un
compratore che deve decidere con quali di essi vuole vi-
vere. Egli ne compera alcuni, è vero, ma come schiavi non
come guide o maestri. L'atteggiamento di Luciano verso
la filosofia greca si ritrova nell'atteggiamento di Erasmo e
di Rabelais verso la scolastica, di Swift e Samuel Butler I
verso Descartes e la Royal Society, di Voltaire verso i leib-
nitziani, di Peacock verso i romantici, di Samuel Butler II
verso i darwiniani, di Aldous Huxley verso i behavioristi.
Notiamo che la satira della prima fase diventa spesso pu-
ramente antintellettuale, tendenza che affiora in Crabbe
(per esempio in The Learned Boy) e persino in Swift. L'in-
flusso della satira di norma inferiore sulla cultura america-
na ha prodotto una forma molto comune di disprezzo per
le lunghe chiome e le torri di avorio, cioè ha prodotto quel-
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

lo che si può chiamare un errore di proiezione poetica, os-


sia l'errore di considerare le convenzioni letterarie come
se fossero fatti della vita. La satira antintellettuale vera e
propria, tuttavia, si basa sul senso della relativa ingenuità
del pensiero sistematico e non dovrebbe essere sbrigativa-
mente definita scettica o cinica.
Lo scettico può essere o diventare dogmatico, cioè un
humor comico che dubita sempre anche della piu sempli-
ce e lampante evidenza. Il cinismo è un po' piu vicino alla
forma satirica: Menippo, fondatore della satira menippea,
era un cinico, e i cinici sono di solito associati al ruolo di
Tersiti intellettuali. Per esempio, la commedia di Lyly,
Campaspe, presenta Platone, Aristotele e Diogene, ma i
primi due sono dei seccatori, e Diogene, che non è affatto
un filosofo bens.f un buffone elisabettiano del tipo del mal-
contento, si accaparra tutta la scena. In ogni caso, il cini-
smo è una filosofia, una filosofia che può produrre lo stra-
no orgoglio spirituale di Peregrino, di cui Luciano fa un'a-
nalisi terribile e penetrante. In Vite all'incanto anche il
cinico e lo scettico sono venduti all'asta e il secondo è l'ul-
timo ad essere venduto, mentre il suo scetticismo viene
confutato non da argomentazioni, ma dalla vita stessa.
Erasmo e Burton chiamarono se stessi Democrito Junior,
cioè si professarono seguaci del filosofo che rideva dell'u-
manità intera, ma il compratore della storia di Luciano
giudica esagerato l'atteggiamento di Democrito. Se si può
dire che lo scrittore satirico ha una «posizione» sua pro-
pria, essa è quella di preferire la pratica alla teoria, l'espe-
rienza alla metafisica. Quando Luciano va a consultare il
suo maestro Menippo, gli viene detto che il metodo della
saggezza consiste nel compiere il dovere che è a sua por-
tata di mano, consiglio ripetuto nel Candide di Voltaire e
nelle istruzioni date al nascituro in Erewhon. Quindi la
pedanteria filosofica diventa, come prima o poi qualunque
bersaglio della satira, una forma di romanticismo, cioè
l'imposizione di ideali ultrasemplifìcati contro i suggeri-
menti dell'esperienza.
L'atteggiamento satirico qui non è né filosofico né anti-
filosofico, ma è un'espressione della forma ipotetica del-
l'arte. La satira delle idee non è altro che quella speciale
IL «MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 309

forma di arte che difende il proprio distacco creativo. La


richiesta di ordine nel campo del pensiero produce una
continua offerta di sistemi intellettuali: alcuni di questi
attraggono e convertono gli artisti, ma poiché poeti ugual-
mente grandi potrebbero difendere ugualmente bene si-
stemi diversi, è chiaro che nessun sistema può contenere
le arti cosi come esse sono. Quindi il pensatore sistemati-
co, se potesse, stabilirebbe molto probabilmente delle ge-
rarchie nelle arti, o censurerebbe ed espurgherebbe come
Platone avrebbe voluto fare con Omero. Le satire dei si-
stemi di ragionamento, specialmente degli effetti sociali di
tali sistemi, sono la prima linea di difesa dell'arte contro
simili invasioni.
Nella guerra della scienza contro la superstizione, gli
scrittori di satire hanno sempre avuto una parte impor-
tante. Sembra che la satira stessa sia iniziata con i silloi
greci che erano attacchi in favore della scienza contro la
superstizione. Nella letteratura inglese, Chaucer e Ben
Jonson confusero gli alchimisti usando ironicamente il lo-
ro gergo; Nashe e Swift spinsero gli astrologhi ad una mor-
te prematura con le loro satire; il monologo Sludge the
Medium di Browning annientò gli spiritualisti e cosi pure
fece Hudibras con una schiera di occultisti, numerologi-
sti, pitagorici e rosacroce. Allo scienziato potrà sembrare
molto strano che la satira si prenda tranquillamente gioco
di astronomi veri e propri in The Elephant in the Moon,
di laboratori sperimentali nei Gulliver's Travels, della co-
smologia darwiniana e malthusiana in Erewhon, dei ri-
flessi condizionati in Brave New World, dell'efficienza tec-
nologica in 1984. Charles Fort 1, uno dei pochi scrittori
a continuare la tradizione della satira intellettuale in que-
sto secolo, porta all'estremo tale atteggiamento prenden-
do in giro gli scienziati per la loro stessa indipendenza da
ogni superstizione, cioè per il loro atteggiamento raziona-
le che, come ogni atteggiamento razionale, rifiuta di esa-
minare tutti i dati.
La stessa cosa succede con la religione. Lo scrittore sa-
tirico può pensare con Luciano che eliminare la supersti-
1 Cfr. The Books of Cbarles Fort (1941), p. 435.
3ro CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

zione equivarrebbe a eliminare anche la religione, o con


Erasmo che la sconfitta della superstizione rafforzerebbe
la religione. Ma che Zeus esista o no è un problema aper-
to; che gli uomini da cui egli è giudicato vizioso e stupido
insistano nel riconoscere il suo potere di cambiare il tem-
po è invece un fatto, accettato sia da chi se ne fa beffe,
che da chi ci crede. Ogni persona veramente devota ap-
proverebbe di certo uno scrittore di satire che condannas-
se l'ipocrisia e la superstizione come farebbe un difensore
della vera religione. Tuttavia quando l'ipocrita, la cui ap-
parenza non è per nulla diversa da quella di una persona
retta è sufficientemente condannato, anche la persona ret-
ta può cominciare a sembrare un po' meno integra di pri-
ma. Coloro che sono d'accordo anche con le parti teori-
che della Holy Willie's Prayer in Burns, finiscono per
sembrare loro stessi degli Holy Willies. Allo stesso modo
si ha l'impressione che mentre gli atteggiamenti personali
di Erasmo, Rabelais, Swift e Voltaire nei confronti della
religione istituzionale varino molto, l'effetto della loro sa-
tira vari assai meno. La satira della religione comprende
sia la parodia della vita sacramentale nel protestantesimo
inglese, dai pamphlet sul divorzio di Milton a T he W ay
of All Flesh, che l'opposizione al cristianesimo di Nietz-
sche, Yeats, e D. H. Lawrence basata sull'interpretazione
di Gesu come idealista da romance.
Il narratore in Erewhon nota che mentre la vera reli-
gione della maggior parte degli erewhoniani era, checché
essi dicessero, l'accettazione delle convenzioni della norma
inferiore (la dea Ydgrun), c'era anche un piccolo gruppo
di « nobili seguaci di Ydgrun », a suo giudizio i migliori
cittadini di Erewhon. L'atteggiamento di costoro ci ricor-
da quello di Montaigne: essi avevano il senso proprio del-
l'eiron, del valore di convenzioni stabilite ormai da tem-
po e diventate innocue; avevano inoltre la tipica sfiducia
dell' eiron nella possibilità, loro o d'altri, di trasformare
e migliorare le strutture sociali del paese. Tuttavia essi
erano anche in una posizione intellettuale di distacco dal-
le convenzioni della società che li circondava, ed erano ca-
paci di vederne sia le anomalie e le assurdità che il tradi-
zionalismo rassicurante.
IL «MYTHOS» DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 3II

La forma letteraria che l'atteggiamento da « nobile Yd-


grunita » produce nella satira della seconda fase può esse-
re chiamata la forma dell'ingenu, prendendo tale nome
dal dialogo omonimo di Voltaire. La norma inferiore è
rappresentata da un individuo estraneo alla società, in
questo caso un indiano americano: egli non ha alcuna vi-
sione dogmatica personale, ma non accetta nessuna delle
premesse che fanno sembrare logiche a coloro che vi sono
abituati le assurdità della società. È una figura pastorale e,
come avviene nel genere pastorale che è molto affine alla
satira, egli oppone un insieme di norme molto semplici
alle complesse razionalizzazioni della società. Ma abbiamo
visto che la complessità dei dati dell'esperienza è precisa-
mente ciò su cui lo scrittore satirico insiste, e che i siste-
mi di norme sono ciò di cui diffida. Ecco perché l'ingenu
è un estraneo; egli viene da un altro mondo, irraggiungi-
bile oppure connesso con qualcosa di indesiderabile. Cosf
i cannibali di Montaigne hanno tutte le virtu che noi non
abbiamo, se si esclude il fatto che sono cannibali. L'U-
topia di More è una nazione ideale, salvo che per entrar-
ci dobbiamo rinunciare all'idea del cristianesimo. Gli
Houyhnhnms vivono una vita secondo ragione e secondo
natura migliore della nostra, ma Gulliver scopre di essere
nato Yahoo, e inoltre tale vita sarebbe piu simile a quel-
la di un animale pieno di buone qualità che a quella -di
un essere umano. Ogni volta che l' « altro mondo» appare
nella satira, esso appare come una copia ironica del no-
stro, come un rovesciamento degli schemi sociali accetta-
ti. Questa forma di satira si trova in Kataplous e Caronte
di Luciano, che descrivono viaggi all'altro mondo e in es-
so ci fanno vedere le figure piu eminenti della nostra so-
cietà che si comportano in modo, se non sconveniente,
certo insolito; tale forma è adottata anche da Rabelais e
dalla danse macabre medievale. In quest'ultima si delinea
una chiara opposizione tra la semplice uguaglianza di tutti
gli uomini instaurata dalla morte e le complesse inegua-
glianze che sussistono in vita.
La satira intellettuale difende l'indipendenza e il distac-
co creativo dell'arte, ma l'arte stessa tende spesso a cerca-
re idee che siano accettate dalla società e a diventare essa
312 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

stessa una fissazione sociale. Abbiamo per esempio parla-


to dell'arte idealizzata del romance come della forma in
cui una classe sociale in fase ascendente tende ad espri-
mersi; cosi la nascente borghesia dell'Europa medievale si
dedicò alla satira del romance. Anche altre forme di sati-
ra hanno una simile funzione sociale, sia essa espressa-
mente voluta oppure no. La danse macabre e il kataplous
sono inversioni ironiche degli ideali da romance che tro-
viamo nelle visioni serie dell'aldilà. In Dante, per esem-
pio, i giudizi dati nell'altro mondo sono in genere una
conferma degli schemi e delle norme usati in questo; nel
paradiso stesso quasi tutti i posti disponibili vengono as-
segnati a persone di alto grado. L'effetto culturale della
satira del romance non è la denigrazione di questo gene-
re, ma l'impossibilità in cui viene messo un insieme di
convenzioni di dominare l'intero campo dell'esperienza
letteraria. La satira nella seconda fase mette in evidenza
una speciale funzione della letteratura, quella di analizza-
re e infrangere tutta una serie di moduli fissi, di credenze
fossilizzate, di terrori superstiziosi, di teorie arzigogolate,
di dogmatismi pedanteschi, di usanze opprimenti, ed altre
cose che intralciano il libero movimento (non necessaria-
mente il progresso, è ovvio) della società. Questo tipo di
satira rappresenta l'ultimo grado di quel processo logico
noto come reductio ad absurdum, il cui fine non è immo-
bilizzarci per sempre nei suoi schemi, bensf metterci in
guardia contro un procedimento scorretto.
Un altro bersaglio della satira è naturalmente la fissa-
zione romantica della bellezza della forma perfetta, in arte
o in altri campi. Si dice che la parola satira venga da sa-
tura, o pasticcio di carne, e sembra che una specie di pa-
rodia della forma si ritrovi in tutta la storia della satira,
dal miscuglio di versi e prosa nei primi esempi di satira
agli improvvisi e cinematici mutamenti di scena che tro-
viamo in Rabelais (penso a una forma primitiva di cine-
matografia). Tristram Shandy e Don Juan sono chiari
esempi della costante tendenza all'autoparodia tipica dello
stile satirico, la quale impedisce al processo compositivo
di diventare anch'esso una convenzione o un ideale ultra-
semplificati. Quando leggiamo Don Juan, osserviamo al
IL «MYTHOS» DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 313

tempo stesso il poeta che ci lavora: notiamo il formarsi


delle sue associazioni, i suoi sforzi di trovare le rime, i
piani che abbozza e poi scarta, le preferenze personali che
determinano i dettagli delle descrizioni (per es.: «Era al-
ta di statura - io non posso soffrire le donnette tozze»),
la scelta che egli fa tra essere «serio» e assumere la ma-
schera dell'umorismo. Lo stesso, e anche di piu, si può di-
re di Tristram Shandy. Un uso deliberato di digressioni
e divagazioni, che in A Tale of a Tub arriva sino al punto
di includere una digressione in lode delle digressioni, è
endemico nella tecnica narrativa della satira, come lo è
pure un certo calcolato bathos o arte di affogare nella su-
spense, come nelle parodistiche conclusioni di Apuleio e di
Rabelais che imitano il tono degli oracoli o delle profezie,
o come nel caso di Sterne che per pagine e pagine si ri-
fiuta persino di far nascere l'eroe della storia. Moltissime
satire famose sono frammentarie, non finite, o anonime.
Nella narrativa di tipo ironico lo stesso scopo è raggiunto
con l'espediente di rendere difficile la comunicazione: per
esempio si fa presentare la storia da un idiota. The Wa-
ves di Virginia Woolf è un romanzo interamente composto
di discorsi di personaggi costruiti su ciò che essi non di-
cono, ma che il loro comportamento e i loro atteggiamen-
ti dicono loro malgrado.
Tale tecnica di disintegrazione ci porta direttamente al-
la terza fase della satira, quella della satira di norma su-
periore. La satira della seconda fase può ancora abilmen-
te tentare la difesa dell'atteggiamento pragmatico contro
quello dogmatico, ma qui persino il modello del buon sen-
so comune deve essere abbandonato. Infatti anch'esso im-
plica delle credenze dogmatiche, cioè che i dati dell'espe-
rienza sensoria siano attendibili e correnti e che le con-
suete associazioni che facciamo tra le cose siano una soli-
da base per interpretare il presente e predire il futuro. Lo
scrittore satirico non può esplorare tutte le possibilità
della forma che egli usa senza vedere che cosa succede se
egli incomincia a dubitare di tali assunti. Ecco perché
spesso egli modifica coerentemente e logicamente la pro-
spettiva della vita normale. Ci fa vedere improvvisamente
la società degli uomini attraverso un telescopio come una
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

società di pigmei pieni di sussiego e di dignità, o attra-


verso un microscopio come una società di giganti spaven-
tosi e maleodoranti, oppure trasforma il suo eroe in asino
e ci fa vedere il mondo dal punto di vista asinino. Questo
genere di immaginazione fantastica spezza il corso delle
normali associazioni, riduce l'esperienza sensoria ad una
soltanto di molte possibili categorie, e mette in luce la ba-
se possibilistica, als ab, di tutto il nostro pensiero. Emer-
son dice' che tali mutamenti di prospettiva producono
« un basso livello di sublime»; in verità essi producono
qualcosa di molto piu importante dal punto di vista arti-
stico, cioè un alto grado di ridicolo. E, in conformità al
principio generale per cui la satira è la parodia del roman-
ce, essi sono di solito adattamenti di temi del romance: il
paese favoloso di un popolo piccolissimo, la terra dei gi-
ganti, il mondo degli animali incantati, le terre meravi-
gliose di cui Luciano fa una parodia nella Vera storia.
Quando noi dagli avamposti della fede e della ragione
torniamo alle realtà tangibili dei sensi, la satira ci vien
dietro. Un leggero mutamento di prospettiva, una diversa
sfumatura nella coloritura emotiva e la nostra solida terra
diventa un orrore insopportabile. I Gulliver's Travels ci
fanno vedere l'uomo come un roditore velenoso, oppure
come un goffo e rumoroso pachiderma, la mente umana
come una fossa degli orsi e il corpo umano come un misto
di sporcizia e ferocia. Swift non fa altro che seguire il
cammino per il quale il suo genio satirico lo guida, e sem-
bra che il genio abbia guidato in pratica ogni grande scrit-
tore satirico verso l'espressione di quella che la gente chia-
ma oscenità. Le convenzioni sociali fanno sf che la gente
mostri una bella facciata, per mantenere la quale bisogna
scindere la dignità di certi signori o la bellezza di certe
donne da ogni immagine di escrezione, di copulazione o
di altre simili imbarazzanti situazioni. Il riferimento con-
tinuo a questi atti porta ad una democrazia « del corpo»
corrispondente alla democrazia della morte nella danse
macabre. L'affinità di Swift con la tradizione della dan-
se macabre si può rilevare nella descrizione degli Struld-

1 Nature, VI.
IL « MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SA TIRA 3I 5
brugs; mentre le Directions to Servants e le sue meno ci-
tabili poesie rientrano nella tradizione dei predicatori me-
dievali che descrivevano la disgustosità della ghiottoneria
e della lascivia. Anche qui infatti, come sempre nella sati-
ra, vi sono implicazioni morali: va benissimo mangiare,
bere e stare allegri, ma non si può sempre rimandare il
giorno della morte.
La satira si immerge nel mondo caotico e sfrenato di
Rabelais, Petronio e Apuleio fino a raggiungere la sua vit-
toria finale sul senso comune. Quando abbiamo finito di
leggere le loro bizzarre fantasie di orgie, sogni e deliri, ci
svegliamo domandandoci se avesse ragione Paracelso nel
sostenere che le cose viste in stato di delirio esistono ve-
ramente, come esistono le stelle anche durante il giorno,
e sono invisibili per la stessa ragione per cui sono invisi-
bili durante il giorno le stelle. Lucio diventa un iniziato
ed esce ambiguamente dalla portata della nostra compren-
sione, sia che abbia mentito sia che abbia detto la verità,
come commenta sant' Agostino con una punta di esaspe-
razione; Rabelais ci promette un oracolo alla fine e noi al-
la fine ci troviamo a fissare stupefatti una bottiglia vuota;
HCE di Joyce lotta per pagine e pagine nel tentativo di
raggiungere uno stato di veglia, ma proprio quando ci
sembra di essere al punto di afferrare qualcosa di tangi-
bile veniamo rimandati alla prima pagina del libro. Il Sa-
tyricon è un frammento di qualcosa che assomiglia alla
storia di una mostruosa razza dell'Atlantide svanita nel
mare mentre era ancora in stato di ebbrezza.
La prima fase della satira è dominata dalla figura dello
sterminatore di giganti, ma in questa terza fase dove ve-
diamo spezzarsi l'equilibrio e la stabilità dell'universo,
viene richiesto all'interno della satira stessa l'intervento
di una potenza gigantesca. Quando il gigante filisteo esce
a dar battaglia ai figli della luce, si aspetta di dover af-
frontare qualcuno delle sue stesse dimensioni, qualcuno
che sorpassi di tutta la testa e le spalle ogni altro uomo in
Israele. Un tale Titano potrebbe schiacciare il suo avver-
sario con il semplice peso delle parole, e quindi essere un
maestro di quella tecnica di straripante improperio che
chiamiamo invettiva. Le figure gigantesche di personaggi
316 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

rabelaisiani, le forme di giganti incatenati o dormienti


che troviamo in Finnegans W ake, e all'inizio dei Gulli-
ver's Travels, sono espressioni di un'esuberanza creativa
il cui sintomo piu tipico e ovvio è la tempesta verbale,
l'incredibile valanga di parole che si manifesta in catalo-
ghi, epiteti sovrabbondanti e tecnicismi eruditi e che sin
dal terzo capitolo di Isaia (una satira degli ornamenti del-
le donne) è stato un elemento caratteristico, quasi un mo-
nopolio, della satira della terza fase. L'età d'oro di tale
tipo di satira è stata nella letteratura inglese quella di Bur-
ton, Nashe, Marston e Urquhart di Cromarty, traduttore
senza inibizioni dell'opera rabelaisiana; il quale era a tem-
po perso quello che Nashe avrebbe chiamato un « pedante
scribacchino di libri insignificanti», in quanto autore di
libri come Trissotetras, Pantochronochanon, Excubalau-
ron, e Logopandecteison. Nessuno all'infuori di Joyce ha
fatto un simile sforzo per continuare nell'inglese moderno
questa tradizione di esuberanza verbale: da questo punto
di vista persino Carlyle non rappresenta che un triste ab-
bassamento di tono dopo Burton e Urquhart. Nella cultu-
ra americana tale fase è rappresentata dal « racconto esa-
gerato» dello spaccone, figura tipica dell'umorismo ame-
ricano, e da certe manifestazioni letterarie che hanno qual-
che legame con esso, come i cataloghi di Whitman e di
Moby Dick.
Con la quarta fase ci spostiamo verso l'aspetto ironico
della tragedia e la satira incomincia a passare in secondo
piano. La caduta dell'eroe tragico, specialmente in Shake-
speare, è il risultato di un equilibrio emotivo cosi delicato
che ad alterarlo basta richiamare l'attenzione su uno qual-
siasi degli elementi che lo compongono. Uno di questi
elementi è l'aspetto elegiaco in cui l'ironia è ridotta al mi-
nimo, cioè quel senso di pathos nobile e dignitoso, spesso
simboleggiato dalla musica, che caratterizza l'abbandono
di Antonio da parte di Ercole, il sogno della respinta re-
gina Caterina in Henry VIII, l'atteggiamento dell'amle-
tico « allontanati dalla felicità per qualche tempo», il di-
scorso di Aleppo di Otello. Naturalmente si può trovare
l'elemento ironico anche qui, come ha fatto Eliot nell'ul-
timo degli esempi citati, ma la carica emotiva piu forte è
IL «MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 317

certamente tutta dal lato opposto. Ma sappiamo anche che


Amleto muore nel mezzo di un disordinato e frenetico
tentativo di vendetta che ha sacrificato otto vite anziché
una, che Cleopatra si eclissa con grande dignità dopo aver
accuratamente scelto il modo piu facile per morire, che
Coriolano 1 viene messo in una sìtuazione imbarazzante da
sua madre e si risente fortemente per essere stato chia-
mato ragazzo. Tale ironia tragica è diversa dalla satira nel
senso che qui non vi è nessun tentativo di schernire il
personaggio, ma solo quello di mettere in evidenza il suo
aspetto « troppo umano», in quanto distinto da quello
eroico. Re Lear cerca di raggiungere il livello di dignità
eroica attraverso la sua funzione di re e padre, e lo trova
invece nella sua sofferente umanità: ed è proprio in King
Lear che abbiamo il piu elaborato sviluppo di quella che
viene chiamata« commedia del grottesco», cioè la parodia
ironica di una situazione tragica.
Logicamente questa quarta fase, in quanto fase dell'iro-
nia, guarda alla tragedia dal basso, cioè dalla prospettiva
realistica e moralizzante del mondo dell'esperienza. Essa
accentua il carattere di umanità degli eroi, riduce al mi-
nimo il senso della fatale inevitabilità della tragedia, for-
nisce spiegazioni sociali e psicologiche della catastrofe, e
fa sembrare gran parte dell'infelicità umana « superflua e
evitabile», secondo l'espressione di Thoreau. Questa è la
fase del realismo piu sincero ed esplicito: è in generale la
fase di Tolstoj ed anche di buona parte di Hardy e di Con-
rad. Uno dei suoi temi centrali è quello contenuto nella
risposta di Stein al «romantico» Lord Jim di Conrad:
« immergersi nell'elemento distruttore». Questa osserva-
zione, pur senza mettere in ridicolo Jim, pone in risalto
l'elemento donchisciottesco e da romance della sua natu-
ra, e lo critica dal punto di vista dell'esperienza. Un simile
atteggiamento ritroviamo nel capitolo sugli orologi e i
cronometri nel Pierre di Melville.
La quinta fase, che corrisponde alla quinta fase della
tragedia, cioè quella fatalistica, è rappresentata dallo sta-
dio di ironia in cui viene fortemente accentuato il senso
1 Cfr. w. LEWIS, The Lion and the Fox (r927).
CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

del ciclo della natura, del continuo e costante girare della


ruota del fato o della fortuna. In tale stadio l'esperienza è
vista come se il momento di epifania fosse molto ravvici-
nato e ingrandito; e l'idea che predomina è quella espres-
sa nella frase di Browning « può darsi che ci sia il cielo;
ma deve esserci certamente un inferno». Come la corri-
spondente fase della tragedia, anche questa fase ironica è
meno moralizzante e piu generalizzante e metafisica, me-
no perfezionista e piu stoica e rassegnata. Il modo in cui
viene presentata la figura di Napoleone in Guerra e pace
e in The Dynasts mostra chiaramente il contrasto tra la
quarta e la quinta fase. Il ritornello del Complaint of Deor
in anglosassone: « Thaes ofereode; thisses swa maeg » ( che
si può tradurre liberamente « Altri riuscirono prima di
me; forse anch'io ce la farò») esprime non uno stoicismo
del tipo « invictus », che mantiene una sua dignità da ro-
mance, ma piuttosto l'idea, riscontrabile anche nella pa-
rallela, seconda fase della satira, che la situazione pratica
ed immediata meriti forse maggior rispetto ed attenzione
della sua spiegazione teorica.
La stessa fase presenta la vita umana in termini di qua-
si totale schiavitu senza mitigazione o conforto. Le scene
dell'azione sono prigioni, manicomi, linciaggi di folle sca-
tenate, e luoghi di esecuzione; la differenza tra questo
mondo e l'inferno vero e proprio sta nel fatto che sul pia-
no dell'esperienza umana la sofferenza ha un termine con
la morte. Ai nostri giorni la forma principale di questa fa-
se è rappresentata dall'incubo di una tirannia sociale di
cui forse 1984 è l'esempio piu noto. In queste forme che
sono al limite della visio malefica, troviamo spesso l'uso
parodistico di simboli religiosi che suggeriscono l'idea di
una adorazione di Satana o dell'Anticristo. Nella Colonia
penale di Kafka compare una parodia del peccato origina-
le nella frase dell'ufficiale« Non bisogna mai dubitare del-
l'esistenza della colpa». In 1984 la parodia della religione
nelle scene finali è piu elaborata: c'è per esempio una pa-
rodia dell'espiazione quando l'eroe viene torturato fino a
che egli chieda che le torture siano inflitte all'eroina an-
ziché a lui. L'assunto su cui tale storia si basa è che la bra-
ma di sadico potere della classe dominante sia cosf forte
IL «MYTHOS » DELL'INVERNO: IRONIA E SATIRA 319
da durare in eterno: che è proprio quanto suppone dei
demoni chi accetta la visione ortodossa dell'inferno. Il si-
stema del «teleschermo» traduce in termini ironici il te-
ma tragico del derkou theama, cioè l'umiliazione di esser
sempre osservati da un occhio ostile e schernitore.
Le figure umane in questa fase sono naturalmente figu-
re di desdichados in preda all'infelicità o alla pazzia; si
tratta spesso di parodie dei personaggi del romance. Per
esempio una parodia del tema del gigante che funge da ser-
vo fedele è in The Hairy Ape e in O/ Mice and Men; e nel
Benjy di The Sound and the Fury la cui mente idiota con-
tiene, senza capirla, l'intera azione del romanzo, si scorge
la parodia del personaggio che nel romance presenta la sto-
ria, della figura di Prospero. Naturalmente abbondano in
questa fase sinistre figure paterne o materne, poiché que-
sto è il mondo dell'orco e della strega, della nera gigantes-
sa di Baudelaire e della dea Stupidità di Pope, che è an-
che una parodia della divinità («La luce muore dinanzi
alla tua parola annientatrice!»), della sirena con l'imma-
gine cattivante della sua chioma avvolgente, e infine del-
la /emme fatale o donna dal sorriso maligno, « piu vecchia
delle rocce tra cui siede», come Pater dice di lei.
Questa immagine ci riporta di nuovo al punto di epifa-
nia demonica, il punto della torre tenebrosa e della prigio-
ne di dolori senza fine, della città immersa in una notte
orribile nel deserto o, con piu erudita ironia, della tour
abolie, cioè dell'oggetto o meta finale della ricerca che non
c'è piu o non è mai esistito. Ma all'altra estremità di que-
sto mondo maledetto di disgusto e di idiozia, mondo sen-
za pietà e senza speranza, il ciclo ricomincia con la satira.
Al fondo dell'inferno dantesco, che è anche il centro della
sferica terra, Dante vede Satana ergersi nel cerchio di
ghiaccio, e mentre segue con cautela Virgilio giu per l'an-
ca e la coscia del gigante malefico, lasciandosi calare lenta-
mente aggrappato ai ciuffi di pelo sulla pelle del demo-
nio, egli passa attraverso il centro della terra e si ritrova
non piu in discesa ma in ascesa e si arrampica verso l'altra
parte del mondo per tornare a riveder le stelle. Osservato
da questo punto, il diavolo non è piu eretto nel cerchio
di ghiaccio, ma è a testa in giu, nella medesima posizione
320 CRITICA ARCHETIPICA: TEORIA DEI MITI

in cui era stato scagliato giu dal cielo sull'altra parte della
terra. La tragedia e l'ironia tragica ci portano attraverso
un inferno fatto di spirali che si restringono sempre piu
fino a culminare nella visione della sorgente di tutti i ma-
li in una forma personalizzata. La tragedia non ci può por-
tare oltre; ma se continueremo nel mythos dell'ironia e
della satira, passeremo oltre il punto morto centrale e sa-
remo alla fine in grado di vedere capovolto il magnifico
Principe delle Tenebre.
Quarto saggio
Critica retorica: teoria dei generi
Introduzione

Questo libro si fonda su una struttura diagrammatica


adottata nella poetica sin dai tempi di Platone. Essa con-
siste nella divisione del« buono» in tre aree principali, di
cui quella centrale è rappresentata dal mondo dell'arte,
della bellezza, del sentimento e del gusto, e quelle latera-
li rispettivamente dal mondo delle azioni e degli eventi
sociali, e dal mondo dei pensieri e delle idee individuali.
Osservando queste tre aree nel loro ordine successivo da
sinistra a destra, appare chiaro che ad esse corrisponde u-
na suddivisione delle facoltà umane in volontà, sentimen-
to e ragione; una suddivisione delle costruzioni mentali
che tali facoltà producono in storia, arte, e scienza e filo-
sofia; e una suddivisione degli ideali che spingono queste
facoltà a svilupparsi in legge, bellezza e verità. Leggendo
il diagramma da destra a sinistra, Poe definisce le tte fa-
coltà umane come Puro Intelletto, Gusto, e Senso Mora-
le. « Pongo il gusto al centro - dice Poe - poiché anche
nella mente umana esso occupa questa posizione». Fino a
che qualcuno non riesca a confutare questa perfetta spie-
gazione, manterremo la struttura tradizionale. È vero che,
come abbiamo già una volta suggerito, c'è un altro modo
di vedere secondo il quale l'area centrale non sarebbe sem-
plicemente una delle tre aree, ma una trinità che le con-
terrebbe tutte in sé; ma finora la concezione piu semplice
non ha cessato di dimostrare la sua utilità.
Analogamente, abbiamo descritto il simbolo poetico
come punto intermedio tra l'evento e l'idea, tra l'esempio
e il precetto, tra il rito e il sogno, e infine l'abbiamo iden-
tificato con l'ethos aristotelico, con la natura e la condi-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

zione umana, a metà strada tra il mythos e la dianoia che


ne formano gli elementi costitutivi e che sono imitazioni
verbali rispettivamente dell'azione e del pensiero. Tutta-
via dobbiamo tenere in considerazione anche un altro
aspetto del medesimo diagramma. Il mondo delle azioni e
degli eventi sociali, il mondo del tempo e del procedere
delle cose, è connesso in modo speciale con il senso dell'u-
dito: l'orecchio ascolta e traduce ciò che ascolta in con-
dotta pratica. Il mondo del pensiero e delle idee indivi-
duali ha una corrispondente connessione con il senso del-
la vista; quasi tutte le espressioni che designano manife-
stazioni del pensiero, a cominciare dalla parola greca theo-
ria, sono infatti connesse con metafore visive. Sembra
inoltre che non soltanto l'arte nel suo insieme sia in una
posizione centrale rispetto ai fatti e alle idee, ma che la
letteratura sia in qualche modo al centro delle arti stesse.
Essa infatti si rivolge all'udito e quindi partecipa della
natura della musica, che è una forma assai piu concentra-
ta di arte dell'udito e della percezione immaginativa del
tempo. La letteratura si rivolge all'occhio, almeno a quel-
lo interiore, e quindi partecipa della natura delle arti pla-
stiche, che sono (soprattutto la pittura) una forma assai
piu concentrata di arte della vista e della dimensione spa-
ziale. Aristotele elenca sei elementi costitutivi della poe-
sia, dei quali abbiamo fìnora considerato sempre questi
tre: mythos, ethos e dianoia. Gli altri tre, melos, lexis, e
opsis (spettacolo), riguardano il secondo aspetto del dia·
gtamma che abbiamo or ora delineato. Considerata come
struttura verbale, la letteratura presenta una lexis che
combina altri due elementi: il melos, elemento analogo
alla musica o comunque connesso con la musica, e l'opsis,
elemento similmente connesso con le arti plastiche. La pa-
rola stessa lexis può essere tradotta «dettato» quando la
pensiamo come una sequenza narrativa di suoni percepiti
dall'orecchio, oppure <<Ìmagery» quando la pensiamo co-
me uno schema di significati coesistenti, percepibile con
un atto di «visione» mentale. Dobbiamo ora esaminare
questo secondo aspetto o aspetto retorico del diagramma
letterario, che ci riporta al livello «letterale» della narra-
INTRODUZIONE 325
tiva e del significato, a quel contesto cioè che Ezra Pound 1
ha in mente quando definisce le tre qualità della creazione
poetica come melopoeia, logopoeia e phanopoeia. Poiché
la critica letteraria usa spesso in senso figurato i termini
musicale e pittorico, avremo occasione di verificare, tra
l'altro, il vero senso che questi vocaboli possono avere
come termini critici.
La parola «retorica» ci riporta inoltre ad un'altra tria-
de, cioè alla tradizionale divisione degli studi sulla parola
in un «trivio» di grammatica, retorica, logica. Grammati-
ca e logica sono diventate due scienze specifiche, e inoltre
sono connesse, in modo molto generico, con gli aspetti ri-
spettivamente narrativo e significante di tutte le strutture
verbali. Poiché la grammatica può essere chiamata l'arte
di mettere in ordine le parole, in un certo senso - cioè in
senso letterale - grammatica e narrazione sono la stessa
cosa; e cosi pure, poiché la logica può essere chiamata
l'arte di creare il significato, in un certo senso logica e si-
gnificato sono la stessa cosa. Questa seconda proposizione
è piu tradizionale e quindi piu familiare, mentre per la
prima non esiste alcuna giustificazione storica, poiché l'ar-
te di costruire una narrazione («immaginazione», « com-
posizione ordinata», e simili) è sempre stata per tradizio-
ne considerata appartenente al campo della retorica. Vo-
gliamo tuttavia cominciare, a dispetto della storia, con
un'associazione tra narrazione e grammatica, intendendo
quest'ultima soprattutto come sintassi o ordinamento ap-
propriato (cioè narrativo) delle parole, e tra logica e signi-
ficato, intendendo per logica soprattutto la disposizione
delle parole secondo uno schema fortemente significante.
Grammatica è l'aspetto linguistico di una struttura ver-
bale; logica è il «senso» cioè quel fattore che resta inva-
riato anche in una traduzione.
Quella che abbiamo finora chiamato composizione as-
sertiva, descrittiva o effettiva, tende a essere, o cerca di
essere una unione diretta di grammatica e logica. Una di-
scussione non può essere corretta da un punto di vista lo-
1 ABC of Re.1ding, cap. rv. M.elopoiia è in realtà la pawla usata da

Aristotele: io uso me/os per brevità.


CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

gico, se non è corretta da un punto di vista verbale, cioè


se non opera una giusta scelta delle parole e non stabilisce
tra esse gli appropriati rapporti sintattici. Allo stesso mo-
do una narrazione fatta di parole non comunica nulla al
lettore se non ha un significato continuo. Sembra perciò
che nelle composizioni di carattere assertivo si dia ben po-
co rilievo a un termine mediano come retorica e questo ci
è confermato dal fatto che spesso la retorica è guardata
con sospetto e diffidenza da filosofi, scienziati, giuristi,
cri tic i, storici e teologi.
Sin dall'inizio la parola retorica ha avuto due signifi-
cati: discorso ornato e discorso persuasivo. Le due cos::'.
sembrano opposte sul piano psicologico, dato il carattere
disinteressato del desiderio di.abbellire il discorso con or-
namenti, e quello esattamente opposto del desiderio di
persuadere con le parole. Infatti la retorica esornativa è
inseparabile dalla letteratura stessa, cioè da quella che ab-
biamo chiamato struttura verbale ipotetica che esiste so-
lo per se stessa; mentre la retorica persuasiva è letteratu-
ra applicata, cioè un uso dell'arte letteraria per aumentare
la forza di un'argomentazione. La retorica esornativa agi-
sce sui suoi ascoltatori in modo statico, portandoli ad am-
mirare la sua bellezza o arguzia; la retorica persuasiva in-
vece agisce sugli ascoltatori in senso cinetico portandoli
verso una linea d'azione. L'una dà voce all'emozione, l'al-
tra la manipola. Qualunque sia la nostra conclusione ri-
guardo allo status dell'oratoria, sembra che la definizione
della retorica esornativa non lasci adito a dubbi: essa è la
lexis o il tessuto verbale della poesia. Anche Aristotele nel-
la Poetica dice che la lexis appartiene piu propriamente
alla retorica. Possiamo dunque adottare sperimentalmen-
te il seguente postulato: se l'unione diretta di grammatica
e logica è caratteristica delle strutture verbali al di fuori
del campo letterario, si può definire la letteratura come
l'organizzazione retorica di grammatica e logica. Schemi
retorici sono anche quasi tutti gli elementi caratteristici
della forma letteraria, come la rima, l'allitterazione, il me-
tro, l'equilibrio delle antitesi, l'uso di esemplificazioni.
Esula dal nostro obbiettivo uno studio della psicologia
della creazione letteraria, ma è importante rilevare che as-
INTRODUZIONE

sai di rado uno scrittore prende la penna in mano senza


alcuna nozione di quello che ha intenzione di produrre.
Ciò significa che nella mente del poeta si forma molto pre-
sto una specie di capacità di controllo e coordinamento,
quella che Coleridge' chiama iniziativa; a poco a poco es-
sa assorbe e imprime di sé ogni elemento e alla fine risulta
essere la struttura formale dell'opera d'arte. È evidente
che tale iniziativa non è un'unità in se stessa, ma un com-
plesso di fattori, di cui uno, per esempio, è il tema, un al-
tro è il senso di unità di atmosfera per cui certe immagini
sono appropriate e altre no, un altro ancora, se si tratta
di una poesia dal metro regolare, è il metro o, se si trat-
ta di un diverso genere di poesia, un'altra forma di ritmo
integrante. Abbiamo anche rilevato, pagine addietro, che
nell'atteggiamento e nella intenzione creativa del poeta
è già evidente il genere dell'opera, cioè il poeta manife-
sta sin dall'inizio l'intenzione di produrre un tipo specifi-
co di sttuttura verbale. Il poeta perciò si trova continua-
mente a dover decidere di includere nella struttura della
sua opera certe cose ( che egli riesca o no a giustificarle
su un piano critico), e di escluderne altre, anche se in sé
valide e atte ad essere incluse in un diverso contesto. Poi-
ché la struttura è qualcosa di molto complesso, tali deci-
sioni del poeta sono legate a un'infinità di elementi poeti-
ci, ossia a un gruppo di iniziative, tra cui i temi e la scelta
delle immagini, che sono stati l'argomento del saggio pre-
cedente, e il genere e il ritmo integrante che ci proponia-
mo ora di analizzare.

Nell'introduzione abbiamo lamentato lo scarso interes-


se dimostrato dalla critica per la teoria dei generi lettera-
ri. Quel che possediamo a tutt'oggi sono i tre termini di
teatro', epica, lirica, derivati dai Greci; e anzi usiamo gli
ultimi due soprattutto come termini convenzionali e pra-
tici per definire rispettivamente composizioni poetiche
1 Cfr. il saggio sul metodo in The Friend, IV. Non pretendo che la mia
intcrprc1<1zionc del termine di Coleridge sia erntta, ma credo sia ormai evi-
dente la mia ncc~ssità di essere un pirata della terminok,gia.
' [In inglese « drama »].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

lunghe e brevi ( o meno lunghe). Per una composizione


poetica di media lunghezza non c'è neppure una definizio-
ne pratica, e per una piu lunga l'unico termine di cui di-
sponiamo è epica, specialmente se è divisa in una dozzina
di parti, come The Ring and the Book di Browning. Ep-
pure quest'opera ha una struttura essenzialmente dram-
matica, cioè quella del triangolo formato da un marito ge-
loso, una moglie paziente e un amante cavalleresco coin-
volti in un processo per assassinio con scene in tribunale
e all'obitorio, e la elabora e la sviluppa esclusivamente at-
traverso i soliloqui dei personaggi. È uno stupefacente
tour de force, ma lo possiamo apprezzare solo se lo consi-
deriamo un esperimento drammatico, un lavoro dramma-
tico di cui, per cosi dire, si esplicita l'interiorità. Allo stes-
so modo definiamo lirica la Ode to the West Wind di Shel-
ley, forse perché è davvero una lirica; e se abbiamo delle
esitazioni a definire lirica Epips-ychidion e non sappiamo
assolutamente che cosa sia, possiamo sempre chiamarlo il
prodotto di un genio essenzialmente lirico: è piu corto del-
l'Iliade e ha un finale.
Tuttavia l'origine delle parole « drama », epica e lirica
fa pensare che il principio fondamentale del genere lette-
rario sia abbastanza semplice. Infatti è evidente che la di-
stinzione tra i generi è basata, in letteratura, sul radicale
della presentazione. Le parole possono essere recitate di
fronte ad uno spettatore, dette ad un ascoltatore, cantate
o declamate, scritte per un lettore, Dobbiamo rassegnarci
ad ammettere che la critica non ha una parola per definire
il singolo membro del pubblico letterario, e la parola stes-
sa «pubblico» non funziona per tutti i generi, perché sem-
bra piuttosto illogico definire «pubblico» i lettori di un
libro. In ogni caso possiamo dire che la base di una teoria
critica dei generi è retorica, nel senso che il genere è de-
terminato dal tipo di rapporto stabilito tra il poeta e il
suo pubblico.
Analizziamo ora questo radicale della presentazione, se
ha ancora senso oggi, nell'epoca della stampa, parlare di
distinzione tra la parola recitata, detta o scritta. Si può
stampare una lirica o leggere un romanzo ad alta voce, ma
questi mutamenti occasionali non sono di per se stessi suf-
INTRODUZIONE

ficienti ad alterare il genere. Nonostante tutte le amorevo-


li cure che vengono giustamente dedicate alla stampa dei
lavori drammatici shakespeariani, essi sono pur sempre
sostanzialmente copioni teatrali e appartengono al genere
drammatico. Viceversa se un poeta romantico dà forma
drammatica alla sua poesia, è probabile che egli non solo
non si aspetti m~ neppure voglia una rappresentazione
teatrale; che egli pensi interamente in termini di opera
stampata e di pubblico di lettori; e persino che egli cre-
da, come molti romantici, che il lavoro drammatico porta-
to sulle scene sia una forma d'arte impura o contaminata
poiché impone delle limitazioni all'espressione individua-
le. Tuttavia la sua poesia continuerà a riferirsi a una qual-
che forma di teatro, per quanto irreale e fittizio. Il ro-
manzo a sua volta appartiene al genere scritto, ma quando
Conrad usa un narratore per farsi aiutare a raccontare la
storia, il genere della parola scritta diventa molto simile a
quello della parola parlata.
Quel che ci importa a questo punto non è classificare
un determinato romanzo, ma riconoscere in esso l'esisten-
za di due diverse radicali di presentazione. Invece di usare
il termine radicale, si potrebbe piu semplicemente dire
che i generi sono i diversi modi di presentare le opere let-
terarie su un piano ideale, qualunque ne sia poi la concre-
ta realtà. Ma Milton, per esempio, non sembra avere in
mente alcun piano ideale con un dicitore e un pubblico di
ascoltatori per Paradise Lost; anzi egli sembra conside-
rarlo, in pratica, un poema da leggersi in un libro. Quan-
do però egli usa la forma convenzionale dell'invocazione,
trasferendo quindi i1 poema nel genere della parola parla-
ta, vuole indicare che la sua opera appartiene soprattutto
a questa tradizione e ha con essa la piu stretta affinità. Lo
scopo di una teoria critica dei generi non è tanto quello di
classificare, quanto quello di chiarire tali tradizioni e tali
affinità, e quindi di portare alla luce una grande quantità
di rapporti letterari che non si sarebbero altrimenti nota-
ti, nell'assenza di un contesto riconosciuto in cui inserirli.
Il genere che implica la parola parlata e degli ascoltatori
è molto difficile da descrivere in inglese, ma possiamo dire
che esso corrisponde in parte a quello che i Greci defini-
33° CRITICA RETORICI\: TEORIA DEI GENERI

vano ta epe, cioè versi destinati a essere detti, e non ne-


cessariamente poemi epici di smisurata lunghezza. Tale
materiale «epico» non deve necessariamente essere in ver-
si, poiché anche il racconto e il discorso in prosa sono
forme importanti del genere della parola parlata. Eviden-
temente la differenza tra prosa e versi non è in se stessa
una differenza di genere, come dimostra il teatro, anche se
tende a diventarlo. In questo saggio userò il termine epos
per definire opere in cui il radicale della presentazione sia
il discorso orale, e il termine epica nel suo uso normale
applicato alle forme dell'Iliade, dell'Odissea, dell'Eneide,
e di Paradise Lost. Perciò epos comprende tutte le opere
letterarie, in versi o in prosa, che tentano di mantenere la
convenzione di una recitazione e di un pubblico di ascol-
tatori.
I Greci ci hanno dato i nomi di tre dei quattro generi
che oggi conosciamo: cioè non ci hanno dato un termine
per il genere che si rivolge al lettore mediante il libro, e
naturalmente noi non ne abbiamo inventato uno di no-
stra iniziativa. Il termine che si avvicina di piu sarebbe
«storia», ma, nonostante Tom ]ones, esso è ormai uscito
dall'ambito della letteratura, e d'altra parte la parola lati-
na « scriptura » ha un significato troppo particolare. Poi-
ché devo servirmi di una parola specifica in questo saggio
per descrivere il genere letterario della pagina stampata,
sceglierò con un atto arbitrario il termine.fiction. È vero
che ho usato tale parola nel primo saggio in un contesto
del tutto differente', ma preferisco venire a un compro-
messo con questa confusa terminologia che accrescere le
difficoltà del testo con l'introduzione di troppi nuovi ter-
mini. L'analogia con una tastiera in campo musicale può
servire ad illustrare la differem:a tra il genere fictional ed
altri generi che, per ragioni pratiche, esistono nei libri.
Un libro, come una tastiera, è un sistema meccanico per
convogliare un'intera struttura artistica sotto il controllo
interpretativo di una singola persona. Ma come è possibile
distinguere un'autentica musica per pianoforte dalla par-
1 [Fin qui «fiction» è stato reso in italiar::o con «invenzione» o « let-
teratura d'invenzione»].
INTRODUZIONE 331
titura per pianoforte di un'opera lirica o di una sinfonia,
cosi è possibile distinguere l'autentica «letteratura da li-
bro» da quei libri che contengono partiture libresche ri-
cavate da opere destinate alla dizione o alla recitazione.
Il rapporto tra il poeta che parla e il pubblico che ascol-
ta, rapporto che può essere concreto ed efficace in Omero
o in Chaucer, diventa ben presto sempre piu teorico, e
mentre ciò aV\'iene l'epos si trasforma insensibilmente in
fiction. Si può persino pensare, anche se non troppo se-
riamente, che la figura leggendaria del bardo cieco, usata
cosf a proposito da Milton, sia una testimonianza del fat-
to che la tendenza a rivolgersi ad un pubblico invisibile
avviene molto presto in letteratura. Quando però il me-
desimo materiale serve ad ambedue i generi, la distinzio-
ne diventa subito chiara. Pur non basandosi esclusiva-
mente sulla lunghezza dell'opera, essa consiste principal-
mente nell'essere l'epos episodico e la fiction continua. I
romanzi di Dickens sono, in quanto libri, fiction; in quan-
to pubblicazioni a puntate su periodici, destinate a essere
lette in famiglia, essi sono ancora nella sostanza fiction,
sebbene piu vicini all'epos. Ma quando Dickens comincia
a leggere parti delle sue opere, il genere si trasforma com-
pletamente in epos, poiché ciò che conta in questo caso è
soprattutto il valore dell'effetto e dell'immediatezza di
fronte ad un pubblico in carne e ossa.
Nel teatro, i personaggi inventati o protagonisti inter-
ni della storia sono messi a confronto diretto con il pub-
blico; quindi è caratteristico di tale genere letterario che
l'autore si nasconda al suo pubblico. Nel teatro molto
spettacolare (lo testimoniano le frequenti riduzioni cine-
matografiche), l'autore ha relativamente poca importanza.
Il teatro, come la musica, è uno spettacolo collettivo de-
stinato a un pubblico, e, come la musica, si sviluppa piu
focilmentc in una società che ha una forte consapevolezza
di sé come società, quale per esempio l'Inghilterra elisa-
bettiana. Quando invece in una società si sviluppa uno
spirito individualistico e concorrenziale, come nell'Inghil-
terra vittoriana, la musica e il teatro ne risentono, e il cam-
po letterario è quasi totalmente monopolizzato dalla pa-
rola scritta. Teoricamente l'autore è ancora presente nella
33 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

figura del rapsodo o del menestrello, poiché costui parla


come poeta, non come personaggio del poema; nella lette-
ratura scritta invece sia l'autore che i suoi personaggi so-
no nascosti al lettore.
La quarta possibilità, e cioè che il pubblico sia celato
al poeta, si ha nella lirica. Come al solito, ci manca un ter-
mine per definire il pubblico della lirica: ci vorrebbe qual-
cosa di analogo a «coro» che non suggerisse una presenza
simultanea o un contesto teatrale. Potremmo definire la
lirica, per tornare all'aforisma di Mill ricordato all'inizio
di questo libro, soprattutto come un'espressione colta per
caso sulle labbra di qualcuno che parla a se stess0. Il poe-
ta lirico di solito finge di parlare a se stesso o a qualcun al-
tro: uno spirito della natura, una Musa (si noti la distin-
:,;ione dall'epos, dove Ja Musa parla attraverso il poeta),
un amico intimo, un amante, un dio, un'astrazione perso-
nificata, o un oggetto della natura. La lirica è, come dice
Stephen Dedalus nel Portrait di Joyce, l'atteggiamento del
poeta che presenta l'immagine in rapporto a se stesso: es-
sa sta all'epos, da un punto di vista retorico, come la pre-
ghiera sta al sermone. Il radicale della presentazione nella
lirica è la forma ipotetica di quello che in religione è chia-
mato il rapporto «Io-Tu». Il poeta volta, per cosf dire, le
spalle ai suoi ascoltatori, sebbene egli spesso parli per lo-
ro e loro spesso ne ripetano le parole.
L'epos e la fiction formano l'area centrale della lettera-
tura, con il teatro da un lato e la lirica dall'altro. Il teatro
ha un rapporto particolarmente stretto con il rituale reli-
gioso, e la lirica con il sogno o visione, in cui l'individuo
comunica con se stesso. Abbiamo detto all'inizio di questo
libro che non esiste in letteratura l'allocuzione diretta, ma
l'allocuzione diretta è un modo naturale di comunicare, e
la letteratura la può imitare come può imitare qualunque
altra cosa si trovi in natura. Nell'epos, dove il poeta è po•
sto di fronte a un pubblico, abbiamo un caso di mimesis
dell'allocuzione diretta. L'epos e la fiction prendono dap-
prima la forma di « scriptura » e mito, poi quella di favole
tradizionali, poi di poesia didattica e narrativa, compresa
l'epica propriamente detta, e di prosa oratoria, poi di ro-
INTRODUZIONE 333
manzi e altre forme scritte. Procedendo storicamente at-
traverso le cinque forme, vediamo che la fiction sopraffà
sempre piu l'epos e che nel frattempo la mimesi dell'allo-
cuzione diretta si muta in mimesi della composizione scrit-
ta di carattere assertivo. Quest'ultima a sua volta, toccan-
do la punta estrema con la prosa didattica o documenta-
ria, diventa asserzione vera e propria ed esce dal campo
della letteratura.
La lirica è una mimesi interna di suoni e di immagini,
ed è l'opposto della mimesi esterna, o rappresentazione
esteriore di suoni e immagini, cioè del teatro. Ambedue le
forme evitano la mimesi della allocuzione diretta. Infatti
in un lavoro drammatico i personaggi parlano tra di loro
o parlano a se stessi, almeno in teoria, negli « a parte» o
nei soliloqui. Anche se consci della presenza di un pubbli-
co, essi non sono mai portavoce dell'autore, salvo casi ec-
cezionali come la parabasi della Commedia Antica o i pro-
loghi e gli epiloghi del teatro rococò, dove avviene infatti
un vero mutamento di genere, dal teatro all'epos. In Ber-
nard Shaw la parabasi comica viene trasferita dal contesto
della rappresentazione a una prefazione in prosa separata,
con un passaggio quindi dal teatro alla fiction.
Nell'epos tende a predominare una forma di versifica-
zione relativamente regolare: persino la prosa oratoria ri-
vela molte caratteristiche metriche sia nella sintassi che
nell'interpunzione. Nella fiction tende a predominare la
prosa, perché soltanto la prosa ha quella continuità di rit-
mo che si richiede per la forma continuata del libro. Il
teatro non è caratterizzato e limitato da alcun ritmo' suo
tipico, ma ha strette connessioni con l'epos nelle sue for-
me piu antiche e con la fiction nelle sue forme piu tarde.
Nella lirica tende a predominare un ritmo che è poetico
ma non necessariamente metrico. Procederemo ora all'e-
same di ciascun genere con l'intenzione di scoprirne le ca-
ratteristiche fondamentali. Poiché nel far ciò il nostro in-
teresse è rivolto soprattutto al dettato e agli elementi lin-
guistici, dobbiamo limitare la nostra indagine ad una lin-
1 Nessun ritmo specificamente verbale; ciò significa che il ritmo che
g0vcrna il teatro è il ritmo della sua realizzazione scenica.
334 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

gua specifica, cioè all'inglese: buona parte di quanto stia-


mo per dire varrà dunque solo per l'inglese, ma speriamo
che i principi fondamentali siano validi anche per altre
lingue.
Il ritmo della ricorrenza: l'epos

La regolare scansione metrica che distingue tradizio-


nalmente il verso dalla prosa tende a diventare il ritmo or-
ganizzativo dell'epos o delle forme oratorie di una certa
ampiezza. Il metro è una forma di ricùrrenza, e quest'ul-
tima può essere definita come ritmo e come schema, due
parole che denunciano chiaramente un principio struttu-
rale comune a tutte le arti, sia temporale o spaziale quan-
to alla fonte originaria. Oltre al metro, anche la quantità
e l'accento sono elementi della ricorrenza in poesia, seb-
bene la quantità non sia un elemento di ricorrenza rego-
lare nell'inglese moderno, tranne nei casi in cui il poeta
sperimenta e inventa le sue proprie regole man mano che
procede nella composizione poetica. È necessaria forse
una spiegazione diversa da quella che viene data abitual-
mente circa il rapporto tra accento e metro.
Sembra inerente alla struttura della lingua inglese il
verso con quattro accenti ritmici. Esso è il ritmo predomi-
nante della poesia piu antica, benché il suo schema muti
dall'allitterazione alla rima nel medio-inglese; esso è il rit-
mo tipico della poesia popolare di tutte le epoche, delle
ballate e della maggior parte delle filastrocche infantili.
Nella ballata abbiamo una quartina cosf formata: ottona-
rio, senario, ottonario, senario; essa è in pratica un verso
continuo, formato da quattro battute con una pausa alla
fine di ogni due battute. Questo principio della pausa, os-
sia di una battuta che cade in un istante di silenzio, era già
fissato nell'antico inglese. Il pentametro giambico offre
una possibilità di ritmo sincopato in cui l'accento e il me-
tro riescono in qualche modo a neutralizzarsi. Se leggiamo
molti pentametri giambici « con naturalezza», facendo ca-
dere l'accento sulle parole piu importanti, come nell'in-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

glese parlato, il tipico verso con quattro accenti ritmici si


staglia nettamente sullo sfondo metrico. Abbiamo perciò:
To bé, or not to be: that is the quéstion.
Whéthcr 'tis nobler in the mfnd to suffcr
The slfngs and arrows of outrageous fortune,
Or take up arms against a séa of troubles ... '.
Of man's ffrst disobédicncc, and the fruit
Of that forbfddcn trée, whose m6rtal taste
Brought déath into the world and ali our woe,
With loss of Édcn, till one gréater Man
Restare us, and regain the blfssful séat ... 2 •
Il distico conchiuso di Drydcn e Pope, ha logicamente una
m~ggi?r percentuale di versi a cinque accenti, ma il vec-
chio ntmo a quattro battute ritorna quasi sempre nel caso
di licenze ritmiche, come ad esempio la cesura femminile.
Forgét their hatred, and consént to féar'. (WALLER)
Nor héll a fury, like a wéman sc6rn'd 4 • (CONGREVE)
A !fttle learning is U dangerous thfng 5 • (POPE)
In ogni epoca di incertezza o di transizione in campo
metrico, possiamo constatare la spontanea forza del verso
a quattro accenti. Dopo la morte di Chaucer e il passaggio
dal medio-inglese all'inglese moderno, ci troviamo nello
strano mondo metrico di Lydgate, e siamo fortemente ten-
tati di applicare a questo poeta le parole che il Menestrel-
lo dice alla Morte nella Danse macabre:
This newe daunce / is to me so straunge
Wonder dyvcrse / and passyngli contrarie
The dredful fotynge / doth so ofte chaunge
And the mesures / so ofte sithes varie'.
1 [«Essere, o non essere: questo è il prc,blema. I Se sia piu nobile sof-
frire nell'animo I i colpi e i dardi della feroce fortuna, I o prender le armi
contro un mare di avversità I ... »]
2 [«Della prima disc,bh~dienza dell'uomo, e del frutto I di quell'albero

proibito, il cui assaggio mortale : recò morte nel mondo e tutta la nostra
di~gra%ia, i con la pc,tdita dell'Eden, finché un Uomo piu grande I non
venne a redimerci, e riguadagnò la sede beata i .•• »]
3 [«Dimentica l'odio loro, e cedi al timore»].
4 [«Né l'inferno /alberga) una furia pari a una donna oficsa»].
5 [«Il poco sapere è cosa pericolosa»].

' [<<Questa nuo\·a danza è per me cosi strana [ meraviglia inusitata e


quanto mai aliena: ; il passo tremendo cambia tanto spesso I e le misure
sempre varianu »].
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L'«EPOS » 337
Ma si tratta pur sempre di una danza: vediamo la stanza
precedente, dove la Morte parla al Menestrello:
3
.J.J1n, J1mn1J~
O thow Minstral / that cannest so note & pipe

JJ1n;.1nn1J
Un-to folkes / for to do plesaunce

n .J I J. .J>I n .n I J ,l
By the right honde (anoone) I shal the gripe

.J J 1n '/ ;1n
With these other /
n Id
to go vp-on my daunce

J I.J .J I J ). In n I J.
Ther is no scape / nowthcr a-voydauncc

JJI.J n1n n Id
On no side / to contrarie my sentence

JIJ JIJ. Ji1nn1J.


Far yn musik / be craftc & accordaunce

.J .JI.J .J I .J .JI.J.J
Who maister is / shew his science '.

Sarebbe molto difficile analizzare questa stanza come


una stanza di pentametri del tipo usato da Chaucer in
ABC: l'ultimo verso, per esempio, non è affatto un pen-
tametro. Se lo leggiamo invece come un verso continuo a
quattro battute, risulta abbastanza semplice; e una tale
lettura metterà in evidenza quello che un'analisi prosodi-
ca non rivelerebbe mai, e cioè la struttura ritmica grotte-
sca e saltellante della voce della Morte che finisce con la
misurata ironia dell'ultimo verso. Io non pretendo dico-
noscere i particolari della prosodia di Lydgate, quali «e>>
egli preferisse pronunciare o elidere o quali parole stra-
' [«Oh tu Menestrello, che cosf bene sai modufare e suonare con la
zampogna I per dilettare la gente. : Ti prenderò (presto) per la destra I c,m
tutti questi altri per condurti nella mia danza. I =--:on c'è scampo né fu.
ga '. da nessuna parte per opvorsi alla mia sentenza. I Per questa musica ci
sia arte e armonia, I chi è maestro mostri la sua scienza»].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

niere egli accentasse in modo diverso. È possibile che né


Lydgatc né il lettore suo contemporaneo avessero le idee
ben chiare su tutti questi punti; ma un verso con quattro
accenti principali e un numero di sillabe variabile tra un
accento e l'altro è l'espediente piu ovvio per passar sopra
a questi problemi, la cui soluzione resta affidata all'arbi-
trio del lettore. Non intendo però indicare come questo
passo debba essere letto, ma piuttosto come lo si possa
piu facilmente scandire: quanto alla scansione metrica cia-
scun lettore apporterà allo schema le proprie modifiche 1 •
Il verso di Skelton ha anch'esso di solito quattro ac-
centi ritmici: il brioso preludio a Philip Sparowe ha un
ritmo veloce di marcia, con piu pause e piu battute ac-
centate consecutive di quante ne troviamo in Lydgclte:

J J J )..
Placebo,

n J J
\X:ho is there, who_?
~

JJJ i
Di le xi,

J nJt
Dame Margery;

fa, re, my, my,

n J J
J
\Y/herefore and why, why?

nnnn
For the soul of Philip Sparowe,

nJ nn
That was late slayn at Carowe ... 1•

1 Dovrei modifìcarlo anch'io per far s[ che la batlllta « on no side » in:.

2i con un'ottava pausa.


' [«Pia ce bo, : r.:hi c'è, chi? i Di le xi, ! Madonna Margcry; I fa, re, mi,
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L' «EPOS» 339
A farla breve, il « nuovo principio» su cui fu costruito
il Christabel di Coleridge era nuovo come lo sono di soli-
to i principi in letteratura. Ed è chiaro anche che l'ispira-
zione finnica di Hiawatha non era poi in sostanza piu eso-
tica di quanto tali ispirazioni lo siano di solito. I-Iiawatha
si adatta perfettamente alla struttura metrica inglese con
quattro accenti ritmici e questo spiega forse la ragione per
cui essa sia uno dei testi poetici inglesi piu facili da paro-
diare. Anche Love in the Valley di Meredith si può scan-
dire con la massima facilità secondo un verso a quattro ac-
centi molto simile nella sua composizione ritmica a quello
di Lydgate:

Under yondcr beech-trce single on the green-sward

J J71J. J1n n1J


Couched with hcr arms bchind her golden head,

,n n1nrJ1n nin.t
Knees and tresses folded to slip and ripple idly,

Lies my young love sleeping in the shade '.

Questi esempi forse hanno già cominciato a darci un'i-


dea di quello che il termine musicale, corrispondente al
melos aristotelico, significa nel linguaggio critico moder-
no. Nella musica, che in Inghilterra si è sviluppata paral-
lelamente alla poesia sin dal tempo di Lydgate, si è avuto
quasi sempre senza variazioni un accento, che sottolinea
1c unità ritmiche (misure), formate da un numero varia-
bile di note. Quando in poesia vi sono accenti predomi-
nanti e un numero variabile di sillabe tra uno e l'altro (in
genere quattro accenti per ogni verso, che corrispondono
al «tempo normale» in musica), si tratta di poesia musi-

mi, 1 per che cosa e perché, perché? : Per l'anima di Philip Passero '. di re-
cente ucciso a Ctrrow »].
1 [«Sotto qnel foggio soln sulla distcs; erbosa I sdrJiata con le braccia
dicti-u il c,1pn d'oro I ginocchia e trecce sci-rate a scivolare e ondeggiare
pigramente, I sta la mia giovane amata addormentata all'ombra» J.
34° CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

cale, cioè di poesia che assomiglia nella struttura alla mu-


sica ad essa contemporanea. Il tipo di poesia che stiamo
trattando è l'epos, cioè una poesia di una certa ampiezza
in metro continuo: il tipo di musica che le si avvicina di
piu è la musica nelle sue forme strumentali piu ampie, il
cui ritmo organizzativo deriva direttamente dalla danza
piu che dal canto.
Questo uso tecnico della parola «musicale» si differen-
zia molto da quello «sentimentale» per cui viene chiama-
ta musicale ogni poesia gradevole all'orecchio. In realtà
l'uso tecnico e quello sentimentale di tale termine sono
spesso esattamente opposti, perché in base al secondo è
«musicale» per esempio la poesia di Tennyson e non quel-
la di Browning. Ma alla domanda, apparentemente non
pertinente, eppure importante: « Quale dei due poeti co-
nosceva di piu la musica e perciò a priori poteva esserne
piu facilmente influenzato?» non si potrebbe rispondere
Tennyson. Ecco dei versi dall'Oenone di Tennyson:
O mother Ida, many-fountain'd Ida,
Dear mothcr Ida, harken ere I die.
I waited underneath the dawning hills,
Aloft the mountain lawn was dcwy-dark,
And dewy dark aloft the mountain pine:
Beautiful Paris, evil-heartcd Paris,
Leading a jet-black goat whitc-horn'd, white-hooved,
Carne up from recdy Simois all alone'.

Ed ecco dei versi da The Flight o/ the Duchess di Brown-


ing:
I could favour you with sundry touches
Of the paint-smutches with which thc Duchess
Heightened the mellowness of her cheek's yellowness
(To get on faster) until at last her
Cheek grew to be one master-plaster

1 [«Oh madre Ida, Ida dalle molte sorgenti, I cara madre Ida, ascolta
prima ch'io muoia. I Attendevo sotto i colli albeggianti, : in alto il prato
della montagna era scuro di rugiada i e scuro di rugiada in alto il pino di
montagna: : il bel Paride, Paride dal cuore malvagio, : guidando una capra
nerolucentc dalle bianche corna e dai bianchi zoccoli, ; sopraggiunse dal
Simocnta orlato di canne tutto solo»].
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L' «EPOS» 34 1
Of mucus and fucus from mere use of ccruse:
In short, shc grew from scalp to udder
Just the object to make you shudder'.

Nei versi di Browning la velocità è un fattore positivo:


si ha la sensazione di un ritmo scandito da un metrono-
mo. Tennyson invece ha cercato di ridurre al minimo il
senso del movimento: i suoi versi andrebbero letti ada-
gio, indugiando a lungo sulle vocali. Entrambi i testi so-
no caratterizzati da una quasi indiscreta ripetizione dei
suoni, ma in Tennyson essa serve a rallentare lo sviluppo
delle idee, a far ritornare il ritmo su se stesso, e ad elabo-
rare quello che è essenzialmente uno schema di suoni; in
Browning invece le rime accentuano il ritmo del verso e
aiutano a creare un effetto ritmico cumulativo. La veloci-
tà e l'accento martellante sono caratteristiche musicali
della poesia di Browning, ed è difficile spiegare le parole
tra parentesi se non come un'indicazione musicale, una
specie di traduzione inglese di piu mosso 2 •
Espressioni come « armoniosa musicalità» o « asprezza
e dissonanza di stile» rientrano nell'uso sentimentale del-
la parola «musicale», e derivano forse dal fatto che la pa·
rola «armonia» nell'inglese corrente, e al di fuori del lin-
guaggio musicale, indica un rapporto stabile e duraturo.
Secondo l'uso figurato della parola armonia, la musica non
è affatto una sequenza di armonie, bensf una sequenza di
dissonanze che sfociano in un'armonia finale, poiché l'u-
nica «armonia» stabile e duratura in musica è l'accordo
tonico finale della composizione. Quindi in poesia una
composizione aspra, irregolare, dissonante (purché natu-
ralmente il poeta abbia una certa competenza tecnica) sa-
rà probabilmente quella che rivela piu chiaramente la ten-
sione e l'impeto ritmico e martellante della musica. Di so-
lito un accurato equilibrio di vocali e di consonanti, e una

1 [«Potrei fornirvi diversi tocchi I delle chiazze di tintura con cui la


Duchessa I accentuava e caricava il giallore delle sue guance I (per anda·
re avanti piu in fretta) finché alla fine la sua I guancia diventava per il
solo uso della biacca I tutto un grande impiastro di muco e di fuco: I in
breve, lei diventava, dallo scalpo alle poppe, I un oggetto da farti rabbri-
vidire»].
2 [In italiano nel testo].
34 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

musicalità sognante e sensuale rivelano nel poeta una na-


tura non musicale. È il caso di Pope, Keats e Tennyson.
Non c'è bisogno di dire che questo giudizio non è limitati-
vo: il verso di The Rape o/ the Lock non è musicale, cosi
come non è un buon esempio di decasillabo sciolto, sempli-
cemente perché è qualcosa di affatto diverso. Al contra-
rio, l'uso di accenti forti e aspri, di un linguaggio contorto
e oscuro, di numerose consonanti di lunghe e pesanti pa-
role polisillabiche rivelano la presenza del melos, cioè di
una poesia che ha analogia con la musica, se non un vero
e proprio rapporto di dipendenza da essa.
Un eloquio musicale si addice di piu all'espressione del
grottesco e dell'orrendo, o dell'invettiva e dell'impreca-
zione; esso è congeniale a un intellettualismo contorto del
tipo cosiddetto «metafisico», ed è irregolare nel metro,
per l'alternarsi di sincope e accento ritmico; inoltre ri-
corre frequentemente all'enjambement e adotta un ritmo
prolungato che accumula i versi in piu ampie unità ritmi-
che quale il periodo. Il fatto che con il passare degli anni
Shakespeare faccia un uso sempre maggiore del melos per-
mette di datare i suoi lavori drammatici sulla base di pro-
ve interne. Quando Milton dice che il verso eroico rimato
non offre « un vero e proprio piacere musicale>>, perché
nella poesia musicale « il senso deve essere variamente
prolungato da un verso all'altro», egli usa il termine «mu-
sicale» nel suo significato tecnico. Quando invece Samuel
Johnson parla della « vecchia maniera di prolungare sgra-
ziatamente il concetto da un verso all'altro», egli parla
dal suo punto di vista coerentemente antimusicale. The
Heretic's Tragedy è musicale; Thyrsis no. The Jolly Beg-
gar Io è, l'Ode on a Grecian Urn no. Il Messiah di Pope
non è musicale, ma il Song to David di Smart con le sue
martellanti parole tematiche e il finale che esplode in un
fortissimo, è un tour de farce musicale. Gli inni di Cra-
shaw e le odi pindariche di CO\vley sono musicali, per i
loro versi fluidi e variabili che hanno in genere quattro ac-
centi ritmici, e per i frequenti enjambements; ma le stanze
di Herbert e le odi pindariche di Gray non lo sono. Skel-
ton, Wyatt, e Dunbar sono poeti musicali; Gavin Douglas
e Surrcy no. Il verso allitterativo è di solito accentuativo e
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L'«EPOS » 343
musicale; le forme poetiche con stanze molto elaborate di
solito non lo sono. È chiaro che l'uso-del melos in poesia
non implica necessariamente alcuna conoscenza musicale
tecnica da parte del poeta, ma spesso si accompagna ad es-
sa. Ne è esempio la poesia di Crashaw intitolata Musicks
Duell che è musicale anche da un punto di vista tecnico
(un'aria barocca con accompagnamento strumentale).
Si può pensare che almeno in qualche caso una certa
disponibilità verso la musica avrebbe favorito la tendenza
al melos nella poesia. Si ha per esempio l'impressione che
Southey non sia mai riuscito a teorizzare con chiarezza i
suoi interessanti esperimenti sul ritmo dell'epos. Sarebbe
pertanto istruttivo mettere a confronto l'incisiva lista del-
le qualità musicali della poesia fatta da Milton con le con-
fuse affermazioni di Southey nella prefazione a Thalaba:
«Non cerco un'arietta da improvvisatore, ma qualcosa che
riveli il senso dell'armonia, qualcosa come un'espressione
ritmica dei sentimenti, come l'intonazione che ogni poeta
dà necessariamente alla sua poesia». Il concetto <li me-
los, inoltre, può chiarire ulteriormente quello che W ords-
worth si proponeva di ottenere in Peter Bel! e in T he I diot
Bov. Le osservazioni di Wordsworth sul metro come fon-
te di animazione in poesia si dovrebbero riferire piu esat-
tamente all'accento, nel quale appunto è presente la vibra-
zione fisica della danza. Quel che dà il metro in sé è piut-
tosto il piacere di vedere uno schema piu o meno intuibi-
le a priori riempirsi con le parole piu appropriate. La fra-
se di Pope « Quel che è stato spesso pensato, ma mai cosi
bene espresso» esprime una concezione metrica: mentre
ascoltiamo i suoi distici, abbiamo l'impressione che si rea-
lizzi esattamente quello che ci aspettiamo, il che è proprio
l'opposto dell'ovvietà. La maggiore violenza dell'imagery
nelle satire di Donne si accompagna a una maggiore ener-
gia del ritmo, scandito sulla base degli accenti.
Se osserviamo il ben diverso gruppo di quelli che abbia-
mo chiamato i poeti non musicali, Spenser, Pope, Keats,
Tennyson, troviamo in essi l'uso di ritmi piu lenti e piu
sonori. I versi con quattro accenti ritmici sono molto piu
rari in The Faerie Queene che in Paradise Lost, e l'oppo-
sta tendenza è rivelata dall'uso frequente dell'alessandri-
344 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

no'. La regola seguita da questi poeti è formulata da


Johnson in questa acuta sentenza antimusicale. « La musi-
calità del verso eroico inglese è percepita dall'orecchio co-
sf debolmente che spesso va perduta, se tutte le sillabe di
ogni verso non cooperano a tal scopo; si può ottenere ta-
le cooperazione soltanto mantenendo ogni verso separato
dagli altri, come un sistema di suoni ben distinto». Ne
consegue che gli unici elementi musicali della poesia presi
in considerazione da Johnson essendo andati definitiva-
mente perduti con la perdita della quantità e dell'alternar-
si di arsi e tesi, la poesia inglese dovrebbe essere .imposta-
ta secondo schemi sonori e non sulla base di un ritmo cu-
mulativo.
I rapporti tra la poesia e le arti figurative sono forse
meno significativi di quelli tra la poesia e la musica. I poe-
ti non musicali sono spesso «pittorici» in un senso molto
generico: spesso essi usano i loro ritmi piu. lenti e medita-
tivi per costruire punto per punto un quadro statico, co-
me l'accurata descrizione della Venere nuda in Oenone o
gli elaborati quadri allegorici, simili ad arazzi della Faerie
Queene. Qualcosa di veramente analogo all'opsis tuttavia
si può trovare soltanto nel procedimento retorico noto co-
me armonia imitativa o onomatopea, qual è descritto ed
esemplificato da Pope nel suo Essay on Criticism:
'Tis not enough no harshncss gives offencc,
The sound must secm an echo to the sensc ...
When Ajax strives some rock's vast weight to throw,
The Jine too labours, and the words movc slow;
Not so, when swift Camilla scours the plain,
Flies o'er th'unbending corn, and skims along the main 2•
Questo espediente retorico è facile da riconoscere ed è
noto sin da quando Aristotele per primo ne parlò nel suo

1 Anche mediante un certo numero di pentametri con sei accenti; dr.


Lexis and M.e/os, in Sound a11d Poetry («English Institute Esrnys», 1956;
di prossima pubblica?.ione).
2 [«Non basta che non vi sia asprezza a offendere, ! un suono deve

sembrare un'eco Jel significato. I Quando Aiace s'affanna a scagliare il va-


sto peso d'una roccia, I onchc il verso è in travaglio, e le parole avanzano
lente; : non cosi quando rapida Camilla corre per la pianura, l vola sul
grano che non si flette, e rasenta il mare»].
IL RITMO DELLA RICORRENZA; L'«EPOS » 345
trattato sulla retorica 1, mostrando come il verso di Ome-
ro sul macigno spinto da Sisifo riproduca il rumore di un
macigno che rotola giu da un pendio:
aù-w; ~1tww.. 1téòovoi:: xuÀlvÒE't'o Àifo.c; &.vaiò1v;.
Pope tradusse questo verso « Thunders impetuous down,
and smoaks along the ground », e ottenne una volta tanto
l'approvazione di Johnson, in genere molto scettico a pro-
posito dell'armonia imitativa. In uno dei saggi dell'Idler
infatti Johnson mette in ridicolo tale espediente retorico
attraverso la figura del critico Dick Minim il quale spiega
come le parole bubble e trouble provochino « un momen-
taneo rigonfiamento delle guance ottenuto trattenendo il
respiro, e seguito da una forte emissione di aria, come si
fa per le bolle di sapone». In realtà questa battuta mette
in evidenza che l'onomatopea è una tendenza della lingua
come della poesia, e che il poeta sfrutta con estrema na-
turalezza tutto quello che la lingua gli offre. L'inglese ha
molti effetti sonori veramente fantastici, anche se parec-
chi si sono perduti: per esempio in anglosassone il perso-
naggio di The W anderer può esprimere la sensazione del-
la stagione fredda come non è piu possibile al poeta mo-
derno:
Hreosan hrim ond snaw hagle gemenged 2•
Ma poiché tali espedienti sono linguistici oltre che let-
terari, essi vengono continuamente ricreati nel discorso
quotidiano. Il linguaggio quotidiano, colloquiale, quando
ha una sua validità, viene spesso definito «pittoresco» o
«colorito», termini che sono entrambi metafore pittori-
che. I passi descrittivi di Huckleberry Finn sono caratte-
rizzati da un linguaggio che lo sforzo imitativo rende
estremamente mobile e flessibile, e che non si trova in
altre opere dello stesso scrittore, per esempio in Tom
Saw-yer:

1 Ret<;rica, III, xt; ma il vero e proprio uso di questo verso (Od., XI,

598 ì come esempio caratteristico di armonia imitativa de1-iva piuttosto da


Dionigi di Alicarnasso.
' [,,Cadere nevischio e neve mescolati a grandine»].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

... Thcn there was a racket of ripping and tcaring and


smashing, and down shc goes, and the front wall of the
crowd begins to roll in like a wave 1 •
L'esempio piu notevole e piu sostenuto di maestria nel-
l'opsis verbale nella letteratura inglese è forse The Faerie
Queene, che dobbiamo leggere con una speciale attenzio-
ne, cercando di cogliere la visualizzazione delle immagini
mediante i suoni. Per esempio:
The Eugh obedient to the bcndcr's will',
è un verso con sillabe deboli nel mezzo, dove esso cede
piegandosi come un arco. Quando Una si smarrisce, il rit-
mo si smarrisce con lei:
And Una wandring farre in woods and forrcsts ... '.
Parte dell'effetto di questo verso è dovuto alla rima debo-
le di« forrests »e« guests ». Quando si parla di naufragio,
il ritmo naufraga con lo stesso tipo di rima, e di disap-
punto:
For else my feeble vesscll crazd, and crackt
Through thy strong buffets and outragcous blowes,
Cannot endure, but needs it must be wrackt
On the rough rocks, or on the sandy shalknves•.
Quando Florimell si guarda intorno non riuscendo a tro-
vare la strada, anche il lettore trova difficile scandire' il
verso:
Through the tops of tbc high trees she did descry .. .6.
Quando si parla di armonia musicale, abbiamo una rima
identica formata con una delle poche parole inglesi che si
prestino a questo esercizio:
1 [«Poi ci fo un fracasso di cose strappate e lacerate e spaccate, ed ec-
cola che va giu, e la parete della folla comincia a ritrarsi come un'on-
data»].
' [«Il tasso obbediente al volere di chi lo incurva»].
3 [«E Una che vaga lontano per boschi e foreste»].
' [«Che altrimenti il mio debole vascello spezzato e schiantato i dai
tuoi forti urti e dai tuoi colpi violenti i non può reggere, e per forza deve
naufragare : sulle scabre rocce. o sulle secche sabbiose>>].
' [«To scan» in inglese significa sia «guardarsi intorno, orientarsi»
che « scandire»].
6 [«Tra le cime degli alti alberi scrutava»].
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L '«EPOS » 347
To th'instrumcnts Jiuine responJence meet:
Thc silucr sounding instruments dici mcet ... '.
Quando si parla di un « pericoloso ponte», abbiamo:
Streight was the passage like a ploughed ridge,
That if two met, the one mote needes fall ouer the lidge'.
I lettori della Renaissance erano abilissimi nel ricono-
scere tali effetti poetici poiché avevano studiato retorica
sui banchi di scuola: per esempio un verso apparentemen-
te innocuo del January di Spenser viene immediatamente
bollato da E. K. come « nient'altro che un'epanortosi... e
tutto sommato una paronimia». La fonte dei versi di Po-
pe sopra citati è il De arte poetica di Vida, anteriore a
Spenser. Dopo Spenser il poeta che mostrò con maggior
coerenza - o insistenza - un genuino interesse per l'armo-
nia imitativa fu Cowley; egli la usò cosi liberamente nel-
la sua Davideis da provocare l'irritazione di Johnson, che
non vedeva per quale ragione un pino dovesse essere piu
alto in alessandrini che in pentametri. Tuttavia alcuni de-
gli effetti ricercati da Cowley sono piuttosto interessanti,
come per esempio il suo uso dell'emistichio «oracolare».
Ecco l'esempio di un suo pentametro dove tre piedi ven-
gono eliminati per lasciar spazio a una silenziosa contem-
plazione:
O who shall tel1, who shal describe thy Throne,
Thou great Threc-One?'.
Il primo dei versi di Pope sopra citati ( « 'Tis not enough
no harshncss gives ofience ») implica che un'acuta disso-
nanza o un'apparente confusione nell'espressione posso-
1 [Qui è necessario dare, per il senso, i quattro versi centrali della stan-
za: «Th'Angelic.11! soft trembling voyces made! To th'instruments diuine
respondencc meN: '. The silucr sounding instruments did mcct : With the
base murmure of rhe waters fai!». « Le dolci tremule voci angeliche pro-
ducevano I una appropriatn rispondenza divina agli strumenti: ; gli stru-
menti dal suono argentino s'incontravano '. con il mormorio sommesso
della cascata»].
2 [«Stretto era il passaggio, come un solco arato, i sf che se due s'in-
c,1ntravano, uno rischia,·a di precipitare»].
3 [«Oh, chi di rii, chi descriverà il tuo Trono, '. Tu grande Uno e Tri·
no?»]
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

no spesso essere interpretate come decorum imitativi. Po-


pe usa tali volute dissonanze nello stesso Essay, quando ci
dà orrendi esempi di usi che egli disapprova, e la discus-
sione di Addison a tale proposito nel numero 253 dello
« Spectator » rivela quale vivace interesse questi espedien-
ti potessero ancora suscitare. Ecco, per esempio, come Po-
pe descrive un genio costipato:
And strains, from hard-bound brains, eight lines a year '.

Spenser naturalmente adopera molto spesso questo espe-


diente. L'uso infelice e improprio dell'allitterazione, per
esempio, rivela che l'eloquio di un personaggio (Bragga-
docchio) è bugiardo e ipocrita:
But minds of mortall men are muchell mard,
And mou'd amisse with massie mucks unmeet regard'.
E quando l'ingannevole Duessa tenta san Giorgio, la
grammatica, il ritmo, e l'assonanza non potrebbero essere
peggiori: l'orecchio avrebbe dovuto mettere in guardia il
nobile cavaliere:
Yet thus perforce he bids me do, or die.
Die is my dew; yct rew my wretched state
You .. .'.
Certi espedienti di armonia imitativa entrano a far par-
te del patrimonio espressivo di ogni lingua, e molti di es-
si, in inglese, sono cosi noti che non c'è bisogno di ricor-
darli: i versi tronchi aumentano la velocità, i ritmi trocai-
ci suggeriscono un movimento discendente, e cosi via. Il
nucleo originario di parole inglesi è costituito soprattutto
da monosillabi, e ogni monosillabo richiede di solito un
accento separato, per quanto leggero. Perciò le lunghe pa-
role latine, se usate accortamente, hanno la funzione rit-
mica di alleggerire il metro, in contrasto con lo strepito

1 [«E stiracçhia fuod da un cervello stitico otto \'Crsi all'anno i,].


2 [«Ma gli animi dei mortali molto son viziati ! e sviati da una disdi-
cevole considerazione per cose grevi e sudicie»].
' [«Pure egli mi ordina di far cosf, o di morire. '. Morire è quel che mi
tocca; ma abbi pietà del mio infelice stato i tu ... »]
IL RITMO DELLA RICORRENZA: L'<<EPOS» 349
molle e aritmico che si produce « when ten low words 1 oft
creep in one dull line » '. Assai piu utile si rivela in inglese
un espediente derivato da quest'ultimo fenomeno: il co-
siddetto verso spezzato con uno spondeo nel mezzo sug-
gerisce efficacemente già nell'anglosassone (in cui rappre-
senta il tipo Cdi Sìevers) un presentimento o un presagio:
Thy wishcs then dare not be told'. (WYATT)
Depending from on high, dreadful to sight ◄- (sPENSER)
Which tasted works knowledge of good and evil'. (MILTON)

L'armonia imitativa può essere usata occasionalmente


in qualunque forma letteraria, ma come effetto continuo
essa è particolarmente adatta all'epos in versi, dove serve
a creare delle varianti rispetto allo schema metrico norma-
le, molto sostenuto. I drammaturghi e i prosatori la usano
con molta parsimonia: la si trova in Shakespeare solo per
ben precise ragioni, come quando nella landa selvaggia
Lcar si rivolge urlando alla tempesta con i suoni e gli ac-
centi della tempesta stessa. Se essa viene usata nella lirica,
crea un effetto di tour de farce che assorbe quasi tutto
l'interesse e trasforma la poesia in epigramma. Ne è un
esempio la vivace composizione trecentesca The Black-
smiths, in cui l'allitterazione riproduce il battito del mar-
tello:
Swarte smekyd smethes smateryd wyth smoke
Dryue me to deth wyth den of here dyntes .. .6.

Di tanto in tanto ritorna nella storia della retorica la


teoria di una relazione «naturale» tra il suono e il signi-
ficato. Non è molto verisimile che tale relazione naturale
esista, ma è chiara l'esistenza nel linguaggio di un elemen-

1 Essay on Criticism, 347; naturnlmcnte, quel che stride nel verso non
è che ci siano troppi monosillabi, ma i troppi accenti ritmici.
' [«Quando dieci brevi parole si insinuano, come spesso accade, in un
S•.J lo fiacco verso»].
3 [«I tuoi desideri ullora non osano esser detti»].
4 [«Che incombe in alto, orrendo a vedersi» (riferito a un dirupo)],
5 [«Che, ass~ggi:ito, rern la conoscen%a del bene e del male»].
6 [«Neri nffumicati fabbri avvolti dal fumo I mi fanno morire col fra-

gore <lei loro colpi. .. »]


35° CRITICA RETORICA: TEORTA DEI GENERI

to onomatopeico che il poeta sviluppa e sfrutta. È piu lo-


gico ritenere invece l'armonia imitativa un'applicazione
speciale di una caratteristica retorica che è analoga alla
«quantità» classica, ma che sarebbe meglio definita dalla
parola « qualità f>: questa caratteristica è l'uso di schemi
di assonanze vocaliche e consonantiche. Non è difficìle di-
stinguere tra l'epos che ricorre continuamente a schemi di
suoni o« qualità», come Hyperion, dall'epos pet esempio
di Red Cotton Nip,htcap Country, in cui il suono ha so-
ptattutto la funzione di rendere il senso, cd è perciò mol-
to piu vicino alla prosa. Ci accorgiamo che non vi è nes-
sun coerente schema di suoni quando ci troviamo di fron-
te a due versioni della stessa composizione poetica, ugual-
mente soddisfacenti, ma diverse nel tessuto (è il caso del
prologo chauceriano alla Legend of Good W omen).
La ragione principale della confusione nell'uso del ter-
mine« musicale» nella critica letteraria è che quando i cri-
tici pensano al valore «musica» in poesia, raramente pen-
sano alla musica contemporanea alla poesia che essi stan-
no discutendo, dove troverebbero l'uso di accenti e ritmi
di danza, e si rifanno invece alla struttura (in gran parte
sconosciuta) della musica classica, che era probabilmente
piu vicina al canto e all'accento di perfetta intona:done.
Abbiamo dato particolare rilievo all'armonia imitativa
perché essa illustra il principio per cui, mentre nella poe-
sia classica lo schema dei suoni o quantità, come elemento
di ricorrenza periodica, fa parte del melos della poesia,
nella nostra poesia esso fa parte dell'opsis.
Il ritmo della continuità: la prosa

In ogni poesia avvertiamo la presenza di almeno due


ritmi ben distinti. Uno è il ritmo ricorrente che, come ab-
biamo or ora visto, è formato dall'accento, dal metro, e
dallo schema dei suoni. L'altro è il ritmo semantico o del
significato, quel che di solito si ritiene il ritmo della pro-
sa. Esagerando il primo tipo di ritmo, cioè parlando in
poesia ad alta voce, si crea una cantilena; esagerando il
secondo tipo si crea una« prosa insensatamente enfatica»,
per citare un giudizio di Bernard Shaw su come si reci-
tava Shakespeare ai suoi tempi. Abbiamo epos in versi
quando il ritmo principale e organizzativo è quello perio-
dico, e prosa quando è quello semantico. La prosa lette-
raria ri5ulta dall'uso in letteratura della forma presa apre-
stito dalla composizione discorsiva o assertiva. I trattati
in versi, per quanto «impoetici», sono sempre classificati
come letteratura.
Il XVI secolo fu un periodo di esperimenti, soprattut-
to nell'epos in versi o ritmo continuo, per usare il termi-
ne di Hopkins. L'influsso del melos avviò lo sviluppo del
verso non rimato, quello dell'opsis sviluppò la stanza
spenscriana e l'esametro di Drayton (il fatto che Polyol-
bion sia un poema descrittivo può giustificare la scelta di
questo metro da parte di Drayton). Come in tutti i perio-
di di esperimenti, vi furono dei relativi fallimenti: alcu-
ni metri, come la poulterer's measure1, furono per qualche
tempo di moda e poi scomparvero. L'epos in prosa, cioè

1 [Metro <li versi alternati di Jo<lici e quattordici sillabe].


35 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

la prosa concepita soprattutto come prosa oratoria, ri-


flette il predominio culturale dell'epos: essa è di solito
concepita come una forma sussidiaria dell'espressione par-
lata, la cui forma piu alta è il verso. La prosa viene consi-
derata di livello stilistico basso o medio: sono indicative,
in questo senso, metafore come quella di Milton « seduto
qui in basso nel fresco elemento della prosa». Perciò ogni
tentativo di dare dignità letteraria alla prosa consiste nel
conferirle alcune delle caratteristiche del verso.
Secondo .Jeremy Bentham la distinzione tra il verso e la
prosa risiede nel fatto che nella prosa le righe tendono a
occupare tutta la pagina. Come molte osservazioni inge-
nue, questa di Bentham contiene una verità che la miopia
di certa dottrina non riesce forse ad afferrare. Il ritmo del-
la prosa è continuo, non ricorrente, e tale fatto è simbo-
leggiato dalle righe della pagina stampata che si susseguo-
no una all'altra e che sono spezzate per la tecnica necessi-
tà di andare a capo. Naturalmente ogni prosatore sa che
la composizione di una pagina di prosa non è meccanica
come l'atto di stamparla, e che la stampa può danneggia-
re o persino rovinare il ritmo di una frase mettendo per
esempio una parola particolarmente enfatica alla fine di
una riga anziché al principio della seguente, oppure spez-
zando una parola di forte rilievo ritmico, e cosi via. Ma
il prosatore è in gran parte prigioniero della sua stessa
fortuna, a meno che non voglia ribellarsi ad essa con un
mallarmeano Coup des dés. Le caratteristiche della prosa
oratoria rinascimentale, con i suoi molti elementi ritmi-
ci ricorrenti, sono spesso mascherate dalla stampa conti-
nua della tipografi.a. La salmodia antifonale dei character
books' lo dimostra chiaramente:
He distastes religion as a sad thing
ami is six years clder fora thought of heaven.
He scorns and fcars, and yct hopes for old age,
but dare not imagine it with wrinkles ...
He offers you his blood today in kindncss,
and is ready to take yours tomorrow.

1 [Letteratura psicologico-moralistica di ispirazione teofrastiana fiorita


soprattutto nel '600].
IL RITMO DELLA CONTINUITÀ: LA PROSA 353
He does seldom anything which be wishes not to do again,
and is only wise after a misfortune ... 1 •
L'eufuismo a sua volta usa tutti gli espedienti indicati
nei libri di retorica, compresi la rima, l'equilibrio metri-
co, e l'allitterazione, che vengono di solito ritenuti pre-
rogative del verso. La prosa ciceroniana era basata sul rit-
mo del periodo e sull'equilibrio delle clausole, spesso
molto simile all'equilibrio metrico. Nelle opere in prosa
che sono deliberati esercizi retorici, come Urn Burial di
Browne, si possono riscontrare unità ritmiche ricorrenti
come le clausulae ciceroniane: « handsome enclosure in
glasses», «revengeful contentions of Rome»', sono esem-
pi di anapesti. Nella Bibbia del 16u si va a capo al prin-
cipio di ogni versetto: e ciò soprattutto per comodità del
predicatore, ma anche per sottolineare il ritmo della pro-
sa biblica, che non risalterebbe in una normale pagina di
stampa. Anche il ritmo di alcuni saggi di Bacone, special-
mente i primi che sono in stile piu aforistico, si potrebbe
cogliere con maggiore chiarezza se a ogni frase si andasse
a capo.
Con il xvn secolo termina il periodo degli esperimenti
sul ritmo continuo e inizia un periodo di esperimenti pro-
sastici. Ci si ribella alla retorica formale e semimetrica dei
ciceroniani e si tende allo stile naturale e parlato della
prosa attica o «Senecan amble»'. In Dryden l'emancipa-
zione dal predominio del metro e l'emergere del ritmo se-
mantico caratteristico della prosa è già un fatto compiuto.
Quindi Matthew Arnold aveva ragione di definire il pe-
riodo di Dryden e di Pope un'epoca di prosa e di raziona-
lismo, non perché la poesia del tempo fosse prosastica, ma
perché la prosa era prosa pienamente sviluppata e attuata.
Uno dei fatti curiosi della storia letteraria è che la famosa
scoperta di M. Jourdain è davvero una scoperta; non solo,
1 [«Non am:i la religione perché è malinconica I e ragiona del cielo co-
me un bamhino di sei anni. I Disprezza e teme, eppure spera di raggiunge-
re la vecchiaia, I ma non osa immaginarla con le rughe ... ! Oggi ti offre ge-
nerosamente il suo sangue I ma è pronto damani a versare il tuo. I Rara-
mente fa qm1lche cosa che non desidera rifare, I e diventa saggio solo dopo
una disgrazia ... »]
2 [«Bei recipienti cli vetro», «conflitti e vendette di Roma»].
3 Cfr. il libro con questo titolo di G. Williamson (r95r).

12
354 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

ma che la letteratura ci è arrivata a un punto molto avan-


zato del suo sviluppo.
Dicendo che il ritmo caratteristico della prosa emerge
piu chiaramente nell'epoca di Dryden, non intendiamo di-
re, evidentemente, che si è cominciato a scrivere allora in
una prosa migliore (ma forse il lettore non ha piu bisogno
di essere messo in guardia contro poco pertinenti giudizi
di valore). Intendiamo dire soltanto che diventa allora
evidente che la prosa in se stessa è un mezzo trasparente:
allo stato puro - quando cioè è piu lontana dall'epos e da
altri influssi metrici - essa non frappone alcun ostacolo al-
la comprensione e presenta il proprio contenuto come at-
traverso il cristallo di una vetrina. Va da sé che tale neu-
tra limpidezza non è affatto insulsa, l'insulsaggine essendo
necessariamente opaca. Quindi mentre non vi è alcuna ra-
gione letteraria per cui la prosa non debba essere retorica
nella misura desiderata dallo scrittore, avviene però spes-
so che la prosa retorica sia uno svantaggio quando è usata
per scopi non letterari. A dimostrarlo basta forse osserva-
te che è impossibile dire la verità nello stile di Macaulay;
anche se Macaulay non è lo scrittore a proposito del quale
questa osservazione sia piu pertinente. Una prosa molto
ricercata e formale non è abbastanza duttile per assolvere
il compito puramente descrittivo della prosa: essa tende
infatti ad imporre continuamente al proprio materiale ec-
cessive semplificazioni e schemi simmetrici. Persino Gib-
bon sacrifica l'esatta definizione di un fatto a un'antitesi.
Qualcosa di questo genere si riscontra anche nella lettera-
tura: per esempio studiando i romances eufuisti ci si ac-
corge di quanto sia difficile narrare una storia in prosa eu-
fuistica. L'eufuismo deriva da forme oratorie e resta sem-
pre un linguaggio piu adatto all'arringa che alla letteratu-
ra: infatti lo scrittore eufuista approfitta di tutte le occa-
sioni possibili per ricadere nel monologo.
In altri termini, la prosa retorica si adatta assai meglio
per sua natura agli scopi della retorica, cioè all'esornazio-
ne e alla persuasione. Ma poiché questi due scopi sono op-
posti da un punto di vista psicologico, l'efficacia della pro-
sa persuasiva è spesso neutralizzata da quello stesso ele-
mento esornativo che la rende cosi piacevolmente persua-
IL RITMO DELLA CONTINUITÀ: LA PROSA 355
siva. La bellezza degli scritti religiosi di Jeremy Taylor
consiste in un certo disinteresse che li mantiene entro i
limiti della letteratura senza farli cadere nella corrente
passeggera della persuasione attiva. Il principio che tale
atteggiamento implica non è affatto limitato a Taylor:
persino nella congregazione anglosassone di Wulfstan'
devono esserci stati degli spiriti raffinati e laicizzanti che
pensavano assai meno ai loro peccati che alla padronanza
del ritmo allitterativo nei sermoni:
Her syndam mannslagan ond maegslagan ond maesscrba.
nan ond mynsterhatan, ond her syndan mansworan ond
morthorwyrhtan, ond her syndan myltestran ond bearnmyr-
thran on<l fulc forlegcne horingas manege, ond her syndan
wiccan ond waclcyrian, ond her syndan ryperas ond reafe-
ras ond woroistru<leras, on<l, hraedest is to cwethenne, ma-
na ond misdaeda ungerim calra'.
Ci occupiamo ora di prosa letteraria: piu avanti in que-
sto saggio esamineremo il ritmo della prosa non-lettera-
ria. La tendenza ai periodi lunghi composti di frasi brevi
e di clausole coordinate, alla ripetizione enfatica, intrec-
ciata a un ritmo lineare, la tendenza all'invettiva e ai ca-
taloghi esaustivi, la tendenza a esprimere il movimento
o il processo del pensiero, anziché l'ordine grammaticale
del pensiero ben articolato sono tra i sintomi della presen-
za del melos nella prosa. Rabelais è uno dei piu grandi
maestri del melos nella prosa: la meravigliosa festa di be-
vitori nel quinto capitolo del primo libro mi sembra per-
fettamente musicale in senso tecnico, un Jannequin tra-
dotto in parole, per cosi dire. In inglese abbiamo Burton
che si dice si divertisse ad andare sulle rive dell'Isis per
ascoltare le imprecazioni dei battellieri. Forse le sue visi-
te avevano uno scopo professionale perché le qualità del
suo stile sono essenzialmente quelle dell'imprecazione ef-
1 l'.n altro testo del Senno Lupi ad Ang/os aggiunge un'altra coppia di
allitterazioni alla citazione da noi data, il che indica la libertà quantitativa
implicita in tale retorica.
2 [«Ci sono assassini e fratricidi e omicidi di sacerdoti, e persecutori

di monasteri, e ci sono spergiuri e uccisori, e ci sono prostitute e infanti-


cidi e molti fornicatori adulteri; e ci sono stregoni e valchirie, e ci sono
masnadieri e razziatori e predatori, e, a dirla nel modo piu breve, di tutti
i crimini e misfatti innumerevoli»].
356 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

ficace: un senso del ritmo cadenzato, l'amore per l'invet-


tiva e l'accumulazione di parole, un vocabolario illimitato,
la tendenza a pensare in brevi unità ritmiche, e una cono-
scenza enciclopedica delle due materie necessarie all'im-
precazione, la teologia e l'igiene personale. Tutte queste,
eccetto le ultime due, sono caratteristiche musicali.
La prosa di Milton, nei suoi momenti migliori, è come
i suoi versi ricca di« autentico diletto musicale», anche se,
naturalmente, di un genere diverso. Essa è caratterizzata
da enormi periodi sintattici formati da brevi, rabbiose e
stentate proposizioni, da variazioni di velocità all'interno
di questi periodi, dall'accumulazione retorica di epiteti
ricchi di una forte carica emotiva, da perorazioni ruggenti
come le code delle composizioni di Beethoven. Sterne pe-
rò è il maggior maestro del melos in prosa prima dello svi-
luppo delle tecniche del <i flusso della coscienza» miranti
a riprodurre il processo del pensiero: tecniche che hanno
riportato alla luce il melos ai giorni nostri. In Proust tale
tecnica prende la forma di un intreccio wagneriano di
Leit-motiv. In Gertrude Stein vi è una deliberata prolis-
sità di linguaggio che dà alle parole qualcosa della carat-
teristica musicale della ripetizione. Ma lo scrittore che ha
fatto i piu elaborati esperimenti nel melos è naturalmente
Joyce, e la scena del bar in Ulysses (quella chiamata «Si-
rene» nel commento di Stuart-Gilbert) sebbene abbia un
che di acrobatico, è pur sempre una prova convincente del
fatto che le tecniche or ora discusse hanno un'analogia
non soltanto immaginaria con la musica. L'analogia è ac-
cettata da Wyndham Lewis, per esempio, il cui Men
Without Art vuol essere un manifesto in favore dell'op-
sis. Si può scoprire una tendenza al melos qua e là anche
in scrittori che di solito non hanno il senso della musica.
Quando nello stile di Sartus Resartus incontriamo brani
come « From amid these confused masses of Eulogy and
Elegy, with their mad Petrarchan and Werterean ware ly-
ing madly scattered among ali sorts of quite extraneous
matter»', vediamo che alcuni degli espedienti dell'eufui-
1 [«Da queste confuse masse di elogi e di elegie, con i loro folli ingre-
dienti petrarcheschi e wertcriani follemente sparsi in mezzo a ogni genere
di mat~riali estranei»],
IL RITMO DELLA CONTINUITÀ: LA PROSA 357
smo sono usati per creare un'accentuazione lineare anzi-
ché un equilibrio simmetrico, come accadrebbe nello stile
eufuistico vero e proprio.
In prosa come in poesia, gli scrittori a cui piu spesso si
attribuisce il termine «musicale» nell'accezione sentimen-
tale sono di solito i piu lontani dalla musica vera e pro-
pria. In De Quincey, Pater, Ruskin e Mortis, tanto per
fare qualche nome, la tendenza all'opsis comporta spesso
descrizioni elaborate di carattere pittorico e lunghe simi-
litudini decorative, ma queste non definiscono la tenden-
za stessa: non si può giudicare della qualità di uno stile
dalla scelta dell'argomento. La vera differenza sta piutto-
sto nella concezione della frase. I periodi lunghissimi de-
gli ultimi romanzi di James sono periodi inclusivi: tutte
le definizioni e le parentesi sono inserite in uno schema
ben preciso, e quando ogni momento è stato sviluppato
quel che emerge non è un processo di pensiero lineare ma
una comprensione simultanea. Quanto è stato spiegato
viene rivoltato ed esaminato da tutti i punti di vista, ma
esiste, per cosi dire, nella sua totalità sin dall'inizio. An-
che in Conrad gli spostamenti nella narrazione - all'indie-
tro o in avanti, come egli stesso dice - hanno la funzione
di distogliere la nostra attenzione dall'ascolto della storia
e di concentrarla sulla situazione fondamentale del roman-
zo. La sua espressione « soprattutto farvi vedere» contie-
ne una metafora visiva il cui significato originario è anco-
ra molto forte. Un effetto opposto ottengono i movimenti
narrativi interni di T1'istram Shandy: essi distraggono la
nostra attenzione dalla situazione esterna e la concentrano
sul processo della formazione di tale situazione nella men-
te dell'autore.
Poiché la prosa è di per se stessa un mezzo trasparente,
ben pochi scrittori di prosa mostrano una spiccata ten-
denza per l'uno o l'altro atteggiamento. In genere siamo
in presenza di una definita tendenza al melos o all' opsis
quando notiamo uno «stile» particolarmente marcato,
cioè una idiosincrasia retorica della struttura verbale.
Browne e Jeremy Taylor hanno una notevole tendenza
per l'opsis e Burton e Milton per il melos: l'osservazione
su Taylor di un personaggio di un racconto di O. Henry,
358 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

« Perché qualcuno non scrive delle parole che accompa-


gnino il suo stile?», si riferisce a qualcosa di analogo non
tanto alla musica quanto a uno schema di suoni alla Ten-
nyson.
Possiamo forse arrischiare una generalizzazione, affer-
mando che l'influsso classico sulle letterature europee
consiste soprattutto nell'aver sviluppato la tendenza al-
l'opsis: infatti una lingua flessiva permette una maggior
libertà nell'ordine delle parole che non l'inglese o il fran-
cese moderno, e si tende quindi a pensare la frase come
contenente tutte le sue parti allo stesso tempo. Persino in
Cicerone, che è un oratore, abbiamo una acuta consapevo-
lezza del senso dell'equilibrio, e l'equilibrio implica una
neutralizzazione del movimento lineare. Nel latino del pe-
riodo tardo si incomincia a percepire un nuovo tipo di
propulsione lineare, e ci si avvicina alla nuova civiltà teu-
tonica con il suo verso allitterativo e il suo tipo di musica,
ancora allo stato embrionale, basata sugli accenti ritmici.
Ecco per esempio in Cassiodoro 1 parole tematiche e ac-
centi allitterativi che risuonano e si richiamano attraverso
turgide frasi:
Hinc etiam appellatam aestimamus chordam, quod facile
corùa moveat: uhi tenta vocum collecta est sub divcrsitate
concordia, ut vicina chorda pulsata alteram faciat sponte
contremiscere, quam nullam contigit attigisse'.
1 Citato da w. P. KER, The D.1rk Age.r ( 19u), If9,
2 [«Cosi anche riteniamn che la corda abbia questo nome perché facil-
mente riesce a commuovere i cuori: quando la si tende, i suoni si armonii-
zano nel loro contrasto, e una corda percossa fa si che un'altra vicina, non
toccata, vihri da sola»].
Il ritmo del «decoro»: il teatro

In ogni struttura letteraria percepiamo l'esistenza di


una qualità che potremmo definire la qualità della perso-
nalità verbale o della voce che parla: qualcosa di diverso
dal diretto rivolgersi dell'autore al lettore, sebbene a esso
collegato. Quando abbiamo la sensazione che questa qua-
lità sia la voce stessa dell'autore, la chiamiamo stile: le
stvle c'est l'homme è un assioma accettato da tutti. Il con-
c~tto di stile è basato sul fatto che ogni scrittore ha il suo
ritmo, inconfondibile come la sua calligrafia, e il suo siste-
ma di immagini, che va dalla preferenza per certe vocali
e consonanti all'interesse per due o tre archetipi fonda-
mentali. Lo stile esiste in ogni forma di letteratura, natu-
ralmente, ma appare al suo stato piu puro nella prosa te-
matica: esso è infatti il principale termine letterario che si
applica ad opere in prosa classificate generalmente come
non-letterarie. Il grande momento dello stile è il periodo
tardo-vittoriano, quando uno dei presupposti fondamen-
tali della critica era l'essenziale rapporto tra l'opera e la
personalità.
Nel romanzo ci rendiamo conto che il problema è piu
complicato: i dialoghi devono avere la voce dei personag-
gi della storia e non dell'autore, e a volte essi sono cosi
diversi e staccati dalle parti narrative che il libro sembra
scritto in due linguaggi del tutto differenti. La pertinem~a
dello stile a un argomento o personaggio è chiamata « de-
coro» o appropriatezza dello stile al contenuto. Si tratta
in genere della voce etica del poeta, dell'adattamento del-
la sua voce alla voce di un personaggio o all'intonazione
richiesta dall'argomento o dall'atmosfera. Quindi, come
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

lo stile appare nel suo stadio piu puro nella prosa discor-
siva, cosf il «decoro» si trova al suo stadio piu puro nel
teatro, dove il poeta non compare di persona. Secondo
questo nostro punto di vista, il teatro può essere defini-
to come un epos o fiction immessa nel ritmo del « de-
coro».
Il teatro è una mimesi del dialogo o della conversazio-
ne, e la retorica della conversazione deve naturalmente es-
sere molto flessibile. Essa può comprendere un discorso
preordinato come quella sorta di dialogo a botta e rispo-
sta, che viene chiamato sticomitia quando la sua base è
metrica; essa deve inoltre risolvere la duplice diffirnltà di
esprimere il carattere e il ritmo discorsivo del personag-
gio che parla e allo stesso tempo adattare entrambi alla
situazione e agli umori degli altri interlocutori. Nel teatro
elisabettiano il centro di gravità, per cosi dire, si trova in
una zona tra l'epos e la prosa, cosf da spostarsi liberamen-
te dall'uno all'altra, a seconda rlelle esigenze del « deco-
ro», che sono di solito quelle del livello sociale del perso-
naggio e del genere specifico del lavoro drammatico. La
commedia e gli strati sociali piu bassi tendono a esprimer-
si in prosa; in epoche piu tarde, mentre l'epos lascia il po-
sto alla fiction, la commedia e la prosa si adattano alle mu-
tate condizioni storiche e sociali in una misura sconosciu-
ta alla tragedia e all'epos in versi.
Tuttavia anche nella commedia in prosa, in cui è ormai
scomparso quasi completamente l'elevato stile retorico ne-
cessario ai personaggi appartenenti a una classe dominan-
te, resta ancora da risolvere il problema tecnico di come
rappresentare in prosa quegli elementi che il teatro in ver-
si esprime per l'appunto in versi: elementi come la digni-
tà, la passione, le immagini concettose (forse piu impor-
tanti di ogni altro elemento) e il pathos. Spesso la comme-
dia in prosa fa fronte a questa difficoltà sviluppando uno
stile epigrammatico e ricercato, in cui riappaiono le trac-
ce della struttura antitetica e ripetitiva della prosa retori-
ca. Quasi tutti i grandi commediografi di lingua inglese,
da Congreve a O'Casey, sono irlandesi, e l'Irlanda è il
paese in cui la tradizione retorica è sopravvissuta piu a
lungo. Anche la prosa del teatro di Synge è di tipo manie-
IL RITMO DEL «DECORO»: IL TEATRO 361
ristico1, sebbene si proponga di riprodurre il ritmo delle
parlate dei contadini irlandesi. Al contrario, un ritmo me-
trico come quello di Browning nell'Ottocento o di Eliot
e Fry nel nostro secolo sembra scavalcare l'abisso tra l'e-
pos e la prosa con uno sforzo molto minore. Forse Shaw
non ha tutti i torti quando afferma che è piu facile scrive-
re un lavoro drammatico in versi sciolti che in prosa. E se
ha ragione, il senso di forzatura e di innaturalczza della
maggior parte del teatro moderno in versi è forse dovuto
all'uso di una retorica non appropriata, una retorica trop-
po lontana dai ritmi della conversazione normale, cosa che
nel teatro elisabettiano, per stilizzato che sia, accade mol-
to di rado.
Il tentativo di tradurre in versi i ritmi della conversa-
zione non interessò molto i romantici o i vittoriani. Spes-
so si pretende dagli studenti di inglese che scrivano, come
voleva la consuetudine romantica, utilizzando il maggior
numero possibile di parole brevi di origine indigena, per-
ché ciò renderebbe il loro vocabolario il piu concreto pos-
sibile: ma uno stile basato sulle parole semplici indigene
può essere il più artificioso di tutti. Lo stile di Samuel
Johnson anche nei suoi momenti piu reboanti è pur sem-
pre colloquiale e simile alla conversazione quotidiana, se
paragonato a un romance di William Morris. Oggi la lin-
gua parlata inglese a un livello culturale medio, appesan-
tita com'è da molti vocaboli lunghi, astratti o tecnici e dal
forte accento dei vocaboli brevi, è un rumore polisillabico
che si addice assai piu alla prosa che alla poesia. I libri
profetici di Blake rappresentano uno dei pochi tentativi
riusciti di instaurare il ritmo della conversazione nel ver-
so, un tentativo cosi riuscito che molti critici si domanda-
no ancora adesso se sia « veramente poesia». L'opinione
di Blakc che fosse necessario un verso piu lungo del pen-
tametro per tradurre in versi un linguaggio colloquiale
colto può essere paragonata agli esperimenti di Clough e
Bridges con gli esametri. Sono anch'essi tentativi di affer-
rare lo stesso tipo di ritmo, sebbene si abbia l'impressio-
ne, almeno in Clough, che una stretta aderenza al metro
1 Cfr. T. s. ELIO'l", Poetry and Drama (1951).
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

dia all'accento una qualità troppo rullante. Il ritmo me-


trico di The Cocktail Party, che è forse una delle piu chia-
re anticipazioni dello sviluppo di un nuovo centro ritmico
di gravità tra il vetso e la prosa nella lingua parlata mo-
derna, si rifà a un ritmo molto vicino all'antico verso a
quattro accenti. Forse sta prendendo forma un lungo ver-
so ritmico a sei o sette battute, adattato al dialogo recita-
to mediante una cesura che lo spezza in due.
La questione del melos e dell'opsis nel teatro si può
cosi riassumere: il melos è la musica vera e propria, I'opsis
sono l'apparato scenico e i costumi.
Il ritmo dell'associazione: la lirica

Nella successione storica dei modi, tutti i generi sem-


brano giungere, a turno, al loro apogeo. Il mito e il ro-
mance si esprimono soprattutto nell'epos; il genere dram-
matico come prodotto di un teatro stabile si afferma nel-
modo alto-mimetico con il sorgere di una nuova coscienza
nazionale e lo sviluppo della retorica profana. Il modo
basso-mimetico incoraggia lo sviluppo della fiction e l'uso
crescente della prosa, il cui ritmo finisce con l'influenzare
il verso. La teoria di Wordsworth per cui, a parte il me-
tto, la lexis della poesia e della prosa sarebbero identiche,
è un manifesto della tendenza basso-mimetica. Resta infi-
ne la lirica che è il genere in cui il poeta, come lo scrittore
ironico, volta le spalle al pubblico. È anche il genere che
rivela piu chiaramente il nucleo ipotetico della letteratu-
ra, cioè l'elemento «narrazione» e l'elemento « significa-
to» nelle loro accezioni letterali di ordine e di schema di
parole. Sembra che il genere lirico abbia un rapporto par-
ticolarmente stretto con il modo dell'ironia e con il livel-
lo letterale del significato.
Prendiamo un verso di una poesia qualsiasi, per esem-
pio l'inizio del grandioso discorso di Claudio in Measure
/or Measure:
Ay, butto die, and go we know not where'.
Naturalmente ne sentiamo il ritmo metrico, un pentame-
tro giambico recitato come un verso con quattro accenti
ritmici. Ne sentiamo il ritmo semantico o prosastico, e ne
1 [«Ah! Morire, e andare non sappiamo dove»].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

sentiamo quello che potremmo chiamare il ritmo del « de-


coro», cioè la rappresentazione verbale dell'orrore di un
uomo di fronte alla morte. Ma, se ascoltiamo il verso con
molta attenzione, ne possiamo sentire anche un altro ele-
mento ritmico, un ritmo «profetico», misterioso, medita-
tivo, irregolare, imprevedibile, ed essenzialmente discon-
tinuo, che emerge dalle coincidenze dello schema sonoro:
Ay:
Butto die ...
andgo
we know
not where ...

Come il ritmo semantico è l'iniziativa della prosa, e il


ritmo metrico quello dell'epos, cosi il ritmo profetico sem-
bra essere il principio fondamentale della lirica. Il princi-
pio della prosa ha di solito il suo centro di gravità nella
mente cosciente: lo scrittore discorsivo scrive deliberata-
mente, e lo scrittore di prosa letteraria imita un processo
di deliberazione. Nell'epos in versi la scelta del metro sta-
bilisce la forma di organizzazione retorica: il poeta svilup-
pa inconsciamente una certa attitudine a pensare in que-
sto metro, che diventa poi normale in lui, ed è perciò li-
bero di fare altre cose, come raccontare storie, esporre
idee, o introdurre le modifiche richieste dal «decoro».
Nessuno di questi fattori tuttavia sembra essenziale a ciò
che immaginiamo peculiare della creazione poetica: que-
sta consiste in un processo retorico di relazioni che per lo
piu si svolge al di qua della soglia della coscienza, ed è un
caos di paronomasie, associazioni fonetiche, ambigue as-
sociazioni semantiche, e associazioni mnemoniche simili
a quelle dei sogni. Da ciò emerge l'unione specificamente
lirica di suono e significato. Come il sogno, anche l'asso-
ciazione verbale è soggetta a una censura che potremmo
chiamare «il principio di plausibilità»: essa deve cioè as-
sumere necessariamente una forma che possa essere accet-
tata dal poeta e dal lettore nello stato di veglia cosciente,
e adattarsi ai segni significativi propri del linguaggio pu-
ramente enunciativo cosi da essere comunicata alla co-
scienza. Pare tuttavia che il ritmo associativo mantenga
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE: LA LIRICA

un certo rapporto con il sogno simile al rapporto del tea-


tro con il rituale religioso. Come tutti gli altri, anche il
ritmo associativo si può trovare in ogni tipo di composi-
zione: il rimaneggiamento tipografico di Pater fatto da
Yeats, che si trova all'inizio dell'Oxford Book of Modern
Verse, mostra come tale ritmo si possa ricavare dalla
prosa.
L'unità metrica piu naturale della lirica è la discontinua
unità della stanza, e anticamente buona parte della lirica
tendeva ad articolarsi in schemi strofici regolari che riflet-
tevano la loro derivazione dall'epos. L'epos composto di
stanze come quello dei romances medievali è in genere
molto piu vicino all'atmosfera di un mondo di sogno che
non l'epos in versi continui. Con il Romanticismo inco-
minciò a diffondersi la sensazione che la « true voice of
feeling» 1 tendeva ad esprimersi in un ritmo imprevedibi-
le e irregolare. Secondo il Poetic Principle di Poe la poe-
sia è nella sua essenza misteriosa e discontinua, poetico si-
gnifica lirico, e l'epos in versi consta di momenti lirici te-
nuti insieme da brani di prosa versificata. Questo è un ma-
nifesto estetico del periodo ironico della letteratura, co-
me la prefazione di Wordsworth lo era per il periodo bas-
so-mimetico, ed è un preannuncio dell'avvento di un terzo
periodo di esperimenti tecnici nella letteratura inglese,
periodo in cui l'obbiettivo principale sarà liberare e met-
tere in luce il ritmo specifico della lirica. Scopo del verso
«libero» non è semplicemente ribellarsi alle convenzioni
del metro e dell'epos, ma individuare un ritmo indipen-
dente che sia distinto dal metro come dalla prosa. Se non
riconosciamo l'esistenza di questo terzo ritmo, non abbia-
mo nessuna possibilità di confutare l'ingenua obiezione
che quando il metro regolare viene meno la poesia diven-
ta prosa.
Il sempre minor uso della rima in Emily Dickinson e
della stanza in Yeats hanno lo scopo di rendere non piu
irregolare lo schema metrico, ma piu preciso il ritmo liri-
co. Anche il termine sprung rhythm di Hopkins ha con la
1 [La «vera voce del sentimento»]. Cfr. il libro con questo titolo di
J I. Read (r9;3).
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

lirica la stretta affinità che il ritmo continuo ha con l'epos.


Anche le teorie e le tecniche di Pound, dal suo iniziale
imagismo al discontinuo pastiche dei Cantos (preceduti
da mezzo secolo di esperimenti in francese e in inglese sul-
la «riduzione in frammenti» o liricizzazione dell'epos)
sono teorie incentrate sulla lirica. Nella nuova critica, l'a-
nalisi retorica basata sull'ambiguità è un'analisi incentra-
ta sulla lirica e che tende, spesso esplicitamente, ad estrar-
re il ritmo lirico da tutti i generi letterari. I poeti piu am-
mirati e piu all'avanguardia del xx secolo sono soprattutto
quelli che hanno raggiunto una completa padronanza della
magia verbale elusiva, meditativa, risonante, centripeta
che costituisce l'essenza di un ritmo lirico totalmente svin-
colato. Nel corso di tale sviluppo il ritmo associativo è di-
ventato piu sciolto e flessibile, e perciò si è passati dalla
tendenza romantica a fare dello stile la base della lettera-
tura a un nuovo tipo di soggettivizzato decorum.
Per tradizione la lirica viene associata soprattutto alla
musica. I Greci parlavano della lirica come ta mele, tra-
dotto di solito come «poesie da cantare»; nel periodo ri-
na!-cimcntale la lirica fu sempre associata alla lira e al liu-
to, e il saggio di Poe or ora citato sottolinea l'importanza
nella poesia, della musica che con il suo vigore compensa
la mancanza di precisione. Dovremmo ricordare, tuttavia,
che quando una poesia viene «cantata>>, almeno in senso
musicale moderno, la sua organizzazione ritmica è com-
pletamente affidata alla musica. Le parole di una lirica
«cantabile» sono di solito neutre e convenzionali, e la
canzone moderna ha l'accento ritmico della musica e poco
o quasi nulla dell'accento fondamentale che rivela il pre-
dominio della poesia sulla musica. Avremmo perciò un'i-
dea piu chiara della lirica se traducessimo ta mele come
« poesie da recitare ritmicamente» poiché questa recita-
zione, o cantillation come la chiama Yeats, è un'accentua-
zione cadenzata delle parole in quanto parole. I poeti mo-
derni che, come Yeats, vogliono che le loro poesie siano
cosi scandite sono spesso proprio quelli che piu diffidano
degli adattamenti musicali.
La storia della musica rivela una tendenza ricorrente
a sviluppare elaborate strutture contrappuntistiche che,
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE: LA LIRICA

nella musica vocale, quasi annientano le parole. C'è anche


la tendenza ricorrente opposta, a modificare e semplifica-
re le strutture musicali per dare piu rilievo alle parole:
ciò è avvenuto talvolta in seguito a pressioni religiose,
ma ci sono stati anche veri e propri influssi letterari. Pos-
siamo prendere forse il madrigale come esempio di com-
posizione lirica al limite della subordinazione della poesia
alla musica. Nel madrigale le parole vengono rilanciate da
una voce all'altra sicché il ritmo poetico si perde, e l'ima-
gery delle parole è espressa con la tecnica della cosiddetta
musica a programma. Vi si trovano a volte lunghe parti
fatte di parole senza senso, e intere raccolte sono concepi-
te « per voci o per viole», il che rivela la superfluità delle
parole. L'avversione dei poeti per questa polverizzazione
delle parole è confermata dal favore con cui accolsero nel
XVII secolo lo stile che isolava le parole in un singolo ver-
so melodico, stile che apri la via all'opera lirica. In questo
caso siamo senz'altro piu vicini alla poesia, sebbene sia an-
cora la musica a predominare nel ritmo. Ma piu il compo-
sitore tende a<l accentuare il ritmo verbale della poesia, e
piu si avvicina a quel tipo di scansione recitativa che è la
vera base ritmica della lirica. Alcuni esperimenti di Henry
Laws in questo senso meritarono il plauso di Milton; e
l'ammirazione di tanti simbolisti per Wagner era eviden-
temente basata sulla nozione (se si può chiamare base una
nozione cosf erronea) che egli stesse cercando di identifi-
care, o almeno associare strettamente, il ritmo della mu-
sica e quello della poesia.
Una volta appurato che la lirica confina da un lato con
la musica, e che al suo centro è l'accentuazione puramente
verbale della cantillation, vediamo che dall'altro lato essa
ha un altrettanto importante rapporto con l'elemento pit-
torico. Questo elemento è già evidente nella presentazio-
ne tipografica della lirica sulla pagina stampata, dove es-
sa è, per cosf e.lire, intravista oltre che sentita per caso. La
disposizione delle stanze e dei capoversi nella lirica pro-
duce uno schema visivo distinto da quello dell'epos in cui
i versi hanno piu o meno la stessa lunghezza, e natural-
mente da quello della prosa. Vi sono migliaia di liriche
cosi intensamente concentrate sulla imagery visiva che
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

esse sono, per cosf dire, messe in figura. L'emblema è un


vero e proprio quadro, e il poeta-pittore Blake, le cui liri-
che incise rientrano nella tradizione emblematica, ha nella
lirica una funzione analoga a quella che i poeti-composi-
tori Campione Dowland hanno per l'aspetto musicale. Il
movimento detto dell'imagismo sfruttò e sviluppò molto
l'elemento pittorico nella lirica, e molte poesie imagiste
potrebbero essere definite come serie di didascalie di qua-
dri invisibili.
In poesie emblematiche come The Altare Easter Wings
di Herbert, dove la forma pittorica del soggetto è sugge-
rita dalla forma stessa dei versi della poesia, ci avvicinia-
mo al limite pittorico della lirica. Quando l'elemento pit-
torico assorbe le parole, come le assorbe nel madrigale l'e-
lemento musicale, abbiamo una scrittura pittorica di cui
sono esempi i fumetti, le vignette con didascalie, i mani-
festi e altre forme emblematiche. Un ulteriore stadio di
assorbimento delle parole è rappresentato dal Rake's Pro-
gress di Hogarth e da analoghe sequenze di immagini, co-
me i rotoli orientali di pergamena o quei romanzi in xilo-
grafia che compaiono di tanto in tanto. Gli esempi di ar-
rangiamenti pittorici della base visiva della letteratura,
cioè della scrittura alfabetica, sono piu irregolari e spora-
dici: si possono ricordare le lettere maiuscole iniziali nei
manoscritti miniati e gli esperimenti surrealistici di col-
lage, ma sono in ogni caso fatti che non hanno avuto una
specifica importanza letteraria. Ne avrebbero avuto di piu
naturnlmente se la nostra scrittura fosse rimasta allo sta-
dio dei geroglifici, poiché in questi la scrittura e il disegno
sono la stessa arte. Abbiamo già accennato al paragone di
Pound tra la lirica imagista e l'ideogramma cinese.
In quest'ultimo secolo il rapporto tra la poesia e la mu-
sica da un lato, e la poesia e la pittura dall'altro, è stato,
com'era prevedibile, molto approfondito. Infatti i tenta-
tivi di avvicinare il piu possibile le parole al ritmo iterati-
vo e fortemente accentuato della musica, o alla forma sta-
tica e concentrata della pittura, costituiscono il nucleo piu
importante della cosiddetta letteratura sperimentale. Sa-
remmo piu vicini alla verità se considerassimo questi svi-
luppi esplorazioni laterali di una determinata fase della
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE: LA LIRICA

retorica, invece che, per una falsa analogia con la scienza,


« nuove direzioni» preannuncianti un'avanzata generale
della tecnica letteraria su tutti i fronti. La reazione a que-
sta illusione progressista, produce l'indignazione morale
che lo definisce «decadente». Un problema che non è sta-
to quasi affatto esaminato 1 è quello del limite sino a cui
la poesia può, per cosi dire, essere assorbita dalla pittura
e dalla musica e riemergerne con un ritmo diverso. Que-
sto accadde per esempio quando la «prosa» emerse dalla
sequenza della musica medievale, e accade ancora quando,
con un diverso procedimento, una canzone diventa una
specie di riserva ritmica per tutta una serie di liriche di-
verse.
Non è mai stato dato un nome ai due elementi del pro-
cesso associativo subcosciente che forma la base del melos
e dell'opsis lirici. Li possiamo chiamare, se i termini sem-
brano abbastanza dignitosi, balbettio e ghirigoro. Nel bal-
bettio, la rima, l'assonanza, l'allitterazione e i giochi di
parole si sviluppano dalle associazioni di suoni. Quello
che dà forma a tale movimento associativo è ciò che ab-
biamo chiamato l'iniziativa ritmica, sebbene in una poe-
sia in versi liberi consisterebbe piuttosto in un senso del-
l'oscillazione del ritmo entro un'area che a poco a poco
si definisce come la forma contenente. Dalle revisioni che
i poeti fanno delle loro opere possiamo vedere come il
ritmo sia di solito anteriore, come ispirazione e importan-
za, alla scelta delle parole che lo riempiono. Tale feno-
meno non è limitato alla poesia: anche nei quaderni di
Beethoven vediamo che spesso egli sa di volere una certa
cadenza a una certa stanghetta prima di aver pensato o
composto la sequenza melodica necessaria a raggiungerla.
Si può osservare un'evoluzione simile nei bambini che
partono da un balbettio ritmico e lo riempiono a mano a
mano con le parole appropriate. Tale processo si riscon-
tra pure nelle filastrocche, nelle grida di incitamento usa-
te dagli studenti dei colleges, nei canti dei lavoratori, e
simili, dove il ritmo è una vibrazione fisica vicina alla
1 Si veda tuttavia il concetto di «parodia» in F. w. S'fERFELD, Goethe
and Music (19.54).
37° CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

danza, ed è spesso riempito da parole senza senso. Una


evidente anteriorità del ritmo rispetto al significato è la
normale caratteristica della poesia popolare; e, come la
musica, anche la poesia viene chiamata «leggera» ogni-
qualvolta ha l'andamento ritmico di un autobus con una
ruota sgonfia.
Quando il balbettio non si eleva allo stato di coscienza,
rimane al livello delle associazioni incontrollate. Quest'ul-
timo è spesso un espediente letterario per rappresentare
lo stato di pazzia; l'opera Jubilate Agno di Smart, di cui
alcune parti sono di solito considerate sintomo di squili-
brio mentale, mostra il processo creativo in una fase mol-
to interessante di elaborazione:
For thc power of some animal is predominant in every
language.
For the power and spirit of a CAT is in the Greclc.
For the sound of a cat is in the most uscful preposition
xa:,' EVXE'J ...
For the Mouse (Mus) prevails in the Latin.
For edi-mus, bibi-mus, vivi-mus - ore-mus ...
For two creatures the Bull & the Dog prevail in the
English,
For al! the words ending in ble are in the creature.
Invisi-ble, Incomprehensi-ble, ineffa-ble, A-ble ...
For there are many words under Bull ...
For Brook is under Bull. God be gracious to Lord
Bolingbroke '.
Simili barbugliamenti e anfibologie che si fondono nel
crogiolo dell'intelletto sono probabilmente presenti in
ogni elaborazione poetica. I giochi di parole in questo bra-
no impressionano il lettore per il loro tono offensivo e al
tempo stesso comico, il che si concilia perfettamente con
1 [«Perché l'influsso di un qualche animale prevale in ogni lingua. I
Perché l'influsso e lo spirito del gatto [Cat] prevale in greco. ! Perché il
suono "cat" si trova nell'utilissima preposizione xa~• EÙXEV ... \ Perché il
topo [Mus] prevale in latino. \ Perché cdi-mus, bibi-mus, vivi-mus, ore-
mus ... l Perché due animali il toro e il cane [ the Bull & the Dog = bull-
dog] sono nell'Inglese, I Perché nell'animale sono tutte le parole che fini-
scono in bile. I Invisi-bile, incomprcnsi-bile, ineffa-bile, a-bile ... : Perché
ci sono molte parole sotto il toro ... I Perché il ruscello [Brook] è sotto il
toro [Bull]. Dio benedica Lord Bolingbrokc» ].
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE; LA LIRICA 37 1
l'interpretazione freudiana dell'arguzia come evasione de-
gli impulsi da ogni controllo della censura. Nella creazio-
ne l'impulso è rappresentato dall'energia creatrice stessa
e la censura da quello che abbiamo chiamato il principio
della plausibilità. La paronomasia è uno degli elementi es-
senziali della creazione verbale, ma un gioco di parole in-
trodotto nella conversazione prescinde dal significato di
quel che si sta dicendo e instaura al suo posto uno sche-
ma autonomo di suoni-significati verbali.
Vi è un incerto equilibrio nella paronomasia, tra l'ar-
guzia verbale e la suggestione ipnotica. Nel verso di Poe
« the viol, the violet, and the vine»' abbiamo una fusio-
ne delle due opposte qualità. L'arguzia ci fa ridere ed è
rivolta ad un'intelligenza sveglia e cosciente; la suggestio-
ne di per se stessa, impressiona senza ricorrere all'umori-
smo. L'arguzia dà al lettore un senso di distacco; l'ora-
colo lo assorbe completamente. In poesie oniriche come
The Phoenix di Arthur Benson, o in poesie che rappre-
sentano stati di sogno o di assopimento, come il poemetto
medievale Pearl e molti luoghi di Spenser e di Tenny-
son, notiamo una simile insistenza su schemi fonetici, che
finisce per creare un senso di ipnosi. Se ridiamo dell'ar-
guzia del verso di Poe ora citato, spezziamo l'atmosfera
incantata della poesia, eppure quel verso è ricco d'argu-
zia, cosi'. come Finnegans Wake è un libro molto diver-
tente pur conservando sempre la solennità profetica del
mondo onirico. In quest'ultimo libro si è ricorso larga-
mente alle ricerche di Freud e di Jung sul meccanismo
del sogno e su quello dell'umorismo: vi si trovano, quasi
nascoste nel testo, parole come « vinolent » che vogliono
esprimere tutti i significati contenuti nel verso di Poe.
Nella fiction il processo associativo è evidente di solito so-
prattutto nei nomi che l'autore inventa per i suoi perso-
naggi. Cosi« Lilliputian » e« Ebenezer Scrooge » sono no-
mi associativi che designano rispettivamente uomini pic-
colissimi e uomini avari, perché il primo suggerisce il suo-
no di « little » [ =piccolo] e « puny » [ = sparuto] e l'altro
quello di « squeeze » [ = spremere, es torcere], « screw »
1 [«La viola, la vin letta e la vite»].
37 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

[= stringere, essere tirchio] e forse « geezer » [ vecchio =


taccagno]. Spenser dice che un suo personaggio ha nome
Malfont:
Eyther for th'euill, which he did therein,
Or that he likened was to a welhcd 1,
il che implica che la seconda sillaba del suo nome deriva
sia da fans che da facere. Possiamo chiamare questo tipo
di processo associativo etimologia poetica, e ne parleremo
ancora piu avanti.
Le caratteristiche del balbettio sono presenti anche nei
versi a rima forzata che sono anch'essi il frutto di un pro-
cesso creativo, incompiuto per mancanza di capacità o di
pazienza, sebbene le condizioni psicologiche da cui nasce
siano opposte a quelle di ]ubilate Agna. Non si tratta ne-
cessariamente di poesia stupida; è poesia che inizia in una
mente lucida e non ha mai conosciuto un processo asso-
ciativo. Ha un'iniziativa prosastica ma cerca di diventare
associativa mediante un atto della volontà, e rivela le stes-
se difficoltà che la grande poesia ha superato ad un livello
subcosciente. Possiamo vedere in essa come le parole vi
si inseriscano per ragioni di rima o di scansione, e come
le idee vi entrino perché suggerite da una parola che fa
rima, e cosi via. I testi deliberatamente creati, di cui ab-
biamo esempi in Hudribas o nei Knittelverse tedeschi,
possono essere l'origine di una brillante satira retorica
che implica una specie di parodia della creazione poetica
stessa, proprio come certi solecismi sono parodie dell'eti-
mologia poetica. Il tentativo di applicare alla prosa anche
solo parte della concentrazione associativa della poesia
comporta difficoltà enormi, e ben pochi scrittori di prosa,
come Flaubert e Joyce, hanno osato affrontarle con coe-
renza e risolutezza.
I primi abbozzi rudimentali di schemi grafici verbali
(«ghirigori») sono nel processo creativo pressoché inse-
parabili dal balbettio associativo. Nei suoi quaderni il poe-
ta appunta frasi che utilizzerà piu tardi; improvvisamente
1 [«O per il male che vi aveva fatto IO perché era stato paragonato a
una sorgente»].
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE: LA LIRICA 373
«nasce» una prima stanza, e altre analoghe devono essere
progettate e abbozzate per accompagnarsi ad essa; tutta
l'ingegnosità che, secondo Freud, è propria dei sogni ser-
ve quindi a inserire le parole negli schemi voluti. L'elabo-
ratezza delle forme convenzionali - quali il sonetto e le
forme simili, anche se meno versatili, della ballata, della
villanella, della sestina, e cosi via, e con esse tutte le con-
venzioni che ogni poeta lirico inventa per suo proprio uso
- indica quanto l'iniziativa lirica sia in realtà lontana da
quel che si intende con l'espressione cri de cceur. Il sag-
gio di Poe sulla poesia The Raven è un accuratissimo re-
soconto di quello che egli ha fatto in questa poesia, consa-
pevolmente (come il saggio suggerisce) o meno; e in tale
saggio, come in The Poetic Principle, egli anticipa le tec-
niche critiche di un nuovo modo.
Dobbiamo inoltre tener presente che sebbene la lirica
di ogni opera si rivolga naturalmente al senso dell'udito,
il sorgere della fiction e della stampa sviluppa una cre-
scente tendenza a rivolgersi al senso dell'udito attraverso
quello della vista. Gli schemi visivi di E. E. Cummings
ne sono esempi evidenti, e non sono i soli. Una poesia di
Marianne Moore, Camellia Sabina1, usa una stanza di ot-
to versi in cui le rime sono disposte alla fine del primo
verso, alla fine dell'ottavo, e nella terza sillaba del setti-
mo. Penso che neppure il lettore piu attento riuscirebbe
a sentire quest'ultima rima ascoltando semplicemente la
poesia letta ad alta voce: la rima viene prima colta con gli
occhi sulla pagina e poi lo schema strutturale visivo si tra-
duce in termini sonori e colpisce l'orecchio.
A questo punto siamo in grado di trovare parole piu
appropriate che non balbettio e ghirigoro per indicare i
radicali del melos e dell'opsis nella lirica. Il radicale del
melos è il charm [incantesimo]: cioè la suggestione ipno-
tica che, con il suo palpitante ritmo di danza, chiede e
provoca un'involontaria reazione fisica corrispondente, e
quindi non è lontana dalla magia, o potere a cui non si
può fisicamente opporre resistenza. Si noti la derivazione

1 Cfr. M. MOORE, Selected Poems (193.5); lo schema della poesia è alte-


rato in edizioni piu tarde.
374 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

etimologica di charm da carmen, cioè canto. Gli incante-


simi veri e propri hanno una qualità che viene imitata
nella letteratura popolare da vari tipi di canti dei lavora-
tori, specialmente dalle ninne-nanne, dove la ripetizione
monotona che induce al sonno rivela chiaramente lo sche-
ma di carattere profetico o onirico di tali canti. L'invet-
tiva o elenco di ingiurie, cioè l'imitazione letteraria della
maledizione che ha un influsso magico, usa gli stessi espe-
dienti incantatori per scopi opposti, come si può vedere
nel Flyting with Kennedy di Dunbar:
Mauch mutton, byt buttoun, peilit gluttoun, air to Hilhous;
Rank beggar, ostir dregar, foule fleggar in the flet;
Chittirlilling, ruch rilling, like schilling in the milhous;
Baird rehator, theif of natour, fals tratour, feyindis gett ... 1 •
Di qui si giunge facilmente per derivazione al melos
della totale immersione fisica nel suono e nel ritmo, del
movimento scalpitante e del rumore stridente che sono
resi possibili dalla forte accentuazione dell'inglese. The
Congo di Lindsay e Sweeney Agonistes sono esempi mo-
derni di quella tendenza della poesia inglese al ritmo sin-
copato che risale, attraverso Bel! di Poe e Alexander's
Feast di Dryden, fino a Skelton e alla Ane Ballat of our
Lady di Dunbar. Una forma piu perfezionata di melos si
riscontra nelle liriche che combinano la ripetizione ritmi-
ca degli accenti con delle variazioni di velocità. Cosi avvie-
ne nel sonetto di Wyatt:
I abide and abide and better abide,
And, after the olde proverbe, the happie daye:
And ever my ladye to me dothe saye,
« Let mc alone and I will provyde ».
I abide and abide and tarrye the tyde
And with abiding spede well ye rnaye:
Thus do I abide I watt allwaye,
Nother obtayning nor yct dcnied.
Aye me! this Iong abidyng
Scmithe to me as who sayethc
1 [«Montone frndicio, senza bottoni, ghinttonc pelato, crede di Hill-
housc; : Lurido pezzente, ricerc.itorc di ostriche tra i ri/ìuti, schifoso adu-
latore di anticamere; I Fifone [?], scnrpa ruvidn, leccnpula nel mulino; i
Nemico dei poeti, ladro di natura, falso tradiwrc, figlio del demonio»].
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE: LA LIRICA 375
A prolonging of a dieng dethe,
Or a refusing of a desyrcd thing.
Mochc ware it bettre for to be playne,
Then to saye abide and yet sha}l not obtayne '.
Questo grazioso sonetto è intensamente musicale nella
sua concezione: c'è il ripetuto clangore di « abide » e la
musicale, anche se molto audace dal punto di vista poeti-
co, ripresa del primo verso nel quinto. Poi succedendo al-
l'attesa la speranza, alla speranza il dubbio, al dubbio la
disperazione, il ritmo prima allegro e vivace, rallenta e
alla fine cessa del tutto. Dall'altro lato abbiamo Skelton
che, come farà poi Scarlatti, si innervosisce se il ritmo è
troppo lento e tende ad accelerarlo. Ecco un esempio di
«accelerando» in una stanza in rhyme-royal, di T he Gar-
land of Laurell:
That long tyme blew a full tymorous blaste,
Life to the Boriall wyndes, whan they blowe,
That towres and tounes and trees downe cast,
Drove clouds together like dryftes of snowe;
The dredful dinne drove ali the route on a row;
Som trembled, som girned, som gasped, som gased,
As people half pevissh or men that were rnased '.
In questo stesso poemetto vi è un curioso, casuale rappor-
to con la musica: i versi indirizzati a Margery Wentworth,
Margaret Hussey e Gertrude Statham sono rondò musica-
li in miniatura secondo lo schema abaca.

Abbiamo notato parecchie volte la stretta relazione esi-


stente in poesia tra l'elemento visivo e quello concettua-
1 [«Aspetto, e aspetto, e sempre piu aspetto I Come vuole l'antico pro-

verbio, il giorno fortunato. ! E sempre la mia donna mi dice, ! "Lascia fa_


re a me, e io provvederè,". I Aspetto e aspetto, e attendo l'ondata: E aspet-
tando si può riuscire: ' Cosi so sempre aspettare, I Senza riuscire e senza
fallire. i Ahim-~! Questo lungo aspettare : Mi sembra sia come I Il prolun-
garsi di una lenta mette, i O il rifiuto di una cosa desiderata. I Molto me-
glio sarebbe state parlar chiaro, : Piuttosto che dire aspetta, e poi ncn ot-
tenere» J.
2 [«Per tutto quel tempo sollìò uno spaventoso uragano, I Come quan-

do soffiano i venti boreali, ; Che abbattono torri, città e alberi, I Ammassò


nuvo!e come tormente di neve; i li pauroso frastuono sconvolse tutta la
folla; , Chi tremava, chi rabbrividiva, chi ansimava, chi sbigottiva, I Come
gente imbizzita e stralunata»].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

le. La base dell'opsis nella lirica è l'enigma, che è una fu-


sione di sensazione e riflessione, cioè l'uso di un oggetto
dell'esperienza sensoria per stimolare un'attività mentale
ad esso relata. Risolvere degli enigmi era originariamente
un atto molto affine alla lettura, e l'enigma sembra avere
un'intima connessione con l'intero processo di riduzione
del linguaggio a forma visibile, processo che passa attra-
verso forme collaterali dell'enigma come il geroglifico e
l'ideogramma. Alcune delle liriche piu belle in antico in-
glese sono poesie-enigmi: esse appartengono a una cultu-
ra in cui uno dei giudizi estetici preferiti è « curiosamente
elaborato». Come l'incantesimo non è lontano da un s~n-
so di costrizione magica, cosf l'oggetto « curiosamente ela-
borato», sia esso l'elsa di una spada o un manoscritto mi-
niato, non è lontano da un senso di incantesimo o sogge-
zione magica. Strettamente analoga all'enigma nell'antico
inglese è la figura retorica detta kenning o perifrasi o de-
scrizione obliqua, che chiama il corpo « la casa delle ossa»
o il mare « la strada della balena».
In ogni periodo e genere di poesia una delle caratteri-
stiche principali dell'immagine poetica è sempre stata la
fusione del concreto e dell'astratto, degli aspetti spaziali
e di quelli concettuali della dianoia, e il kenning ha quin-
di avuto una lunga serie di derivati. Nel xv secolo vi è u-
na « dizione aurea», cioè l'uso di termini astratti in poe-
sia, considerati allora come «colori» della retorica. Quan-
do termini simili erano ancora nuovi e le idee da essi
espresse apparivano interessanti, la dizione aurea era giu-
dicata meno sciocca ed enfatica di quanto possa sembra-
re oggi: essa inoltre deve esser stata concettualmente pre--
cisa come per noi l'espressione di Eliot « piaculative pen-
ce» o quella di Auden « cerebrotonic Cato » '. Il XVII se-
colo ci diede il concettismo o uso di immagini cerebrali
e ricercate della poesia «metafisica», tipicamente baroc-
co nelle sue capacità di esprimere un ricco e variato senso
della trama poetica insieme a un gusto arguto e parados-
sale dello sforzo e della tensione che questa trama presup-
pone. Nel linguaggio poetico del xvm secolo è evidente
1 [«Pence espiatori» t « cerebrotonico Catone»].
IL RITMO DELL'ASSOCIAZIONE: LA LIRICA 377
una grande fede nella capacità del pensiero astratto di
imporre categorie alle cose: i pesci, per esempio, sono
«la specie dotata di pinne». Nel periodo della letteratura
basso-mimetica, aumentando i pregiudizi contro tutto ciò
che sapeva di convenzionale, i poeti divennero assai meno
consapevoli della convenzionalità delle frasi da loro usate,
ma non scomparvero con ciò i problemi tecnici imposti
dalla struttura metaforica e immaginosa della poesia, e
tanto meno le figure retoriche convenzionali.
Due di queste, connesse con il problema che ci interes-
sa, cioè con la fusione del concreto e dell'astratto, vanno
sottolineate. Una delle figure preferite nel linguaggio poe-
tico dell'Ottocento è costituita da un nome astratto usato
al caso possessivo e seguito da un aggettivo e un nome
concreto ( « death's dateless night » 1 ne è un esempio in
Shakespeare). Questa figura è usata diciannove volte da
J. R. Lowell nella Harvard Commemoration Ode del
r 86 5: eccone tre esempi: « Life's best oil », « Oblivion's
subtle wrong», e «Fortune's fickle moon» 2 • Nel xx seco-
lo ha invece prevalso un'altra figura con lo schema« agget-
tivo-nome-preposizione di specificazione-nome», in cui il
primo nome è di solito concreto, il secondo astratto. E-
sempi: « The pale dawn of longing », « The broken collar-
bone of silencc », « The massive eyelids of time», « The
crimson tree of love»'. Sono esempi inventa ti da me e
qualsiasi poeta è libero di usarli se crede; esaminando un
volume di liriche del xx secolo ho trovato, contando tutte
le varianti, trentotto espressioni• di questo tipo nelle pri-
me cinque poesie.
La fusione del concreto e dell'astratto non è che un ca-
so particolare, sebbene molto importante, di un principio
generale che lo sviluppo tecnico della poesia in quest'ulti-
mo secolo offre all'indagine della critica. Tutte le imma-
1 [«La notte senza data della morte»].
2 [«L'olio migliore della vita», « Il sottile torto dell'oblio», « La luna
incostante della fortuna"].
3 [«La pallida alba del desiderio», «La spezzata clavicola del silenzio»,
« Le pesanti palpebre del tempo», « L'albero cremisi dell'amore»].
• II libru esaminato è The Ma11 Coming Toward You (1940) di Oscar
\Villiams; ciò che tale computo vuole dimostrare è che lo stile moderno
è convenzionale come qualunque altro stile.
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

gini poetiche sembrano basate sulla metafora, ma vi è un


tipo di metafora che ha una specifica importanza nella li-
rica, dove piu forte è il processo associativo e piu remote
sono le espressio.ni descrittive prefabbricate della prosa
comune: si tratta della metafora inaspettata o violenta
chiamata catacresi. Infatti piu di qualunque altro gene-
re letterario la lirica fonda la sua efficacia sulla novità e
la sorpresa dell'immagine, il che dà spesso luogo all'illu-
sione che tale immagine sia radicalmente nuova o inventa-
ta oppure non convenzionale. Dal « Brightness falls from
the air »' di Nashe al « A grief ago»' di Dylan Thomas,
il punto cruciale dell'emotività lirica ha sempre avuto ten-
denza a essere « questa improvvisa gloria» della metafora
che tutto trasfonde.
1 [«Lo splendore cade dal!' adn »].
2 [«Un dolore fa»].
Specifiche forme drammatiche

Vediamo ora se questo allargarsi della prospettiva, che


ci permette di cogliere il rapporto della lexis o modulo
verbale con l'elemento musicale e quello visivo, ci illumi-
na sulle classificazioni tradizionali all'interno dei generi
letterari. Per esempio la divisione dei lavori drammatici
in tragedie e commedie è basata esclusivamente sul teatro
verbale e non comprende e non spiega quei tipi di spetta-
colo come l'opera o il masque in cui la musica e lo scena-
rio hanno una funzione piu organica. E tuttavia anche il
teatro drammatico, sia esso tragico o comico, si è molto
evoluto rispetto all'antica concezione del teatro secondo
la quale esso doveva indirizzare l'attenzione di una comu-
nità su un punto focale di eccezionale importanzà. Sotto
questo profilo le rappresentazioni medievali di soggetto
biblico sono primitive: esse presentano un mito già no-
to, anche nelle sue implicazioni, agli spettatori, e hanno
lo scopo di ricordare loro che questo mito è proprio della
comunità.
La rappresentazione di soggetto biblico è una forma di
quel genere drammatico spettacolare che possiamo prov-
visoriamente chiamare « rappresentazione mitica». È in
un certo senso una forma negativa e ricettiva, che assorbe
il tono e l'atmosfera del mito rappresentato. La rappre-
sentazione della Crocifissione nel ciclo di Towneley è tra-
gica perché tragica è la Crocifissione; ma non è una trage-
dia nel senso in cui lo è Othello. Cioè non si pone un pro-
blema tragico, ma semplicemente presenta quella storia
perché è nota, come noto è il suo significato. Sarebbe un
controsenso, per esempio, applicare l'idea tragica di hy-
380 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

bris alla figura del Cristo, in tale rappresentazione dram-


matica; vengono sf suscitati sentimenti di pietà e di ter-
rore, ma essi restano strettamente legati alla materia trat-
tata, e non c'è alcuna catarsi. L'atmosfera e lo scioglimen-
to caratteristici della rappresentazione mitica sono con-
traddistinti dalla pensosità, la quale in questo contesto
implica un continuo assoggettamento immaginativo alla
storia rappresentata. La rappresentazione mitica traduce
in termini spettacolari il simbolo della comunione spiri-
tuale e corporale. Le stesse rappresentazioni bibliche era-
no collegate alla celebrazione del Corpus Domini, e il tea-
tro religioso di Calder6n consta di autos sacramentales o
rappresentazioni eucaristiche. L'interesse suscitato dal ti-
po di spettacolo che abbiamo chiamato mitico si fonda su
una curiosa mescolanza di elementi popolari ed esoterici:
sono infatti spettacoli popolari per il particolare pubblico
a cui sono rivolti, ma apprezzabili solo con un deliberato
sforzo intellettuale da tutti coloro che non fanno parte
di quel pubblico. In un clima di critica e di controversie
essi scompaiono, poiché non possono trattare questioni
controverse a meno di selezionare il proprio pubblico.
Date le ambiguità insite nella parola mito preferiremo
usare per questo tipo di teatro il termine auto.
Quando non vi è alcuna netta distinzione tra gli dèi e
gli eroi nella mitologia di una società, oppure tra gli idea-
li della nobiltà e quelli del clero, l'auto può rappresentare
una leggenda che è al tempo stesso sacra e profana. Ne è
un esempio il «No» giapponese che, con la sua identifica-
zione dei simboli cavallereschi con quelli ultraterreni e
con la sua atmosfera sognante, né tragica, né comica, af-
fascinò profondamente Yeats. È interessante notare come
la teoria dell'anima mundi e il desiderio di avvicinare fisi-
camente il piu possibile il testo drammatico al pubblico
inducano Yeats a ritornare all'idea arcaica della comunio-
ne dei corpi. Anche nel teatro greco non vi è alcun netto
confine tra il protagonista eroico e quello divino. Ma nel-
le società cristiane abbiamo esempi di auto a carattere se-
colare, cioè lavori drammatici con le caratteristiche del
romance imperniati sulle imprese di un eroe e molto vi-
SPECIFICHE FORME DRAMMATICHE

cini alla tragedia in quanto tali imprese finiscono spesso


con la morte dell'eroe, ma che in sé non sono né tragici né
comici, bens! fondamentalmente spettacolari.
Tamburlaine è un lavoro drammatico di questo genere:
in esso il rapporto tra l'hybris dell'eroe e la sua morte è
piu accidentale che causale. Questo genere ha avuto diver-
sa fortuna a seconda dei luoghi: in Spagna, per esempio,
piu che in Francia, dove la tragedia si è affermata nel
quadro di una rivoluzione intellettuale. I due tentativi
che si fecero in Francia per riportare la tragedia al livello
del romance eroico, cioè Le Cid e Hernani, provocarono
vivaci reazioni. Al contrario, in Germania il vero genere
drammatico di molte opere teatrali di Goethe e di Schil-
ler è manifestamente il genere eroico-romanzesco per
quanto forte possa essere stato su di esse l'influsso di un
genere prestigioso come la tragedia. In Wagner, che svi-
luppa la forma eroica, risalendo nel tempo fino all'antico
teatro sacramentale con gli dèi, il simbolo della comunio-
ne torna di nuovo a occupare un posto di primo piano,
in senso negativo in Tristan e in senso positivo in Parsi-
fal. Quanto piu si avvicina alla tragedia e si allontana dal-
l'auto di carattere sacro, il teatro tende a far minor uso
della musica. Se consideriamo la piu antica tragedia esi-
stente di Eschilo, Le supplici, vediamo che essa è sorretta
da una struttura prevalentemente musicale il cui equiva-
lente moderno è in genere l'oratorio; ed è forse possibile
definire le opere wagneriane come oratori lievitati.
Nell'Inghilterra del periodo rinascimentale il pubblico
era troppo borghese perché si formasse una stabile tradi-
zione di teatro cavalleresco, e quindi l'auto elisabettiano
profano divenne il lavoro drammatico di soggetto storico.
Con il teatro storico si passa dallo spettacolo a un lavoro
drammatico essenzialmente verbale, e i simboli della co-
munione perdono di importanza, pur sussistendo ancora.
Il tema centrale del teatro storico elisabettiano è l'unifica-
zione della nazione inglese e l'immissione degli spettato-
ri nel mito in quanto eredi di tale unità, baluardo contro
i disastri di una guerra civile e di una debole guida. Si po-
trebbe persino ravvisare nella rosa rossa e nella rosa bian-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

ca una versione profana del simbolo eucaristico 1 , o consi-


derare i lavori drammatici che terminano con allusioni a
Elisabetta, per esempio The Arraignment of Paris di Pee-
le, come equivalenti profani della rappresentazione sacra
medievale in onore della Vergine. Ma il significato essen-
ziale e la stessa soluzione finale del lavoro drammatico di
soggetto storico sono proprio nel senso della continuità e
nell'esclusione sia della catastrofe tragica che della cele-
brazione comica ( quest'ultimo è il caso di Falstaff). Si ve-
da il «chronicle play» di Saint Joan, di Shaw, la cui fine
è una tragedia, seguita da un epilogo in cui la condanna
di Giovanna, come quella di Falstaff, è in sé un fatto stori-
co che suggerisce l'idea della continuità piuttosto che del-
la conclusione definitiva.
La storia si trasforma poco a poco in tragedia, ma cosi
lentamente che spesso non sappiamo bene a quale punto il
senso di comunione si è trasformato in catarsi. Richard II
e Richa1'd I I I sono tragedie se ne consideriamo lo sciogli-
mento dal punto di vista dei personaggi dei due re scon-
fitti; sono «storia» da quello dei personaggi di Bolingbro-
ke e Richmond; e si può tutt'al piu dire che essi tendono a
diventare storie. Hamlet e Macbeth tendono alla tragedia,
ma Fortebraccio e Malcolm, i personaggi che esprimono
l'idea della continuità, sottolineano l'elemento storico nel-
lo scioglimento tragico. Una connessione molto meno di-
retta sembra esistere tra la storia e la commedia: le scene
comiche nel lavoro a soggetto storico sono, per cosi dire,
sovversive. Henry V finisce con un trionfo e un matrimo-
nio, ma un'azione drammatica in cui Falstaff viene ucciso,
Bardolfo impiccato e Pistola umiliato, non ha con la com-
media il tipo di rapporto che Richard II ha con la tragedia.
Vogliamo ricordare che ci occupiamo qui della tragedia
soltanto come genere drammatico. La figura eroica centra-
le del teatro tragico deriva dall'auto, ma l'associazione
dell'idea di eroismo con quella di caduta o disfatta è do-
vuta alla contemporanea presenza nel lavoro drammatico

1 Possiamo incidentalmente ricordare la conclusione di Richard III (V,


IV, 31-32): « And then, as we have ta'en thc sacniment, I We will unite the
white rose and the red» [«E poi, preso il sacramento I uniremo la rosa
hianca e la rossa»].
SPECIFICHE FORME DRAMMATICHE

dell'ironia. Piu la tragedia è vicina all'auto, piu stretta è


l'associazione dell'eroe alla divinità; piu è vicina all'iro-
nia, piu l'eroe è umano e piu la catastrofe è simile a un
evento sociale anziché cosmologico. La tragedia elisabet-
tiana mostra uno sviluppo storico da Marlowe, i cui eroi
sembrano semidei che si muovono in un'atmosfera socia-
le molto rarefatta, a Webster, le cui tragedie sono quasi
analisi cliniche di una società malata. La tragedia greca
non si staccò mai nettamente dall'auto, e quindi non svi-
luppò mai una forma sociale, sebbene se ne trovi la ten-
denza in Euripide. Ma qualunque sia in essa la proporzio-
ne tra eroismo e ironia, la tragedia è soprattutto una visio-
ne della supremazia dell'evento o mythos. La reazione alla
tragedia è« cosi dev'essere» o forse con maggior precisio-
ne «cosi accade»: l'evento è il fatto primario, la sua spie-
gazione è secondaria e variabile.
Man mano che la tragedia avanza verso l'ironia, il sen-
so dell'inevitabilità dell'evento comincia a svanire, e ven-
gono fuori le cause o fonti della catastrofe. Nel campo del-
l'ironia la catastrofe è arbitraria e assurda, cioè è l'effetto
di un mondo senza coscienza (o, nel caso di una pathetic
fallacy1, maligno) sull'uomo cosciente, oppure è il risulta-
to di forze sociali e psicologiche piu o meno definibili. Il
« cosi dev'essere» della tragedia diventa il « cosi perlome-
no è» dell'ironia: l'attenzione è cioè rivolta ai fatti che ap-
paiono in primo piano, mentre si rifiutano le sovrastrut-
ture mitiche. Quindi il teatro ironico è una visione di
quello che in teologia si chiama il mondo della caduta, del-
l'umanità nel suo stadio piu semplice, dell'uomo come uo-
mo naturale in conflitto con la natura umana e con quella
non umana. Nel teatro ottocentesco la visione tragica
coincide spesso con quella ironica, quindi le tragedie di
quest'epoca tendono a essere o tragedie di Schicksal che
trattano delle arbitrarie ironie del fato, oppure (ed è que-
sta senza dubbio la forma che ha dato i risultati migliori)
studi di come l'attività umana possa essere frustrata e sof-
focata dalle pressioni combinate di una società reazionaria
all'esterno e di un'anima senza direzione all'interno. Tale

1 [Cfr. p. 49, nota].


CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

ironia è difficile da sostenere a lungo in teatro perché ten-


de verso una stasi dell'azione. Nelle scene di Cechov, in
particolare nell'ultimo atto delle Tre sorelle, in cui i per-
sonaggi uno dopo l'altro si estraniano, ritirandosi nelle
celle di prigione della loro soggettività, siamo nello stadio
di maggiore vicinanza all'ironia pura compatibile con il
teatro.
Il teatro ironico passa attraverso un punto morto costi-
tuito dallo stadio di totale realismo, in cui non vi è altro
che una mimesi della vita umana senza alcun commento
e senza la sovrapposizione di alcuna forma drammatica
oltre a quella necessaria a una pura e semplice rappresen-
tazione. Questa forma idolatrica di mimesi è rara, ma l'e-
sile tradizione che essa forma va dagli scrittori classici di
mimi come Eroda fino agli spettacoli imperniati sulla
tranche de vie dei tempi moderni. Il mimo è in un certo
senso piu comune nella forma di spettacolo individuale, e,
al di fuori del teatro, il monologo drammatico di Brow-
ning è Io sviluppo logico della tendenza del conflitto ironi-
co all'isolamento e al soliloquio. Nel teatro troviamo di so-
lito che lo spettacolo di una vita « troppo umana» è o op-
primente o ridicolo, e che tende a passare direttamente
dall'uno all'altro di questi due opposti. Ciò significa che
l'ironia, allontanandosi dalla tragedia, comincia a fondersi
con la commedia.
La commedia ironica ci presenta naturalmente « The
way of the world », ma appena notiamo in una commedia
dei personaggi comprensivi o anche solo neutrali ci ritro-
viamo nell'area comica che ci è piu familiare: quella in cui
un gruppo di humors viene sconfitto con l'astuzia dal
gruppo opposto. Come la tragedia è una visione della su-
premazia del mythos o evento compiuto, e come l'ironia
è una visione dell'ethos o individuo distinto dall'ambien-
te circostante, cosi la commedia è una visione della dia-
noia, cioè di un significato che in ultima analisi è un signi-
ficato sociale, ed esprime l'avvento di un tipo di società
desiderabile. In quanto imitazione della vita il teatro è,
in termini di mythos, conflitto; in termini di ethos, una
immagine rappresentativa; in termini di dianoia, l'accor-
do armonico finale che rivela la tonalità sottesa al movi-
SPECIFICHE FORME DRA;\1MATICJIE

mento narrativo, cioè il senso della comunità. Piu la com-


media si allontana dall'ironia, piu essa diventa quello che
chiamiamo qui commedia ideale, cioè la visione non « cosi
va il mondo», ma di quello che vogliamo, della vita «co-
me vi piace». Shakespeare tendeva soprattutto ad allonta-
narsi dal conflitto padre-figlio della commedia ironica per
giungere alla visione di una comunità pienamente serena,
come quella di The Tempest. In questo ultimo lavoro l'a-
zione è polarizzata intorno alle figure di un giovane e di
un vecchio che agiscono in armonia l'uno con l'altro e so-
no rispettivamente un giovane innamorato e un maestro
benevolo.
11 gradino seguente ci porta all'ultimo stadio della com-
media sociale, il simposio, la cui struttura è chiara, logica-
mente, in Platone: il cui personaggio Socrate è sia mae-
stro che amante, e la cui visione tende verso una integra-
zione della società in una forma simile a quella del sim-
posio stesso, cioè in una festa dialettica che, come è spie-
gato all'inizio delle Leggi, è la forza che controlla e tiene
insieme la società. È facile vedere che il dialogo di Plato-
ne è una forma c.lrnmmatica e ha delle affinità con la com-
media e il mimo; e se v.i sono molti elementi nel pensiero
di Platone che contraddicono lo spirito della commedia
quak noi l'abbiamo delineato, è significativo che egli lo
contraddica direttamente, cerchi, per cosf dire, di farlo
sparire. Sembra quasi una regola che quanto più egli con-
traddice tale spirito, e tanto piu si allontana dal teatro
tendendo verso l'esposizione pura e semplice o il monolo-
go dittatoriale. I suoi dialoghi piu drammatici, per esem-
pio l'Eutidemo, sono regolarmente i piu indecisi per quel-
lo che riguarda la sua «posizione» filosofica.
Ai giorni nostri Bernard Shaw ha fotto enormi sforzi
per mantenere il genere del simposio nel teatro. Il suo
primo manifesto, The Quinlessence o/ Ibsenism afferma
che un lavoro drammatico dovrebbe essere una intelligen-
te discussione di un problema serio; nella prefazione a
Getting Married' egli si dichiara contento del fotto che
1 Piu esattamente in una nota introdutth·a, distinta dalla prefazione
, cr.1 e propria.

Il
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

questa commedia osservi le unità di luogo e di tempo. In-


fatti la commedia di Shaw tende a una forma di simposio,
la cui azione occupa la stessa lunghezza di tempo che gli
spettatori impiegano ad ascoltarla. Tuttavia Shaw scopri'.
in pratica che dal simposio teatrale non si sviluppa una
dialettica che spinga a un'azione o persuada a un pensiero,
ma una dialettica che libera da principi di condotta con-
venzionali. La struttura di tale tipo di commedia è molto
chiara nel brillante sketch intitolato In Good King Char-
les's Golden Days, dove persino i piu alti tipi umani, co-
me il santo Fox e il sapiente Newton, risultano humors co-
mici semplicemente a causa della presenza di altri tipi di
uomini. Tuttavia la figura centrale del simposio, quella
dell'amante che arringatore balza in primo piano in Man
and Superman, e persino la rinuncia alla passione per la
matematica alla fine di Back to Methusaleh è in armonia
con lo spirito del simposio.
La concezione della poesia come stadio intermedio tra
la storia e la filosofia, le cui immagini combinano gli even-
ti temporali dell'una con le idee atemporali dell'altra, sem-
bra essere in rapporto con questa classificazione delle for-
me drammatiche. Possiamo ora immaginare un teatro mi-
metico o verbale che va dalla rappresentazione storica a
quella filosofia (diviso in atti e in scene), e che a metà stra-
da tra l'una e l'altra assume la forma di mimo, cioè di im-
magine pura. Queste sono tre forme specifiche o punti car-
dinali del teatro piuttosto che aree generali. Ma l'intera
area mimetica è soltanto una parte, un semicerchio per co-
sf dire di tutta l'area drammatica. Nella regione indistinta
e inesplorata dell'altro semicerchio, quello del teatro spet-
tacolare, abbiamo identificato un quadrante che abbiamo
chiamato auto, e dobbiamo ora tracciare un quarto qua-
drante che sta tra l'auto e la commedia, e stabilire il quar-
to punto cardinale dove esso si incontrerà di nuovo con
l'auto. Se pensiamo al guazzabuglio di forme che rientra-
no in quest'area, saremmo tentati di definirla «mista» e
lasciar perdere; ma proprio qui è necessario applicare la
nuova critica dei generi.
Piu la commedia si allontana dall'ironia, e piu gode
della libertà di movimento della sua società felice, e mo-
SPECIFICHE FORME DRAMMATICHE

stra simpatia per la musica e la danza. Man mano che la


musica e la danza acquistano maggiore importanza, la com-
media ideale oltrepassa il confine del teatro spettacolare e
diventa masque. Nelle commedie « romantic » di Shake-
speare, specialmente in A Midsummer Night's Dream e
in The Tempest, non è difficile vedere la stretta affinità
con il masque, Il masque - o almeno il genere di masque
che è molto vicino alla commedia, e che chiameremo qui il
masque ideale - è ancora nell'area della dianoia: è di soli-
to un omaggio agli spettatori o a uno spettatore particolar-
mente importante, e porta all'idealizzazione della società
rappresentata da tale pubblico. Le sue trame e i suoi per-
sonaggi provengono da un repertorio teatrale comune, in
quanto non hanno ragione di esistere se non in rapporto al
significato di una determinata occasione.
Quindi il masque differisce dalla commedia per la sua
piu intima relazione con il pubblico: vi è in esso una mag-
giore insistenza sulla connessione tra il pubblico e la co-
munità rappresentata sul palcoscenico. Gli attori di un
masque sono di solito membri del pubblico travestiti, e
alla fine, con un gesto di resa, essi si tolgono la maschera
e si uniscono al pubblico in una danza. Il masque ideale
infatti è uno spettacolo mitico come l'auto, con il quale è
nello stesso rapporto in cui la commedia è con la tragedia;
suo scopo non è suggerire gli ideali da raggiungersi con la
disciplina o la fede, ma gli ideali che corrispondono ai no-
stri desideri o che si considerano già acquisiti. I suoi scena-
ri sono quasi sempre paesi incantati con elementi magici,
luoghi arcadici e visioni di Paradiso terrestre. Il masque
usa liberamente figure di dèi, come l'auto, ma nel senso
che le fa sue, senza alcuna soggezione della fantasia. Nel
teatro occidentale dal Rinascimento alla fìne del XVIII se-
colo, i masques e le commedie ideali si sono spesso ser-
viti della mitologia classica, che il pubblico non è tenuto
ad accettare per «vera».
Il genere piuttosto limitato del masque getta un po' di
luce sulla struttura e sulle caratteristiche dei suoi piu im-
portanti e versatili vicini. Da un lato infatti sta lo spetta-
colo a base fondamentalmente musicale che chiamiamo
teatro lirico, dall'altro lo spettacolo a base fondamenta!-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

mente scenica, e la cui forma odierna è il cinema. Gli spet-


tacoli di burattini e gli immensi romances cinesi che, co-
me il cinema, permettono al pubblico di entrare e di uscire
in qualsiasi momento, sono esempi di masques scenici pre-
cinematografìci. L'opera e il cinema notoriamente ricorro-
no, come il masque, a grandiose messe in scena, e nel cine-
ma ciò è dovuto al fatto che molti fìlms sono veri e propri
spettacoli mitici borghesi, come alcuni critici improvvisa-
mente e quasi contempurnneamente scoprirono alcuni an-
ni fa. Il posto che la vita privata dell'attore occupa nel-
l'immaginazione di molta parte del pubblico cinematogra-
fico ha forse una certa analogia con il travestimento con-
sapevolmente accettato del personaggio del masque.
A differenza del masque, l'opera e il cinema hanno la
capacità di produrre imitazioni spettacolari del teatro mi•
metico. L'opera può fare ciò soltanto semplificando il suo
meccanismo musicale; altrimenti la sua struttura dramma-
tica risulterebbe offuscata e confusa da quella distorsione
della recitazione che è resa necessaria dalla struttura for-
temente ripetitiva della musica. Allo stesso modo il cine-
ma deve semplificare la sua natura spettacolare. Obbe-
dendo alla sua inclinazione naturale per l'organizzazione
scenica, il cinema rivela affinità con altre forme di masque
scenico: con lo spettacolo di burattini nei fìlms di Chaplin
e di altti, con la commedia dell'arte in recenti fìlms italia-
ni, con il balletto e la pantomima nelle commedie musicali.
Quando un fìlm riesce a imitate un lavoro drammatico mi-
metico, non vale la pena di distinguere tra i due, ma la
differenza di genere si manifesta ugualmente. Il lavoro
drammatico mimetico tende verso un finale che illumina
l'inizio dell'azione, essendo ad esso logicament~ connesso:
di qui derivano la forma di parabola della tipica struttura
mimetica in cinque atti, e la qualità teologica del teatro
espressa dal termine« agnizione». Dall'altro lato abbL1mo
il teatro spettacolare che ha per natura una forma proces-
sionale e tende a una rivelazione episodica e frammenta-
ria, come possiamo vedere in tutte le forme di spettacolo
puro e semplice, dalla parata del circo alla rivista. Anche
nell'auto, che si trova secondo la nostra suddivisione dal-
l'altro lato del teatro spettacolare, la stessa struttura pro-
SPECIFICHE FORME DRAMMATICHE

cessionale si manifesta nelle lunghe e consecutive vicende


del lavori shakespeariani di soggetto storico e nel fasto
scenico della Bibbia. La forte tene.lenza originaria al mo-
vimento lineare' nelle forme di carattere spettacolare si
ritrova nella formula dello spettacolo continuato, e nel-
l'andirivieni casuale del pubblico al cinema, e nella succes-
sione di arie legate dal recitativo alla struttura drammatica
dell'insieme nell'opera. Nel primo romance sperimentale
di Shakespeare, Pericles, la tendenza a una struttura pro-
cessionale, cioè a una sequenza di scene « variamente am-
bi~ntate in diversi paesi», è molto evidente.
Il tratto essenziale del masque ideale è l'esaltazione del
pubblico il quale costituisce la mèta ultima della proces-
sione. Nell'auto il teatro è al suo stadio piu oggettivo; il
ruolo del pubblico è di accettare la storia senza giudicare.
Nella tragedia si dà un giudizio, ma la fonte dell'agnizione
trngica è dall'altra parte del palcoscenico, e qualunque co-
sa essa sia, è certamente piu potente del pubblico. Nel
teatro ironico, il pubblico e il lavoro drammatico si affron-
tano faccia a faccia; nella commedia la fonte dell'agnizio-
ne si è &postata dalla patte del pubblico stesso. Il masque
ideale pone il pubblico in una posizione cli superiorità ri-
spetto alla agnizione. L'azione verbale cli Fi?,aro è comica
e quella di Don Giovanni è tragica; ma in ambedue i casi
il pubblico è esaltato dalla musica piu che dalla tragedia o
dalla commedia; e, per quanto commosso possa essere,
non è coinvolto su un piano emotivo nell'agnizione finale
della trama o dei personaggi. Il pubblico assiste alla sce-
na della rovina di Don Giovanni come a uno spettacolo di-
vertente e grandioso, come probabilmente gli dèi assiste-
vano alla rovina di Aiace o di Dario. La stessa sensazione
di assistere alla mimesi drammatica attraverso un diafram-
ma di spettacolare divertimento è anche molto importan-
te nel cinema, ed è ancor piu ovvio nel teatro dei buratti-
ni, da cui principalmente il cinema discende. Dalla com-
media ironica passiamo a quella ideale attraverso il sim-
posio; alla conclusione del simposio platonico viene an-
1 Per questa struttura proces,ion,1\c, che Aristotele tanto aborriva, cfr.
Li nota a p. 248. L'ipotesi che Shakespeare possa a\'cr usato un collabora-
ture per Pcriclcs non incide sulle mie affermazioni.
39o CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

nunciato che un poeta dovrebbe essere in grado di scri-


vere sia tragedie che commedie, sebbene coloro che vl
sono perfettamente riusciti, come Shakespeare e Mozart,
abbiano avuto un forte interesse per le forme spettaco-
lari.
Facendo un altro passo avanti, ritorniamo al masque
vero e proprio. Piu la commedia si allontana dall'ironia,
minore è la potenza in campo sociale concessa agli htt·
mors. Nel masque, in cui la società ideale ancora predo-
mina, gli humors sono degradati al livello delle rozze fi.
gure dell'antimasque jonsoniano, che si dice siano deri-
vate1 da una forma drammatica molto piu antica degli al-
tri tipi di masque. Essendo una forma non mimetica del-
la commedia, la farsa si trova naturalmente nell'area del
masque, benché nel masque ideale il suo ruolo sia quello di
un interludio rigorosamente controllato. In The Tempest,
commedia cosi profonda che sembra contenere in sé tutti
gli elementi del masque, Stefano e Trinculo rappresen-
tano gli humors comici e Calibano una figura antimasque,
e l'intero gruppo mostra molto chiaramente la transizione
da un genere all'altro. Il tema principale del masque im-
plica la presenza di dèi, fate, e virtu personificate; al con-
trario le figure dell'antimasque tendono ad essere demoni-
che, e quindi la caratterizzazione drammatica incomincia
a scindersi in un'antitesi di virtu e vizio, dèi e diavoli, fa-
te e mostri. La tensione che esiste tra questi due oppo-
sti contribuisce a spiegare l'importanza della magia del
masque. Quando il finale è comico, la magia sta dalla par-
te del bene, come in The Tempest; ma, via via che ci allon-
taniamo dalla commedia, il conflitto diventa sempre piu
grave e le figure dell' antimasque meno ridicole e piu sini-
stre, poiché sono a loro volta dotate di poteri magici.
Questo stadio è rappresentato da Comus, in cui siamo
molto vicini all'aperto conflitto tra male e bene della mo-
rality play. Con la morality play passiamo in un'altra area
del masque che chiameremo quella del masque archetipi-
co, forma predominante della maggior parte del teatro in-
tellettuale del xx secolo, almeno nell'Europa continenta-
1 Cfr. E. WELSFORD, The Court Masque (r927).
SPECIFICHE FORME DRAMMATICHE 39 1
le, ed anche di molte opere liriche sperimentali e films po-
co popolari.
Il masque ideale tende a ridurre il suo pubblico a un
individuo, rivolgendosi al membro piu importante di tale
pubblico: persino il pubblico del cinema, che siede al buio
in piccoli gruppi e piu spesso in coppie, è relativamente
individualizzato. Si può notare un senso sempre crescente
di solitudine man mano che ci si allontana dalla comme-
dia. Il masque archetipico, come tutte le forme di teatro
spettacolare, tende a staccare il quadro che esso presenta
dal tempo e dallo spazio, ma invece che nei paesaggi arca-
dici del masque ideale è spesso ambientato in un sinistro
limbo, come le soglie della morte in Ognuno, le cripte sot-
terranee sigillate di Maeterlinck, o gli incubi del futuro
nei drammi espressionistici. Se approfondiamo l'esame
del fondamento logico di tale forma, ci accorgiamo che ri-
compare qui il simbolo della comunione in un sol corpo,
tipico dell'auto, ma in una forma psicologica e soggettiva,
senza la presenza di dèi. L'azione del masque archetipico
ha luogo in un mondo di tipi umani, che nel suo stadio piu
intenso diventa l'interno della mente umana. Ciò appare
apertamente nelle antiche moralities, come Mankynd e
The Castell of Perseveraunce, e almeno implicitamente
in molti drammi di Maeterlinck, Pirandello, Andreyev e
Strindberg.
Naturalmente in questo ambito, cioè nella mente uma-
na, la caratterizzazione si scompone negli elementi e nei
frammenti della personalità. Per questa ragione ho defini-
to archetipica questa forma di masque, intendendo jun-
ghianamente per archetipo un aspetto della personalità ca-
pace di proiezione drammatica. I concetti junghiani di per-
sona, anima, consigliere, e ombra, gettano molta luce sul-
la caratterizzazione dei personaggi nei drammi moderni
allegorici, psichici ed espressionisti, in cui compaiono im-
bonitori da circo, donne spettrali, saggi imperscrutabili, e
demoni ossessionati. Analoghe costruzioni sono le entità
astratte delle moralities e i tipi della commedia dell'arte
(quest'ultima rappresenta una delle piu antiche fonti di
tale genere drammatico).
Un senso di confusione e di paura accompagna il senso
39 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

di solitudine: i primi drammi di Maeterlinck sono quasi


incentrati sulla paura, e in essi il processo che tende a
scalzare le basi della distinzione tra illusione e realtà, cioè
il processo per cui delle proiezioni mentali diventano cor-
pi fisici e viceversa, frantuma l'azione in un caos caleido-
scopico di specchi rifrangenti. Le scene di folla dei dram-
mi espressionisti tedeschi e le fantasie meccanicistiche dei
Capek mostrano la stessa disintegrazione in un contesto
sociale. Dal punto di vista della distinzione dei generi uno
dei lavori drammatici archetipici piu interessanti è l'im-
pressionante opera di Andreev Le maschere nere, in cui
l'autore rappresenta non solo la distruzione del nobile ca-
stello' di un individuo, che ne è il tema esplicito, ma il
crollo dell'intera società della Russia moderna. In questo
dramma si distinguono due gruppi di elementi dissociativi
della personalità, uno connesso con l'idea dell'autoaccusa,
l'altro con il desiderio della morte, e l'anima umana ap-
pare come un castello posseduto da una legione di demo-
ni. È evidente che piu il masque archetipico si allontana
da quello ideale, piu chiaramente esso si rivela come un
ormai emancipato antimasque, una baldoria di satiri sfug-
giti ad ogni controllo. Lo sviluppo del teatro nel suo sta-
dio piu sofisticato sembra essere diretto verso una anagno-
risis o riconoscimento della piu primitiva di tutte le for-
me drammatiche.
Al limite estremo del masque archetipico, dove esso si
congiunge con l'auto, raggiungiamo il punto indicato da
Nietzsche come punto della nascita della tragedia, dove
l'orgia di satiri si scontra con l'apparizione di una divinità
dominante, e Dioniso è costretto e trova un'intesa con A-
pollo. Possiamo chiamare questo quarto punto cardinale
del teatro l'epifania, l'apocalisse drammatica o separazio-
ne del divino dal demonico: si tratta di un punto esatta-
mente opposto a quello del mimo, dove abbiamo una me-
scolanza di elementi soltanto umani. Questo punto è la
forma drammatica di quel punto di epifania che ci è so-
prattutto noto come il punto in cui il Libro di Giobbe,
dopo aver descritto un cerchio a partire dalla tragedia e
1 [In italiano nel testo].
SPECIFICHE FORME DRAMMATICHE 393
passando attraverso lo stadio del simposio, finalmente si
chiude: vi compaiono il leviatano e behemot al posto di
piu noti animali demonici.
I critici classici, da Aristotele a Orazio, non riuscivano
a spiegarsi perché una farsa oscena e disorganizzata come
il dramma satiresco fosse all'origine della tragedia, fotto
di cui peraltro non dubitavano. Nel teatro medievale, in
cui il passaggio attraverso l'auto sacro ed eroico fino alla
tragedia è molto piu lento, lo sviluppo da uno stadio al-
l'altro è piu chiaro. Il lavoro drammatico biblico piu ma-
nifestamente centrato sul momento di epifania è The Har-
rowing of Hell, che descrive il trionfo di un redentore di-
vino sulle forze demoniche. I demoni di questa rappre-
sentazione sono la versione cristiana di figure molto simili
ai satiri greci; e gruppi drammatici di solito molto vicini
alle figure dei satiri non mancano mai nelle rappresenta-
zioni che trattano direttamente di Cristo, in cui compaio-
no come potenze domate e intimorite (e il caso della Se-
cunda pastorum), o come potenze malvage trionfanti (nel-
le rappresentazioni della crocifissione o della storia di E-
rode). Come la tragedia greca conservò e sviluppò il dram-
ma satiresco, cosi la tragedia elisabettiana conserva un
contrappunto satiresco nelle scene buffonesche e nelle tra-
me secondarie di carattere farsesco del Faustus e di mol-
te, piu tarde tragedie. Da questo stesso elemento farse-
sco derivano i superbi episodi del portiere in Macbeth,
dei becchini in Hamlet, e dell'uomo che porta il serpente
in Anthony and Cleopatra, che sconcertarono tanto i cri-
tici classicisti dimentichi del dramma satiresco. Forse ri-
conosceremmo maggior senso drammatico in Titus An-
dmnicus, se in esso vedessimo un inferno senza strazio,
un dramma satiresco di demoni osceni e farfuglianti.
I due nodi della rappresentazione biblica sono il Na-
1,1le e la Pasqua: quest'ultima presenta il dio trionfante,
il primo la calma immagine della vergine madre che rac-
coglie intorno a sé il masque processionale dei re e dei pa-
stori. La sua figura è al polo opposto del masque rispetto
:1 quella della regina o gentildonna che sta a guardare, ti-
pica del masque ideale, mentre a metà strada tra le due
1mviamo la figura della Dama virtuosa, ma paralizzata,
394 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

di Comus. Una figura femminile che simboleggia una sor-


ta di unità e ordine pacificatore e si affaccia alla fine dei
grandi masques panoramici del Faust e del Peer Gynt, nel
primo dei quali il modello dell' « eterno femminino» ha u-
na certa connessione con gli esempi tradizionali. Gli esem-
pi moderni della stessa forma di epifania vanno dall'An-
nonce faite à Marie di Claudel alla Countess Cathleen di
Yeats, in cui l'eroina è veramente una versione femminile
e irlandese della figura di Gesu, poiché essa si sacrifica per
la sua gente e inganna i demoni con la purezza della sua
natura, proprio come nella teoria preanselmica dell'espia-
zione. Come Yeats sottolinea in una nota, tale storia t'.lp-
presenta una delle piu alte parabole del mondo.
Specifiche forme tematiche (lirica e epos)

Abbiamo detto che il teatro è una mimesi esterna e la


lirica una mimesi interna del suono e dell'immagine, e che
ambedue i generi evitano la mimesi dell'allocuzione diret-
ta. E ancora, secondo la terminologia del nostro primo
saggio, che il teatro tende ad essere una forma inventiva
e la lirica una forma tematica. Abbiamo giudicato oppor-
tuno esaminare le forme specifiche del teatro come un ci-
clo di invenzioni e questo esame ci ha anche fornito un'ap-
prossimativa ma forse utile classificazione delle varie spe-
cie di teatro. Intendiamo ora esaminare un corrisponden-
te ciclo di temi e applicare questo sistema alla lirica e an-
che a quelle forme di epos', compresa la prosa oratoria,
che sono abbastanza tematiche o vicine alla lirica da rien-
trare in questa area. Le composizioni poetiche puramente
narrative, essendo invenzioni, corrispondono, se episodi-
che, alle varie specie di teatro; se continue, alle specie del-
la letteratura d'invenzione in prosa che esamineremo piu
tardi.
È chiaro tuttavia che la lirica può trattare qualunque
argomento ed avere qualunque forma. Non segue le con-
venzioni imposte dal pubblico, come il teatro, o da un ra-
dicale fisso di presentazione, come è il palcoscenico per il
teatro. Perciò questo nostro esame non intende dare e non
darà una classificazione delle forme specifiche della lirica:
quel che cerca di dare è invece una panoramica dei prin-
cipali temi convenzionali della lirica e dell'epos. Ancora
una volta, nostro scopo non è « far rientrare» le composi-
' Si è dovuto omettere in questa discussione un problema estremamen.
te complicato, il problema dei generi intermedi tra la lirica e l'epos.
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

zioni poetiche entro certe categorie, ma mostrare empiri-


camente come degli archetipi convenzionali si traducano
in generi convenzionali.
Partiamo dal processo associativo «oracolare» che ab-
biamo identificato come una delle iniziative della lirica, e
che corrisponde a quella che nel teatro abbiamo chiamato
epifania. Uno dei prodotti piu immediati di questo proces-
so è un tipo di poesia religiosa caratterizzata da una con-
centrazione di suoni e da un'ambiguità di significato, di
cui l'esempio moderno piu noto è la poesia di Hopkins.
Nella poesia religiosa con schemi strofici molto elabo-
rati, come Pearl e come molte poesie di Herbert, osser-
viamo che lo sforzo di trovare le rime e di disporre le pa-
role secondo schemi complicati si concilia con quel senso
di castigatezza intellettuale - una sorta di sacrificium in-
tellectus - tipico di questo genere di letteratura. Tali com-
plicati schemi verbali risalgono, attraverso gli acrostici di
Aldhelm che coincidono con gli esordi della poesia ingle-
se, ai salmi ebraici.
Notiamo che molta parte della letteratura sacra è scrit-
ta in uno stile pieno di giochi e di echi verbali, nel quale
è spesso difficile distinguere rigorosamente tra ritmo me-
trico e prosastico. Le traduzioni inglesi della Bibbia, spe-
cialmente quella del r 6 rr, mantengono con molta abilità
questo ritmo <<oracolare» di prosa-verso; anche se i gio-
chi di parole ebraici sono, naturalmente, un'altra cosa. Il
curioso ritmo di cantilena del Corano è un esempio pu-
rissimo di stile oracolare, e rientrano pure in questa con-
venzione i versi ambigui degli oracoli classici. Tracce di
questi elementi si riscontrano in tutta la poesia religiosa:
in quella inglese dall'epoca anglosassone fino all'inizio del-
la quinta sezione di Ash Wednesday. Da quel che si è
detto è chiaro che l'oracolo è il germe o punto di partenza
anche per lo sviluppo di un ritmo oratorio prosastico. Il
risultato piu ovvio è la preghiera, la quale sembra esigere
una retorica della paratassi, cioè frasi brevi legate insie-
me da un ritmo molto simile al verso libero.
Nelle liriche religiose piu adatte alla recitazione pub-
blica, quali il peana in onore di Apollo, il salmo ebraico,
l'inno cristiano, o il Veda indu, il ritmo si fa piu maesto-
SPECIFICHE FORME TEMATICHE (LIRICA E <<EPOS») 397
so, semplice e austero, l' «io» della poesia è quello di una
comunità visibile di adoratori, e la sintassi e la dizione di-
ventano meno ambigue. Di solito tali liriche sottolineano
l'oggettività e l'ascendente del dio, e riflettono il senso di
una disciplina esterna e sociale.
La forma narrativa dell'epos corrispondente al salmo o
all'inno offre una rappresentazione piu coerente della di-
vinità. Si tratta di un mito formato di due parti principa-
li: la leggenda, che racconta la biografia del dio e i suoi
precedenti rapporti con il suo popolo; e la descrizione del
rito religioso che egli esige. Spesso la prima indica la via
ed offre la spiegazione per giungere alla seconda. Gli inni
omerici trattano per lo piu della leggenda; gli inni vedici
tendono a subordinare la leggenda del passato ai riti reli-
giosi del presente. Si può fare il confronto con la narrazio-
ne << P » della creazione con cui la Bibbia si apre e che nella
forma strofica datale dalla divisione della creazione in set-
te giorni rivela molte caratteristiche comuni con l'inno: in
questa narrazione il racconto della creazione ha come suo
punto culminante l'istituzione del sabba. A differenza di
ciò che avviene nelle forme piu rapsodiche o ditirambiche
di cui parleremo piu avanti, nel peana o nel salmo l'ado-
ratore non desidera tanto identificarsi con il dio quanto
essere identificato come adoratore.
Strettamente connessa con l'inno è l'ode panegirica de-
dicata a un rappresentante umano della divinità, sia esso
un eroe o un re. In alcuni dei Salmi ebraici, in particolare
il XLV, il re è una figura intermedia da cui si sviluppa
quella del Messia, del figlio di Davide, che raggiunge il
massimo innalzamento e insieme la massima sofferenza per
amore del suo popolo. Nella letteratura greca, l'ode pinda-
rica concentra l'attenzione sull'atleta vittorioso che, seb-
bene uomo, ha un rapporto rituale con la divinità sottoli-
neato dalla mitologia e dalla leggenda ricordate nell'ode.
Nel periodo romano gli onori tributati all'imperatore e
allo stato costituiscono la nuova occasione e l'oggetto
del panegirico mitologico che continua a svilupparsi nella
quarta egloga di Virgilio, nella prima cli Calpurnio e nel
Carmen saeculare di Orazio. Più tardi la forma principale
<li panegirico diventa la poesia in lode della dama dell'a-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

more cortese. Il panegirico è anche una delle forme retori-


che in prosa, non molto comune e importante nella lette-
ratura se ha per soggetto un essere umano, ma capace di
una certa flessibilità verso direzioni piu impersonali. Pa-
negirici in prosa sulle virtu o su certi aspetti della cultu-
ra, e specialmente della poesia, compaiono di tanto in tan-
to, spesso nella forma semigiuridica dell'apologia o della
difesa. Nella poesia stessa abbiamo forme come l'ode di
santa Cecilia, che è un panegirico della musica. Anche l'e-
pitalamio, il trionfo, e simili composizioni scritte in occa-
sione di festività o di processioni sono delle specie di pa-
negirici. Poiché è per sua natura una convenzione di ca-
rattere pubblico, il panegirico compare spesso in una for-
ma ampliata che combina le caratteristiche della lirica con
quelle dell'epos.
Nel panegirico il poeta invita il lettore a osservare con
lui qualcos'altro. Se questo qualcos'altro non è presente in
modo visibile, abbiamo la poesia di un'intera comunità,
com.e avviene in qualunque tipo di poesia patl'iottica. La
poesia della comunità ci porta al seguente punto cardina-
le della lirica, che abbiamo definito punto dell'incantesimo
o della reazione ad un certo tipo di soggezione fisica o
quasi fìsica (forse la parola esatta in questo caso è propul-
sione). L'educazione a questa sorta di incantesimi inco-
mincia con le cantilene infantili, quando il bambino viene
fatto dondolare o saltellare al ritmo di determinate parole,
e il tema del canto include una forma di affettuoso assalto
al bambino. Prosegue poi con le grida di incitamento usa-
te nei colleges, con i ritmi cantilenati, e altre simili forme
di participation mystique. L'inno nazionale è un'altra for-
ma che rivela una stretta connessione con la poesia della
comunità. In società piu primitive troviamo le stesse ca-
ratteristiche, nei canti dei lavoratori in tempo di pace e
nei canti di battaglia in tempo di guerra. Il piu noto degli
sviluppi di tal genere nel campo dell'epos è la ballata, che
per molte sue caratteristiche, come la ripetizione di certi
versi mirante a creare un'atmosfera sempre piu intensa e
le parole iniziali cui si vuol richiamare l'attenzione del
lettore, è molto vicina alla poesia della comunità, tanto
che alcuni studiosi sono giunti a credere che essa fosse
SPECIFICHE FORME TEMATICHE (LIRICA E «EPOS») 399
originata da una forma di composizione collettiva. Il pun-
to cardinale della prosa oratoria corrispondente a quello
dell'incantesimo è la forma di comandamento o esorta-
zione; tra le piu lunghe forme parenetiche in prosa, il ser-
mone è quella piu ampiamente sviluppata nella letteratu-
ra occidentale. Altre forme verranno menzionate in se-
guito.
La participation mystique è fondamentalmente un at-
teggiamento spasmodico: nelle comunità primitive esso
può essere mantenuto per ore e ore mediante la danza,
e nelle comunità decadenti mediante l'oratoria, ma in uno
stadio di notevole sviluppo culturale viene relegato in se-
condo piano. Per la letteratura, la scomparsa della pre-
senza visibile nel panegirico significa di solito che vi è u-
n'invisibile presenza della morte. Con l'ode panegirica di
carattere funerario ci spostiamo dalle convenzioni corri-
spondenti all'auto drammatico a quelle corrispondenti al-
la tragedia; e troviamo in primo luogo l'elegia o trenodia
in morte dell'eroe, dell'amico, del capo o della donna a-
mata. Le trenodie rivelano anche una forte tendenza ad
invadere il campo mitologico: il soggetto di cui si piange
la morte non è soltanto idealizzato, ma spesso innalzato
al livello di uno spirito della natura o dio morente. L'ele-
gia pastorale il cui soggetto tradizionalmente si identifica
con Adone forma, nella trenodia, il centro di convenzio-
ne. Alcune delle poesie per Lucy di Wordsworth indicano
come persino un'elegia semplice e breve possa assorbire
questo tipo di immagini. La forma corrispondente nel
campo della prosa oratoria è l'oraison funèbre, che soprav-
vive in certe necrologie moderne: qui, com'è logico trat-
tandosi di mezzo prosastico, gli sviluppi mitologici sono
meno accentuati e spesso sostituiti da sviluppi dottrinali
o concettuali. Una forma rara e difficile di epos, il panegi-
rico tragico, in cui l'eroe è presentato sia come figura tra-
gica che come eroe conquistatore, è rappresentata dall'o-
de di Marvell su Cromwell e dal suo prototipo, l'ode di
Orazio su Attilio Regolo.
Una forma di elegia piu isolata è quella dell'epitaffio,
nel quale spesso è delineato il corso di un'intera vita. Gli
epitaffi possono variare nel tono dal panegirico alla scur-
400 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

rilità, ma persino nella Antologia Palatina essi mantengo-


no sempre qualcosa della loro funzione originaria di lapidi
commemorative, di segni visibili innalzati sulle strade per
fermare il passante e obbligarlo a leggere. La forma di
epos corrispondente è l'epitaffio storico, o meditazione su
un passato scomparso: essa ha con le rovine di una civiltà
lo stesso rapporto che l'epitaffio di un individuo ha con
la sua pietra tombale. Nel campo della prosa, la forma
corrispondente è la meditazione elegiaca di carattere re-
torico, rappresentata nella letteratura inglese dall'Urn Bu-
rial di Browne.
Ancor piu vicino all'ironia è il lamento, la poesia di chi
è stato esiliato o dimenticato o che protesta contro un trat-
tamento crudele. In questo caso, l'individuo che richiede
la nostra attenzione, a differenza del morto di cui si parla
nell'epitaffio, è capace di parlare in propria difesa, ed è di
solito il poeta stesso. Questo tema raccoglie quasi tutta la
tradizione convenzionale dell'amor cortese, in cui l'arche-
tipo principale è rappresentato dalla figura della donna a-
mata sdegnosa e inflessibile. Tale figura è il rovesciamen-
to ironico della forma originaria dell'elegia pastorale. La
persona piu indicata a piangere la morte di Adone è Ve-
nere, sebbene ciò avvenga di rado in letteratura, a meno
che il tema sia questo specifico mito; ma nella maggior
parte delle poesie della tradizione cortese la donna amata
è la causa di tutte le sofferenze dell'innamorato, compresa
la morte. Ritroveremo piu avanti questa ambivalente fi-
gura femminile. Il lamento si sviluppa facilmente in for-
me epiche, incluse le tragedie narrative il cui nucleo emo-
tivo è costituito non dalla catastrofe ma dal lamento che
segue alla catastrofe, come nei due poemi narrativi di
Shakespeare.
La fase dell'itonia tragica è rappresentata dalla poesia
della malinconia nella sua forma estrema di tedio o ennui:
poesia in cui l'individuo è cosi'. isolato da sentire la propria
esistenza come uno stato di morte vivente. Nella géante
baudelairiana la figura della donna sdegnosa assume toni
piu intensamente sinistri, e il tema della morte è presen-
tato in termini di puro e semplice disfacimento fisico:
« terra sulla terra», come dice un poeta medievale. La for-
SPECIFICHE FORME TEMATICHE (LIRICA E «EPOS») 4or
ma di epos piu adatta a questa fase è la danse macabre,
cioè la poesia della comunità umana morente.
È difficile trovare un nome per il nostro prossimo pun-
to cardinale: potremmo quasi parodiare il termine usa-
to da Hopkins e chiamare questa forma poesia dell'out-
scape. Si tratta del corrispondente lirico di quello che nel
teatro chiamiamo mimo, centro di ironia comune alla tra-
gedia e alla commedia. È una convenzione di puro, proiet-
tato distacco, nella quale un'immagine, una situazione o
uno stato d'animo sono osservati con tutta l'energia im-
maginativa rivolta ad essi e lontano dal poeta. Alcune del-
le sue caratteristiche si possono definire con la parola epi-
gramma, usata nel senso piu ampio, anche se l'epigramma
manifesta nella maggior parte dei casi una forte tendenza
alla commedia e alla satira. Su questa convenzione si basa
in gran parte la poesia lirica della Cina e del Giappone,
in impressionante contrasto con la poesia occidentale, in
cui l'epigramma tende piuttosto a esprimere delle emozio-
ni o a formulare un caso retorico. Costituiscono un'ecce-
zione alcuni sonetti shakespeariani, come « The expense
of spirit in a waste of shame ».
Il punto cardinale corrispondente nella prosa è il pro-
verbio o aforisma, germe di forme come la letteratura di
saggezza nella Bibbia. Siamo qui vicini al tipo di satira
che vuole insegnare la saggezza del mondo, e agli antipodi
dell'oracolo o profezia. Il proverbio è un oracolo profa-
no o esclusivamente umano: ha di solito le stesse caratte-
ristiche retoriche, allitterazione, assonanza, parallelismo,
che troviamo nell'oracolo, ma si rivolge all'individuo co-
sciente e distaccato e allo spirito critico. La sua autorità
deriva dall'esperienza: per esso la saggezza è quella che
è stata provata e sperimentata; soltanto il folle cerca la
novità; le virtu essenziali sono la prudenza e la modera-
zione. I proverbi del Marriage of Heaven and Hell di
Blake sono parodie di proverbi, in quanto sono concepiti
da un punto di vista oracolare o epifanico.
Se passiamo a esaminare le convenzioni della satira,
nelle forme liriche di Hardy o di Housman o in quella
epica di Dryden e Pope, vediamo che le caratteristiche
dell'epigramma e del proverbio permangono. Questi poeti
402 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

producono effetti di chiarezza e luminosità piuttosto che


di mistero o di magia, e la loro tecnica mira essenzial-
mente a una concentrazione del significato. Per ottenerla
sono necessarie due cose: una struttura metrica molto ri-
gida, intessuta di parole che si susseguono secondo un
ordine nettamente disegnato; e una chiara indicazione dei
moduli sonori come nel suono pieno del distico rimato.
Moduli sonori supplementari o inaspettati, come l'allitte-
razione o l'assonanza all'interno del verso, vengono utiliz-
zati molto parcamente, e la poesia segue precetti words-
worthiani imitando molto da vicino nella dizione, metri-
ca a parte, la prosa non retorica. In questa fase le forme
dell'epos e della prosa, come l'epistola e la satira vera e
propria, sono naturalmente molto vicine.
Nella satira l'osservazione è di fondamentale importan-
za, ma, man mano che i fenomeni osservati passano da
una fase sinistra a una grottesca, essi diventano piu illu-
sori e inconsistenti. Notiamo tra le forme dell'epos un
corrispondente comico della danse macabre: il« testamen-
to» in versi, di cui l'esempio piu noto nella letteratura in-
glese è la poesia sulla propria morte scritta da Swift. Una
stretta parentela con la convenzione del «testamento»
hanno gli anniversaries di Donne, in cui la morte di una
fanciulla è l'occasione per lo sviluppo di una satira di ca-
rattere generale, detta anche «anatomia», termine che ri-
troveremo piu avanti.
Siamo ora nell'area corrispondente alla commedia, e an-
cor sempre nell'ambito della visione dell'esperienza. La
convenzione che segna un leggero allontanamento dalla sa-
tira è la poesia del paradosso, cioè la poesia in cui un de-
terminato paradosso è il vero tema, e non semplicemente
una caratteristica tecnica accidentale. Si incontrano logi-
camente molti componimenti di questo tipo nella poesia
«metafisica» che ricorre spesso a intenzionalmente forza-
te e perciò bizzarre astrazioni. Donne e Herbert ce ne for-
niscono esempi, e cosi pure Emily Dickinson. Il paradosso
è sovente anche un paradosso del sentimento, sicché tal-
volta non sappiamo se dobbiamo prendere la poesia sul
serio o come uno scherzo. La poesia paradossale rientra
nel campo della commedia dell'esperienza, in una zona
SPECIFICHE FORME TEMATICHE (LIRICA E «EPOS») 403
molto vicina alla satira, poiché il paradosso in poesia è di
solito un trattamento ironico dell'amore idealizzato o del-
la religione, come è appunto lo stilizzato codice petrarche-
sco a proposito del quale Donne osserva « May barren an-
gels love so» 1, o la virtu vanagloriosa che, come vediamo
in alcune poesie di Herbert, finisce per cadere ignominio-
samente al naturale livello umano. Un altro trattamento
paradossale della convenzione dell'amor cortese è la pa-
storella o dialogo di un amore senza soluzioni. Una for-
ma di epos imparentata con questa e che ci ricorda l'asso-
ciazione tra la commedia e le corti di giustizia, è il dibat-
tito, nel quale i due lati di una questione vengono ampia-
mente discussi e poi sottoposti a un arbitro che spesso po-
spone o differisce la decisione. Ne sono esempi The Owl
and the Nightingale, il Parliament of Fowls di Chaucer e
i .Mutabilitie Cantoes di Spenser.
Una forma meno ambigua di commedia lirica è rappre-
sentata dalla poesia del tipo carpe diem basata su un mo-
mento di piacere nell'esperienza. In tale poesia regna u-
n'atmosfera di distacco, sia soggettivo che oggettivo. Il
poeta di solito, anche se ubriaco, conserva il controllo del-
le sue facoltà, e il momento stesso del piacere è fuori del
tempo. Molte poesie, di ogni genere, dedicate alla gioia so-
no associate con la visione di un mondo innocente, come
in Blake: i grandi poeti epicurei, da Orazio a Herrick,
accettano le limitazioni della gioia nel mondo dell'espe-
rienza, il suo carattere transitorio nell'abisso di una<< notte
senza fine». Persino in Herrick ci sono molti elementi co-
me l'amore per il folklore e le immagini di abiti, gioielli e
profumi, che indicano una affinità con il masque piutto-
sto che con la commedia. Il limite estremo dell'esperien-
za quotidiana nella commedia lirica è toccato dalla poesia
che riflette uno spirito tranquillo, l'atteggiamento di un
ezron trionfante o di colui che è « soddisfatto di una situa-
zione modesta», la serenità di chi si adatta al mondo del-
l'esperienza e rinuncia alla ricerca donchisciottesca che lo
coinvolge emotivamente. La formula del « ricordare in
tranquillità» di Wordsworth indica la sua tendenza a ri-
1 [ ,, Poss,rno cos( amare gli aridi angeli»].
CRlTICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

manere nell'ambito dell'esperienza, al contrario della mag-


gior parte dei romantici. L'espressione dell'atteggiamento
di serenità nell'epos è spesso la poesia descrittiva, in cui
il poeta sale su una collina e dà uno sguardo al panorama
sottostante: si tratta quindi di una imitazione nel campo
dell'esperienza del punto di epifania. La poesia della tran-
quillità, se oltre a raccomandare se stessa ha un tema, cer-
ca di comunicare al lettore un geloso segreto, il che ci por-
ta al successivo punto cardinale, l'enigma.
L'idea dell'enigma è un riserbo nella descrizione: il suo
oggetto non è descritto ma circoscritto, cioè intorno ad es-
so viene tracciato un cerchio di parole. Negli enigmi sem-
plici l'oggetto principale è un'immagine, e il lettore si sen-
te spinto a indovinare cioè a fare una equazione tra la poe-
sia e il nome o simbolo-segno dell'immagine che esso con-
tiene. Una forma leggermente piu complicata di enigma è
la visione emblematica, forse una delle piu antiche forme
di comunicazione umana di cui daremo un esempio anzi-
ché una descrizione, che sarebbe troppo lunga:
E il Signore mi disse: Che vedi, Amos? Ed io dissi: Un
archipenwlo. E il Signore disse: Ecco, io pongo l'archipen-
zolo per mezzo il mio popolo Israele.
Altri profeti sono rappresentati con un loro apparato sim-
bolico, come la lanterna di Diogene, espediente retorico
che sopravvive ancora nel pugnale di Burke. Sviluppi let-
terari di questa medesima forma comprendono l'emblema
stesso, alla cui tradizione appartengono la tigre, il giraso-
le e la rosa bacata di Blake, e le poesie concettistiche di
carattere pittorico come PulleJJ di Herbert. È facile vede-
re inoltre il rapporto tra la visione emblematica e l'imma-
gine araldica della narrativa moderna. Abbiamo una ter-
za forma di enigma nel symbolisme dove il contenuto è
piuttosto uno stato d'animo che un oggetto. Anche qui,
come avviene di solito nelle forme piu sofisticate, soprav-
vivono allo stato residuale degli elementi piu semplici ap-
partenenti alla stessa tradizione, come per esempio l'e-
nigmatico ptyx di Mallarmé.
L'enigma e la visione emblematica sono in stretto rap-
SPECIFICHE FORME TEMATICHE (LIRICA E «EPOS») 405
porto con il punto cardinale corrispondente nella prosa,
cioè con la parabola o con la favola, che appartengono an-
ch'esse, logicamente, al campo dell'epos. La favola è tra
le due la forma piu semplice e la piu vicina al semplice
enigma, in quanto l'erogazione della morale è associata
alla spiegazione dell'enigma. La parabola è una forma di
piu ampio e profondo sviluppo e con una marcata tenden-
za a includere in sé la propria morale. Nella favola, la
stilizzazione mitica (animali parlanti e simili) è uno dei
tratti ricorrenti della narrazione; nella parabola la stiliz-
zazione è meno evidente. Tra le parabole di Gesu solo
quella delle pecore e delle capre, che è un'apocalisse, uti-
lizza un materiale che esorbita dall'ambito realistico del-
la credibilità.
Nelle poesie di Herrick sulle primule e sui narcisi sia-
mo ancora molto vicini alla favola e alla tradizione emble-
matica: cosi vicini che non sembra affatto un'incongruen-
za « ricevere una lezione f> dalle primule. Ma i narcisi sel-
vaggi di Herrick, a differenza di quelli di Wordsworth, so-
no affrontati direttamente e l'immagine cosi affrontata di-
venta subito una personificazione. Ci troviamo qui nell'a-
rea corrispondente al masque nel teatro, e abbiamo nuova-
mente di fronte la visione dell'innocenza e il paese incan-
tato del romance animistico. La poesia che pone davanti a
noi delle immagini, in cui cioè uno stretto rapporto tra lo
stato d'animo del poeta e le sue immagini è espresso dalla
personificazione delle immagini, è il genere a cui apparten-
gono le odi di Keats: quella sull'urna greca è la piu vicina
alla poesia emblematica. Un altro passo avanti ci porta
nell'area pastorale, con la quale ritorniamo al modo di
romance menzionato nel primo saggio, in cui la pietà e il
terrore diventano forme di piacere, traducendosi per soli-
to rispettivamente nel bello e nel sublime. Questi sono ri-
tenuti generalmente stati d'animo opposti, come nel me-
raviglioso dittico sull'idilliaco e sul contemplativo in Mil-
ton, ma a volte, come in alcune poesie del «verde» mon-
do di Marvcll, abbiamo una poesia di cosf totale immer-
sione in quel mondo fantastico che i due stati d'animo sem-
brano fusi in uno solo.
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

Ma quando nella visione dell'innocenza tutti gli ele-


menti sono unificati, spesso ricompare la visione oppo-
sta, quella dell'esperienza, in una convenzione che potrem-
mo chiamare la poesia della coscienza allargata, in cui il
poeta equilibra la catarsi della sua visione dell'esperienza
con l'estasi della sua visione di un mondo spirituale, in-
visibile o creato dalla sua fantasia poetica. Qui, come nel-
le corrispondenti forme di teatro, non abbiamo una mime-
si diretta della vita ma una sua mimesi spettacolare che
ci permette di guardare l'esperienza dall'alto per la pre-
senza simultanea di un altro tipo di visione. Nel teatro
questa mimesi spettacolare si ottiene con l'aiuto della mu-
sica e dello spettacolo. La musica e la pittura non possono
esprimere il tragico o il comico, che sono solo concetti ver-
bali: esse esprimono stati d'animo che possono adattarsi
alla tragedia o alla commedia se c'è già un programma let-
terario che li sostenga. Ai nostri giorni gli esempi piu ef-
ficaci di poesia della coscienza allargata sono i quartetti
di Eliot e le elegie di Duino di Rilke; i riferimenti musi-
cali del primo e le immagini pittoriche del secondo espri-
mono la stretta affinità di questo genere con arti che, mol-
to piu chiaramente della poesia, non hanno la capacità di
parlare.
La convenzione successiva potrebbe essere chiamata la
poesia del riconoscimento, la poesia cioè che inverte le
normali associazioni fatte nel sogno e nella veglia, cosi che
l'esperienza ha tutte le caratteristiche dell'incubo e la vi-
sione del sogno sembra la vera realtà. L'epos di questa
convenzione include la visione d'amore medievale, in cui
abbiamo di nuovo lo spettacolo di una relazione persona-
le diretta, ottenuto situando tale relazione in un mondo
straordinario. Tra le forme liriche uno degli esempi mo-
derni piu puri, dal punto di vista del genere letterario, è
Marina di Eliot, che è assai vicina alle forme drammati-
che corrispondenti. A essa appartengono anche molti so-
netti su Orfeo di Rilke, e questa è pure la convenzione
principale della poesia di Vaughan e di Traherne. È un te-
ma raro nella prosa e difficile da svolgere nel ritmo della
prosa, ma lo troviamo in Centuries of .M.editation, spe-
SPECIFICHE FORME TEMATICHE (LIRICA E «EPOS») 407

cialmente nel famoso passo « The corn was orient and im-
mortal wheat » 1•
Un gruppo molto importante di poesia del riconosci-
mento sono le poesie dell'autoriconoscimento, in cui il
poeta stesso è coinvolto in un risveglio che lo fa passare
dal mondo dell'esperienza a una realtà di carattere visio-
nario: ne sono esempi la Ode on the Poetica! Character di
Collins, il Kubla Khan di Coleridge e Tower e Sailing to
Byzantium di Yeats. Questo genere confina con il succes-
sivo e ultimo gruppo di temi che ci riporta di nuovo al-
l'oracolo. Si tratta delle forme ditirambiche o rapsodiche
in cui il poeta si sente posseduto da una forza interna e
quasi personale. La piu vicina alla poesia del riconosci-
mento è la poesia della risposta iconica, che caratterizza
alcune odi di Crashaw. Nel periodo del Romanticismo di-
venta molto popolare un tipo di poesia che ricorre piu
frequentemente a forme ditirambiche e a elementi sogget-
tivi: ne sono esempi l'Ode to the West Wind di Shelley,
buona parte della poesia di Swinburne, di Vietar Hugo,
di Nietzsche (che, curiosamente, affermò di aver inventa-
to lui il ditirambo), delle profezie di Blake, specialmente
la nona notte di The Four Zoas, e le due grandi poesie di
Smart. La maggior parte di queste sono forme di epos:
il ditirambo si presta molto al metro ricorrente. Tra le
forme liriche, osserviamo la convenzionale canzone del fol-
le, di cui sono esempi le canzoni di Edgar in King Lear, le
poesie di Crazy Janc in Yeats, e sporadicamente testi di al-
tri poeti, tra cui Scott. Il fatto che il personaggio che can-
ta le canzoni della follia sia di solito un vagabondo, sug•
gerisce l'idea di una sua piu stretta connessione, rispetto
agli uomini normali, con esseri e forze misteriosi, come
gli spiriti della natura. A un livello piu sofisticato, quan-
do il poeta suggerisce l'idea dell'irrompere di visioni auto-
nome all'interno della sua stessa mente, abbiamo le Illu-
minations di Rimbaud.
Man mano che ci avviciniamo al ritmo oracolare da cui
siamo partiti, i ritmi della prosa e del verso incominciano
di nuovo a fondersi. Notiamo per esempio che in Whit-
1 [«Il grano era splendido e immortale frumento»].
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

man vi è una forte pausa alla fì.ne di ogni verso; ed è logi-


co, perché dove il ritmo è irregolare, I'enjambement non
ha senso. Il ritmo si sta avvicinando a una forma in cui il
ritmo lirico associativo, il verso dell'epos e la frase della
prosa diventano sempre piu la stessa unità di base; tale
tendenza si può vedere tanto in una poesia ditirambica in-
genua come quella di Ossian, quanto in una sofisticata co-
me la poesia francese posteriore alla Saison en Enfer che
si collega a questa tradizione.
Specifiche forme continue (narrativa in prosa)

Chiamando fiction il genere della parola scritta, in cui


la prosa tende a diventare il ritmo predominante, urtiamo
contro quanti sostengono che il vero significato cli fiction
è falsità o itrealtà. In base a questo, un'opera autobiografi-
ca acquistata da una biblioteca dovrebbe essere classificata
come non-fiction se il bibliotecario crede vero ciò che l'au-
tore scrive, e come fiction se pensa che egli racconta cose
false. È difficile immaginare a che cosa possa servire questa
distinzione per il critico letterario. Certamente la parola
fiction, che, come la parola poesia, significa etimologica-
mente qualcosa che è stato fatto o creato fine a se stesso,
potrebbe essere usata per qualunque opera d'arte lettera-
ria scritta in una forma fondamentalmente continua, il che
significa quasi sempre un'opera d'arte in prosa. O, se sem-
bra che in tal modo il termine venga ad abbracciare un
campo troppo vasto, ci limiteremo a protestare contro la
sciatta abitudine di identificare il genere fiction con l'unica
autentica forma di fiction che conosciamo sotto il nome di
romanzo.
Diamo un'occhiata ad alcuni dei libri non ancora classi-
ficati che stanno al limite tra non-fiction e letteratura. Se
chiedessimo: Tristram Shandy è un romanzo? quasi tutti
risponderebbero di si, nonostante l'indolente noncuranza
di tale opera per «i valori del racconto in sé». Gulliver's
Travels è un romanzo? Qui molti esiterebbero a risponde-
re affermativamente, compreso il sistema decimale di De-
v:ey, che lo mette sotto la voce« Satira e Umorismo». Ma
tutti sono perfettamente d'accordo nel ritenerlo fiction, e
quindi si delinea una distinzione netta tra fiction come ge-
4ro CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

nere o classe piu ampia e romanzo come sottospecie di ta-


le classe. Considerando ora l'area fiction, ci domandiamo:
Sartor Resartus rientra in essa? Se non rientra, perché?
Se s!, anche The Anatomy of Melancholy appartiene allo
stesso genere? La possiamo considerare una forma lette-
raria o è soltanto una non-fiction scritta con «stile»? La-
vengro di Borrow è fiction? Secondo l' « Everyman's Li-
brary », si; ma i «World's Classics» lo mettono sotto la
voce « Viaggi e Topografia ».
Lo storico della letteratura che identifica fiction con ro-
manzo si trova di fronte al grosso ostacolo di non saper
come classificare molta parte della letteratura dei secoli
in cui il romanzo non esisteva ancora, e la sua prospettiva
è quasi intollerabilmente forzata fino a che non si giunge
alla nascita del romanzo con Defoe. Egli è costretto a ri-
durre la produzione fictional del periodo Tudor a una se-
rie di tentativi nel genere del romanzo, il che può andar
bene per Deloney, ma è assurdo se applicato a Sidney.
Egli postula l'esistenza di un enorme vuoto nell'area fic-
tion durante il xvn secolo, che corrisponde esattamen-
te al periodo d'oro della prosa retorica. E infine scopre
che la parola romanzo, designante fino al 1900 una for-
ma letteraria piu o meno riconoscibile, è poi diventata
un termine buono a tutti gli usi, e che viene applicato in
pratica a qualunque libro in prosa che non sia «su» qual-
cosa. È chiaro che tale riduzione della narrativa in prosa
alla sola forma del romanzo è frutto di una prospettiva
per cosi dire tolemaica, ormai troppo complicata per esse-
re ancora utile; e che tale prospettiva deve esser sostituita
da una visione relativistica, meno rigida, o se vogliamo,
copernicana.
Quando incominciamo a considerare seriamente il ro-
manzo, non come fiction, ma come una forma o sottospe-
cie di tale area, ci rendiamo conto che le sue caratteristi-
che, anche senza definirle, sono quelle che fanno di, po-
niamo, Defoe, Fielding, Austen e James, scrittori fonda-
mentali in tale tradizione letteraria, e Borrow, Peacock,
Melville e Emily Bronte scrittori in qualche modo perife-
rici. Questo non è un giudizio di valore: possiamo consi-
derare Moby Dick « piu grande» di T be Egoist e tuttavia
SPECIFICHE FORME CONTINUE 4II

sentire che il libro di Meredith è molto piu vicino alla for-


ma di un vero romanzo. La concezione del romanzo di
Fielding come epica comica in prosa è fondamentale per
la tradizione che egli tanto contribui a instaurare. In ro-
manzi che noi siamo abituati a considerare tipici, come
quelli di J ane Austen, la trama e il dialogo sono stretta-
mente connessi con le convenzioni della commedia di co-
stume. Le convenzioni di Wuthering Heights, invece, so-
no piuttosto sulla linea di quelle della novella e della bal-
lata: sembrano avere piu affinità con la tragedia, e infatti
le emozioni tragiche della passione e del furore, che sareb-
bero fuor di luogo nei romanzi della Austen, qui non sto-
nano affatto. Anche il soprannaturale, o qualcosa che lo
suggerisce - difficile da inserirsi in un romanzo - è pre-
sente in quest'opera. Infine la forma della trama è diversa:
invece di lavorare intorno a una situazione centrale, come
fa Jane Austen, Emily Bronte ci racconta la storia con ac-
centi lineari e sembra aver bisogno dell'aiuto di un narra-
tore, impensabile in un romanzo di Jane Austen. Una tale
differenza nelle convenzioni letterarie giustifica la nostra
opinione che W uthering Heights sia una forma di fiction
in prosa diversa dalla forma del romanzo e che chiamere-
mo qui romance. Purtroppo anche in questo caso ci tro-
viamo ad usare la stessa parola in contesti diversi, ma
romance sembra l'unico termine adatto, ed è meglio di
«novella» che suggerisce l'idea di una narrazione molto
breve.
La differenza essenziale tra romanzo e romance sta nel-
la loro diversa concezione della caratterizzazione dei per-
sonaggi. L'autore di un romance non cerca di creare delle
«persone vere» ma piuttosto delle figure stilizzate che di-
ventano archetipi psicologici. Nel romance troviamo gli
elementi junghiani di libido, anima e ombra, riflessi ri-
spettivamente nelle figure dell'eroe, dell'eroina e del mal-
vagio. Ecco perché il romance emana spesso quel calore di
intensità soggettiva che manca al romanzo, e vi si riscon-
trano frequentemente tracce di allegoria. Nel romance
compaiono senza alcun travestimento elementi del carat-
tere umano che rendono tale forma letteraria piu rivolu-
zionaria del romanzo. Il romanziere ha a che fare con la
412 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

personalità di un individuo, con personaggi che hanno


indosso la loro persona o maschera sociale: egli ha biso-
gno di una società stabile come cornice, e anzi molti dei
nostri migliori romanzieri hanno dato prova, in questa di-
rezione, di un rispetto delle convenzioni ai limiti della pe-
danteria. L'autore di un romance invece ha a che fare con
l'io individuale, con personaggi in vacuo idealizzati dal so-
gno; e per quanto conservatore egli possa essere, le sue pa-
gine frequentemente sprigionano un che di nichilista e di
ribelle.
II romance in prosa perciò è una forma di fiction indi-
pendente e distinta dal romanzo, che deve essere isolata
da quell'eterogenea classe di opere in prosa oggi definite
romanzi. Anche in quell'altra eterogenea classe che com-
prende tutte le narrazioni brevi, va considerata a sé la for-
ma di novella usata da Poe, che ha con il romance lo stes-
so rapporto che i racconti di Cechov o di Katherine Mans-
field hanno con il romanzo. Esempi «puri» dell'una e
dell'altra forma non esistono; non c'è quasi nessun ro-
mance moderno che non potrebbe essere trasformato in
romanzo e viceversa. Le forme di fiction in prosa sono
mescolate come gli elementi razziali negli esseri umani, e
non separate e distinte come i sessi. Infatti la richiesta del
pubblico in materia di narrativa tende sempre a preferire
una forma mista, cioè un romanzo che presenti sufficienti
elementi di romance perché il lettore possa proiettare la
sua« libido» sull'eroe e la sua« anima» sull'eroina e che al
tempo stesso sia abbastanza romanzo per contenere que-
ste proiezioni nell'ambito di un mondo a lui familiare. Ci
si può domandare perciò a che serva fare la nostra distin-
zione, tanto piu che la critica, pur senza approfondirla, ne
è senza dubbio consapevole, e nessuno si sorprende nel
sentir dire che Trollope scrisse dei romanzi e William
Morris dei romances.
La ragione è che un grande autore di romances dovreb-
be essere esaminato a seconda delle convenzioni che ha
scelto. William Morris non dovrebbe essere considerato
uno scrittore ai margini della prosa fictional soltanto per-
ché il critico non ha ancora imparato a prendere sul serio
la forma del romance. Né, dopo quanto è stato detto della
SPECIFICHE FORME CONTINUE

natura rivoluzionaria del romance, la scelta di questa for-


ma dovrebbe essere considerata un'evasione dai problemi
sociali. E se Scott ha qualche diritto ad essere chiamato
scrittore di romances, non è certamente un buon atteg-
giamento critico occuparsi soltanto dei suoi difetti come
scrittore di romanzi. Anche The Pilgrim's Progress, per
le sue qualità di romance, cioè per la sua caratterizzazione
dei personaggi secondo archetipi e la sua concezione rivo-
luzionaria dell'esperienza religiosa, costituisce un chiaris-
simo esempio di forma letteraria; e non è solo un libro
che la letteratura inglese abbia ingoiato per includere un
elemento religioso nella sua dieta. Infìne, quando Haw-
thorne, nella prefazione a The House of the Seven Gables
sottolinea che questo racconto dovrebbe essere letto come
un romance e non come un romanzo, intende probabil-
mente essere preso sul serio, anche se ammette che il pre-
stigio goduto dalla forma rivale, quella del romanzo, lo ha
indotto a scusarsi per non averla usata.
Il romance è piu antico del romanzo, e questo fatto ha
provocato l'illusione storica che esso sia una forma da su-
perare, una specie di forma giovanile e non ancora svilup-
pata. Da un punto di vista sociale il romance con la sua
austera idealizzazione dell'eroismo e della purezza è con-
nesso con l'aristocrazia (per l'apparente incoerenza di que-
sto fatto con quanto abbiamo affermato sulla natura rivo-
luzionaria del romance, si veda il commento introduttivo
sul mythos del romance nel saggio precedente). Questa
forma tornò di moda durante il Romanticismo nel quadro
dell'interesse per il feudalesimo arcaico e per il culto del-
l'eroe, o idealizzazione della «libido». In Inghilterra i ro-
mances di Scott, e in minor misura quelli della Bronte,
fanno parte di una misteriosa rinascita dello spirito del
Northumberland come reazione romantica contro il nuo-
vo spirito industriale dei Midlands: a questo tipo di rea-
zione appartengono anche la poesia di Wordsworth e di
Burns e la filosofia di Carlyle. Non sorprende quindi che
uno dei temi piu importanti del romanzo di carattere piu
borghese sia la parodia del romance e dei suoi ideali. La
tradizione del Don Chisciotte continua in un tipo di ro-
manzo che osserva una situazione da romance dal suo pro-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

prio punto di vista, sicché le convenzioni delle due forme


letterarie creano un composto ironico invece di un mi-
scuglio sentimentale. Si possono citare molti esempi da
Northanger Abbey a Madame Bovary e Lord Jim.
La tendenza all'allegoria nel romance può essere consa-
pevole, come in The Pilgrim's Progress, o inconsapevole,
come nella piu che evidente mitopoiesi sessuale di Wil-
liam Morris. Il romance, che si occupa degli eroi, è a metà
strada tra il romanzo, che tratta degli uomini, e il mito,
che tratta degli dèi. Il romance in prosa appare per la pri-
ma volta come uno sviluppo tardo della mitologia classi-
ca, cosf come le saghe islandesi in prosa vengono subito
dopo i poemi mitici dell'Edda. Il romanzo tende ir..vece
piuttosto a svilupparsi in una forma di trattamento « fic-
tional » della storia. Che Fiekling avesse ragione a chiama-
re Tom Jones una storia è confermato dal principio gene-
rale per cui, quanto piu ampio diventa lo schema di un
romanzo, tanto piu evidente appare la sua natura storica.
Poiché tuttavia si tratta di storia in un senso creativo e
fantastico, il romanziere di solito preferisce trattare un
materiale ancora duttile, cioè piu o meno contemporaneo,
e si sente invece paralizzato da uno schema storico fisso.
Waverley si svolge circa sessant'anni prima del momento
in cui viene scritto e Little Dorrit circa quarant'anni pri-
ma, ma lo schema storico è fisso nel romance e mobile nel
romanzo, il che suggerisce il principio generale per cui la
maggior parte dei « romanzi storici» sono romances. Ana-
logamente, un romanzo acquista il fascino del romance
quando la vita che esso riflette è già trascorsa: cosf i ro-
manzi di Trollope furono letti soprattutto come romances
durante la seconda guerra mondiale. Forse è lo stretto
rapporto con la storia e il senso del contesto temporale
che ha confinato il romanzo, in palese contrasto con il ro-
mance e la sua universalità, nel mondo occidentale, abi-
tuato a inserire l'uomo nel tempo.

L'autobiografia è un'altra forma che sconfina nel ro-


manzo attraverso una serie di impercettibili variazioni.
La maggior parte delle autobiografie sono spinte da un im-
SPECIFICHE FORME CONTINUE

pulso creativo, e perciò inventivo, a scegliere solo quegli


eventi e quelle esperienze nella vita dello scrittore che
servono a costruire uno schema coerente. Questo schema
può essere qualcosa di piu ampio della persona dell'auto-
re, e con cui egli decide di identificarsi, oppure può es-
sere semplicemente la coerenza del suo carattere e dei suoi
atteggiamenti. Possiamo chiamare questa forma molto im-
portante di fiction in prosa la forma della confessione, se-
guendo la definizione di sant'Agostino che pare l'abbia
inventata, e di Rousseau che ne ha dato una versione mo-
derna. La tradizione inglese piu antica ci offre in questo
campo Religio medici, Grace Abounding, e l'Apologia di
Newman, oltre al tipo di confessione preferito dai misti-
ci, che è pure connesso con questo, ma con delle sottili
differenze.
Anche in questo caso, come in quello del romance, l'in-
dividuazione di uno specifico genere di prosa - la confes-
sione - costituisce un passo avanti: essa conferisce infatti
una posizione definita, nell'area della fiction, alle nostre
migliori opere in prosa, invece di lasciarle in una vaga for-
ma di limbo dei libri, che non sono vera e propria lettera-
tura perché sono «pensiero», e non sono vera e propria
religione o filosofia perché sono« esempi di buona prosa».
Anche la confessione, come il romanzo e il romance, ha u-
na forma breve, cioè il saggio, e il Livre de bonne foy di
Montaigne è una confessione formata da saggi a cui man-
ca soltanto la narrazione continua, tipica della forma piu
lunga. Lo schema dell'opera di Montaigne è rispetto alla
confessione quello che un'opera narrativa fatta di racconti
come Dubliners di Joyce o il Decamerone di Boccaccio è
rispetto al romanzo o al romance.
Dopo Rousseau - anzi, nello stesso Rousseau - la con-
fessi on e sconfina nel romanzo e tale mescolanza produce
l'autobiografia di carattere immaginario, il Kiinstler-ro-
man, e altre forme affini. Non vi è alcun motivo letterario
per cui il soggetto di una confessione debba essere sempre
l'autore stesso: confessioni drammatiche sono state inse-
rite nel romanzo almeno sin dai tempi di Moll Flanders.
La tecnica del « flusso della coscienza» permette una piu
intima fusione delle due forme, ma anche quando essa
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

viene applicata, le caratteristiche peculiari della forma


della confessione emergono distintamente. Nella confes.
sione ha quasi sempre una parte fondamentale un interes•
se teoretico e intellettuale in campo religioso, politico o
artistico. Soltanto quando riesce a perfezionare e dar coe•
renza al suo pensiero su tali argomenti, l'autore di una
confessione sente che val la pena di scrivere la propria vi•
ta. Ma tale interesse per le idee e per le affermazioni teo·
riche è alieno allo spirito del romanzo vero e proprio, il cui
problema tecnico è proprio quello di dissolvere ogni teo•
ria in una serie di rapporti tra individui. In Jane Austen,
per fare un esempio molto ovvio, la Chiesa, lo Stato e la
cultura non sono mai esaminati se non come dati sociali;
e di Henry James si è detto che aveva una mente cosi sot·
tile da non potersi conciliare con nessuna idea. Il roman•
ziere che non può fare a meno delle idee o che non ha la
pazienza di digerirle come James, ricorre istintivamente a
quella che Mill chiama la « storia mentale» del singolo
personaggio. E quando troviamo che una discussione tee·
nica su una teoria estetica costituisce il fulcro del Portrait
di Joyce, ci accorgiamo che essa è resa possibile dalla pre•
senza nel romanzo di un'altra tradi:done di fiction in prosa.
Il romanzo tende a essere estroverso e personale; il suo
interesse principale è concentrato sul personaggio come
esso si manifesta nell'ambito sociale. Il 1·omance tende ad
essere introverso e personale: anch'esso ha a che fare con
dei personaggi, ma in un modo piu soggettivo ( soggettivo
si riferisce qui al trattamento, non alla materia trattata. I
personaggi del romance sono eroici e perciò imperscruta•
bili; il romanziere invece è piu libero di entrare nella
mente dei suoi personaggi perché è piu oggettivo). Anche
la confessione è introversa ma il suo contenuto è intellet•
tualizzato. Il nostro prossimo passo sarà perciò quello di
scoprire una quarta forma di fiction che sia estroversa e
intellettuale.

Abbiamo detto prima che molti sarebbero disposti a


definire i Gullivers's Travels un'opera di fiction, ma non
un romanzo. La sua deve perciò essere un'altra forma di
SPECIFICHE FORME CONTINUE

.fiction, poiché certamente ha una forma, e noi sentiamo


che, qualunque essa sia, noi ci avviciniamo ad essa, abban-
donando il romanzo, quando passiamo dall'Emile di Rous-
seau al Candide di Voltaire, o da T he W ay of Alt Flesh a
Erewhon di Butler, o da Point Counterpoint a Brave New
W orld di Huxley. Questa forma ha dunque una sua tradì•
zione e, come gli esempi di Butler e di Huxley mostrano,
ha conservato una sua autonomia anche sotto l'influsso
del romanzo. La sua esistenza è facilmente dimostrabile, e
nessuno oserebbe controbattere l'affermazione che la tra-
dizione letteraria dei Gulliver's Travels e di Candide ri-
sale, attraverso Rabelais e Erasmo, fino a Luciano. Ma
mentre molto è stato detto dello stile e del pensiero di
Rabelais, Swift e Voltaire, ben poca attenzione è stata
prestata a essi come scrittori operanti nell'ambito di u-
na tecnica letteraria specifica, cosa che non accade mai nel-
lo studio di un romanziere. Sorte ancora peggiore è tocca-
ta a un altro grande scrittore di questa tradizione, Pea-
cock, maestro di Huxley, perché, non essendosi mai com-
presa la sua forma narrativa, si è creduto che nello svilup-
po della prosa fictional egli occupi il posto di un eccentri-
co avventato. In verità, nell'ambito della tecnica narrativa
da lui scelta, Pcacock è un artista squisito e meticoloso
come Jane Austen nell'ambito della sua.
La forma usata da questi autori è la satira menippea,
chiamata anche piu raramente satira varroniana, che si af-
ferma sia stata inventata dal cinico greco Menippo. Le sue
opere sono andate perdute, ma egli ebbe due grandi disce-
poli, il gteco Luciano e il romano Varrone, e la tradizio-
ne di Varrone, perduta anch'essa eccetto che per qualche
frammento, fu continuata da Petronio e da Apuleio. La
satira menippea sembra sia derivata dalla satira in versi e
precisamente dagli inserti in prosa che vi venivano intro-
dotti, ma noi la conosciamo soltanto come forma di prosa,
benché una delle sue caratteristiche ricorrenti (come si ve-
de in Peacock) sia l'uso occasionale di versi.
La satira menippea non si occupa tanto della gente in
sé quanto degli atteggiamenti mentali. Troviamo in essa
pedanti, bigotti, eccentrici, parvenus, dilettanti, fanatici,
professionisti di ogni tipo rapaci e incompetenti, che ven-
418 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

gono osservati e colti nel loro atteggiamento professiona-


le verso la vita in quanto distinto dal loro comportamento
sociale. La satira menippea assomiglia quindi alla confes-
sione nella sua capacità di trattare idee astratte e teorie,
mentre di!Ierisce dal romanzo per ciò che riguarda la ca-
ratterizzazione dei personaggi, che è stilizzata piuttosto
che naturalistica; essa tende a presentare le persone come
portavoci delle idee che esse rappresentano. Neppure in
questo caso si può tracciare un confine netto, ma se para-
goniamo due personaggi simili in Jane Austen e in Pea-
cock avvertiamo immediatamente la differenza tra le due
forme. \X' estern appartiene chiaramente alla tradizione
del romanzo, mentre Thwackum e Square hanno sangue
menippeo nelle loro vene. Un tema che ritorna costante-
mente in questa satira è la derisione del philosophus glo-
riosus di cui si è già discusso. Il romanziere vede il male e
la follia come malattie sociali, l'autore di satire menippee
come malattie dell'intelletto, come una specie di pedante-
ria furiosa che il philosophus gloriosus simboleggia e de-
finisce al tempo stesso.
Petronio, Apuleio, Rabelais, Swift e Voltaire usano
tutti una forma narrativa alquanto disarticolata, spesso
confusa con il romance. Tuttavia essa differisce dal ro-
mance (benché vi sia una forte mescolanza di romance in
Rabelais), perché non si interessa soprattutto di gesta di
eroi, ma si basa sul libero gioco della fantasia intellettua-
le e sul genere di osservazione umoristica che produce la
caricatura. Essa differisce anche dalla forma picaresca, che
ha lo stesso interesse del romanzo per la struttura reale
della società. Nel suo stadio di maggiore concentrazione la
satira menippea ci offre una visione del mondo attraverso
un unico schema intellettuale: la struttura intellettuale
che emerge dalla storia raccontata provoca violente altera-
zioni nella normale logica narrativa, sebbene l'effetto di
trascuratezza che ne risulta rifletta solo la trascuratezza
del lettore o la sua tendenza a giudicare secondo una con-
cezione narrativa basata sui principi del romanzo.
La parola «satira», nel periodo romano e in quello ri-
nascimentale, indicava l'una o l'altra di due specifiche for-
me letterarie con questo nome, l'una ( quella di cui stiamo
SPECIFICHE FORME CONTINUE

trattando) in prosa, e l'altra in versi. Per noi oggi essa de-


signa un principio o un atteggiamento strutturale, ciò che
abbiamo precedentemente definito un mythos. Nelle sati-
re menippce che abbiamo discusso, il nome della forma
letteraria indica anche l'atteggiamento dell'autore. Usato
in quest'ultimo senso, il termine satira, come abbiamo vi-
sto, indica una combinazione di fantasia e di moralità; ma
in quanto designa una forma, sebbene limitato alla lette-
ratura ( come m·ythos infatti potrebbe essere applicato a
qualunque forma d'arte, a un fumetto, per esempio), i1
termine satira è piu flessibile e può indicare un assoluto
predominio della fantasia, o della moralità. Quindi la sto-
ria avventurosa di carattere menippeo può essere una pu-
ra fantasticheria, come avviene nella fiaba letteraria: i li-
bri di Alice sono perfette satire menippee, e cosi pure The
Water-Babies, che ha subito l'influenza di Rabelais. Il ti-
po di satira che riflette invece un atteggiamento puramen-
te morale è quello che ci presenta una visione seria della
società come definito schema intellettuale, in altre parole
un'Utopia.
La forma breve della satira menippea è di solito un dia-
logo o un colloquio, in cui l'interesse drammatico è con-
centrato su un conflitto di idee piuttosto che di personag-
gi. Questa è la forma preferita di Erasmo e molto usata da
Voltaire. Anche qui la forma non è sempre satirica nel
suo atteggiamento, ma assume sfumature piu accentuata-
mente fantastiche o moralistiche, come nelle Imaginary
Conversations di Landor o nel « dialogo dei morti». Tal-
volta questa forma assume piu vaste proporzioni e ricorre
a piu di due interlocutori: in questo caso lo sfondo è di
solito una cena o simposio, come quello ampio e fastoso
che si intravede nell'opera di Petronio. Platone, sebbene
abbia preceduto in questo campo Menippo, ha esercitato
una forte influenza su questo tipo di satira che si è svilup-
pata secondo una tradizione ininterrotta fino ai giorni no-
stri, passando attraverso le garbate e oziose convetsazioni
in cui si definisce il cortigiano perfetto di Castiglione, o la
dottrina e la pratica della pesca all'amo di Walton. Uno
sviluppo moderno di questa forma è rappresentato dai
weekends in campagna di Peacock, Huxley e dei loro epi-
420 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

goni, nei quali le idee, le opinioni e gli interessi culturali


non sono meno importanti che fare all'amore.
Il romanziere manifesta il suo impeto creativo in una
analisi esauriente dei rapporti umani, come accade in Hen-
ry James, o dei fenomeni sociali, come in Tolstoj. L'auto-
re di satire menippee, che si trova a trattare temi e atteg-
giamenti intellettuali, manifesta il suo impeto creativo in-
tellettualisticamente, accumulando una gran massa di dati
eruditi sul tema trattato o sopraffacendo i pedanti che so-
no il bersaglio della sua critica con un uso spropositato e
travolgente della loro stessa terminologia. Una specie, o
meglio una sottospecie, di tale forma è il tipo di farragi-
ne enciclopedica rappresentato dai Deipnosofisti di Ate-
neo e dai Saturnalia di Macrobio, dove la gente siede a
banchetto e fa un grande sfoggio di erudizione per ogni
possibile e concepibile argomento di conversazione. Lo
sfoggio di erudizione fu probabilmente introdotto, e as-
sociato alla satira menippea, da Varrone, che era un uomo
cosi colto, se non proprio da strabiliare Quintiliano, al-
meno <la meritarsi da lui l'appellativo di vir Romanorum
emditissimus. La tendenza di questa forma di satira ad
espandersi in una farragine enciclopedica è evidentissi-
ma in Rabelais, e precisamente nei suoi grandiosi catalo-
ghi di torcheculs e di sinonimi di braghette e metodi di di-
vinazione. Le compilazioni enciclopediche di carattere se-
rio di Erasmo e di Voltaire suggeriscono l'idea che vi sia
un rapporto tra un'istintiva, pettegola tendenza a collezio-
nare fatti e il tipo di abilità che ha reso famosi questi due
autori. Anche la concezione enciclopedica di Flaubert nel-
la costruzione di Bouvard et Pécuchet si può capire se la
spieghiamo in termini di affinità con la tradizione menip-
pea.
Questo trattamento cteativo dell'erudizione onnicom-
prensiva è il ptincipio otganizzativo del piu grande esem-
pio di satita menippea nella letteratura inglese prima di
Swift, l'Anatomy of Melancholy di Burton. La società u-
mana è qui studiata secondo lo schema intellettuale for-
nito dal concetto di malinconia; il dialogo è sostituito da
un simposio di libri; e il risultato è il piu completo studio
della vita umana, in una singola opera, che la letteratura
SPECIFICHE FORME CONTINUE 421

inglese avesse visto dall'epoca di Chaucer, autore tra i pre-


feriti di Burton. Notiamo tra l'altro l'Utopia nella sua in-
troduzione e nelle «digressioni», che a un attento esame
risultano essere dotti distillati di forme menippee: la di-
gressione dell'aria, il distillato del viaggio fantastico; la
digressione degli spiriti, quello dall'uso ironico dell'eru-
dizione; la digressione sull'infelicità dei dotti, quello del-
la satira del philosophus gloriosus. La parola« anatomia»
nel titolo dell'opera di Burton significa dissezione o anali-
si, ed esprime con molta precisione la tendenza intellet-
tuale della forma usata. Possiamo perciò adottarla come
il termine piu appropriato a sostituire l'impacciante e ai
giorni nostri piuttosto fuorviante « satira menippea ».
L'anatomia, naturalmente, incomincia a un certo punto
a fondersi con il romanzo, dando vita a vari prodotti ibri-
di, compresi il rom,m à thèse e i romanzi in cui i perso-
naggi sono simboli di idee sociali o di altro tipo, come i
romanzi proletari degli anni trenta. Tuttavia risale a Ster-
ne, discepolo di Burton e di Rabelais, il merito di aver fu-
so con successo l'anatomia e il romanzo. Tristram Shandy
può esser chiamato romanzo, come dicemmo all'inizio, ma
le digressioni narrative, i cataloghi, la stilizzazione nella
tradizione degli humors, il viaggio fantastico del grande
naso, le discussioni conviviali, e il continuo mettere in ri-
dicolo filosofi e critici pedanti sono tutti clementi carat-
teristici dell'anatomia.
Una piu chiara comprensione della forma e delle tradi-
zioni dell'anatomia metterebbe a fuoco moltissimi elemen-
ti nella storia della letteratura. Il De consolatione philo-
sophiae di Boezio con la sua forma dialogica, i suoi inserti
in versi e il tono di ironia contemplativa che pervade tut-
ta l'opera, è un esempio di pura anatomia, ed è importan-
te considerarlo tale per capire la vasta influenza che eser-
citò. The Compleat Angler è un'anatomia per la sua me-
scolanza di prosa e versi, il suo ambiente di cena rurale, la
sua forma dialogica, il suo interesse deipnosofista per il
cibo e la sua garbata burla menippea di una società che
considera qualunque cosa piu importante della pesca e
tuttavia ha scoperto finora ben poche cose migliori da far-
si. In quasi ogni periodo della letteratura vi sono molti
422 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

romances, confessioni, e anatomie che sono stati trascura-


ti soltanto perché le categorie a cui appartengono non so-
no state individuate. Nel periodo che va da Sterne a Pea-
cock per esempio abbiamo, tra i romances, Melmoth the
Wanderer; tra le confessioni Confessions of a ]ustified
Sinner di Jiogg; tra le anatomie Doctor di Southey, John
Buncle di Amory e le Noctes ambrosianae.

Riassumendo: quando esaminiamo la fiction dal punto


di vista della forma, individuiamo quattro fili principali
che la tengono unita, il romanzo, la confessione, l'anato-
mia e il romance. Di queste forme esistono sei possibili
combinazioni e abbiamo mostrato come il romanzo si pos-
sa combinare con ciascuna delle altre tre. È raro il caso di
una forma allo stato puro, senza alcuna contaminazione: i
primi romanzi di George Eliot, per esempio, sono influen-
zati dal romance e gli ultimi dall'anatomia. La forma ibri-
da romance-confessione si trova, naturalmente, nell'auto-
biografia di un individuo dal temperamento romantic, ed
è rappresentata nella letteratura inglese dall'estroverso
George Borrow e dall'introverso Dc Quincey. La forma
ibrida romance-anatomia è stata riscontrata in Rabelais;
un esempio piu tardo è Moby Dick, in cui il tema da ro-
mance della caccia selvaggia e feroce si sviluppa in un'a-
natomia enciclopedica della balena. La confessione e l'ana-
tomia si mescolano in Sartor Resartus e in alcuni degli
impressionanti e originali esperimenti kierkegaardiani di
fiction in prosa, compreso Aut aut. Piu complessi schemi
di fiction utilizzano in genere almeno tre forme: possia-
mo vedere tracce di romanzo, romance e confessione in
Pamela, di romanzo, romance e anatomia in Don Chisciot-
te, di romanzo, confessione e anatomia in Proust, e di ro-
mance, confessione e anatomia in Apuleio.
Ho dato a queste definizioni carattere deliberatamente
schematico per sottolineare il vantaggio che presenta la
spiegazione semplice e logica della forma letteraria di ope-
re come Moby Dick o Tristram Shandy. Il normale meto-
do critico con cui la forma di tali opere viene esaminata
assomiglia a quello dei dottori di Brobdingnag che, dopo
SPECIFICHE FORME CONTINUE

grandi discussioni, giungono alla conclusione che Gulliver


è un !usus naturae. L'anatomia soprattutto ha sempre im-
barazzato i critici, e quasi tutti gli scrittori che ne sono sta-
ti profondamente influenzati sono stati accusati di disordi-
ne e confusione di metodo. A questo proposito si può ri-
cordare Joyce, perché definire i libri di Joyce mostruosi è
diventata una mania. Critici di vaglia lo hanno definito
« demogorgone », « behemoth», « elefante bianco»; critici
piu sciocchi probabilmente inventerebbero di meglio. La
cura con cui Joyce organizzò Ulysses e Finnegans Wake fu
quasi ossessiva, ma poiché tali opere non sono organizzate
secondo i principì della fiction in prosa a noi familiari, ci
sembra che manchino di forma. Tentiamo di applicare a
Joyce le nostre formule.
Se si chiedesse a un lettore di elencare gli aspetti di
Ulysses che piu lo hanno colpito, sarebbe lecito attendersi
quanto segue. Primo, la chiarezza con cui rivivono in esso
le vedute, i suoni e gli odori di Dublino, la vivacità dei
personaggi e la naturalezza del dialogo. Secondo, l'elabo-
rata parodia che risulta dalla proiezione della storia e dei
personaggi sullo sfondo di schemi archetipi eroici, e pre-
cisamente quelli dell'Odissea. Terzo, la ricostruzione dei
personaggi e degli avvenimenti attraverso l'uso minuzioso
della tecnica del « flusso della coscienza». Quarto, la co-
stante tendenza del libro a essere enciclopedico ed esau-
riente sia nella tecnica che nella materia trattata, e a vede-
re l'una e l'altra nei termini del piu astratto intellettuali-
smo. A questo punto non dovrebbe essere difficile capire
che questi quattro punti definiscono gli elementi del libro
che si collegano rispettivamente al romanzo, al romance,
alla confessione e all'anatomia. Perciò Ulysses è una com-
pleta epopea in prosa che usa tutte e quattro le forme,
tutte praticamente di uguale importanza e tutte essenziali
l'una all'altra, sicché il libro costituisce un'unità, e non un
aggregato.
Questa unità si forma attraverso un intricato schema di
contrasti paralleli. Gli archetipi romantic di Amleto e di
Ulisse sono come astri lontani in un cielo letterario dal
quale essi osservano con aria canzonatoria le meschine
creature di Dublino, le cui azioni si intrecciano docilmen-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

te secondo schemi stabiliti dal loro influsso. Specialmente


negli episodi dei Cyclops e di Circe vi è una continua pa-
rodia di schemi realistici fatta attraverso schemi romantic
che, sebbene l'ironia sia rivolta in direzione opposta, ci ri-
cordano Mad(lme Bovary. Analogo è il rapporto tra le tec-
niche del romanzo e della confessione; l'autore entra nella
mente dei suoi personaggi per seguire il flusso della loro
coscienza e ne esce di nuovo per descriverli dall'esterno.
Anche nella combinazione romanzo-anatomia, che trovia-
mo nel capitolo intitolato Itharn, il pathos è dovuto so-
prattutto al senso di latente antagonismo tra l'aspetto per-
sonale e quello intellettuale della scena. Lo stesso princi-
pio di contrasto parallelo vale per le altre tre combinazio-
ni: di romance e confessione in Nausicaa e Penelope, di
confessione e anatomia in Proteus e The Lotos-Eaters, di
romance e anatomia (combinazione rara e irregolare) in
Sirens e in alcune parti di Circe.
L'unità del disegno in Finnegans Wake va molto al di
là di questo. La squallida storia dell'abbrutito HCE e del-
la sua tormentata moglie non è posta in contrasto con gli
archetipi di Tristram e del re divino: HCE è lui stesso
Tristram e il re divino. Poiché l'ambiente è un sogno, non
è possibile alcun contrasto tra la confessione e il romanzo,
tra un flusso di coscienza all'interno della mente e la com-
parsa di altre persone al di fuori di essa. Né si può sepa-
rare il mondo empirico del romanzo dal mondo intellet-
tuale dell'anatomia. Le forme che abbiamo distinto e iso-
lato nella fiction e la cui esistenza dipende dalle normali
dicotomie della coscienza nel suo stato di veglia, svanisco-
no in Finnegans W ake in una quinta forma che rappresen-
ta la quintessenza dell'arte. È la forma associata tradizio-
nalmente con le scritture e i libri sacri, la forma che tratta
la vita in termini di caduta e risveglio dell'anima umana,
di creazione e apocalisse della natura. La Bibbia ne è l'e-
sempio definitivo; il Libro egiziano dei morti e le prose
islandesi dell'Edda, che hanno entrambi lasciato profonde
tracce in Finnegans Wake, appartengono anch'esse a que-
sta forma.
Specifiche forme enciclopediche

Nel primo saggio abbiamo visto il principio per cui o-


gni epoca letteraria tende a produrre una specie di forma
enciclopedica fondamentale, che è di solito una « scrittu-
ra» o un libro sacro appartenente al genere mitico, e una
« analogia della rivelazione», come l'abbiamo chiamata,
negli altri generi letterari. Il libro sacro fondamentale che
sta al centro della nostra cultura è la Bibbia cristiana, pro-
babilmente il libro sacro piu sistematico del mondo. La
Bibbia è« qualcosa di piu » di un'opera letteraria nel senso
che è possibile accostarsi ad essa con altri metodi, ma vo-
gliamo ricordare qui che nessun libro avrebbe potuto ave-
re l'influsso che essa ebbe nella letteratura senza avere in
sé qualità letterarie, e che essa è realmente un'opera di let-
teratura quando viene esaminata da un critico letterario.
L'assenza nei tempi moderni (fino a poco tempo fa al-
meno) di qualsiasi autentica analisi letteraria della Bibbia
ha lasciato un'enorme lacuna nella nostra conoscenza del
simbolismo letterario organicamente considerato, una la-
cuna che tutto l'apporto dato dai nuovi studi è incapace
di colmare. Ritengo che il metodo di indagine storico sia,
senza eccezioni, un tipo di critica analitica a un livello« in-
feriore», e che una critica a livello «superiore» consiste-
rebbe in un lavoro completamente diverso. Pensiamo a
una critica puramente letteraria che dovrebbe vedere nella
Bibbia, non una raccolta di testi corrotti, glosse, redazio-
ni, inserzioni, fusioni, sbagli ed equivoci, quale risulta al-
l'esame del critico analitico, bensi un'unità tipologica che
tutte queste cose dovevano originariamente aiutare a co-
struire. L'enorme importanza culturale della Bibbia non
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

può essere spiegata da alcuna critica che si arresti dove es-


sa incomincia ad assomigliare a qualcosa che ha la forma
letteraria della raccolta di francobolli. Perciò una vera cri-
tica della Bibbia ad alto livello dovrebbe essere un pro-
cesso sintetizzante che partisse dalla supposizione che la
Bibbia è un mito definito, una struttura archetipa unica
che va dalla creazione all'apocalisse. Il suo principio euri-
stico dovrebbe essere l'assioma di sant' Agostino per cui
l'Antico Testamento è rivelato nel Nuovo, e il Nuovo è
celato nell'Antico e i due Testamenti non sarebbero tanto
allegorie l'uno dell'altro quanto identificazioni metafori-
che. Non possiamo far risalire la Bibbia, neppure storica-
mente, ad un periodo in cui il suo materiale non veniva
ordinato e modellato secondo gli schemi di un'unità tipo-
logica, e se si deve guardare alla Bibbia come ispirata, in
qualsiasi senso, sacro o profano, anche i processi di reda-
zione e revisione debbono venir considerati come ispirati.
Questo è l'unico metodo critico per affrontare la Bib-
bia, se la si vuole considerare, come essa è di fatto, l'opera
che ha contribuito piu largamente alla formazione del sim-
bolismo letterario. Sarebbe un metodo conservatore, in
quanto diretto a riscoprire e ristabilire le tipologie tradi-
zionali basate sul presupposto dell'unità figurativa dell'o-
pera. Il critico che esamina il Cantico dei Cantici dal pun-
to di vista storico, per esempio, è interessato soprattutto
ai culti della fertilità e alle tradizioni delle feste paesane;
la critica di carattere culturale invece si occuperebbe so-
prattutto degli sviluppi del simbolismo di tale cantico in
Dante, in san Bernardo e altri mistici e poeti, che vedono
in esso una rappresentazione dell'amore di Cristo verso la
sua Chiesa. E questa non è una allegoria impropriamente
appiccicata al poema, ma è un piu ampio contesto cultu-
rale o archetipale di interpretazione in cui il poema è sta-
to inserito. Non c'è affatto bisogno di scegliere tra i due
tipi di critica: non è necessario considerare la cartiera let-
teraria della Bibbia come il risultato di una distorsione
moralistica o di uno sbaglio dovuto alla troppa immagina-
zione; né è necessario considerare come un'ironica scoper-
ta dei nostri tempi l'interpretazione che fa della Bibbia
una voluttuosa opera ol"ientale.
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE

Una volta che la nostra interpretazione della Bibbia sia


stata giustamente messa a fuoco, moltissimi simboli lette-
rari, da The Dream of the Rood a Little Gidding, inco-
minciano a riempirsi e arricchirsi di significato. Ci occu-
piamo per ora della ricerca eroica della figura principale
del libro chiamata Messia, che è associata a varie figure di
re nell'Antico Testamento e identificata con Cristo nel
Nuovo. Gli stadi e i simboli di questa ricerca sono stati
trattati nel m 1,thos del romance. Alla nascita misteriosa
di tale eroe segue una epifania o riconoscimento del suo
carattere di figlio di Dio; vengono quindi i simboli dell'u-
miliazione, del tradimento e del martirio, il cosiddetto
complesso del servo che tutto accetta e sopporta, che sono
a loro volta seguiti dai simboli del Messia sposo, del Mes-
sia trionfante su un mostro abbattuto e del Messia guida
del suo popolo verso la legittima patria. Gli oracoli dei
profeti originari sembrano esser stati essenzialmente, an-
che se non esclusivamente, una denunzia dei loro tempi,
ma ad essi sono state fatte aggiunte posteriori all'esilio,
che contribuiscono a infondere in tutta la Bibbia il ritmo
di un mythos ciclico totale in cui il disastro viene seguito
dalla restaurazione e I 'umiliazione dalla prosperità, quale
troviamo in epitome nella storia di Giobbe e in quella del
figliol prodigo.
Perciò la Bibbia nel suo insieme si presenta come un
ciclo gigantesco che va dalla creazione all'apocalisse, nel
cui ambito è compresa la ricerca eroica del Messia dall'in-
carnazione all'apoteosi. All'interno di tale ciclo si riscon-
trano altri tre movimenti ciclici, espressi o impliciti: quel-
lo individuale, dalla nascita alla salvezza; quello sessuale,
da Adamo ed Eva al matrimonio apocalittico; quello so-
ciale, dalla promulgazione della legge all'instaurazione del
regno della legge, cioè alla ricostruzione di Sion nell'An-
tico Testamento al millennio nel Nuovo. Sono tutti cicli
totalmente compiuti o dialettici, il cui movimento è dap-
prima discendente e poi ascendente verso un mondo re-
dento in senso definitivo e duraturo. Oltre a questi vi è il
ciclo ironico o « troppo umano», il ciclo puro e semplice
della vita umana senza alcun aiuto redentore, che riper-
corre continuamente lo« stesso monotono giro», per dirla
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

con Blake, dalla nascita alla morte. Il tono finale è dato


qui dal senso della schiavitu, dell'esilio, della guerra inin-
terrotta o della distruzione a opera del fuoco (Sodoma,
Babilonia) o dell'acqua (il diluvio). Queste due forme di
movimento ciclico ci forniscono due strutture epiche':
l'epica del ritorno e l'epica dell'ira. Un terzo tipo di strut-
tura epica, quella analogica, è dato dal fatto che il ciclo
della vita, della morte e della rinascita è strettamente ana-
logo nel suo simbolismo al ciclo messianico della pree-
sistenza, della vita nella morte e della risurrezione. Un
quarto tipo è l'epica del contrasto in cui un polo è costi-
tuito dalla situazione umana, a livello ironico-realistico, e
l'altro dalla creazione o continuazione di una societ1 di-
vina.
Persino nel mito è taro trovare un ritmo totalmente
apocalittico, benché ciò avvenga nella mitologia nordica,
nelle Edde e nei Afuspilli, e benché l'ultimo libro dei .i\.fa-
habharata sia una vera e propria entrata in paradiso. Vi
sono miti di apoteosi come nella leggenda di Ercole, e di
salvezza, come nel simbolismo di Osiride nel Libro dei
morti, ma la maggior parte dei libri sacri si preoccupa so-
prattutto di formulare la legge, e in primo luogo, natu-
ralmente, la legge cerimoniale. Quel che ne risulta è una
forma embrionale di epica del contrasto: ad un polo si
trovano i miti che spiegano l'origine della legge, inclusi i
miti della creazione, e all'altro la società degli uomini sot-
toposta alla legge. L'antichità di tale forma è dimostrata
dall'epopea di Gilgamesh, in cui l'eroe alla ricerca del-
l'immortalità non arriva ad altro che a una vaga percezio-
ne della fine del ciclo naturale, simboleggiato, come nella
Bibbia, dal diluvio. Su questa forma si basano pure le rac-
colte di miti fatte da Esiodo e da Ovidio, nelle quali al
polo costituito dalla società umana si trova con un ruolo
preminente la figura stessa del poeta, vittima dell'ingiu-
stizia o dell'esilio. La stessa struttura si ritrova in Boezio,

1 In G. lt. LEVY, The S1cord /rom the Rock I 19.54), si distinguono tre
tipi di struttura epica: l'epica mitic.i, l'epica della ricerca, l'epica del con-
flitto. Per quel che riP,u.irda il materiale epico utilizzato, i tre tipi coni-
spondono all'incirca alle forme da noi definite mitica, del ro111a11ce e enci-
clopedica dell'atea alto-mimetica.
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE

in cui i due poli sono la perduta età dell'oro e il poeta in


prigione sotto false accuse; e attraverso Boezio essa giun-
ge sino al Medioevo.
Le forme enciclopediche appartenenti all'area del ro-
mance presentano imitazioni umane o sacramentali del
mito messianico, come la ricerca di Dante nella Comme-
dia, di san Giorgio in Spenser e dei cavalieri del Santo
Graal. La Commedia rovescia la consueta struttura dell'e-
pica del contrasto in quanto parte dalla situazione umana
del genere ironico-realistico e termina con la visione divi-
na. La natura umana della ricerca di Dante è provata dal
fatto che egli è incapace di abbattere o anche soltanto af-
frontare i mostri che gli si parano dinanzi all'inizio: per-
ciò la sua ricerca comincia con il rifiuto del protagonista
ad assumere il ruolo convenzionale del cavaliere errante.
La grande visione di Langland è la prima importante trat-
tazione dell'epica del conttasto nella letteratura inglese.
Ad un polo abbiamo il Cristo risorto e la salvezza di Piers,
all'altro una cupa visione della vita umana che porterà a
concludere il poema con qualcosa di molto simile a un
trionfo dell'Anticristo. The Faerie Queene avrebbe dovu-
to terminare con un epitalamio, probabilmente ricco di
immagini nuziali bibliche, ma nella forma in cui è stato
lasciato, il poema finisce mentre la « Blatant Bcast » rap-
presentante la calunnia è ancora in libertà e opprime il
poeta.
Nell'area alto-mimetica troviamo infine quella che si
considera la tipica sttuttura epica, cioè la forma rappre-
sentata da Omero, Virgilio e Milton. L'epica si dHierenzia
dalla narrativa, per la portata encidopedica della materia
trattata che si estende dal cielo all'oltretomba abbraccian-
do un'immensa quantità di conoscenze tradizionali. Un
poeta narrativo, un Southey o un Lydgate, può scrivere
un numero qualsiasi di narrazioni, ma un poeta epico di
solito costruisce e porta a termine una sola struttura epi-
ca, poiché il mòmento in cui decide e sceglie il tema da
trattare è il punto di crisi della sua vita.
La forma ciclica dell'epica classica è basata sul ciclo na-
turale, che si svolge in un mondo mediterraneo conosciu-
to in mezzo a una sconfinata immensità (apeiron ), in una
430 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

situazione intermedia tra quella degli dèi superiori e quel-


la degli dèi inferiori. Il ciclo ha due ritmi principali: quel-
lo della vita e della morte dell'individuo, e il ritmo, piu
lento, della società, segnato nel corso degli anni (periplo-
menon eniauton in Omero, volvibus o labentibus annis in
Virgilio) dalla nascita e dalla caduta di città e imperi. Una
visione continua e completa di quest'ultimo movimento è
concessa soltanto agli dèi. La convenzione per cui l'azione
epica inizia in medias res serve a creare un punto di rife-
rimento o, per cosf dire, un nodo nel tempo. L'intera azio-
ne che fa da sfondo all'Iliade si sposta dalle città della
Grecia durante i dieci anni dell'assedio di Troia, per tor-
nare poi di nuovo in Grecia; l'intera azione della Odissea
è un esempio particolare dello stesso procedimento, in
quanto parte da Itaca per far ritorno a Itaca. E l'azione
dell'Eneide segue passo passo i lari di Priamo, da Troia
alla nuova Troia.
L'azione di primo piano invece incomincia a un punto
chiamato nell'Odissea hamothen, «un certo punto». In
realtà 1a scelta è molto piu accurata di quanto appaia da
tale espressione. Tutti e tre i poemi epici menzionati han-
no inizio ad una specie di nadir de1l'intera azione ciclica:
l'Iliade, nel momento in cui la disperazione regna nel cam-
po greco; l'Odissea, nel momento in cui Odissea e Pene-
lope sono piu lontani l'uno dall'altra ed entrambi alle pre-
se con corteggiatori importuni; l'Eneide, con il nubifragio
dell'eroe sulle spiagge di Cartagine, cittadella di Giunone
e nemica di Roma. Da questo punto l'azione si sposta in
avanti e indietro quanto basta a suggerire la forma gene-
rale del ciclo storico. La scoperta de1l'azione epica è il
senso che la fine di tutta l'azione sia uguale all'inizio, e
perciò il senso di un ordine coerente e di un equilibrio che
si mantiene per tutto lo svolgimento. Quest'ordine coe-
rente non è un fiat divino o una causalità fatalistica, ma
una stabilità ne11a natura, controllata dagli dèi ed estesa
agli esseri umani, se essi l'accettano. Il senso di questa sta-
bilità non è necessariamente tragico, ma è proprio ciò che
rende possibile la tragedia.
Valga d'esempio l'Iliade. L'elenco delle ragioni per cui
l'Iliade merita di essere lodata riempirebbe un libro piu
SPECIPICHE FORME ENCICLOPEDICHE 43 1
ampio di questo, ma la ragione che qui ci interessa è che il
suo tema sia una menis, un canto d'ira. Non si sottolinee-
rà mai abbastanza quanto sia stato importante per la let-
teratura occidentale il fatto che l'Iliade dimostrasse che la
caduta di un nemico, non meno di quella di un amico o di
un capo, è tragica e non comica. Con l'Iliade si inserisce
una volta per tutte un elemento obbiettivo e disinteressa-
to nella visione che il poeta ha della vita umana. Senza
questo elemento la poesia è un puro e semplice strumen-
to usato a scopi sociali, cioè per propaganda, divertimen-
to, devozione, istruzione. Ma se lo accoglie in sé, essa ac-
quista quell'autorità che dall'Iliade in poi non le è piu ve-
nuta meno, un'autorità basata, come quella della scienza,
sulla visione della natura come ordine impersonale.
L'Odissea dà inizio all'altra tradizione, quella dell'epo-
pea del ritorno. La storia è il romance di un eroe che
sfugge illeso a pericoli incredibili, e arriva all'ultimo mi-
nuto a rivendicare a sé la sua sposa e a sconfiggere i mal-
vagi. Tuttavia l'impressione fondamentale che se ne rica-
va non è tanto il senso dell'avventura, quanto il senso,
prudente e radicato nella nostra accettazione della natura,
della società e della legge, della ripresa di possesso, da
parte di un padrone di casa, di ciò che gli appartiene. L'E-
neide sviluppa il tema del ritorno in un tema di rinascita,
in quanto termina con la fondazione della Nuova Troia,
una fìne che coincide con il punto di partenza, rinnovato e
trasformato dalla ricerca dell'eroe. L'epica cristiana inse-
risce gli stessi temi in un contesto archetipico piu ampio.
L'azione della Bibbia, dal punto di vista poetico, com-
prende i temi delle tre grandi epopee: il tema della di-
struzione e della conquista della città dell'Iliade, il tema
del nostos o ritorno in patria dell'Odissea, ed il tema del-
la costruzione della città nuova dell'Eneide. Adamo è, co-
me Odisseo, l'uomo dell'ira, esiliato dalla patria perché
è incorso nell'ira di Dio andando hyper moron, oltre il
suo limite di uomo. In ambedue le storie l'atto provoca-
torio è simboleggiato dalla consumazione di cibo riserva-
to alla divinità. Come per Odisseo perché Adamo ritorni
in patria è necessario che l'ira divina venga placata dalla
saggezza divina (Poseidone e Atena vengono riconcilia-
43 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

ti dal volere di Zeus in Omero; il Padre si riconcilia con


l'uomo nell'espiazione cristiana). Israele trasporta la sua
arca dall'Egitto al1a terra promessa proprio come Enea
trasporta le sue masserizie dalla Troia caduta a quella che
viene fondata per l'eternità.
Quindi passando dall'epica classica a quella cristiana,
riscontriamo un progresso nel senso della completezza del
tema (non dal punto di vista del valore), come indica Mil-
ton in frasi quali « al di là del monte Aonio ». Anche in
Milton l'azione che si svolge in primo piano ha come sfon-
do il nadir dell'azione ciclica completa, la caduta di Sata-
na e di Adamo. Da questo punto l'azione procede a ritro-
so attraverso il discorso di Raffaele e in avanti con il di-
scorso di Michele, cioè rispettivamente verso l'inizio e
verso la conclusione dell'intera azione. L'inizio consiste
nella presenza di Dio tra gli angeli prima che il Figlio si
manifesti a loro; la fine è la condizione che segue all'apo-
calisse quando Dio è di nuovo« tutto in tutto»: ma l'uno
e l'altra coincidono, sono cioè la presenza di Dio, rinno-
vata e trasformata dalla ricerca eroica di Cristo. In quanto
cristiano, Milton deve riesaminare il tema epico dell'a-
zione eroica per decidere che cosa siano un eroe e un'azio-
ne in termini cristiani. L'eroismo consiste per lui nell'ob-
bedienza, nella fedeltà e nella perseveranza attraverso le
dure prove dello scherno e della persecuzione, ed è esem-
plificato da Abdiel, l'angelo fedele, mentre per azione egli
intende un atto positivo o creativo, esemplificato da Cri-
sto nella creazione del mondo e nella nuova creazione del-
l'uomo. In tale schema le tradizionali qualità dell'eroismo
guerriero sono assunte da Satana: egli è l'iroso Achille,
l'astuto Ulisse, il cavaliere errante che porta a compimen-
to la pericolosa ricerca del caos, ma dal punto di vista di
Dio non è un vero eroe; è un'imitazione ironica dell'eroe,
è la rappresentazione idolatrica del regno, del potere e
della gloria a cui l'uomo dopo la caduta si rivolge istinti-
vamente con ammirazione e rispetto.
Nel periodo basso-mimetico la struttura enciclopedica
tende a diventare o soggettiva e mitologica, oppure ogget-
tiva e storica. La prima si esprime di solito nel genere del-
1' epos e la seconda nella fiction in prosa. I principali ten-
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE 433
tativi di combinare i due generi furono fatti, cosa alquan-
to sorprendente, in Francia I e vanno dai frammenti di
Chénier alle Légendes des siècles di Victor Hugo. Qui il
tema dell'azione eroica viene trasferito, in accordo con le
convenzioni basso-mimetiche, dalla figura del capo o gui-
da all'umanità tutta. Di conseguenza il completamento
dell'azione è concepito soprattutto come un miglioramen-
to sociale nel futuro.
Nell'epica tradizionale gli dèi influenzano l'azione da
un continuo presente: Atena e Venere appaiono epifani-
camente in occasioni ben precise, per illuminare o rincuo-
rare l'eroe in un determinato momento. Per sapere qual-
cosa sul futuro o su ciò che ci aspetta in termini di ciclo
inferiore della vita, di solito è necessario scendere nel
mondo inferno dei morti, come accade nella nekyia o ca-
tabasi dell'undicesimo libro dell'Odissea e del sesto del-
l'Eneide. Analogamente in Dante i dannati conoscono il
futuro ma non il presente, e in Mii ton la conoscenza proi-
bita che « ha portato la morte nel mondo» è rappresenta-
ta in forma concreta dalla profezia che Michele fa del fu.
turo. Non ci sorprende perciò veder aumentare sempre
piu nel periodo basso-mimetico le speranze nel futuro, la
sensazione che i poteri messianici provengano da « sot-
to» o attraverso tradizioni esoteriche e ermetiche. Prome-
theus Unbound ne è l'esempio piu noto nella letteratura
inglese: il tentativo di inserire una catabasi nella seconda
parte del Faust, prima come discesa alle «madri» é poi
come la classica notte di Valpurga, costituf evidentemente
uno dei piu sconcertanti problemi strutturali di quest'o-
pera. A volte però la catabasi si combina con un elemento
piu tradizionale, che le è complementare: il momento di
epifania. L'Endimione di Keats «scende» alla ricerca del-
la verità e« sale» alla ricerca della bellezza, scoprendo che
la verità e la bellezza coincidono, il che non ci sorprende
in Keats. In Hyperion è evidente l'intenzione di porre in
qualche modo sulla medesima linea un « mondo inferiore»
dionisiaco e uno «superiore» apollineo. Il Burnt Norton
di Eliot è fondato sul principio della « coincidenza tra la

• Cfr. H. J. HUNT, The Epic i11 the Nineteel/th-Century France (1941).


434 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

strada che sale e quella che scende», il che risolve la di-


cotomia in termini cristiani. Nel nostro mondo il tempo è
una linea orizzontale, e la presenza di Dio al di fuori del
tempo è una linea verticale che incrocia la prima ad ango-
lo retto, formando cosi il punto dell'Incarnazione. Il giar-
dino delle rose e gli episodi del subway delimitano i due
semicerchi del ciclo della natura. Quello superiore del
mondo dell'innocenza, basato sulla fantasia mitopoietica
e romantic e quello inferiore del mondo dell'esperienza.
Ma se si sale piu in su del giardino delle rose o se si scen-
de piu in giu del subway si raggiunge lo stesso punto.
La commedia e l'ironia ci presentano un simbolismo
parodistico, di cui abbiamo esempi, a diversi livelli di se-
rietà, nel raffronto tra Gulliver legato a Lilliput e Prome-
teo, tra il manovale barcollante in Finnegans Wake e Ada-
mo, fra la torta « madeleine » in Proust e l'Eucarestia. In
quest'ambito rientra anche l'uso che viene fatto della
struttura archetipica in Absalom and Achitopel, in cui la
somiglianza della storia al suo modello nel Vecchio Testa-
mento viene trattata come una serie di spiritose coinci-
denze. Il tema della parodia enciclopedica è endemico nel-
la satira; nell'area della fiction in prosa esso si riscontra
soprattutto nell'anatomia, cioè nella tradizione di Apu-
leio, Rabelais e Swift. Il rapporto tra satire e romanzi
corrisponde a quello tra epica e narrativa: piu romanzi un
romanziere scrive, tanto maggiore è il suo successo, ma
Rabelais, Burton e Sterne imperniarono la loro vita crea-
tiva su un unico, supremo sforzo. Ne segue che la satira e
l'ironia sono le forme in cui dovremmo rintracciare la con-
tinuità della tradizione enciclopedica; e dovremmo aspet-
tarci che la forma strutturale dell'epica ironica e satirica
sia il puro ciclo, in cui ogni ricerca, per quanto eroica o
coronata da successo, deve essere prima o poi compiuta
di nuovo.
In The },,fental Traveller di Blake abbiamo una visione
del ciclo della vita dell'uomo, dalla nascita alla morte e al-
la rinascita. I personaggi sono due figure, una maschile e
una femminile, che si muovono in direzioni opposte poi-
ché l'una invecchia, mentre l'altra ringiovanisce e vice-
versa. Il rapporto ciclico fra di loro passa per quattro pun-
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE 435
ti cardinali: una fase figlio-madre, una fase marito-mo-
glie, una fase padre-figlia e una quarta fase che Blake chia-
ma di spettro e emanazione, termini che corrispondono
approssimativamente all'alastor e all'epipsyche di Shelley.
Queste fasi non rappresentano rapporti reali: la madre è
soltanto una bambinaia; la moglie soltanto schiava dei
piaceri del maschio; la figlia è una trovatella, e l'emana-
zione « non emana» ma rimane inafferrabile. La figura
maschile rappresenta l'umanità e perciò include le donne
(in Blake la «volontà femminile» viene associata alle don-
ne soltanto quando le donne inscenano o mimano nella vi-
ta umana il rapporto descritto, come avviene nella conven-
zione dell'Amor Cortese). La figura femminile rappresen-
ta l'ambiente naturale che l'uomo soggioga parzialmen-
te, ma mai completamente. L'opera è basata, come sugge-
riscono le quattro fasi, sul simbolismo lunare.
Quando si interessa al ciclo della vita umana, la forma
enciclopedica è caratterizzata da un archetipo femminile
ambivalente, a volte benigno a volte sinistro, ma che di
solito governa e conferma il movimento ciclico. A uno dei
poli opposti di tale archetipo troviamo una figura del ge-
nere di Iside, Penelope o Solveig, che è il punto stabile
finale dell'azione: strettamente connessa con questa è la
figura della dea che spesso inizia e conclude l'azione cicli-
ca. Abbiamo Atenà nell'Odissea e Venere nell'Eneide; e
nella letteratura del periodo elisabettiano vi è di solito,
per ragioni politiche, una qualche variante di Diana, co-
me la « Faerie Queene » in Spenser. Un'altra versione è
l'alma Venus che pervade la grande visione lucreziana del-
la vita equilibrata nell'ambito dell'ordine della natura. In
Dante, Beatrice non presiede a un ciclo bensf a una spirale
sacramentale che conduce alla divinità come l'Ewig-Weib-
liche del Faust, sebbene in modo molto meno concreto.
All'altro polo c'è una figura - Calipso o Circe in Omero,
Didone in Virgilio, Cleopatra in Shakespeare, Duessa in
Spenser, a volte una « madre terribile» ma vista spesso
con simpatia, che rappresenta la direzione opposta alla ri-
cerca eroica. L'Eva di Milton, che trascina giu l'uomo nel
movimento a spirale discendente della caduta, è la figura
opposta a Beatrice.
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

Nell'epoca dell'ironia compaiono naturalmente molte


visioni appartenenti a un ciclo di esperienza, spesso pre-
siedute da una figura femminile caratterizzata da qualità
lunari o di /emme fatale. La Vision di Yeats, che l'autore
a ragione associava a The Menta! Traveller, si basa su ta-
le simbolismo, del quale abbiamo una interpretazione piu
recente, e condotta con una erudizione e una abilità per-
sino maggiori di quelle di Y eats, in T be W hite Goddess
di Robert Graves. In The Waste Land di Eliot la figu-
ra nello sfondo non è tanto « la signora delle situazioni»
quanto l'androgino Tiresia: sebbene vi siano un sermone
del fuoco e un sermone del tuono, entrambi con sottin-
tesi apocalittici, la sua struttura portante è il ciclo natu-
rale dell'acqua, simboleggiato dal Tamigi che scorre nel
mare e ritorna, attraverso la morte per acqua, nelle piog-
ge primaverili. Nell'Ulysses di Joyce una figura femmi-
nile, al tempo stesso madre, sposa e merettice, una Pene-
lope che abbraccia tutti i suoi pretendenti, si fonde nel
sonno con la terra in torpido movimento rotatorio: tale
figura afferma continuamente ma non forma nulla, e ac-
compagna tutto il libro.
Ma la principale epopea ironica del nostro tempo è Fin-
negans V?ake. Anche qui la struttura portante è ciclica,
dal momento che la fine del libro ci rimanda all'inizio.
Finnegan in realtà non si sveglia mai, perché HCE non
riesce a stabilire alcuna continuità tra il mondo del sogno
e quello della veglia. La figura centrale è ALP, ma notia-
mo che ALP, sebbene abbia assai poco della Beatrice o
della Vergine Maria, ha ancor meno della /emme fatale. È
una moglie e una madre tormentata ma infinitamente pa-
ziente e premurosa: essa percorre il suo ciclo naturale e
non compie di per sé alcuna ricerca, ma è chiaramente il
tipo di persona che rende possibile la ricerca. Chi è allora
l'eroe che porta a termine la continua ricerca di Finnegans
W ake? Nessun personaggio pare un probabile candidato
a tale titolo; tuttavia abbiamo la sensazione che questo li-
bro ci dia qualcosa di piu della pura e semplice ironia irre-
sponsabile di un ciclo che si svolge. Alla fine ci colpisce
improvvisamente l'intuizione che il lettore stesso è colui
che compie la ricerca, il lettore che, nella misura in cui
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE 437
riesce a padroneggiare la materia del libro di Doublends
Jined, è in grado di guardarne la rotazione dall'alto e di
vederne la forma come qualcosa di piu di una rotazione.

Nelle forme enciclopediche come l'epica e i generi affi-


ni, i temi convenzionali su cui si imperniano le poesie liri-
che riappaiono come episodi di una storia piu ampia. Co-
sf il panegirico riappare nelle klea andron o contese eroi-
che, la poesia dell'azione della comunità nella convenzio-
ne dei giochi, l'elegia nella morte eroica, e cosi via. Lo
sviluppo inverso si ha quando una lirica basata su un te-
ma convenzionale raggiunge una tale concentrazione e ric-
chezza da espandersi in un'epopea in miniatura: se non la
storica<~ piccola epopea» o epillio, qualcosa di molto simi-
le dal punto di vista del genere letterario. Cosi Lycidas è
un'epopea biblica in miniatura che abbraccia l'intera ma-
teria compresa in Paradise Lost, cioè la morte dell'uomo
e la sua redenzione mediante Cristo. Probabilmente anche
l'Epithalamion di Spenser contiene in miniatura la stessa
gamma di simboli che sarebbe stata compresa nel grande
poema epico se l'autore ne avesse scritto la conclusione.
In tempi moderni, l'epopea in miniatura diventa una for-
ma molto comune: i poemi dell'ultimo Eliot, di Edith Sit-
well e molti can.tos di Pound appartengono a questo ge-
nere.
Inoltre avviene spesso, e ciò serve a confermare il no-
stro principio generale, che un'epica in miniatura costitui-
sca in realtà una parte di una epopea piu ampia. La pro-
fezia di Michele nel Paradise Lost presenta l'intera Bib-
bia come un'epopea di contrasto in miniatura, di cui un
polo sarebbe l'apocalisse e l'altro il diluvio. La Bibbia
stessa contiene il Libro di Giobbe, che è una specie di
microcosmo del suo tema totale ed è citato da Milton co-
me il modello dell'epopea « breve».
Analogamente, la prosa oratoria si sviluppa nelle forme
piu continue della fiction in prosa, e analogamente quelli
che si possono chiamare i punti di sviluppo della prosa,
quelli che abbiamo chiamato il comandamento, la parabo-
la, l'aforisma e l'oracolo, riappaiono come i nuclei delle
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

forme bibliche. In molti tipi di romance in prosa, il verso


o le caratteristiche tipiche del verso sono dominanti: le
vecchie epopee irlandesi, l'eufuismo del romance elisa-
bettiano, la prosa ritmata delle Mille e una notte, i dialo-
ghi colti in versi nella giapponese Storia di Genji, sono
esempi scelti a caso che dimostrano l'universalità di que-
sta tendenza. Man mano però che l'epos si estende e di-
venta epica, la sua versificazione tende ad unificarsi e rien-
trare in schemi convenzionali, mentre la prosa prosegue
la sua autonoma strada. Nel periodo basso-mimetico la
profonda divergenza tra l'epica mitologica soggettiva e
quella storica obiettiva è accresciuta dal fatto che la pri-
ma sembra appartenere per il suo «decoro» stesso alla
poesia, e la seconda alla prosa. Nella satira in prosa tutta-
via notiamo un'accentuata tendenza della prosa a riassor-
bire l'uso del verso. Abbiamo accennato alla frequenza
dell'inserto in versi nella ttadizione dell'anatomia; nel
melos di Rabelais, Sterne e Joyce tale tendenza è portata
molto piu avanti. Nelle forme bibliche abbiamo visto che
la differenza tra prosa e poesia è molto limitata, e talvolta
quasi non esiste.
Ritorniamo quindi al punto in cui questa sezione ha a-
vuto inizio, cioè alla Bibbia, l'unica forma che unisce le
strutture architettoniche di Dante alla disintegrazione di
Rabelais. Da un certo punto di vista, la Bibbia presenta
una struttura epica di portata, consistenza e completezza
insuperabili; da un altro punto di vista essa è un coacervo
di frammenti e ritagli al cui confronto The Tale o/ Tuh,
Tristrmn Shandy e Sartor Resartus sembrano omogenei
come un ciclo senza nuvole. Qui si nasconde un mistero
che può essere assai istruttivo per la critica penetrare.
Ad un esame approfondito appare chiaro che il senso
della continuità unificata è ciò che caratterizza la Bibbia
in quanto fiction, in quanto mito definitivo che abbraccia
tempo e spazio, visibili e invisibili ordini di realtà, e ha
una struttura drammatica parabolica in cinque atti: la
creazione, la caduta, l'esilio, la redenzione e la reintegra-
zione allo stato primitivo. Quanto piu studiamo questo
mito tanto piu il suo aspetto descrittivo o sigmatico sem-
bra diventare secondario. Per la maggior parte dei lettori
SPECIFICHE FORME ENCICLOPEDICHE 439
il mito, la leggenda, la tradizione storica e la storia vera e
propria sono inseparabili nella Bibbia; e persino i fatti sto-
rici non vi sono inseriti in quanto «veri», ma perché mi-
ticamente significanti. Le genealogie delle Cronache sa-
ranno forse storia autentica, mentre il Libro di Giobbe è
chiaramente un'opera di immaginazione drammatica: ma
il Libro di Giobbe è piu importante, e piu vicino al meto-
do di rivelazione per mezzo di parabole proprio di Cristo.
La priorità del mito rispetto al fatto storico è sia religio-
sa che letteraria; in entrambi i contesti il valore e il signi-
ficato della storia del diluvio risiedono nel suo status di
archetipo, uno status che lo strato di fango che copre la
Sumeria non servirà mai a spiegare. Quando applichiamo
questo principio ai Vangeli, tenendo conto di tutte le va-
rianti delle diverse narrazioni, vediamo che anche in que-
sto caso l'aspetto descrittivo si dissolve e scompare. La
base della loro forma letteraria è qualcosa di diverso dal-
la biografia, cosi come la base della storia dell'Esodo è
qualcosa di diverso dalla storia.
A questo punto la visione analitica della Bibbia inco-
mincia a venir messa a fuoco e a delinearsi chiaramente co-
me l'aspetto tematico del libro. Man mano che la fiction
mitica ininterrotta incomincia ad apparire illusoria, e il te-
sto si spezza in frammenti sempre piu brevi, l'opera assu-
me l'aspetto di una successione di epifanie, una serie di-
scontinua ma ordinata, di momenti significativi di perce-
zione o di visione. Si può perciò esaminare la Bibbia da
un punto di vista estetico o aristotelico come una forma
unica, come una storia in cui la pietà e il terrore, rappre-
sentati in questo contesto dalla conoscenza del bene e del
male, vengono suscitati ed eliminati. Oppure la si può esa-
minare da un punto di vista longiniano 1 come una serie
di momenti estatici o di punti in cui la percezione si e-
spande: concezione che è il presupposto su cui si basa la
scelta di un testo per un sermone. Abbiamo qui un prin-
cipio critico che possiamo applicare alla letteratura e a
1 Questa concezione della complementarità della catarsi estetica aristo-
telica e dell'estasi psicologica longiniana (cfr. p. 88) è spiegata forse con
maggiore coerenza in Touwds De{,ninf!. a11 Age o/ Se11sibili1y, in «EL!I»
(r956), pp. 144 sgg., in rapporto wn la letteratura inglese del Settecento.
440 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

qualsiasi altra cosa, un principio in cui il « santismo » di


Coleridge, come è stato chiamato, e le teorie discontinue
di Poe, Hulme, e Pound finiscono per conciliarsi. Tutta-
via la Bibbia è « qualcosa di piu » di un'opera letteraria,
per cui forse tale principio ha un campo di applicazione
ancor piu vasto di quello rappresentato dalla letteratura.
In ogni caso abbiamo spinto la nostra analisi il piu in là
possibile nell'ambito della letteratura; e non ci resta che
affrontare l'aspetto letterario delle strutture verbali chia-
mate generalmente non-letterarie.
La retorica della prosa non-letteraria

La prosa, a differenza del verso, viene usata anche per


scopi non letterari: essa non soltanto raggiunge i confini
letterari del melos e dell'opsis, ma si estende anche nelle
zone ad essi esterne della praxis e della theoria, dell'azio-
ne sociale e del pensiero individuale. I critici del Rinasci-
mento discutevano se la forma piu nobile di poesia fosse
l'epica o la tragedia. Probabilmente questo pr9blema non
ammette soluzione, ma una simile discussione contribui-
sce ad approfondire la conoscenza delle forme letterarie.
Allo stesso modo se ci domandiamo quale sia la piu nobi-
le forma letteraria in prosa, probabilmente non troviamo
una risposta adeguata, ma nel momento in cui formulia-
mo la domanda un gran numero di opere, quali la Bibbia,
i dialoghi di Platone, i pensieri di Pascal - in pratica tutti
i « grandi libri» considerati di solito al di fuori della lette-
ratura - acquistano di colpo un nuovo significato lettera-
rio. A questo punto è necessario perciò esaminare quali
elementi letterari permeino le strutture verbali il cui in-
tento fondamentale non è letterario o ipotetico.
Secondo lo schema iniziale di questo saggio, la lettera-
tura si trova in un'area limitata da un lato dal mondo del-
l'azione sociale, e dall'altro dal mondo del pensiero indi-
viduale; questi mondi sarebbero quindi il campo della
prosa non letteraria, la cui retorica tenderebbe a dar rilie-
vo nel primo caso all'emozione e all'invito all'azione attra-
verso il senso dell'udito, e nel secondo caso all'intelletto
e all'invito alla contemplazione basato principalmente su
metafore visive. Cominciamo con l'esame di quell'estesa
periferia della prosa che riguarda la tecnica della persua-
sione sociale o oratoria.
44 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

Gli esempi piu concentrati di tale tecnica si possono


trovare nel libello o nel discorso che coglie il ritmo della
storia, si impadronisce di un avvenimento o fase cruciale
dell'azione, dà un'interpretazione, articola le emozioni ad
esso connesse, o usa comunque una struttura verbale per
isolare e trasmettere la corrente della storia. L'Areopagi-
tica, la lettera di Johnson a Chesterfìeld, alcune prediche
del periodo fra Latimer e il Commonwealth, alcuni discor-
si di Butke, l'allocuzione di Lincoln a Gettysburg, il di-
scorso di Vanzetti prima di morire, i discorsi di Churchill
del 1940 sono tra i primi esempi che vengono in mente.
Nessuno di essi fu scritto con un'intenzione prevalente-
mente letteraria (il che sarebbe stato di ostacolo al rag-
giungimento del loro scopo originario), ma oggi hanno ca-
rattere letterario e interessano il critico. Quasi tutti sono
caratterizzati dagli enfatici moduli della ripetizione e del-
!'anafora, tipici della prosa retorica.
Le cadenze ritmiche di questi oracoli storici rappresen-
tano una specie di ritiro strategico dall'azione: essi schie-
rano e passano in rivista idee non solo note ma profonda-
mente radicate. Nella retorica che vuole persuadere all'a-
zione, che è il successivo stadio della prosa - muovendo
dalla letteratura verso la vita sociale - il ritmo è notevol-
mente aumentato. Le ripetizioni sono ipnotiche e magiche
come incantesimi, e mirano a distruggere le normali asso-
ciazioni di idee e le reazioni abituali, e a escludere la pos-
sibilità di una linea alternativa d'azione. Tale retorica può
essere colta nella sua forma piu pura nel ritmo del discor-
so di un ragazzo che cerca di persuadere un cane a sedersi
sulle zampe posteriori, a dare la zampa o a scostarsi in al-
tro modo dalla normale linea di condotta canina. Quando
viene rivolta a un pubblico umano tale retorica deve se-
guire la dialettica della retorica: deve basarsi sull'attacco
o sulla ricerca del consenso, o su tutte e due queste cose.
Esempi di retorica dell'attacco o dell'invettiva sono le cro-
ciate contro il peccato condotte dal pulpito e le ricapitola-
zioni del pubblico ministero in tribunale. Queste ultime
hanno dato origine alla forma collaterale della filippica,
cioè dell'atto di accusa pubblica cofitro un nemico politi-
co. La retorica del panegirico, la cosiddetta retorica epi-
LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 44 _3
dittica del mondo classico, si ritrova chiaramente al gior-
no d'oggi nei manifesti e nella pubblicità, sebbene ne esi-
sta una forma piu autenticamente letteraria, la prosa dal
« purpureus pannus », per lo piu di carattere descrittivo,
che tenta di comunicare un'emozione inesprimibile a pa-
role.
Come si può vedere da questi esempi, ci stiamo allon-
tanando rapidamente dalla letteratura per avvicinarci al-
l'espressione verbale diretta dell'emozione cinetica. Piu si
avanza in questa direzione, piu è probabile che l'autore
sia, o finga di essere, coinvolto emotivamente nella sua
materia: di conseguenza, quel che egli ci esorta ad accet-
tare o a evitare è in parte una proiezione della sua stessa
vita emotiva. Col progredire di tale processo, un certo
automatismo si insinua nella scrittura: si arriva cioè al-
l'espressione verbale di odì, timori, amori e oggetti di ado-
razione di carattere infantile. Quando Swinburne' parla
degli « yelling Y ohoos whom the scandalous and sense-
less license of our own day allows to run and roar about
the country unmuzzled and unwhipped» 2 , noi possiamo
non sapere a che cosa egli si riferisca, ma un'occhiata alla
struttura della prosa, con quel tipo di allitterazione auto-
matica e di doppia aggettivazione, ci fa capire chiaramente
che, di qualsiasi cosa si tratti, non dobbiamo troppo pren-
derla sul scrio. Tale modo di scrivere è un fenomeno ben
noto e che riconosciamo facilmente: è la prosa della col-
lera, la prosa di tanta critica vittoriana, di buona parte de-
gli scrittori di Carlyle e di Ruskin, della denuncia, da
parte del clero, di eresie o di divertimenti profani, della
propaganda totalitaria. È, in effetti, la prosa di quasi tut-
ta la retorica in cui si può chiaramente sentire che l'autore
si lascia prendere la mano e finisce per scrivere in base a
un impulso meccanico piuttosto che a un impulso crea-
tivo. Il venir meno del controllo retorico è spesso meta-
foricamente definito «intossicazione».

1 Il passo, se la cosa interessa, è tolto dalla sua intro<luzione all'edizio-


ne di Middleton nella «Mermai<l Series», a cura di H. Ellis (1887).
2 [«Urlanti Yahoos a cui la scan<lalosa e insensata licenza dei nostri
giorni permette di scorrazzare e di strepitare per il paese senza museruola
e s~nza frustate»].
444 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

Quanto piu incoerente diventa questo tipo di retorica,


tanto piu è evidente che si tratta del tentativo di esprime-
re l'emozione indipendentemente dall'intelletto o senza il
suo controllo. A questo punto entriamo nell'area del ger-
go emotivo, che consiste in gran parte nella ripetizione os-
sessiva di formule verbali. Procedendo nella stessa dire-
zione, si passa subito dopo a quella specie di grossolana
mancanza di mezzi espressivi per cui una sola parola, che
di solito non è possibile stampare, sostituisce l'intero or-
namento retorico di una frase, aggettivi, avverbi, epiteti
e punteggiatura compresi. Infine, le parole scompaiono
completamente e ritorniamo al linguaggio primitivo delle
grida, dei gesti, e dei sospiri. Naturalmente l'intera :;uc-
cessione dei vari stadi può essere imitata nella letteratura,
e Shakespeare ce li fornisce tutti, dall'allocuzione di Enri-
co V davanti alle mura di Harfleur al discorso delle « goats
and monkeys » 1 di Otello. L'imitazione della retorica
emotiva nella prosa letteraria è una caratteristica che con-
tribuisce a creare il melos in quest'ultima. Accade anche
di incontrare nella letteratura scrittori che fanno uso di
tale materiale retorico senza essere capaci di assorbirlo o
assimilarlo: il risultato è patologico, una specie di diabete
letterario, quale si può osservare nei romanzi di Aman-
da Ros.
L'espressione del pensiero concettuale in prosa mostra
una parallela successione di fenomeni, che si muove in di-
rezione opposta. La prosa filosofica si basa su asserzioni o
proposizioni: esaminando la storia della filosofia notiamo
infatti il persistente tentativo di isolare il ritmo della pro-
posizione. La filosofia incomincia esprimendosi in prover-
bi e assiomi e, a seconda dei periodi, produce il dialogo
dialettico di Platone e degli Upanishad, lo schema, molto
simile al precedente, di domanda-obiezione-risposta nel-
l'opera di san Tommaso, la disposizione quasi matemati-
ca delle idee in Spinoza, gli aforismi di Bacone (il quale
osserva che gli aforismi sono un sintomo di vitalità in fi..
losofia) e ai nostri giorni le asserzioni numerate del Tt'acta-
tus di Wittgenstein. È evidente che questi sono quasi tut-
1 [Delle « capre e delle scimmie»].
LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 445
ti tentativi di purificare la comunicazione verbale dal con-
tenuto emotivo della retorica: eppure, per il critico lette-
rario, sono anch'essi espedienti retorici.
Ciò significa che esiste una retorica concettuale, che, co-
me la retorica persuasiva, ha lo scopo di separare l'emo-
zione dall'intelletto, ma a differenza di quella mira a eli-
minare la parte emotiva. La retorica concettuale tende al
libro e si rivolge al lettore individuale, mentre la retorica
persuasiva ha bisogno di un largo pubblico; lo scopo della
prima è la comprensione intellettuale, quello della secon-
da l'azione o la reazione emotiva. Gran parte della strate-
gia dell'insegnamento è strategia retorica: si scelgono ac-
curatamente parole e immagini allo scopo di suscitare rea-
zioni come queste: «non mi era mai venuto in mente»,
oppure «dal momento che l'hai messa cosi, ci vedo chia-
ro». Ciò che distingue non semplicemente l'epigramma,
ma un'osservazione profonda da un luogo comune è mol-
to spesso l'arguzia retorica. Infatti probabilmente non ab-
biamo mai considerato profonda una idea se non l'abbia-
mo trovata espressa con arguzia. L'insegnamento, come
la persuasione, usa una retorica dissociativa che ha lo
scopo di spezzare la catena delle reazioni abituali: da tale
processo dissociativo deriva la prolissità esasperante dei
sutra orientali e su di esso sono basati certi passi del Nuo-
vo Testamento, non meno dissociativi della prosa di Ger-
trude Stein:
Quello che era dal principio, quello che abbiamo udito,
quello che abbiam veduto con gli occhi nostri, quello che
abbiam contemplato, e che le nostre mani han toccato della
Parola della vita; (E la vita è stata manifestata e noi l'ab-
biam veduta, e ne rendiam testimonianza, e vi annunziamo
la vita eterna, la quale era appo il Padre, e ci è stata mani-
festata); Quello, dico, che abbiamo veduto ed udito, noi ve
l'annunziamo ...

Non abbiamo alcuna intenzione di affermare che soltan-


to buoni scrittori possono essere buoni filosofi, ma voglia-
mo sottolineare che gran parte delle difficoltà di uno stile
filosofico sono di origine retorica e nascono dalla sensazio-
ne che è necessario distaccare e isolare l'intelletto dalle e-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

mozioni. Un periodo dell'Essay on Government di James


Mill basterà a spiegare quello che voglio dire:
Prima di tutto dovremmo prendere una precauzione, ed
è questa: che tutti coloro che hanno il potere di governare
senza avere un'identità di interesse colla comunità, tutti co-
loro che condividono i profitti risultanti dall'abuso del po-
tere, e tutti coloro che sono influenzati dall'esempio e dalle
affermazioni dei primi due gruppi siano sicuri di rappresen.
tare la comunità o una parte che ha un'identità di interesse
con la comunità in quanto assolutamente incapace di agire
secondo il proprio vero interesse; essendo chiaro che colo-
ro che non hanno identità d'interesse con la comunità non
dovrebbero detenere il potere piu a lungo se coloro che in-
vece hanno questa identità di interesse dessero garanzie di
essere in grado di agire in modo ragionevolmente conforme
al loro interesse.
Alla fine, dopo che il periodo è stato a!Irontato e risolto
come un puzzle, si scopre che Mill voleva semplicemente
dire che coloro i cui interessi coincidono con una determi-
nata forma di governo è probabile che si oppongano all'in-
troduzione di un'altra. Il critico che cerca le ragioni per
cui, se veramente intendeva questo, Mill non l'abbia det-
to in termini piu semplici, alla fine si rende conto che tale
stile deriva da una singolare, severa, onestà intellettuale.
Lui rifiuta di ricortere agli eleganti accorgimenti della per-
suasione, a melliflue argomentazioni o a vocaboli dalla for-
te carica emotiva; ma fa appello soltanto alla fredda logi-
ca della ragione, rinforzata, naturalmente, dall'idea vitto-
riana che quanto piu lo stile è difficile tanto piu robusta
si sviluppa la fibra morale ed intellettuale di chi deve af-
frontarlo e comprenderlo.
Notiamo che la base della retorica di James Mill è l'imi-
tazione dello stile legale e del suo cautamente dosato lin-
guaggio. Le già ticotdate, lunghe, dense frasi dell'ultimo
James, illustrano l'uso letterario di tali espedienti. Supe-
rando alcuni stadi intermedi arriviamo alla fine, in questa
ricerca della retorica non emotiva, al gergo concettuale,
altrimenti noto come gobbledygook o offecialese'. Questo
1 [Con questi termini si vuole definire, ironicamente, il linguaggio tra

burocratico e solenne dei documenti ufficiali].


LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 447
è un'intensificazione ingenua del desiderio di Mill di par-
lare con la voce non della personalità ma della Ragione
stessa. Il gergo delle relazioni di governo, dei memoranda
interni d'ufficio e delle istruzioni militari riflette il propo-
sito di esprimersi nel modo piu impersonale possibile e di
rappresentare verbalmente una certa istituzione o qual-
che anonima divinità cibernetica che funziona in uno sta-
to di «normalità». Quello che tale gergo esprime in real-
tà è la voce della folla solitaria, l'ansietà del conformista
proteso verso l'esterno. Tale gergo può essere chiamato
con un termine preso a prestito dalla medicina, il gergo
benigno: è inequivocabilmente una malattia della lingua,
ma non ancora una malattia cancerosa come l'oratoria de-
magogica. Si riscontra in quasi tutte le forme di giorna-
lismo ed è la divisa indossata da gran parte degli scritti
di carattere professionale, inclusi quelli degli umanisti.
Che questa malattia possa diventare maligna è indicato
dal romanzo 1984, in cui la vediamo a uno stadio piu
avanzato, nella forma caricaturale di «Newspeak», una
pseudologica semplificazione del linguaggio che, come il
gergo emotivo, tende a un completo automatismo. Non ci
sorprende scoprire che quanto piu ci allontaniamo dalla
letteratura, ossia dal linguaggio che esprime quello stato
di totalmente integrante consapevolezza emotiva che chia-
miamo immaginazione, tanto piu ci avviciniamo al lin-
guaggio come espressione di riflessi. Tale movimento, sia
esso diretto verso la sfera emotiva o verso quella intellet-
tuale, ci porta press'a poco allo stesso punto, un punto
agli antipodi della letteratura, in cui il linguaggio è un
ininterrotto flusso di parole a commento dei nostri stati
inconsci, qualcosa come il chiacchierio dello scoiattolo.

Se dunque la retorica concettuale esiste, e anzi aumenta


nella proporzione in cui lo scrittore discorsivo cerca di
evitarla, si direbbe che l'unione diretta di grammatica e
logica, che abbiamo postulato all'inizio di questo saggio
come peculiare della struttura verbale non-letteraria, non
sia, in ultima analisi, possibile. Qualsiasi uso funzionale
delle parole sarà sempre coinvolto in tutti i problemi tee-
CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

nici delle parole, problemi retorici compresi. L'unica stra-


da che unisce la grammatica alla logica passa attraverso il
territorio intermedio della retorica.
In primo luogo notiamo che i tentativi di ridurre la
grammatica a logica o la logica a grammatica non hanno
avuto il successo che avrebbero avuto se fosse esistito un
ampio e rilevante fattore comune non retorico su cui co-
struire la scrittura non letteraria. Per molto tempo il pre-
stigio della ragione discorsiva incoraggiò la teoria che la
logica era la causa formale del linguaggio, che grammati-
che universali fondate su principi logici fossero possibili
e che le intere risorse dell'espressione linguistica potesse-
ro essere divise in categorie. Ora siamo abituati a pensare
al ragionamento come a una delle tante cose che l'uomo
fa colle parole, una funzione specializzata del linguaggio.
Non c'è alcuna prova che l'uomo abbia imparato a parlare
soprattutto perché voleva parlare logicamente.
I tentativi di ridurre la logica a grammatica sono piu re-
centi, ma non hanno avuto maggior successo. La logica si
sviluppa dalla grammatica, cioè da quella logica inconscia
o potenziale che è inerente al linguaggio, e troviamo spes-
so che le forme in cui si organizza il pensiero concettuale
hanno un'origine grammaticale: ne sono un esempio tipi-
co il soggetto e il predicato della logica aristotelica. Le
fluide concezioni linguistiche di epoche primitive, spesso
citate dagli antropologi, quali il mana polinesiano o l'oren-
da irochese, sono concezioni participiali o gerundive. Esse
appartengono a un mondo in cui l'energia e la materia non
sono state separate chiaramente né nel pensiero, né nelle
forme dei verbi e dei nomi della nostra meno flessibile
struttura linguistica. Poiché l'energia e la materia non so-
no separate chiaramente neanche nella fisica nucleare, ci
potrebbe capitare di peggio che ritornare noi stessi a tali
«primitive» parole. Le parole atomo e luce, per esempio,
essendo sostantivi, sono forse troppo concrete e statiche
per essere simboli adeguati di quello che indicano oggi, e
quando esse passano dalle equazioni di un fisico all'appa-
rato linguistico della coscienza sociale contemporanea, ve-
diamo subito chiaramente le difficoltà grammaticali di tale
trasferimento.
LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 449
Ma il tentativo di ridurre la logica alla grammatica ri-
vela lo scacco dello studioso: l'errore di credere che facen-
do risalire l'origine di una cosa a un'altra, se ne spieghi al
tempo stesso la natura. La logica può essersi sviluppata
dalla grammatica, ma svilupparsi da qualcosa è in parte
superarla. Perché la grammatica può anche essere una for-
za che ostacola lo sviluppo della logica e un'importan-
tissima fonte di confusioni logiche e di pseudoproblemi.
Queste confusioni superano l'enorme quantità di errori
prodotta dalla paronomasia che, come tanti dei fenomeni
da noi trattati, è un principio strutturale in letteratura e
un ostacolo nella scrittura discorsiva. Per esempio molti
lunghi ragionamenti possono essere annullati da un muta-
mento grammaticale: basta passare dall'articolo determi-
nativo all'indeterminativo, o da un'affermazione di identi-
tà a un verbo attivo. Una frase come « la ragione è una
funzione della mente» non provoca facilmente una discus-
sione; ma dire « la ragione è la funzione della mente» si-
gnifica impegnarsi in un'inutile contesa per il possesso
esclusivo di un'essenza. Cosi pure dire «l'arte comunica»,
equivale ad accontentarsi di un'ovvia pluralità di funzio-
ni: dire« l'arte è comunicazione» ci costringe a una dispu-
ta viziosa su una metafora presa come un'asserzione. Non
meraviglia quindi che molti logici tendano a considerare
la grammatica come una specie di malattia della logica,
mentre alcuni di essi sostengono persino che la matemati-
ca è la vera fonte di coerenza nella logica. Non sono in gra-
do di dir nulla a questo proposito, se non ripetere che tut-
to ciò che implica un uso funzionale delle parole, sarà sem-
pre coinvolto in tutti i problemi che riguardano le parole.
Sia la grammatica che la logica sembrano svilupparsi at-
traverso un conflitto interno. La tradizione umanistica ha
sempre e giustamente sottolineato l'importanza del con-
flitto linguistico nell'educazione della mente. Se non ab-
biamo imparato un'altra lingua, abbiamo perduto la mi-
gliore e piu semplice occasione di scegliere le nostre idee
dalle fasce della sintassi nativa. Cosf la logica non si può
sviluppare convenientemente senza la dialettica, il princi-
pio di opposizione nel pensiero. Ora quando persone che
parlano lingue diverse vengono a contatto, i loro sforzi
450 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

per comunicare tendono a costruire una struttura ideo-


grammatica. La figura 5 è un ideogramma, perché indica
lo stesso numero per le persone che lo chiamano five,
cinq, cinque, fiinf, e in mille altri modi. Allo stesso modo
le associazioni puramente linguistiche dell'inglese «time»
e del francese« temps » sono differenti: ma è possibile tra-
durre in inglese il concetto di tempo di Proust o di Berg-
son senza gravi rischi di equivocarne il significato. Quan-
do due lingue sono in orbite culturali dive1se come l'in-
glese e lo zulu, la struttura ideogrammatica è piu difficile
da costruire, ma sembra sia sempre piu o meno possibile.
Ci sono gli equivalenti francesi per tutte le parole o le
idee inglesi, ma ovviamente non li si può introdurre in
una società polinesiana o irochese e chiedere: « Quali so-
no le vostre parole per Dio, anima, realtà, conoscenza?»
Può darsi che Polinesiani e Irochesi non abbiano tali pa-
role o tali concetti, né noi possiamo dir loro i nostri equi-
valenti di mana e orenda. Pare chiaro tuttavia che, se sia-
mo animati da pazienza e buona volontà, possiamo alla fi.
ne scoprire quello che succede in una mente polinesiana
o irochese. I problemi di comunicazione fra due persone
che parlano la stessa lingua possono essere, sotto certi a-
spetti, persino maggiori, perché è piu difficile rendersene
conto, ma perfino questi possono essere superati. Grazie
a queste strutture ideogrammatiche, interne, di natura lin-
guistica se la comunicazione è tra due lingue diverse, di
natura psicologica se essa ha luogo tra due persone che
parlano la stessa lingua, si sviluppa la capacità di assimi-
lare il linguaggio al pensiero razionale.
Questo stesso terreno ideogrammatico intermedio tra
due lingue o tra due strutture di significati personali nella
stessa lingua deve essere una struttura simbolica e non
semplicemente un dizionario bilingue. Ne segue che l'i-
deogramma non è né puramente grammaticale né pura-
mente logico: è tutt'e due le cose allo stesso tempo, ed è
anche retorico, poiché, come la retorica, crea un pubblico
e rinforza il linguaggio della coscienza con quello dell'as-
sociazione. In breve, l'ideogramma è una metafora, cioè
l'identificazione di due cose, ciascuna delle quali conserva
la sua forma: è il rendersi conto che ciò che tu vuoi dire
LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 451
con X in questo contesto è ciò che io voglio dire con Y.
Tale ideogramma può differire dalla metafora della poesia
che è puramente ipotetica, ma il salto mentale della meta-
fora che si allontana dal semplice segno « questo significa
quello» vi è presente.
Sia il lettore d'accordo o no con tutto ciò che è stato
detto, egli riconoscerà tuttavia la possibilità di legami 1
fra la grammatica e la retorica, e tra la retorica e la logica,
legami la cui importanza è stata spesso trascurata, pur es-
sendo cruciale. Esaminiamo prima il legame tra la gram-
matica e la retorica.
Ricordiamo che gran parte della creazione verbale in-
comincia col balbettio associativo, in cui il suono e il sen-
so vengono coinvolti in egual misura. Il risultato è l'am-
biguità poetica cioè il fatto che, come si è notato prece-
dentemente, il poeta non definisce le sue parole, ma sta-
bilisce il loro potere ponendole in una grande varietà di
contesti. Di qui l'importanza della etimologia poetica, o
tendenza ad associare parole simili per suono o significato.
Per molti secoli questa tendenza si è fatta passare per eti-
mologia autentica e si insegnava allo studente a pensare in
termini di associazione verbale. Egli imparava a pensare
alla neve come qualcosa che viene sia etimologicamente
che fisicamente dalle nubi (nix a nube), e agli oscuri bo-
schetti come derivanti dalla luce del sole (la derivazione
da opposti che produceva il famoso lucus a non lucendo ).
Quando si sviluppò l'etimologia vera e propria, questo
processo associativo fu scartato come volgare forma di fe-
ticismo: ed esso è veramente una forma di feticismo da
un certo punto di vista, ma ciò non toglie che esso riman-
ga un fattore di grande importanza per la critica. E qui in-
contriamo ancora una volta il principio che l'analogia fra
A e B (in questo caso due parole) può essere importante
anche se non si ritiene piu che A sia la fonte di B. Sia eti-
mologicamente giusto oppure no associare Prometeo con
la preveggenza o Odissea con l'ira, i poeti hanno accettato
tali associazioni e queste sono dati acquisiti per il critico.
1 Per una critica di alcune delle prospettive qui suggerite, cfr. n. DA·
vrn, Articu/at:? E11ergy (1955), pp. 130 sgg.
45 2 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

Che i «nuovi» critici commettano o no sbagli o anacroni-


smi nello spiegare il tessuto della poesia antica, il princi-
pio da cui muovono può essere difeso sia storicamente
che psicologicamente.
Ci rendiamo facilmente conto, inoltre, che l'associazio-
ne verbale è tuttora un fattore importante persino nel
pensiero razionale. Uno dei metodi piu efficaci di rendere
il significato in una traduzione per esempio, è lasciare una
parola chiave non tradotta cosf da costringere il lettore a
ricostruire nella sua lingua le associazioni contestuali che
esistono nella lingua originale. E ancora, nel tentativo di
capire il pensiero di un filosofo, si incomincia spesso col
considerare una parola singola, per esempio natura in Ari-
stotele, sostanza in Spinoza o tempo in Bergson, nell'inte-
ra gamma delle sue connotazioni. Si ha spesso la sensa-
zione che la totale comprensione di tale parola sarebbe la
chiave per capire l'intero sistema. Se cosi fosse, sarebbe
una chiave metaforica poiché sarebbe una serie di identi-
ficazioni fatte dal pensatore per mezzo di quella parola.
Giudicare tali termini connotativi invariabilmente errati e
fallaci, sarebbe scarsamente utile. Spesso, l'unico bagaglio
culturale con cui gli studenti escono dall'università è fatto
di lamentele: perché la gente non si chiede qual è il signi-
ficato dei vocaboli che usa, perché non ragiona chiaramen-
te, perché non sa discutere di libertà o di ordine senza
dare a tali parole un carattere emotivo. È forse assai piu
vantaggioso spostare la nostra attenzione da quello che la
comunicazione verbale non è a quello che è: ciò che viene
comunicato è di solito un insieme ambiguo e carico di emo-
zioni. In ogni caso la teoria secondo cui è possibile ridur-
re il linguaggio a un linguaggio-segno, fare cioè che una
parola significhi invariabilmente un'unica cosa, è un'illu-
sione. Anche se si eliminasse l'ambiguità associativa dei
verbi e dei nomi, resterebbe il problema degli aggettivi e
degli avverbi, che sono per natura universali, e infine delle
preposizioni e delle congiunzioni che, essendo puramente
connessive, mostreranno sempre una sconcertante versati-
lità semantica. Uno sguardo alle voci « to », « for » e «in»
del New English Dictionary, dovrebbe scoraggiare il piu
sfacciato degli atomizzatori delle parole.
LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 453

Il legame tra la retorica e la logica è il (<ghirigoro» o


diagramma associativo, cioè l'espressione del concettuale
in termini spaziali. Un gran numero di preposizioni sono
metafore spaziali, e la maggior parte deriva dall'orienta-
mento del corpo umano. L'uso di« giu »,(<su»,« inoltre»,
« d'altra parte»,(< sotto» implica l'esistenza di un diagram-
ma subcosciente nella discussione, qualsiasi esso sia. Se
uno scrittore dice: (<Ma d'altra parte c'è un'ulteriore con-
siderazione da introdurre in favore della tesi opposta»,
egli scrive in un linguaggio normale (seppur verboso), ma
sta anche facendo esattamente quello che fa lo stratega in
poltrona quando scarabocchia piani di combattimenti sul-
la tovaglia. Molto spesso una «struttura» o un «sistema»
di pensiero possono venir ridotti a un modello diagram-
matico; e in realtà tutte e due le parole sono in qualche
modo sinonimi di diagramma. Un filosofo può aiutare
molto il suo lettore quando si rende conto della presenza
di tale diagramma e lo mette in evidenza, come fa Platone
nella sua discussione sulla linea divisa. Non possiamo
inoltrarci in nessuna discussione senza accorgerci che essa
implica anche un certo tipo di formula grafica. Tutte le di-
visioni e le classificazioni in categorie, l'uso dei capitoli,
il topotropismo (se cosf si può chiamare) segnalato dai:
(< volgiamoci ora» oppure (< ritornando alla questione pri-
ma definita», il senso di ciò che« si adatta» alla discussio-
ne, la sensazione che una questione sia« centrale» e un'al-
tra periferica, tutto ciò ha una base geometrica.
Si diceva un tempo che, siccome tutte le parole astratte
erano originariamente concrete metafore, qualcosa di que-
st'ultime aderirà sempre alle parole per tutta la loro sto-
ria semantica. Questo punto di vista è ora messo in dub-
bio, ma in esso c'è ancora molta verità: io chiedo se è ve-
ramente possibile far dipendere B da A senza in qualche
modo agganciare l'uno all'altro, oppure implicare B con A
senza in qualche modo avvolgerli insieme. Io penso che a
tale proposito l'unico errore stia nell'affermare che la me-
tafora debba essere necessariamente quella implicita nel-
l'etimologia della parola. Naturalmente lo scrittore può
dare a una parola un significato che non ha nessun accer-
454 CRITICA RETORICA: TEORIA DEI GENERI

tabile rapporto con la sua origine. Ma sembra che le paro-


le e le idee astratte siano prese a prestito, per cosf dire, da
una formulazione concreta e nascosta che si deve trovare,
non nella storia dell'uso della parola, bensi nella struttura
della discussione in cui la parola è inserita.
Non appena si incomincia a pensare al ruolo dell'asso-
ciazione e del diagramma nel discorso ci si accorge della
loro straordinaria importanza. Una volta udii un predica-
tore difendere la religione basandosi sul fatto che la scien-
za era troppo fredda e troppo arida per indirizzare la vita,
mentre il calore dello zelo rivoluzionario lasciava negli uo-
mini la sete di qualcosa d'altro. Le immagini sembravano
comuni, tuttavia era chiaro che l'antico diagra:nma dei
quattro principì della sostanza, il caldo, il freddo, l'umi-
do, l'asciutto, era la formula grafica del suo ragionamento
e che la religione significava per lui qualcosa di umido,
un'umidità fertilizzante capace di scaldare gli scienziati e
rinfrescare i radicali. Lo stesso principio di una formula
grafica si trova in affermazioni come ad esempio: che l'in-
telletto è freddo e sobrio e le emo:doni calde e inebrian-
ti; che il senso pratico cammina e l'immaginazione salta;
che i fatti sono solidi («ostinati»), le ipotesi liquide (esse
«coprono» i fatti) e le teorie gassose; che qualunque cosa
sia «dentro» la mente è in una confusa penombra e qua-
lunque cosa sia «fuori» è chiara, e cosi'. via. Lo stesso ac-
cade nei giudizi di valore: che il concreto è meglio del-
l'astratto, l'attivo meglio del passivo, il dinamico meglio
dello statico, l'unificato meglio del molteplice, il semplice
meglio del complesso. Le persone religiose pensano al pa-
radiso come «su», gli psicologi pensano al subconscio co-
me «sotto» la coscienza, e ambedue le parole sono meta-
fore spaziali.
Potremmo continuare a lungo, ma dovrebbe essere
chiaro ormai che è meglio accettare la metafora che ten-
tare di sradicarla. Non si devono incoraggiare i tentativi
di analizzare la metafora coll'unico scopo di ridurre alle
giuste proporzioni un ragionamento, o di suggerire che
non è «nient'altro» che una metafora. Quello che si deve
incoraggiare è l'analisi stessa, in cui penso esista una atti-
vità di considerevole e sempre crescente importanza per la
LA RETORICA DELLA PROSA NON-LETTERARIA 455
critica letteraria, come la conclusione di questo libro sug-
gerirà.
Nella cultura occidentale il posto d'onore è stato dato
per tradizione alla ragione discorsiva. In religione, a nes-
sun componimento poetico all'infuori della Scrittura vie-
ne riconosciuta l'autorità attribuita alle asserzioni del teo-
logo; in filosofia la ragione è il sommo sacerdote della
realtà (a meno che per qualche particolare motivo non si
attribuisca un'importanza particolare alle arti, come in
Schelling); nella scienza lo stesso diagramma gerarchico è
ancora piu chiaro. Ne segue che le arti sono sempre state
considerate come forme di« raccordo», con la funzione di
stabilire un legame tra la ragione e ciò che è « al di sotto»
di essa nel diagramma adottato, come per esempio le emo-
;doni o i sensi. Perciò non sorprende di trovare una fun-
zione di «raccordo» nelle strutture verbali che mira a su-
scitare l'emozione o a esercitare una qualche forma di per-
suasione cinetica. Per secoli tale funzione è stata ricono-
sciuta, perché si concilia col tradizionale subordinamento
della retorica alla dialettica. Ma la nozione di una retorica
concettuale solleva nuovi problemi, suggerendo che nulla
di ciò che consta di parole possa trascendere la natura e i
limiti delle parole, e che la natura e le condizioni della
ratio, se la ratio è verbale, debbano essere contenute nel-
l'oratio.
Tentativo di conclusione
In questo libro sono state esaminate varie tecniche e
metodologie critiche, molte delle quali vengono già usate
da studiosi contemporanei. Si è cercato di suggerire il po•
sto che la critica mitica o archetipica, la critica delle forme
estetiche, la critica storica, la critica fondata sui quattro
livelli medievali di lettura, e la critica te:,tuale e del tessu•
to occupano in una concezione comprensiva della critica
stessa. A parte la maggiore o minore esattezza di una con•
cezione comprensiva, io spero che ci si sia almeno resi
conto dell'assurdità e dell'impossibilità di escludere dal
campo della critica letteraria una qualsiasi di queste me•
todologie. Come si è detto all'inizio, scopo di questo libro
è suggerire ai critici non una nuova tecnica di lavoro, ma
una nuova prospettiva sotto cui le tecniche già esistenti,
e in se stesse sufficientemente valide, possono essere viste.
Una volta definito l'argomento di cui tratta, è chiaro che il
libro non attacca alcun metodo di critica, benst le barriere
che sono state erette tra un metodo e l'altro. Tali barriere
tendono a confinare il critico a un solo metodo, cosa non
necessaria né utile, e a indurlo a porsi in rapporto non
con gli altri critici, ma con materie estranee alla critica.
Questo spiega l'esistenza di una quantità di saggi, non
grande ma pur sempre troppo grande, di critica mitica che
sembrano cattivi esercizi di storia comparata della religio•
ne, di critica l'etorica che sembrano cattivi studi di seman.
tica, di critica estetica che sembrano cattivi studi di meta•
fisica, e cosf via.
Nel processo di eliminazione di queste barriere, io pen•
so che la critica archetipica abbia una funzione centrale,
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

e le ho quindi assegnato un posto di preminenza nel libro.


Nella nostra tradizione culturale vi è un elemento consi-
derato di solito un prodotto assurdo della fantasia: si trat-
ta delle spiegazioni allegoriche dei miti' che occupano un
posto cosi importante nella critica medievale e rinasci-
mentale e continuano sporadicamente (per esempio con
Queen of the Air di Ruskin) fino ai giorni nostri. L'allego-
rizzazione del mito è ostacolata dal pregiudizio che la spie-
gazione corrisponda esattamente a ciò che il mito signifi-
ca: in realtà, essendo una struttura di significato centripe-
ta, il mito può assumere un numero infinito di significati,
ed è quindi assai piu utile studiare quelli che gli sono stati
di fatto attribuiti.
Il termine mito può avere, e naturalmente ha, diversi
significati a secondo del campo in cui viene utilizzato. Che
questi significati siano alla lunga conciliabili tra loro è in-
dubbio, ma che c;ò si verifichi è un compito affidato al fu.
turo. Nella critica letteraria mito significa in definitiva
mythos, cioè un principio strutturale organizzativo della
forma letteraria. Il commento, ricordiamo, è un'allegoriz-
zazione, e qualsiasi grande opera letteraria può comporta-
re un'infinita quantità di commenti. Spesso questo fatto
scoraggia il critico poiché gli dà l'impressione che tutto
quello che si può dire, per esempio, su Hamlet sia già sta-
to detto molte volte. Le osservazioni che si presentano al-
la mente abile e colta di A e B nel leggere Hamlet si ag-
giungono a quelle che vengono fatte dalle menti abili e
colte di C, D, E e cosi via, finché per puro senso di auto-
conservazione ci si rifiuta di leggere tali commenti o (cosa
del tutto identica da un punto di vista culturale) Ii si la-
scia agli specialisti. Perciò il commento che non tiene con-
to della struttura archetipica della letteratura nel suo in-
sieme contribuisce a continuare la tradizione delle spiega-
zioni allegoriche del mito, e ne eredita le caratteristiche
di brillante ingegnosità e futilità.
L'unico modo per rimediare a questa situazione è inte-
grare la critica allegorica con la critica archetipica. La vi-
sione del critico si rischiara non appena egli percepisce,
1 Cfr. J. SEZNEC, La survioence des dieux antiques (r940), II.
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

per quanto confusamente, che la critica ha un fine ben


preciso e cioè la messa a fuoco della struttura della lette-
ratura come forma totale, e un punto di partenza ben pre-
ciso, cioè il testo studiato. Non è sufficiente vedere nel te-
sto un elemento che serve a verificare la validità del com-
mento, come se si trattasse della corda che trattiene l'a-
quilone dal volar via, perché da un testo si può sviluppa-
re un primo commento sul significato letterale, un secon-
do sul significato inconscio, un terzo sulle convenzioni e
i rapporti esterni del poema, e cosi via all'infinito. L'uso
di tali forme di commento non è limitato ai critici moder-
ni: l'interpretazione messianica della quarta egloga di Vir-
gilio, presuppone che Virgilio stia «inconsciamente» pro-
fetizzando il Messia. Ma nel poeta vi era allo stato incon-
scio l'intera gamma delle possibili interpretazioni date dai
suoi commentatori; ed è piu semplice limitarsi a dire che
Virgilio e Isaia usano l'imagery connessa con il mito della
nascita dell'eroe, e che a causa di questa somiglianza la
Nativity Ode, per esempio, può utilizzare sia Virgilio che
Isaia. Questo procedimento aiuta a classificare i vari com-
menti, e impedisce a ogni singola opera poetica di diven•
tare un centro di indagine filologica isolata.
La teoria della critica abbraccia « le discipline umanisti-
che» nella loro funzione formativa, secondo il nostro prin-
cipio per cui non la letteratura ma la critica è ciò che può
venire direttamente insegnato e appreso. Quindi la con-
fusione nel campo della teoria della critica provoca preoc-
cupazione per il «destino» o la «condizione» delle disci-
pline umanistiche. Abbattere le barriere all'interno della
critica letteraria avrebbe perciò a lunga scadenza l'effetto
di rendere i critici piu coscienti dei rapporti esterni della
critica nel suo insieme con le altre discipline. Su quest'ul-
timo argomento farò alcune osservazioni, solo perché mi
sembra che sarebbe un eccesso di prudenza, anzi una for-
ma di disonestà, ignorare le piu importanti implicazioni
delle questioni qui trattate.

Quando si parla della produzione artistica si usano di


solito metafore« creative» tratte dalla vita organica. Vi è
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

infatti una curiosa tendenza nella vita umana a imitare al-


cuni aspetti delle forme di esistenza «inferiori», come di-
mostrano i riti che imitano le sottili sincronizzazioni del
mondo vegetale con i ritmi dello svolgersi dell'anno. È in
se stesso un fatto piuttosto logico che lo sviluppo della
cultura umana abbia assunto inconsciamente i ritmi dello
sviluppo di un organismo. Infatti gli artisti tendono sem-
pre a imitare i loro predecessori in un modo leggermente
piu sofisticato cosi da produrre una tradizione di « invec-
chiamento» culturale che prosegue fino a quando qualche
vistoso cambiamento interrompe il processo e lo fa rico-
minciare da capo. Da questo punto di vista la forma in cui
si modella la critica storica può ben essere considerata un
ritmo quasi organico di invecchiamento culturale, come es-
so è variamente postulato dalla maggior parte dei filosofi
della storia ai giorni nostri, e piu esplicitamente da Spen-
gler. Il concetto della nostra epoca come fase «tarda» di
una cultura« occidentale» di cui il Medioevo è stato il pe-
riodo giovanile, e come fase simile alla fase romana di una
cultura classica anteriore, è praticamente dato per sconta-
to da tutti oggi, sembra anzi una delle categorie inevita-
bili della mentalità contemporanea. La successione dei ge-
neri letterari tracciata nel primo saggio sembra avere una
certa analogia con questa prospettiva della storia della cul-
tura.
Una concezione di questo tipo, una volta adottata, può
essere accompagn,lta dai corollari metafisici preferiti dal
suo sostenitore: ma non è necessariamente «fatalistica»,
a meno che non sia fatalismo dire che si invecchia ogni
anno di piu, né deve necessariamente presupporre una
teoria dei cicli inevitabili della storia o la predetermina-
zione del futuro. Né, di sicuro, deve essere trasformata
in un principio, in nome del quale sia possibile formulare
giudizi di valore in campo retorico. Abbiamo deformazio-
ni di questo genere, per esempio, in quella visione senti-
mentale della cultura medievale per cui quest'ultima è vi-
sta come una colossale sintesi seguita da una disintegra-
zione progressiva che ha provocato suddivisione e specia-
lizzazioni sino a spingere tutti noi nella « bella situazione»
in cui ci troviamo oggi. Ecco perché dalla metà del xvrn
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

secolo in poi quasi ogni generazione ha variamente auspi-


cato la nascita di un movimento che in qualche modo ri-
stabilisse nel mondo moderno l'unità della cultura medie-
vale o altri aspetti di quella cultura. A tale concezione si
ricollegano anche coloro che non riescono ad amare nessu-
na musica posteriore a Mozart o a qualsiasi altro punto di
riferimento; i marxisti che parlano della decadenza della
cultura capitalistica; gli allarmisti che parlano di un ritor-
no dell'età dell'oscurantismo, e cosi via. Tutti costoro par-
tono da una piu o meno confusa visione di una· teoria se-
miorganica della storia.
È un luogo comune della critica affermare che l'arte
non progredisce, né si perfeziona; essa produce l'opera
classica o modello. Esistono ancora in circolazione libri
che parlano di uno «sviluppo» della pittura dall'età della
pietra a Picasso, ma in realtà essi non mostrano l'esistenza
di alcuno sviluppo, bensi soltanto una serie di cambia-
menti nell'abilità tecnica, per cui Picasso è all'incirca allo
stesso livello dei suoi antenati magdaleniani. Questo è
confermato dal fatto che di tanto in tanto ci accade di spe-
rimentare nell'atte la sensazione di una rivelazione defini-
tiva. Per esempio dopo avet ascoltato un mottetto di Pa-
lestrina o un divertimento di Mozart possiamo credere di
aver udito la voce stessa della musica: o proprio ciò che
la musica è stata inventata per esprimere. Vi è in queste
musiche una semplicità che ci fa capite come il semplice
sia l'opposto del banale, e ci dà la sensazione che il vertice
dell'espressione nell'arte sia stato raggiunto per sempre.
Questa sensazione appartiene al campo dell'esperienza di-
retta, non della critica, ma suggerisce il principio critico
secondo cui le piu profonde esperienze possibili nel cam-
po dell'arte si riscontrano nell'arte già prodotta.
Quel che nell'arte progredisce è la capacità di compren-
derla e il perfezionamento della società che ne risulta. È
il consumatore, non il creatore, che beneficia della cultu-
ra, il consumatore i cui sentimenti si affinano e la cui edu-
cazione umanistico-liberale progredisce. Non c'è alcuna ra-
gione per cui un grande poeta debba essere un uomo buo-
no e saggio, o anche soltanto un individuo tollerabile, ma
vi sono infinite ragioni perché il suo lettore progredisca
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

nell'affinamento delle proprie qualità umane come conse-


guenza di tale lettura. Quindi, mentre la produzione della
cultura può essere, come avviene per il rito, una imitazio-
ne seminvolontaria dei ritmi o dei processi organici, la
risposta o reazione alla cultura è un atto rivoluzionario di
presa di coscienza. L'attuale sviluppo dell'abilità tecnica
nello studiare le arti, rappresentato dalla capacità di ripro-
durre i quadri, registrare la musica, e formare moderne
biblioteche, è un aspetto di una rivoluzione culturale che
rende le discipline liberali suscettibili, come le scienze, di
nuovi sviluppi. Poiché la rivoluzione non è soltanto nella
tecnologia, ma nella forza produttiva spirituale. La tra-
dizione umanistica stessa, nella sua forma moderna, sor-
se con l'invenzione della stampa, il cui effetto immediato
non fu tanto quello di stimolare una nuova cultura quan-
to quello di codificare l'eredità del passato.
Quasi ogni opera d'arte nel passato ha avuto per la sua
epoca una funzione sociale, funzione che spesso non era
affatto prevalentemente estetica. La nozione stessa di « o-
pera d'arte», che abbraccia tutti i quadri, le statue, le poe-
sie, e le composizioni musicali è relativamente moderna.
Noi possiamo vedere un impulso estetico in atto nei tes-
suti peruviani, nei disegni paleolitici, negli ornamenti sci-
ti per cavalli, nelle maschere kwakiutl, ma compiamo in
tal modo una astrazione sofisticata che può benissimo es-
sere estranea alla mentalità dei popoli che hanno prodotto
tali opere. Perciò il problema se una cosa sia o no un'ope-
ra d'arte non può essere risolto facendo appello a un fat-
tore intrinseco alla cosa stessa: soltanto la convenzione,
la reazione della società, e il lavoro della critica possono
decidere se essa appartenga o no a tale categoria. Essa può
essere stata creata in origine per un uso pratico piuttosto
che per diletto, e perciò non rientrerebbe nell'ambito del-
la concezione aristotelica generale dell'arte, ma se ora essa
esiste per il nostro piacere, è ciò che noi chiamiamo arte,
Quando una qualsiasi opera viene cosf riclassificata,
perde molto della sua funzione originale. Persino il piu
fanatico critico storico deve ammettere che noi oggi am-
miriamo Shakespeare e Omero per ragioni che sarebbero
state del tutto incomprensibili a loro, per non parlare del-
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

la società in cui vivevano. Ma non possiamo dirci soddi-


sfatti di una concezione dell'opera d'arte che si limiti a
spogliarla della sua funzione originaria. Uno dei compiti
della critica è proprio quello di ricostruire la funzione del-
l'opera d'arte, non naturalmente quella originaria che è
fuor di questione, ma quella che essa può assumere in un
nuovo contesto.
Kierkegaard ha scritto un libriccino affascinante intito-
lato Ripetizione, in cui propone di usare questo termine
al posto del tradizionale termine platonico di anamnesi o
ricordo. Sembra che egli indichi con tale termine non il
semplice ripetersi di un'esperienza, ma una nuova creazio-
ne di essa che la redime o risveglia alla vita, in un proces-
so il cui esito è definito, egli dice, dalla promessa apoca-
littica: «Guarda, io rendo nuove tutte le cose». Spesso si
rimprovera alle discipline umanistiche di trattare del pas-
sato perché si dimentica che noi ci troviamo di fronte al
passato: potrà essere vago e indistinto, ma è tutto quel
che possediamo. Platone ci dà un'immagine tetra dell'uo-
mo che fìssa le ombre guizzanti, disegnate sulla parete del
mondo oggettivo da un fuoco che sta alle nostre spalle co-
me il sole. Ma l'analogia cessa quando le ombre sono quel-
le del passato, poiché l'unica luce che ci permette di ve-
derle è quella del fuoco prometeico che abbiamo dentro di
noi. La sostanza di queste ombre si può trovare solo in
noi stessi, e l'obbiettivo della critica storica, come le no-
stre metafore in proposito indicano spesso, è una specie
di autoresurrezione, è la visione di una valle di ossa rin-
secchite che si riveste della carne e del sangue della nostra
visione. La cultura del passato non è soltanto la memoria
dell'umanità, ma la nostra stessa vita sepolta, e il suo stu-
dio porta a una scena di agnizione, a una scoperta che ci
permette di vedere non le nostre vite passate, ma la forma
culturale totale della nostra vita presente. Non il poeta
soltanto ma anche il suo lettore è soggetto all'obbligo di
<< renderla nuova».
Senza questo senso della «ripetizione», la critica stori-
ca tende ad allontanare i prodotti della cultura dalla no-
stra sfera di interesse. La critica storica deve essere con-
trobilanciata come lo è in ogni suo autentico cultore dal
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

senso dell'importanza e del valore attuale dell'arte passa-


ta. Ma è naturale che questo senso del valore attuale sia
spesso limitato a uno specifico risultato nel presente; e
che lo si pensi non come capace di ampliare la prospettiva
della vita attuale, ma come sostegno di una causa o tesi
del presente.
Se fermiamo la storia in un qualsiasi momento del suo
sviluppo, compreso quello contemporaneo, e studiamo la
sezione cosf ottenuta, riscontriamo l'esistenza di una strut-
tura di classi. La cultura può essere usata da una classe so-
ciale o intellettuale per accrescere il proprio prestigio; e
di solito, i moralisti, i campioni delle grandi tradizioni, gli
apologeti delle cause religiose o politiche, gli esteti, i radi-
cali, i redattori dei grandi libri, e altri simili personaggi,
sono le espressioni di tali tensioni di classe. Nello studia-
re le loro dichiarazioni, ci accorgiamo ben presto che l'u-
nica critica morale veramente coerente di questo tipo è
quella strettamente connessa ad una filosofia della società
basata su una rivoluzione totale, quale troviamo non solo
nel marxismo ma in Nietzsche e in alcune razionalizzazio-
ni dei valori oligarchici nella Gran Bretagna del XIX seco-
lo e nell'America del xx secolo. In tutti questi casi la cul-
tura è trattata come una forza produttiva umana che, co-
me tutte le altre forze produttive, è stata sfruttata nel pas-
sato da altre classi dominanti e che deve ora essere rivalu-
tata nel quadro di una società migliore. Ma poiché questa
società ideale esiste soltanto nel futuro, l'attuale valuta-
zione della cultura viene fatta sulla base della sua tempo-
ranea efficacia rivoluzionaria.
Questo modo rivoluzionario di considerare la cultura è
antico almeno quanto Platone, poiché la scelta di una tra-
dizione è sempre una nuova versione di quanto si afferma
sui poeti nella Repubblica. Non appena facciamo della
cultura un'immagine ben definita di una società futura e
forse attuabile, cominciamo a scegliere e a epurare una
tradizione, e tutti gli artisti che non quadrano con tale im-
magine ( e sono un numero sempre crescente man mano
che questo processo si sviluppa) devono essere esclusi.
Quindi, come la critica storica senza le dovute modifiche
connette la cultura solo con il passato, cosf la critica etica
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

senza modifiche collega la cultura soltanto al futuro, a una


società ideale che potrà forse alla fine essere realizzata se
sorveglieremo abbastanza lo sviluppo culturale dei nostri
giovani. Infatti tutti questi indirizzi di pensiero finisco-
no nell'indottrinamento della generazione seguente, co-
me la versione morale del progressismo vittoriano portò
a Podsnap e a nuove forme di ritrosia e pudicizia nella
gioventu.
La massa di lavoro prodotto in una società o in una ci-
viltà serve a mantenere e contemporaneamente a minare
la struttura di classe di tale società. L'energia sociale che
mantiene la struttura di classe produce le tre forme prin-
cipali di cultura pervertita: mera cultura delle classi alte,
o ostentazione, mera cultura della classe borghese, o vol-
garità, e mera cultura della classe lavoratrice, o squallore.
Queste tre classi sono chiamate da Matthew Arnold, in
quanto classi, rispettivamente i barbari, i filistei, e la ple-
baglia. L'azione rivoluzionaria, di qualunque genere essa
sia, porta alla dittatura di una classe, e dagli annali della
storia appare chiaro che non vi è mezzo piu rapido di que-
sto per distruggere i benefici della cultura. Se uniamo la
nostra visione della cultura al concetto di una moralità
del sovrano, abbiamo la cultura dei barbari; se la uniamo
al concetto di proletariato, otteniamo la cultura della ple-
baglia; se la uniamo a qualunque tipo di utopia borghese,
abbiamo la cultura del fìlisteismo.
Qualsiasi opinione si abbia del materialismo dialettico
come filosofia, è certamente vero che quando gli uomini si
comportano o pretendono di comportarsi come esseri cor-
porei, essi si comportano in modo dialettico. Se l'Inghil-
terra entra in guerra con la Francia, tutte le debolezze in-
glesi e tutte le virtu francesi vengono ignorate in Inghil-
terra; non soltanto il traditore viene considerato il piu ab-
bietto dei criminali, ma si nega sdegnosamente che le sue
azioni possano essere state motivate da un qualche onesto
proposito. Nella guerra l'elemento fisico o quello idolatri-
co prendono il posto dell'autentica dialettica dello spirito,
e si vive di mezze verità. Lo stesso si può dire nel caso di
guerre verbali o mimiche tra i« punti di vista», che adom-
brano di solito conflitti sociali.
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

Ci sembra opportuno a questo punto tentare di sgom-


brare il terreno da tutti questi conflitti, rifacendoci a un
altro assioma di Arnold, per il quale « la cultura cerca di
abolire le classi». Il fìne etico di un'educazione liberale è
di liberare, il che può soltanto voler dire rendere l'uomo
capace di concepire una società libera, senza classi, e civi-
le. Non esiste alcuna società di tal genere, e questa è una
delle ragioni per cui un'educazione liberale deve rivolgere
la massima attenzione alle opere della fantasia. Ancora
una volta l'elemento fantastico delle opere d'arte le eleva
al di sopra della schiavitu della storia. Tutto ciò che è
frutto dell'esperienza totale della critica ed entra a far
parte di un'educazione liberale, diventa, in virtu di questo
fatto, un elemento dell'emancipata e umana comunità del-
la cultura, qualunque fosse in origine il suo oggetto. In
tal modo l'educazione liberale libera le opere stesse della
cultura cosi come le menti che esse educano. Gli elementi
corrotti con cui l'arte umana è stata costruita resteranno
sempre nell'arte; ma la qualità fantastica propria dell'arte
la preserva tra questa corruzione, come il cadavere di un
santo. Nessuna discussione sulla bellezza può tener conto
soltanto delle relazioni formali dell'opera d'arte isolata;
essa deve anche considerare il modo in cui l'opera d'arte
contribuisce alla visione della meta del progresso sociale,
all'idea di una civiltà perfetta e senza classi. Questa idea
di una civiltà perfetta è anche l'implicito modello morale
a cui la critica etica si riferisce sempre, e che è qualcosa
di molto diverso da qualunque sistema di costumi.
L'idea di una società libera implicita nel concetto di
cultura non può mai essere formulata e tanto meno realiz-
zata come società reale e concreta. La cultura è un ideale
sociale autentico, cercando di raggiungere il quale noi ci
educhiamo e ci liberiamo, ma che non può mai essere rag-
giunto. Esso ammaestra, con l'infìnita pazienza del libro
che ci presenta sempre le stesse parole ogni volta che lo
apriamo, ma non può essere posseduto interamente, poi-
ché le esperienze e i signifìcati connessi con le parole sono
continuamente nuovi. Nessuna società può pianificare la
propria cultura a meno di confinare i prodotti della cultura
nell'ambito di moduli fìssi socialmente prevedibili. La me-
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

ta della critica etica è la « transvalutazione », la capacità di


osservare i valori sociali contemporanei con il distacco di
chi sa paragonarli in qualche modo alla visione delle infi-
nite possibilità implicite nella cultura. Colui che possiede
tale criterio di « transvalutazione » è in uno stato di libertà
intellettuale. Chi non lo possiede è la creatura prodotta da
uno qualunque dei valori sociali che gli è capitato di assi-
milare: egli non ha che gli impulsi dell'abitudine, dell'ad-
dottrinamento, e del pregiudizio. La tendenza attuale ad
affermare che l'uomo non può essere spettatore della pro-
pria vita mi sembra una di quelle mezze verità di effetto
letale che sono reazioni a un malessere sociale. La maggior
parte delle azioni etiche sono un riflesso meccanico dell'a-
bitudine: per inserire in questo meccanismo il principio
della libertà abbiamo bisogno di una teoria dell'azione,
teoria nel senso della parola greca theoria, una lontana e
distaccata visione dei mezzi e del fine dell'azione, che non
paralizza l'azione ma la riempie di significato illuminando-
ne gli scopi.
I due grandi classici della teoria della libertà nel mondo
moderno, l'Areopagitica e l'Essay on Liberty di Mill, trat-
tano della libertà naturalmente in contesti diversi. Per
Milton la cultura è profezia potenziale, giudizio contro
l'accettazione sociale dell'errore sanzionato rappresentato
dalla censura, mentre per Mill la cultura è critica sociale.
Ma a parte questa diversità, ambedue i saggi affermano
che la libertà può prendere avvio soltanto da una imme-
diata ed efficace garanzia della autonomia della cultura.
Per Mill la libertà illimitata di pensiero e di discussione è
non soltanto il miglior modo di sviluppare la libertà di
azione, ma anche il miglior modo per controllarla, poiché
è il solo mezzo per impedire l'azione dettata dall'impulso
e dal panico. Per Milton la libertà di coscienza non è la li-
bertà di seguire quel sistema di reazioni involontarie che
costituisce in noi fin dall'infanzia la maggior parte di quel-
la che chiamiamo comunemente coscienza, ma la libertà di
ascoltare la parola di Dio, che, essendo il messaggio di una
mente infinita a una finita, non può mai essere completa-
mente capita da quest'ultima.
470 TENTATIVO DI CONCLUSIONE

A questo punto la teoria della critica sembra risolversi


tranquillamente nel piu ampio principio umanistico se-
condo cui la libertà dell'uomo è inseparabilmente legata
all'accettazione della sua eredità culturale. Chi scrive na-
turalmente crede a ciò, ed è probabile che ci credano an-
che la maggior parte di coloro che leggeranno il suo libro;
ma potrebbe ancora sussistere un residuo della tendenza a
considerare la critica come fallace e parassitaria, che tutte
le nostre argomentazioni potrebbero non aver distrutto.
Qualcuno potrebbe pensare che, essendo la critica basata
sui prodotti della cultura, quanto piu il critico sottolinea
l'importanza della sua opera, tanto piu egli tende a pre-
sentare il normale piacere che la persona colta trova nelle
arti come qualcosa di terribile e di portentoso, sostituen-
do alla cultura la superstizione estetica, alla letteratura la
bardolatria, sofisticata quanto si voglia.
Questo accadrebbe se l'aspetto estetico o contemplati-
vo dell'arte fosse il risultato ultimo e definitivo dell'arte
stessa o della critica. Ancora una volta ci è di aiuto la cri-
tica archetipica. Abbiamo cercato di dimostrare nel secon-
do saggio che nel momento in cui passiamo dall'opera
d'arte individuale al senso della forma totale dell'arte,
l'arte cessa di essere un oggetto della contemplazione este-
tica e diventa uno strumento etico che partecipa all'opera
della civiltà. In questo passaggio al campo etico, è coin-
volta, insieme alla poesia, anche la critica, sebbene alcuni
dei modi in cui essa vi è coinvolta non sono comunemente
riconosciuti come aspetti della critica. È ovvio, per esem-
pio, che una delle principali fonti di ordine nella società è
la tendenza a disporre le parole secondo schemi prestabi-
liti. In religione tale tendenza si manifesta come scrittura
sacra, liturgia, o credo; in politica come costituzione scrit-
ta o come insieme di direttive ideologiche (i pamphlets di
Lenin nella Russia contemporanea). Tali schemi verbali
possono restare fissi per secoli: il significato ad essi con-
nesso muterà al punto di non poter piu essere riconosciu-
to, eppure persisterà la sensazione che quella struttura
verbale deve restare immutata. Questa sensazione e la
conseguente necessità di riinterpretarc lo schema verbale
TENTATIVO DI CONCLUSIONE 47 1
a seconda dei mutamenti della storia, portano le operazio-
ni della critica nel «centro» della società'.
Ci eravamo proposti di completare il nostro discorso
eliminando dalla letteratura o_gni fine esterno, postulando
quindi un universo letterario autonomo. Forse nel far ciò
abbiamo semplicemente reintrodotto una visione di carat-
tere estetico su scala gigantesca, sostituendo la Poesia a
una massa di poesie, il misticismo estetico a un empirismo
estetico. Ma l'argomentazione del nostro ultimo saggio ci
ha portati ad affermare il principio che tutte le strutture
costituite di parole sono in parte retoriche, e quindi lette-
rarie, e che la nozione di una struttura verbale scientifica
o filosofica libera da elementi retorici è del tutto illusoria.
Se ciò è vero, allora il nostro universo letterario si è e-
spanso in un universo verbale, e non ha piu senso parlare
di un principio estetico di autonomia.
Mi rendo conto che a ogni tappa di questa argomen-
tazione si sollevano dei problemi filosofici estremamente
complicati che io non sono in grado di risolvere come tali.
Mi rendo però conto anche di qualcos'altro. Questo qual-
cosa è il vortice confuso delle nuove attività intellettuali
che vengono oggi associate a parole come comunicazione,
simbolismo, semantica, linguistica, metalinguistica, prag-
matica, cibernetica, e delle nuove idee generate da e intor-
no a Cassirer, Korzybski, e molti altri in campi distanti
l'uno dall'altro (secondo quel che si pensava sino a poco
tempo fa) come la preistoria e la matematica, la logica e
l'ingegneria, la sociologia e la fisica. Molti di questi movi-
menti furono ispirati e provi,i dal desiderio di liberare
la mente moderna dalla tir nia della retorica che fa ap-
pello alle emozioni, dalla p bblicità e dalla propaganda
che tenta di pervertire il pensiero trasformandolo in ti-
flesso condizionato per mezzo di un cattivo uso dell'iro-
nia. Molti altri inoltre si sono orientati verso la retorica
concettuale, e hanno mirato a ridune il contenuto di mol-
te argomentazioni alle loro strutture ambigue o diagram-
matiche. La mia conoscenza della maggior parte dei libri
che trattano di questi nuovi problemi è per lo piu limitata,
1 Cfr. il concetto di Ezra Pound ddl'«unwobbling pivot».
472 TENTATIVO DI CONCLUSIONE

come la visione che Mosè ebbe di Dio sul monte, a uno


sguardo al loro scheletro, ma sono persuaso che la critica
letteraria occupa un posto centrale in tutta questa attività,
e dal punto di vista della critica letteraria formulo un'opi-
nione consapevolmente congetturale.
Abbiamo molte volte accennato a una analogia tra la
letteratura e la matematica. La matematica sembra avere
inizio da una enumerazione e misurazione degli oggetti,
come se fosse un commento numerico sul mondo esterno.
Ma il matematico non vede la sua materia in questo mo-
do: per lui si tratta di un linguaggio autonomo, e a un cer-
to punto essa diventa relativamente indipendente da quel
comune campo di esperienza che chiamiamo il mondo og-
gettivo, o natura, o esistenza o realtà a seconda del nostro
atteggiamento mentale. Molti termini matematici, come i
numeri irrazionali, non hanno alcuna connessione diretta
con il comune campo dell'esperienza, e il loro significato
dipende esclusivamente dalle interrelazioni della discipli-
na stessa. I numeri irrazionali in matematica possono es-
sere paragonati alle preposizioni nei linguaggi verbali, del-
le quali abbiamo notato il carattere centripeto. Quando
distinguiamo u-a matematica applicata e matematica pura,
immaginiamo la seconda come una concezione disinteres-
sata di relazioni numeriche, interessata sempre di piu alla
sua integrità interna, e sempre di meno ai suoi riferimenti
a criteri esterni.
La letteratura l'immaginiamo dapprima come un com-
mento a una« vita» o« realtà» esterna. Ma come nella ma-
tematica si deve passare dall'immagine di tre mele al con-
cetto di tre, e dal campo quadrato al quadrato, cosf nel
leggere un romanzo si deve passare dalla letteratura come
riflesso della vita alla letteratura come linguaggio autono-
mo. La letteratura procede anche per possibilità ipoteti-
che, e sebbene, come la matematica, sia sempre utile - il
che significa avere un rapporto continuo con il campo del-
l'esperienza - al suo stadio piu puro, come la matematica
pura, essa contiene in sé il suo proprio significato.
Sia la letteratura che la matematica procedono da po-
stulati non da fatti; ambedue possono essere applicate a
una realtà esterna e tuttavia esistere anche in una forma
TENTATIVO DI CONCLUSIONE 473
«pura» o autonoma. Ambedue inoltre inseriscono un cu-
neo nell'antitesi tra l'essere e il non essere, che è molto
importante per il pensiero discorsivo. Non si può dire né
che il simbolo sia né che non sia la realtà che esso manife-
sta. Quando il bambino all'inizio dello studio della geo-
metria si trova davanti a un puntino, prima gli viene detto
che quello è un punto e subito dopo che non lo è: egli non
può proseguire in tale studio finché non accetta ambedue
le affermazioni contemporaneamente. Allo stesso modo è
assurdo che quello che non è un numero possa essere nel
medesimo tempo un numero, ma dall'accettazione di tale
assurdità risulta la scoperta dello zero. Lo stesso genere di
ipotesi si fa in letteratura, dove Amleto e Falstaff non so-
no né esistenti né non esistenti, e dove un etereo nuila
può essere con tutta sicurezza localizzato e chiamato con
un nome. Notiamo che la retorica differisce nettamente
daIIa logica nel fatto che essa attribuisce invariabilmente
una qualità positiva a una dichiarazione negativa. La logi-
ca conta le parti negative in una dichiarazione e la defini-
sce affermativa se esse sono in numero pari, ma nessuno
nella storia della comunicazione ha mai pensato che la fra-
se « I hain't got no money » significhi che chi parla abbia
in effetti denaro 1. Lo stesso succede in letteratura: quan-
do }ago esorta Otello ~--guardarsi dalla gelosia, le sue pa-
role hanno la funzion.é di seminare la gelosia nella mente
di Otello; le dichiarazioni negative all'inizio di Gerontion
significano logicamentè che Gerontion non è un eroe, ma
da un punto di vista retorico esse presentano un'immagi-
ne di sacrificio e sop,Portazione che è esattamente l'oppo-
sto. Se il poeta non ci dà mai affermazioni, non ci dà però
nemmeno negazioni; in questo senso la dichiarazione ini-
ziale di Aristotele sulla retorica, e cioè che essa sia l'anti-
strophos o replica corale della dialettica, resta invalidata.
Nel capitolo finale di The Z..fysterious Universe di Sir
James Jeans, l'autore parla dell'incapacità della cosmolo-
gia fisica nel XIX secolo di concepire l'universo come fon-
dato su un principio meccanico, e suggerisce che avvici-
nando il problema da un punto di vista matematico si pos-
1 [«Non ho denaro». Ma la frase, in inglese, contiene due negazioni].
474 TENTATIVO DI CONCLUSIONE

sono forse ottenere migliori risultati. L'universo può non


essere una macchina, ma può essere un insieme di formule
matematiche interdipendenti. È chiaro che tutto ciò non
vuol dire altro se non che la matematica pura esiste in un
universo matematico che non è piu un commento su un
mondo esterno, ma contiene quel mondo dentro di sé. La
matematica è in un primo tempo una forma di compren-
sione di un mondo oggettivo considerato come suo conte-
nuto tipico, ma alla fine essa giunge a concepire tale mon-
do come matematico nella sua forma stessa, e quando si
giunge alla concezione di un universo matematico, la for-
ma e il contenuto diventano la stessa cosa. Quindi la ma-
tematica si collega indirettamente al mondo dell'esperien-
za non per evitarlo, ma con lo scopo ultimo di assorbirlo
in sé. Essa risulta essere una specie di principio costrutti-
vo o organizzativo delle scienze naturali: essa dà loro con-
tinuamente forma e coerenza senza dover dipendere da
prove o evidenze esterne, e tuttavia alla fine l'universo fi-
sico o quantitativo risulta in essa contenuto. L'intonazio-
ne mistica o occultistica del capitolo di Jeans, che tuttavia
esprime un sogno da cui i matematici sono perseguitati al-
meno dal tempo di Pitagora, può essere paragonata alla
terminologia religiosa che ci troviamo costretti a usare
non appena raggiungiamo la corrispondente concezione di
un universo verbale o letterario.
Altri punti di questa analogia sono impressionanti: per
esempio, la curiosa somiglianza di forma tra l'unità lette-
raria e quella matematica, la metafora e l'equazione. Am-
bedue sono, nel senso ampliato del termine usato da molti
logici, tautologie. Ma se l'analogia regge, sorge spontanea
la domanda: la letteratura è simile alla matematica anche
nell'essere utile in modo sostanziale e non solo casuale?
Cioè, è vero che le strutture verbali della psicologia, an-
tropologia, teologia, storia, legge, e di qualunque altra
scienza costruita con le parole sono state ispirate, organiz-
zate e costruite sulla base degli stessi miti e metafore che
troviamo, nella loro forma ipotetica originaria, in lette-
ratura?
La presente discussione mi pare suggerire una possibi-
lità che illustrerò come segue. Le strutture verbali discor-
TENTATIVO DI CONCLUSIONE 475
sive hanno due aspetti, uno descrittivo, l'altro costrutti-
vo, contenuto e forma. Ciò che è descrittivo è sigmatico:
cioè dà una riproduzione verbale dei fenomeni esterni, e
il suo simbolismo verbale deve essere visto come un insie-
me di segni rappresentativi. Ma quel che si definisce co-
struttivo in una qualunque struttura verbale mi pare sia
sempre invariabilmente una forma di metafora 1 o di iden-
tificazione ipotetica, sia essa stabilita tra significati diversi
della stessa parola o mediante l'uso di un diagramma. Le
metafore accettate diventano a loro volta le unità del mito
o il principio costruttivo dell'argomentazione. Mentre leg-
giamo, percepiamo una sequenza di identificazioni meta-
foriche; quando abbiamo finito di leggere, afferriamo uno
schema strutturale organizzativo o un mito concettualiz-
zato.
Si ha l'impressione oggi che la visione freudiana del
complesso di Edipo sia una concezione psicologica capace
di illuminare la critica letteraria. Forse dovremmo una
buona volta deciderci a riconoscere che abbiamo visto tale
rapporto alla rovescia: che in realtà è avverfutoche il mi-
to di Edipo desse ispirazione e basi strutt~rali ad alcune
ricerche psicologiche. Il merito di Freud consisterebbe
quindi soltanto nell'essere stato cosi colto da individuare
la fonte del mito. Allo stesso modo si ha oggi l'impressio-
ne che la scoperta psicologica di una mente profetica ope-
rante « al di sotto» di quella cosciente sia in grado di for-
nire una spiegazione allegorica appropriata di un archeti-
po poetico di cui si hanno esempi in letteratura dalla ca-
verna di Trofonio ai giorni nostri. Forse bisognerebbe ri-
conoscere che è stato l'archetipo a dar luogo alla scoperta:
dopo tutto è considerevolmente piu antico, e spiegarlo in
questo modo implica un minore anacronismo. Ancora piu
ovvia è la base fornita ai costrutti metafisici e teologici dai
miti poetici, o da associazioni e diagrammi analoghi ai mi-
ti poetici.
1 II critico naturalmente dovrebbe saper distinguere una metafora e-
splicita da un costrutto verbale metaforico, « X ha un chiodo fisso riguar-
do a Y » è una metafora esplicita; « X ha in testa la nozione Y » è la strut-
tura verbale della stessa metafora, ma nel linguaggio corrente essa può
passare come affermazione semplicemente descrittiva.
TENTATIVO DI CONCLUSIONE

Una tale prospettiva non deve essere deformata in una


sorta di determinismo poetico, poiché, come si è detto, sa-
rebbe sciocco usare una retorica riduttiva per dimostrare
che la teologia, la metafisica, la legge, le scienze sociali,
o quella o quelle di queste scienze che non godono le no-
stre simpatie, sono basate su «nient'altro» che metafore
o miti. Se non andiamo errati, qualunque dimostrazione
di questo tipo conterrebbe già in se stessa quella medesi-
ma base. Quindi ogni critica che si preoccupa della verità
o verisimiglianza è soprattutto critica del contenuto non
della forma. Rousseau dice che l'originale unità di natura
e ragione su cui era basata la società primitiva è stata sof-
focata dalla corruzione della civiltà e che un atto rivolu-
zionario sufficientemente coraggioso sarebbe in grado di
ristabilirla. Non aggiunge né toglie nulla a questa argo-
mentazione il dire che essa è basata sul mito della bella
addormentata. Ma non possiamo essere d'accordo o in di-
saccordo con Rousseau fino a che non abbiamo capito
completamente quello che egli dice, e se logicamente sia-
mo in grado di capirlo anche senza estrarne il mito, dob-
biamo però renderci conto che si vede molto piu in là
quando si scorge il mito: se, come qui suggeriamo, il mi-
to è di fatto la fonte della coerenza dell'argomentazione.
Questa visione del rapporto tra mito e argomentazione ci
porta molto vicino a Platone per il quale gli atti fonda-
mentali dell'apprendimento erano o matematici o mitici 1•
La letteratura, come la matematica, è un linguaggio, e
il linguaggio non rappresenta in se stesso alcuna verità,
sebbene possa fornire i mezzi per esprimere un numero
qualsiasi di verità. Ma sia i poeti che i critici hanno sem-
pre creduto in una forma di verità immaginativa o della
1 È difficile immaginare come la teoria estetica possa compiere nuovi
passi senza riconoscere l'elemento creativo nella matematica. Si compren-
derebbero le arti con molto maggiore chiarezza se le si pensasse come for-
manti un cerchio, che va dalla musica attraverso la letteratura, la pittura
e la scultura alla architettura: un cerchio in cui la matematica, cioè l'arte
che manca in tale elenco, occuperebbe il posto vacante tra l'architettura
e la musica. La sensazione che la matematica appartenga alla scienza piut-
tosto che all'arte è essenzialmente dovuta al fatto che la matematica è
un'arte che sappiamo come usare. La differenza tra la matematica e la let-
teratura su questo punto diminuirà sensibilmente quando la critica avrà
raggiunto la sua vera e propria forma di teoria dell'uso delle parole.
TENTATIVO DI CONCLUSIONE 477
fantasia, e forse ciò si può giustificare se si pensa al fatto
che il linguaggio contiene ciò che esso può esprimere. L'u-
niverso matematico e quello verbale sono senz'altro modi
diversi di concepire il medesimo universo. Il mondo og-
gettivo offre un mezzo provvisorio per unificare l'espe-
rienza, ed è naturale dedurne l'esistenza di una piu alta
unità, una specie di beatificazione del senso comune. Ma
non è facile trovare alcun linguaggio capace di esprimere
l'unità di questo piu elevato universo intellettuale. Sono
state usate la metafisica, la teologia, la storia, la legge, ma
si tratta sempre di costrutti verbali e piu le approfondia-
mo, piu chiaramente risalta la loro trama metaforica e mi-
tica. Ogni volta che costruiamo un sistema di pensiero per
congiungere la terra al cielo, si ripete la storia della Torre
di Babele: scopriamo che dopo tutto non ce la facciamo e
che quel che otteniamo è solo una pluralità di linguaggi.
Se ho bene interpretato l'ultimo capitolo di Finnegans
Wake, ciò che in esso avviene è che il sognatore, dopo
aver passato la notte in comunione con un immenso insie-
me di identificazioni metaforiche, si sveglia e si dedica alle
sue faccende dimenticando il sogno, come Nabucodoi-
sor, incapac·e di usare, o anche solo di accorgersi che uò
usare, le « chiavi per la terra dei sogni». Quel che eg i è
incapace di fare viene affidato al lettore, il « lettore ideale
che soffre di una insonnia ideale», come lo chiama Joyce,
cioè in altre parole il critico. Un'attività di questo genere
consistente nel ricostruire i legami spezzati tra la creazio-
ne e la conoscenza, l'arte e la scienza, il mito e il concetto,
è quello che io considero il compito della critica. Ancora
una volta sottolineo che non sto parlando di un mutamen-
to di direzione o di tipo di attività nella critica: voglio
soltanto dire che se i critici proseguiranno nel loro lavoro,
questo sarà con sempre maggiore evidenza il risultato so-
ciale e pratico delle loro fatiche.
Glossario
Questo glossario non comprende i termini aristotelici, retorici e
critici correnti utilizzati nel libro.
Alazon: personaggio della fiction che inganna gli altri o se stesso,
di solito oggetto di ridicolo nella commedia o nella satira, ma
spesso eroe di una tragedia. Nella commedia esso prende molto
frequentemente la forma di miles gloriosus o di pedante.
Alto-mimetico: un modo letterario in cui, come nella maggior par-
te delle epopee o delle tragedie, i personaggi principali sono al
di sopra del nostro livello di azione e di autorità, pur rimanen-
do entro l'ordine naturale ed essendo perciò passibili di critica
sociale.
Anagogico: relativo alla letteratura intesa come ordine totale di
parole.
Anatomia: forma di fiction in prosa, nota tradizionalmente come
satira menippea o varroniana e rappresentata dalla Anatomy of
Melancholy di Burton; è caratterizzata da una grande varietà di
argomenti e da un forte interesse per le idee. Nelle forme piu
brevi è spesso ambientata in una cena o simposio e comprende
inserti in versi.
Apocalittico: è il termine della letteratura tematico corrisponden-
te a mito nella letteratura d'invenzione: metafora nel senso di
identificazione pura e potenzialmente totale, senza riguardo alla
plausibilità o all'esperienza comune.
Archetipo: un simbolo, di solito un'immagine, che ricorre nella let-
teratura abbastanza spesso da essere riconosciuto come uno de-
gli elementi di un'esperienza letteraria nel suo complesso.
Auto: forma di spettacolo in cui la materia principale è una leg-
genda consacrata o sacrosanta, come i miracoli del teatro medie-
vale; solenne e processionale nella forma, ma non strettamente
tragica. Nome derivato dagli Autos sacramentales di Calder6n.
Basso-mimetico: un modo letterario in cui i personaggi mostrano
una capacità di azione simile alla nostra, come nella maggior
parte delle commedie e della narrativa realistica.
Confessione: autobiografia considerata come forma di fiction in
prosa, o fiction in prosa sotto forma di autobiografia.

r6
GLOSSARIO

Dianoia: il significato di un'opera letteraria, che può essere: lo


schema complessivo dei suoi simboli (significato letterale); il suo
rapporto con un insieme esterno di asserzioni e di fatti (signifì•
cato descrittivo); il suo tema, o rapporto come forma di imagery
con un potenziale commento (significato formale); il suo signifi-
cato come genere o convenzione letteraria (significato archetipi-
co); il suo rapporto rispetto all'esperienza letteraria nel suo
complesso (significato anagogico).
Eiron: personaggio che disapprova se stesso, o con un ruolo non
molto vistoso, di solito agente del lieto fine nella commedia e
della catastrofe nella tragedia.
Enciclopedico: genere che presenta una forma anagogica di sim-
bolismo; ne sono esempi i libri come sacri o le forme ad essi
analoghe negli altri modi. Il termine si può riferire alla Bibbia,
alla Commedia di Dante, ai grandi poemi epici, e alle opere di
Joyce e di Proust.
Epos: il genere letterario in cui il radicale di presentazione è l'au-
tore o menestrello o dicitore, il quale ha davanti a sé un pub-
blico che lo ascolta.
Ethos: il contesto sociale interno di un'opera letteraria, compren-
e
dente la caratterizzazione dei personaggi l'ambiente nella let-
teratura d'invenzione, e il rapporto dell'autore con il suo letto-
re o il suo pubblico nella letteratura tematica.
Fase: 1) uno dei cinque contesti nei quali possono essere compresi
l'elemento narrativo e il significato di un'opera letteraria, classi-
ficati come letterale, descrittivo, formale, archetipico, e anagogi-
co; 2) uno dei sei possibili stadi di un mythos (nel senso n. 2).
Fiction: letteratura in cui il radicale di presentazione è la parola
scritta o stampata, come il romanzo o il saggio 1 ,
Fictional: proprio della letteratura in cui vi sono personaggi inter-
ni all'opera, indipendenti dall'autore e dal suo pubblico; oppo-
sto a tematico. (NB. Purtroppo l'uso di questo termine non è
coerente con la definizione data per il termine J:lrecedente, come
si è notato a p. 330).
Immagine: simbolo nel suo aspetto di unità artistica formale con
un contenuto naturale.
Ingenuo: primitivo, popolare o piuttosto capace di comunicare, nel-
lo spazio e nel tempo, piu prontamente che non altri tipi di let-
teratura.

1 [Nella traduiione, tenendo conto delle varie accezioni in cui l'autore


usa questo termine (cfr. per es. quanto dice subito dopo a proposito di fic-
tio11a/), si è spesso ricorso a espressioni come invenzione e letteratura d'in-
venzione o d'immagi11azio11e, soprattutto nei casi in cui l'autore non si è
discostato dal significato che normalmente ha questo vocabolo in inglese.
Ma quando esso viene usato nel senso definito dal glossario, si è preferito
lasciare /ìcl ion].
GLOSSARIO

Iniziativa: criterio informativo fondamentale del processo compo-


sitivo, per esempio il metro in una composizione poetica; ter-
mine desunto da Coleridge.
Ironia: il mythos (nel senso n. 2) della letteratura che si interessa
soprattutto del livello di esperienza «realistico»; esso prende di
solito l'aspetto di parodia o di una forma similmente opposta al
romance. L'intonazione principale di tale ironia può essere tra-
gica o comica; quando è comica si tratta di solito di satira nel
senso comune della parola.
Ironico: modo di letteratura in cui i personaggi mostrano una capa-
cità di azione inferiore a quella ritenuta normale per il lettore
o il pubblico, o in cui il poeta è in atteggiamento di distaccata
oggettività.
Lexis: l'ordito verbale o l'aspetto retorico di un'opera letteraria,
che comprende in sé il significato corrente dei vocaboli dettato e
imagery.
Lirica: genere letterario caratterizzato dal supposto celarsi del pub-
blico al poeta e dal predominio di un ritmo associativo distinto
sia dal metro ricorrente che dal ritmo semantico o prosastico.
Masque: genere teatrale in cui la musica e lo spettacolo hanno una
funzione importante e in cui i personaggi tendono ad essere o
a diventare rappresentazioni di certi aspetti della personalità
umana piuttosto che personaggi indipendenti.
Melos: il ritmo, movimento, e suono delle parole; l'aspetto della
letteratura che è analogo alla musica, e che mostra spesso un
vero e proprio rapporto con essa. Dal termine melopoiia di Ari-
stotele.
Metafora: la relazione tra due simboli, che può essere semplice
giustapposizione (metafora letterale), affermazione retorica di
somiglianza (metafora descrittiva), analogia di proporzione tra
quattro termini (metafora formale), identità di un individuo con
la sua classe (metafora concreta universale o archetipa), o affer.
mazione di identità ipotetica (metafora anagogica).
Mito: narrazione in cui alcuni personaggi sono esseri sovrumani
che fanno cose che « accadono solo nelle favole»; perciò narra-
zione convenzionale o stilizzata che non si può completamente
inserire nell'ambito della plausibilità o del realismo.
Modo: convenzionale capacità di azione attribuita ai personaggi
principali nella letteratura d'invenzione, o l'atteggiamento cor-
rispondente assunto dal poeta verso il suo pubblico nella lette-
ratura tematica. Tali modi tendono a presentarsi in una succes-
sione storica.
Monade: simbolo come centro dell'esperienza letteraria complessi-
va di un individuo; connesso con il termine inscape di Hopkins
e con il termine epifania di Joyce.
Motivo: simbolo come unità verbale in un'opera d'arte letteraria.
GLOSSARIO

Mythos: 1) l'elemento narrativo di un'opera letteraria, considera-


to come grammatica o ordine delle parole (narrazione letterale),
trama o «argomento» (narrazione descrittiva), imitazione se-
condaria dell'azione (narrazione formale), imitazione dell'azione
o rito ricorrente e tipico del genere (narrazione archctipa), o
imitazione dell'intera azione concepibile di un dio onnipotente
o della società umana (narrazione anagogica); 2) una delle quat-
tro forme archetipiche di narrazione: comica, romantic, tragica
e ironica.
Opsis: aspetto visibile o spettacolare del teatro; aspetto idealmen-
te visibile o pittorico degli altri generi di letteratura.
Pharmakos: il personaggio che nella letteratura d'invenzione ha la
funzione di capro espiatorio o di vittima scelta arbitrariamente.
Punto di epifania: archetipo che presenta simultaneamente un
mondo apocalittico e un ordine ciclico della natura, o talvolta
solo quest'ultimo. I suoi simboli sono di solito scale a piuoli,
montagne, fari, isole, e torri.
Romance: 1) il mythos della letteratura che si occupa soprattutto
di un mondo idealizzato; 2) una forma di narrazione usata da
Scott, Hawthorne, William Mortis ecc., distinta dal romanzo.
Romantic: 1) un modo della letteratura d'invenzione in cui i per-
sonaggi principali vivono in un mondo meraviglioso e ingenuo
(romance), o in cui l'atmosfera è elegiaca o idillica e perciò i
personaggi sono meno esposti alla critica sociale che nei modi
mimetici; 2) la tendenza generale a presentare il mito e la meta-
fora in una forma umana idealizzata, a metà strada tra il mito
non-trasposto e il realismo. ~
Segno: simbolo come rappresentazione verbale di un oggetto o con-
cetto naturale.
Simbolo: qualsiasi unità di qualsiasi opera letteraria che si possa
isolare e sottoporre all'attenzione della critica. Nell'uso gene-
rale il termine è stato ristretto a unità piu piccole, quali parole,
espressioni, immagini ecc.
Tematico: proprio delle opere letterarie in cui non vi sono perso-
naggi al di fuori dell'autore e del suo pubblico, come nella mag-
gior parte delle liriche e dei saggi; oppure proprio delle opere
letterarie in cui i personaggi interni sono subordinati a una tesi
sostenuta dall'autore, come nelle aliegorie e nelle parabole; op-
posto a fictional.
Trasposizione: adattamento del mito o della metafora ai canoni del-
la moralità o delia plausibilità.
Finito di stampare il J marzo r977
per conto della Giulio Einaudi editore s. p. a.
presso le Industrie Grafiche G. Zeppegno & C. s. a. s., Torino
RistilmP.1 identica alla precedente del IJ ge1111aio 197i

c. L. 422-6
Piccola Biblioteca Einaudi

BIBLIOGRAFIA. BIBLIOTECONOMIA

Guida alla formazione di una biblioteca pubblica e privata. Catalogo siste-


matico e discografia [123] .

.. . .. ,., ......................
, " ................... ,.... ................................ " ...........................,-~ ............. ' .............
'

FILOSOFIA. PEDAGOGIA. PSICOLOGIA. PSICANALISI. PSICHIATRIA

Filosofia
Michele Abbate, La filosofia di Benedetto Croce e la crisi della società ita-
liana [76].
Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana (tre volumi) [80].
Benjamin Farrington, Francesco Bacone filoso/o dell'età industriale [93].
Paolo Rossi, Storia e filosofia. Saggi sulla storiografia .filosofica [rr3].
Karl Lowith, Da He,.el a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero
del secolo XIX [162].
Giuseppe Cambiano, Platone e le tecniche [170].
Paolo Rossi, Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza [229].
Gyorgy Lukacs, Estetica (due volumi) [241].
Luigi Marino, J maestri della Germania. Gi:ittingen I770-x820 [250].
Eugène Fleischmann, La logica di Ii.egei [2.51].
Theodor W. Adorno, Terminologia filosofica (due volumi) [259].

Pedagogia. Psicologia
Jean Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino e altri studi di psicologia
[87].
Giuseppe Francescato, Il linguaggio infantile. Strutturazione e apprendi-
mento [131].
Jean Piaget e Barbel Inhelder, La psicologia del bambino [10]
Mario Lodi, C'è speranza se questo accade al Vho [176].
Gianni Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione a/l'arte di inven-
·tare storie [221].
Ada Fonzi e Elena Negro Sancipriano, La magia delle parole: alla riscoper-
ta della metafora [246].

Psicanalisi. Psichiatria
Michael ed Enid Balint, Tecniche psicoterapiche in medicina [142].
Che cos'è la psichiatria? A cura di Franco Basaglia [205].
Tilde Giani Gallino, Il complesso di Laio. I rapporti famigliari nei disegni
dei ragazzi [300].

Testi
Herbert Marcuse, Marxismo e rivoluzione. Studi z929-z932.
John Conolly, Trattamento del malato di mente senza metodi costrittivi
(z8.56) [286].

ANTROPOLOGIA CULTURALE. ETNOLOGIA. ANTROPOLOGIA FISICA,


FOLKLORE. RELIGIONE

Raymond Furon, Manuale di preistoria [14].


Anita Seppilli, Poesia e magia [18].
H. e H. A. Frankfort, John A. Wilson, Thorkild Jacobscn e William A.
Irwin, La filosofia prima dei Greci. Concezioni del mondo in Mesopota-
mia, nell'antico Egitto e presso gli Ebrei [33].
Raffaele Pettazzoni, L'essere supremo nelle religioni primitive. (L'onni-
scienza di Dio) [66].
La ricerca antropologica. Venti studi sulle società primitive [86].
Francesco Remotti, Lévi-Strauss. Struttura e storia [156].
SCIENZE UMANE

Raymond Boudon, Strutturalismo e scienze umane [14r].

Diritto
lians Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto [9_5].
Mario G. Losano, Giuscibernetica. Macchine e modelli cibernetici nel di-
ritto [125].

Economia
Giorgio Fuà, Lo Stato e il risparmio privato [15].
Claudio Napoleoni, Il pensiero economico del 900 [30].
Paolo Sylos Labini, Oligopolio e progresso tecnico [39].
Francesco Forte, Manuale di politica economica (due volumi) [41].
Mauricc Dobb, I salari [54].
R. F. Harrod, La vita di fohn Maynard Keynes [68].
Giulio Pietranera, Capitalismo ed economia [84].
Pietro Grifone, Il capitale finanziario in Italia. La politica economica del
fascismo [151].
John Eaton, Economia politica. Introduzione alla teoria economica marxi-
sta [165].
Alexandre Lamfalussy, I mercati finanziari europei [172].
Carlo Boffito, Teoria della moneta. Ricardo, Wicksell, Marx [210].
Emilio Sereni, La questione agraria nella rinascita nazionale italiana [245].
Camillo Daneo, La politica economica della ricostruzione z945-z949 [260].
Paul Bairoch, Lo sviluppo bloccato. L'economia del Terzo Mondo tra il
XIX e il xx secolo [272].
Ruggiero Romano, Industria: storia e problemi [282].

Politica
Gianni Sofri, Il modo di produzione asiatico. Storia di una controversia
marxista [121].
Serge Mallet, La nuova classe operaia. Nuova edizione [144].
Paul M. Sweezy, Il presente come storia. Saggi sul capitalismo e il sociali-
smo [145].
Guido Dorso, La Rivoluzione meridionale [187].
Antonio Cederna, La distruzione della natura in Italia [243].
Sociologia
Istituto per la ricerca sociale di Francoforte, Lezioni di sociologia [7.5].
Herbert Marcuse, Eros e civiltà [96].
Josephine Klein, Sociologia dei gruppi [ro3].
Paul Goodman, La gioventu assurda. Problemi dei giovani nel sistema or-
ganiu:ato [r61].
Frank Parkin, Disuguaglianza di classe e ordinamento politico. La strati-
ficazione sociale nelle società capitalistiche e comuniste [268].
Sheila Rowbotham, Donne, resistenza e rivoluzione [289].

Testi
Carlo Cattaneo, Saggi di economia rurale.
Hans Kelsen, Il problema della giustizia.
Georges Sorel, Scritti politici e filosofici.
Lev Trotskij, La rivoluzione permanente.
Sun Yat-sen, I Tre principi del popolo [266].
Raniero Panzieri, Lotte operaie nello sviluppo capitalistico [273].
Costituzione italiana. Introduzione di Giangiulio Ambrosini [278].
Walther Rathenau, L'economia nuova [288].
Stefano Jacini, I risultati della Inchiesta agraria [290].
Inchiesta Zanardelli sulla Basilicata. A cura di Paòla Corti [291].
Inchiesta sulla condizione dei lavoratori in fabbrica. A cura di Nicolò Ad-
dario [292].
Julien Benda, Il tradimento dei chierici [293].

FILOLOGIA. LINGUISTICA. CRITICA LETTERARIA

Filologia
Erich Auerbach, Introduzione alla filologia romanza [29].
Georges Mounin, Teoria e storia della traduzione [61].
Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff,Storia della filologia classica [9r].

Linguistica
Carla Schick, Il linguaggio [2].
Giulio C. Lepschy, La linguistica strutturale [79].
Louis Hjelmslev, Il linguaggio [146].
Benvenuto Terracini, Lingua libera e libertà linguistica. Introduzione alla
linguistica storica [147].
Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti.
Fonetica [r48].
Morfologia [149].
Sintassi e formazione delle parole [r.50].
:Zarko Muljacié, Introduzione allo studio della lingua italiana [159].
Roman J akobson, Il farsi e il disfarsi del linguaggio. Linguaggio infantile
e afasia [164].
Giorgio Fano, Origini e natura del linguaggio [209].
lorgu lordane John Orr, Introduzione alla linguistica romanza [219].

Critica letteraria
V.-L. Saulnier, Storia della letteratura francese [40].
Gyorgy Lukacs, Il marxismo e la critica letteraria [43].
Gabriele Baldini, Manualetto shakespeariano [46].
Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale (due vo-
lumi) [49].
Gyèirgy Lukacs, Breve storia della letteratura tedesca dal Settecento ad og-
gi [52].
Gianni Pozzi, La poesia italiana del Novecento da Gozzano agli Ermetici
[64].
William Empson, Sette tipi di ambiguità [67].
Marce! Raymond, Da Baudelaire al surrealismo [99].
Michail Bachtin, Dostoevski;. Poetica e stilistica [109].
AA. VV., I formalisti russi. Teoria della letteratura e metodo critico [rn],
Northrop Frye, Anatomia della critica [n5].
Marcus Cunliffe, Storia della letteratura americana [134].
Lanfranco Caretti, Ariosto e Tasso [r38].
Gyorgy Lukacs, Saggi sul realismo [r40].
Leo Spitzer, Marcel Proust e altri saggi di letteratura francese moderna
[157].
Carlo Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana [163].
Roland Barthes, Saggi critici [174].
Walter Binni, Carducci e altri saggi [179].
I. A. Richards, I fondamenti della critica letteraria [19r].
Lanfranco Caretti, Manzoni. Ideologia e stile [194].
Giovanni Macchia, Il paradiso della ragione. L'ordine e l'avventura nella
tradizione letteraria francese [195].
Klaus Wagenbach, Franz Kafka. Biografia della giovinezza 1883-1912 [198].
F. R. Leavis, Da Swift a Pound. Saggi di critica letteraria [206].
Giovanni Macchia, La letteratura francese del Medioevo [213].
Bruno Biral, La posizione storica di Giacomo Leopardi [223].
Gianfranco Contini, Una lunga fedeltà. Scritti su Eugenio Montale [226].
Giorgio Melchiori, I funamboli. Il manierismo nella letteratura inglese da
Joyce ai giovani arrabbiati [230].
Richard Chase, Il romanzo americano e la sua tradizione [233].
Gian Carlo Roscioni, La disarmonia prestabilita. Studio su Gadda [238].
Walter Binnl, Michelangelo scrittore [26I].
Giovanni Falaschl, La resistenza armata nella na"ativa italiana [262].
Jean Rousset, Forma e Significato. Le strutture letterarie da Corneille a
Claudel [263].
Ettore Bonora, Manzoni. Conclusioni e proposte [264].
Glauco Cambon, La poesia di Ungaretti [26,].
Gianfranco Contini, Un'idea di Dante. Saggi danteschi [27'].
Giovanni Aqui!ecchia, Schede di italianistica [284].
Piero Camporesi, La maschera di Bertoldo. G. C. Croce e la letteratura
carnevalesca [296].
Antonio La Penna, L'integrazione difficile. Un profilo di Properzio [297].
Marziano Guglielminetti, Memoria e scrittura. L'autobiografia da Dante a
Cellini [299].
Diego Lanza, Il tiranno e il suo pubblico [301].

Testi

Graziadio Isaia Ascoli, Scritti sulla questione della lingua.


Niccolò Machlavelli, Discorso o Dialogo intorno alla nostra lingua [270].
Viktor Sklovskij, Teoria della prosa [287].
Antoine Meillet, Lineamenti di storia della lingua greca [295].

SCIENZA

Charles Singer, Breve storia del pensiero scientifico [I6].


René Dubos, Pasteur e la scienza moderna [20],
Leopold lnfeld, Albert Einstein [23].
Ludovico Geymonat, Galileo Galilei [24).
Jean Rostand, Lazzaro Spallanzani e le origini della biologia sperimentale
[35).
H. Bandi, W. B. Bonnor, R. A. Lyttleton e G. J, Whitrow, Teorie cosmo-
logiche rivali [55].
Giuseppe Montalenti, L'evoluzione [59],
M. F. Ashley Montagu, La razza. Analisi di un mito [72],
lsaac Asimov, Il codice genetico [rno],
Niko Tinbergen, Il comportamento sociale degli animali [n8].
Bruno Rossi, I raggi cosmici [I52],
Thomas S. Kuhn, La rivoluzione copernicana. L'astronomia planetaria nel-
lo sviluppo del pensiero occidentale [I82].
Marcel Roubault, Le catastrofi naturali sono prevedibili [208].
Testi
Niccolò Copernico, De revolutionibus orbium caelestium. La costituzione
generale dell'universo.

TECNOLOGIA. AGRICOLTURA

R. J. Forbes, L'uomo fa il mondo [r].


Donald J. Hughes, Fisica del neutrone [3].
Donald G. Fink e David M. Lutyens, Fisica della televisione[,].
Francis Bitter, Vita coi magneti [6].
Willem A. van Bergeijk, John R. Pierce e Edward E. David jr, L'universo
dei suoni [9].
Egon Larsen, L'impiego civile dell'energia atomica [ro].
Alan Holden e Phylis Singer, I cristalli [z7].
Kenncth S. Davis e John Arthur Day, L'acqua [19].

Testi
Camillo Tarello, Ricordo d'agricoltura.

ARTE. ARCHITETTURA. URBANISTICA. MUSICA, CINEMA. TEATRO.


FOTOGRAFIA. GIOCHI. SPORT

Arte
Lionello Venturi, Storia della critica d'arte [38].
Arnold Hauscr, Storia sociale dell'arte (due volumi) [47].
Anthony Blunt, Le teorie artistiche in Italia dal Rinascimento al Manieri-
smo [83].
Roland Penrosc, Pablo Picasso. La vita e l'opera [122].
Gillo Dorfles, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e con-
sumismo [r37 ].
Gillo Dorfles, Introduzione al disegno industriale [r8r].
James S. Ackcrman, Palladio [ra,J.
Andrea Emiliani, Una politica dei beni culturali [236],
Francesco Poli, Produzione artistica e mercato [237].
Architettura
John Summerson, Il linguaggio classico del'architettura [r.32].
Bruno Zevi, Il linguaggio moderno dell'architettura. Guida al codice anti-
classico [2r4].
Bruno Zevi, Poetica dell'architettura neoplastica. Il linguaggio della scom-
posizione quadridimensionale [215].
Bruno Zevi, Architettura e storiografia. Le matrici antiche del linguaggio
moderno [2r6].

Urbanistica
Italo Insolera, Roma moderna. Un secolo di storia urbanistica [25].
Edward Carter, Il futuro di Londra. L'evoluzione di una grande città [94].
Giuseppe Campos Venuti, Amministrare l'urbanistica [97].
Giorgio Simoncini, Città e società nel Rinascimento (due volumi) [224].

Musica
Massimo Mila, Breve storia della musica [.3r].
Enrico Fubini, L'estetica musicale dal Settecento a oggi [50].
Massimo Mila, L'esperienza musicale e l'estetica [56].
Giorgio Graziosi, L'interpretazione musicale [88].
Aloys Greither, Mozart [ro6].
Ott6 Karolyi, La grammatica della musica. La teoria, le forme e gli stru-
menti musicali [n9].
Theodor W. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica [r6o].
Enrico Fubini, Musica e linguaggio nell'estetica contemporanea [20r].
Roman Vlad, Strawinsky [2r7].
Philippe Carles e Jean-Louis Comolli, Free Jazz I Black Power [218].
H. H. Stuckenschmidt, La musica moderna. Da Debussy agli anni Cin-
quanta [240].
Enrico Fubini, L'estetica musicale dall'antichità al Settecento [285].

Cinema
Georges Sadoul, Manuale del cinema [8].
Gianni Rondolino, Dizionario del cinema italiano 1945-1969 [r28].
Sergej M. Ejzenstejn, Lezioni di regia [203].
Teatro
Angelo Maria Ripellino, Maiakovskii e il teatro russo d'avanguardia [Sx].
Bertolt Brecht, Scritti teatrali [154].
Peter Szondi, Teoria del dramma moderno (z880-z950) [178].
Hans Mayer, Brecht e la tradizione [192].
Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio. Con altri scritti teatrali [19.3].
Italo Alighiero Chiusano, Storia del teatro tedesco moderno. Dal z889 ad
oggi [280].
Henri Béhar, Il teatro dada e surrealista [281].

Fotografia
Jean-A. Keim, Breve storia della fotografia [274].

Testi
Tristan Tzara, Manifesti del dadaismo e Lampisterie.
Wilhelm Worringer, Astrazione e empatia.
Erwin Piscator, Il teatro politico [277].

LETTERATURA

Testi
Giovanni Della Casa, Galateo.
Dante Alighieri, La Divina Commedia.
Renato Fucini, Napoli a occhio nudo [283].

GEOGRAFIA. STORIA

Geografia
Pi erre George, Geografia economica dell'Unione Sovietica [4].
Lucio Gambi, Una geografia per la storia [2n].

Problemi di metodo storico


Edward H. Carr, Sei lezioni sulla storia [98].
Mare Bloch, Apologia della storia [n7].
Giovanni Miccoli, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storia•
grafica [1.33].

17
Michael M. Postan, Storia e scienze sociali. Scritti di metodo [279].

Storia dell'Asia
Jean Chesneaux, L'Asia orientale nell'età dell'imperialismo. Cina, Giappo-
ne, India e Sud-Est asiatico nei secoli XIX e xx (120].
W. G. Beasley, Storia del Giappone moderno [r27].
Fei-ling Davis, Le società segrete in Cina (1840-I9II). Forme primitive di
lotta rivoluzionaria [r68].
Chi Ch'ao-ting, Le zone economiche chiave nella storia della Cina. Studio
sullo sviluppo dei lavori pubblici per il controllo delle acque [r75],
Jean Chesneaux, Marianne Bastid e Marie-Claire Bergère, La Cina [23r].
I. Dalle guerre dell'oppio al conflitto franco-cinese (z840-z885).
11. Dalla guerra franco-cinese alla fondazione del Partito comunista ci-
nese (z885-1921).
Michelguglielmo Torri, Dalla collaborazione alla rivoluzione non violenta.
Il nazionalismo indiano da movimento di élite a movimento di mas,-a
[255].
Claudio Zanier, Accumulazione e sviluppo economico in Giappone. Dalla
fine del XVI alla fine del XIX secolo [2_:i7].

Storia del/' Africa


Roland Oliver e John D. Fage, Breve storia dell'Africa [58].
Basi! Davidson, Madre Nera. L'Africa nera e il commercio degli schiavi
[78].
Giuseppe Papagno, Colonialismo e frudalesimo. La questione dei Prazos
da Coroa nel Mozambico alla fine del secolo XIX [r8o].

Storia dell'America
Pedro Henrfquez Urefia, Storia della cultura nel!'America spagnola [r3].
Allan Nevins e Henry Steele Commager, Stòria degli Stati Uniti (42].
Benjamin Thomas, Abramo Lincoln [44].
Tulio Halperin Donghi, Storia de/l'America latina [ro4].
Celso Furtado, La formazione economica del Brasile (130].
Eugene D. Genovese, L'economia politica della schiavitu. Studi m/l'econo-
mia e la società del Sud schiavista [r86],
Darcy Ribeiro, Le Americhe e la civiltà (239].
I. La civiltà occidentale e noi. I popoli-testimoni.
II. I popoli-nuovi.
III. I popoli-trapiantati. Civiltà e sviluppo.
Eduardo Galeano, Il saccheggio de/l'America latina. I eri e oggi [276].
Storia d'Europa
Jaime Vicens Vives, Pro/ilo della storia di Spagna [77].
Lionel Kochan, Storia della Russia moderna. Dal IJOO a oggi [101].
AA. VV., Storia della Jugoslavia. Gli slavi del sud dalle origini a oggi
[124].
B. H. Slicher van Bath, Storia agraria dell'Europa occidentale (500-x850)
[r73].

Preistoria e storia antica


V. Gordon Childe, Il progresso nel mondo antico [27].
Jean Bérard, La Magna Grecia [28].
Bruno Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo [36].
Moses I. Finley, Gli antichi greci [,rJ.
Fausto Codino, Introduzione a Omero [70].
Arnold J. Toynbee, Il mondo ellenico [92].
B. H. Warmington, Storia di Cartagine [105].
Maxime Rodinson, Maometto [r99].
Alain Michel, Tacito e il destino dell'Impero [220].
Peter Brown, Il mondo tardo antico [228].
Arnaldo Momigliano, Lo sviluppo della biografia greca [232].

Storia medievale
Gabriele Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia [32].
Gino Luzzatto, Breve storia economica dell'Italia medievale [-'7].
Salvatore Francesco Romano, Le classi sociali in Italia dal Medioevo all'e-
tà contemporanea [63].
Eileen Power, Vita nel Medioevo [74].
Witold Kula, Teoria economica del sistema feudale. Proposta di tm model-
lo [r84].
Mare Bloch, I cara/Ieri originali della storia rurale francese [207].
Roberto S. Lopez, La rivoluzione commerciale del Medioevo [242],
Vito Fumagalli, Terra e società nell'Italia padana. I secoli IX ex [267].

Storia moderna
Albert Mathiez e Georges Lefebvre, La Rivoluzione francese (due volumi)
[7].
S. H. Steinberg, Cinque secoli di stampa [2r].
Franco Venturi, Le origini dell'Enciclopedia [26].
Giorgio Spini, Storia dell'età moderna (IJIJ-I763) (tre volumi) [65].
Roland H. Bainton, La riforma protestante [73].
Felix Gilbert, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a
Firenze nel Cinquecento [r35].
Franco Venturi, Utopia e riforma nell'illuminismo [r39].
Ruggiero Romano, Tra due crisi: l'Ilalia del Rinascimento [r67].
0

Guido Quazza, La decadenza italiana nella storia europea. Saggi sul Sei-
Settecento [r69].
Carlo Ginzburg, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e
Seicento [r97].
Georges Lefebvre, La grande paura del z789 [204].
Giorgio Giorgetti, Contadini e proprietari nell'Italia moderna. Rapporti di
produzione e contratti agrari dal secolo XIV a oggi [234].
Bruno Vecchio, Il bosco negli scrittori italiani del Settecento e dell'età na-
poleonica [235].
Georges Lefebvre, L'Ottantanove [244].
Delio Cantimori, Umanesimo e religione nel Rinascimento [247].
Carlo Ginzburg e Adriano Prosperi, Giochi di pazienza. Un seminario sul
« Beneficio di Cristo» [258].
Christopher Hill, La formazione della potenza inglese. Dal z530 al z780
[302].

Storia contemporanea

Federico Chabod, L'Italia contemporanea (z9r8-z948) [rr].


Giampiero Carocci, Giolitti e l'età giolittiana [12].
Enzo Collotti, La Germania nazista [22].
Massimo L. Salvadori, Gaetano Salvemini [34].
Luigi Salva torelli, Pensiero e azione del Risorgimento [37].
Robcrt Jungk, Gli apprendisti stregoni. Storia degli scienziati atomici [45].
Léon Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli Ebrei [48].
Piero Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale (z9r5-r9r8) [53].
Arturo Carlo Jemolo, Chiesa e Stato in Italia. Dalla unificazione a Giovan-
ni XXIII [60].
Christopher Hill, Lenin e la Rivoluzione russa [62].
William L. Shirer, Storia del Terzo Reich (due volumi) [69].
Gaetano Arfé, Storia del socialismo italiano (z892-r926) [71].
Rodolfo Morandi, Storia della grande industria in Italia (r93r) [82].
Fernand Braudel, Il mondo attuale (due volumi) [85].
Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in
Italia (r860-r872) [89].
H. Stuart Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal
r890 al z930 [90].
Raymond Williams, Cultura e Rivoluzione industriale. Inghilterra I780•
I9,50 [102].
Saverio Tutino, L'ottobre cubano. Lineamenti di una storia della rivolu-
zione castrista [107].
Alee Nove, Stalinismo e antistalinismo nell'economia sovietica [108].
Paolo Spriano, L'occupazione delle fabbriche. Settembre I920 [uo].
Emilio Sereni, Il capitalismo nelle campagne (z860-z900) [u2].
B. Nikolaevskij e O. Maenchen-Helfen, Karl Marx. La vita e l'opera [114].
Gustav Mayer, Friedrich Engels. La vita e l'opera [n6].
Tom Kemp, Teorie dell'imperialismo. Da Marx a oggi [126].
Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana [129].
Adolfo Omodeo, Studi sull'età della Restaurazione: La cultura francese nel-
l'età della Restaurazione - Aspetti del cattolicesimo della Restaurazione
[136].
Eric J. Hobsbawm, I banditi. Il banditismo sociale nell'età moderna [1.n].
Andreina De Clementi, Amadeo Bordiga [1.5.5].
Wo!fgang Abendroth, Storia sociale del movimento operaio europeo [1.58].
Paolo Spriano, L'«Ordine Nuovo» e i Consigli di fabbrica [r66].
Armando De Palma, Le macchine e l'industria da Smith a Marx [171].
Lewis B. Namier, La rivoluzione degli intellettuali e altri saggi sull'Otto•
cento europeo [177].
Alessandro Galante Garrone, Filippo Buonarroti e i rivoluzionari dell'Ot-
tocento (z828-I837). Nuova edizione ampliata [183].
Franco Venturi, Il populismo russo.
I. Herzen, Bakunin, Cernisevskii [188].
II. Dalla liberazione dei servi al nihilismo [189].
III. Dall'andata nel popolo al terrorismo [190].
Eric J. Hobsbawm, Storia economica dell'Inghilterra. La rivoluzione indu-
striale e l'Impero. Dal r7.50 ai giorni nostri [196].
Guido Quazza, Valerio Castronovo, Giorgio Rochat, Guido Neppi Modo-
na, Giovanni Miccoli, Norberto Bobbio, Fascismo e società italiana
[200].
Massimo L. Salvadori, Gramsci e il problema storico della democrazia
[202].
Alberto Caracciolo, L'inchiesta agraria ]acini [21.2].
David McLellan, Marx prima del marxismo. Vita e opere giovanili [222].
Eric J. Hobsbawm, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale [22.5].
Guido Baglioni, L'ideologia della borghesia industriale nell'Italia liberale
[227].
Eric J. Hobsbawm, I rivoluzionari [248].
David McLellan, Il pensiero di Kart Marx [249].
Leo Valiani, Questioni di storia del socialismo [2.52].
Franco Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Terni dal
I884 al z962 [2.53].
Diane Shaver Clemens, Y alta [2.54].
Luigi Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana
[2.56].
Anna Treves, Le migrazioni interne nell'Italia fascista. Politica e realtà de-
mografica [269].
Valerio Castronovo, Paolo Farneti, Rosario Villari, Raffaele Romanelli,
Giovanni Miccoli, Vittorio Foa, Giangiulio Ambrosini, Augusto Gra-
ziani, Pier Luigi Cervellati, Ernesto Galli della Loggia, Giuseppe Ricu-
perati, L'Italia contemporanea I94J·I975 [271].
Giorgio Caredda, Il Fronte popolare in Francia: r934-.r938 [294].
Paolo Spriano, Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere [298].

Potrebbero piacerti anche