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Naturalismo e verismo.

Pur mantenendo la sua specificità il verismo verghiano si inserisce all’interno del naturalismo
europeo, corrente letteraria nata in Francia nella seconda metà dell’Ottocento come effetto
dell’affermazione del pensiero scientifico positivista e fondata sull’osservazione diretta e sul
metodo oggettivo nella rappresentazione della natura e della realtà. Le novità peculiari del romanzo
naturalista sono l’utilizzo del discorso indiretto libero, il configurarsi del protagonista come
antieroe, la rappresentazione delle classi sociali più umili, la costruzione ripetitiva e circolare del
racconto e infine il nuovo ruolo delle descrizioni, non più funzionali all’intreccio ma sintomo
dell’oggettualizzarsi e dell’appiattirsi dell’uomo moderno. Manifesto della poetica naturalista è
considerato Le Roman expérimental, saggio del 1880 contenente gli scritti teorici di Émile Zola,
principale esponente del naturalismo insieme a Gustave Flaubert.
Pierluigi Pellini, autore nel 1998 di Naturalismo e verismo, richiamando l’opera di Benjamin,
Parigi, capitale del XIX secolo, e i suoi studi sull’avvento della modernità e su Baudelaire, ha
rimarcato l’importanza del romanzo naturalista e in primo luogo di Zola nell’intuire la
«trasformazione antropologica» causata dallo «choc provocato da un ambiente in cui si sono
moltiplicate vertiginosamente le sollecitazioni sensoriali» 1.
Il verismo, inserendosi in una «tendenza generale al rinnovamento delle arti» 2, è per certi aspetti la
variante italiana del naturalismo e si sviluppa a Milano ad opera dei meridionali Luigi Capuana,
Giovanni Verga e Federico De Roberto. Oltre a differenziarsi per il contesto di provenienza,
l’arretratezza del Mezzogiorno d’Italia contrapposta alla realtà dinamica del progresso industriale e
urbano francese, il verismo diverge dal naturalismo nella «drastica riduzione del ruolo delle
descrizioni e nel minore accento sull’elemento scientifico» 3.
Pellini compie un’analisi dei presupposti culturali della poetica verista partendo da una lettera
scritta da Verga a Capuana nel gennaio del 1874, contenente le sue reazioni di fronte alla lettura di
Madame Bovary di Flaubert, pubblicato nel 1857 e prestatogli da Capuana. Nonostante Madame
Bovary sia il primo romanzo in cui viene fatto largo uso dell’indiretto libero e della teoria
dell’impersonalità, la prima reazione di Verga alla lettura di Flaubert è negativa, come testimoniato
dalla lettera inviata a Capuana:
[…] Il libro del Flaubert, è bello, almeno per la gente del mestiere, ché gli altri hanno
arricciato il naso. Ci son dettagli, e una certa bravura di mano maestra da cui c’è molto da
imparare. Ma ti confesso che non mi va; non perché mi urti il soverchio realismo, ma perché
del realismo non c’è che quello dei sensi, anzi il peggiore, e le passioni di quei personaggi

1
P. Pellini, Naturalismo e Verismo, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. 48.
2
Ivi, p. 38.
3
Ivi, p. 13.
durano la durata di una sensazione. Forse è questa la ragione che non ti fa affezionare ai
personaggi del dramma, malgrado il drammatico degli avvenimenti scelto con parsimonia
maestra. Ma il libro è scritto da scettico, anche riguardo alle passioni che descrive, o da uomo
che non ha principi ben stabiliti, il che è peggio […].4
Verga vorrebbe affezionarsi ai personaggi di Madame Bovary perché ancora si colloca nella
prospettiva della letteratura di consumo che voleva identificarsi nell’eroe del romanzo, sempre
portatore di valori positivi.
Secondo il Verga del 1874 il romanzo impersonale «corre un alto rischio di immoralità, perché
rifiuta di gerarchizzare personaggi, passioni e comportamenti secondo una prospettiva assiologica
forte. […] Inaccettabile non è il contenuto immorale, ma la tecnica narrativa»5.
La lettera inviata a Capuana è l’ennesima prova che la ‘svolta’ di Verga non possa essere avvenuta
con Nedda nel 1874, ma solo nel 1878 con Rosso Malpelo. «La lezione flaubertiana fermenterà solo
più tardi nella mente di Verga»6, grazie alla lettura dell’Assomoir di Zola, il più flaubertiano del
ciclo dei Rougon-Macquart.
Luperini ritiene che Verga abbia appreso molto dalla poetica di Flaubert; «non solo dalla
impersonalità, ma dalla secchezza del taglio, dalla crudeltà, dal modo freddo di chiudere un
episodio liquidandolo con due righe, e anche dall’arte dei parallelismi e delle simmetrie, delle
coincidenze e delle antitesi nell’architettura della vicenda» 7.
La piena diffusione del naturalismo in Italia avviene grazie all’interesse critico di Francesco De
Sanctis che, tra il 1877 e il 1879, esprimendo l’esigenza di una letteratura vicina alla realtà e
«l’istanza di una forma d’arte impersonale, che facesse “poco parlare noi” e “molto parlare le cose”,
ma che non escludesse l’“ideale”» 8, pubblicò alcuni studi su Zola e l’Assomoir, romanzo la cui
lettura fu consigliata ancora una volta da Capuana a Verga nel 1877 e che fu, come accennato, il
motivo principale della ‘svolta’ verista di quest’ultimo nel 1878.
Tuttavia non si deve commettere l’errore di considerare Verga un epigono di Zola, perché lo
scrittore italiano si discosta dal naturalista francese sia per questioni ideologiche, sia per motivi
stilistici.
Zola evidenzia i mali della società moderna e rivendica l’impegno etico dello scrittore naturalista,
affermando che la letteratura possa migliorare la società attraverso un’opera di denuncia. Verga,
tutt’altro che populista, si limita a rappresentare i fatti in maniera oggettiva ritenendo
4
Carteggio Verga-Capuana, a cura di G. Raya, Roma, Ed. dell’Ateneo, 1984, p. 29; poi in P. Pellini, In una casa di vetro:
generi e temi del naturalismo europeo, Firenze, Le Monnier, 2004, p. 17.
5
P. Pellini, In una casa di vetro: generi e temi del naturalismo europeo, cit., p. 21.
6
B. Anglani, Con gli occhi della mente. Verga tra Zola e Flaubert, in «Studi francesi», XLVIII 2004, pp. 33-53.
7
R. Luperini, Flaubert, Verga e il 1848 in AA.VV., Il verismo italiano fra naturalismo francese e cultura europea, a cura
di R. Luperini, Lecce, Manni, 2007, p. 20.
8
A, Manganaro, Verga, Acireale-Roma, Bonanno (collana Scrittori d’Italia), 2011, p. 62.
immodificabile la realtà e non prestando attenzione alla funzione che l’arte poteva esercitare sulla
società. Zola si affida all’osservazione sul campo, sperimentando con distacco scientifico il milieu
in cui avrebbe dovuto inserire i personaggi dei propri romanzi. Verga preferisce adottare per la
realizzazione dei Malavoglia, suo primo romanzo verista, un’ottica «da lontano», «un’elaborazione
logica e ideologica non condizionata dalla diretta osservazione della realtà» 9 . Mentre in Zola le
correzioni stilistiche sono rare e irrilevanti, in Verga «l’elaborazione è flaubertianamente (e
manzonianamente) tormentata»10, ne è la prova il Mastro-don Gesualdo, il romanzo del naturalismo
europeo ad avere avuto il più lungo periodo di gestazione e addirittura due edizioni diverse tra loro
(1888 e 1889).
È possibile piuttosto realizzare un parallelo tra Verga e Balzac, quantomeno per l’aspetto ideologico
che accomuna i due autori.
Se in Italia si è discusso di un ‘caso Verga’, in Francia similmente si può parlare di un ‘caso
Balzac’. Verga, pur rappresentando i deboli travolti dalla «fiumana del progresso», resta un
conservatore, sostenitore prima della politica colonialistica di Crispi e poi dell’interventismo nella
prima guerra mondiale, tanto da plaudire alle repressioni compiute nel 1898 dal generale Bava
Beccaris, responsabile di un eccidio causato dalle cannonate sparate sulla folla milanese che
protestava contro l’aumento del prezzo del pane. In modo analogo Balzac, pur essendo un
conservatore nostalgico dell’Ancien Régime, rappresenta nei suoi scritti l’ascesa della borghesia,
preoccupandosi di differenziare e descrivere in maniera oggettiva le evoluzioni dei «tipi umani»
appartenenti alle diverse classi sociali.

9
P. Pellini, Naturalismo e Verismo, cit., p. 54.
10
Ivi, p. 51.

Dispense di Italiano. Professor Cesare Cavicchi.

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