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Antoine Compagnon

Il demone della teoria

Introduzione più tre capitoli

 Introduzione

IL DEMONE DELLA TEORIA. Introduzione. Che cosa resta dei nostri amori? Tra gli anni Sessanta e settanta la
teoria letteraria conosce il suo momento di massimo sviluppo, suscitava fascino nelle sue denominazioni
diverse. Dopo gli anni Settanta le cose sono cambiate, la teoria letteraria si è istituzionalizzata, è diventata
metodo, si è impiantata nell’educazione nazionale francese (la Francia era il Paese dove essa era più florida).
È diventata una disciplina come le altre, non più critica (anche militante).

● Teoria e senso comune.

La teoria non può ridursi a essere una tecnica o pedagogia, la teoria è interessante per la lotta accanita e
vivificante che ha condotto contro le idee acquisite negli studi letterari e per la resistenza che queste idee
hanno condotto all’opposto. Il ricorso alla teoria è per definizione un atto di opposizione. Per capire se
esiste una storia letteraria bisogna capire che cosa sia Letteratura, ma per farlo serve dire cosa non sia
letteratura, bisogna ripartire da quelle nozioni di senso comune contro cui si è opposta.

● Teoria e pratica della letteratura.

Possiamo dire che Platone e Aristotele facevano teoria della letteratura quando classificavano i generi
letterari (poetica è per noi un modello). Facevano teoria perché si interessavano delle categorie generali,
che tendono all’universale, a partire da singole opere. In quanto descrittiva la teoria letteraria è moderna.
La teoria contrasta la pratica degli studi letterari, analizza rendendo espliciti i presupposti a tale pratica,
insomma la critica (sarebbe critica della critica). È una coscienza critica (una critica dell’ideologia letteraria,
la quale si inframmezzava tra pratica e teoria), non è filo della letteratura

● Teoria, critica, storia.

Per critica letteraria si intende un discorso sulle opere letterarie che mette l’accento sull’esperienza della
lettura, che descrive, valuta, interpreta il senso e l’effetto che le opere hanno, si presta alla conversazione e
non all’insegnamento. Per storia letteraria si intende un discorso che insiste sui fattori esterni all’esperienza
della lettura, ad esempio sulla concezione sulla trasmissione delle opere o altri elementi speciali, è la
disciplina accademica tout court. Queste 2 si scontrano come un procedimento intrinseco e uno estrinseco:
la critica si applica al testo, la storia al contesto. L’una mira a valutare il testo, l’altra a spiegarlo. La teoria
vuole esplicitare, pone domande, le stesse domande con le quali storici e critici si imbattono a proposito di
testi particolari, ma di cui danno per scontate le risposte. La teoria è relativista.

● Teoria o teorie.

La teoria, o le teorie, sarebbero dunque un po’ come dottrine o dogmi critici, o ideologie. Ci sono tante
teorie quanti teorici. La teoria è invece un’attitudine analitica e aporetica, un porre domande ai
presupposti, un “Che cosa so?” perpetuo. Certo, ci sono teorie opposte divergenti e contrapposte (campo è
polemico) ma non si può aderire all’una o all’altra. La teoria della letteratura ci addestra a smaliziarci.

● Teoria della letteratura o teoria letteraria.

La teoria della letteratura viene generalmente intesa come un ramo della letteratura generale e comparata.
La teoria letteraria si propone piuttosto come critica dell’ideologia, ivi compresa quella della teoria della
letteratura. La teoria letteraria nasce quando l’oggetto della discussione non è più il senso o il valore, ma le
modalità di produzione del senso o del valore (analisi linguistica + critica dell’ideologia).
Teoria della letteratura: riflessioni sulle nozioni generali, i principi, i criteri.

Teoria letteraria: la critica del buon senso letterario e il riferimento al formalismo. La teoria non è metodo,
bensì è una scuola di ironia

● La letteratura ridotta ai suoi elementi.

Perché ci sia letteratura sono indispensabili 5 elementi: un autore, un libro, un lettore, una lingua e un
referente. A ciò si collegano le considerazioni sulla tradizione letteraria, sia nel suo aspetto dinamico (la
storia) sia in quello statico (il valore ). La teoria della letteratura è una lezione di relativismo, non di
pluralismo. Queste domande non sono indipendenti, costituiscono un sistema. In altri termini la risposta
che do a una di essa limita le opzioni che mi rimangono aperte per rispondere alle altre. È un insieme di
scelta solidale

 Capitolo primo: La letteratura.

Bisogna porsi la domanda: “Che cosa definisce le qualità letterarie del testo letterario?” Per definire lo
studio letterario è necessario prima definirla letteratura, ma qualunque definizione di letteratura non
equivale forse all’enunciazione di una norma extra letteraria? Aporia che deriva dalla contraddizione tra due
punti di vista possibili, ed entrambi legittimi, di intendere lo studio letterario: quello contestuale (storico,
psicologico, istituzionale) e quello testuale (linguistico). Lotta negli anni Settanta tra i sostenitori di una
definizione esterna e quelli di una definizione interna di letteratura. Domanda su “Che cos’è letteratura?” è
mal posta.

● L’estensione della letteratura.

Nel senso più ampio è letteratura tutto ciò che è stampato o scritto (è la nozione classica di belle lettere);
ma se intesa come equivalente di cultura, la letteratura così perde la sua qualità propriamente letteraria.
Dall’antichità al romanticismo era considerata letteratura in senso stretto solo il verso. Dal Romanticismo in
poi letteratura fu il romanzo, il teatro e la poesia. In senso ancora più ristretto: la letteratura sono i grandi
scrittori. Paradosso: la grande opera letteraria è considerata unica e al contempo universale (valore);
tuttavia identificare la letteratura con il valore letterario vuol dire nello stesso tempo negare il valore degli
altri romanzi, drammi e poesie. Dire che un determinato testo è letterario vuol dire sempre
sottintendere che quell’altro non lo è! Però questo criterio di esclusione è sempre extraletterario. Ogni
volta che appare una nuova opera si determina un riassetto della tradizione e si modifica nello stesso
tempo il senso e il valore di ogni opera che a questa tradizione vi appartiene (sincronicità).

● La comprensione della letteratura: la funzione Per Aristotele la tragedia ha la funzione di produrre la


katharsis dalle emozioni di paura e pietà, mentre per Orazio l’arte poetica ha lo scopo di istruire e dilettare.
In che cosa consiste la conoscenza letteraria, quella che viene fornita all’uomo? In accordo con i primi due
autori citati, è una conoscenza che ha come oggetto ciò che è generale, probabile e verosimile, la doxa, ciò
che permette di regolare e comprendere il comportamento umano e la vita sociale. Per il modello umanista
esiste una conoscenza del mondo e degli uomini che ci deriva dall’esperienza letteraria, una conoscenza che
solo (o quasi solo) l’esperienza letteraria ci procura. Beninteso, questa concezione letteraria è stata
denunciata per il suo idealismo come visione del mondo di una classe particolare (letteratura come
ideologia, serve a sostituire la religione come oppio). Viceversa, si può insistere sulla funzione sovversiva
della letteratura: es. poeti maledetti e avanguardie. Si cade così nell’aporia secondo la quale la letteratura
può essere in disaccordo con la società, ma anche in accordo; può seguire il progresso, ma anche precederlo
(relativismo socio storico erede del romanticismo).

● La comprensione della letteratura: la forma del contenuto Da Aristotele fino alla metà del XVIII secolo, la
letteratura è stata definita come imitazione o rappresentazione (mimesi) di azioni umani tramite linguaggio,
costituendo così una favola o un racconto (mythos). Mimesi come Finzione. Secondo Genette la poesia deve
farsi finzione narrativa, per poter sfuggire al rischio di dissoluzione nel linguaggio ordinario e farsi opera
d’arte. Entrambi gli autori hanno in mente lo status ontologico, o pragmatico, dei contenuti letterari: è
quindi la finzione come concetto, non come tema. Quindi come vuoto. Infatti con l’abbandono della
prospettiva aristotelica, la finzione come concetto vuoto non era più una condizione necessaria e sufficiente
della letteratura.

● La comprensione della letteratura: la forma dell’espressione Dalla seconda metà del XVIII secolo, con Kant,
nasce un’altra definizione di letteratura contrapposta a quella della finzione: la letteratura trova il suo fine in
sé stessa. Dal versante romantico in poi si tende a distinguere letteratura e vita (per Proust la vita vera è la
letteratura). Idea che si ritroverà anche nel Formalismo russo, per cui il linguaggio comune è denotativo,
mentre il linguaggio letterario è più connotativo (ambiguo, espressivo, perlocutorio, autoreferenziale).
“Letteratura è e non può essere altro che una sorta di estensione e di applicazione di certe proprietà del
linguaggio.” (P. Valéry). I formalisti, per bocca di Jakobson, hanno affermato che l’oggetto della scienza
letteraria non è la letteratura, ma la letterarietà, ossia ciò che fa di un’opera data (un messaggio verbale)
un’opera letteraria (d’arte). Hanno inoltre fissato come criterio di letterarietà lo straniamento e la forma
oscura, alla fine il formalismo approda a una storia della letterarietà come rinnovarsi dello straniamento
attraverso il redistribuirsi dei procedimenti letterari. Essendo fondato sulla linguistica, il formalismo libera lo
studio letterario da punti di vista estranei alla condizione verbale del testo.

● Letterarietà o pregiudizio Dato che non esistono elementi linguistici esclusivamente letterari, la letteratura
non può distinguere un uso letterario da un uso non letterario del linguaggio. Il malinteso nacque quando
Jakobson chiamo poetica una delle sei funzioni dell’atto comunicativo, come se la letteratura (il testo
poetico) abolisse le altre cinque e mettesse fuori gioco i 5 elementi con cui venivano in genere collegate, per
insistere solo sul messaggio in sé. In realtà la letterarietà non dipende dall’uso di elementi linguistici
appropriati, ma da una diversa organizzazione degli stessi materiali linguistici d’uso comune. In altre parole,
non è la metafora in sé a costruire la letterarietà di un testo, ma un reticolo metaforico più fitto, che fa
passare in secondo piano le altre funzioni linguistiche. Le forme letterarie non sono diverse dalle forme
linguistiche, ma la loro organizzazione le rende più visibili. Tutto ciò è confutabile, se fosse solo una
questione di produzione di interesse per il lettore, allora la pubblicità sarebbe l’apice della letteratura. La
letterarietà ovviamente come ogni definizione di letteratura implica una preferenza extra letteraria. Una
definizione di letteratura è sempre una preferenza (un pregiudizio) eretto a validità universale. L’essenza
della letteratura non esiste, in quanto è una realtà complessa e mutevole.

●La letteratura è letteratura.

La definizione di un termine come “letteratura” non fornirà mai niente se non l’insieme delle occorrenze in
cui chi fa uso di una lingua accetta di utilizzarlo. I testi letterali sono usati dalle società senza riferirli al loro
contesto originale. La loro validità non si riduce al contesto originale ma è proprio la società che stabilisce se
alcuni testi sono letterari attraverso l’uso che ne fa fuori dai loro contesti d’origine. Qualsiasi discorso dei
testi propone di provarne o contestarne l’inclusione nella letteratura. Tutto ciò che si può dire di un testo
letterario non fa parte dello studio letterario, in quanto lo studio di esso non è il suo contesto d’origine, ma
bensì è la società che ne fa un uso letterario e di conseguenza la critica e tutti i rami che prende la critica
sono considerate esterne rispetto alla letteratura. La nozione di stile, come quella di letteratura è difficile da
attribuire, in quanto sarà sempre oggetto di polemica, si fonda sempre su una variante dell’opposizione
popolare, tra norma e deviazione, o ancora tra forma e contenuto, vale a dire tra dicotomie che mirano a
screditare l’avversario, piuttosto che tra concetti.

 Capitolo quarto: Il lettore. Lo stile


Dopo aver esaminato la letteratura possiamo parlare del lettore, quindi a colui cui si rivolge l’opera. Per
comprendere il ruolo del lettore dobbiamo immaginarci due poli, due tesi contrapposte: da un lato
troviamo la tesi che ignora del tutto il lettore e tutto del lettore; mentre dall’altra parte valorizzano il lettore,
mettendolo addirittura in primo piano nella letteratura, identificando la letteratura con la lettura.

●La lettura messa fuori gioco.

Secondo Lanson, l’esercizio del commento ha lo scopo di abituare gli studenti a leggere con attenzione e
interpretare fedelmente i testi letterari (aveva fatto diverse prove con i suoi alunni dando loro alcune poesie
senza dire l’autore e scoprendo che l’analisi che avevano fatto era molto misera e priva di elementi
importanti). I New Critics americani definivano l’opera come unità organica autosufficiente, di cui conveniva
praticare una lettura ravvicinata, quindi una lettura idealmente oggettiva, descrittiva, attenta ai paradossi,
alle ambiguità, alle tensioni che fanno del poema un sistema chiuso e stabile. Sempre i New Critics
denunciavano l’illusione affettiva, cioè la confusione tra il poema e i suoi risultati, era dovuta all’illusione
intenzionale da cui era necessario staccarsi urgentemente. Richards conservava la convinzione che
l’educazione avrebbe potuto eliminare gli ostacoli e riuscire a comprendere perfettamente l’opera.
Purtroppo, ciò che maggiormente accade quando si legge una poesia è che viene interpretata in maniera
sbagliata, che insieme al controsenso sono incidenti. Ecco, quindi, che una lettura rigorosa, destinata a
correggere gli errori più frequenti ci permetteranno di capire al meglio l’opera, qualunque essa sia. La
poesia può rivelarsi sconcertante, difficile, oscura e ambigua, ma se al lettore viene insegnato a leggerle con
più accuratezza, ad andare oltre i propri limiti riuscirà a rispettare la libertà della poesia.

Il lettore è una funzione del testo, la lettura reale è trascurata a vantaggio di una teoria della lettura, vale a
dire della definizione del lettore competente o ideale, il lettore che il testo richiede e che si piega all’attesa
del testo. La diffidenza nei confronti del lettore è una tendenza condivisa negli studi letterari, a causa dei
vari problemi verificatisi da parte del lettore, ecco allora la tentazione di ignorarlo, il lettore empirico,
l’interpretazione sbagliata e gli intoppi della lettura.

 La resistenza del lettore.

Quando noi ricordiamo un testo letto in passato, nelle letture d’infanzia ricordiamo non il libro in se, ma il
contesto in cui lo abbiamo letto e le impressioni che hanno accompagnato la lettura. La lettura è
identificatoria, empatica, proiettiva, la lettura adatta il libro alle esigenze del lettore che applica ciò che
legge alla propria situazione, come ai propri amori. Dobbiamo capire che il lettore è libero, maggiorenne e
indipendente, ha come scopo quello di comprendere se stesso tramite il libro, egli può comprendere il libro
solo se comprende se stesso grazie a quel libro. Ecco che la scrittura e la lettura finiscono con l’identificarsi,
cioè la lettura sarà una scrittura, così come la scrittura era già lettura perché come diceva Proust il dovere e
il compito di uno scrittore sono quelli di un traduttore.

Possiamo porci tantissimi interrogatori, come: il lettore quando legge, cosa fa del testo? E cosa fa il testo a
lui? La lettura è attiva o passiva? E così via..

 Ricezione e influsso.

Cos’è la Ricezione? è la più ristretta analisi della lettura, intesa come reazione, individuale o collettiva, al
testo letterario.

E l’Influsso? i lettori venivano presi in considerazione, nella maggior parte dei casi, solo quando erano altri
autori, attraverso la nozione di "fortuna di uno scrittore". La fortuna di un'opera si misura sulla base
dell'influsso esercitato sulle opere successive, non della lettura dei dilettanti.

 Il lettore implicito.
Valery diceva che i recenti studi sulla ricezione si sono dedicati al modo in cui un’opera colpisce il lettore,
lettore che può essere attivo e passivo allo stesso tempo. L’analisi della ricezione considera l’effetto prodotto
sul lettore, individuale o collettivo e la risposta che egli dà al testo considerato come stimolo. Sartre scriveva
che l’oggetto letterario è una strana trottola che esiste solo quando è in movimento, per farla nascere
occorre un movimento, la lettura e la sua durata. L’oggetto letterario invece era stato visto come un volume,
perlomeno a partire dalla stampa e dal momento in cui il modello del libro aveva assunto forma. La
precomprensione è una premessa indispensabile per ogni comprensione, quindi non esiste lettura
innocente o trasparente; il lettore si accosta al testo con le sue norme e valori. La caratteristica del senso
letterario è la compiutezza, la letteratura si realizza nella lettura. La letteratura ha un’esistenza doppia ed
eterogenea, cioè, esiste indipendentemente dalla lettura ma si concretizza con essa. Il testo istruisce e il
lettore costruisce.

Per Iser, la lettura, intesa come attesa e modifica dell’attesa per mezzo degli incontri imprevisti fatti durante
il cammino; il lettore ha un punto di vista mobile, errante sul testo. Il testo completo non è mai
simultaneamente alla sua attenzione, cioè il lettore percepisce a ogni istante solo un aspetto del testo ma
combina tutto quello che ha già visto grazie alla propria memoria e costruisce uno schema coerente con la
natura, non ha mai però una visione d’insieme dell’itinerario. Il repertorio è l’insieme delle norme sociali,
storiche, culturali che il lettore porta con se come bagaglio necessario alla lettura; anche il testo fa
riferimento ad un bagaglio che mette in campo una serie di norme; perché abbia luogo la lettura è
indispensabile un minimo di intersezione tra repertorio del lettore reale e repertorio del testo (lettore
implicito).

 L’opera aperta.

Il lettore implicito non ha altra scelta che obbedire che obbedire alle itruzioni dell’autore implicito.

Il lettore reale viene posto davanti ad un bivio: recitare il ruolo assegnatogli dal lettore implicito o rifiutarne
le istituzioni e chiudere il libro. Il lettore reale non si è, dunque, affrancato granché dal lettore implicito, ma
gode comunque di una libertà maggiore rispetto a quella data al lettore tradizionale semplicemente perché
i testi con cui ha a che fare, sempre più moderni, sono sempre più indeterminati, costringendo, quindi, il
lettore a mettere sempre più farina del suo sacco per riempire gli spazi lasciati bianchi. Il lettore di Iser è
uno spirito aperto, liberale, generoso e pronto a rispettare le regole del testo. È ancora un lettore ideale,
somiglia tanto ad un critico colto, che conosce i classici ma è curioso dei moderni, quindi con la figura di un
lettore colto e curioso che può confrontarsi con lui. La lettura è, dunque, più aperta.

La libertà concessa al lettore, però, è limitata ai punti in cui il testo è indefinito, tra i pieni determinati
dall'autore. Dunque, l'autore rimane di fatto padrone del gioco, nonostante le apparenze: definisce ancora
lui cosa è determinato e cosa non lo è.

 L’orizzonte d’attesa (fantasma).

Orizzonte d'attesa o quello che Isar definiva REPERTORIO è l'insieme delle norme convenzionali che
costituiscono la competenza di un lettore in un momento dato.

 Il genere come modello di lettura

Il genere si presenta come il più evidente principio di generalizzazione tra singole e gli universali della
letteratura. Il genere è una tassonomia che permette allo studioso di classificare le opere, ma non è questo
il suo significato teorico. Il suo significato teorico è, infatti, quello di funzionare come uno schema di
ricezione, una competenza del lettore, confermata e/o contestata da ogni nuovo testo. Per le teorie che
adottano il punto di vista del lettore è il testo stesso ad essere percepito come langue in contrapposizione
alla sua concretizzazione nella lettura vista come parole. La concretizzazione compiuta da qualunque lettura
è inseparabile dai vincoli di genere, nel senso che le convenzioni storiche proprie del genere al quale il
lettore ipotizza che il testo appartenga gli consentono di selezionare e circoscrivere, tra le risorse offerte dal
testo, quelle che la sua lettura analizzerà. Il genere, come codice letterario e insieme di norme e di regole
del gioco, informa il lettore del modo in cui dovrà affrontare il testo, assicurandone, così, la comprensione.

 La lettura a ruota libera.

Dopo aver dato al lettore tutta la libertà che voleva, gliel’hanno ripresa. All’inizio si localizzava il significato
letterario interamente nell'esperienza del lettore e sempre meno, o addirittura quasi per niente,
nell'esperienza del testo. Poi, è stata contestata la dicotomia tra testo e lettore. Il lettore, a questo punto, ha
ripreso il sopravvento sul testo, ma, poi, entrambi si sono annullati di fronte ad un’entità senza la quale
nessuno dei due esisterebbe, ossia l’autore.

Successivamente, si è arrivati a rivendicare, per la lettura, il diritto ad una soggettività assoluta. Tutto il
significato letterario, dunque, è stato riportato dalla parte del lettore. Alla fine, tuttavia, si è ritornati alla
teoria secondo cui non dovrebbe più essere lasciata la minima autonomia al lettore o, più precisamente, alla
lettura, dal momento che autore, testo e lettore vengono ora messi sullo stesso piano di simultaneità e, in
particolar modo, testo e lettore non costituiscono più nozioni in concorrenza tra loro.

 Dopo il lettore

Il destino del lettore nella teoria letteraria è esemplare, a lungo è stato ignorato dalla filologia, ma la
promozione del lettore, rientrato sulla scena letteraria, ha aperto una questione per certi tratti irrisolvibile,
ossia quella della sua libertà vigilata, della sua autorità relativa di fronte ai rivali (il testo e l’autore). La teoria
letteraria, quindi, pare che non sia in grado di mantenere un equilibrio tra gli elementi della letteratura.
L'esperienza della lettura, in particolar modo, è inevitabilmente un'esperienza doppia, ambigua e lacerata:
tra capire e amare, tra filologia e allegoria, tra libertà e vincolo, tra attenzione nei confronti dell’altro e la
preoccupazione per se stesso.

 Capitolo quinto: Lo stile.

Lo stile è il rapporto fra testo e lingua.

Esistono due tesi estreme:

1. Lo stile è una certezza che fa legittimamente parte della letteratura e del senso comune.

2. Lo stile è un’illusione di cui ci si deve assolutamente liberare, al pari dell'intenzione e della referenza.

Per un certo periodo la teoria pensava di essersi sbarazzata dello stile, ma oggi lo stile risorge più che mai.

 Lo stile in tutti i suoi aspetti.

Il termine stile non rientra unicamente nel vocabolario specialistico della letteratura: è noto, infatti, come
questa parola intersechi tantissimi campi dell'attività umana. Di conseguenza, è un termine ambiguo e
rimanda a una necessità e una libertà.

Lo stile è: una norma, un ornamento, uno scarto, un genere o un tipo, un sintomo, una cultura.

1) Norma: <<bello stile>>, modello da imitare, un canone;


2) È un ornamento: è evidente nella retorica, in conformità con la contrapposizione tra cose e parole,
tra le prime due parti della retorica relative alle idee e la terza che riguarda la loro trasposizionein
parole;
3) È uno scarto: due dei tratti dello stile come ornamento e scarto sono inseparabili, lo stile si
concepisce, a partire da Aristotele, come un ornamento formale definito dallo scarto rispetto all’uso
neutro o normale del linguaggio;
4) È un genere o un tipo: indica la proprietà del discorso, ovvero l’adattamento dei suoi modi espressivi
ai propri scopi. I trattati di retorica distinguevano tradizionalmente tre tipi di stile: humilis
(semplice), mediocris (medio) e gravis (elevato o sublime). Lo stile è la proprietà del discorso, ha
l’oggettività di un codice espressivo e rimane legato a una scala di valori e a una prescrizione;
5) È sintomo: ha due versanti, oggettivo e soggettivo, il primo in quanto codice espressivo e il secondo
in quanto riflesso di un’individualità. Fortemente ambiguo, indica allo stesso tempo l’infinita varietà
degli individui e la classificazione regolare della specie. Ormai lo stile diventa un valore
commerciale, all’identificazione di uno stile è legato un prezzo, non è più legato a macroscopici tratti
di genere ma a dettagli microscopici come può essere il tocco di una pennellata nel pittore.
6) È una cultura: la cultura corrisponde a ciò che gli studiosi chiamavano l’anima di una nazione, o la
razza, come insieme della lingua e delle manifestazioni simboliche di un gruppo; indica una costante
in un individuo e in una civiltà, quindi una civiltà o una cultura che si riconoscerebbe in base al suo
stile.

Lo stile, dunque, è un insieme di tratti formali individuabili e al tempo stesso il sintomo di una personalità.
L’interprete nel descrivere e analizzare lo stile ricostruisce l’anima di tale personalità, è lungi dall’essere un
concetto puro e ad oggi il termine ha accumulato: norma, ornato, variazione, tipo, sintomo, cultura.

 Lingua, stile, scrittura.

Nel secolo scorso, sono state distinte le nozioni di lingua, stile e scrittura. La stilistica è rimasta una materia
instabile a causa della polisemia dello stile, specialmente della tensione, dell’equilibrio fragile o impossibile
di una nozione che sta a cavallo tra il privato e il pubblico, l’individuo e la massa. Lo stile ha due aspetti: uno
collettivo (riteneva che gli stili non fossero infiniti e molteplici ma solo tre: elevato medio e umile) e uno
individuale (non era altro che quello collettivo più o meno adatto, adeguato, allo scopo) (l’antica retorica
teneva insieme questi due aspetti). La lingua costituiva un dato sociale, su cui lo scrittore non poteva
influire; lo stile, invece, era inteso come natura, corpo, individualità inalienabile e neanche su di esso si
poteva influire, poiché coincideva con il proprio essere. La scrittura, infine, era stata tripartita in: elaborata,
neutra e parlata; essa costituiva la scelta dell'area sociale, nel cui ambito lo scrittore decideva di situare la
natura del proprio linguaggio. In altre parole, la scrittura si identificava nella retorica stessa.

 Addosso allo stile.

La nozione tradizionale dello stile si basava sulla possibilità della sinonimia (ci sono più modi per dire la
stessa cosa), presupponeva la referenza (una cosa da dire) e l'intenzione (una scelta tra diversi modi per
dirla). La contestazione dello stile, per la precisione, si fondava sulla sua definizione come scelta cosciente
tra varie possibilità: tale contestazione era, quindi, connessa alla critica dell'intenzione. I linguisti, in
particolar modo, respingevano la sinonimia perché, ai loro occhi, le variazioni stilistiche non erano altro che
differenze semantiche: due termini non hanno mai lo stesso significato. Combattendo questo dualismo, la
nuova descrizione linguistica promossa negli anni ’60 voleva costituire una stilistica dell’unità di linguaggio e
pensiero, o piuttosto un’antistilistica che capovolgesse l’assioma della vecchia stilistica, dei mezzi e dei
procedimenti.

 Norma, scarto, contesto.

Una descrizione linguistica è letteraria? O esiste, tra le due, un livello che rende un trattato linguistico come
letterariamente significativo, vale a dire marcato poeticamente per il lettore? Tradizionalmente, le nozioni di
norma e scarto consentivano di risolvere la questione della pertinenza letteraria di un tratto linguistico. Lo
stile, infatti, era la licenza poetica, lo scarto in rapporto all'uso del linguaggio considerato normale.
Concepire, però, lo stile come scarto o enfasi presuppone una norma o una referenza: un'intenzione, un
pensiero esterno al linguaggio o che gli preesiste. L'enfasi si misura rispetto a un sinonimo, ma anche
rispetto al contesto oppure è il contesto che consente di svelarla. Si passa, così, da una nozione di scarto
rispetto ad una norma a una nozione di scarto rispetto al contesto. Lo stile, dunque, costituisce uno scarto
segnalato dal contesto.

 Lo stile come pensiero.

La stilistica di Spitzer era basata sul principio dell'unità organica di pensiero e lingua, sia per l'individuo sia
per la collettività. Con lo studio dello stile, grazie alla caratterizzazione dell'individualità di uno scrittore,
attraverso la sua deviazione stilistica, si sperava di poter gettare un ponte tra linguistica e storia letteraria. Lo
stile sta nel soggetto e il soggetto sta nello stile. Lo stile dunque, non ha quindi in sé nulla della scelta
cosciente dell'autore, ma, in quanto deviazione, è l'espressione di una “radice psicologica” dell’autore
stesso.

 Il ritorno dello stile.

Lo stile è sopravvissuto agli attacchi della linguistica. Dire in un altro modo la stessa cosa significa dire
un'altra cosa? La risposta è semplice: la sinonimia, senza la quale lo stile non sembrava pensabile, non è
indispensabile affinché esista lo stile stesso, ossia per legittimarne la categoria. La sinonimia, infatti, è
sufficiente affinché vi sia stile, ma presupporla è chiedere troppo. Per salvare lo stile, infatti, non si è
obbligati a credere alla sinonimia, ma soltanto ad ammettere che ci sono modi molto diversi per dire cose
molto simili. Il principio secondo cui ci sono più modi per dire la stessa cosa viene, di conseguenza,
sostituito con quello secondo il quale ci sono modi molto diversi per dire più o meno la stessa cosa.
L’imitazione è la prova dello stile, molte opere sullo stesso tema possono avere diversi stili e molte opere su
soggetti diversi possono avere lo stesso stile.

 Stile ed esemplificazione.

La definizione di stile come firma è quella che poi ha dominato, almeno per quanto riguarda storia dell’arte,
che ha definito l’oggetto stesso della disciplina. Lo stile come firma si applica altrettanto bene all’individuo,
al movimento o alla scuola, alla società. Nelson Goodman afferma che uno stile è una caratteristica
complessa che serve in qualche modo come una firma individuale o collettiva. In parole povere, lo stile
ricopre la funzione esemplificativa del discorso ed è firma; è, cioè, un fascio di indizi o esemplificazioni che
consentono di individuare e caratterizzare la personalità e la singolarità peculiare dell’autore.

 Norma o aggregato.

In stilistica si è prodotto uno spostamento analogo a quello che ha consentito ai linguisti contemporanei di
ripensare il rapporto tra la langue e la parola lasciatoci da Saussure e modificato in seguito. Lo stile è
impensabile senza; generalità e singolarità, senza il rapporto tra invariante e variazioni, tra la norma e lo
scarto, tra il generale e il particolare.

Tre aspetti dello stile sono ritornati in primo piano:

1. Lo stile è una variazione formale sulla base di un contenuto (più o meno) stabile.

2. Lo stile è un insieme di tratti caratteristici di un'opera che consentono di identificarne e di riconoscerne


l'autore.

3. Lo stile è una scelta tra più "scritture".

Lo stile come norma, prescrizione o canone non è stato riabilitato, ma a parte questo lo stile esiste
esattamente come prima.

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