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Ralph Dahrendorf: "Homo sociologicus",

Cap. II, 'Per una definizione della categoria di ruolo'


(Ed. Armando Armando, 1966, pagg. 39-46.)
Il tentativo di ridurre l'uomo ad homo sociologicus, per risolvere determinati problemi,
non n cos arbitrario n cos recente come si potrebbe credere. Come l'homo oeconomicus
ed il psychological man, anche l'uomo in quanto titolare (letteralmente, portatore = Trger) di
ruoli sociali non una copia della realt, ma una costruzione scientifica. Ammesso pure che il
fare scientifico sia una specie di giuoco, sarebbe tuttavia sbagliato concepirlo come un giuoco
completamente arbitrario e totalmente indipendente dalla realt dell'esperienza. Il paradosso del
tavolo della fisica (fatto di atomi n.d.r.) e di quello quotidiano (dove si poggiano gli oggetti
n.d.r.), o dell'uomo sociologico e dell'uomo dell'esperienza normale non pu essere l'obiettivo
di ogni scienza, ma piuttosto una conseguenza non prevista e condizionante di quel modo
di rendere comprensibili alcuni aspetti del mondo, che noi chiamiamo scienza. L'atomo o il
ruolo sociale, in senso profondo, bench siano delle scoperte, non sono delle pure e semplici
scoperte. Sono categorie che, con un carattere di necessit difficilmente provabile, sebbene sotto
diversi nomi, s'impongono in diversi tempi e situazioni a tutti coloro che cercano di
concettualizzare la natura o l'uomo nella societ. Una volta scoperte, non hanno soltanto
un senso, cio una funzionalit operativa, ma sono soprattutto categorie facilmente
comprensibili, anzi in un certo senso evidenti. Come nel caso dell'atomo, quale elemento fisico,
cos anche in quello del ruolo, quale elemento dell'analisi sociologica, vale la pena di
considerare il fatto che i nomi di queste categorie sono rimasti gli stessi nel corso dei secoli.
Per latomo la spiegazione evidente: la parola atomons spiega da sola, ed il concetto
presenta comunque un consapevole riferimento alla sua primitiva applicazione in Democrito. Il
caso del ruolo sociale pi complicato e pi istruttivo. Si osserva immediatamente che un
gran numero di scrittori, poeti, scienziati, filosofi, nel tentativo di determinare il punto di
intersezione tra il singolo e la societ, hanno introdotto concetti identici o equivalenti; le
parole che troviamo quasi sempre in questi contesti sono maschera, personaggio, carattere e
ruolo. Sebbene anche qui non si possa escludere il consapevole e volontario riferimento ad
autori precedenti, appare chiaro quanto sia estesa la sostanziale concordanza d molti autori,
al di l del contenuto del concetto, sul nome che lo designa, e come perci questo nome sia, in
un certo modo, qualcosa di pi che un suono privo di significato.
Ruolo, personaggio, carattere e maschera sono parole che, se pure in fasi diverse dello
sviluppo linguistico, hanno occupato ed occupano un campo semantico comune: quello del
teatro. Parliamo dei personaggi o dei caratteri del dramma e dei suoi ruoli, che sono ricoperti
da attori, e sebbene da noi l'attore non ha pi la maschera, anche questa parola trova il suo
posto in questo ambito. Numerose sono le associazioni che colleghiamo con queste parole: a)
Tutte attribuiscono a colui che ne il titolare (l'attore) qualcosa di predeterminato, sussistente
al di fuori di lui; b) Questo alcunch di predeterminato pu essere descritto come un
complesso di comportamenti c) questi comportamenti, uniti con altri comportamenti,
concorrono a un tutto nella misura in cui sono parti (come risulta chiaro dal latino pars o
dall'inglese part, per ruolo), d) Poich questi comportamenti sono predeterminati per l'attore,
egli li deve imparare per poter recitare. e) Dal punto di vista dellattore il numero dei suoi ruoli,
in quanto persona dramatis, inesauribile; egli pu imparare e recitare moltissimi ruoli.
Accanto a questi significati caratteristici del teatro, ma sempre validi per il concetto sociologico
di ruolo, personaggio, carattere e maschera, c' nel teatro un altro aspetto, la cui illustrazione ci
porter al limite estremo della metafora della rappresentazione teatrale. Al di l di tutti i ruoli,
personaggi e maschere resta l'attore come individuo nella sua realt, che non modificato da
essi. Per lui essi sono inessenziali. Egli se stesso solo quando se ne libera o, come dice
Giovanni da Salisbury (1159) nel suo Policraticus:

La compagnia rappresenta sulla scena la farsa, l'uno si chiama padre, l'altro figlio, un altro porta
il nome di ricco; non appena il sipario calato sulle parti comiche, torna il vero volto, quello
fittizio sparisce.
I versi di Giovanni da Salisbury non sono una vera e propria descrizione del teatro. Per
lui lo spettacolo drammatico metaforico rispetto al mondo ed alla vita. Di fatto la metafora
teatrale, che stata studiata da E. R. Curtius, un antichissimo topos della filosofia e della
poesia. Curtius rimanda alle Leggi di Platone (discorso sulle creature viventi come marionette
di origine divina) e al Filebo (dov' l'immagine della tragedia e commedia del vivere),
come primi documenti della metafora dello spettacolo. Questa commedia della vita umana,,
cos Seneca sviluppa la stessa idea, che assegna all'uomo delle parti perch le interpreti male.
Da Paolo a Giovanni da Salisbury e fino ad oggi, si ripresenta la metafora nella tradizione
cristiana (si pensi solo alla concezione della Trinit come Unit di tre Persone). Pi tardi
l'immagine del theatrum mund diventa quasi un luogo comune. Lutero e Shakespeare,
Calderon e Cervantes la conoscono. Basta ricordare il Grosses Salzburger Weltheater di
Hofmannsthal per rendersi conto che il topos vale ancora oggi.
Tuttavia la metafora dello spettacolo nel senso del theatrum mundi pu essere assunta solo
mediatamente come documento della necessit obiettiva e della antichit della categoria, di
cui stiamo parlando. Poich nella misura in cui si rappresenta il mondo come un tutto o per lo
meno la umanit come uno spettacolo di dimensioni gigantesche, al singolo spetta una sola
maschera, un solo personaggio, un unico carattere e ruolo nel tutto (per cui certamente gi in
Platone nasce l'idea di un divino regista).
La nostra indagine al contrario mira proprio a risolvere questa unit dell'uomo negli
elementi di cui costituito l'agire umano, mediante i quali esso diventa riducibile in termini
razionali. Un punto di riferimento immediato si trova l dove l'immagine dello spettacolo e
delle sue parti, proiettata su un piccolo schermo, raffigurata nella vita del singolo ed al singolo
sono attribuiti molti di questi ruoli e personaggi.
Anche questa idea vecchia. Si trova gi nella parola latina persona, il cui corrispondente
greco prosopon.
II termine persona viene spiegato dal vocabolario con le parole: carattere, ruolo,
personaggio. Cicerone ci fornisce un bell'esempio di persona, in questo senso: Bisogna anche
considerare che la natura ci ha per cos dire rivestiti di due personalit, delle quali una a tutti
comune, in quanto tutti siamo partecipi della ragione e della sua virt, di quella ragione per cui
siamo superiori alle bestie, da cui deriva tutto quello che conferisce onore e dignit e alla quale si
chiede il criterio per determinare il dovere; l'altra personalit invece attribuita con caratteri
specifici ad ogni individuo (Cicero, De Officiis. I, 107). Questi due ruoli che la natura ci offre,
una disposizione genericamente umana ed una propriamente individuale, hanno poco a che vedere
col ruolo sociale, tuttavia Cicerone aggiunge poco dopo: E alle due personalit di cui sopra se
ne aggiunge una terza, che il caso o le circostanze impongono; ed anche una quarta, che noi
stessi ci adattiamo a nostro giudizio. Infatti regni, imperi, nobilt, cariche pubbliche, ricchezze,
potenza e le cose a queste contrarie, in quanto risiedono nel mero caso, sono determinate dal
variare delle circostanze; ma dipende dalla nostra volont assumere la personalit che
vogliamo. perci alcuni si dedicano alla filosofia, altri al diritto civile, altri all'eloquenza, e
anche riguardo alle stesse virt, chi preferisce eccellere in una chi in un'altra (De Officiis. I,
115). Le considerazioni di Cicerone sono la parafrasi di uno scritto perduto di Panezio, in cui la
personalit del singolo sarebbe stata presentata come riunione di quattro prosopa che in parte sono
per natura innati e fisici, ma in parte sono anche acquisiti e sociali. Sia in Panezio che in Cicerone,
le quattro persone dell'uomo sono definite come inerenti al singolo, sebbene le ultime due trovino
occasione e limite nelle circostanze esterne.
Da quid prefigurato, che si contrappone al singolo, la persona ormai divenuta una parte del
singolo, una specificazione del significato che in seguito porta ad indicare persona come la
totalit della individualit delluomo. Il destino della parola carattere (caracter: limpressione,

lo stampo) non diverso. Bisogna ancora mostrare come nelle pi recenti ricerche sociali la categoria di ruolo riveli un'analoga tendenza a passare dal significato di forma predeterminata di
comportamento a regola di comportamento individuale, quindi da concetto elementare sociologico a
concetto socio-psicologico.
Se la necessit di una categoria quale ruolo, persona o carattere evidente, appare per difficile,
nella sua definizione e nel suo uso, tenerla ferma al suo posto, cio sulla linea di demarcazione tra il
singolo e la societ.
Tuttavia non tutti gli autori sono consapevoli di questa traslazione di significati. Nella commedia As
you like it (II, 17), Shakespeare pone in bocca a Jaques un ragionamento che anticipa in modo
abbastanza evidente la peculiarit e la possibilit della categoria del ruolo sociale e in cui sono
visibili molti tratti caratteristici del concetto sociologico di ruolo:
Tutto il mondo un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori. Essi hanno le loro
uscite e le loro entrate. Una stessa persona nella sua vita rappresenta parecchie parti, poich sette
et costituiscono gli atti. Dapprima il fanciullo che miagola e vomita sulle braccia della nutrice;
poi lo scolaro piagnucoloso che con la sua cartella e col suo mattutino viso si trascina come una
lumaca mal volentieri alla scuola; poi l'innamorato che sospira, come una fornace, con una triste
ballata composta per le sopracciglia dell'amata; poi il soldato pieno di curiose imprecazioni,
baffuto come un leopardo, geloso del punto d'onore, impulsivo e pronto alle questioni, che
cerca una vana reputazione perfino sotto la bocca del cannone. Poi il giudice dalla bella
pancia rotonda rimpinzata di un buon cappone, dallo sguardo severo e dalla barba
accuratamente tagliata, pieno di sagge massime e di assai trite illustrazioni, che a questo modo rappresenta la sua parte. La sesta et si cambia in un rimbambito Pantalone magro e in
pantofole, con gli occhiali sul naso e una borsa al fianco; i suoi calzoni portati da giovane e
ben conservati sono infinitamente troppo larghi per le sue gambe stecchite, la sua grossa
voce di uomo, ritornata al falsetto fanciullesco, risuona stridendo e zufolando. La scena finale
che chiude questa storia strana e piena di eventi una seconda fanciullezza e un completo
oblio, senza denti, senza vista, senza gusto, senza nulla.
Shakespeare si occupa qui di un tipo particolare di ruolo sociale, del ruolo di vecchio,
tuttavia alla sua descrizione possono essere ricondotte molte altre forme di comportamento
precostituito. II mondo un palcoscenico sul quale il singolo appare e scompare. Ma egli partecipa a molte scene ed appare pi volte e sempre con una maschera diversa. Il singolo entra
nella scena come bambino e riappare in vesti di adolescente, di uomo e di vecchio. Solo quando
muore scompare, altri uomini tuttavia continuano a popolare il palcoscenico e recitano la loro
parte. La metafora scespiriana divenuta oggi il fondamentale principio costruttivo della scienza
della societ.
Il singolo e la societ sono termini che rimandano l'uno all'altra, in quanto il singolo
appare come portatore di attributi e di comportamenti predeterminati dalla societ.
Hans Schmidt come scolaro ha la cartella e si trascina malvolentieri a scuola; innamorato,
sospira e loda la sua amata; soldato, porta la barba, bestemmia, bellicoso e coraggioso;
giudice, si veste con cura ed pieno di sagge sentenze.
Scolaro, innamorato, soldato, giudice e vecchio sono, in una qualche strana
maniera, questo singolare e determinato Hans Schmidt e qualche cosa di divisibile da lui, di
cui si pu parlare senza riferirsi a lui. La descrizione fatta da Shakespeare di quello che il giu dice ha e di quello che fa, non pu pi valere per il palcoscenico di oggi; anche noi possiamo per
dire quali caratteristiche e quale comportamento appartengano al giudice, sia che si chiami Hans
Schmidt, sia che si chiami Otto Meyer; anche per noi la societ quel fatto condizionante, che
solleva il singolo dalla sua singolarit a qualche cosa di generale ed estraneo, mentre gli
conferisce una determinazione.

I fatti della societ sono condizionanti, perch non ne possiamo prescindere. Certo ci
sono innamorati che non sospirano, n cantano gli occhi scuri della loro amata, ma questi
innamorati non recitano la loro parte, essi sono, nella lingua della sociologia americana
contemporanea, deviants, devianti. Per ogni posizione che l'uomo pu assumere, sia essa
caratterizzata dal sesso, dall'et, dalla famiglia, dalla professione, dalla nazione, dalla classe o
da quel che si vuole, la societ conosce attributi e forme di comportamento, che il titolare
di dette posizioni si trova di fronte e con cui deve fare i conti. Se il singolo assume ed accoglie
le sollecitazioni che gli si offrono, rinuncia ad una intatta individualit, ma guadagna la
approvazione della societ in cui vive; se il singolo fa resistenza alle sollecitazioni della
societ, pu conservare una indipendenza astratta ed inutile, ma destinato alla condanna ed
alle sanzioni della societ. Il punto in cui si attua una tale interferenza tra singolo e societ,
ed a partire dal quale insieme con l'uomo come essere sociale nasce anche l'homo
sociologicus, quella entrata in scena come..., sul palcoscenico della vita, che Cicerone
cerca di esprimere col concetto di persona, Marx con quello di maschera del carattere e
Shakespeare, insieme con la maggior parte dei sociologi moderni, col concetto di ruolo.
Non un caso, che questa obiettiva correlazione di fatti, finora solo accennata, fin
dall'antichit sia stata espressa con termini presi a prestito dal linguaggio teatrale. La analogia
tra il modulo di comportamento ormai obiettivato del personaggio del dramma e le norme di legislazione della societ, che si riferiscono al comportamento sociale in relazione ad una
posizione, facilmente comprensibile. Tuttavia non si vede immediatamente come questa
analogia coinvolga anche il pericolo di un grosso equivoco. L'immagine dello spettacolo pu
essere pericolosa, se riferita alla societ. Mentre per l'azione drammatica essenziale la non
autenticit dellaccaduto, nell'ambito della societ questo sarebbe un assunto estremamente
equivoco. Il termine ruolo non deve spingere a vedere nella individualit che recita un ruolo
sociale un uomo non autentico, a cui basta togliersi la maschera per apparire nella sua vera
natura. Tra l'homo sociologicus e l'individuo integrale della nostra esperienza esiste una
paradossale e pericolosa sproporzione, che non possiamo sottovalutare o trascurare. Che l'uomo
sia un essere sociale pi di una metafora, i suoi ruoli sono pi di una maschera, che si
prende e si lascia; il suo comportamento sociale pi di una commedia o di una tragedia, di cui
l'attore possa liberarsi per penetrare nella propria peculiare realt.

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