Non necessariamente la teoria lavora in favore della critica; vi sono anche teorizzazioni
sull’arte e la letteratura che tolgono terreno all’analisi critica, o ne limitano i poteri.
Platone (428 – 348 a.C.) → Si trovano le avvisaglie nella filosofia di Platone. Da un lato
nella Repubblica Platone arriva al ripudio e quasi alla censura delle “favole false”
dei poeti: non ad esse ma solo ad imitazioni che propongano buoni modelli sociali deve
ispirarsi l’educazione nello stato ideale. Tuttavia Platone stesso aveva offerto una
diversa soluzione tutta in favore della differenza inebriante dell’arte: nel dialogo
intitolato Jone la poesia è un sacro furore (in greco→ mania) che apparenta il poeta a
un essere divino. Egli è trascinato e alterato (è fuori di mente), il fuoco del suo animo è
paragonato alla forza magnetica che tiene uniti gli anelli di una catena.
Nozione di sublime → Gli spunti di Platone torneranno attivi nella nozione di sublime
(sub limen, oltre la soglia). L’arte ha qualcosa che oltrepassa il limite della
ragione. L’anonimo trattatista Del Sublime (Pseudo Longino) pone i grandi autori al di
1
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
sopra delle esistenze comuni in quanto fonti di travolgente entusiasmo. Come l’autore è
un posseduto dalla divina ispirazione, così l’ascoltatore è travolto dall’irresistibile
signoria del suo empito. Il sublime mira all’esaltazione. Questa forza rapinosa può
essere oggetto di studio e di insegnamento. Ma il commento agli autori dimostra
sempre che la tecnica non basta. Nel greco dello Pseudo Longino il sublime suona
Hypsos, che significa vetta, altezza: in confronto alla quale il critico rimane sempre a
un livello inferiore.
Età classica → Sublime → da “sub limen”, oltre la soglia; l’arte ha qualcosa che
oltrepassa il limite della ragione.
Pseudo Longino, trattatista anonimo Del Sublime (1° metà del I secolo d.C.), pone i
grandi autori al di sopra delle esistenze comuni, dotati di “divina ispirazione” capace di
travolgere l’ascoltatore (il sublime mira all’”esaltazione”).
Per quanto il sublime possa essere materia di studio, il critico rimarrà sempre ad un
livello inferiore (Il sublime suona hỳpsos, “altezza”, “vetta”).
Pseudo Longino riemergerà nella trattatistica cinquecentesca.
Nel Settecento il teorico inglese Edmund Burke (1729 – 1797 d.C.) nell’”Inchiesta sul
bello e sul sublime” ripropose la nozione di sublime mescolata a questioni di gusto e
degli effetti dell’arte sulla sensibilità.
Sublime → genera stupore
≠ genera impressione
Bello → genera rilassamento
Secondo Burke, i poeti continueranno ad avere successo anche senza la
conoscenza critica.
Il piacere guarda con sospetto la critica (dal greco krìnen, “giudicare, separare”).
2
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Mezzi
Versi;
Prosa.
Oggetti
Persone imitate nobili (tragedia);
Persone imitate ignobili (commedia).
Spiegazione tecnica
“Come devono essere costituite le favole se si vuole che l’opera del poeta riesca
perfetta?”
La catalogazione sui generi rappresenta anche il “dover essere” secondo cui l’opera
viene misurata. Il modello può anche funzionare retroattivamente come metro di
giudizio per le opere già scritte.
Aristotele lega l’ideale della bellezza all’”unità” dell’opera (opera = organismo vivente).
La teoria di Aristotele della “catarsi” (purificazione) non coincide con quella di
Platone della “manìa”: nella Poetica, la tragedia, mediante casi che suscitano pietà e
terrore, produce purificazione (catarsi) delle passioni. Questi sentimenti ambivalenti
vengono superati da una presa di coscienza degli spettatori.
Ripresa del classicismo
Arte poetica di Orazio (65 – 8 a.C.) → Scritto più maneggevole; consigli su ciò che la
poesia dev’essere:
Il tema dev’essere “semplice ed uno”, e non cambiare in corso d’opera;
Tono confacente alla vicenda;
Riprendendo un personaggio dalla tradizione il suo carattere non venga cambiato e
che quello di tutti i personaggi resti costante nell’opera.
Funzione della poesia per Orazio fra il delectare (piacere) e il prodesse (valore
educativo) → concordanza di utile e piacevole.
Eredi di Aristotele → trattatisti italiani (Poetica in latino nel 1498, in greco originale nel
1508).
Ci furono interpretazioni tendenziose della Poetica:
Criterio dell’unità, fissato nelle tre unità (d’azione, di tempo e di luogo);
Catarsi, prima intesa come piacere mentale ora come purgazione dalle passioni
perturbatrici quali ira, avarizia e lussuria (morale cristiana);
Principio dell’arte come imitazione ripreso nel senso dell’esemplarità della
tradizione classica, assunta a guida del rinnovamento culturale.
Vennero analizzati i testi e la ricerca sui generi si allargò anche a quelli non trattati da
Aristotele (es. satira ed elegia).
Lodovico Castelvetro (1505 – 1571 d.C.) → Maggior aristotelico italiano, commenta la
Poetica con un’inclinazione verso la normatività, assumendo a fondamento la logica
della verosimiglianza; il semplice verosimile naturale viene integrato con il
“ragionevole”. Viene inoltre esaltata l’autocoscienza: il poeta è tenuto a sapere “la
cagione perché faccia quel che fa”.
Dialogo De gli eroici furori di Giordano Bruno (1548 – 1600 d.C.) → Del versante
platonico, è contrario alla codificazione dei generi letterari, afferma che le regole
derivano da poesie, e non si può quindi imporle.
3
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Intendono l’imitazione dei grandi autori come emulazione della loro ingegnosità e si
concentrano sulla nozione di acutezza.
L’acutezza e l’arte dell’ingegno di Baltasar Graciàn (1601 – 1658 d.C.) e Il cannocchiale
aristotelico di Emanuele Tesauro (1592 – 1675 d.C.) → Riferimento più all’Aristotele
della Retorica che a quello della Poetica .
Il problema non è più la verosimiglianza ma l’abilità nell’”insaporire” una realtà di
per sé cruda. I barocchi valutano l’invenzione e la novità, e continuano a descrivere la
materia letteraria con le categorie nella convinzione che l’esito dell’ingegno sia sì un
miracolo, ma frutto del sottile ragionare. Il valore del testo letterario è proporzionale
alle difficoltà superate. Il fine che si propongono i barocchi è di sollecitare il destinatario
con una continua stimolazione, tenendolo in sospeso per poi sorprenderlo con esiti
inaspettati, da cui la meraviglia.
Nicolas Boileau (1636 – 1711 d.C.) → Nell’Arte poetica riafferma il modello oraziano.
L’esposizione in versi, l’equilibrio, il giusto mezzo, la naturalezza e l’armonia vengono
posti come valori alla luce del “buon senso”. Predica la chiarezza chiedendo al testo
letterario di comunicare senza costringere il lettore ad alcuna fatica secondo il valore
della scorrevolezza. La razionalità propugnata da Boileau non si dimostra attraverso
la costruzione di un dover essere in sé coerente ma avallata dal rimando al pubblico.
Porsi il problema del pubblico, di come tenerne desta l’attenzione, indica che il
consenso sui valori artistici va conquistato sul campo.
4
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
l’allegoria, termine che indica il dire altro. Le assurdità del mito potevano essere intese
come un meraviglioso rivestimento di concetti morali, strumento che servì alla
circolazione dei classici pagani nel mondo cristiano. Nel medioevo l’interpretazione
assumerà un prioritario ruolo culturale: nel cristianesimo la religione si fonda su un
libro, la Sacra Scrittura, che parla per enigmi e parabole. Più che alla razionalizzazione
del mito, l’esegesi biblica tende ad accedere al senso mistico, al mistero velato nella
Parola. Occorre anche riconoscere all’esegesi una produttività inventiva che arrivò ad
articolarsi nella dottrina dei 4 sensi: letterale, allegorico (un personaggio
rappresentava una virtù), morale (indicazione per il comportamento) e anagogico (una
proiezione nella prospettiva della storia della salvezza).
Dante (1265 – 1321 d.C.) → Adottò la dottrina dei 4 sensi soprattutto nelle pagine del
Convivio mediante l’autocommento che scrive (in volgare) a ridosso dei propri testi
come integrazione e aiuto alla comprensione. Dante evidenzia il “di più” di ragione che
si ottiene spiegando il senso letterale in vista del raggiungimento della verità allegorica
nascosta sotto il manto delle favole.
Questo tirar fuori qualcosa di profondo e di non immediatamente visibile non è senza
problemi: infatti una volta che si è perduta la certezza nel senso immediatamente
comunicato, sembra che nulla possa frenare l’arbitrarietà dell’interpretazione. Si può
capire ciò che si vuole? Il sospetto contenuto in questo interrogativo produrrà alle soglie
dell’età moderna una divaricazione tra commento filologico e interpretazione critica.
Benedetto Spinoza (1632 – 1667 d.C.) → Nel suo Trattato teologico-politico sostiene che
si debba distinguere tra verità e senso letterale: è il secondo che può essere
stabilito, mentre riguardo alla prima bisogna lasciare a ognuno il diritto di giudicare
liberamente. Spinosa precisa anche alcuni criteri in base ai quali elucidare il senso della
Scrittura: l’uso della lingua, il contesto, la storia dei testi. Ciò che abbiano voluto
significare i profeti sono geroglifici in senso negativo perché il significato non possiamo
dedurlo ma solo cercare di indovinarlo. È evidente che la polemica di Spinoza riguarda il
fissarsi autoritario dell’interpretazione. Restituisce all’interprete la sua libertà.
Denis Diderot (1713 – 1784 d.C.) → Anche nella sua Lettera sui sordomuti l’illuminista
adotta il termine geroglifico, in chiave però positiva. Bisogna allontanarsi dal livello
immediato del senso. Occorre cogliere lo spirito che anima e vivifica simultaneamente
tutte le parti del testo, un tessuto di geroglifici ammucchiati gli uni sugli altri che lo
dipingono. Ogni poesia è emblematica. Il fatto che questo livello di comprensione non
sia concesso a tutti non toglie che il nodo decisivo risieda nel geroglifico per quanto
delicato e sottile esso sia. Diderot ricorda il valore gestuale della comunicazione umana.
Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher (1768 – 1834 d.C.) → Con la sua ermeneutica
romantica, all’interpretazione riservata ai passi oscuri si sostituisce una
interpretazione dell’autore, riportando il testo alle caratteristiche psicologiche dello
scrittore. Si parla di ermeneutica psicologica.
1.4 La critica militante e il problema del gusto (le teorie del gusto)
Orazio → Nell’Arte Poetica la figura del critico viene evocata contro l’invadenza e la
presunzione dei cattivi poeti. Il critico deve diventare un Aristarco (archetipo del
giudice severo) nel correggere i dettagli. La funzione della critica nell’età classica è
eminentemente emendatrice.
Nicolas Boileau → Nell’Arte Poetica la critica si esprime ancora con consigli e rimproveri,
ma amplificando i toni dello scontro in quella che è ormai la battaglia letteraria.
Saverio Bettinelli (1718 – 1808 d.C.) → Passerà i moderni al vaglio degli antichi,
immaginando Virgilio nelle vesti del critico esigente; nelle sue Lettere Virgiliane si fa
strada la coscienza che nessun modello vada preso in assoluto. Anzi proprio là dove
incontra i grandi uomini la critica deve farsi attenta e non confondersi con la stima che
si può provare.
5
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Joseph Addison (1672 – 1719 d.C.) → Il critico opera con nuovi strumenti. La diffusione
dei giornali e delle riviste a sfondo culturale e letterario come il suo “The Spectator”
inglese (tra il 1711 e il 1714) riuscì a raggiungere un’alta tiratura rivolgendosi a una
cerchia molto vasta, comprensiva delle famiglie e del pubblico femminile. La letteratura
vi veniva trattata all’interno delle questioni del costume e della moda, in un tono
accattivante e ricreativo. Il critico del giornale lavora per guidare il lettore a delle giuste
scelte in ambito librario. Mentre il commentatore arriva dopo, a cose fatte, e il
trattatista si pone prima dando modelli da seguire, emerge nei primi periodici letterari
la figura di un critico che interagisce con i testi, con un intervento disseminato nel
tempo, seguendo il farsi della letteratura in atto. Il modo con cui esso si afferma è ormai
quello della critica militante. Addison rappresenta il tipo di critico che pretende
autorevolezza proprio perché fuori della mischia, si vuole neutrale spettatore.
Trattatista → agisce prima dando modelli
Critico che interagisce coi testi → critica militante (critica sui testi attuali)
Commentatore → agisce dopo a cose fatte
L’intervento periodico può favorire invece la presa di posizione. Tale sarà il caso di
due periodici in Italia tra loro rivali:
Giusppe Baretti (1719 – 1789 d.C.) → Con la sua Frusta letteraria (tra il 1763 e il 1765)
assume i panni di un nuovo Aristarco (anzi il suo alter ego fittizio è Aristarco
Scannabue). Baretti interpreta la funzione del critico, con un impegno non arreso ai
gusti prevalenti e pronto a schierarsi controcorrente. Il bersaglio preferito della frusta è
l’Arcadia. Contro la maniera stereotipata Baretti si richiama ancora di più che al buon
gusto, al buon senso. Il suo pregio sta nella straordinaria effervescenza stilistica.
Pietro Verri (1728 – 1797 d.C.) → All’insegna della combattività si apriva Il Caffè,
animato da Verri insieme al fratello Alessandro (1741–1816 d.C.) e a Cesare Beccaria
(1738 –1794 d.C.)(Accademia dei Pugni). Il Caffè è una rivista di tendenza calata in un
progetto di risveglio intellettuale, in cui viene contestato con decisione il valore
normativo dei precetti formali e dello stesso purismo linguistico. Verri sostiene che il
critico non deve restringere la prospettiva appigliandosi a qualche “piccolo difetto” ma
deve intendere l’effetto d’insieme dell’opera.
6
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
prospettiva della comunità umana), pensare in modo da essere sempre in accordo con
se stessi (in modo conseguente).
Johann Gottfried Herder (1744 – 1803 d.C.) → Nella sua filosofia, la collocazione dei
prodotti culturali nella loro propria casella cronologica è l’indizio di un atteggiamento
tollerante che tendenzialmente accoglie la validità di tutti i contributi portati al
patrimonio dell’umanità, nel corso del tempo. Di fronte a ciascuna epoca occorre porsi
non nella posizione del giudice che valuta il vantaggio o lo svantaggio ma
nell’immersione della simpatia. La storicità apre la strada alla comprensione
giustificativa.
La storia si separa dalla critica? La storia letteraria è una branca della storia o va
compresa tra i generi della critica? Nel primo caso i libri andrebbero trattati al pari dei
fatti e degli eventi e quindi inventariati senza gerarchie di valore, sulla base della loro
“datità” cronologica. Il secondo caso invece la storia letteraria verrà vista come il
culmine di una stagione culturale in cui la storia letteraria verrà condotta a concentrarsi
sui testi rilevati dal giudizio estetico.
Storia letteraria nella critica → sviluppo nell’’800; “letteratura” indica solo le arti della
parola
Bertolt Brecht (1898 – 1956 d.C.) → Rapportare il testo alle tensioni storiche significa
non farsi illusioni circa il suo disinteresse; per quanto l’arte tenga spesso ad apparire
superiore alle motivazioni di tipo materiale, è tuttavia lecito interrogarsi sull’interesse
dell’arte. Il drammaturgo tedesco suggerirà l’analisi degli scritti come funzionari da
un punto di vista sociale per verificare quanto essi possano giocare in difesa di una
certa cultura o avere influenza su determinati strati della popolazione e la misura in cui
sono in grado di incidere sulla situazione sociale esistente.
7
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Friedrich Schiller (1759 – 1805 d.C.) → I punti chiave della posizione romantica sono
espressi dal suo saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale. La questione principale
che vi si apre è quella della discontinuità con la tradizione: tra gli antichi e i moderni
viene tracciato il solco di una differenza sostanziale nel modo di fare poesia. La causa di
questo mutamento è posta da Schiller nella separazione dalla natura. L’uomo
moderno non vive in modo naturale e quindi deve cercare la natura fuori di sé. La
poesia sentimentale dei moderni è costretta ad andare alla ricerca della naturalezza
perduta e a riflettere sulla perdita stessa. La scissione costituisce un arricchimento: il
moderno, poiché per lui il reale e l’ideale non possono coincidere, opera su un
doppio livello facendo interagire la sensibilità e l’immaginazione degli oggetti particolari
con le idee generali della ragione. Schiller si adopera a suddividere la poesia
sentimentale in generi che discendono dalla scissione tra reale e ideale: satira (quando
l’ideale fa contrasto con il reale e lo rende oggetto della sua avversione), elegia
(quando c’è oscillazione tra la natura perduta e l’ideale irraggiungibile) e idillio (quando
si è conseguito un accordo tale da riconciliare l’ideale e il reale). Schiller mette a
confronto lo stato d’animo dei moderni rispetto agli antichi (teso, in movimento –
sereno). Non sceglie in favore della dinamicità; tuttavia, quando discorre dell’effetto
poetico, esprime le proprie notazioni positive in termini di tensione, potenza, forza,
impulso, pathos.
Discontinuità con la tradizione → ora si cerca la natura fuori di sé → reale ≠ ideale
(valore aggiunto) → satira (contrasto), elegia (oscillazione) e idillio (accordo)
8
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
In Europa, dopo la Restaurazione, i valori che prevarranno sono quelli della spontaneità,
del “traboccare del sentimento”, dello stato emotivo diretto soprattutto al “cuore”, del
sublime tradotto in facile empito e rivolto a un pubblico “popolare”. Dove prevale il
patetico, la riflessione critica non ha granché luogo a procedere. Vediamo alcune
eccezioni.
Più interessante risulta essere il confronto tra Alessandro Manzoni (1785 – 1873 d.C.) e
Giacomo Leopardi (1798 – 1837 d.C.). Sia Manzoni che Leopardi ritengono decisivo
giudicare l’effetto della poesia. Manzoni, al fine di giustificare l’impiego della verità
storica nella tragedia, sostiene che i fatti reali suscitano in noi un più forte interesse,
un’attrazione più viva, infine una maggiore simpatia per i personaggi del dramma. La
discussione sulle unità aristoteliche viene risolta dal Manzoni con il rifiuto delle regole e
la rivendicazione della libertà dell’artista, che deve attenersi soltanto al soggetto che si
è scelto, trattandolo in modo da incidere con la massima potenza al punto da gettare gli
uomini fuori di se stessi. Leopardi valuta la poesia secondo la capacità di suscitare
l’interesse.
Differenze tra Manzoni e Leopardi: In Manzoni c’è una sorta di svuotamento (il
destinatario è trasportato fuori di sé) in Leopardi un riempimento delle facoltà umane.
Manzoni modella la sua teoria su una “catarsi” rivolta verso uno scopo morale; per
Leopardi l’effetto riguarda la sensibilità e la vitalità in modo quasi fisico. In Manzoni le
passioni vengono sollevate per mostrare come la forza morale possa riuscire a
dominarle. In Leopardi il valore classico dell’unità dell’opera è superato dal valore del
movimento e del contrasto. Manzoni dà ai problemi sollevati dal romanticismo la
soluzione più tradizionale, mentre Leopardi risulta il più affine alla concezione dinamica
propria della linea Schiller-Schlegel-Novalis.
Manzoni Leopardi
Decisivo giudicare l’effetto della poesia
Fatti reali = + interesse
Rifiuto delle regole
Dominazione delle
passioni
Svuotamento Riempimento
Catarsi morale
Tradizionale
Sensibilità e vitalità
fisica
Dinamico
9
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Ugo Foscolo (1778 – 1827 d.C.) → In questa prospettiva cade ad esempio il Vi esorto
alle storie di Foscolo, del quale è utile tener presente l’esigenza di un libro che da un
lato spieghi le cause della decadenza dell’utile letteratura, e dall’altro non si astenga
dal giudizio sugli autori, intervenendo più nel merito che nel numero degli scrittori.
Perché qui tocchiamo alcuni problemi di rilievo: l’esigenza di una linea storica che
metta ordine nei fatti e il superamento di una storiografia meramente compilativi. Ci
sono 2 rischi: il rischio di imporre alla storia un modello di evoluzione ideale
aprioristico (slegato dall’esperienza, razionale a priori) e il rischio di ridursi a un
pellegrinaggio tra i capolavori.
Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770 – 1831 d.C.) → L’arte nel suo complesso
rappresenta una fase nella vita dello spirito umano destinata ad essere superata
nel progresso verso il compimento dello Spirito assoluto. Nei gradi di questo progresso
l’arte deve cedere il passo alla religione e alla filosofia. È la “morte dell’arte”.
L’arte ha cessato di essere il bisogno supremo dello spirito. La storicità ha il cammino
segnato: le fasi devono esattamente derivare dal dispiegamento delle potenzialità insite
nell’idea. Le fasi sono 3: la fase iniziale (l’arte simbolica dell’Oriente e dell’antico Egitto)
sarebbe caratterizzata dal prevalere della forma; la fase centrale (l’arte classica greco-
romana) dall’armonia e dalla mediazione tra i due termini; la terza e ultima fase (l’arte
romantica, che in Hegel viene generalizzata a coprire tutta la produzione artistica dopo
l’avvento del cristianesimo) dal prevalere del contenuto.
Fase iniziale → Prevalenza della forma
Fase centrale → Mediazione dei due termini
Fase finale → Prevalenza del contenuto
Francesco De Sanctis (1817 – 1883 d.C.) → Riflettendo sulla storiografia precedente non
troverà accettabili né le idee preconcette di chi ha giudicato tutto già in partenza, né
l’aggregazione estemporanea di un “informe compilazione piena di lacune e d’imprestiti
e giudizi superficiali e frettolosi e partigiani”. De Sanctis riuscì a rendere ricco di
contrasti e denso di spessore teorico il tracciato delle grandi linee della storia e nello
stesso tempo a mantenerlo aperto ai risultati dell’indagine empirica. Nella parte
conclusiva della sua Storia della letteratura italiana propone di unire le due
tendenze, quella ideale e quella storica, speculazione e investigazione, costruzione
mentale e ricerca concreta. De Sanctis subisce l’influsso hegeliano ma ne ribalta il
modo di procedere: non è la storia ad adattarsi allo svolgersi dell’idea, ma l’idea a
estrinsecarsi secondo le condizioni poste dalla situazione storica. Il suo disegno storico
mette al centro soprattutto il problema del cambiamento culturale, della elaborazione di
una nuova cultura. Finché questa nuova cultura non appare, la letteratura non riesce a
compiere nessuna svolta decisiva. Perché l’arte è un fatto sociale, un risultato della
cultura della vita nazionale. Perciò, alle spalle dello storico che colloca gli autori
secondo la posizione che hanno avuto nello sviluppo evolutivo, deve sempre agire il
critico con il suo giudizio di valore. La genesi dell’opera è lo sviluppo organico, naturale,
vivo, di un certo contenuto in una certa forma. Mentre lo storico ha modo di apprezzare
molti autori, il critico è quasi sempre insoddisfatto per via degli ostacoli di natura storica
che hanno impedito la riuscita perfetta. Lo sviluppo culturale e quello delle tecniche
letterarie trovano il loro punto di confluenza nella personalità dell’autore. Essa
diventa centrale nella Storia desanctiana e lo stesso giudizio critico il più delle volte
consiste nel vedere quale ruolo vi prevale: se l’uomo (quando il nuovo contenuto
viene colto ma rimane grezzo e non realizzato), l’artista (quando lo scrittore raggiunge
10
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Critica russa:
Vissarion Belinskij (1810 – 1848 d.C.) → Partendo da un idealismo in cui l’arte è
espressione della “grande idea dell’universo”, andò legando sempre più la propria
lettura dei testi con il livello generale della situazione sociale e storica. Considerava i
testi letterari sempre immersi nella vita pubblica. In questa ottica, quelli che
esteticamente sarebbero difetti potranno apparire addirittura pregi. L’arte esprime la
società e ne tratteggia il quadro fedele. Lo sguardo critico di Belinskij anticipa il
realismo.
Nikolaj Dobroljubov (1836 – 1861 d.C.) → Con lui la letteratura continuerà ad essere
collegata alla vita reale. Egli comincia a porsi il problema della politicità del testo.
Sostiene che non è necessariamente compito dell’autore dare oltre al problema anche
la soluzione. Il critico in questa prospettiva non è tanto il giudice dell’opera quanto
l’avvocato che ne perora la causa. Il miglior metodo critico è quello che lascia al lettore
la possibilità di pervenire alla sua conclusione da solo.
Alessandro D’ancona (1835 – 1914 d.C.) → Sostiene che la “tela” della storia deve
essere tessuta mettendo in ordine i “fatti” senza “voli ambiziosi” (raccogliere tutti i
particolari).
Hippolyte Taine (1828 – 1893 d.C.) → Con la sua Filosofia dell’arte si pone davanti alle
opere come a dei fatti dei quali è necessario indagare le cause. La prima mossa è quella
della contestualizzazione storica a partire dal presupposto che l’opera non è isolata
ma sta in relazione alle altre opere dell’autore, a quelle della sua scuola, alla cultura e
al gusto di un’epoca e può essere spiegata solo rifacendosi all’insieme da cui dipende
(una pianta si trova diffusa secondo certe caratteristiche del clima). Per comprenderla
esattamente dobbiamo avere un’idea dello stato generale dello spirito e dei costumi del
suo tempo che ne sono la causa principale. La scienza non condanna né perdona:
constata e spiega (si deve studiare sia l’arancio che l’alloro). Le creazioni
11
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
12
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Giosue’ Carducci (1835 – 1907 d.C.) → In Italia sarà lui ad assommare in sé le figure del
poeta-critico e del critico-professore. Carducci non si sottrarrà al dettaglio delle ricerche
erudite e alla raccolta dei materiali. Il valore poesia rimane al di là dell’erudizione.
A cavallo tra biografia, storia e partecipazione, si muove il danese Georg Brandes (1842
– 1927 d.C.) → Delle sue opere si ricorda l’allargamento fuori dei confini nazionali,
13
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Edgar Allan Poe (1809 – 1849 d.C.) → Nei suoi scritti circola un’idea di “Bellezza”
come avvicinamento a un’essenza metafisica che non si può cogliere in poesia che
per brevi indistinti barlumi. Getta le basi del simbolismo. Ma poiché la “Bellezza”
tende a coniugarsi con l’”Originalità”, bisogna considerare la tecnica che ha analizzato
nel commento nella sua Filosofia della composizione.
Baudelaire → Afferma che il bello è sempre bizzarro. Non più un ideale eterno ma
mosso dalla contraddizione, in quanto aperto al relativo, al transeunte (effimero), alla
rapida trasformazione della modernità: una bellezza che fa i conti con la contingenza e
la storicità.
Walter Pater (1839 – 1894 d.C.) → Per lui essenziale non è solo avvertire la bellezza ma
anche spiegare e analizzare l’impressione ricevuta. L’apprezzamento dei punti
elevati, dei vertici, dei momenti eletti, conduce al collegamento extrastorico tra gli
artisti di genio, tutti ugualmente ospiti nella casa della bellezza e tuttavia ciascuno
secondo il proprio modo. La bellezza è relativa e non se ne può dare una definizione
astratta. Il fascino è qualcosa di peculiare, l’incanto è unico, la bellezza singolare. Pater
ricorre alla biografia, in quanto il valore storico di un autore risiede nella sua epoca, il
valore estetico nella sua individualità.
14
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Benedetto Croce (1866 – 1952 d.C.) → A partire dalla Estetica, egli lavora a
suddividere l’attività dello Spirito in diversi ambiti: l’estetica risulta così separata
dal pensiero concettuale, come la sfera economico-pratica da quella della morale.
Secondo la “dialettica dei distinti”, l’arte viene distinta dalla logica: essa è
conoscenza, ma conoscenza pre-logica, intuitiva, che non adopera concetti bensì
immagini. L’arte è intuizione. Croce terrà costantemente a escludere dal bello i livelli di
riflessione più elaborata e, paradossalmente, un sistema di pensiero verrà messo in
opera per recuperare la posizione del “lettore ingenuo”. Croce vede nell’intuizione
qualcosa di già pacificato. Il sentimento contemplato è destinato a essere risolto e
superato per virtù dell’arte. L’intuizione artistica è un momento superiore alla semplice
percezione e sensazione. L’intuizione valida è quella già corredata della sua
espressione, quindi già in qualche modo formata. Per Croce non è un processo che porti
dal contenuto alla forma ma i due aspetti debbono emergere insieme. L’estetica
crociana perviene al privilegiamento della forma ma lo scrittore non deve andare per
nulla alla ricerca della forma migliore. L’espressione non può essere trovata già pronta
in regole prefissate. Dal punto di vista crociano l’estetica non può giovarsi di alcun
metodo comparativo: i paragoni tra due artisti diversi danneggiano l’uno e l’altro.
Croce, ad escludere molti dei modi di approccio al testo che si erano imposti nell’800,
non ammette la spiegazione attraverso le cause esterne. L’opera letteraria non può
essere riassorbita nella storia perché le intenzioni dichiarate dell’autore non sono
ritenute sufficienti, in quanto l’intuizione è al di là della consapevolezza. Anche i ponti
tra critica e biografia risultano tagliati. Croce riduce l’importanza dell’erudizione.
Nell’estetica l’unica soluzione possibile sembra quella della compartecipazione. Non
resta che ricreare l’opera in noi. Il metodo critico proposto da Croce coinciderebbe con
l’immedesimazione fino alla stretta identità. Eppure nemmeno in questa forma il
movimento della comprensione perde di mira il giudizio. La critica che Croce deriva
dalle proprie convinzioni estetiche è sempre volta all’apprezzamento. Per
contrassegnare il valore artistico Croce sceglierà il termine “poesia”, divenendo
sinonimo di “bello”, contrapponendo il valore assoluto di “antipoesia” e quello relativo
di “non poesia” (es. muro con i fiori). Con la Poesia Croce riesce ad articolare
maggiormente l’operazione critica. Accanto al bello è possibile rintracciare il
“caratteristico”, cioè quel motivo generatore che permette di definire lo stato d’animo
fondamentale di ciascun autore. Nella Poesia viene puntualizzata la connessione tra
estetica e storia. Ciò non comporta però né la spiegazione dell’arte attraverso i
mutamenti sociali, né la sua connessione con la sfera pratica. L’unico orizzonte
storico concepibile è quello di una comunione eterna delle opere belle. La
posizione di Croce fu a lungo egemone in Italia e non senza influssi sul resto d’Europa.
Certo, i seguaci di Croce resero più elastico il suo metodo o ritornando all’arte come
sentimento, o puntando sulla degustazione di singoli frammenti avulsi dall’insieme.
Karl Vossler (1872 – 1949 d.C.) → Nei suoi scritti ecco che si affaccia la nozione di stile.
Renato Serra (1884 – 1915 d.C.) e Giovanni Boine (1887 – 1917 d.C.) → Portarono
l’impressionismo critico alle estreme conseguenze ma con soluzioni per molti versi
opposte.
Serra → Arrivò a seguire le impressioni fino al vero e proprio racconto della lettura.
Egli porta attenzione a tutta una serie di dati sull’autore e sui suoi luoghi prediletti.
Come avveniva nel precedente caso dell’eclettismo di Sainte-Beuve, Serra non avverte
15
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
contrasto: infatti per lui le impressioni stesse sono fatti, né più né meno che i dati
biografici. Ad essere esclusa è semmai l’emissione del giudizio, e questa è una
distinzione con Croce. Proprio per non prevaricare l’opera, Serra le offre molto spazio
attraverso l’abbondanza di citazioni dirette. E, non volendo apparire un giudizio esterno,
si attesta spesso sul rilevamento degli effetti prodotti dal testo. Il metro del valore non
è il bello definito filosoficamente come per Croce, ma l’incanto che l’opera ha saputo
creare catturando il lettore. Un altro termine che Serra usa come contrassegno positivo
è la “felicità”. Felice è sia il risultato conseguito dall’opera, sia lo stato che
essa procura. La differenza da Croce su questo punto si riduce di molto: l’ideale di
Serra è una letteratura improntata alla sobrietà felice dei classici e alla civiltà.
Boine → Risulta per molti aspetti il contrario di Serra. Per Boine il giudizio è
essenziale a costo di esercitarlo in maniera drastica (Plausi e botte). Quella di Boine
vuole essere una nuova frusta letteraria ed infatti l’Aristarco Scannabue di Baretti
viene rievocato espressamente. Una frusta che si esercita soprattutto sulla narrativa
commerciale ma anche sulla poesia di maniera. Il rifiuto viene formulato portando
all’eccesso la personalizzazione del discorso propria della critica impressionistica. Con
Croce, Boine intrattenne una dura polemica sulle pagine della rivista fiorentina “La
Voce”. Contro Croce, Boine propone di sostituire come termine della valutazione
positiva al “bello” il “grande”. Boine va alla ricerca dell’uomo e non del poeta. Ma il
riferimento all’uomo non finisce in un sereno biografismo, piuttosto a Boine interessano
il travaglio interno della personalità e il dissidio che rompe la sublimazione e vitalizia i
morti schemi letterari. L’ipotesi di scrittura che Boine come critico rintraccia riceve il
nome di lirica, ma in un senso molto diverso dall’uso fattone da Croce. In Serra la presa
del testo è considerata alla stregua di un magico incantesimo al quale ci si deve
abbandonare. In Boine invece il rapporto è visto come una scossa, un urto.
Paul Valery (1871 – 1945 d.C.) → È un lettore molto attento a ricostruire l’interiorità
dell’autore; ciò lo porta a contestare la validità della critica biografica, poiché i fatti
esterni non hanno nessun necessario riferimento al lavoro mentale che
produce l’opera (es. il sapore dei frutti non dipende dal paesaggio che circonda
l’albero ma dalla ricchezza invisibile del suolo). Con la sua concezione della poesia
come arte del linguaggio, pendolarmente oscillante tra suono e senso, Valery
consegna al futuro strutturalismo il problema del rapporto tra significante e significato.
È posto così il problema della libertà dell’interpretazione. Il poeta francese si esprime
contro la passività nella lettura.
Thomas Stearns Eliot (1888 – 1965 d.C.) → Secondo lui, la poesia contiene già al suo
interno il germe del lavoro critico e nondimeno il critico deve avere un senso fattuale
estremamente sviluppato. Gli strumenti principali sono soprattutto l’analisi e il
confronto. L’importanza della prospettiva storica è che il presente può essere
compreso solo rispetto al passato.
Virginia Woolf (1882 – 1941 d.C.) → La polemica riguarda il fatto che le donne
vengono scarsamente considerate nel mondo letterario e in partenza hanno
molte meno possibilità di accedere alla scrittura. Quando la Woolf si occupa delle
scrittici può prevalere l’interesse biografico e campeggiare la ricostruzione della figura
autoriale. Oppure l’uso dell’immaginazione per entrare nelle vicende come se si
partecipasse ad esse. O ancora l’impiego di metafore vivide. La Woolf vorrebbe calarsi
nel lettore comune e tuttavia continua ad affidare al critico di professione un compito di
supporto e di stimolo, non di autorità, ma di aiuto a specificare meglio le impressioni
16
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Parte seconda
Le grandi tendenze metodologiche del Novecento
Nella parte centrale del Novecento la riflessione della critica si è incentrata sulla
ricerca del metodo. Le correnti principali sviluppatesi sono: la critica formal-
strutturalista, che prende spunto da Saussure, la critica marxista, dall’analisi
politico-economica di Marx ed Engles e la critica psicoanalitica di Freud. Essendo
critiche che traggono fondamento da discipline esterne al campo letterario, nascono
nuove problematiche che, dovendo fondare un nuovo metodo, verranno analizzate in
ogni dettaglio.
Ciascuna delle grandi correnti ha avuto i suoi momenti di supremazia; è emersa infine
una tendenza anti-metodologica, la “fenomenologia della lettura” o “ermeneutica”.
Essa riporta in primo piano il rapporto “a due” del critico con l’opera e contesta al
metodo l’eccessiva rigidità e la pretesa di risultati “oggettivi”. Nonostante ciò, l’idea di
abbandonare del tutto la metodologia non è né utile, né accettabile. Le questioni
relative al metodo restano l’unica cosa su cui possiamo discutere. Le grandi tendenze
metodologiche sono insiemi coerenti di premesse, criteri, soluzioni e scopi. I “critici di
confine” sono coloro che non rientrano pienamente in queste categorie. Di fronte alla
crisi di idee e proposte, molti rispondono col ritorno al valore “classico”.
Critica formal-strutturalista → Saussure
Critica marxista → Marx e engles Metodi
Critica psicoanalitica → Freud
Tendenza antimetodologica
Louis Hjelmslev (1899 – 1965 d.C.) → Ha distinto espressione e contenuto, i due livelli
del significante e del significato. Con la linguistica si è diffusa anche una mentalità
scientifica, con atteggiamento analitico. La linguistica poteva essere usata come
strumento all’interno dell’interpretazione delle opere letterarie 1 o come modello
epistemologico2, per ricostruire il sistema di regole proprie del linguaggio letterario in
quanto tale.
Leo Spitzer (1887 – 1960 d.C.) → Egli mise a punto il metodo della stilistica. Parte dal
presupposto che esiste sempre un rapporto reciproco tra stato interiore e fatti di
linguaggi. Il critico, partendo da qualche tratto che si trova sulla superficie verbale,
17
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
deve arrivare ai centri emotivi. Si tratta di cogliere l’emersione espressiva che Spitzer
denomina spia stilistica e di ricondurla alla radice psicologica d’origine. Il critico parte
armato delle proprie impressioni che gli segnalano un particolare come un qualcosa di
decisivo ai fini dell’interpretazione. Il cosiddetto click che fa accendere la spia e mette
in azione l’analisi, può non essere evidente ed immediato. Spitzer raccomanda di
leggere e rileggere con pazienza. Inoltre questo elemento linguistico va sempre
sottoposto a una verifica: deve dimostrare di non essere un fatto contingente e isolato
ma un denominatore comune. Parola e opera dovrebbero ritrovarsi legate in una
armonia prestabilita (Wort und Werk). Spitzer ha teorizzato un movimento pendolare
dal particolare al generale, dalla circonferenza al centro del cerchio e viceversa,
denominandolo circolo filologico. I problemi inerenti alla stilistica sono soprattutto le
remore a risolvere l’atto critico nell’analisi linguistica. Una volta avuto accesso
attraverso le spie al centro dell’opera, le carte possono tornare in mano all’impressione
estetica. L’uso normale della lingua, chiamato anche standard o grado zero, è
difficilmente accertabile in modo definitivo. Si tratta di stabilire quali scelte lo scrittore
ha compiuto in quei punti della lingua che essendo più elastici offrono la possibilità di
diverse sfumature. Ma nessuno può trasferirsi nella mente dell’autore per sapere
esattamente quali scelte abbia compiuto e su quali alternative.
L’unico modo oggettivo è quello su cui ha puntato
Gianfranco Contini (1912 – 1990 d.C.) → Le uniche scelte reali operate dall’autore sono
quelle documentate sotto forma di correzioni.
Dai tratti verbali ai centri emotivi
Spia stilistica → etimo spirituale
Problemi:
Stilistica come scienza ausiliaria
Scarto dalla norma (dello scrittore dalla lingua) → critica delle varianti (correzioni
documentate)
Erich Auerbach (1892 – 1957 d.C.) → Successore di Spitzer, dispiega tutta la versatilità
del proprio metodo che è quello della campionatura. Mentre Spitzer coglie come
significativo un piccolo elemento all’interno del testo, Auerbach preferisce lavorare su
un campione abbastanza esteso contenente tutte le caratteristiche fondamentali dello
stile. Mimesis è un grande excursus storico che mette a confronto diverse soluzioni
stilistiche. Secondo Auerbach ogni testo prende posizione rispetto ai livelli stilistici e alla
loro gerarchia: o promuovendo la separazione (distanziando lo stile sublime dallo stile
basso), o (come nel medioevo e nell’età moderna) favorendo la mescolanza. Il testo è
comprensibile e giudicabile solo secondo i parametri del suo proprio tempo. Quella
auerbachiana è una stilistica storicizzante. La situazione sociale spiega lo stile.
Stilistica + storia → stilistica storicizzante con il metodo della campionatura
William Empson (1906 – 1984 d.C.) → Ha analizzato nei testi poetici le ambiguità in
tutti i loro tipi, ne distingue 7, riuscendo a cogliere in parafrasi l’oscurità e la ricchezza
di passi particolarmente ardui, senza escludere il momento apprezzativi. Nel mostrare
come determinati passi riescano a sfruttare la polivalenza dei significati depositati nella
lingua, Empson considera sia la creatività individuale che la convenzione collettiva.
Allen Tate (1899 – 1979 d.C.) e Cleant Brooks (1906 – 1994 d.C.) → Esponenti del New
Criticism. Più che un compatto indirizzo metodologico abbiamo a che fare con un’area
di prospettive critiche associabili in base al comune interesse per la lettura ravvicinata
con la molteplicità dei significati del linguaggio poetico, affrontando la complessità del
paradosso e dell’ironia e tenendo presente l’uso figurativo della parola in poesia.
18
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Osip Brik (1888 – 1945 d.C.) → Ha distinto l’impulso ritmico dalle leggi della
metrica in modo da poter avviare l’analisi del verso libero.
Allo stesso modo, nell’ambito dell’intreccio Šklovskij individua diversi schemi di
costruzione: a gradini (quando la storia procede per aggiunte successive), ad anello
(quando ad una azione fa seguito una contrazione), con intrecci paralleli, l’inserimento
di novelle in una cornice e così via. Viene privilegiato l’aspetto tecnico. I formalisti si
adoperano a portare alla luce i segreti di fabbricazione, cercando di vedere con quali
procedimenti l’opera organizzi i propri materiali. Sklovskij porterà all’estremo questa
impostazione fino a considerare ininfluenti i materiali e a ritenere che le motivazioni
tecniche siano le uniche decisive. In questa ottica, in cui il contenuto dell’opera è la
sua forma, si comprende l’interesse di Sklovskij per la messa a nudo del procedimento
e in generale per la parodia. Le leggi della costruzione vengono scoperte grazie ai testi
che le trasgrediscono.
Ritmo
Rima poesia → impulso ritmico ≠ leggi della metrica → Brik
Intreccio → narrativa → a gradini, ad anello, intrecci paralleli,… → Šklovskij
Il compito che si sono posti i formalisti non è valutare ma spiegare com’è fatto un
testo. Il critico come esperto inteso a dar conto del funzionamento dei meccanismi
letterari. Un tentativo di osservare più da vicino le funzioni dei singoli elementi testuali
venne compiuto da Propp sul corpus delle fiabe russe di magia. Scoprì che vi era un
unico schema attuato in modo diverso in ogni fiaba. C’è una costante che Propp
individua come una funzione del racconto a cui dà il nome di proibizione. L’analisi
morfologica mostra che le fiabe di magia si basano su un numero limitato di funzioni da
cui ogni fiaba attinge per comporre la propria sequenza.
Per Šklovskij la letteratura non avanza in linea retta ma per scarti e salti continui.
Tynjanov diede alla sistematicità l’estensione più ampia. Per lui l’opera letteraria è
un sistema, e un sistema è la letteratura. L’evoluzione letteraria dovrà essere
considerata come un avvicendamento di sistemi. La letteratura è vista come
costruzione verbale dinamica. Accanto al termine chiave di sistema assume grande
importanza la funzione. La funzione di uno stesso elemento può variare a seconda del
sistema in cui l’elemento viene incluso. Tynjanov tiene a distinguere autofunzione → un
elemento assume la funzione passando da un’opera all’altra nel percorso della
tradizione letteraria e co-funzione → è data dai rapporti con gli altri elementi
dell’”opera-sistema”. Una funzione è soggetta a mutamento: ad esempio un arcaismo
che in una certa epoca viene usato seriamente per nobilitare l’espressione, può
ricevere successivamente una funzione contraria ed essere usato in senso parodistico e
dissacrante. Tynjanov riconosce l’importanza della diacronia e non manca di
additare il problema con le funzioni linguistiche. La letteratura trae materiali dal
costume per rompere gli automatismi della tradizione. Inversamente, i fenomeni
letterari, una volta esaurita la loro funzione nel campo dell’arte, possono rientrare nel
costume.
19
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
dell’estetica e quindi anche la letteratura hanno una funzione che varia nel tempo.
L’opera non comunica singole realtà ma si rivolge alla coscienza del fruitore come un
tutto solidale. E solo in quanto tale essa ha un significato riferibile al contesto
complessivo dei fenomeni sociali. Tutte le componenti dell’opera vanno considerate
come portatrici di significato in quello che Mukařovsky chiama il processo semantico, e
devono diventare oggetto di considerazione per chi voglia rintracciare il senso
complessivo.
Claude Levi-Strauss (1908 – 2009 d.C.) è il fautore del vero e proprio strutturalismo
affermatosi in Francia. Il metodo viene applicato a tutti gli ambiti dell’attività umana,
non solo a quelli propriamente connessi al linguaggio, come i miti, ma anche ai rapporti
di parentela, alle usanze, all’alimentazione. Si tratta di individuare gli elementi
costitutivi di ogni fenomeno e di specificarne le relazioni, disponendoli in uno schema di
classi che si oppongono e si combinano fra loro (tratti distintivi). Applicando una
logica binaria, Lévi-Strauss riconduce fenomeni appartenenti a culture anche molto
distanti a strutture elementari ossia a un codice di base che darebbe nei diversi luoghi
soluzioni e combinazioni diverse, seguendo una struttura profonda comune a tutti: la
struttura dello spirito umano. Lo strutturalismo trova che tutto è segno, non solo i
linguaggi veri e propri ma anche le espressioni non verbali, l’abbigliamento, l’immagine
pubblicitaria, le buone maniere. Vedere come funziona un testo significa valutarlo
positivamente, perché funziona bene.
Tzvetan Todorov (1939 – vivente) → Parlando della poetica strutturale ha scritto che in
essa l’opera è vista solo come manifestazione di una struttura astratta della
quale essa è solamente una delle possibili realizzazioni. È possibile che il testo
venga considerato meno importante delle regole che esso implica. Qualsiasi
realizzazione sarebbe già contenuta nel sistema generatore che lascerebbe l’unica
libertà di variare le combinazioni. Qui verrebbe a costituirsi il dominio a parte di una
scienza della letteratura nettamente separata dall’interpretazione critica. Ma ci sono
state anche ricerche più limitate, su generi ristretti: così accade a Todorov sul
fantastico, posto sul filo dell’esitazione tra strano e meraviglioso e confinato a rigore nel
solo periodo dell’800. Piuttosto controversa era anche la differenza tra semiologia e
semiotica (la prima dovrebbe studiare i segni di tipo linguistico, cioè codificati; la
seconda ogni tipo di significazione).
Roland Barthes (1915 – 1980 d.C.) → È uno dei più rappresentativi esponenti dello
strutturalismo francese. Rifiutava la storia letteraria proprio perché ridotta a un seguito
cronachistico di autori. La critica per lui consiste nel decifrare la significazione e
nell’aprire l’opera non come l’effetto di una causa ma come il significante di un
significato. Barthes dava alla struttura soprattutto il valore di strumento metodologico.
Egli ha messo gli strumenti analitici al servizio di una lettura rapsodica tendente a
costellare il testo nella dispersività di un commento aperto a tutti i sensi possibili.
Gerard Genette (1930 – vivente) → Le sue ricerche insieme a Barthes disegnano un arco
evolutivo che cerca di uscire dalle strettoie del metodo strutturale. Genette ha
provveduto a contrastare l’illusione che il testo letterario potesse essere considerato
come un oggetto chiuso e a sé stante ed ha puntato sul rapporto del testo con altri testi
(intertestualità) che risulta particolarmente utile nel caso della parodia.
20
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Jurij Lotman (1922 – 1993 d.C.) → Definisce l’arte letteraria un sistema di simulazione
secondario. Secondario perché utilizza dei materiali preesistenti nella lingua naturale e
di simulazione perché pur realizzandosi nella sequenza lineare della scrittura, si
organizza in modo da configurare con i suoi rapporti interni una rappresentazione della
realtà, una simulazione del proprio contenuto. Lotman propone, per definire l’opera
d’arte letteraria, la nozione di segno integrale. Mentre nella lingua naturale il testo è
composto da segni, ciascuno dei quali è portatore di significato ed è a sua volta
scomponibile in elementi (le lettere delle parole) che di per sé non significano nulla,
nell’arte verbale il significato è dato soltanto dal testo preso per intero. Ciò
vuol dire che il testo diventa segno e che i segni che lo compongono ne diventano gli
elementi. È al livello semantico-lessicale che Lotman attribuisce il valore di strato base
non eludibile su cui si innestano tutti gli altri contributi al senso complessivo. L’ apporto
dei significanti è considerato quindi non tanto in chiave di autonomia totale ma come
aumento della ricchezza del gioco semantico, come incremento dell’informazione
portata dal testo.
Claude Bremond (1929 – vivente) → Nella sua Logica del racconto prende le mosse
dall’impossibilità di decidere in anticipo la successione delle funzioni. Propp aveva
potuto stabilire un ordine di precedenza perché si trovava a lavorare su un materiale
fortemente stereotipato e soggetto a regole fisse. Bremond ritiene che l’unità minima
della narrazione non sia la funzione isolata ma la sequenza che raggruppa più
funzioni. La sequenza elementare sarebbe dunque un processo in 3 tempi composto
da virtualità, passaggio all’atto e conclusione. Quanto al montaggio di queste sequenze
elementari, nella sequenza complessiva Bremond individua 3 modi caratteristici: il
testa a coda (quando ogni situazione di arrivo offre la possibilità di ripartire con una
nuova sequenza), la sacca (quando la sequenza si interrompe per dar luogo a una
sottosequenza che si svolge al suo interno), la legatura (quando due sequenze si
sviluppano simultaneamente o parallelamente). I ruoli narrativi dei personaggi vengono
suddivisi in attivi e passivi. Gli agenti a loro volta si scindono tra volontari e involontari.
Algirdas Julien Greimas (1917 – 1992 d.C.) → Nei suoi personaggi vengono riconosciuti
ruoli o funzioni: un soggetto, un oggetto, un destinatore che predispone l’oggetto per
un destinatario cui si possono aggiungere un aiutante e un oppositore. Per un totale di
21
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
6 attanti a costituire quello che Greimas chiama il modello attanziale. Uno stesso
personaggio può ricoprire più di un ruolo.
Genette → Toccherà a lui con il Discorso del racconto del 1972 a sistematizzare l’analisi
degli aspetti e dei modi della narrazione uscendo dalla mera sequenza delle vicende. Vi
sono alcuni problemi che lo studio dell’intreccio non riesce a toccare, ad esempio
quello dell’enunciazione. Chi racconta la storia? Un narratore intradiegetico o
extradiegetico che può avere parte o no nella vicenda e quindi potrà essere
omodiegetico o eterodiegetico.
Barthes → Accanto alle funzioni egli suggerisce di considerare anche degli indizi, che
sono quelle notazioni spesso appena accennate a indicare il carattere dei personaggi e
l’atmosfera della vicenda, e servono a preparare gli sviluppi della storia. Inoltre Barthes
distingue tra le funzioni quelle cardinali o nuclei da quelle di riempimento, che offrono
all’interprete dettagli non trascurabili. Barthes indica la necessità di un passaggio dalle
macrostrutture alle microstrutture verso il modo di organizzare i significati, dove le
analisi della poesia e della prosa si congiungono.
Sulla scia di queste indicazioni greimasiane si sono mossi alcuni studiosi belgi
dell’Università di Liegi raccolti sotto la sigla del Gruppo μ, i quali hanno riclassificato nei
termini della semantica strutturale l’antichissimo bagaglio della retorica. I ricercatori di
Liegi passano a individuare 4 possibili forme di deviazione: soppressione (quando
viene tolto un elemento), aggiunzione (quando l’elemento viene aggiunto),
soppressione-aggiunzione (la sostituzione di un elemento con un altro) e permutazione
(invertire l’ordine degli elementi). La metafora è intesa come soppressione-aggiunzione
nel significato di una parola, la rima è vista come aggiunzione ripetitiva a livello dei
suoni. Il Gruppo μ ha precisato la propria ipotesi teorica nella Retorica della poesia. Nel
testo poetico le metafore e le altre figure produrrebbero un proliferare di sèmi
secondari che vanno a formare varie catene di isotopie. Mentre il linguaggio
normalmente si basa su una sola isotopia, la poesia è dotata di poli-isotopia. Tali reti
semantiche possono essere ricondotte a 3 grandi ambiti: un triangolo che ha per
vertici l’uomo, il cosmo e il linguaggio stesso (anthropos, cosmos e logos).
Il modello Greimasiano è il quadrato semiotico dove il termine chiave si sviluppa in
una dialettica più aperta e complessa combinandosi con i termini contrari e
contraddittori.
Cesare Segre (1928 – 2014 d.C.) → Ha riattivato l’interesse verso la storia del confronto
tra scrittori col sistema semio-letterario, e dei cambiamenti subiti dal sistema semio-
letterario ad opera delle trasformazioni sociali e delle reazioni degli scrittori a queste
trasformazioni.
Il Gruppo di Mosca e Tartu raccolto attorno a Lotman e a Boris Uspenskij sostiene che se
ogni testo non può essere pienamente compreso nel suo valore altro che in rapporto al
contesto culturale in cui si inscrive, è allora alla cultura in quanto sistema dei
sistemi che l’analisi deve in ultima istanza giungere. La cultura risulterà dal
modo di sommarsi e di organizzarsi dei diversi codici e sarà interpretabile come sistema
di segni sottoposto a regole strutturali. Sono queste le basi della culturologia. Secondo
22
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
4 La critica dell’ideologia
4.1 La concezione materialistica della storia
La comprensione della letteratura ha ricevuto un potente impulso in seguito alle analisi
del materialismo scientifico fondato da Karl Marx (1818 – 1883 d.C.) e Friedrich Engels
(1820 – 1895 d.C.) → La loro teoria forniva la precisa indicazione di dove cercare le
radici, il motore del processo storico. Tale ruolo era attribuito a una motivazione sociale
e a un nucleo profondo di natura economica. Secondo questo punto di vista, l’aspetto
propriamente umano non si trova nel linguaggio o nella significazione, ma nel lavoro e
nell’organizzazione legata alle necessità dell’attività lavorativa. Le attività spirituali
assumono il loro senso reale in funzione dei modi di produzione di ciascuna epoca. Le
istituzioni e le pratiche culturali vanno comprese nel loro intreccio con la base materiale
socio-economica di cui sono espressione. La coscienza che si illude della propria
indipendenza finisce per rappresentare i rapporti reali in modo distorto e
deformato. Questa falsa coscienza viene dai due autori denominata ideologia. Viene
messo in campo lo sguardo sospettoso della critica dell’ideologia. Marx avverte che
non la critica ma la rivoluzione è la forza motrice della storia. Come mai noi gustiamo
con intatto piacere le opere degli antichi, oggi che il quadro della vita sociale è
completamente mutato? Per la teoria, che viene risolta da Marx ricorrendo all’idea di un
particolare fascino che l’arte greca conserverebbe in quanto legata alla fanciullezza
storica dell’umanità.
23
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
24
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
25
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Marcus → L’arte raccoglie quella promessa di felicità che viene sempre più disattesa da
un sistema sociale alienante e repressivo. Egli considera la società moderna come un
apparato dominato dalla logica del guadagno, che non ammette perciò la felicità se
non nella forma del dopolavoro, del riposo in vista di un ulteriore sfruttamento. Ma il
piacere che la bellezza suscita è negata dal regime utilitaristico: è necessario secondo
lui liberare l’esperienza estetica dalle incombenze ideali di cui è stata caricata, e
restituirla invece al momento della felicità sensibile. Negli anni ’50 Marcuse si
appoggerà alla psicoanalisi per precisare l’arte come ritorno del represso e come
serbatoio delle istanze di liberazione. Ma se il condizionamento sociale è
essenzialmente negativo, per assumere la giusta posizione nel suo tempo l’arte dovrà
tagliare i ponti proprio con ciò che la determina e la deprime. Le opere d’arte
rappresentano quel che esse non sono. Ciò vuol dire che la loro storicità sta nel modo
26
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
con cui si pongono fuori della situazione storica a loro toccata. L’arte è dunque
rivoluzionaria per sua stessa natura. Mentre per Lukacs l’arte è rivoluzionaria perché
rispecchia fedelmente le forze della prassi che tendono alla rivoluzione, invece, per
Adorno la testimonianza che l’arte rende riposa nella forza di resistenza alla
prassi, a qualunque genere di prassi. Adorno respinge il progetto di demistificazione
portato avanti dal marxismo inteso a ricondurre le creazioni spirituali ai moventi
materiali. In questo quadro proprio l’arte autonoma verrà apprezzata esattamente nel
suo essere priva di scopo. Nell’epoca moderna l’arte percorre le soluzioni estremiste
dell’avanguardia e nella dissonanza esprime il conflitto tra la vocazione alla
conciliazione e la vocazione alla verità che rende impossibile una sintesi felice. Sulla
considerazione del carattere rivoluzionario dell’arte per Marcuse questo carattere
risiede nella conservazione positiva delle istanze utopiche che possono così ritornare
disponibili all’azione liberatrice. Per Adorno si tratta di capacità negativa. L’arte è
pensata per principio come estranea in quanto tale al mondo empirico. Adorno si
adopera a mantenere il rapporto tra la criticità dell’arte e la situazione storica.
L’efficacia dell’opera sta nella partecipazione allo spirito, il quale contribuisce al
cambiamento della società in processi sotterranei e si concentra nelle opere d’arte.
Marcuse → l’arte racchiude la felicità, che nel mondo reale viene concessa soltanto
come forma di godimento preordinata
Arte rivoluzionaria per natura:
Lukacs → rispecchia fedelmente le forze della prassi che tendono alla rivoluzione
Adorno → riposa nella forza di resistenza alla prassi, a qualunque genere di prassi
27
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
incasellando le opere nel loro accadere cronologico; deve strappare le opere dal loro
tempo di origine per sprigionare da esse ciò che ancora interessa il presente.
Ernst Bloch (1885 – 1977 d.C.) → Ritiene che l’attimo vissuto sfugga alla conoscenza e
che perciò qualcosa di non ancora conscio permanga sotterraneamente come spinta al
rinnovamento nel presente. Ciò è collegato da Bloch alla speranza utopica rivolta al
futuro. Le aspirazioni umane alla felicità, rifiutate e sconfitte nel passato, continuano a
rivolgere il loro appello nell’ora attuale. Così, quella che era per Marx una difficoltà
(come mai forme artistiche lontane continuino ad esercitare su di noi il loro fascino?),
appare nella teoria benjaminiana affatto naturale. Ma più che del fascino del passato in
blocco, Benjamin s’interessa di quei particolari quasi cancellati e resi muti dalla storia,
da cui si manifesta l’utopia soffocata dalle classi dominanti. Tra il passato e il presente
è messa in atto una convergenza di tensioni: da un lato il passato vale se ha la forza
d’urto per mettere in crisi il presente, dall’altro lato l’interprete situato nel presente
deve essere pronto a mettere in discussione la gerarchia dei valori consolidati nella
tradizione. Il critico deve passare a contropelo la storia. Benjamin ha dedicato a
Baudelaire una larga parte del proprio lavoro nella fase cruciale degli anni ’30. Egli si
muove sulle connessioni di forma e contenuto. Scende nella minuzia all’interno del
testo andando a scoprire in un singolo verso la parola su cui si concentra il significato
della frase. Ma è pronto a uscire all’esterno per collegare le figure letterarie ai fenomeni
della società e dell’ambiente. La connessione del particolare alla totalità non può essere
preordinata in anticipo ma deve per Benjamin venir fuori ricavando dai testi al maggior
grado possibile tutta l’energia che essi potenzialmente contengono.
Lucien Goldmann → Propone una Sociologia della letteratura. Egli vuole rintracciare il
legame tra letteratura e società. Riferire i contenuti a una visione del mondo, o alla
coscienza collettiva di un determinato gruppo sociale (come farebbe Lukacs), risulta
insufficiente se non addirittura fuorviante perché la coscienza può essere alienata e
distorta. Con un uso del termine struttura molto più vicino a quello strutturalista che
non a quello marxista, Goldmann ipotizza che esista sempre una omologia tra la
struttura mentale e culturale indotta dalle forme della vita collettiva e la struttura del
testo letterario. Queste strutture sono nello stesso tempo formali (si trovano nel modo
in cui è fatta l’opera) e inconsce, è compito del critico e dell’interprete riscontrarle. Tra
‘800 e ‘900 Goldmann rintraccia il passaggio a nuove fasi dello sviluppo sociale che si
riverberano sulle strutture narrative (diminuzione dell’importanza dell’individuo nella
vita sociale = avvento dell’anti-eroe nella narrativa). Goldmann definisce il suo metodo
strutturalismo genetico. Esso si basa sui due movimenti congiunti della
comprensione e della spiegazione. Mentre la comprensione rimane ancora al giudizio
di fatto, spiegare l’opera negli orizzonti della storia significa darne un giudizio di valore.
Goldmann ritiene indispensabili entrambi i livelli, e in ciò risiede il suo tentativo di
sintesi tra marxismo e strutturalismo. Il primo livello, la comprensione, è quello
comunemente praticato dall’indagine strutturalista, il secondo, la spiegazione, è quello
più proprio delle correnti ispirate dal marxismo. Senonché, la proposta goldmanniana
da un lato non scende nei particolari del testo rimanendo al rilevamento di strutture
molto generali e generiche. Dall’altro lato finisce per legare troppo strettamente le
opere alla loro epoca facendo passare in secondo piano, nella omologia obbligata tra
società e letteratura, i caratteri discordanti e conflittuali.
Comprensione, rimane al giudizio di fatto (strutturalismo)
Strutturalismo genetico
Spiegazione, spiegare l’opera negli orizzonti della storia
significa darne un giudizio di valore (marxismo)
28
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Per Louis Althusser la struttura è una rete di rapporti che attraversa tutti gli ambiti della
realtà, che egli definisce totalità complessa. Il suo sforzo è teso a liberare l’azione
rivoluzionaria da tutti i valori rassicuranti, in particolare egli attacca lo stalinismo per il
suo generico umanesimo, che impediscono di fare i conti con la realtà della lotta di
classe. La teoria, in quanto attività di conoscenza scientifica, viene nettamente opposta
all’ideologia come soluzione immaginaria e illusoria. Althusser è convinto che anche il
testo letterario-artistico possa mantenere una propria carica critica che si situa al livello
della strutturazione del testo. Più che ordinare gli elementi in classi diventa importante
vedere i rapporti e i non rapporti interni di forza tra gli elementi della struttura
dell’opera.
29
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
30
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
secondo la cultura del tempo come conseguenza ineluttabile della volontà esterna del
destino. I sogni ad occhi aperti ci ricompensano dei desideri che la realtà non è stata in
grado di soddisfare. L’arte sarebbe un tipo speciale di fantasticheria che si distingue per
essere un atto di comunicazione, mentre la fantasticheria vera e propria è un’attività
privata che difficilmente si confessa. Allo scrittore dunque è concesso il privilegio di
esporre pubblicamente senza vergogna le proprie fantasticherie. Freud ha proceduto
con grande cautela nel trasferire le scoperte della psicologia del profondo al campo
della letteratura e dell’arte. In particolare egli ritiene che su un punto la psicoanalisi non
possa dir nulla, cioè sul problema dell’origine dell’arte. Il dono meraviglioso che
contraddistingue l’artista rimane un enigma e la psicoanalisi non si intromette nella
questione della valutazione estetica. Lo spettatore condannato a un’esistenza piena di
rinunce e di frustrazioni è portato a identificarsi con l’eroe che vede sulla scena. Vige la
convinzione che il comportamento di un personaggio di finzione possa essere analizzato
allo stesso modo di quello di una persona e l’idea che il personaggio protagonista risulti
il portavoce diretto dell’autore, assegnatario dei problemi interiori di quello. Sebbene
Freud non abbia sottovalutato l’importanza dei materiali anonimi nella sua opera, è
stato prevalente l’interesse per la figura dell’autore, da raggiungere al di là dell’opera.
Freud pur incoraggiando l’uso della psicoanalisi al servizio della biografia era
consapevole delle difficoltà di un’indagine condotta in assenza del soggetto in esame e
operante con documenti non sicuri, parziali e lacunosi. L’analisi di Freud ci insegna a
indovinare cose segrete e nascoste in base a elementi poco apprezzati e inavvertiti
dell’osservazione.
Otto Rank (1884 – 1939 d.C.) → Ha dedicato al tema del doppio un saggio in cui si
propone di spiegare le ripetute apparizioni di un personaggio in tutto identico al
protagonista, che lo sostituisce, lo perseguita e lo conduce alla morte. Tutti i casi del
doppio entrano a far parte secondo lui di una costellazione psichica dominata dalla
scissione dell’Io. Il tema del doppio è stato trattato da quasi tutti i romantici. Il saggio
dà il primo posto a Hoffmann (definito per eccellenza il poeta del doppio) e a Poe oltre
che a Maupassant, Dostoevskij e Oscar Wilde, prevalentemente autori della letteratura
fantastica. Ma mentre Freud si adopera a spiegare l’effetto sinistro di inquietudine o di
terrore indotto da questi e altri simili racconti, Rank procede invece a ritroso, dall’opera
all’autore. La frequentazione del tema del doppio viene ricondotta alla psiche degli
autori. Ma questa propensione verso la psicoanalisi dell’autore non esaurisce il lavoro
del critico, che passa in un capitolo successivo ad analizzare le analogie del tema
letterario con le produzioni del folklore. Così arricchito di spessore, il tema letterario può
essere messo in rapporto con un meccanismo psichico di portata generale che travalica
le epoche e i generi.
Georg Groddeck (1866 – 1934 d.C.) → Sviluppa il tentativo di interpretare la produzione
anonima e popolare sulla base di un rinvenimento quasi ossessivo della simbologia
sessuale.
Marie Bonaparte (1822 – 1962 d.C.) → Si distingue il suo lavoro sulla linea della
psicoanalisi applicata alla biografia su Edgar Allan Poe. La critica psicoanalitica si trova
ad utilizzare l’opera in funzione della biografia e a dare per scontata l’identificazione
dell’eroe con l’autore.
Ernest Jones (1879 – 1958 d.C.) → Ha puntato sulla psicoanalisi il suo saggio su Amleto.
Jones svolse le sue riflessioni seguendo l’indicazione freudiana dei rapporti sotterranei
tra Amleto ed Edipo. Da un lato non manca la biografia di Shakespeare. Jones applica il
metodo comparativo mettendo in relazione la trama di Amleto con i temi primordiali dei
miti e delle leggende.
31
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Nel secondo dopoguerra i critici mostrano una maggiore libertà d’azione rispetto ai
canonici schemi freudiani, ma in definitiva l’impostazione di fondo e i problemi
affrontati restano gli stessi.
In Italia Giacomo Debenedetti (1901 – 1967 d.C.) → Anche se mantiene l’idea del
personaggio come emissario dell’autore, l’attenzione a certe configurazioni di immagini
conduce in prossimità della critica tematica.
Bruno Bettelhaim (1903 – 1989 d.C.) → Rappresenta il terzo ramo della critica ispirata
alla psicoanalisi che considera la questione degli effetti, manifestati nello studio delle
fiabe. Il testo della fiaba è quello più adatto ai bisogni del piccolo lettore per
esteriorizzare in modo controllabile i propri conflitti interiori e così lo aiuta a strutturare
la personalità. L’ipotesi di Bettelhaim che la rielaborazione immaginaria sia utile a
ridurre la dannosità del materiale inconscio e a fare in modo che parte delle sue
energie servano a scopi positivi, potrebbe applicarsi in generale a tutta la finzione
letteraria.
Gaston Bachelard (1884 – 1962 d.C.) → Secondo lui il regno della fantasia è diviso in
4 grandi ambiti che corrispondono ai 4 elementi primordiali: fuoco, aria, acqua, terra.
Ogni scrittore è portato a propendere nella scelta dei propri temi e delle proprie
metafore più verso l’uno o verso l’altro elemento. La ricerca bachelardiana ha affrontato
le fantasie sul rapporto tra l’uomo e la dimensione spaziale. Bachelard propone di
chiamare topo-analisi tale indagine sulle forme spaziali. Bachelard appare del tutto
disposto a farsi assorbire nel potere dell’immagine. A suo modo di vedere non bisogna
ricondurre le immagini al passato ma lasciarsi prendere dal loro scaturire e cioè dalla
novità che esse mostrano al momento della lettura. Si può capire, allora, il progressivo
32
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Il problema dell’immagine non era sfuggito alla critica psicoanalitica più ortodossa. Il
miglior esempio di psicocritica è di Charles Mauron (1899 – 1966 d.C.) → In polemica
con la critica tematica sostiene che non ci si può limitare a inventariare le immagini
ricorrenti di uno scrittore, ma bisogna ricondurle ai processi inconsci
corrispondenti. Non tutte le immagini usate da un autore abbiano uguale importanza:
ve ne sono alcune che tornano con tale insistenza da poter essere definite metafore
ossessive. Per scoprire quali siano è necessaria l’analisi del testo. Le parole e le
immagini vengono raggruppate secondo le sfumature affettive. Se si sovrappongono
altri testi a quello di partenza si scopre che questa rete di associazioni è costante. Le
reti da lui individuate sono un’altra cosa rispetto alla tecnica letteraria di cui chi scrive
può avere coscienza: sono in comunicazione diretta con la realtà psichica inconscia.
Con ulteriori passaggi, dalla rete delle immagini vengono estratte le figure mitiche
sulla quale le varie opere ritornano ossessivamente. È raggiunto così il mito personale
ovvero il fantasma più frequente in uno scrittore. Certo non prende per buoni i
personaggi immediatamente riconoscibili, ma li ricava dall’analisi delle immagini.
Tuttavia alla fine i risultati dell’analisi sono rapportati non alle istituzioni letterarie ma
alle vicende biografiche dell’autore.
33
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
attorno alla rivista Tel Quel, ruolo connesso anche alle realizzazioni testuali della
scrittura.
Julia Kristeva (1941 – vivente) → Nelle sue proposte risulta chiaro il punto di distacco
dallo strutturalismo. L’individuazione del codice non è più sufficiente ma bisogna
riuscire a vedere l’intero processo di costituzione di ciò che ella chiama la significanza.
Qui la psicoanalisi è d’aiuto. Si tratta infatti di guardare al di sotto delle strutture per
percepire gli spostamenti di energie pulsionali che attraversano la pratica del
linguaggio e possono arrivare a deformare e a sconvolgere la superficie
dell’espressione rompendo la catena significante e la struttura della significazione. La
Kristeva distingue in un primo tempo tra feno-testo (indica la superficie del livello
codificato del linguaggio comunicativo) e geno-testo (indica la profondità delle fasi
dinamiche della produzione del testo). Adotterà in un secondo momento un’analoga
opposizione tra simbolico e semiotico dove il primo termine ricopre l’area del linguaggio
organizzato e il secondo gli aspetti in cui emerge la violenza delle cariche pulsionali. Gli
aspetti linguistici che rendono leggibile l’istanza delle pulsioni è il dispositivo
fonematico e melodico del linguaggio poetico. Va precisato che la Kristeva allude a
fenomeni fonici e ritmici diversi da quelli della retorica e della metrica classica. Ella
mette in relazione il livello fonico-pulsionale con quello semantico-cosciente.
In questi esiti degli anni ’70 le scoperte della psicoanalisi sono utilizzate in senso
rivoluzionario nella contrapposizione diretta tra le pulsioni e la repressione sociale.
Altrettanto il linguaggio poetico viene anteposto al linguaggio comunicativo. Nella
situazione culturale francese, elementi di psicoanalisi entreranno a far parte anche del
bagaglio teorico del poststrutturalismo.
Jean-Francois Lyotard (1924 – 1998 d.C.) e Gilles Deleuze (1925 – 1995 d.C.) →
Reinterpretano l’inconscio in termini di zone di tensioni, di campi di forze, insomma nel
quadro di una meccanica delle pulsioni e degli investimenti affettivi connessa alle
grandi macchine sociali (le istituzioni, il potere,…). Lyotard di recente ha contribuito alla
diffusione della nozione di postmoderno. Deleuze ha trovato nei meccanismi testuali il
riscontro dell’inconscio concepito come “macchina desiderante”. Anch’egli con il rischio
di un’estetizzazione del marginale.
Francesco Orlando (1934 – vivente) → Con la teoria freudiana della letteratura scarta gli
scritti freudiani più famosi. Il miglior ausilio per il critico è trovato nella ricerca sul motto
di spirito: la parola arguta, la barzelletta sono viste come esempio di comunicazione
letteraria. Mentre il sogno o il lapsus sono manifestazioni dell’inconscio che sfuggono
alla nostra volontà, nella battuta spiritosa l’inconscio si manifesta in una comunicazione
linguistica intenzionalmente rivolta a qualcuno, analogamente a quanto accade per le
più reputate produzioni letterarie. Orlando sottolinea che Freud da un lato vede nel
ricorso al motto di spirito un modo per aggirare la censura ma dall’altro ritiene che la
tecnica della battuta sia inscindibile dai contenuti e comporti essa stessa un profitto di
piacere. Queste indicazioni freudiane possono essere estese a tutto il campo della
letteratura. Mentre Freud parla di ritorno del rimosso, le pulsioni censurate, Orlando
preferisce parlare di ritorno del represso, allargando a comprendere le censure
imposte da forze sociali e storiche. Questo attacco alla repressione può avvenire in
forme non solo inconsce ma anche di consapevole e progettata rivendicazione. Orlando
istituisce tutta una gradazione del ritorno del represso in letteratura. Si va dall’assenza
di consapevolezza, in cui il ritorno del represso è inconscio e quindi oscuro all’autore
stesso; al ritorno del represso conscio ma non accettato, quando l’autore lotta
all’interno del proprio testo contro i contenuti che vi emergono; al ritorno del represso
accettato ma non propugnato, che prevede il riconoscimento da parte della coscienza
dell’autore fino ai casi di maggiore consapevolezza, che sono quelli della cosiddetta
letteratura impegnata: il ritorno del represso propugnato ma non autorizzato e infine il
ritorno del represso autorizzato proprio della contesa tra diverse posizioni culturali.
34
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Questa suddivisione è per Orlando uno strumento operativo e non una griglia di
classificazione delle opere. A differenza della gran parte della critica psicoanalitica,
Orlando lega strettamente l’emersione dei contenuti alla considerazione della specifica
tecnica della letteratura. La società consente allo scrittore la finzione e il gioco con il
linguaggio: è quindi possibile, secondo Orlando, applicare la formula del ritorno del
represso alla stessa forma del testo letterario definendolo il ritorno del represso
formale. I vari giochi del testo sono riconducibili nel loro insieme agli spostamenti del
legame tra significante e significato sotto il termine usato in retorica antica di figura. Se
gli spostamenti e le deviazioni tra significanti e significati sono in eccesso, il testo
diventa completamente oscuro. È quello che accade in certe manifestazioni
dell’inconscio come il sogno. Orlando ritiene che ogni figura debba essere ricondotta a
un principio di organizzazione generale come strumento appropriato a esprimere
determinati contenuti. Orlando ritiene che i significanti vadano sempre visti quali
portatori di significati. Il livello del contenuto e quello della forma ricevono pari
attenzione e risultano collegati fra loro. L’idea freudiana che il piacere prodotto dalla
tecnica linguistica renda accettabili certi contenuti non consentiti, viene così rielaborata
e sviluppata. In Orlando la letteratura come formazione di compromesso fa i conti
soprattutto con i divieti formulati dalla società. La critica, allora, recupera la prospettiva
storica che andrebbe altrimenti perduta. La manifestazione linguistica di tipo letterario
è, secondo Orlando, l’esito di uno scontro di forze psichiche, che sono leggibili nel testo
come significati in contrasto.
35
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
fenomeni, ma anche a individuare le linee portanti di una data situazione (le “direzioni
vettoriali” o le “istituzioni”).
36
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
37
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Harold Bloom (1930 – vivente) → Rivendicazione della creatività della critica: la posizione
del critico non è diversa da quella del poeta, entrambi sottoposti all’influenza degli
scrittori del passato. L’interpretazione è una reazione di difesa rispetto ai precedenti e
non può quindi che fraintendere.
Paul De Man (1919 – 1983 d.C.) → Belga trasferitosi negli USA, giunge perfino a
formulare la “teoria del fraintendimento”. Muovendo dalla considerazione del doppio
livello del senso, letterale e figurato, de Man vede questo “doppio senso” non come
arricchimento dei significati ma come un conflitto, una reciproca negazione; i livelli del
testo non collaborano fra di loro ma si smentiscono reciprocamente ed è “impossibile
determinare quale dei due prevalga sull’altro poiché non esiste l’uno senza l’altro”.
Questo scetticismo di fondo conduce a dubitare che l’interpretazione possa mai
chiudersi sul raggiungimento di una verità. Ciò non comporta, tuttavia, l’abbandono
dell’attività critica e neppure l’assoluta libertà dell’interprete nei confronti del testo.
38
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
“leggere” il verbo “scrivere”: è il lettore che scrive il testo. “C’è un testo in questa
classe?” è il titolo del suo libro più noto e “no”, risponde Fish, “un solo testo non esiste
perché ogni lettore mette in atto modelli interpretativi differenti”. Non si possono quindi
redimere controversie sulle interpretazioni in quanto anche le caratteristiche “oggettive”
in realtà sono già effetti della particolare angolatura adottata.
La posizione di Fish può essere assegnata al pragmatismo: il significato (o la verità) di
un testo esiste solo all’interno della situazione che si viene a creare nella lettura . A
differenza del decostruzionismo, che vede nella lettura un messaggio costitutivamente
ambiguo, Fish sostiene che il significato è sempre unico, ma è esattamente quel
significato che il metodo da noi scelto ci consente di ottenere. Secondo Fish è
impossibile redimere le controversie delle interpretazioni anche ricorrendo alla “lettera”
del testo: non esiste un significato “letterale”.
Ma allora il numero di interpretazioni è infinito? No, risponde Fish, poiché nessuno
inventa il proprio metodo interpretativo. Ognuno sceglie e si orienta fra i metodi già
inventati da altri, aderendo a una “comunità interpretativa”. Niente però ci garantisce
che le interpretazioni che apparirebbero oggi assurde possano domani risultare
plausibili: basta che riescano a persuadere e ad avere successo per creare una nuova
“comunità interpretativa”.
39
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Iser considera importanti anche le strategie che il testo dispiega lungo l’asse temporale.
Ogni frase, a causa della sua indeterminatezza, genera delle aspettative. Una completa
saturazione delle aspettative è poco probabile e soprattutto farebbe cadere l’interesse
del lettore. Perché ci sia “coinvolgimento”, secondo Iser, è necessario che le nostre
aspettative non ottengano piena soddisfazione. I critici, di fatto, “non fanno altro che
cercare di tradurre il loro coinvolgimento in un linguaggio referenziale”.
Anche l’italiano Umberto Eco (1932 – vivente) ha analizzato la “cooperazione” del
lettore. Secondo Eco il lettore è nel testo, nel senso che il testo prevede già in partenza
il suo ruolo e il suo apporto partecipativo. Elaborata in contemporanea con quella di Iser,
la teoria di Eco sembra lasciare minori spazi alla fantasia del lettore: mentre Iser parla di
“lettore implicito”, Eco crea il ruolo del “lettore modello”, quel lettore previsto dal testo
per la realizzazione dei suoi effetti. Delle competenze del “lettore modello” si suppone
faccia parte anche un bagaglio di “sceneggiature”, ossia quelle sequenze canoniche che
possiamo prevedere come sviluppi probabili di determinate situazioni (Es: se in una
comica compare una torta per noi è presumibile che verrà tirata in faccia a uno dei
personaggi).
Secondo Eco, l’interpretazione di un testo consiste proprio nel mettersi nei panni del
“lettore modello”, nell’accettare di giocare il gioco predisposto dal testo.
7 Critici di confine
7.1 Bachtin e la letteratura pluridiscorsiva
Tra i critici al confine delle grandi correnti del Novecento, una delle figure principali è
Michail Bachtin (1895 – 1795 d.C.) → La sua posizione non allineata né al formalismo, né
alla critica marxista dominante nella cultura sovietica, gli costò una dura
emarginazione.
Il punto di partenza di Bachtin è la concezione del linguaggio come “dialogo”.
Qualsiasi parola, secondo Bachtin, è dialogica: più che esprimere l’interiorità del
parlante, è diretta a raggiungere l’interlocutore e viene quindi impostata per questo
scopo. Perciò l’analisi di un testo basata solo su elementi linguistici è considerata da
Bachtin come un esame parziale. Bisogna capire rispetto a quali discorsi (letterari e non)
il testo intende intervenire ed assumere posizione. Bachtin preferisce parlare di “senso”
piuttosto che di “significato”. Qui sta la sua distanza dal formalismo, che ritaglia
procedimenti verbali staccati dal senso complessivo e non riflette fino in fondo il loro
coordinamento interno all’opera, né la relazione con le lingue “sociali”. Il linguaggio
invece deve essere collegato con la società e con la storia (sotto questo aspetto Bachtin
si avvicina molto al materialismo storico). Ancora contro il formalismo, la sua opinione è
che nessun testo sia mai autonomo e autosufficiente: non solo ogni parola è già stata
detta da altri, ma ogni “enunciazione” interviene in discorsi che pre-esistono. Da ciò si
deduce che il testo deve essere considerato come l’anello di un a catena e dunque va
collocato nell’avvicendarsi della tradizione, variegata e composita. La tradizione non è
costituita soltanto da testi: Bachtin sottolinea l’importanza dei “generi”, cioè delle
“forme tipiche” che si vengono accumulando nel tempo. Nella sua ottica i “generi”
costituiscono una ricca molteplicità di vie possibili. Non parla solo di “generi letterari”,
ma di “generi di discorso”: i generi della “grande letteratura” coesistono con la lingua
“colloquiale”, “burocratica”, “oratoria”, “giornalistica”, ecc. I confini tra i generi devono
consentire scambi e interferenze. Non sono codici fissi ma principi organizzativi elastici e
plasmabili. Nei “generi” circolano anche altre caratterizzazioni che determinano
l’appartenenza dei parlanti dei parlanti ai ceti professionali e sociali. Nella prospettiva di
Bachtin la “pluridiscorsività della lingua” è un valore: il testo può chiudersi nel
“monolinguismo” di un unico stile o aprirsi al “plurilinguismo”, alla concretezza della
“parola viva”. Questa seconda ipotesi è appannaggio del romanzo, per lui l’unico genere
ancora “giovane e in divenire”. Poiché il romanzo contiene in sé tutte le “voci” (del
narratore e di tutti i personaggi diversi), contiene anche tutti i “generi” di discorso orale
(conversazione, oratoria,…) o di scrittura (documenti, lettere, memorie,…). Per Bachtin
“il romanzo è l’unione degli stili; la lingua del romanzo è il sistema delle lingue”. Questa
sua idea del romanzo trova la massima concretizzazione nel suo studio su Dostoevskij,
visto come il culmine del romanzo “polifonico”; egli ha saputo dare la parola, attraverso i
40
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
41
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Parte terza
Imparare a leggere nel mondo “globale”
La globalizzazione sta portando alla crisi della critica letteraria, investita dalla logica
del profitto (la lettura passa da riflessione a mero divertimento). La critica cede quindi il
passo alla pubblicità, ma la “critica del piagnisteo” non modificherà la situazione.
Occorre infatti interpellarsi sui nuovi metodi di fare critica (es. recensioni online, critica
studiata a scuola). O ci si affida alla figura del Grande Critico, considerato anch’esso
autore di alta qualità, o ci si attiene alla determinazione filologica del testo, alla
biografia d’autore, alla storia della fortuna critica, ecc… (statistiche e archivi
informatici). La crisi ha però un aspetto positivo: la caduta delle contrapposizioni
ideologiche ha condotto alla fine del dogmatismo. La critica è passata attraverso
l’autocritica.
42
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
di pietas. Ora, il salvataggio dei classici consiste nel dare loro ancora la parola. Si apre
qui la direzione di una critica come dialogo che vuole recepire quanto il testo ha ancora
da dirci. Il discorso critico deve rispettare il testo, il testo che il tempo ha impregnato di
significato, è circondato da un’aura sacrale. Tanto che non lo si chiamerà più testo ma
opera. Parlare di opera vuol dire connotarla da subito con un valore d’alto livello.
George Steiner (1929 – vivente) → Insiste a configurare il rapporto con il testo nei modi
della confidenza e dell’accoglienza, come se si trattasse di un interlocutore che viene
da lontano cui rispondere con cortesia e tatto. L’umanesimo di Steiner è tinto di
istanze religiose. La scrittura è vista come un atto di creazione che fa sorgere dal nulla
un mondo. E in questo rivaleggia con il divino. Il critico deve ritenersi sempre inferiore
nei confronti della creatività artistica e scontare un ruolo gregario come di chi vive
attraverso esperienze altrui, di seconda mano. Eppure il suo intervento è necessario e
finisce per ottenere un posto modesto ma vitale. Di fato secondo Steiner l’opera è di
grado superiore alle sue interpretazioni. Però, nel momento in cui il grande patrimonio
letterario rischia di sprofondare nel silenzio il compito del critico sebbene di rango
inferiore diventa molto importante.
43
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
morti). Il primo compito della critica femminista sarà allora quello di reclamare pari
dignità per le scrittrici. Per quanto non siano mancati gli attacchi al fallocentrismo
(analisi del “machismo” come sorta di critica dell’ideologia) e le immagini combattive
verso l’idolo, negli studi di genere è prevalsa nettamente la volta alla riscoperta e alla
riproposta delle scrittrici ingiustamente sottovalutate dalla critica ufficiale. Si determina
una sorta di circuito chiuso nel privilegiare il discorso di una donna su un’altra donna,
rivolto alle donne. Secondo il femminismo più oltranzista, il maschio femminista è
quello più sospetto. La richiesta d’inserimento nel canone delle scrittrici, si fonda
sull’argomento che esse ne sono state tenute fuori in quanto donne; l’argomento perciò
è più forte quanto più si dimostra che non c’erano altri motivi di esclusione e che i loro
testi erano altrettanto validi di quelli maschili. Per paradosso, il risalto polemico è
maggiore se si mantengono gli stessi criteri di giudizio canonici e si dà scarso peso
all’analisi del testo. D’altra parte, tutte le caratteristiche che possono essere attribuite
alla scrittura al femminile rischiano di assomigliare a poetiche già presenti nella
tradizione. Il ricorso alla figura dell’autrice, insito nel filone principale del femminismo,
produce una stretta equazione tra autrice-narratrice-protagonista, che conduce una
volta di più nei paraggi della critica biografica. Il femminismo è tutt’altro che monolitico.
Come sul piano delle scelte letterarie si può passare dal racconto minimalista del
quotidiano e delle piccole percezioni alle punte del canto e della poesia,
dall’autobiografismo alla riscrittura, oppure dal piacere della lettura alle complicazioni
dello sperimentalismo, altrettanto nella critica varia l’atteggiamento (linea
anglosassone empirica e politicizzata e linea francese legata alla psicoanalisi e alle
sottigliezze dell’identità). Uno dei punti che dominano il dibattito femminista è il
pericolo dell’essenzialismo, cioè l’attribuzione alla donna di una essenza naturale
ben definita e data una volta per tutte. Cosa significa affermare l’essere donna? Il
soggetto femminile è diviso, spaccato, ma per ciò stesso più capace di disinvestimento
e quindi di autocritica.
La Kristeva rilegge il fondamento freudiano del complesso di Edipo, facendo notare che,
mentre il maschio rimane attaccato alla figura materna, il desiderio della bambina
passa dalla madre al padre (Edipo-bis, maggiore capacità di cambiamento). Questa
esplosione dell’identità porta da un lato a letture decostruttive che esplorano le pieghe
del testo e il gioco di dentro-fuori del soggetto femminile rispetto ai codici vigenti. Porta
anche, su un altro versante, per la china dell’antirazionalismo a un avvicinamento della
critica alla scrittura d’invenzione.
Helene Cixous (1937 – vivente) → Il suo saggio principale Il riso della medusa esalta le
qualità sovversive della scrittura al femminile come una forza dirompente.
Apparentandosi al misticismo, la Cixous mette in atto un linguaggio immaginoso e un
tono esortativo che risulta trascinante. L’esaltazione della poesia e dei poeti si riflette in
un comportamento di consonanza verso il testo. Anzi, nel femminismo si direbbe di
sorellanza. La Cixous, come larga parte del femminismo, insiste sulla corporeità, le
donne sono corpo più dell’uomo, e tuttavia inclina a una euforia ed empatia molto
spirituale che si accosta alquanto allo sbocco neoumanistico.
Gloria Jean Watkins (bell hooks) (1952 – vivente) → È tra le rappresentanti del
femminismo nero. La scrittrice afroamericana percorre entrambe le direzioni: una
rivolta al passato, della linea patrilineare che recupera la funzione tradizionale della
donna e il focolare come spazio domestico, e quella rivolta al futuro, del soggetto
disponibile a forme di legame nuove e molteplici.
Gayatri Chakravorty Spivak (1942 – vivente) → La Spivak si pone al crocevia dei metodi:
psicoanalisi e marxismo, decostruzione, femminismo e postcolonialismo. La psicoanalisi
44
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
Le tendenze postcoloniali recenti si sono orientate su due assi: quello della polemica e
quello della ibridazione.
Sul primo fronte spicca Edward W. Said (1935 – 2003 d.C.) → In Cultura e imperialismo
c’è una critica postcoloniale pienamente sviluppata in forma di ermeneutica del
sospetto. Si può vedere in Said qualche propensione al contenutismo e un indubbio
privilegiamento della narrativa. Demistifica ciò che è rimasto inespresso o distorto in
alcuni testi. Bisogna riconoscere una grande forza argomentativa e il merito di collegare
il testo al contesto esterno. La letteratura è fatta da esseri umani e va quindi sempre
ricollocata nel mondo, rimessa in situazione. Ciò non elimina il suo valore estetico, ma
lo comprende meglio attraverso il contrappunto tra l’opera e le condizioni che ne hanno
determinato l’esistenza. L’atto critico consisterà nel vedere il testo come un campo
dinamico di parole e non come un blocco statico. Il testo di per sé non è mai un oggetto
finito e sta al critico e alla sua posizione politica prolungare certe diramazioni e non
altre. In favore dell’interculturalità, Said parla anche di traveling theory, una teoria in
viaggio, fatta di spostamenti e interscambi.
Il secondo asse sposta l’accento sulle commistioni culturali, i luoghi d’intreccio e
miscelazione prodotti dalle esperienze diasporiche dei migranti, dell’”uomo spaesato”.
Nell’esilio di Said il continuo confronto culturale mette in crisi le identità corazzate:
l’identità viene a trovarsi nel mezzo. L’adattamento necessario verso la cultura dei
45
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
dominatori è però attraversato dal rigetto e dalla imitazione deviante: si va dal writing
back di talune riscritture che rivoltano dal punto di vista dello schiavo i capolavori
occidentali, alle varie forme di resistenza.
Edouard Glissant (1928 – vivente) → Con la Poetica del diverso, sostiene che la diversità
è soprattutto nella distinzione tra culture ataviche e culture composite: le culture
ataviche sono quelle che si arroccano attorno a un mito fondatore e si definiscono in
base all’espulsione violenta dell’altro. Le culture composite sono quelle che traggono
la loro forza dall’apertura alla relazione di svariate componenti, sviluppando un gusto
della caoticità e dl cambiamento. La ricerca delle radici va: alla radice unica o al
rizoma, radice senza centro e aggrovigliata. Parola d’ordine è al creolizzazione, non
soltanto l’inserimento nel testo del lessico del colore locale ma anche un’ulteriore
attività di impasto linguistico. Glissant non è propriamente un critico, ma la sua poetica
è piena di indicazioni e di termini che possono essere assai utili ad affrontare le nuove
forme letterarie della globalizzazione, nella prospettiva di un cambiamento
dell’immaginario. Sul piano letterario il richiamo al barocco contiene sia l’idea di una
forma debordante, sia il disegno di una commistione dei generi tradizionali. Creolizzare
vuol dire anche superare le convenzioni e disfare i generi.
46
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
della magia, in epoca moderna la funzione magica viene sostituita da altre forze, nel
western dall’abilità del pistolero, nella fantascienza dalla tecnologia, ecc… . I generi
sono archetipi che attraversano le epoche, ma quello che conta in essi è la parte
variabile, nella quale possiamo scoprire l’azione della storia. L’ideologia ha nel testo
fratture e scompensi. Il marxismo in Jameson è proprio quel metodo che è capace di
superare e inglobare in sé gli altri metodi, inserendoli nell’orizzonte della storia della
formazione sociale. Nei 4 livelli letterale, allegorico, morale e anagogico sostituisce il
morale con la lettura psicologica e l’anagogico con una storia della salvezza puramente
terrena, quindi con il livello storico-sociale. Ogni testo letterario è il prodotto di una
condizione determinata rispetto alle cui contraddizioni cerca di dare risposta mediante
le invenzioni dell’immaginario quindi è il sintomo di un disagio subito e porta dentro di
sé i semi del tempo cioè una proiezione verso il futuro. Una volta constatato il
passaggio del capitalismo alla sua terza fase detta tardo capitalismo, caratterizzata
dallo sviluppo informatico e multinazionale, dalla simbiosi tra il mercato e i mass media
allora la cultura adeguata a questo nuovo stadio risulterà il postmoderno. Per paradosso
il postmoderno nasce con l’affermarsi della modernizzazione su tutti i suoi avversari: è il
moderno assoluto. Altro paradosso: proprio nel mentre vede mescolarsi il paradigma
della produzione con quello semiotico. Jameson ristabilisce il nesso del marxismo
classico tra base e sovrastruttura in modo ferreo: data la base del tardo capitalismo non
ci può essere che una sovrastruttura, il postmoderno. Proprio la negazione della realtà
figura come il realismo dei nostri tempi. La figura intellettuale che prevale è quella
dell’osservatore che si dedica alla cartografia cognitiva.
Terry Eagleton (1943 – vivente) → Propone di riordinare i vari lati della questione della
nozione di ideologia. Per lui ideologico è un insulto che significa arroccato su idee fisse.
Vedere l’ideologia dappertutto è un modo per svuotarla e convivere con essa.
Sfaccettata e flessibile l’ideologia si mostra come campo complesso e conflittuale di
significato. La critica è ciò che ci permette ancora di riconoscere gli interessi oggettivi
che agiscono nei discorsi. Ora la letteratura non può essere definita di per sé ma solo in
rapporto al complesso delle pratiche sociali. Ha bisogno di un termine intermedio che è
l’estetica dotata di una sua specifica ideologia: l’ideologia dell’estetica. In quanto
mediatrice l’estetica ha sempre due facce, una rivolta al lato intellettuale della
costruzione e dell’analisi, l’altra radicata nella sensibilità materialistica del corpo. Il suo
interesse nei confronti di Benjamin deriva soprattutto dalle intuizioni sulla corporeità del
linguaggio. Il corpo è ciò che tutti abbiamo in comune. L’estetica può elevarsi nei cieli
della sublimazione, della distinzione di classe ma anche aiutare a costruire il soggetto
della sfida e dell’alternativa. L’autonomia trasforma l’arte in una entità separata,
costituisce un rifugio e rappresenta l’immagine del soggetto non alienato e dello
sviluppo della sensibilità umana. C’è in questo posizionamento centrale dell’estetica
molto di Kant riletto attraverso Marx, sicché lo spazio della mediazione diventa anche
spazio di conflitto. Il discorso, dice Eagleton, è strategico. Vale a dire che per prima
cosa dobbiamo chiederci non quale sia l’oggetto o come dobbiamo analizzarlo ma
perché vogliamo indagare su di esso. L’ironia per Eagleton è fondamentale e
connaturata al rivoluzionario. Egli parla del critico come clown e il suo stile è
continuamente percorso dall’humor.
Juan Carlos Rodriguez (1944 – vivente) → La sua interpretazione della poesia classica è
sulla base della matrice ideologica. A differenza di Jameson, in Rodriguez l’epoca non
genera una sola poetica bensì due: ci sono sempre due letterature e quindi un gioco di
alternative. Le diverse poetiche si trovano incluse nella produzione ideologica. Si
determina qui un rapporto profondo con la psicoanalisi sulla centralità del problema
dell’io o meglio dell’io sono, l’identità. La storicità radicale che Rodriguez assegna alla
letteratura sta proprio nella misura della sua partecipazione alla produzione dell’io,
all’invenzione del soggetto. Soprattutto la poesia nella sua funzione di rifugio dell’anima
contribuisce alla costruzione di un mondo privato ritenuto autentico. Stretto tra i due
inconsci e tirato da parti opposte dalle richieste sociali, l’io soffre la crisi e la rottura ma
questo vuol dire anche che può staccarsi dall’identità che gli è stata assegnata. Il testo
è capace di rifiuto, può pronunciare la sillaba del no e nella modernità letteraria questo
47
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
atto sovversivo può svolgersi secondo la linea dello svuotamento. Nel secondo ‘900
tutto sembra condurre alla diminuzione del carattere contrastivo e alternativo. Il
capitalismo avanzato ha provveduto a privare di sostanza gli ambiti della politica e della
filosofia. L’io ormai non solo è funzionale alla produzione ma è diventato esso stesso un
mezzo di produzione: si andrebbe verso un nuovo feudalesimo dove è importante
l’appropriazione sociale dell’intero uomo.
Un’altra via oggettiva è quella intrapresa dalla critica genetica che si occupa di
studiare i dati di archivio degli stati preparatori dei testi. Mentre l’interesse primario
della filologi era di determinare qual è il vero testo, la critica genetica sembra far
sparire l’unicità del testo nella miriade dei suoi materiali in progress mettendo in
evidenza piuttosto i testi virtuali, quello che il testo avrebbe potuto essere. Già
cominciano ad avventurarsi un poco di più nei problemi interpretativi i lavori che
riguardano le strutture dei testi, in particolare narrativi. Essendo il mercato interessato
soprattutto al romanzo, è questo il lato privilegiato anche dalle ricerche teoriche e
metodologiche. Gli studi sui modi della trama o sui mondi possibili creati dalle storie,
mettono al centro proprio quegli elementi che costituiscono l’attrazione del romanzo di
consumo sul lettore più ingenuo. Si conferma il ruolo naturale di mediazione e di
compensazione del racconto. Nel frattempo, anche la semiotica è andata oltre lo
smontaggio narratologico delle azioni per affrontare la questione delle passioni.
L’analisi basata sulle nozioni di tema o di genere può consentire utili attraversamenti e
connessioni tra epoche distanti, diverse aree geografiche e culturali. La critica tematica
sembra in grado di raccogliere e rendere più aderenti al testo le istanze della
psicoanalisi. Quanto ai generi non sono più considerati come caselle da classificazione
ma entrano nel testo come componenti dinamiche. Proprio questa eterogeneità del
testo può spingere l’analisi critica ancora più a fondo verso le più minute manifestazioni
e i piccoli indizi. Dalla struttura vista come quadro in cui tutti gli elementi dovevano
trovare posto si passa alle strutture nel senso che i testi funzionerebbero proprio nella
inesatta sovrapposizione di almeno due o più modelli. Dalla funzione al
disfunzionamento in quanto si tratta di rinvenire non già l’accordo e il parallelismo ma
le smagliature della composizione, le discordanze, i contrasti.
Ecco la grande scommessa della critica oggi: appassionare di nuovo alla lettura, in un
momento in cui il testo letterario è trascurato e affrontato solamente per obbligo
48
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)
lOMoARcPSD|5772275
scolastico. Far questo attraverso l’allenamento del rovello del lavoro critico. Se leggere
è leggersi allora è chiaro che la cultura dominante del mercato non ha bisogno di
rendere consapevoli i consumatori. Dobbiamo imparare a leggere. La letteratura può
funzionare come momento consolatorio o compensativo, come addestramento alla
sopportazione dei danni reali, oppure può affrontare il trauma mostrandolo e
diffondendolo in forma di urti e spezzature anche formali e linguistiche stimolando la
reazione. Imparare a leggere vuol dire investire attenzione e concentrazione per
leggere tra le righe la posizione dell’oggetto-messaggio che ci sta di fronte. Forse
potremo sentirci coinvolti e trovare dentro di esso qualcosa che riguarda molto da
vicino anche noi e gli stringenti appelli della nostra tanto problematica attualità.
49
Scaricato da Jessica Bucci (bucci_jessica@libero.it)