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Corso di Laurea in

LETTERE, ARTI E ARCHEOLOGIA

La novella di Telìfrone: magia, tradizione


Milesia e istanze narrative in Apuleio.

Relatore: Prof. Alfredo Mario Morelli


Controrelatore: Prof. Sandro Bertelli

Laureanda:
Ilaria Danese

___________________________________
Anno Accademico 2019-2020

I
II
INDICE

Introduzione
I. Capitolo I: Romanzo, tradizione Milesia e istanze narrative nell’opera di Apuleio.

1. Il “romanzo” nel mondo antico.

2. La fabula Milesia.

3. Le Metamorfosi: tra esperienza mistica e letteratura d’evasione.

II. Capitolo II: Magia, fantasmi e morti irrequieti nella narrativa antica.

1. La ghost story: narrativa dell’orrore? Gli elementi del genere.

2. Magia in Apuleio: tra vita e opere.

III. Capitolo III: La novella di Telìfrone.

1. Lo sviluppo diegetico.

2. Riflessioni sulla novella.

III
Introduzione

Questo progetto di ricerca ha come oggetto la novella di Telìfrone, un racconto presente nella
più ampia opera di Apuleio, le Metamorfosi, o meglio conosciuta come Asinus Aureus, scritta
nel II secolo d. C.
E’ l’unico romanzo della letteratura latina pervenutoci per intero, l’altra grande opera, sempre
riconducibile allo stesso genere, il Satyricon di Petronio, è tramandata solo parzialmente.
L’opera risulta essere il prodotto di una contaminazione di generi che vanno dall’epica, alla
biografia, al romanzo, alla satira menippea e al racconto mitologico.
Nell’ambito di questo studio andremo ad analizzare anche l’influenza che ha avuto la fabula
Milesia (racconti che hanno anche ispirato Petronio), che ha le sue origini nel II secolo a.C. in
Grecia e che è caratterizzata da brevi racconti realistici narrati in prima persona e aventi ad
oggetto tematiche amorose e picaresche.
La definizione delle Metamorfosi come “romanzo” è stata ampiamente dibattuta dalla critica e
risulta ancora oggi essere controversa, sia per quanto concerne la nascita e l’evoluzione del
genere romanzesco, sia per la sua corretta individuazione e catalogazione.
Questo tipo di paraletteratura si diffuse soprattutto nel II e III secolo d. C. a seguito di un
aumento notevole dell’alfabetizzazione 1 , che, inevitabilmente, implicò un bacino di utenza
diverso dalla solita cerchia elitaria e soprattutto svincolata dalle consuetudini e obblighi di
dover leggere unicamente opere degli auctores canonici e di una certa caratura culturale. La
maggior parte di opere riconducibili a questo genere è andata completamente persa; solo alcuni
romanzi entrarono in meccanismi di trasmissione, perché ritenuti di stile più elevato e perché
riuscirono a circolare comunque nelle scuole.
Infatti, nella cultura antica c’era ben poca considerazione per una qualsiasi produzione letteraria
che non avesse dichiaratamente uno scopo utile ed educativo; poiché Apuleio era un retore
ambizioso, possiamo ipotizzare che non avesse mai menzionato nelle altre sue opere le
Metamorfosi 2.

1
CAVALLO, GUGLIELMO, Veicoli materiali della letteratura di consumo. Maniere di scrivere e maniere di
leggere, in O. Pecere – A. Stramaglia (a cura di), La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, Cassino 1996,
pp. 28-31.
2
GRAVERINI, LUCA – NICOLINI, LARA (a cura di), Apuleio Metamorfosi, vol. I, Fondazione Lorenzo Valla,
Milano 2019, p. xv.

IV
Basti pensare che lui stesso aveva nel libro I (Met. I I, 1 e 6) dichiarato la finalità della sua
conversazione Milesia: At ego tibi sermone isto Milesio varias fabulas conseram auresque tuas
benivolas lepido susurro permulceam, modo si papyrum Aegyptiam argutia Nilotici calami
inscriptam non spreveris inspicere. Figuras fortunasque hominum in alias imagines conversas
et in se rursum mutuo nexu refectas, ut mireris, exordior.
Trad. : “ E in questa conversazione milesia io intreccerò per te storie di ogni genere e incanterò
le tue orecchie benevole con un dolce sussurro; soltanto, tu non rifiutarti di esaminare questo
papiro egizio ingegnosamente vergato con una sottile canna del Nilo. Do inizio, affinché tu ti
meravigli, a una trama di figure e sorti umane che hanno cambiato aspetto e sono poi
vicendevolmente tornate quelle di prima.”3
Tuttavia, dall’analisi fatta a posteriori dell’intero corpus dell’opera, si evince che l’incipit che
l’autore ci propone è piuttosto ingannevole: le Metamorfosi non devono solo incantare, stupire
e divertire il lettore, bensì lasciargli un insegnamento, una morale finale.
Infatti, il punto focale non è tanto l’originalità della storia che ritroviamo, seppure con
sostanziali differenze nel romanzo greco Lucio o l’asino di Luciano di Samosata4, quanto il
sorprendente finale.
Il protagonista dell’opera di Apuleio è Lucio, nativo di Madauro, città della Numidia dove
nacque l’autore stesso. Viaggiando in Tessaglia, regione nota per la presenza di streghe e per il
culto delle arti magiche5 , egli prova un insaziabile desiderio di praticare incantesimi: dopo
essersi spalmato un unguento magico, si ritrova trasformato per errore in un asino. Il racconto
prosegue con una serie di peripezie ed avventure, in seguito alle quali Lucio ritrova la forma
umana.
Tuttavia, mentre nel racconto di Luciano non vi sono spunti moraleggianti, nel romanzo
apuleiano, il finale rivela una chiara intenzione didattica. Il percorso di Lucio si conclude con
l’incontro nel sonno con la dea Iside, che gli preannuncia la sua trasformazione in umano e che
sarà determinante nel suo processo di redenzione e di cambiamento.
Il finale di Lucio o l’asino, invece, è totalmente in linea con lo spirito burlesco e smaliziato di
tutta l’opera. Lucio è in procinto di affrontare una delle ultime prove: giacere, da asino, con una
detenuta in un anfiteatro. Dopo l’unione, Lucio scova le agognate rose e riacquista la forma
umana; corso dall’amata per rivelarle la notizia, viene respinto da lei, disgustata dal suo aspetto
umano.

3
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., pp. 7,8.
4
Sullo pseudo-Luciano ved. van Thiel 1971 e 1972.
5
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. XVIII.

V
La conclusione, dunque, è perfettamente coerente col genere milesio che caratterizza tutta
l’opera, a differenza del finale apuleiano che avvicina le Metamorfosi al genere più pretenzioso
del futuro “romanzo di formazione”.
Altro aspetto che eleva l’opera ad un genere più sofisticato è l’elemento epico presente nella
circolarità dei viaggi di Lucio (sia nella versione greca che in quella latina): il protagonista
finisce sempre per fare ritorno a casa, come gli eroi omerici6.
Da queste riflessioni appare chiaro che l’opera apuleiana abbia in sé tutta una serie di tematiche,
fonti e spunti letterari narrativi che la rendono ben più complessa e articolata rispetto alla
letteratura di consumo comunemente intesa.
All’interno delle Metamorfosi, un’attenzione particolare merita la Novella di Telifrone, oggetto
specifico di studio del presente lavoro. In particolare la novella rappresenta “un racconto nel
racconto”, riconducibile alla narrativa fantastica e ai temi della magia cari ad Apuleio.
La magia, infatti, ha un ruolo centrale nella vita e successivamente nella sua produzione
letteraria: a Sabratha, contro Apuleio fu celebrato un processo per il reato di magia, fra il 155 e
il 158, dinanzi al proconsole Claudio Massimo. Apuleio si difese abilmente e con esito
vittorioso, circostanza che si evince dall’Apologia (o de magia), orazione con la quale l’autore
ripercorre e rielabora la sua arringa difensiva in quel processo; respinge le accuse riguardanti i
sortilegi per mezzo dei quali avrebbe indotto la ricca vedova Pudentilla a sposarlo.
Nell’Apologia, l’autore documenta la sua disinteressata condotta nei confronti dei figliastri e
ripercorre la storia del suo matrimonio. Con riferimento alla magia, non nega di conoscerne i
misteri e i simboli, sostenendo tuttavia di non averne fatto uso. Il mondo magico, protagonista
dell’Apologia, viene riproposto come tematica nelle Metamorfosi, nelle quali Apuleio dà libero
corso alla sua fantasia e al suo talento di narratore7.
Sullo sfondo dei suoi racconti ci sono strabilianti avventure, fatti loschi e burleschi, con scenari
in continua evoluzione e con bizzarri personaggi.
La mancata menzione delle Metamorfosi nell’Apologia, testimonia che il romanzo fu composto
con una certa probabilità, in assenza di date certe, successivamente al processo di magia. Infatti,
se così non fosse, sicuramente il romanzo sarebbe stato elemento di accusa nel processo subito
dall’autore e, di conseguenza, ne avremmo trovata sicura traccia nell’orazione di difesa8.

6
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. XXIII.
7
STUCCHI, SILVIA, Apuleio. Apologia. Apulei platonici pro se de magia, Milano 2016.
8
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. XV.

VI
Come si è già avuto modo di accennare, il topos della magia risulta dominante nella novella di
Telifrone, al punto di interrogare la critica sulla riconducibilità della novella al motivo letterario
della ghost story.
In particolare la mia ricerca si soffermerà sulla trama della novella, sui suoi elementi
caratterizzanti, sull’esistenza di tratti comuni alla “narrativa fantastica” e sull’influenza della
magia nell’opera, fermo restando che chi scrive è ben consapevole che quella fantastica è solo
una delle istanze narrative dell’opera apuleiana.

VII
Romanzo, tradizione Milesia e istanze narrative nelle Metamorfosi di Apuleio.

Al fine di studiare le caratteristiche specifiche dell’opera apuleiana appare necessario riportare


brevi cenni sul romanzo antico e sulla fabula Milesia, questo anche per chiarire quali aspetti
delle Metamorfosi siano riferibili al primo e quali al secondo genere (ribadendo che il termine
genere verrà utilizzato solo per comodità espositiva).

1. Il “romanzo” nel mondo antico.

Con il termine “romanzo” si definisce un genere che nella letteratura greco-romana non aveva
avuto una propria classificazione, poiché gli antichi riferendosi a quelle opere utilizzavano nomi
diversi come ad esempio fabula e historia 9.
Nello specifico, parliamo di narrativa di invenzione, diffusasi soprattutto tra i secoli I e III,
quando l’affacciarsi di un pubblico di lettori diverso da quello scolastico aveva comportato la
nascita di testi nuovi appartenenti alla letteratura di consumo.
In greco ci sono stati tramandati una serie di testi simili tra loro, ad esempio Cherea e Calliroe,
Leucippe e Clitofonte, Dafni e Cloe; sulla scia di tali elementi si sono riscontrate numerose
affinità fra Metamorfosi e romanzi greci sia nel contenuto (le peregrinazioni in paesi lontani, le
avventure fantastiche), sia nel tono (le lunghe digressioni, le variazioni continue dello stile, col
passaggio dal comico al grottesco, dal meraviglioso al tragico e al patetico e il dominio supremo
della retorica).
Nel mondo latino, invece, le opere più importanti a noi pervenute sono il Satyricon di Petronio
e l’Asino d’oro di Apuleio; anche in questi scritti ritroviamo alcuni dei tratti delle opere greche
già citate, come il tema picaresco, gli elementi parodici, contenuti con sfumature erotiche, altro
argomento a favore dell’esistenza di un collegamento solido tra la letteratura latina e la
principale fonte di ispirazione quale è stata la letteratura greca10.
Secondo alcuni studiosi, tra cui spiccano Daniel Couégnas 11
e Massimo Fusillo, la
paraletteratura sarebbe caratterizzata da una serie di costanti, in buona parte applicabili al
romanzo antico.
La prima sarebbe la “ripetizione”: il lettore si aspetta di ritrovare all’interno delle opere gli
stessi topoi già conosciuti e prefissati. Il secondo punto focale viene individuato nella sparizione

9
NICOLINI, LARA, Il romanzo di Apuleio: storie di narratori inaffidabili, Napoli 2012, p.1.
10
NICOLINI, L., op. cit., p.2.
11
Cfr. COUEGNAS, DANIEL, Introduction à la paralittérature, Paris 1992.

VIII
del narratore: la storia viene enunciata senza alcun intermediario e col predominio del discorso
diretto che porta inevitabilmente ad una vicinanza più immediata, fra il lettore e l’eroe.
Ulteriore costante è la dominanza della narrativa, sottolineando l’importanza dell’intreccio
rispetto a tutti gli altri elementi12.
Come si accennava prima, i trattati retorici antichi non riportano il romanzo tra le categorie di
genere; è un’assenza che si può spiegare con la nascita del genere in età ellenistica che ha dovuto
attendere l’età romantica per acquisire una posizione indipendente e più autorevole.
Questo non implica che non vi sia un rapporto fra la retorica antica e la narrativa: i retori
prevedevano categorie di narrazioni di invenzione che con la dovuta prudenza potrebbero
agevolmente essere codificate come romanzi e vi sono testimonianze di una formazione di
romanzieri presso scuole di retorica13. Quello che manca è una codificazione vera e propria del
genere; si ribadisce infatti, che il termine romanzo è un termine moderno, inesistente in epoca
antica e semplicemente adattato a posteriori alla narrativa d’invenzione del mondo greco-latino.
Quanto detto sinora appare fondato anche sull’influsso di queste opere antiche sulla struttura
narrativa moderna e soprattutto in quella dei Promessi Sposi, di Alessandro Manzoni.
Anche in questo romanzo la trama si articola (in estrema sintesi) sulla storia di due innamorati
la cui unione è ostacolata da una serie di sfortunati eventi; i due, in seguito a numerose peripezie
e all’incontro di diversi personaggi, superano gli ostacoli e riescono a riunirsi. Tralasciando,
per quello che interessa questo studio, l’indubbia complessità dell’opera manzoniana
(sicuramente legata ad altri contesti culturali e non riassumibile in queste poche righe), ciò che
interessa rilevare ai nostri fini è la circolarità dell’intreccio, il tema dell’eros, del viaggio e
dell’avventura, caratterizzanti anche la narrativa di invenzione dell’epoca classica.
Si segnala inoltre che, mentre per grandi autori come Omero e Demostene si azionarono in ogni
epoca meccanismi di trascrizione e conservazione tramite le scuole o le biblioteche pubbliche
o private, che ne assicurarono la diffusione e la circolazione fino ai giorni nostri, ciò non
avvenne per la maggior parte dei romanzi e della letteratura di consumo più in generale, proprio
perché non appartenenti a generi letterari degli auctores. Si può ritenere che molti di questi
scritti siano andati persi e che soltanto alcuni testi, tra cui alcuni romanzi, circolarono poiché
riuscirono a varcare la soglia delle scuole e delle biblioteche.

12
FUSILLO, MASSIMO, Il romanzo antico come paraletteratura? Il topos del racconto di capitolazione? in O.
Pecere – A. Stramaglia (a cura di), La letteratura di consumo nel mondo greco-latino, Cassino 1996, pp.50-51.
13
FUSILLO, MASSIMO, Letteratura di consumo e romanzesca, in G. Cambiano – L. Canfora – D. Lanza (a cura
di), Lo spazio letterario della Grecia antica, Vol. 1, tomo 3, Roma 1994, pp. 239-241.

IX
2. La fabula Milesia.

Nell’ambito di questo lavoro è importante analizzare l’origine e l’evoluzione del “genere” in


questione per poter comprendere meglio le contaminazioni presenti nell’opera apuleiana.
La fabula Milesia nasce in Grecia intorno al II secolo a.C. ed è caratterizzata da una serie di
racconti brevi realistici e piccanti, narrati in prima persona dall’autore, a sfondo erotico, magico
e avventuroso14.
Sicuramente possiamo cogliere un’influenza notevole della fabula Milesia nelle Metamorfosi,
considerando tutta quella serie di novelle, intrecci narrativi che caratterizzano l’opera in
questione. Nella celebre novella di Amore e Psiche, è evidente questo aspetto, sottolineato,
infatti, da molti studiosi tra cui E. Rohde, R. Reitzenstein, L. Pepe, che fissarono subito alcuni
caratteri fondamentali, formulati secondo le categorie tipiche della critica dell’epoca: il
realismo, l’ambientazione borghese, l’immoralità delle situazioni 15.
E’ bene ricordare che il massimo esponente del genere fu Aristide di Mileto (da cui la fabula
ha tratto il nome) il quale scrisse una raccolta nel II secolo a.C.
Dalla Grecia, in seguito le fabulae Milesiae giunsero a Roma, grazie alla traduzione latina di
Lucio Cornelio Sisenna, celebre storico di Silla e oratore del I secolo a.C.
Abbiamo inoltre, alcune testimonianze di importanti storici e scrittori come Ovidio 16 e
Plutarco17; il primo nella Vita di Crasso, dove descrive ampiamente l’immoralità dei racconti
milesii, il secondo invece, ne parla nei Tristia, quando protestando contro le motivazioni del
suo esilio (al quale era stato condannato a causa dell’eccessiva licenziosità dell’Ars Amatoria)
afferma che sia Aristide sia Sisenna avevano legato il proprio nome ad un genere più sfrontato
del suo, eppure non avevano subito la stessa condanna 18.
L’aspetto fondamentale da tenere presente è che Apuleio dichiarò che la sua opera fosse sì di
tipo “milesio”, cioè caratterizzato da una narrazione scorrevole, con uno spiccato gusto erotico

14
SCHMELING, GARETH, The Novel in the Ancient World, Leiden 1996.
15
MORESCHINI, CLAUDIO, “Le Metamorfosi di Apuleio, la «fabula milesia» e il romanzo”, in Materiali e
discussioni per l'analisi dei testi classici, 25, 1990, p.116.
16
OVIDIO, Trist., II, 413-418; 443-444.
17
PLUTARCO, Crass., 32, 4-6.

X
e licenzioso, ma nello stesso tempo scostandosene nei tratti dove si rivelano, invece, toni
compassionevoli e più seri e pateticità delle situazioni19.
Apuleio per alcuni studiosi tra cui citiamo R. Helm, E. Paratore, A. Mazzarrino e P.G. Walsh,
parlando di fabula Milesia si riferisca non all’intera opera delle Metamorfosi, ma bensì alla
celebre novella di Amore e Psiche 20.
All’interno della narrazione autodiegetica delle avventure di Lucio, trasformato in asino e che
di nuovo torna uomo dopo mille peripezie, è incastonato in posizione mediana l’ampio racconto
nel racconto, la bella fabella 21di Amore e Psiche che una narratrice di secondo grado, una
vecchia stravagante della quale è taciuto il nome, propone a scopo consolatorio a Carite, una
fanciulla prigioniera di una banda di ladroni. Si tratta di una fabula Milesia e non è la sola
deviazione narrativa rispetto all’avventura principale di Lucio, ma questo non autorizza certo a
considerare la vicenda del protagonista-narratore una semplice cornice destinata a contenere
novelle: nel caso particolare dell’excursus di Amore e Psiche, esso è destinato ad illuminare il
senso della storia principale, di cui è sintesi concettuale e di cui prefigura il senso filosofico ed
iniziatico che verrà svelato a pieno solo nella conclusione delle avventure di Lucio.
È un modello in scala ridotta dell’intero romanzo, dunque, “una variante semantica
dell’intreccio principale” (M.Bachtin) 22 , e la successione degli avvenimenti, le sequenze
narrative della novella replicano l’ordine delle vicende del romanzo: prima un’avventura
erotica, poi la curiositas punita con la perdita della condizione beata, quindi le peripezie e le
sofferenze determinate dalla trasgressione e dalla persecuzione divina , lo scioglimento nel lieto
fine grazie ad un insperato intervento divino che trasforma ed eleva il protagonista curioso,
Lucio da una parte e Psiche dall’altra.
Considerata la forte influenza della componente novellistica nel tessuto del romanzo di Apuleio,
è naturale che i rapporti con la fabula Milesia abbiano suscitato un interesse particolare.
Effettivamente nella novella citata in questo paragrafo c’è molto in comune con ciò che ci è
noto della fabula: Apuleio avrebbe innovato nei confronti della Milesia originaria, inserendo il
lato allegorico nel suo sviluppo tradizionalmente vivace e pungente e facendo del suo romanzo
un racconto autobiografico dai toni e dai contenuti edificanti.

19
MORESCHINI, C., art. cit., p. 116.
20
MORESCHINI, C., art. cit., 25, p. 118.
21
Apuleio così si esprime a proposito della novella di Amore e Psiche: «...stilum..., qui tam bellam fabellam
praenotarem» («e mi rammaricavo di non avere carta e penna, per appuntarmi una così bella favola», Met. VI,
25).
22
BACHTIN, MICHAIL, Estetica e romanzo, Torino 1997, p.258.

XI
3. Le Metamorfosi: tra esperienza mistica e letteratura d’evasione.

L’opera, suddivisa in 11 libri, è raccontata da Apuleio in prima persona: il narratore nelle prime
battute, si presenta come un commerciante di Corinto e, dopo aver promesso al lettore di
stupirlo e di intrattenerlo, comincia a raccontare incredibili avventure che avrebbe vissuto a
Ipata, in Tessaglia. All’inizio l’autore non svela il nome del protagonista che verrà rivelato solo
alla fine del I libro: Lucio, ospite dei coniugi Milone e Panfila, donna dedita a pratiche di magia,
decide di sottoporsi ad un esperimento; spinto dalla curiositas, caratteristica dominante del
personaggio in esame, dopo aver visto la donna trasformarsi in un uccello, decide di spalmarsi
anche lui un unguento magico. Tuttavia, a causa dell’intervento di Fotide, serva della maga,
che dopo essere stata sedotta e convinta ad aiutare il protagonista, per errore trasforma Lucio in
un asino. Per riprendere le sembianze umane, Lucio dovrebbe mangiare delle rose; in attesa di
poterlo fare, si addormenta in una stalla. Da qui tutta una serie di peripezie: viene rapito da una
banda di ladroni che lo sfruttano come bestia da soma. Nel covo dei briganti conosce Carite,
anche lei rapita e, in questo episodio, viene raccontata da un’anziana governante la lunga fabula
di Amore e Psiche, per consolare la giovane ragazza.
L’asino, trascinato in giro per il mondo, viene venduto e acquistato da dei sacerdoti truffatori,
poi passa al servizio di un mugnaio, di un ortolano, di un soldato romano e infine di due cuochi
di un signore di Corinto. Questi ultimi decidono di farlo accoppiare in un’arena con una
condannata a morte; ma Lucio, disgustato, riesce a fuggire. Giunto alla spiaggia di Cencre,
prega la Luna, per essere liberato dalle sue disgrazie. All’asino, nella notte, si rivela la dea
egizia Iside, che gli preannuncia la salvezza, anticipandogli che il giorno dopo un sacerdote gli
consegnerà una corona di rose, tramite le quali potrà recuperare le sue sembianze. Lucio
diventerà un adepto della dea Iside, la quale gli riappare nuovamente in sogno invitandolo a
recarsi a Roma per diventare retore23.
Da notare che è solo in uno degli ultimi capitoli dell’ultimo libro che Lucio di Corinto viene
presentato come Madaurensis, un cittadino di Madaura, città natia di Apuleio (Met.,XI, 27);
secondo alcuni studiosi, tra cui spicca Lara Nicolini, «la sovrapposizione dell’io scrivente
sull’io narrante comporta una nuova, più grossa sorpresa: non solo il protagonista si scopre ben

23
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., pp. XVIII, XIX.

XII
diverso da quanto annunciato all’inizio, ma questa sua nuova identità coincide con quella
dell’autore»24.
Come ho già avuto modo di constatare, l’opera apuleiana è permeata da una notevole
complessità, che rende difficile la catalogazione in un genere rigido e ben definito. Se la
struttura appare simile a quella di un romanzo, al suo interno l’intreccio di diverse novelle a sé
stanti ci rimanda al genere della fabula Milesia.
La divisione dell’opera in 11 libri non è coerente con i ritmi del racconto, o ancora meglio con
i vari nuclei narrativi; l’unica eccezione è il libro finale completamente dedicato ad una
conclusione mistico-religiosa delle avventure di Lucio25.
Secondo alcuni studiosi, l’unitarietà dell’undicesimo libro rispetto ai precedenti può essere
spiegata dalla volontà dell’autore di elevare la natura dell’opera: «l’ultimo libro ha un carattere
decisamente posticcio che ne denuncia la vera natura, quella di un “ripensamento”, una specie
di correzione tardiva per giustificare e in qualche modo rivalutare, nobilitare, un’opera letteraria
considerata di bassa lega»26.
Molti libri dell’opera iniziano e terminano con gli archi temporali del sorgere e calare del sole,
espediente tipico dell’epica; ma non è questo l’unico elemento riferibile al genere, poiché anche
le scelte lessicali e stilistiche apuleiane vi fanno spesso rimando.
A ciò si aggiunge come tratto epico, l’elemento della circolarità del viaggio di Lucio: dopo
innumerevoli eventi e vicissitudini, il protagonista fa ritorno a casa, a dimostrazione dello
stretto rapporto intercorrente tra il romanzo e l’epica27.
Il prototipo è quello di Ulisse che, costretto a vagare per molto tempo, torna ad Itaca dalla sua
amata Penelope; nelle Metamorfosi, Lucio torna a casa, apparentemente anche per ben due
volte: la prima, quando soggiorna a Cencre e a Corinto, la seconda quando giunge a Roma,
trovando una patria “elettiva” per la sua nuova vita.
Vi è tuttavia una differenza fondamentale tra l’eroe omerico e Lucio: l’epilogo odissiaco ha un
lieto fine prettamente amoroso; invece il finale apuleiano assume una forte valenza mistica e
religiosa. Ad attendere Lucio non vi è una donna ma la dea Iside, alla quale il protagonista
diventa fortemente devoto.

24
NICOLINI, L., op. cit., p.7.
25
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p.XX.
26
NICOLINI, L., op. cit., p.10.
27
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p.XXIII.

XIII
Inoltre, anche stilisticamente l’ultimo libro appare più pretenzioso, poiché il clima intorno alla
storia si fa più solenne: cambia il modo di raccontare, non vi sono “racconti nel racconto”, il
tono è univoco, il numero dei personaggi diminuisce drasticamente. Infatti i primi dieci libri
sembrano rifarsi almeno da un punto di vista del contenuto e della forma, alla presunta fonte di
Lucio o l’asino e anche al modello delle Metamorphoseis di Lucio di Patre, della cui esistenza
abbiamo notizia grazie al codice 96b dell’autore bizantino Fozio, in una raccolta di schede di
lettura28, mentre l’ultimo libro rappresenta la sorpresa isiaca, «il cui contenuto narrativo sembra
quasi tutto estraneo alla trama attribuibile al perduto modello greco delle Metamorfosi»29.
Il clima mistico che pervade il finale dell’opera si pone, secondo alcuni studiosi, quali ad
esempio Lara Nicolini, in contrasto con l’incipit del romanzo stesso. Come si è già detto,
Apuleio presenta la propria opera come un racconto scritto per delectare, definendola altresì
come una conversazione milesia, e in questo contesto diverse letture sono state avanzate dagli
studiosi per spiegare il perché di un finale serio e moraleggiante.
Una prima corrente di pensiero ha definito l’ultimo libro posticcio, una sorta di ripensamento
per conferire dignità ad un’opera che altrimenti sarebbe stata considerata priva di spessore.
Per questi studiosi, tra cui spiccano E. Perry e A. La Penna, «le Metamorfosi rappresenterebbero
un susseguirsi di storie slegate e indipendenti tra loro, unite solo dal tema comune (la magia) e
dal piacere del racconto» 30.
Altri interpreti azzardano che la frivolezza del racconto sia da generalizzare e che il tema
religioso debba essere letto come una sorta di «colossale presa in giro: la storia in sé non ha un
senso preciso, e credere nel correttivo finale, e dunque credere che essa fosse in effetti una sorta
di celebrazione della religione isiaca significherebbe cascarci in pieno».
In questi termini si è espresso John J. Winkler 31 il quale riscontra a favore della sua tesi una
serie di possibili indizi: la calvizie di Lucio, tipica non solo del sacerdote ma anche del buffone,
la richiesta continua di soldi tipica delle truffe, il numero esagerato dei riti di iniziazione32.

28
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. XVII.
29
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. XXI.
30
NICOLINI, L., op. cit., p.10.
31
Cfr. WINKLER, JOHN J., Auctor & Actor. A Narratological Reading of Apuleius’s The Golden Ass, Berkley-
Los Angeles-London 1985.
32
NICOLINI, L., op. cit., p.10.

XIV
In realtà, a mio modesto parere, questa interpretazione appare quanto mai forzata; il finale non
mi sembra una presa in giro del lettore considerando che molti dettagli presenti nel testo sono
effettivamente riferibili alla religione isiaca.
La presunta devozione di Apuleio alla dea Iside33, se si considerano la minuziosa e dettagliata
conoscenza dei rituali mostrata dall’autore mi porterebbe a ritenere difficile che l’autore potesse
utilizzare l’espediente religioso in modo così scherzoso e burlesco, seppure, c’è da considerare
che potrebbe essere una mossa audace e ironica, del tutto in linea con la personalità sofistica
del nostro autore.
Una terza possibile interpretazione la si ritrova negli scritti dello studioso John Winkler nel
1985: Apuleio avrebbe lasciato libero il lettore di scegliere se considerare la conversione di
Lucio un’appendice satirica oppure una più seria celebrazione religiosa. «Nel primo caso Lucio
rimarrebbe sempre lo stesso personaggio curioso e ingenuo dall’inizio alla fine del romanzo, la
cui chiave di lettura sarebbe la satira della credulità umana: nei primi dieci libri il protagonista
è vittima della magia, a causa della quale perde le proprie sembianze umane, mentre nell’ultimo
finisce vittima dei culti egizi, per i quali si riduce in miseria e diventa una sorta di paria sociale
che si aggira nel foro romano con la testa rasata. Nel secondo caso, al contrario, l’adesione di
Lucio ai culti egizi è genuina e le azioni dei sacerdoti non hanno alcuna traccia di malizia o
avidità; il romanzo avrebbe dunque un carattere sostanzialmente serio e parenetico»34.
Ulteriore elemento di discontinuità tra l’opera apuleiana e il romanzo greco (sempre che di
romanzo si possa parlare) è il dato dell’ambientazione dei luoghi: le vicende narrate si svolgono
a Corinto e a Roma, località entrambe estranee all’Onos lucianeo.
Ricapitolando, ho cercato in questo studio di delineare i punti cardine della struttura del
romanzo, cercando di individuarne gli elementi di originalità rispetto alle opere consimili e ai
possibili modelli, soffermandomi maggiormente col confronto della fabula Milesia.
In realtà, un’interpretazione che riducesse la fabula Milesia ad una semplice narrazione di
carattere erotico, lascia perplessi in quanto, numerosi autorevoli critici hanno colto
l’impossibilità di una lettura così riduttiva proprio nella novella più celebre delle Metamorfosi,
ovvero Amore e Psiche, la quale ha delle caratteristiche peculiari e solo proprie, avendo anche
collegamenti con significati allegorici e religiosi 35.

33
FINOLEZZI, PIERLUIGI, Il sogno isiaco: tra onirismo e soteriologia, in “Clinamen-periodico di cultura
umanistica” – n. 2, 2018 https://www.periodicoclinamen.it/il-sogno-isiaco-tra-onirismo-e-soteriologia/ , pp. 12-
14.
34
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L.,op. cit., p. XXVIII.
35
MAZZARINO, ANTONIO, La Milesia e Apuleio, Torino 1950, pp.141-142.

XV
Studi più recenti hanno il merito di aver mutato la prospettiva di interpretazione dei generi,
mettendo in discussione le categorie di romanzo e fabula Milesia: ci si è resi conto
dell’imprecisione con cui si sono adattati termini moderni a forme antiche di narrazione,
venendo a definire l’inutilità della distinzione usuale di romanzo e novella36.

36
MORESCHINI, C., art. cit., 25, p. 127.

XVI
Magia, fantasmi e morti irrequieti nella narrativa antica.

Nel capitolo precedente, ho cercato di inquadrare la magnum opus di Apuleio in una prospettiva
più generale, soffermandomi su elementi prettamente legati alle fonti, la tradizione percorsa e
dalla quale nello stesso momento si discosta l’autore. Ora è importante entrare nel vivo del mio
lavoro di ricerca e approfondire la novella di Telìfrone e cercare di comprendere, in modo
piuttosto esaustivo, quali siano le caratteristiche notevoli di questo particolare racconto e quale
sia il ruolo della novella stessa all’interno dell’opera dell’autore. Fantasmi e magia sono gli
elementi principali di cui discuterò, parole chiave all’interno della novella.

1. La ghost story: narrativa dell’orrore? Gli elementi del “genere”.

Nell’ampio spettro della letteratura di consumo, di cui abbiamo dissertato nelle pagine
precedenti, troviamo una serie di “sottogeneri” che variano tra di loro per tematica e argomento.
Uno dei motivi letterari che anima la letteratura di consumo, in genere, e le Metamorfosi in
particolare è quello della storia di fantasmi: più che di uno specifico genere, si tratta infatti di
un inserto più o meno occasionale in opere di diversa natura.
Nella letteratura greca e in quella ellenistico-romana le vicende di fantasmi sono presenti in
numerose opere; tra le quali prendiamo ad esempio due testimonianze.
Il primo testo è quello delle Notti attiche di Aulo Gellio in cui l’autore descrive un episodio
autobiografico nel quale racconta al ritorno da un viaggio, di essersi imbattuto, nel celebre porto
di Brindisi, in un banco che vendeva dei libri greci pieni di fatti meravigliosi e favolosi:
« Atque ego avide statim pergo ad libros. Erant autem isti omnes libri Graeci miraculorum
fabularumque pleni, res inauditae, incredulae, scriptores veteres non parvae
auctoritatis[…]»37.
“Ed io, con avidità, mi dirigo subito verso i libri. Ora, tutti questi erano libri greci, pieni di fatti
meravigliosi e favolosi, cose inaudite, incredibili, scrittori antichi di non piccola autorità […]”
(Trad. Cavazza).38
La seconda testimonianza dell’esistenza della ghost story nella letteratura antica è un passo
tratto dal Contro Celso di Origene: “Anche autori greci ci hanno trasmesso che realtà
straordinarie si manifestano talvolta agli uomini: non solo quelli autori che si può sospettare

37
AULO GELLIO, IX, 4, 1-5.
38
STRAMAGLIA, ANTONIO, Res inauditae, incredulae Storie di fantasmi nel mondo greco-latino, Bari 1999,
p.50.

XVII
abbiano inventato delle leggende, ma pure quelli che hanno dato molte prove di essere filosofi
genuini, e di esporre con sincero amore di verità i fatti a loro pervenuti […]. Ordunque, quando
i Greci, e soprattutto fra essi i filosofi, fanno simili racconti, le loro parole non provocano né
beffe né riso, e non sono considerate finzioni e favole; quando invece gli uomini, che son devoti
al Dio dell’universo, e che per non pronunziare neanche una parola di menzogna riguardo a Dio
accettano qualsiasi oltraggio fino alla morte, dichiarano di aver veduto angeli in visione, essi
non sono degni di esser creduti, ed i loro detti non possono essere accolti fra le verità?” 39.
L’unica silloge di storie di fantasmi che ci è stata tramandata è un’opera di Flegonte di Tralles,
il Περί θαυμασίων che risale al II secolo d.C. L’opera, non pervenutaci per intero, si compone
di 35 storie prodigiose, in una prima parte (1-3) storie di revenants, morti redivivi e nella
seconda (4-35) mirabilia antropologici di vario genere.
Tuttavia, l’origine delle prime tre storie (che è la parte di nostro interesse ai fini di questo studio)
viene fatta risalire all’epoca ellenistica grazie all’analisi per due motivi principali. La prima
ragione risiede nelle fonti citate all’interno delle storie: prescindendo dal problema della
veridicità, gli informatori che hanno tramandato i racconti vengono configurati come cronisti
occasionali e non come auctores veri e propri, circostanza tipica della storiografia ellenistica40.
La seconda circostanza che fa propendere per l’origine ellenistica dei racconti è la forma
epistolare della narrazione, tipica proprio di quel periodo.
Il motivo della morte e dei fantasmi trova il suo spazio anche negli scritti filosofici: alle volte
le discussioni filosofiche si basavano su esempi di testimonianze riconducibili a catalessi e a
sospensioni apparenti della vita umana. I testi più rilevanti sono alcuni trattati filosofici di
ambito greco, ad esempio cito il mito di Er, nella Πολιτεία di Platone, un’opera filosofica in
forma di dialogo composta da dieci libri, in cui il mito si colloca nell’ultimo libro, che tratta
appunto temi come la reincarnazione e l’immortalità dell’anima. Il dialogo si conclude con un
mito nell’aldilà che narra di Er, un soldato valoroso originario della Panfilia morto in battaglia,
il cui corpo viene raccolto e portato sul rogo; poco prima di essere arso si risveglia e racconta
ciò che ha visto nell’aldilà, affermando di essere ritornato sulla terra per volere degli dei per
raccontare agli altri uomini ciò che aveva visto nel mondo ultraterreno.
La sua anima una volta uscita dal corpo si era messa in cammino con molte altre finchè non era
giunta in un luogo divino: qui si trovavano due coppie di voragini contigue, una in cielo e l’altra
in terra e in mezzo sedevano i giudici delle anime. Questi, pronunciato il giudizio, ponevano al
collo dei giusti e alle spalle degli ingiusti i segni della sentenza, ordinando ai primi di salire a

39
STRAMAGLIA, A., op. cit., p.52.
40
STRAMAGLIA, A., op. cit., p.57.

XVIII
destra e in alto e ai secondi di scendere a sinistra in basso. Il viaggio sotterraneo era un viaggio
di espiazione, nel quale ogni ingiustizia commessa in vita veniva pagata con dolori dieci volte
più gravosi di quelli provocati; con misura analoga le azioni giuste venivano ricompensate.
L’intento di Platone è quello di immaginare il giudizio delle anime e successivamente la loro
nuova scelta di vita, dopo le punizioni o i premi goduti nelle dimore sotterranee o in cielo;
infatti, la parte centrale è quella che interessa maggiormente, riguardante la scelta delle anime
tra i modelli di vita in gran numero offerti tra loro. Le anime migliori scelgono talora male,
poiché non provati dalle sofferenze, vite ricche e potenti che celano infelicità e male, altri in
base alla precedente esperienza di vita scelgono vite più tranquille e modeste. Dopo aver scelto
il loro destino, le anime bevono l’acqua del Lete e nascono a mezzanotte con un terremoto,
mentre Er, non avendone bevuto, si risveglia sulla pira funeraria con la memoria del suo mito41.
Si può ricostruire un esempio romano, quello dell’erudito Varrone, il quale nelle Antiquitates
rerum humanarum, racconta una serie di morti apparenti (tracce di queste storie si ritrovano in
Valerio Massimo, Plinio il Vecchio e Granio Liciniano).
Si può notare che nelle opere principali l’inserimento di mirabilia avviene con una certa presa
di distanza. Secondo lo studioso Antonio Stramaglia, la presa di distanza può avvenire proprio
con l’utilizzo della tecnica del racconto nel racconto, oppure da parte dell’autore con la
dichiarazione di non volersi dilungare nel raccontare ulteriori miracula perché esulano dal
docere 42.
Tuttavia se da un lato si rileva questo distacco dell’autore rispetto alla ghost story, dall’altro
lato gli stessi racconti mantengono un loro fascino all’interno dell’opera e sono di sicura presa
sui lettori.
Un ruolo di primo piano deve essere attribuito a Damascio di Damasco delle cui opere Fozio ci
tramanda stralci. Sul finire dell’antichità Damascio43 ha avuto il merito di aver tentato di fare

41
PLATONE, Πολ., X.
42
STRAMAGLIA, A.,op. cit., p.62.
43
La ricostruzione critico-storiografica della biografia di Damascio si basa su varie fonti: i frammenti della Vita
del filosofo Isidoro dello stesso Damascio, pervenutici per il tramite di Fozio (presentazione ed epitome nei codd.
181 e 242 della Biblioteca) e del Lessico di Suida, il quale contiene anche una breve notizia su Damascio; taluni
rilievi contenuti nella Storie di Agazia lo Scolastico; qualche altro dato significativo desumibile da Simplicio, dalla
tradizione manoscritta delle opere damasciane, dall’Antologia Palatina e da una rilevante testimonianza
archeologica. Sulla vita e le opere di Damascio, cf. Ruelle (1861); Trabattoni (1985); Combès (1986: ix-xxvi e
xxxiii-lxxii); Linguiti (1990: 9-13); Hoffmann (1994), con amplia bibliografia; Atha- nassiadi (1999: 19-57);
Brisson (2001: in part. 269-274); Napoli (2008: 65-123); Metry-Tresson (2012: 7-15). Si veda anche Di Branco
(2006: 157-179), in cui lo studioso si sofferma sui personaggi e sulle vicende della scuola neoplatonica di Atene

XIX
una summa della letteratura fantastica. Ai nostri fini interessa particolarmente la terza sessione
della sua opera che raccoglie non tanto racconti di resurrezioni, ma veri e propri resoconti di
apparizioni dopo la morte, cioè ghost stories.
Giova menzionare anche l’epistola di Plinio il Giovane44, la quale si incentra su una questione
filosofica della spiegazione delle apparizioni di fantasmi alla quale fanno seguito gli exempla,
tra cui si distingue il secondo racconto su una casa infestata ad Atene.
Intorno al 168 d.C. si colloca l’opera Gli amanti della menzogna, ovvero L’incredulo di Luciano
di Samosata, riconosciuta come una delle fonti principali dell’antichità su credenze e
superstizioni: in essa troviamo una serie di racconti che riguardano diversi aspetti del
soprannaturale, per esempio incantesimi sui serpenti, voli magici, negromanzie, evocazioni ed
esorcismi di demoni, statue ambulanti, morti apparenti, visite di defunti, case infestate e
apprendisti di stregoni, il tutto narrato sotto una chiave prettamente satirica.
Ampio spazio al soprannaturale viene dato anche nelle Metamorfosi apuleiane che includono
una storia di fantasmi che sembra proprio riecheggiare il motivo della narrativa dell’orrore. Ma
nelle Metamorfosi il soprannaturale è soltanto uno degli elementi di un’architettura decisamente
più ampia e, pertanto, non sarebbe fondato attribuire valore determinante agli episodi fantastici
che rimangono semplicemente narrazioni di secondo grado45.
Parallelamente alle opere citate, le storie di fantasmi in epoca tardo-antica circolavano
soprattutto oralmente; nel repertorio dei cantastorie c’erano spesso vicende meravigliose, storie
paranormali e personaggi fantastici, storie di paura che aleggiavano anche nei racconti di balie
e nutrici.
Racconti di fantasmi venivano narrati anche durante le cene, i simposi (esistevano dei narratori
simposiali), venivano tramandati per proverbi o all’interno di processi giudiziari, ad esempio vi
sono tracce di diverbi tra padroni e inquilini nelle quali questi ultimi rifiutavano di pagare
perché la casa era infestata 46.
Altri racconti fantastici vengono ritrovati nelle leggende locali che prima di essere scritte sono
circolate oralmente per interi secoli, la cui valutazione però appare complessa a causa della
difficoltà nell’individuare la fonte.

sulla base delle notizie desumibili dai frammenti della Vita del filosofo Isidoro di Damascio, da cui è possibile
trarre anche numerosi elementi relativi a quest’ultimo.
44
PLINIO IL GIOVANE, Epistulae VII 27, 1-11.
45
STRAMAGLIA, A., op. cit., p. 81.
46
STRAMAGLIA, A., op. cit.,p. 85.

XX
Infine si segnala la testimonianza di Plutarco 47 il quale attesta che i ragazzi in epoca scolare
leggevano e amavano la letteratura filosofica sull’anima alla quale si riconducono le principali
raccolte antiche sulle storie di fantasmi. Da ciò si deduce il riconoscimento di una valenza
pedagogica che probabilmente veniva attribuita a questa narrativa dell’orrore da parte della
scuola antica.
A questo punto può essere interessante chiedersi se gli antichi credessero ai fantasmi: partiamo
dal dato che gli autori di storie di fantasmi si sforzavano di presentare i fatti come realmente
accaduti.
Perché un fatto straordinario potesse entrare in un’opera letteraria che non perseguisse un
intento meramente comico o burlesco, quel fatto doveva essere presentato come vero.
Il racconto pertanto per essere attendibile doveva essere autenticato: un primo metodo era
quello da parte dell’autore di esplicitare che la storia sarebbe stata rinvenuta su un libro o vista
su un dipinto o ancora l’autore si premurava di indicare con precisione tempi, luoghi,
personaggi e informatori, o ancora era l’autore stesso a dichiarare di aver assistito in prima
persona ai fatti. Pur mancando ovviamente una vera e propria prova diretta dell’esistenza dello
spettro o del fantasma, davanti al lettore quelle tecniche conferiscono alla storia un quid di
oggettività che rende il racconto credibile.
In molte ghost stories l’autenticazione parte proprio dal fantasma stesso: sono i fantasmi a dover
dimostrare di essere effettivamente lo spirito di un morto.
I fantasmi preannunciano fatti che si verificheranno poco dopo, altri appaiono con sembianze
diverse, o propongono prove, svelando misteri che solo loro erano in grado di conoscere48.
Appare impossibile appurare se gli autori che scrivevano tali storie, credessero o meno ai fatti
narrati; sicuramente però è un dato che gli autori cercassero come si è visto, di operare una
commistione tra il mondo fantastico e quello reale 49.

47
PLUTARCO, De audiendis poetis 1,14e.
48
PLINIO IL VECCHIO, Nat. VII, 53,179.
49
STRAMAGLIA, A.,op. cit. p. 117.

XXI
2. Magia in Apuleio: tra vita e opere.

Per poter comprendere appieno il tema della magia nell’opera di Apuleio è necessario
soffermarsi su alcune vicende della vita dell’autore50, ampiamente caratterizzate dal tema in
questione.
Lucio Apuleio nacque nel 125 d.C. in Numidia, a Madaura, da una famiglia distinta dell’epoca.
Il giovane studiò retorica alla scuola di Cartagine per poi trasferirsi in Grecia dove entrò in
contatto con la filosofia platonica che influenzò la sua vita e le sue opere.
Apuleio si avvicinò allo studio delle scienze naturali, materia che lo appassionò particolarmente
e che utilizzò per l’approfondimento del tema della magia e dei rituali magici.
Questo argomento è non solo tema di dibattito tra gli studiosi, ma filo conduttore che
attraverserà tutta la vita dell’autore e di conseguenza, nella sua produzione letteraria.
Come abbiamo già avuto modo di accennare, tra il 155 e il 158 il madaurense subì un vero e
proprio processo con l’accusa di aver fatto uso di arti magiche per conquistare la mano della
ricca vedova Pudentilla. Queste notizie le troviamo nell’Apologia, orazione autoapologetica
probabilmente postuma la vera udienza, dove l’autore dà sfoggio al suo abile uso della parola
con un tono ironico, leggero e spesso sarcastico, lontano però dalla straordinaria inventiva
verbale che è peculiarità delle Metamorfosi. Il testo è particolarmente prezioso perché è la sola
orazione giudiziaria integra di età imperiale pervenutaci. Delle innumerevoli arringhe di accusa
e di difesa che dovevano essere pronunciate nei tribunali romani disseminati per tutte le città
dell’Impero, in secoli di amministrazione della giustizia, l’Apologia è l’unica ad essere arrivata
sino a noi 51.
Apuleio fu un grande viaggiatore, dando fondo alla sua cospicua eredità disperse le sue
ricchezze per viaggi di diletto e per istruzione, spesso anche per aiutare amici o maestri in
difficili condizioni economiche 52. In Asia Minore apprese i misteri di Iside e Osiride, dedicati
alla salvezza dell’anima dopo la morte; proseguì il suo viaggio fino a Oea (odierna Tripoli)
dove andò a vivere dall’amico Ponziano, sposando proprio la madre dell’amico, Pudentilla, una
donna molto ricca. Per queste vicende, sarà anche accusato di aver ucciso l’amico Ponziano,
morto poco prima rispetto la madre anziana. In questa orazione53, quello che interessa è la
differenza che Apuleio ci presenta tra la magia bianca e la magia nera: la prima identificata

50
APULEIO, Apol., 24.
51
STUCCHI, S., op. cit.,p.7.
52
STUCCHI, S.,op. cit., p.11.
53
APULEIO, Apol., 25-26.

XXII
come teurgia, cioè una pratica religiosa finalizzata a produrre miracoli e a sviluppare poteri con
cui i teurghi giungevano a identificarsi con la propria parte divina e a ottenere l’immortalità; la
seconda è la goetia operata dallo stregone, riguardante incantesimi, invocazioni di demoni.
Quando Apuleio fu processato per magia, nel 158 circa, il proconsole d’Africa, Claudio
Massimo presiedeva il collegio giudicante, che si riunì a Sabratha, nell’attuale Libia.
L’autore fu accusato di malefici magici e dell’omicidio dell’amico nonché figliastro Ponziano,
violando così la Lex Cornelia Sullae de sicariis et veneficis promulgata da Silla nell’81 a.C.
Apuleio fu incolpato dai parenti di Pudentilla, una ricca vedova, di averlo indotta a sposarlo
facendo ricorso ad arti magiche particolarmente odiose. Venne assolto da tale accusa, ma la
fama di mago gli rimase, acuita probabilmente dalla pubblicazione delle Metamorfosi, in cui
gli episodi di magia sono frequenti e si innestano nella trama principale del romanzo.
E’ bene ricordare che già l’aulica legislazione romana puniva chi praticava arti magiche: ad
esempio le leggi delle dodici tavole, il primo documento ufficiale, depositario del diritto
consuetudinario, si occupavano anche dei delitti commessi con l’aiuto di pratiche magiche.
Questa credenza era ormai molto radicata nella mentalità romana e abbiamo testimonianze di
persecuzioni di maghi e astrologi fino all’età imperiale 54. Ancora, dopo l’epoca di Apuleio, nel
III secolo, vengono banditi anche i riti e i sacrifici notturni, puniti con pene severe e
successivamente, nel IV secolo, la situazione non migliora con Costantino, che avvierà un
processo di cristianizzazione sempre più radicale 55.
Tornando all’Apologia sappiamo che ad Apuleio vengono imputati tre capi d’accusa principali:
«l’aver utilizzato tre specie di pesci come coadiuvanti in operazioni di magia, aver utilizzato
dei fanciulli per esperimenti di idromanzia e l’aver praticato la negromanzia»56.
«Quello che nel processo resta solo un sospetto, vale a dire la confidenza di Apuleio con la
magia nera, diventa realtà nelle Metamorfosi, nel senso che il tema della magia, soprattutto
della magia nera o goezia […] costituisce l’asse centrale del romanzo. La magia trasforma
Lucio in asino, e solo un altro atto di magia, quello che avverrà per intercessione di Iside, lo
farà tornare uomo. »57.
A questo punto Luciano Albanese sottolinea come su questo asse principale si innestino alcuni
episodi di vera e propria negromanzia:

54
STUCCHI, S., op. cit., pp.12-13.
55
STUCCHI, S.,op. cit., p.15.
56
ALBANESE, LUCIANO, La magia nera nelle Metamorfosi di Apuleio, p.1.
57
ALBANESE, LUCIANO, La magia nera nelle Metamorfosi di Apuleio, p.3.

XXIII
1. Episodio: Meroe58, la protagonista, è una maga che come la Circe omerica ha il
potere di trasformare gli esseri umani in animali.

2. Episodio: questa novella 59è l’oggetto di questo lavoro ed è la storia di Telìfrone, un


uomo che viene incaricato di custodire e sorvegliare un cadavere affinché alcune
streghe non lo sequestrassero per i loro esperimenti (e qui emerge ancora una volta
il tema della negromanzia). Scenderemo nei particolari di questo racconto e
dell’aspetto magico in esso presente nel prossimo paragrafo.

3. Episodio: un altro esempio lo ritroviamo, questa volta, nella trama principale


dell’opera e non in una digressione o una novella: questo episodio rappresenta la
causa di tutte le disgrazie di Lucio, ovvero quando, giunto ad Ipata, in Tessaglia,
viene accidentalmente trasformato in asino da Photis, la servetta di Milone.
Questo è un passaggio fondamentale per comprendere l’influenza del tema della
magia nell’opera apuleiana, in quanto sembra che l’autore orienti il romanzo verso
la teurgia, creando una sorta di filo rosso che congiunge la vicenda principale che
dà inizio al ritmo e alle vicende del romanzo stesso, all’iniziazione finale del culto
di Iside, facendo assumere così a tutta l’opera un significato magico-religioso, in cui
i due termini sono inscindibili 60.
Così per sconfiggere il sortilegio che lo ha trasformato in asino, il protagonista dovrà
ricorrere a una magia più potente, quella di Iside, maga per eccellenza e realizzatrice
del ritorno all’ordine naturale. Fondamentale, in questo senso, l’innesto del libro XI,
dedicato all’iniziazione a Iside, che assume una valenza particolare ed evidenzia
quella componente mistica tipica dell’opera.

4. Episodio: infine, questa pregnante valenza mistica-magica-religiosa-teurgica è


ravvisabile nella già citata favola di Amore e Psiche che, come tutta l’opera, ha

58
APULEIO, Met., I, 6-19.
59
APULEIO, Met, II, 21-30.
60
ALBANESE, LUCIANO, La magia nera nelle Metamorfosi di Apuleio, p.6.

XXIV
comunque un significato allegorico; Cupido-Eros 61 , dio dell’amore, unendosi a
Psiche, cioè l’anima, le dona l’immortalità.

61
MERKELBACH, REINHOLD, saggio introduttivo ne Le metamorfosi, a cura di Claudio Annaratone, Milano
1977.

XXV
La novella di Telìfrone.

1. Lo sviluppo diegetico.

Nei capitoli 21-30 del libro II delle Metamorfosi si colloca la terrificante novella di Telìfrone,
uno dei tanti narratori secondari che si inseriscono nella cornice del romanzo apuleiano.
Durante una cena in casa della ricca Birrena a cui partecipa anche il protagonista Lucio,
Telìfrone, anch’egli ospite della matrona, inizia il suo racconto maledicendo le fuscae
aves (Apul. Met. 2, 21, 3) che tanto dolore gli hanno arrecato, e facendo così già presagire agli
altri commensali e al lettore un finale tragico per la sua avventura. La vicenda è ambientata a
Larissa, in Tessaglia, dove Telìfrone era giunto, ancor giovane, diversi anni prima. Al suo
arrivo, trovandosi a corto di denaro, non aveva esitato ad accettare l’offerta tanto curiosa quanto
remunerativa di un anziano del posto: mille sesterzi per vegliare un defunto una notte intera e
impedire alle streghe di deturparne il corpo. Il giovane, che stenta a ritenere vera una cosa del
genere, viene prontamente messo in guardia da un passante (2, 23, 2-3):
“Iam primum” respondit ille “perpetem noctem eximie vigilandum est exertis et inconivis
oculis semper in cadaver intentis nec acies usquam devertenda, immo ne obliquanda quidem,
quippe cum deterrimae versipelles in quodvis animal ore converso latenter adrepant, ut ipsos
etiam oculos Solis et Iustitiae facile frustrentur; nam et aves et rursum canes et mures immo
vero etiam muscas induunt”62.
Nell’antichità, la tradizione indicava la Tessaglia come terra di streghe e fattucchiere, esseri
spaventosi abituati a compiere terribili rituali servendosi di cadaveri freschi e formule magiche
capaci di evocare potentissime forze oscure da cui ottenere poi favori o predizioni 63. Noto è, ad
esempio, l'episodio dell'incontro tra Sesto Pompeo e la maga Eritto, nel libro VI del Bellum
Civile lucaneo, nel quale il destino della fazione pompeiana viene rivelato da un soldato morto
riportato in vita dalla strega.

62
«“In primo luogo” mi rispose “occorre restare perfettamente svegli tutta la notte, con gli occhi attenti, bene
aperti, e sempre fissi sul cadavere. Non bisogna mai distogliere lo sguardo, neppure un poco: quelle infernali
simulatrici si avvicinano di nascosto dopo aver cambiato il loro aspetto in quello di un animale qualsiasi, e
potrebbero ingannare la vista persino del Sole e della Giustizia in persona. Possono assumere le sembianze di un
uccello, un cane, un topo, persino di una mosca!”». (Trad. L. Nicolini), in GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op.
cit., p. 75.
63
cfr. CHERUBINI, LAURA, Strix: la strega nella cultura romana, Torino 2010.

XXVI
Il nesso deterrimae versipelles fa riferimento alle effettive trasformazioni delle
streghe. Versipellis (da verto + pellis) compare in un contesto analogo anche in Plauto (Amph.
12364 e Bacch. 657) e in Lucilio (670 M.); in Petronio (62,13) e in Plinio il Vecchio (nat. 8,80),
invece, è riferito al lupo mannaro.
La prospettiva di un cospicuo guadagno e il fervore giovanile convincono Telìfrone ad accettare
l’incarico. Chiuso a chiave nella camera ardente, il giovane inizia la sua lunga veglia di difesa
contro le streghe, che tanto abili sono nel tramutarsi in qualunque essere vivente pur di
raggiungere i loro scopi. Al calare delle tenebre, però, accade qualcosa di inquietante (2, 25,2-
5):
cum ecce crepusculum et nox provecta et nox altior et dein concubia altiora et iam nox
intempesta. Mihique oppido formido cumulatior quidem cum repente introrepens mustela
contra me constitit optutumque acerrimum in me destituit, ut tantillula animalis prae nimia sui
fiducia mihi turbarit animum. Denique sic ad illam: “Quin abis,” inquam “inpurata bestia,
teque ad tui similes musculos recondis, antequam nostri vim praesentariam experiaris? Quin
abis?” Terga vortit et cubiculo protinus exterminatur. Nec mora, cum me somnus profundus in
imum barathrum repente demergit, ut ne deus quidem Delphicus ipse facile discerneret duobus
nobis iacentibus quis esset magis mortuus65.
Si verifica qui il primo contatto con il soprannaturale. Telìfrone, che con spavalderia aveva
accettato il lavoro, ritenendo gli avvertimenti dell’anziano come ineptiae e nugae (Apul. met.
2, 23, 4), inizia a perdere il suo entusiasmo.
Con la successione di brevi sintagmi (si noti il ricorso al cum inversum: cum ecce, con ellissi
del verbo ad indicare il brusco arrivo della notte, e cum repente) l’autore sottolinea

64
Si tratta del famoso caso di Giove che si trasforma in Anfitrione, eroe tebano che parte per la guerra lasciando
sua moglie Alcmena, in dolce attesa. In sua assenza entrano in scena due divinità: Giove e Mercurio, trasformatisi
rispettivamente in Anfitrione e il suo servo Sosia. Giove, infatti, desidera trascorrere una notte con Alcmena; in
assenza del marito della donna, si trasforma in quest’ultimo dormendo per una lunga notte con lei. «Amphitruonis
vertit sese imaginem / omnesque eum esse censent servi qui vident: / ita versipellem se facit quando lubet».
65
«ed ecco arrivare il crepuscolo, poi la tarda sera, poi l’ora ancora più tarda in cui tutti vanno a letto, e infine la
notte più tenebrosa. Io ero sempre più impaurito… all’improvviso una donnola si intrufolò nella stanza e si fermò
di fronte a me, fissandomi con il suo sguardo penetrante, finchè con la sua baldanza quell’animale così minuscolo
non mi mise addosso una profonda agitazione. Alla fine le gridai: “Vattene via, bestiaccia immonda! Rintanati
assieme ai topi tuoi simili, prima che io scatti su e ti faccia sperimentare la mia forza! Te ne vuoi andare?”. La
donnola batte in ritirata ed esce immediatamente dalla stanza. Subito dopo però sprofondo all’improvviso nel
baratro senza fine di un sonno pesantissimo: con noi due distesi in quella stanza, neppure il dio di Delfi avrebbe
potuto distinguere facilmente chi fosse il più morto». (Trad. L. Nicolini) in GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op.
cit., pp. 79 e 81.

XXVII
l’escalation della tensione drammatica e la repentina successione degli eventi. La paura che
Telìfrone inizia a provare in questo frangente è vera e propria formido, il «timor panico che
paralizza» 66. Questo processo viene reso efficacemente dal comparativo cumulatior, che indica
l’accrescersi della paura. Per farsi forza, il giovane si rincuora con delle cantationes, proprio
come Nicerote nell’episodio del Satyricon di Petronio67.
Improvvisamente, come tutto quello che avviene nel corso di questa notte, nella camera ardente
entra una donnola dall’aspetto sinistro (nel sintagma repente introrepens, l’allitterazione
dell’aspro suono /r/ indica la ripugnanza di Telìfrone nei confronti della mustela), che guarda il
giovane con un’intensità tale da farlo sentire a disagio. Il racconto mette in luce come, a dispetto
delle piccole dimensioni (la donnola è tantillula, diminutivo di terzo grado di tantus) e così
fiducioso di sé (prae nimia sui fiducia), la bestiola provochi una grande tensione. Del resto,
come osserva Maurizio Bettini 68, nella cultura popolare europea la donnola appare spesso come
animale portatore di sventura: in diverse aree linguistiche le vengono attribuite denominazioni
eufemistiche col fine di ingraziarsela (donnola in italiano, belette in francese...), segni di un
vero e proprio tabù linguistico. Il nome latino mustela è di origine incerta, ma sicura pare la sua
associazione a livello etimologico con mus (topo). Il motivo risiede non solo nel fatto che i due
animali vengono tradizionalmente indicati come nemici (la donnola è predatrice di topi), ma
anche perché condividono il medesimo habitat. Non, è un caso, dunque, che Telìfrone inviti
l’animale a tornare tra i topi suoi simili69.
Importante anche fare riferimento ad un’altra interpretazione del termine mustela, proposta da
R.F.M. Guérios e ripresa successivamente da Jacques André, secondo cui significherebbe
«giovane donna», partendo anche dalle considerazioni precedentemente presentate circa la
denominazione dell’animale nelle diverse aree linguistiche. Secondo i due studiosi l’aggettivo
mustus veniva inteso anche con il significato di «nuovo» e «fresco», e quindi poteva essere
applicato anche in riferimento alle donne. Emblematico in questo senso in un frammento
comico di Nevio70: «Utrum est melius, virginemne an viduam uxorem ducere? :: Virginem, si
musta est.71».

66
TRAINA, A. – BERTOTTI, T., Sintassi normativa della lingua latina, Bologna 2012, p.380.
67
PETRONIO, Sat., 62.
68
BETTINI, MAURIZIO, Le orecchie di Hermes, Torino 2000, p.357-358.
69
BETTINI, MAURIZIO, op. cit., p.359.
70
NONIO, De compendiosa doctrina, 136, 4 sg Lindsay = Guminasticus fr.2 Marmorale.
71
«Cos’è meglio, sposare una vergine o una vedova? :: Una vergine, se è fresca.» (trad. Bettini).

XXVIII
Oltre alle varie considerazioni etimologiche e linguistiche considerate più o meno valide di cui
si potrebbe disquisire, ciò che preme sottolineare ai fini di tale lavoro, è la scelta di Apuleio
riguardo all’animale, la donnola, animale che non solo porterebbe sventura e malasorte ma
anche riflesso di una giovane donna, magari smaliziata che in questo contesto diventerebbe
magari simbolo stesso delle streghe o, se vogliamo, della giovane vedova nel solco di quelle
credenze misogine tipiche del mondo antico. Graverini72 nel commento alle Metamorfosi, cita
Eliano che nel suo de Animalium natura libri XVII «riporta la credenza popolare per cui la
donnola, nota per la sua abitudine di sottrarre parti di cadavere, era originariamente una strega
caratterizzata da una smodata libidine, trasformata in animale da Ecate.»
Non può quindi trattarsi di un innocuo animale: quanto detto prima sulla capacità metamorfiche
delle streghe suggerisce al lettore che si tratti effettivamente di una strega trasformata.
Memore delle parole del vecchio, Telìfrone scaccia la bestia in malo modo
definendola impurata 73 , insulto ricorrente nel linguaggio dei comici 74 , ma ecco che
all’improvviso un sonno pesantissimo cala su di lui. L’istantaneità di questo sonno indotto, resa
dal nesso nec mora, ricorda da vicino le parole del passante udite dal giovane la mattina
precedente (Apuleio Met. 2, 22, 2-6), che paiono alfine essersi avverate.
Il ricordo di quell’ammonimento induce il lettore a temere il peggio, ma il mattino seguente
avviene un inatteso colpo di scena: al risveglio, infatti, il timore che le streghe abbiano deturpato
il cadavere attanaglia Telìfrone, che si affretta a controllare l’entità dei danni provocati dalla
sua negligenza, ma una sorpresa lo attende (2, 26, 2):
Tandem expergitus et nimio pavore perterritus cadaver accurro et admoto lumine revelataque
eius facie rimabar singula, quae cuncta convenerant 75.
Contro ogni aspettativa, il cadavere è intatto. Nonostante il profondo sonno che ha colto
Telìfrone, le streghe non hanno deturpato il corpo. Egli dunque non dovrà risarcire i famigliari,
ma anzi gli spetterà un abbondante compenso di mille sesterzi. Questa volta la paura che coglie

72
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. 295.
73
Così come versipelles anche impurata, ci suggerisce come lo stile apuleiano tenda a recuperare termini arcaici
solitamente usati in poesia erotica, preneoterica e neoterica, o appunto come si è visto in Plauto, nella commedia;
generi realistici che in Apuleio tornano come espressione del parlato.
74
Compare in PLAUTO, Rud. 543 e 751 e Aul. 359.
75
«Mi sveglio di soprassalto e in preda al panico mi precipito accanto al cadavere; avvicino la lucerna, gli tolgo il
velo dal volto e ispeziono tutto quanto, ogni singola parte menzionata nel contratto». (Trad. L. Nicolini) in
GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p.81.

XXIX
il giovane è il pavor, ovvero la manifestazione degli «aspetti fisici del timore, il batticuore e il
brivido»76.
Apparentemente, la veglia sembra essersi conclusa nel migliore dei modi: il guardiano viene
calorosamente ringraziato dalla famiglia per la sua diligenza e pagato secondo quanto pattuito,
ma una sua parola di troppo (aveva invitato a servirsi del suo operato in futuro, quasi augurando
nuovi decessi alla casa) fa sì che venga cacciato via dai presenti in malo modo. Pesto e
malconcio, il giovane si ritrova poco dopo nella piazza della città, dove sta avvenendo il
trasporto del feretro.
Il funerale è interrotto dallo zio materno del defunto che accusa di veneficio la vedova; la donna,
d’altra parte, si dichiara innocente. Per provare le proprie affermazioni, l’anziano decide allora
di ricorrere nientemeno che alla testimonianza del defunto, che tornerà in vita grazie alle arti
magiche del sacerdote egizio Zatchlas.
Il sacerdote è una figura, per molti versi, eterodossa: è giovane, le modalità da lui seguite
nell’attuare il rito non sono le più usuali 77
e, cosa forse ancora più strana, eleva la sua
preghiera tacitus, come fanno i maghi 78. Zatchlas compie il suo rituale e il morto, seppur a
malincuore, torna in vita, confermando le accuse mosse dallo zio a sua moglie, che però
continua a negare sostenendo che la testimonianza del defunto è inaffidabile. A questo punto,
per provare la sua veridicità, il morto redivivo racconta quello che è successo veramente la notte
precedente (2,30,1-8):
“Dabo,” inquit “dabo vobis intemeratae veritatis documenta perlucida et quod prorsus alius
nemo cognoverit indicabo.” Tunc digito me demonstrans: “Nam cum corporis mei custos hic
sagacissimus exsertam mihi teneret vigiliam, cantatrices anus exuviis meis inminentes atque ob
id reformatae frustra saepius cum industriam eius fallere nequivissent, postremum iniecta
somni nebula eoque in profundam quietem sepulto me nomine ciere non prius desierunt quam
dum hebetes artus et membra frigida pigris conatibus ad artis magicae nituntur obsequia.<At>
hic utpote vivus quidem sed tantum sopore mortuus, quod eodem mecum vocabulo nuncupatur,
ad suum nomen ignarus exsurgit, et in inanimis umbrae modum ultroneus gradiens, quamquam

76
TRAINA, A. – BERTOTTI, T., op. cit., p.380.
77
STRAMAGLIA, ANTONIO, Aspetti di letteratura fantastica in Apuleio. Zatchlas Aegyptius propheta
primarius e la scena di necromanzia nella novella di Telifrone (met. 2,27 – 30) in, PECERE, ORONZO,
STRAMAGLIA, ANTONIO, Studi Apuleiani, note di aggiornamento di Luca Graverini, Cassino 2003, p. 88.
78
Apuleio era ben consapevole di questa caratteristica dei maghi, visto che in Apologia 54,7 i suoi avversari lo
accusano proprio di aver pregato in silenzio: Tacitas praeces in templo deis alligasti:igitur magus es. Cfr.
PECERE,O., Roma antica e il testo. Scritture d’autore e composizione letteraria, Laterza 2010.

XXX
foribus cubiculi diligenter obclusis, per quoddam foramen prosectis naso prius ac mox auribus
vicariam pro me lanienam sustinuit. Utque fallaciae reliqua convenirent, ceram in modum
prosectarum formatam aurium ei adplicant examussim nasoque ipsius similem comparant[...]”
His dictis perterritus temptare formam adgredior. Iniecta manu nasum prehendo: sequitur;
aures pertracto: deruunt. Ac dum directis digitis et detortis nutibus praesentium denotor, dum
risus ebullit, inter pedes circumstantium frigido sudore defluens evado79.
Stramaglia, che in un articolo del 2003 analizza gli elementi di magia presenti in questo
episodio 80 , osserva come la prova offerta dal redivivo per dimostrare la propria sincerità,
presenti qualche difetto. Zatchlas, infatti, come rileva Anna Drake 81 , sfrutta l’espediente
tipicamente forense della falsa inferenza: se una delle prove offerte è vera, allora lo sono anche
tutte le altre, così, se è vero che le orecchie e il naso di Telìfrone sono di cera, allora è vero
anche che la moglie è colpevole di veneficio. Per quanto non vi sia ragione di dubitare delle
parole del morto, tali prove servono unicamente a confermare che quanto temuto da Telìfrone
è effettivamente avvenuto: le streghe, nonostante la sua veglia, sono riuscite ad appropriarsi di
ciò di cui necessitavano, e magari – immagina – proprio sotto le mentite spoglie della donnola
che aveva scacciato. La scoperta della terrificante realtà avviene in un crescendo di angoscia
condiviso dal lettore e dal personaggio: le parole del defunto rivelano come il suo lento risveglio

79
«“Vi darò la prova inconfutabile, vi dimostrerò che ho detto la pura verità! Vi rivelerò una cosa che nessun altro
può essere venuto a sapere. Mentre questo scrupolosissimo custode del mio cadavere”- e a questo punto mi indicò-
“stava coscienziosamente facendo la guardia, delle vecchie streghe hanno tentato inutilmente di assumere altre
sembianze e assalire le mie spoglie. Dato che più e più volte avevano tentato invano di eludere la sua attenta
sorveglianza, alla fine lo hanno avvolto in una fitta nube di sonno; con lui profondamente addormentato, hanno
continuato a chiamarmi per nome finché i miei arti fiacchi e le mie fredde membra non hanno cercato di rispondere,
stancamente e con molto sforzo, ai comandi impartiti per magia. Costui però era vivo, come morto soltanto perché
addormentato: dato che porta il mio stesso nome, al sentirsi chiamare si alza senza rendersene conto e si fa avanti
con le sue proprie forze camminando come un’ombra senza vita. La porta della stanza era sprangata, ma attraverso
un foro lui si lascia tagliare prima il naso e poi le orecchie, subendo la mutilazione al posto mio. Affinché nessun
particolare sveli l’imbroglio, le streghe gli applicano delle orecchie fatte di cera identiche a quelle che gli hanno
tagliato, e gli modellano un naso esattamente simile al suo […]”».
A queste parole, sgomento, mi metto a controllare le mie fattezze. Afferro il naso, e viene via; tasto le orecchie, e
cadono. Tutti i presenti mi segnano a dito, si voltano a fissarmi e scoppiano a ridere; al che io, sudando freddo, me
ne vado sgattaiolando tra la folla.» (Trad. L. Nicolini) in GRAVERINI, L.; NICOLINI, L., op. cit., p.81.
80
STRAMAGLIA, ANTONIO, Aspetti di letteratura…cit., pp. 94-95.
81
DRAKE, ANNA, The Ghost Story in “The Golden Ass” by Apuleius, “PLL” 13, 1977, P. 10 citato in
STRAMAGLIA,A., Aspetti di letteratura.., cit. p.94.

XXXI
al richiamo delle streghe sia stato bruscamente interrotto da Telìfrone che, in uno stato di trance,
è andato incontro alla mutilazione del viso al posto del defunto stesso.
Il superamento dell'esitazione avviene nel momento in cui lo sventurato Telìfrone, colto da
gelido terrore per le parole del cadaver, si porta la mano al naso e alle orecchie e scopre con
angoscia che sono simulacri di cera, veri oggetti mediatori del racconto.
La vittima delle exitiabiles operae delle streghe è stato proprio lui, Telìfrone, che per un’amara
coincidenza, o forse per le fuscae aves citati in Apul. Met. 2, 21, 3 si trova ad essere omonimo
del morto: proprio questa omonimia ha reso possibile lo scambio di persona.
In preda al terrore e pervaso da sudore freddo, entrambi elementi tipici del racconto dell’orrore,
fugge senza voltarsi indietro e senza far più ritorno a casa per la vergogna.
Il terrore di Telìfrone è totale, tant’è che nel finale della narrazione egli si definisce perterritus,
aggettivo in cui il preverbio perfettivo indica lo stato d’ansia assoluto conseguente alla scoperta
dei terribili avvenimenti di cui è stato inconsapevole e sfortunato protagonista.

2. Riflessioni sulla novella.

La novella in questione ruota intorno a due episodi chiave ovvero la scena di necromanzia e il
momentaneo ritorno in vita del «morto irrequieto»; ed è proprio quest’ultimo episodio che sarà
interessante contestualizzare, facendo riferimento al valore semantico di questa manifestazione
rispetto alle altre che ritroviamo nella letteratura e filosofia anche precedente ad Apuleio.
Come è già stato accennato, fin dall’antichità si discuteva sulle manifestazioni di entità
soprannaturali ai vivi, spettri o fantasmi, che successivamente Greci e Latini classificarono con
una terminologia varia in base alla loro categoria di appartenenza.
Quello che accomuna tutte le storie di fantasmi che si sono susseguite in epoche e contesti
diversi è la concezione portante che non a tutti i defunti era consentito tornare fra i vivi e
manifestarsi a loro: era concesso esclusivamente a coloro che erano trapassati con una sorta di
“conto in sospeso” con la realtà terrena.
Gli antichi stessi distinguevano tre categorie di defunti che restavano in una sorta di limbo tra
l’aldilà e il mondo dei vivi82: gli ἄταφοι (insepulti), coloro che non avevano ricevuto degna
sepoltura o addirittura alcuna sepoltura. Omero li colloca dalla parte opposta all’Acheronte, non
possono attraversarlo finché non sono ritualmente seppelliti; gli insepolti possono manifestarsi

82
ROHDE, E. Psyche. Seelencult und Unsterblichkeitsglaube der Griechen, I-II, Freiburg i. Br. 1890-1894; trad.it.
Psiche, I (Culto delle anime presso i Greci), Bari 1914-1916 (= Bari 1970; Roma-Bari 1982), citato in
STRAMAGLIA, A., op. cit., p. 9.

XXXII
ai vivi proprio per sollecitare loro la sepoltura, cito tra tutte la richiesta di Patroclo83 che appare
in sogno all’amico Achille e lo rimprovera per averlo dimenticato. Promette di non tornare più
se soltanto la sua salma verrà onorata dal rito funebre; Achille, distrutto, tenta di abbracciarlo
ma il fantasma dell’amico si sottrae al suo abbraccio e svanisce sottoterra.
La seconda categoria è quella degli ἄωροι, i morti di mors immatura, prima del tempo: ci sono
riferimenti già in Sofocle84 ed Euripide85 , in letteratura e nell’epigrafia funeraria greca e latina.
Per ἄωρος nell’ epigrafia, si intendeva solitamente chi fosse morto in tenera età, o prima di
sposarsi e di avere figli; questo perché tale condizione non permetteva a nessuno di conservare
la memoria e la cura del proprio sepolcro nelle generazioni a venire.
L’ultima categoria – che potrebbe anche essere considerata come una sottocategoria degli – è
ἄωροι quella dei βιαιο𝜃ά𝜈ατοι, i violenter perempti, i morti di morte violenta, solitamente erano
spiriti di condannati a morte, gladiatori, più in generale uomini che in vita erano stati malvagi.
Tornavano in vita per chiudere i conti con il loro passato, spesso con il loro assassino.
Virgilio nel VI libro dell’Eneide fornisce una sistemazione di queste categorie di anime escluse
dagli inferi: gli ἄταφοι non potevano attraversare l’Acheronte prima di aver ricevuto sepoltura
(vv. 315-383); gli ἄωροι intesi in questo caso esclusivamente come anime di bambini erano
situati tra l’Acheronte e l’Ade (vv. 426-429); i βιαιο𝜃ά𝜈ατοι collocati anche loro come gli
ἄωροι e divisi in quattro sottocategorie: i condannati ingiustamente, i suicidi per miseria o
necessità, i morti per amore e i caduti in guerra.
Tertulliano riporta queste teorie 86 fornendo la più importante testimonianza nella trattazione
antica sulla tematica dei morti irrequieti.

83
OMERO, Il., XXIII, 71ss.
84
SOFOCLE, Ant., 896.
85
EURIPIDE, Alc., 167-169. Admeto, re di Fere in Tessaglia ottiene da Apollo la possibilità di sfuggire alla morte,
a patto che un altro si sacrifichi in sua vece. Ma nessuno è disposto al sacrificio, nemmeno gli anziani genitori del
re. Sola, si offre di morire per lui, come supremo atto d'amore; il suo gesto di generosità e di affetto viene premiato
da Eracle, e ritorna a vivere con il suo sposo. In questi versi l’ancella riporta le parole della donna che chiedeva di
vegliare sui figli affinché non spettasse loro una fine prematura come quella della loro madre.
86
TERTULLIANO, De anima, 55, 5-57, citato in Res inauditae, incredulae…, di STRAMAGLIA, A.: [2] …
Creditum est insepultos non ad inferos redigi quam iusta perceperint, secundum Homericum Patroclum … [4]
Aiunt et immatura morte praeventas (sc. animas) eo usque vagari istic, donec reliquatio compleatur aetatum,
quacum pervixissent, si non intempestive obissent… [8] Proinde extorres inferum habebuntur quas vi ereptas
arbitrantur, praecipue per atrocitates suppliciorum…
«[2] … Si è creduto che quanti non sono stati sepolti non potessero essere accolti negli inferi prima di aver ricevuto
regolare sepoltura; così, ad esempio, il Patroclo di Omero… [4] Dicono poi che le anime raggiunte da morte

XXXIII
Probabilmente esisteva una dottrina comune che ritroviamo in diverse testimonianze tra quelle
citate, secondo cui alcune categorie di morti irrequieti erano costrette a vagare per tutto il tempo
in cui sarebbero stati in vita se non fosse sopraggiunta la morte improvvisa che li ha investiti.
Interessante notare anche le pratiche magiche dei maghi di età ellenistico-romana 87
che
eseguivano con i corpi di questi “defunti senza pace”: gli ἄωροι, non avendo mai conosciuto
l’amore erano più indicati per incantesimi erotici, i βιαιο𝜃ά𝜈ατοι per incantesimi che
arrecassero danni.
Tocca adesso fare una distinzione tra le apparizioni di questi fantasmi: erano sempre
manifestazioni spontanee o anche evocazioni? Come sappiamo dalla novella oggetto del mio
studio, la seconda modalità menzionata, quella dell’evocazione, è anch’essa possibile.
In entrambi questi casi il defunto può manifestarsi in sogno oppure in stato di veglia: ma queste
due dissimili modalità venivano naturalmente interpretate in modi diversi dal vivo che aveva
ricevuto questa apparizione; le manifestazioni in somniis apparivano più evanescenti, meno
credibili, in quanto si tendeva successivamente a valutarle e interpretarle; i fantasmi apparsi in
stato di veglia, invece, erano ovviamente più chiari e “potenti”, scuotevano maggiormente chi
riceveva la “visita”.
Questo divario rappresentava un topos nei racconti di epifanie di divinità e similari, ma era
avvertito anche per le apparizioni di fantasmi di defunti88. Un caso tra tutti è in Plauto89, nella
Mostellaria: quando il servo imbroglione racconta all’anziano padre codardo che suo figlio
avrebbe visto un fantasma, quello si accerta con ansia per ben due volte che si sia trattato di
un’apparizione onirica e non in stato di veglia, in quanto evidentemente anche gli antichi le
avvertivano come meno temibili.
Le apparizioni spontanee spesso avvenivano da fantasmi di trapassati che continuavano a
vagare presso i luoghi terreni dove trovarono la morte, pregni di odio e invidia presso chi ancora
fosse in vita, o ossessionati dal loro assassino che perseguitavano per ottenere vendetta.
Altre apparizioni potevano essere momentanee e su richiesta del defunto agli dèi inferi, per
compiere determinate azioni o mossi da certi desideri, come intervenire in questioni politiche,

immatura vaghino sulla terra, finchè non si compie la parte di tempo che avrebbero vissuto se non fossero morte
prematuramente. … [8] Alla stessa stregua saranno considerate escluse dall’inferno le anime che si crede siano
state strappate alla vita con violenza, in particolar modo attraverso le atrocità dei supplizi…». Trad. Martino
Menghi.
87
PREISENDANZ, K., in «RE», XVI.2 (1935), 2240-2266, s.v. Nekydaimon.
88
PFISTER, F., in « RE», Suppl. IV (1924), 277-323, s.v. Epiphanie.
89
PLAUTO, Most., 475ss, vv. 491-493.

XXXIV
portare a termine promesse rivolte al proprio popolo, godere dell’amore che la morte precoce
aveva negato o partecipare a delle festività.
La categoria delle evocazioni aveva come obiettivo quello del ritorno temporaneo dello spirito
del defunto sulla terra; l’atto avveniva in santuari istituzionalizzati, siti solitamente presso
l’accesso agli inferi (νεκυομαντεία) 90.
Più comuni erano le evocazioni in luoghi generici, come tombe di defunti – molto frequente –,
campi di battaglia91, oppure pubbliche piazze come si è visto nella novella oggetto di questa
dissertazione. L’evocazione del racconto di Telìfrone, non si sarebbe potuta compiere
sicuramente senza l’intercessione di un personaggio-chiave – per alcuni studiosi dell’intera
opera – che è la figura del sacerdote egiziano, precisamente Zatchlas Aegyptius propheta
primarius. I sacerdoti egiziani sono una figura molto comune nella narrativa92, e la magia nelle
sue varie sfumature ne rappresenta una componente fondamentale.
Una questione enigmatica riguarda il nome del sacerdote, Zatchlas: R. Helm citava in apparato
un tale Zachalias di Babilonia, che dedicò a Mitridate un trattato sulle virtù delle pietre preziose
e della loro influenza sul destino umano93; A. Souter cita il demone Saclas, menzionato in testi
patristici del IV secolo94.
Quello che è certo che esistano diverse ipotesi su quale di questi nomi abbia potuto ispirare
Apuleio nella scelta onomastica del sacerdote; bisogna soffermarsi, invece, sul fatto che tutti i
sacerdoti egiziani della narrativa greca presentano nomi indigeni attestati95 e nessuno dei nomi
ha dei nessi etimologici con i tratti prettamente caratteriali del personaggio. Questo sicuramente
perché nel mondo greco-romano un nome anche comunissimo egiziano risultava già di per sé
esotico e di conseguenza presentava una certa aura di mistero e ambiguità.
Il lettore si potrebbe disorientare a livello diegetico-contenutistico sia per il nome stesso di
Thelyphron, le cui interpretazioni suggerite sono le più varie, sia per il «gioco di specchi» –
citando nuovamente Stramaglia – circa l’omonimia dei due personaggi della novella,
protagonista e defunto.

90
HOPFNER, TH., in «RE», XVI.2 (1935), 2218-2233, s.v. Nekromantie.
91
LUCANO, Phars., VI, 413ss.
92
Cito a puro titolo esemplificativo Calarisis delle Storie etiopiche di Eliodoro (prima metà del III o seconda metà
del IV d.C.), profeta di Iside a Menfi in volontario esilio; Nectanebo del Romanzo di Alessandro, faraone con
poteri magici, che al sopraggiungere dei Persiani si rade barba e capelli e spacciandosi per profeta-astrologo ripara
in Macedonia.
93
Cfr. Plin. Nat. 37,169.
94
STRAMAGLIA, A., Aspetti di letteratura.., p.33372.
95
Citato in STRAMAGLIA, A., Aspetti di letteratura.., p.72, vd. nota 47.

XXXV
Il nome Thelyphron non è attestato altrove, l’interpretazione tradizionale lo ravvisa con il
significato di “debolezza d’animo” del protagonista 96; Blanche Brotherton ha insistito sulla
ottusità del personaggio, mentre James Tatum 97 ha sottolineato il carattere antifrastico della
presunta audacia del giovane che rappresenterebbe un avvertimento implicito sul fallimento di
Lucio.
L’aggettivo greco θηλύφρων «dall’animo effemminato» è usato in Aristofane, come
suggerisce Graverini «l’etimologia del nome crea un contrasto ironico con l’atteggiamento
spavaldo del personaggio»98; questa ironia sottesa viene evidenziata ancora di più da altri giochi
di parole che ritroviamo all’interno della novella come animum meum conmasculum (Met., 2,
23,1) e ferreum et insomnem ( Met., 2, 23, 4) , che suggeriscono l’audacia virile e “l’uomo tutto
di un pezzo” che alla fine in realtà cadrà in un sonno profondissimo, simile alla morte 99.
Heinz Ingenkamp 100 recupera l’etimologia del nome che indica di per sé “colui che ha un
ingegno femminile”; lo studioso parte da questa riflessione per individuare nell’etimologia un
segnale di un presunto tradimento non menzionato da Apuleio, che il protagonista avrebbe
consumato con la vedova del suo omonimo per esserne poi punito con la mutilazione del naso
e delle orecchie.
Quello che risulta dopo un’attenta analisi della vicenda è che Lucio, il protagonista, non si lascia
intimidire dalla novella raccontata dall’ospite su volere stesso di Birrena che voleva (o almeno
sperava di) istruire il nipote sui rischi e pericoli della magia. Effettivamente la digressione
narrativa di Telìfrone riecheggia e precorre alcuni temi comuni di tutto il romanzo: gli azzardi
di un incauto avvicinamento alla magia e in generale, al sovrannaturale, la gioventù dei due
protagonisti più volte sottolineata, il mancato ritorno nella propria patria, l’inesperienza e
presunzione di entrambi, la metamorfosi (se intendiamo quella delle streghe in donnola o altre
forme che non vengono esplicitate) e quella che avverrà da lì a poco in Lucio-asino. Nonostante
gli avvertimenti del racconto dell’orrore da poco ascoltato, Lucio non presta attenzione al valore
potenzialmente didascalico della storia, sicuramente offuscato anche dagli altri commensali,
che già conoscevano la storia, che ridevano e schiamazzavano dal principio fino alla fine del

96
Cfr. STRAMAGLIA, A., Aspetti di letteratura.., p.105, vd. nota 178.
97
Citato in STRAMAGLIA, A., Aspetti di letteratura.., p.105, vd. nota 178.
98
GRAVERINI, L.; NICOLINI, L., op. cit., p. 285.
99
A tal proposito è bene citare anche il riferimento alla tradizione poetica dove ferreus somnus è utilizzato da
Virgilio (Aen. X 745) come metafora per la morte. Cfr. GRAVERINI, L. – NICOLINI, L., op. cit., p. 291.
100
Citato in STRAMAGLIA, A., Aspetti di letteratura.., p.105, vd. nota 178.

XXXVI
racconto. Il racconto stesso termina in maniera evanescente - se vogliamo – con Birrena che
spiega a Lucio le modalità della festa in onore del dio Riso che si svolgeranno il giorno
seguente. Come ancora fa notare Stavros Frangoulidis 101 , Lucio si rivolge con piena
consapevolezza a Fotide e ugualmente, Telìfrone è consapevole sin dall’inizio del rischio
intrinseco nell’accettare di sorvegliare un cadavere, ma è un rischio che è disposto a correre per
motivi di guadagno finanziario. Lucio non riesce a imparare la lezione, nonostante quella di
Telìfrone non fosse l’unica narrazione alla quale abbia assistito: nel libro I delle Metamorfosi
troviamo il primo episodio di negromanzia del romanzo, che avevo precedentemente citato in
breve102, la morte di Socrate e il suo successivo ritorno come fantasma (Met. 1.11-14; 17-19).
In questa fase del romanzo, Lucio ancora umano, incontra due viaggiatori che discutono sulla
credibilità della storia che uno di loro ha appena raccontato all’altro; Lucio esorta quindi il
narratore a ripetere la storia promettendogli di credere a quanto sarà detto, a prescindere da ciò
che gli altri possano credere103. Il narratore, che durante la narrazione apprendiamo si chiami
Aristomene, racconta di come abbia tentato senza successo di salvare l’amico Socrate dalle
grinfie della strega Meroe. Questo è il primo monito che Lucio doveva cogliere per non
immischiarsi con la stregoneria. Mentre fuggono dalla compagna di Socrate, Meroe, una strega
pericolosa e adultera, Aristomene che aveva aiutato e ideato la fuga di Socrate, e quest’ultimo
soggiornano in una locanda. Durante la notte, due streghe, la fidanzata vendicativa e sua sorella,
irrompono nella loro stanza, massacrano Socrate con una spada, gli strappano il cuore,
inserendo una spugna al suo posto e dopo di che spariscono senza lasciare traccia. Aristomene
assiste a tutta la scena inorridito; tenta il suicidio per sfuggire all’accusa di omicidio, ma arriva
in quel momento il guardiano della locanda allertato dal rumore, che irrompe nella loro stanza.
Inaspettatamente in quel momento si sveglia Socrate che non ha memoria degli eventi della
notte e inizia un discorso sull’irresponsabilità dei portinai. I due si rimettono in viaggio
l’indomani verso casa, giunti presso un ruscello si fermano a riposare; ma all’improvviso
mentre Socrate si china sull’acqua per bere, il suo collo si squarcia e ne esce la spugna, ed egli
cade stecchito. Aristomene fugge e cambia vita, lasciandosi alle spalle il terribile passato.

101
FRANGOULIDIS, STAVROS, Witches, Isis and Narrative, Berlin, New York 2008, p.85.
102
vd. Capitolo II, 2.
103
APULEIO, Met. 1, 4, 6: «Ego tibi solus haec pro isto credam.».

XXXVII
Oltre alla scena negromantica e alla presenza di streghe, ciò che più accomuna le due novelle è
l’espediente del cuore/spugna e orecchie e naso ricostruite in cera 104
; entrambi i racconti
vengono narrati ad un Lucio ancora in forma umana, entrambi i narratori hanno un pubblico
scettico o meno scettico nei confronti di negromanzie, ed entrambi i cadaveri si scoprono essere
stati uccisi dalle loro donne adulterine. Anche qui possiamo evidenziare la sfumatura misogina
che suscitano queste donne malefiche che portano gli uomini verso la metamorfosi (è il caso di
Fotide e Lucio) o addirittura alla morte; inizialmente sedotti dalle donne “dannose” e affascinati
dalle arti magiche che finiscono per essere ingannati.
Tuttavia, le due scene di negromanzia avvengono in due modalità differenti: Socrate in un
ambiente privato, Telìfrone in pieno giorno e davanti una folla numerosa, per poter provare a
tutti i presenti la vera versione dei fatti, o comunque presunta, viste le varie considerazioni circa
la credibilità di un cadavere.
Telìfrone narratore ci lascia con vari dubbi e varie ipotesi circa le sorti dei protagonisti della
storia: cosa accadde alla vedova assassina o presunta tale? (se facciamo riferimento ad un
termine che Telìfrone stesso utilizza, ovvero facti verisimilitudine in Met. 2, 27, 6, racconto
verosimigliante); cosa, invece al cadavere reviviscente? il profeta egiziano è effettivamente un
teurgo o un goeta che ha esercitato il suo potere solo a fini remunerativi? Come è possibile che
le streghe abbiano potuto mutilare naso e orecchie di Telìfrone attraverso un piccolo foro nella
porta? Ma, soprattutto come è possibile che non si siano staccate le realizzazioni di cera
nonostante le percosse ricevute per cacciarlo?
E’ evidente il continuo gioco di metamorfosi/sorprese che Apuleio ci propone nel suo romanzo,
l’autore probabilmente aveva l’intento di spiazzare e far smarrire il lettore, stimolandolo a
sollevare questioni e domande interpretative, che tuttavia non potranno mai avere risposta certa,
e, forse, è anche questa la chiave della grande fortuna e del grande interesse che circondarono
la figura di Apuleio, presunto mago e abile oratore, che sapeva intessere storie meravigliose e
accattivanti, ricche di riferimenti alla tradizione precedente sia greca che latina, che il lettore
più arguto riusciva a cogliere, con questi tratti tipici delle ghost stories e dei racconti fantastici,
che permettono di lasciargli un posto ancora oggi, per la modernità dei contenuti, come grande
romanziere.
Il nome del protagonista Telìfrone, la caratterizzazione negativa di tutti i personaggi della
novella, comunque, lasciano intendere come questa letteratura 'd'intrattenimento' giocasse su

104
MAY, REGINE, Apuleius on Raising the Dead Crossing the Boundaries of Life and Death while Convincing
the Audience, in M. Gerolemou (ed. by), Recognizing Miracles in Antiquity and Beyond, Berlin, München, Boston
2018, p. 361.

XXXVIII
un immaginario misogino, che si suppone bene essere condiviso da un uditorio,
prevalentemente maschile o comunque formato da una élite colta, che 'legge' questi elementi
della cultura popolare (il magico, la superstizione) e tutte le suggestioni del 'fantastico' letterario
sulla base di determinate categorie culturali, rafforzando una visione della realtà basata su forti
pregiudizi di genere.

XXXIX
BIBLIOGRAFIA

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