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IL PAESAGGIO SICILIANO:
TOPOS LETTERARIO O REALTÀ?
DORA MARCHESE
Università degli Studi di Catania
Abstract:
Entrata in ritardo tra le tappe del Grand Tour, la Sicilia, tra Sette e Ottocento,
esercita nell immaginario del viaggiatore un irresistibile fascino. Ma se i
visitatori stranieri giungono sull isola per verificare un idea preconcetta, già
consolidata, fissata da studi e resoconti propri e altrui, e, nel rappresentare la
realtà che trovano, usano la lente dell oleografia e dell artifizio, gli scrittori
siciliani, dai veristi in poi, al contrario, per primi consegnano un immagine
autentica del paese, osservato perlopiù da lontano, attingendo al serbatoio
della memoria, tracciandone un ritratto ora mitico e idillico, ora crudamente
realistico e tragico, sempre storicamente connotato. In tal senso, Giovanni
Verga può essere considerato un vero e proprio caposcuola non soltanto per
avere istituito un codice paesaggistico originale, superamento di una
descrizione vista come adeguazione analogica della realtà, ma anche per
avere concepito una poetica ed un linguaggio innovativi, sempre presenti agli
scrittori coevi e successivi che, ora prendendone le distanze, ora
riallacciandovisi in modo autonomo e personale, hanno dovuto confrontarsi
con la lezione verghiana.
Parole chiave:
Paesaggio, scrittori siciliani, Otto/Novecento, storia/invenzione,
narrativa/poesia, fuga/ritorno.
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IL PAESAGGIO SICILIANO: TOPOS LETTERARIO O REALTÀ?
Con gli scrittori veristi, dunque, alle immagini perpetratesi per secoli di una
Sicilia esuberante, fonte inesauribile di ricchezza e fecondità, che affonda le
sue radici nel mito di Cerere, Persefone, Efesto e i Ciclopi, nella vita beata
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dei pastori teocritei, di una Sicilia esotica e arcana, paese delle favole , terra
africana ai margini del mondo europeo, isola subtropicale avente come note
dominanti l arancio, l olivo, il pino, il cipresso, l agave e il ficodindia o fico
di Barberia [ ] i profumi del cisto, del mirto e del lentisco, dell iris, della
ginestra, della violetta e dell enotera; in febbraio dell asfodelo e dei mandorli
in fiore 6, si aggiunge e si sovrappone quella di un paese sede di contrasti,
spesso ostile, i cui abitanti devono lottare ogni giorno per la propria
sopravvivenza.
Nelle Novelle rusticane7 trionfa una visione materialista e pessimista,
imperniata quasi esclusivamente sul dominante motivo della roba,
contrassegnata nella centralità territorio agrario storicamente e
realisticamente connotato, che troverà in seguito, nel Mastro-don Gesualdo,
la sua più compiuta espressione. Riflesso del destino di un umanità trafitta
dalla necessità e dalla miseria, manifestazione profonda della natura, sua
ipostasi, il paesaggio è monito per i vinti verghiani, qualunque sia la loro
condizione sociale, qualunque sia l incidenza del progresso sulle loro vite,
che l esito finale è sempre la sconfitta. L uomo crede di potere modificare e
soggiogare l ambiente ma, inevitabilmente, ne è fagocitato. Emblematica la
novella Di là del mare, compendio dei motivi posti a fondamento della
silloge, in cui si fa esplicito riferimento al paesaggio, entità immanente alla
vita e ai drammi dei suoi umili protagonisti, elemento nodale per la
comprensione della Weltanschauung sottesa alla poetica dello scrittore8.
La desolazione, l ostilità, l impenetrabilità del paesaggio siciliano in Verga
è traslato della negazione del progresso , imputazione del fallimento degli
ideali accarezzati dalla borghesia di fine Ottocento, testimonianza del
predominio riconosciuto alle leggi naturali ed economiche, che vanificano le
speranze di nuovi valori: lo scacco della generazione risorgimentale è
divenuto visione del mondo 9.
Verga è un caposcuola non soltanto per avere istituito un codice
paesaggistico nuovo e innovativo, superamento della descrizione paesistica
come adeguazione analogica delle cose 10, ma anche per avere generato
abitudini, sistemi di aspettative, manierismi in quegli scrittori che ne hanno
accolto la lezione di spazialità immota e immutabile che sconfigge la
temporalità, il divenire, la storia dell uomo 11.
Grande eversore del naturalismo , Luigi Pirandello in alcune fasi del suo
impegno letterario presenta la Sicilia come luogo dove le figure e i fatti
possono ancora incarnarsi attraverso una rappresentazione, una problematica
di stampo naturalistico 12. In proposito, si rileggano le pagine iniziali del
romanzo I vecchi e i giovani:
Lo squallore, la sofferenza, la pietà sono gli stessi fissati nella novella Storia
dell asino di San Giuseppe14.
E più oltre:
L accidia, tanto di far bene quanto di far male, era radicata nella più
profonda confidenza della sorte, nel concetto che nulla potesse avvenire,
che vano sarebbe stato ogni sforzo per scuotere l abbandono desolato, in
cui giacevano non soltanto gli animi, ma anche tutte le cose. E a Sciaralla
parve di averne la prova nel triste spettacolo che gli offriva, quella
mattina, la campagna intorno e quello stradone. [ ]
Veramente da quella triste contrada maledetta dai contadini, costretti a
dimorarvi dalla necessità, macilenti, ingialliti, febbricitanti, pareva
spirasse nello squallore dell alba un angosciosa oppressione di cui anche
i rari alberi che vi sorgevano fossero compenetrati15.
Qua, le coste aride, livide di tufi arsicci, non avevano più da tempo un filo
d'erba, sforacchiate dalle zolfare come da tanti enormi formicaj e bruciate
tutte dal fumo. [ ] Per tutti, infine, era come un paese di sogno quella
collina lontana. Di là veniva l olio alle loro lucerne che a mala pena
rompevano il crudo tenebrore della zolfara; di là il pane, quel pane solido
e nero che li teneva in piedi per tutta la giornata, alla fatica bestiale; di là
il vino, l unico loro bene, la sera, il vino che dava loro il coraggio, la
forza di durare a quella vita maledetta, se pur vita si poteva chiamare:
parevano, sottoterra, tanti morti affaccendati16.
Nel bujo della sera, sotto il pallore dei lampioni, per l angusta via passò
tumultuando quel torrente di popolo, che si lasciava trascinare senza il
minimo entusiasmo, come un armento belante, dalla volontà di due o tre
interessati17.
Alla costante presenza del sole e del meriggio nel Verga, lo scrittore
agrigentino oppone la melanconia della pioggia e l alba; in entrambi il
paesaggio è emblema dell organizzazione culturale ed esistenziale di una
società che ha fallito il progetto di un reale e concreto rinnovamento di sé18.
Il corrompersi degli ideali di un intera generazione, il senso di vacuo e di
disfacimento della vecchia nobiltà feudale, si riverberano nel lento sgretolarsi
dei palazzi aviti, nei simboli logori dell antica superbia aristocratica. Così
nella descrizione del Monastero di Santo Spirito che richiama da presso
quella di Palazzo Trao nel Mastro-don Gesualdo:
Quella Badìa, già castello feudale dei Chiaramonte, con quel portone
basso tutto tarlato, e la vasta corte con la cisterna in mezzo, e quello
scalone consunto, cupo e rintronante, che aveva il rigido delle grotte, e
quel largo e lungo corridojo con tanti usci da una parte e dall altra e i
mattoni rosi del pavimento avvallato che lustravano alla luce del
finestrone in fondo aperto al silenzio del cielo, tante vicende di casi e
aspetti di vita che aveva accolto in sé e veduto passare [ ]. Il
parlatorietto era bujo, tanto che in prima non potei discernervi altro che la
grata in fondo, appena intravista alla poca luce entrata dall uscio
nell aprirlo19.
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vie di mezzo fra la mollezza lasciva e l asprezza dannata; che non è mai
meschino, terra terra, distensivo, umano, come dovrebbe essere un paese
fatto per la dimora di esseri razionali: questo paese che a poche miglia di
distanza ha l inverno attorno a Randazzo e la bellezza della baia di
Taormina, ambedue fuor di misura, quindi pericolosi; questo clima che
c infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti:
Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Ottobre; sei volte trenta
giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra
quanto l inferno russo e contro la quale si lotta con minor successo; Lei
non lo sa ancora, ma da noi si può dire che nevica fuoco, come sulle città
maledette della Bibbia; in ognuno di quei mesi se un Siciliano lavorasse
sul serio spenderebbe l energia che dovrebbe essere sufficiente per tre; e
poi l acqua che non c è o che bisogna trasportare da tanto lontano che
ogni sua goccia è pagata da una goccia di sudore; e dopo ancora, le
piogge, sempre tempestose che fanno impazzire i torrenti asciutti, che
annegano bestie e uomini proprio lì dove una settimana prima le une e gli
altri crepavano di sete. Questa violenza del paesaggio, questa crudeltà del
clima, questa tensione continua di ogni aspetto, questi monumenti, anche,
del passato, magnifici ma incomprensibili perché non edificati da noi e
che ci stanno intorno come bellissimi fantasmi muti; [ ] tutte queste cose
hanno formato il carattere nostro che rimane così condizionato da fatalità
esteriori oltre che da una terrificante insularità d animo26.
Cosi parlammo della Sicilia eterna, di quella delle cose di natura; del
profumo di rosmarino sui Nèbrodi, del gusto del miele di Melilli,
dell ondeggiare delle messi in una giornata ventosa di Maggio come si
vede da Enna, delle solitudini intorno a Siracusa, delle raffiche di
profumo riversate, si dice, su Palermo dagli agrumeti durante certi
tramonti di Giugno. Parlammo dell incanto di certe notti estive in vista
del golfo di Castellammare, quando le stelle si specchiano nel mare che
dorme e lo spirito di chi è coricato riverso fra i lentischi si perde nel
vortice del cielo mentre il corpo, teso e all erta teme 1 avvicinarsi dei
demoni28.
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riarse , la dura lotta contro le avversità intentata dai protagonisti del Mastro-
don Gesualdo?
I paesaggi siciliani del Verga nascono dalla rimembranza e dalla nostalgia,
sono attinti dai meandri della memoria, segnati dalla presenza di miti e di
tradizioni e di antiche pratiche popolari del costume, in piena consapevolezza
del valore delle profonde radici etniche della realtà regionale 32. Anche in
Quasimodo la scrittura riveste una funzione catartica e salvifica, risarcimento
alla lontananza e all esilio, solo mezzo per oltrepassare e sconfiggere i limiti
naturali e sociali che vincolano l uomo33. I luoghi dell infanzia divengono
espressione di un ethos affettivo 34 che lega indissolubilmente il poeta alla
terra natale:
Ma poi: quale poeta non ha posto la sua siepe come confine del mondo,
come limite dove il suo sguardo arriva più distintamente? La mia siepe è
la Sicilia: una siepe che chiude antichissime civiltà e necropoli e latomie e
telamoni spezzati sull erba e cave di salgemma e zolfare e donne in pianto
da secoli per i figli uccisi, e furori contenuti o scatenati, banditi per amore
o per giustizia. [ ]
Anch io non ho cercato lontano il mio canto, e il mio paesaggio non è
mitologico o parnassiano: [ ] un amore, come dicevo, non può dire alla
memoria di fuggire per sempre da quei luoghi35.
Non più un filo d acqua in tutti i torrenti per cento chilometri da ogni
parte e dinanzi agli occhi niente altro che stoppie da dove il sole spuntava
sino a dove tramontava. Non c erano case per venti, trenta chilometri da
ogni parte, eccetto, lungo la linea, le case cantoniere schiacciate a terra
dalla solitudine; e ch era una terribile estate significava non un ombra per
tutti quei chilometri, le cicale scoppiate al sole, le chiocciole vuotate dal
sole, ogni cosa al mondo diventata sole36.
E in Francesco Lanza:
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La Sicilia di Leonardo Sciascia, metafora dei mali della società più che
della natura, verghianamente è segnata dalla violenza e dalla pregnanza di
paesaggi naturali ed urbani:
In Occhio di capra, discorrendo del suo paese natio, Sciascia intesse ricordo
e rimpianto per una terra mitica, visceralmente sentita propria:
La Sicilia, osserva:
Tutti i miei libri in effetti ne fanno uno. Un libro sulla Sicilia che tocca i
punti dolenti del passato e del presente e che viene ad articolarsi come la
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Travolti dalla fiumana del progresso , i vinti del Verga, piegati dalla storia e
dalla collettività, rammentano quelli di Sciascia che, però, giungono alla
sconfitta dopo avere lottato non solo individualmente, esistenzialmente, ma
appunto, come reali soggetti storici 44.
Nel tredicesimo dei quattordici punti dell identikit del Siciliano Assoluto
tracciato da Gesualdo Bufalino, lo scrittore annota: Sentimento pungente
della vita e della morte, del sole e della tenebra che vi si annida [ ] 46. Luce
ed ombra, eros e thanatos, idillio e suo rovesciamento, sono sempre in
agguato anche nella pagina verghiana. Persino quando si descrivono scorci
lirici, che affondano le radici nelle memorie dei verdi anni, dominano il
contrasto e il chiaroscuro. Così in Jeli il pastore:
Ora il cielo s era fatto bianchiccio, e i monti tutto intorno parevano che
spuntassero ad uno ad uno, neri ed alti. Dalla svolta dello stradone si
cominciava a scorgere il paese, col monte del Calvario e del Mulino a
vento stampato sull albore, ancora foschi, seminati dalle chiazze bianche
delle pecore, e come i buoi che pascolavano sul cocuzzolo del monte,
nell azzurro, andavano di qua e di là, sembrava che il profilo del monte
stesso si animasse e formicolasse di vita47,
Era ancora buio. Lontano, nell ampia distesa nera dell Alìa, ammiccava
soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un
nuvolone basso che tagliava l alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per
tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal
quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che
dava l allarme anch esso; poi la campana fessa di San Vito; l altra della
chiesa madre, più lontano; quella di Sant Agata che parve addirittura
cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l altra s erano
svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San
Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti
spaventato, nelle tenebre48.
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NOTE
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1
N. Famoso, Introduzione, in AA.VV., Il paesaggio siciliano nella
rappresentazione dei viaggiatori stranieri, a cura di N. Famoso, Catania:
C.U.E.C.M., 1999, p. 26.
2
Ivi, p. 27.
3
G. de Maupassant, Sicilia perla del Mediterraneo, traduzione italiana di E.
Papa, introduzione di M. Collura, Siracusa: Edizioni dell Ariete, 1989, p. 70.
4
Cfr. Caramba (E. Boutet), Sicilia verista e Sicilia vera, in Don Chisciotte,
Roma, 7 gennaio 1894; ora in L. Capuana, Gli Ismi contemporanei,
Catania: Giannotta, 1898, pp. 323-28.
5
L. Capuana, La Sicilia e il brigantaggio, in L isola del sole, Catania:
Giannotta, 1914; ora, con introduzione di N. Mineo, Caltanissetta:
Lussografica, 1994, pp. 43-44.
6
R. Peyrefitte, Dal Vesuvio all Etna, traduzione italiana e nota di E. Papa,
introduzione di G. Bufalino, fotografie di K. Helbig, Siracusa: Ediprint, 1986,
p. 12.
7
Circa l incidenza del paesaggio nella silloge, ci sia consentito rinviare al
nostro La poetica del paesaggio nelle Novelle rusticane di Giovanni
Verga, Acireale-Roma: Bonanno, 2009.
8
Solo rimaneva solenne e immutabile il paesaggio, colle larghe linee
orientali, dai toni caldi e robusti. Sfinge misteriosa, che rappresentava i
fantasmi passeggieri, con un carattere di necessità fatale (G. Verga, Tutte le
novelle, a cura e con note di C. Riccardi, Milano: Mondadori, 1982, Vol. I, p.
335).
9
R. Bigazzi, Su Verga novelliere, Pisa: Nistri-Lischi, 1975, pp. 204-05.
10
S. Romagnoli, Spazio pittorico e spazio letterario da Parini a Gadda.
Rêveries e realtà, in AA.VV., Storia d Italia. Il paesaggio, a cura di C. De
Seta, Torino: Einaudi, 1985, p. 509.
11
G.-P. Biasin, Epifanie siciliane. Ideologia del paesaggio, in AA.VV., Dal
Novellino a Moravia, a cura di E. Raimondi-B. Basile, Bologna: il Mulino,
1979, pp. 201-02.
12
G. Debenedetti, Il romanzo del Novecento, Milano: Garzanti, 1976, pp.
149, 386.
13
L. Pirandello, I vecchi e i giovani, in Tutti i romanzi, a cura di G. Macchia
e con la collaborazione di M. Costanzo, Milano: Mondadori, 2005, Vol. II,
pp. 5-6.
14
Allora lasciava cascare il muso e le orecchie ciondoloni, come un asino
fatto, coll occhio spento, quasi fosse stanco di guardare quella vasta
campagna bianca la quale fumava qua e là della polvere delle aie, e pareva
non fosse fatta per altro che per lasciar morire di sete e far trottare sui covoni.
[ ] Alla sera tornava al villaggio colle bisacce piene, e il ragazzo del
padrone seguitava a pungerlo nel garrese, lungo le siepi del sentiero che
parevano vive dal cinguettìo delle cingallegre e dall odor di nepitella e di
ramerino, e l asino avrebbe voluto darci una boccata, se non l avessero fatto
trottare sempre, tanto che gli calò il sangue alle gambe, e dovettero portarlo
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