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ARTE E IDENTITÀ: SULL'ATTUALITÀ DELL'ESTETICA DI NIETZSCHE

Author(s): GIANNI VATTIMO


Source: Revue Internationale de Philosophie , 1974, Vol. 28, No. 109 (3), PROBLÈMES
ACTUELS DE L'ESTHÉTIQUE (1974), pp. 353-390
Published by: Revue Internationale de Philosophie

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/23943056

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ARTE E IDENTITÀ

SULL'ATTUALITÀ DELL'ESTETICA
DI NIETZSCHE

di GIANNI VATTIMO

l. Gran parte della discussione che si svolge oggi sul pens


di Nietzsche (') e sulla sua eventuale attualità ha come sfondo il
problema della portata del suo rovesciamento del platonismo,
cioè della metafisica occidentale nella forma archetipica che —
secondo Nietzsche e secondo i suoi maggiori interpreti (Hei
degger soprattutto) — ne ha determinato tutti i successivi svi
luppi. Anche il discorso sulla possibile attualità di una estetica
nietzscheana deve muovere da questo problema ; e anzi, nel caso
dell'estetica, il riferimento a Platone si dimostra particolarmente
illuminante e significativo. Proprio nel caso della questione
dell'arte appare chiaro — almeno secondo noi — che il
rovesciamento nietzscheano del platonismo non è, come in fondo
vuole Heidegger (2), un rovesciamento interno, che lascia im
mutate le dicotomie e le opposizioni (sensibile-intelligibile, ap
parenza-realtà, ecc.) stabilité da Platone, ma le riprende alia loro
base e le contesta radicalmente.
Sulla soglia dell'estetica occidentale sta la famosa condanna
platonica dell'arte imitativa formulata nella Repubblica. Proprio il

(1) Per un più ampio inquadramento dei problemi interprctativi a cui qui si accenna mi
permetto di rimandare al mio volume II soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della
liberazione, Milano, Bompiani, 1974. In questo articolo cerco solo di sviluppare alcune impli
canze estetiche dei risultati di quel lavoro generale.
(2) È questa la tesi di tutti i numerosi scritti heideggeriani su Nietzsche, e anzitutto del
Nietzsche, Pfullingen 1961. Per la nozione di «rovesciamento» (Umkehrung) del platonismo si
veda per esempio la sezione IX del saggio «Ueberwindung der Metaphysik» in Vorträge und
Aufsätze, pp. 78-79.

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354 G. VATTIMO

modo in cui taie «condanna» è passa ta nella trad


cidentale, anche per essere negata, come accade a p
Aristotele, è un esempio del fatto che questa tradizione
più mossa all'interno delle alternative istituite da Plato
interrogarle, ma anzi coprendole e occultandole, ne
origine. Deila tesi formulata da Platone nel III e nel X l
Repubblica si è infatti generalmente ritenuto e d
prevalenza l'argomento metafisico délia distanza che
magine prodotta dall'artista dall'idea creata da Dio (R
b) e che dégrada l'opéra d'arte a copia di copia. Anch
questo argomento si aggiunge il suo corollario pe
(conoscere e godere la copia délia copia non puô che allo
dal mondo delle idee) il centro del discorso platonico
pre collocato nell'opposizione tra l'essere vero delle
carattere di apparenza deU'immagine, con la relativ
dinazione gerarchica délia conoscenza sensibile e del
ni alla conoscenza intellettuale. Un altro importa
dell'estetica platonica, che pure è esplicitamente lega
svolto nella Repubblica, e cioè il discorso condotto ne
rapsodo e il poeta non sono dei «tecnici», non pa
cognizione di causa ; l'unica possibile fonte del loro par
misteriosa forza che Ii ispira, una follia divina) vien
genere come semplicemente parallelo all'altro : l'imit
condannata in base all'argomento délia copia di copi
quanto attività che non si lascia inquadrare in una
razionale ; oppure perché — come imitazione dramrnat
plica l'identificazione di chi imita con persone o atte
bassi e indegni (Rep. III, 395 d ss.). Ma al di là di questa
tazione «morale», ripresa nel libro decimo in conne
l'argomento délia copia di copia, ce n'è un'altra più
generale, che collega più coerentemente il discorso d
blica a quello dello Ione. L'impossibilità di definire la po
una téchne, che è la conclusione dello lone e che si puô c
un preludio alla «condanna» délia Repubblica, pesa negat
contro l'arte soprattutto perché non rispetta la division
sociali. «Potresti perô affermare ... che esso [il tipo imit
drammatico, di poesia] non si adatta alla nostra cos
perché da noi non esiste uomo doppio, né multiplo,
ciascuno fa una cosa sola (...). A quanto sembra, dunq

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ARTH E IDENTITÀ 355

nostro stato giungesse un uomo capace per la sua sapienza di


assumere ogni forma e di fare ogni imitazione, e volesse prodursi
in pubblico con i suoi poemi, noi lo riveriremmo come un essere
sacro, meraviglioso, incantevole ; ma gli diremmo che nel nostro
stato non c'è e non è lecito che ci sia un simile uomo ; e lo man
deremmo in un altro stato con il capo cosparso di profumi e in
coronato di lana» (Rep., III, 397 d — 398 a). È vero che im
mediatamente dopo Platone sembra limitare di nuovo la con
danna a quelle imitazioni che comportano identificazione con ciô
che è più basso e più vile (e si veda anche poco più sopra, 395 d
ss.) ; ma queste linee indicano una ragione più generale e fon
damentale per condannare l'arte imitativa, ragione che è già ac
cennata poco più sopra in termini estremamente esplici ti : «E
inoltre, Adimanto, la natura umana mi appare frazionata in pez
zetti ancora più minuti di questi [poco prima si è ammesso che gli
stessi poeti non sono nemmeno capaci di fare buone imitazioni sia
tragiche sia corniche], si da non essere in grado di imitare bene
parecchie cose, e di fare quelle cose stesse che si producono con
le imitazioni» (195 b). Nella visione platonica dello stato, e délia
natura umana, «non c'è e non è lecito che ci sia» qualcuno che si
sottragga alla logica délia divisione del lavoro ; la divisione del
lavoro corrisponde a un carattere essenziale délia natura umana.
Un uomo capace di uscire da sé e calarsi in al tri ruoli, in altre in
dividualité, non c'è ; se sembra che ci sia, questo accade solo nel
regno délia imitazione e délia finzione poetica. In tal modo, perô,
la condanna délia imitazione come finzione e copia di copia si
salda all'argomentazione «tecnica» dello Ione attraverso il nesso
tra realtà vera délia natura umana e divisione del lavoro. Del
resto, nello Ione stesso questa connessione è chiaramente an
nunciata ; la ragione per cui non è possibile definire tecnicamente
la poesia è il fatto che l'apparenza che essa produce fa andare
fuori di sé, prima che l'ascoltatore, il poeta e il rapsodo stessi, per
cui non sono essi a disporre, secondo regole, delle parole e delle
immagini, ma piuttosto queste dispongono di loro. La poesia si
présenta cosi, nell'esperienza che ne facciamo, come una sorta di
potenza autonoma del l'apparenza, o — si potrebbe dire — del
significante, potenza che si manifesta proprio nel farci uscire dai
limiti délia nostra condizione «reale» (cfr. 535 d) ; per questo essa
non si lascia teorizzare e ridurre a regole come una te'chne.

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356 G. VATTIMO

L'irriducibilità délia poesia al modello délia divisione del la


voro (3) in questo ultimo senso ha quindi già radice nel fatto che
la poesia, cosi come la esperiamo, è di per sé, costitutivamente,
una negazione délia divisione dei ruoli, una violazione délia
essenziale frammentarietà délia natura umana. Anche quando
limita la condanna dell'imitazione poetica, salvando il genere
narrativo e il genere misto (a cui pone perô anche limiti morali
circa i tipi di persone e di stati d'animo che puô rappresentare)
Platone ha sempre présente come modello essenziale délia poesia
la rappresentazione drammatica, cioè quella che fa uscire da sé ;
solo perché anche la poesia narrativa e la mista implicano in
fondo una uscita da sé (del resto, il rapsodo di cui parla lo Ione
canta e narra, non fa teatro tragico o comico) è necessario porre
limiti morali al tipo di vicende e di personaggi che possono rap
presentare (cfr. Rep. III, 398 a-b). Anche la «naturale propen
sione» del poeta per la sfera delle emozioni invece che per il
carattere intelligente e tranquillo (Rep. X, 605 a), prima che al suo
desiderio di piacere aile masse, si riporta all'essenza che po
tremmo chiamare estatica o disidentificante délia poesia : il
carattere intelligente e tranquillo, «sempre simile a sé stesso», non
è facile da imitare e non è agevole a comprendere. La poesia, che
è anzitutto esperienza di disidentificazione, del poeta e degli
ascoltatori, cerca di preferenza gli oggetti délia propria imi
tazione non nel mondo del sempre uguale, ma nell'ambito del
mutevole e del vario : non nell'elemento dell'intelligibile, ma
nella sfera del sensibile.
Non è qui possibile sviluppare una ricostruzione compléta
dell'estetica di Platone in riferimento a questo concetto «teatrale»
di imitazione come disidentificazione, né discutere, come pure
sarebbe necessario, il rapporto problematico che sussiste tra la
follia e l'andar fuori di sé prodotto dalla poesia e dall'apparenza
dell'arte, e le forme di estasi e di mania che Platone inserisce in
funzione positiva nella sua descrizione deU'itinerario dell'ani
ma aile idee (come nel famoso passo del Fedro, 265 b, dove
l'ispirazione poetica delle Muse è una delle quattro forme del
delirio divino, insieme all'ispirazione profetica, a quella mistica e

(3) L'importanza del modello délia divisione del lavoro nel pensiero platonico è stata
giustamente sottolineata da G. Cambiano, Platone e le tecniche, Torino, Einaudi, 1971,
p. 170 ss.

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ARTE E IDENTITÀ 357

al delirio d'amore). Importava solo mettere in luce che una com


ponente decisiva della fin troppo famosa condanna platonica
délia poesia e dell'arte è la connessione, che Platone per primo ha
chiaramente teorizzato, tra apparenza poetica e artistica e
disidentificazione, uscita da sé, rottura dell'ordinata divisione dei
ruoli sociali. La tradizione successiva — ma anche questa è un'af
fermazione che dovrebbe essere documentata a parte — ha per lo
più occultato questa connessione : isolata dalla sua potenza
disidentificante, l'apparenza prodotta dall'imitazione poedca o
artistica si è aperta a venir giustificata come strumento ausiliario
di conoscenza o di educazione morale (è quanto è cominciato fin
da Aristotele) ; mentre l'estasi, isolata dall'apparenza o messa solo
più in rapporto con una apparenza già depotenziata e asservita
alla verità, è stata sviluppata solo nella sua funzione «positiva»,
come modo di accesso alle strutture profonde di quell'ordine
metafisico che sanziona e garantisce anche, anzitutto, la divisione
dei ruoli sociali, l'identità e la continuità con sé stessi. Prima di
Nietzsche, forse solo Kierkegaard, nella sua teorizzazione del
l'esteticità come stadio della discontinuità esistenziale, ha
ritrovato lo spirito dell'argomentazione platonica, condividendo
ne perô fino in fondo il significato di condanna.

2. L'occultamento della connessione tra apparenza estetica e


disidentificazione, occultamento culminato in Hegel, puo con
siderarsi a buon diritto un aspetto di quell'oblio (dell'essere ?)
che, secondo Heidegger, costituisce la metafisica. E' naturale che
qualificare la metafisica, come fa Nietzsche, anche e soprattutto
in relazione all'occul tarnen to del nesso arte-disidentificazione
significa porsi profondamente fuori dallo spirito delle tesi heideg
geriane, e forse svelarne anche, con la messa tra parentesi e la
sospensione interrogativa dell' «essere», le permanenti nostalgie
metafisiche.
La rimemorazione del dimenticato nesso platonico tra ap
parenza estetica e negazione dell'identità e del sistema dei ruoli è
il senso fondamentale dell'estetica nietzscheana. Siamo ben lon
tani dal ritenere che si possa parlare di una «estetica di Nietz
sche» come un insieme coerente, unitario e chiaramente rico
noscibile ; ma anche i problemi che una tale espressione im
mediatamente evoca fanno parte, come qualificanti il suo conte

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nuto, délia problematica «estetica nietzscheana». An


perché il progressive) confondersi dei confini del p
estetico nello sviluppo del pensiero di Nietzsche — da
délia tragedia, che è ancora un libro «di estetica», aile r
sull'arte e gli artisti di Umano troppo umano e poi aile
Nachlass e alla «volontà di potenza come arte» —
terpretare in modo soddisfacente solo alla luce dell'ip
l'esperienza estetica sia per Nietzsche un modello
definitosi inizialmente in relazione al problema délia
del rapporto parola-musica, viene generalizzandosi a
mano che si radicalizza la critica di Nietzsche alla metafisica
platonico-cristiana e alla civiltà che su di essa è fondata. In questa
critica, «l'arte delle opere d'arte» (4), a cui il Nietzsche giovane
ancora sembrava credere con la sua fiducia in una rinascita délia
tragedia attraverso la rivoluzione musicale wagneriana, viene a
trovarsi sempre più coinvolta con il destino délia metafisica, délia
morale e délia religione ; è anch'essa un aspetto del nichilismo,
uno di quei fenomeni da cui ormai abbiamo preso congedo. Tut
tavia, se a partire da Umano troppo umano appare chiaro che non
puô essere l'arte delle opere d'arte il modello e neppure il punto
di partenza per una nuova civiltà tragica, viene anche in luce che
l'arte, cosi come si è determinata nella tradizione europea, ha un
carattere ambiguo : non tutto, di essa, è destinato a perire con la
svalutazione dei valori supremi ; solo per questo l'arte ha ancora
un peso cosi déterminante nelle opere délia maturità di Nietzsche,
dallo Zaratkustra aile note postume délia Volontà di potenza. Il fatto
è che nell'arte — pur attraverso tutte le mistificazioni e gli
stravolgimenti moralistici che Nietzsche svela nelle sue analisi —
si è mantenuto vivo un residuo di quell'elemento dionisiaco dalla
cui rinascita dipende il risorgere di una civiltà tragica (Indpit
tragoedia si intitola l'ultimo aforisma del quarto libro délia Gain
scienza in cui è annunciato per la prima volta lo Zarathustra).
Tutto questo, perô, concerne il problema «fîlologico» délia
definizione di una estetica nietzscheana, cioè il problema di in
dividuare nel pensiero di Nietzsche un nucleo di proposizioni
sull'arte e di stabilirne il nesso con le altre sue dottrine e con il
loro sviluppo. Dal punto di vista che qui ci intéressa, non importa

14) Cfr. La gaia. scienza, 89.

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ARTE E IDENTITÀ 359

tanto una tale ricostruzione, quanto la messa a fuoco della con


nessione caratteristica, già tutta esplicitamente teorizzata nella
Nascita della tragedia, fra apparenza estetica e negazione dell'iden
tità.
Il fenomeno del tragico, come si definisce nella Nasdta della
tragedia è, quanto alla descrizione, profondamente analogo alia
poesia com'era caratterizzata da Platone nello lone e nella Repub
blica. Come in Platone l'imitazione poetica viene interpretata an
zitutto in riferimento al suo produrre apparenze (imitazioni, co
pie di copie), e poi, più profondamente, in riferimento al suo
produrre uscita dall'identità (con, fra questi due poli, la decisiva
tappa intermedia della irriducibilità del mestiere del poeta al
modello della divisione del lavoro), cosi nell'opera di Nietzsche
sulla tragedia la produzione dell'apparenza estetica (il mondo
delle belle forme apollinee) è riportata all'impulso dionisiaco il
quale non si puo definire altro che come impulso alia negazione
dell'identità. Il dionisiaco vive tutto dell'orrore e dell'estatico
rapimento che è prodotto dalla violazione del principium individua
tionis. Per gli invasati di Dioniso, «non solo si restringe il legame
fra uomo e uomo, ma anche la natura estraniata, ostile e
soggiogata célébra di nuovo la sua festa di riconciliazione col suo
figlio perduto, l'uomo ... Ora lo schiavo è uomo libero, ora s'in
frangono tutte le rigide, ostili delimitazioni che la necessità, 1'ar
bitrio o la «moda sfacciata» hanno stabilito fra gli uomini. Ora,
nel vangelo dell'armonia universale, ognuno si sente non solo
riunito, riconciliato, fuso con il suo prossimo, ma addirittura uno
con esso, come se il velo di Maia fosse stato strappato e sven
tolasse ormai in brandelli davanti alla misteriosa unità origina
ria»(5). Il nucleo delle feste dionisiache consisteva quasi dap
pertutto «in un'esaltata sfrenatezza sessuale, le cui onde spaz
zavano via ogni senso della famiglia e dei suoi venerandi canoni »
(GdT, 21) : anche se quest'ultimo elemento riguarda, nel testo,
solo il dionisiaco barbarico, proprio poche righe dopo Nietzsche
awerte che anche nella grecità, nella sua radice più profonda, si
fanno strada a un certo punto istinti simili. Il dionisiaco non puô

(5) La ruiscila delta tragedia, trad, di S. Giametta, in Opere, ed. Colli-Montinari, vol. III,
tomo 1, Milano, Adelphi, 1972, cap. 1. D'ora in poi le citazioni da quest'opera saranno fatte
indicando, tra parentesi nel testo, il numéro del capitolo preceduto dalla sigla GdT.

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360 G. VATTIMO

attuarsi come riconciliazione dell'uomo con la natura


altri nell'unità originaria se non presentandosi anzit
rottura violenta di tutti i «venerandi canoni» su cui
società, e cioè anzitutto del principium individuation^ in
significati.
Tutto quello che è detto del dionisiaco vale del tragico perché
il tragico non è, corne sembra da molti espliciti enunciaU di
Nietzsche, una sintesi di dionisiaco e apollineo. L'elemento
dionisiaco, nella Nascita délia tragedia, è privilegiato rispetto
all'apollineo, e la tragedia è il trionfo finale dello spirito
dionisiaco. Di ciô si potrebbero portare numerosi documenti, sia
interni all'opera sulla tragedia, sia connessi a tutto lo sviluppo di
Nietzsche. Qyesti ultimi si possono riassumere tutd nella funzione
capitale che la tragedia e Dioniso condnuano ad avere fino agli
ultimi scritti, mentre Apollo è una figura che scompare. Ma
nell'interno stesso dello scritto sulla tragedia, anche contro le
proprie esplicite intenzioni di mantenersi fedele alio schema délia
sintesi (Apollo e Dioniso generano la tragedia come la dualità dei
sessi presiede alla riproduzione ; GdT, i) e, attraverso di esso, a
Schopenhauer, Nietzsche conferisce chiaramente la preminenza e
una più radicale originarietà al dionisiaco. Cosi, nella con
clusione del capitolo ai, nel quale ha analizzato il Tristano, Nietz
sche dissipa ogni dubbio su come debba intendersi l'effet to com
plessivo délia tragedia : «Se dalla nostra analisi dovesse essere
risultato che con il suo inganno l'elemento apollineo délia
tragedia ha riportato piena vittoria sull'elemento dionisiaco
originario délia musica, e che ha utilizzato quest'ultima ai suoi
fini, vale a dire per una massima chiarificazione del dramma, ci
sarebbe comunque da aggiungere un'importantissima restri
zione : nel punto più essenziale quell'inganno apollineo risulta in
franto e annullato. Il dramma, che con l'aiuto délia musica ci si
allarga davanti con una chiarezza interiormente luminosa di tutti
i movimenti e le figure, come se vedessimo nascere il tessuto sul
telaio attraverso i movimend in su e in giù — raggiunge nel suo
complesso un effetto che è al di là di ogni effetto artistico apollineo.
Nell'effetto complessivo délia tragedia il dionisiaco prende di
nuovo il soprawento ; essa si chiude con un accento che non
potrebbe mai risuonare nel regno dell'arte apollinea. E con ciô
l'inganno apollineo si dimostra per quel che è, cioè per il velo che

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ARTE E IDENTITÀ 361

per tutta la durata délia tragedia ricopre costantemente il vero e


proprio effetto dionisiaco : il quale è tuttavia cosi potente, da
spingere alia fine lo stesso dramma apollineo in una sfera in cui
esso comincia a parlare con sapienza dionisiaca, e in cui nega se
stesso e la sua visibilità apollinea. Cosi si potrebbe in realtà sim
boleggiare il difficile rapporto fra l'apollineo e il dionisiaco nella
tragedia con un legame di fratellanza fra le due divinità : Dioniso
parla la lingua di Apollo, ma alia fine Apollo parla la lingua di
Dioniso. Con questo è raggiunto il fine supremo della tragedia e
dell'arte in genere» (GdT, 21 ; e cfr. anche il cap. 22).
I due principi, che nel primo capitolo erano paragonati
all'elemento maschile e femminile della generazione, sono qui
diventati fratelli ; ma la loro fratellanza non è affatto paritaria :
Dioniso parla bensi la lingua di Apollo, ma alia fine Apollo parla
la lingua di Dioniso e in cià è raggiunto il fine supremo di ogni
arte.

L'immagine dei due principi della generazione, e ora qu


della fratellanza, tuttavia, rischiano di produrre negli interp
un equivoco da cui lo stesso Nietzsche si liberô solo nelle o
successive alia Nascita della tragedia, e che egli, sebbene in ter
diversi, segnala nel «Tentativo di autocritica» premesso alia t
edizione dell'opera nel 1886. In questa nuova prefazione, N
sche riconosce di aver cercato «faticosamente di esprimer
quest'opera «con formule schopenhaueriane e kantiane v
zioni estranee e nuove, le quali contrastavano radicalmente c
spirito di Kant e di Schopenhauer, e altrettanto con il loro gu
(§ 6) ; le linee immediatamente seguenti mostrano che cio in c
valutazioni di Nietzsche si staccano da quelle di Schopenhauer
rifiuto della rassegnazione come sostanza ed esito dell'esperie
del tragico. «Qyanto diversamente parlava Dioniso a me ! Qpa
lontano mi era allora proprio tutto questo rassegnazionismo
Ma il «rassegnazionismo» di Schopenhauer è fondato su u
précisa concezione metafisica del rapporto tra cosa in sé
parenza, rapporto che è riconosciuto e accettato come
damentalmente immodificabile. Ora, perô, se Dioniso e A
sono come il padre e la madre nella generazione, e come
fratelli, non significherà che anche per Nietzsche, in fond
mondo delle apparenze è prodotto da una «dialettica» sos
zialmente immutabile dei due principi, e che l'arte, come di f

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362 G. VATTIMO

accade in Schopenhauer, non ha altro valore che que


cifra, rappresentazione, messa in scena di questa or
lettica, altrettanto immodificabile che gli schemi fam
richiamano le due metafore usa ta da Nietzsche ? In q
perô, non si sfuggirebbe alla rassegnazione metafïsi
da Schopenhauer, mentre proprio contro di essa Nietz
in guardia. E' questo un equivoco ben présente in alcun
interpretazioni di Nietzsche, che proprio dal peso déli
familiare e sessuale si lasciano ricondurre a una lett
mente metafïsica e schopenhaueriana del rappor
Apollo, délia tragedia e dell'arte (6).
Se si vuol prender sul serio la messa in guardia fo
Nietzsche nella prefazione dell'86 bisogna riferirsi di
un'altra serie metaforica anch'essa rilevante nella descrizione dei
rapporti Dioniso-Apollo : quella che Ii vede come potenze in
guerra l'una contro l'altra, le quali vengono a un accordo e a un
trattato di pace, ma, come si vede dalla conclusione del discorso
sul Tristano che abbiamo prima riportata, non cessano per questo
di cercare di sopraffarsi e di stabilire ciascuna il suo predominio.
Il contenuto antischopenhaueriano dello scritto sulla tragedia ha
la sua base qui ; non c'è rassegnazione, per Nietzsche, perché non
c'è una struttura fissa del rapporto tra Dioniso e Apollo, tra cosa
in sé e apparenza ; anzi, come Nietzsche si renderà conto sempre
meglio negli scritti successivi, (a partire dall'importante inedito Su
verità e menzogna in senso extramorale del 1873 (7) la stessa dicotomia
tra mondo vero e mondo apparente è già interna a una deter
minata configurazione storica dell'equilibrio di forze tra Dioniso
e Apollo. Da un punto di vista rigorosamente schopenhaueriano
non si potrebbe parlare di nascita, morte e rinascita del tragico,
almeno nel senso radicale che Nietzsche dà a questi termini. La
tragedia puô morire — ciô che accade con l'imporsi dell'ot
timismo socratico, e poi di tutta la morale platonico-cristiana —

(6) Alludiamo principalmente alle opere di B. Pautrat, Vers ions du soleil. Figures et système
de Nietzsche, Parigi, Seuil, 1971 ; J. M. Rey, L'enjeu des signes. Lecture de Nietzsche, ivi 1971 ; S.
Kofman, Nietzsche et la métaphore, ivi, Payot, 1972. Per il . ilievo esemplare che essi assumono
nel quadro di una lettura di Nietzsche ispirata a Derrida, torneremo più avanti su questi
lavori.
(7) Lo citiamo nella traduzione di G. Colli dal vol. III, tomo 2 della citata edizione delle
Öftere: La ßlosoßa neü'epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 187), Milano 1973.

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ARTE E IDENTITÀ 363

solo perché si instaura storicamente un predominio di Apollo su


Dioniso ; e si puô pensare alia rinascita del tragico solo perché
storicamente ci sono oggi i segni — anche Kant e Schopenhauer ne
fanno parte — che il predominio di Apollo si puô rovesciare. Il
destino della dicotomia tra cosa in sé e fenomeno, sia dei limiti
che Ii separano sia della stessa individuazione dei due termini,
dipende totalmente dalle sorti di quella lotta. Fino all'ultimo,
Nietzsche concepisce il proprio pensiero come aspetto della lotta
tra Dioniso e il suo nemico, che da Apollo — secondo l'espres
sione di Ecce homo — è divenuto il Crocifisso : «Mi si è compreso ?
— Dioniso contro il Crocifisso ...» (8). Il Crocifisso è Gesù Cristo in
quanto divenuto simbolo del mondo cristiano ; anch'esso, come
Apollo e Dioniso, è un nome storico nel senso più vasto del ter
mine ; non il nome di un individuo ma di una civiltà come gerar
chia di forze, di una forza che imponendosi ha dato luogo a un
mondo. In questa luce, l'uso nietzscheano del nome di Dioniso,
che si estende dallo scritto giovanile sulla tragedia fino aile ultime
opere, appare ben più che un vezzo letterario ; ma anche più che
l'assunzione di una terminologia mitologica meglio adatta ad
esprimere, con Pambiguità propria deH'immagine «poetica», la
duplicità originaria (*) ; ciô che sarebbe ancora entro l'orizzonte
schopenhaueriano. La mitologia a cui appartiene Dioniso, come
quella simboleggiata dal Crocifisso, è una determinata mitologia
storica. Il ricorso aile figure mitologiche non risponde all'esigenza
di sostituire alla terminologia metafisica una terminologia più
adeguata, perché più mobile e ambigua (quanto di quest'idea è
ancora tributario di una contrapposizione tra mi to e logo, tra im
magine e concetto, che è appunto uno dei capisaldi della
metafisica?) ; il carattere non metafisico e ultra-metafisico di
questi nomi risiede nella loro storicità : Apollo, Dioniso, il
Crocifisso sono figure mitologiche : ma non appartengono a un
repertorio preteso immobile delle immagini mitiche, bensf a
quella mitologia che ha storicamente determinato le basi del
nostro mondo.
Se si vuol leggere La nascita della tragedia secondo le sue linee
più specifiche di sviluppo (sviluppo dell'opera e sviluppo, oltre

(8) Ê, com'è noto, la frase conclusiva di Ecce homo.


(9) In questo senso interpréta per esempio la figura di Dioniso in Nietzsche B. Pautrat,
Versions du soleil, cit., p. 123 ss.

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364 G. VATTIMO

essa, del pensiero di Nietzsche) occorre prender sul ser


nietzscheano délia rassegnazione. Ma questo rifîuto c
la sua assunzione délia lotta tra Dioniso e Apollo
storica. Le immagini che insistono sulla parentela d
cipi» (le virgolette ormai sono necessarie ; meglio s
figure) sono svianti, appartengono anch'esse a que
schopenhaueriane e kantiane di cui parla la prefazi
Sono più fedeli alle genuine intenzioni di Nietzsche le
parlano délia lotta tra Dioniso e Apollo come lotta
popoli, di ordini sociali e politici diversi : la parte con
quarto capitolo délia Nascita délia tragedia abbozza add
suddivisione délia storia greca antica in quattro period
sono solo periodi di storia dell'arte, ma corrispond
mend diversi nell'ambito délia storia politico-socia
l'immagine direttiva délia lotta corrisponde del resto,
condo capitolo, l'idea che il ditirambo dionisiaco gre
prima remota origine délia tragedia, sia nato da un
pace tra l'Apollo dei greci e il Dioniso dei barbari. Q
tato di pace «fu la riconciliazione di due awersar
rigorosa determinazione delle linee di confine che sar
d'ora in avanti rispettate, e con lo scambio period
onorifici ; in fondo l'abisso non era superato. Ma se co
il manifestarsi délia forza dionisiaca sotto l'influsso d
tato di pace, nell'orgia dionisiaca dei Greci rawisia
paragonandola aile anzidette Sacee babilonesi e al r
esse dell'uomo a tigre e a scimmia, il significato di fe
zione del mondo e di giorni di trasfïgurazione» (GdT
nel trattato di pace, l'abisso tra le due divinità suss
fermare la loro reciproca autonomia di forze storic
quale, del resto, non sarebbe pensabile nemmeno i
barbarico, a cui Nietzsche allude anche nel passo c
ora riportato, e che presuppone la possibilité che
dionisiaco puro, prima di ogni incontro e patto co
Certo, è un fenomeno «regressivo», nel quale l'uomo
livello délia tigre e délia scimmia ; ma la sua semplice
se collegata con la storicità délia vicenda dei rappo
Apollo (morte e possibile rinascita délia tragedia), serv

(îo) Su ciô, cfr. anche l'inizio di GdT 18.

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ARTE E IDENTITÀ 365

sospendere l'owietà e pretesa naturalezza (la stessa pretesa


naturalezza dello schema parentale da cui Nietzsche attinge le sue
metafore) con cui tende a presentarsi questo rapporto. Se è
almeno possibile un dionisiaco totalmente barbarico e se, soprat
tutto, la lotta Dioniso-Apollo puô dar luogo a diverse con
figurazioni storiche, testimoniate dalle vicende della tragedia, al
lora il patto da cui nasce il ditirambo dionisiaco e poi la tragedia
attica non è la scena originaria, il momento non storico del sorgere
di ogni mondo simbolico. Per questo, perô, occorre che non si
isoli la nozione del patto da quella della possibile modificabilità
storica del rapporto di forze Dioniso-Apollo ; altrimend il patto
che dà luogo al ditirambo e alia tragedia diventa semplice
ripetizione della scena originaria in cui l'uomo si è già-sempre
costituito come animale simbolico, e le vicende del tragico e
dell'arte in genere non sono anch'esse che ripedzioni, la cui fun
zione si capisce solo nel quadro di una prospettiva terapeutica
che ha, al suo fondo, ancora sempre la rassegnazione schopen
haueriana (u).
Il patto nel quale Dioniso e Apollo arrivano a una prima con
ciliazione, che Ii lascia tuttavia sussistere come forze antagoniste,
è quello da cui nasce il ditirambo dionisiaco come mondo sim
bolico. Rispetto a questo, il dionisiaco barbarico non puô che ap
parire come una regressione all'animalità ; ma questa regressione
ha tutta l'ambiguità propria della nozione di «barbari», i quali,
per la cultura che ha inventato il termine e il concetto, cosd
tuiscono la zona oltre il limite della nostra umanità ; mondo del
disumano ma anche sempre mondo di una umanità altra, che puô
sospendere la sicurezza di sé della civiltà «colta». Qjxesta am
biguità è tutta présente nella nozione nietzscheana di un
dionisiaco barbarico : esso rappresenta la regressione al di sotto
dell'umano ; ma, d'altra parte, fonda anche il carattere non
naturale, quindi storico e mutevole, del mondo dei simboli den
tro cui si muove l'uomo greco e in cui siamo ancora noi. Qjies
ta seconda funzione, il dionisiaco barbarico — ma, cioè, il
dionisiaco tout court, perché non è altro che il dionisiaco puro —
non la esercita solo o anzitutto in quanto concetto limite, che

(il) Ciô è chiaro rielle pagine che sono dedicate a Nietzsche e Freud da B. Pautrat, Ver
sions du soleil, cit., specialmente p. 147 ; cfr. anche J. M. Rey, L'enjeu des signes, cit., p. 71.

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366 G. VATTIMO

produce la consapevolezza délia storicità del mondo


tro i confini délia cultura ; bensi soprattutto in qu
forza con cui Apollo è venuto a patti e che è stata a
tro questi confini, sommuove e turba la provincia
Apollo, il mondo delle forme. Una volta venuto
Dioniso, Apollo non è più al sicuro. Ciô significa ch
delle forme nato dalla conciliazione di Dioniso e Apollo
del ditirambo, délia tragedia, e insomma tutto il mon
boli artistici, è mosso e agitato dalla forza di Dionis
(secondo la conclusione del capitolo 21 già citata) è Dio
ne impadronisce, e in ciô risiede l'effetto supremo di o
patto non dà luogo a una vera pacificazione, ma cost
le condizioni di un nuovo conflitto. Il pensiero di Niet
ciô, non si riassume in uno schema di opposizione t
dizione subumana o preumana, quella délia dionisia b
cui non c'è nulla di Apollo, cioè non c'è forma, simbol
e una condizione umana, dove il dionisiaco si dà forma, si con
cilia con Apollo e dà luogo al mondo dell'arte e anche alla civiltà
del discorso e del concetto ; all'interno di questa civiltà, Dioniso
sarebbe présente come principio vivificante e Apollo come dio
del limite, délia chiarezza, délia forma. Intanto, il carattere
subumano del dionisiaco barbarico è assai dubbio, appare taie
solo dall'interno del mondo simbolico nato dal patto. Ma poi,
soprattutto, entro questi stessi confini la lotta si riaccende ; se il
ditirambo e la tragedia rappresentano le fasi in cui, nella
situazione stabilita dal patto, Dioniso riesce a imporsi su Apollo,
la morte délia tragedia per opera di Socrate ed Euripide impone
invece il predominio assoluto di Apollo, e il dionisiaco scompare
(quasi del tutto, se vale quanto abbiamo detto prima circa Farte
come sede di un residuo dionisiaco anche nella civiltà platonico
cristiana). Nel didrambo dionisiaco, il dominio di Dioniso su
Apollo si manifesta come pressione che tende a moltiplicare i sim
boli e a mettere in gioco nella loro produzione tutte le facoltà
dell'uomo, e questo non nell'interesse delle forme, ma nell'in
teresse délia negazione delle distinzioni, nell'interesse dell'aliena
zione di sé {Selbstentäusserung). «Nel ditirambo dionisiaco l'uomo
viene stimolato al massimo potenziamento di tutte le sue facoltà
simboliche ; qualcosa di mai sentito preme per manifestarsi, l'an
nientamento del velo di Maia, l'unificazione come genio délia

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ARTE E IDENTITÀ 367

specie, anzi della natura. Ora l'essenza della natura deve es


primersi simbolicamente ; è necessario un nuovo mondo di sim
boli, e anzitutto l'intero simbolismo del corpo, non soltanto il
simbolismo della bocca, del volto, della parola, ma anche la
totale mimica della danza, che muove ritmicamente tutte le mem
bra (...) Per comprendere questo scatenamento totale di tutte le
capacità simboliche, l'uomo deve essere già giunto a quel vertice
di alienazione di sé che in quelle capacità vuole esprimersi sim
bolicamente». (GdT, 2). Qpesta non è la descrizione di una «sinte
si» tra Apollo e Dioniso, ma — come è detto esplicitamente nello
stesso capitolo 2 — dell'orgia dionisiaca greca, o dei «greci dioni
siaci» in quanto distinti dai barbari dionisiaci. Se si tiene presente
che questo modello del ditirambo vale anche, in definidva, per la
tragedia — in cui alia fine Apollo parla la lingua di Dioniso — e
per ogni arte, appare chiaro che Farte, più che in termini di sin
tesi tra Apollo e Dioniso, è descrivibile come «orgia dionisiaca
greca», cioè come una dionisia che — a differenza da quella bar
barica — dà luogo a un mondo di forme, a simboli ; ma queste
forme sono immediatamente sottratte al dominio di Apollo ;
quando Apollo ristabilisce la propria sovranità, muore la trage
dia e anche Farte perisce. Ciô che caratterizza la simbolizzazione
dionisiaca del ditirambo, della tragedia, dell'arte è soltanto la
negazione del principio di individuazione, che si manifesta nello
scatenamento di tutte le facoltà simboliche in un modo cosi radi
cale da comportare anche, necessariamente, l'uscita da sé stessi.
Qpesta nozione di una dionisia greca, che produce simboli e
tuttavia resta dionisia, è molto importante perché è Tunica via
che permette a Nietzsche di pensare la differenza del mondo delle
forme artistiche dal linguaggio concettuale-comunicativo, e su
questa base, di immaginare il modello di una civiltà oltreumana,
dove la liberazione dalla schiavitù della ragione socratica non
equivalga semplicemente alla regressione neU'animalità della
dionisia barbarica. Ii patto da cui nasce il ditirambo ha solo
stabilito una nuova condizione della lotta tra Dioniso e Apollo ;
d'ora in poi, la lotta si svolge nel mondo dei simboli. Il simbolo
non è sintesi e pacificazione ; né sede di un movimento ritmico in
cui prevalga di volta in volta l'uno o l'altro dei due contendenti,
la vita e la forma, secondo uno schema «vitalistico» che perô, in

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368 G. VATTIMO

quanto ordinato, sarebbe ancora sempre solo una conf


apollinea. Si danno invece diverse configurazioni del m
bolico, diversi modi di funzionare dei simboli e del ra
l'uomo ha con essi, come produttore e corne «fru
seconda che viga la supremazia di Dioniso o di Apo
Per questo anche il lungo inedito Su verità e menzogna in
tramorale va letto corne un discorso «storico», e non corne la
descrizione délia genesi ideale del linguaggio. È uno scritto di
poco posteriore alla Nascita délia tragedia, e si puô applicare in
parte anche ad esso ciô che il «Tentativo di autocritica» del 1886
dice a proposito del persistere di formule schopenhaueriane in
sieme a contenuti a cui in verità non si adattavano più. La messa
in guardia contro la rassegnazione schopenhaueriana in questo
caso prescrive di interpretare tutto il discorso corne la descrizione
del modo di sorgere di un altro mondo di simboli, dove la
supremazia non appartiene a Dioniso ma ad Apollo. I simboli, in
fatti, non nascono più, qui, da quell'ebbrezza che scatenava tutte
le capacità di simbolizzazione nel seguace ditirambico di Dioniso.
Qjii la scena originaria è un'altra : l'animale uomo minacciato
da ogni parte dalle forze della natura e dalle insidie degli altri
uomini nella selva primitiva, che inventa come unico mezzo di
difesa la simulazione e la dissimulazione. Tra le finzioni che cosi
nascono c'è il linguaggio, come mezzo per dare una certa sta
bility, attraverso generalizzazioni riduttive, al mondo dell'espe
rienza, e anche come mezzo per comunicare con gli altri, in con
nessione con un patto sociale in cui l'uomo, per noia e per ne
cessità, decide di cominciare a vivere in gregge : è qui che, per
le esigenze della collaborazione sociale, si fissano designazioni
delle cose valide per tutti ; queste designazioni, che sono nomi ar
bitrari, metafore, diventano «vere» e vengono imposte a tutti
coloro che vogliano far parte di quella società. È sulla base di
questa istituzione iniziale che si sviluppa poi tutto il mondo dei
concetti, nel quale ormai non è più lecito inventare liberamente
nuove metafore, ma si puo solo usare e articolare in maniera
sempre più organizzata quelle esistenti : la scienza «lavora inces
santemente a quel grande colombario dei concetti — cimitero
delle intuizioni» sforzandosi di ordinäre in esso Tintera espe
rienza. In questo mondo, che nel linguaggio dello scritto sulla
tragedia si chiamerebbe socratico e apollineo, soprawive tuttavia

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ARTE E IDENTITÀ 369

ancora l'impulso alla finzione non regolata socialmente, alia


libera produzione di metafore da cui nascevano le finzioni
dell'uomo primitivo, «prima» délia fondazione délia società ; e
tale impulso «si cerca un nuovo campo di azione, un altro alveo
per la sua corrente, e trova tutto cio nel mito, e in generale
nell'arte. Confonde continuamente le rubriche e gli scomparti dei
concetti, presentando nuove trasposizioni, metafore, metonimie ;
continuamente svela il desiderio di dare al mondo sussistente
dell'uomo desto una figura cosi variopinta, irregolare, priva di
conseguenze, incoerente, eccitante ed eternamente nuova, quale è
data dal mondo del sogno ...» (cap. 2).
Senza la guida della presa di posizione dell'86 contro la rasse
gnazione schopenhaueriana, tutto questo discorso sul sorgere del
linguaggio potrebbe leggersi in maniera «conciliante», come un
ennesimo esempio della parentela «originaria» di Dioniso e
Apollo e come descrizione del modo di funzionare eterno del
mondo dei simboli. Il patto sociale, di cui non si puô immaginare
realmente un «prima »,è anche sorgere del linguaggio logico come
insieme di regole valide per tutti nell'uso di un certo tipo di me
tafore, le parole, che da quel momento vengono innalzate alla
dignità di «verità» ; le altre forme di simbolismo da quel mo
mento in poi sono confinate nel mondo della «poesia», come
mondo di relativa libertà ma anche meno vero e meno «serio».
A una tale interpretazione conciliante si oppone, fondamen
talmente, solo il carattere di lotta storica che Nietzsche, già im
plicitamente nella Nascita della tragedia, e poi sempre più chia
ramente nelle opere successive, fino alla teorizzazione del
VUeberrnensch, conferisce al conflitto Dioniso-Apollo. Ma anche
il confronto tra lo scritto sulla tragedia e l'inedito del '73 présenta
moite difficoltà a chi volesse stabilire una stretta analogia tra
l'impulso alla simbolizzazione che dà luogo aile orge dionisiache,
greche e barbariche, e l'impulso a mentire, per necessità di difesa,
che muove invece la creazione di finzioni di cui parla lo scritto
sulla verità e la menzogna. In questo stato di necessità e di
pericolo, nel quale la finzione si présenta come un mezzo in
ventato dall'intelletto per la conservazione dell'individuo, non c'è
nulla dell'ebbrezza dionisiaca che era anzitutto oblio dell'in
dividualità e anche dei suoi bisogni di soprawivenza ; nulla che
faccia pensare anche alla semplice possibilità della musica. In

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370 G. VATTIMO

sistere sul fatto che l'impulso dell'uomo dionisiac


bolizzazione è anch'esso, fondamentalmente, mosso dal dolore
primordiale, dal terrore del caos originario, e in questo vederne
l'analogia con la necessità vitale che muove la creazione delle fin
zioni da cui nasce il linguaggio comunicadvo, significa ancora in
terpretare la pienezza dionisiaca in un senso esclusivamente
schopenhaueriano, mentre già nella Nasäta délia tragedia Nietzsche
insiste, oltre che sul terrore, sull'«estatico rapimento» che invade
l'uomo davanti alla sospensione e alla violazione del principium in
dividuationis.
Ma la difficoltà di interpretare in modo unitario la nascita del
simbolo com'è descritta nell'opera sulla tragedia e poi nel saggio
su verità e menzogna non è una difficoltà teorica, risolvibile even
tualmente (sebbene anche questo vada tenuto présente) in ri
ferimento alio sviluppo subito dal pensiero di Nietzsche negli
anni che separano i due scritti. La difficoltà è piuttosto legata al
fatto che anche questi due scritti presentano la lotta tra Dioniso e
Apollo da un punto di vista che è legato a una determinata fase di
questa lotta, la fase in cui Nietzsche sente di vivere, una
situazione in cui Apollo è prédominante, ma già si annunciano
segni di un possibile rovesciamento delle posizioni. Si puô dire,
allora, che il saggio su verità e menzogna descrive un mondo sim
bolico «apollineo», sia in quanto dominato dal principium in
dividuations, dalla gerarchia dei concetti e, in definitiva, dalla
gerarchia sociale (12), sia in quanto la descrizione stessa è condotta
da un punto di vista apollineo, dominata com'è dall'idea che
l'uomo possa salvarsi dalle minacce délia natura e degli altri
uomini solo rifugiandosi entro un sistema di simboli definiti e
stabili — siano essi parole, regole grammaticali o istituzioni
sociali. La continuità di questo saggio con la Nascita délia tragedia
andrebbe vista allora in questo, che lo scritto su verità e men

( 12) La fissazione delle metafore valide universalmente è anche stabilimento di norme


ehe, ai singoli, si impongono come «obbligo <li servi rsi delle metafore usuali», «obbigo <li
mentire secondo una salda convenzione, ossia di mentire corne si conviene a una
moltitudine, in uno stile vincolante per tutti» (Su uerità e menzogna, trad, cit., rap. 1). Il
linguaggio, del resto, è funzione del lavoro sociale, quindi è esso stesso un aspetto délia
divisione dei ruoli che il lavoro sociale comporta. La Geriealngia délia morale svilupperà più
esplicitamente questa connessione tra «obbligatorietà» delle regole del linguaggio, e délia
logica, e dominio sociale di individui o gruppi su altri.

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ARTE E IDENTITÀ 371

zogna analizza il mondo dei simboli quale si è costituito dopo la


morte délia tragedia e ne ricostruisce anche le origini dal punto
di vista apollineo che ha preso il soprawento con il trionfo
delFottimismo socratico. Tuttavia, né l'uno né l'altro scritto
esprimono una situazione di pacifico predominio di Apollo. Lo
studio sulla tragedia vedeva esplicitamente, nella musica di
Wagner ma, prima, nella filosofia di Kant e di Schopenhauer, i
segni di una rinascita del dionisiaco ; si collocava dunque coscien
temente in un momento di crisi e intendeva prender parte attiva
alia lotta per il ritorno di una civiltà tragica. Anche il saggio su
verità e menzogna, nönostante il suo andamento più «descrit
tivo», non delinea un quadro stabile e pacifico del mondo sim
bolico ; anzi, forse più chiaramente che lo scritto sulla tragedia,
indica l'elemento che turba l'ordinata sistemadcità del mondo
simbolico socialmente canonizzato. Qyesto elemento è l'eccesso
délia facoltà simbolica, metaforica, creatrice di finzioni, rispetto
alle esigenze délia soprawivenza che sono state soddisfatte nella
creazione del linguaggio comunicativo e délia distinzione sociale
tra vero e falso. È questo eccesso che impedisce sia il pacifico e
perfettamente stabile funzionare del mondo dei simboli sul
modello dell'alveare, sia — da parte di Nietzsche e nostra — una
interpretazione puramente utilitaristica e pragmatistica délia
genesi e délia natura del linguaggio. Se il problema a cui la crea
zione dei simboli deve rispondere fosse solo quello di assicurare
la soprawivenza dell'uomo attraverso l'imposizione di schemi
stabili al mondo dell'esperienza e attraverso la fissazione di un
funzionale sistema di comunicazione e di cooperazione sociale,
l'impulso a produrre nuove menzogne, nuove metafore, e a
scompigliare continuamente le rubriche e gli scomparti del
mondo delle parole e dei concetti non avrebbe più ragion
d'essere e non potrebbe trovare una spiegazione nella teoria. Il
fatto che questo impulso si dia, non solo turba l'ordinata vita
d'alveare del mondo dei concetti, ma si ripercuote sulla teoria
stessa, in quanto fa sospettare che l'attività metaforica, la
produzione di finzioni e di menzogne, non sia spiegabile origina
riamente — come invece era nell'ipotesi — come uno strumento
inventato dall'intelletto a puri fini di difesa e di soprawivenza.
Nietzsche perô non trae questa conseguenza, e con ragione,
perché se lo facesse si awilupperebbe di nuovo in una discussione

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372 G. VATTIMO

di tipo metafïsico su essenze, principi, origini, prop


discussione che egli vuole evitare adottando i nomi
Dioniso, Apollo, e del Crocifisso. Egli preferisce lo sche
sarebbe estremamente debole valutato alla luce di u
metafisica — dell'eccesso : la finzione, pur nata «or
mente» per fini u tili tari, una vol ta assolti questi com
nomizza e addirittura si rivolta contro quei canoni di o
essa stessa aveva stabilito. Si potrebbe tuttavia inser
questo eccesso délia facoltà metaforica in uno schem
tistico o positivistico, sul modello délia nozione spen
gioco ; ma la funzione centrale che l'eccesso assume
teoria nietzscheana del nichilismo e délia Ueberwind
deve nascere YUebermensch consiglierebbe semmai il pr
opposto, quello di leggere cioè anche una nozione co
spenceriana di gioco nel quadro del processo di autod
délia metafisica e délia morale platonico-cristiana, che
chiama nichilismo e che non si caratterizza, appunt
processo di rovesciamento dialettico, ma come manifes
eccesso.

Eccesso è il termine che riassume la radicale storicità e il carat


tere anti-metafisico del discorso di Nietzsche. La logica del
discorso metafïsico puô arrivare al massimo a produrre e ac
cettare — nel suo sforzo di includere ed esorcizzare la storicità —
lo schema del processo dialettico, cioè di un movimento che
rovescia via via le proprie configurazioni in vista del recupero,
arricchito e approfondi to, délia propria arche. Da questo punto di
vista, lo scritto sulla verità e la menzogna rappresenta un im
portante passo avanti rispetto alla Nascita délia tragedia : là poteva
ancora sussistere, insieme agli altri equivoci metafisici ingenerati
dal linguaggio kantiano e schopenhaueriano, anche il pericolo di
considerare la rinascita délia tragedia come un ritorno, dialettico,
all'origine, una restaurazione délia grecità. Proprio negli anni
successivi alio scritto sulla tragedia, perà, parallelamente alla
maturazione che conduce al saggio su verità e menzogna, si
chiarisce per Nietzsche anche l'impossibilità di pensare il supera
mento délia decadenza come un ritorno aile origini greche O3). La

(ig) Gli anni di Nietzsche a Basilea sono molto presto, almeno lïn dal 1872, caratterizzati
da uno spiccato interesse per letture scientifiche. A questo si accompagna una presa di
distanza dalla grecità come modello, almeno nel senso che essa ha ancora nella Nasrita della

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ARTE E IDENTITÀ 373

rinascita del tragico dovrà essere pensata d'ora in avanti non più
come restaurazione di un modo di pensare mitico, pre-logico,
pre-socratico, ecc., ma come sviluppo al di là di tutti i limiti pre
vedibili dello stesso movimento che ha prodotto il pensiero
logico. Già nella Nascita della tragedia, del resto, la via della crisi
del socratismo era più o meno esplicitamente indicata sul
modello dell'eccesso : «La scienza, spronata dalla sua robusta illu
sione, corre senza sosta fino ai suoi limiti, dove l'ottimismo insito
nell'essenza della logica naufraga (...) Qjiando egli [l'uomo
socratico] vede qui con terrore come la logica in questi limiti si
torca intorno a se stessa e si morda infine la coda — ecco che
irrompe la nuova forma di conoscenza, la conoscenza tragica, la
quale, per essere sopportata, ha bisogno dell'arte come protezio
ne e rimedio» (GdT, 15). Ciô che si modella sulla circolarità della
dialettica è, qui, l'autocontraddizione della logica ; ma la
conoscenza tragica fa irruzione sulla base dell'esperienza di questa
autocontraddizione, non perô come termine, essa stessa, del
processo dialettico.
Di eccesso Nietzsche parla esplicitamente, proprio a proposito
dell'arte, in un aforisma della Gain scienza (il 361) dedicato al
problema del commediante : la capacità di adattamento che
alcune razze (come gli ebrei) o gruppi sociali subordinati hanno
dovuto sviluppare per soprawivere nella lotta per l'esistenza si è
consolidata e dilatata oltre i limiti richiesti daH'utilità immediata.
Cosi nasce il commediante e in generale l'artista ; ciô che lo carat
terizza è «la falsi ta con buona coscienza, il piacere della contraffa
zione nel suo prorompere come potenza che spinge da parte il
cosiddetto «carattere», inondandolo, talvolta soffocandolo ; l'in
timo desiderio di calare in una parte, in una maschera, in \iriap
parenta ; un eccesso di facoltà d'adattamento d'ogni genere che
non sanno più contentarsi di servire alla prossima e strettissima
utilità ...». Ma eccesso è, più in generale, il movimento che Nietz
sche riassume nella proposizione «Dio è morto» e nel concetto di

tragedia. Qpesto nuovo atteggiamento è esplicito, prima che in Urnano troppo umano, nei corsi
che Nietzsche tiene all'università di Basilea ; cfr. per esempio il corso del semestre invernale
1875-76 su Der Gottesdienst der Griechen, in Werke, ed. Naumann-Kröner, vol. XIX (vol. III dei
Philologien), L.ipsia 1913, pp. 1-124. Su ciô, cfr. anche Ch. Andler, Nietzsche, sa vie, sa pensée,
nuova ed., Parigi, Gallimard, 1958, vol. I, p. 455 ss.

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374 G. VATTIMO

nichilismo : Dio è morto per effetto dell'afïinarsi all'es


religiosità (M), e lo stesso deve dirsi per tutti i valo
come la stessa verità. Non è qui il luogo per discutere
processi di «autodistruzione» si debba dare il nome
dialettici ; se, come pare si debba ammettere, cara
processo dialettico non è solo il ritmo dei rovesciam
che inscindibilmente l'identificazione profonda de
l'arche, per cui ogni movimento dialettico è sempr
mente un ritorno presso di sé, l'eccesso nietzschean
alcun modo identifîcabile con un processo dialettico
muore a causa délia religiosità degli uomini e del loro
la verità, ciô non signifîca afFatto che, di consegue
veracità si ritrovino più autentiche, confermate, r
arricchite ; sempl icemen te, esse stesse vengono tr
rovina dei loro «oggetti».
Proprio per questo non è casuale che Nietzsche esem
modo più chiaro il movimento dell'eccesso in riferime
L'eccesso, infatti, anche nel caso délia morte di Dio e délia
svalutazione dei valori supremi che costituisce il nichilismo, non è
altro che eccesso dell'impulso alla maschera e all'apparenza. Ciô
che è in gioco in tutti i processi che costituiscono il grande
movimento del nichilismo è il confine tra realtà e apparenza,
giusto quello che più esplicitamente e tematicamente, nella nostra
civiltà, viene messo in discussione dall'arte. L'importanza che ha
per Nietzsche, dalle prime opere fino agli appunti postumi, il
modello dell'arte, non è segno di una qualche posizione estetis
tica, ma si lega alla consapevolezza che ciô che è in gioco nella
storia délia metafïsica è la distinzione realtà-apparenza, la lotta

(14) Si vcfla per esempio l'aforisma 357 délia Gaia scienui : «... Si vede che com fu propria
mente a vincere sul Dio cristiano : la stessa moralità cristiana, il concetto <li veracità preso
con sempre maggior rigore, la sottigliezza da padri confessori délia coscienza cristiana,
tradotta e sublimata nella coscienza scientifica, nella pulizia intellettuale a qualsiasi
prezzo ...».
(15) E torse proprio nella nozione di eccesso intesa in questo modo la base di un
possibile avvicinamento di Nietzsche a Marx ; ma ciô implica riconoscere che la lunzione
storica che Marx attribuisce al proletariato non è leggibile alla luce di nozioni <lialetti< lie,
bensi è essa stessa, anzitutto, un movimento di eccesso. Con tutte le conseguonze teoiiihe e
pratiche che questo comporta. In questa direzione, come si sa, si muovono tutte le imer
pretazioni di Marx che hanno recepito lo spirito delle avanguardie artistiche, e non solo
artistiche, del nostro secolo ; anzitutto il marxismo utopistico di Ernst Bloch.

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ARTE E IDENTITÀ 375

tra Dioniso e Apollo ; di fatto, questa lotta soprawive nell'arte, e


da questa bisogna pardre per generalizzarla ; o almeno, da qui
puo pardre il filosofo, senza escludere che altre forze, in altre
sedi, conducano la stessa battaglia.
Ciô che rende centrale il fenomeno dell'arte come sede pri
vilegiata dell'eccesso è, perô, il fatto che lo scuotimento e la
fluidificazione dei confini tra realtà ed apparenza, anzi la stessa
messa in mora délia distinzione tra le due sfere — in cui l'eccesso
propriamente consiste — non accade se non come attacco portato
contro l'identità e la continuità del soggetto con se stesso. Tutta
la storia délia metafisica documenta il nesso inscindibile che c'è
tra principio di idendtà applicato a ogni ente come tale e prin
cipio di idendtà come continuità del soggetto con se stesso :
Fichte non fa che esplicitarlo e porlo alla base del sistema.
Nietzsche, nella sua considerazione dell'arte come fenomeno
dionisiaco, ritrova questo nesso in una formulazione rovesciata :
sulla traccia di Piatone, egli riconosce che non si dà mimesi ar
tistica, come produzione di apparenze che valgono (producendo
emozione) come realtà se non, anzitutto, mediante una mimesi
che coinvolge il soggetto stesso, facendolo divenire altro da sé : il
teatro o meglio ancora l'orgia dionisiaca, il ditirambo, la tragedia
greca prima di Euripide, sono il tipo supremo di ogni imitazione
artistica. Qjiesto, che è chiaro nella Nascita délia tragedia, rimane
l'elemento costante délia concezione nietzscheana dell'arte anche
nelle opere successive, e il punto decisivo in base al quale l'arte
mantiene la sua funzione di modello e di sede privilegiata délia
rivolta di Dioniso contro Apollo e contro il Crocifisso. Se nello
scritto su verità e menzogna l'impulso artistico viene descritto
principalmente come impulso a scompigliare l'ordine del mondo
«oggettivo» attraverso la creazione di nuove metafore sottratte
aile concatenazioni logico-reali, due aforismi délia Gaia scienza
confermano la connessione che sussiste tra ogni eccesso che metta
in mora l'ordine concettuale e linguistico canonizzato e la
negazione dell'identità del soggetto con sé stesso. Nel primo di
questi aforismi, il 354, Nietzsche avanza l'ipotesi, la quale si rivela
poi vera e propria tesi, che a la coscienza in generale si sia sviluppata
soltanto sotto la pressione del bisogno di comunicazione, che sia stata
all'inizio necessaria e udle soltanto tra uomo e uomo (in par
dcolare tra colui che comanda e colui che obbedisce), e soltanto

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376 G. VATTIMO

in rapporto al grado di questa utilità si sia inoltre sv


Ora, il soggetto quale è défini to nella tradizione m
platonico-cristiana è proprio l'individuo posto sotto Peg
il comando délia coscienza (sia come consapevolezza c
che come coscienza morale : Beumsstsein e Gewissen) C6). Ma la
coscienza è vista qui da Nietzsche come funzione dell'uomo
animale da gregge ; l'uomo si fa soggetto autocosciente solo in
quanto è costretto a ciô dai bisogni délia comunicazione : per
chiedere aiuto agli al tri egli ha bisogno di di venire consapevole
delle proprie esigenze e di segnalarle ; ma la segnalazione com
porta la fissazione di alcuni caratteri generali dell'esperienza,
secondo lo schema descritto nel saggio su verità e menzogna ;
questa fissazione di concetti e segni si lascia perô sfuggire i carat
teri più sottilmente specifici di ogni situazione, sicché ciô che
viene portato a coscienza e comunicato sono solo i tratti più
superficiali e generici dell'esperienza ; il linguaggio comunicativo
non fa che rispecchiare e, di riflesso, intensif!care la superficialità
délia coscienza.
Qyiel che ci interessa di questo aforisma, oltre al suggestivo
cenno al nesso — centrale peraltro in tutta l'opéra del Nietzsche
maturo — tra soggettività e assoggettamento (la coscienza è
necessaria e utile specialmente tra chi comanda e chi ubbidisce)
— è il fatto che la coscienza appare qui come una funzione del
mondo simbolico «apollineo» descritto dal saggio su verità e
menzogna. Il soggetto autocosciente è funzione del linguaggio
comunicativo, dell'esercito di metafore dimentiche di essere tali
che costituisce il mondo dei concetti logici ; e, in definitiva, come
appare qui dall'accenno al comandare e all'ubbidire e, nel saggio
su verità e menzogna, dal rinvio délia gerarchia delle parole e dei
concetti alla gerarchia sociale, è funzione délia divisione dei ruoli
sociali, di quello stesso ordine che Platone vedeva minacciato
dalla miracolosa capacità trasformistica dell'artista. Non fa
meraviglia, dunque, che, poche pagine più avanti, nel già ricor
dato aforisma sul problema del commediante, Nietzsche riporti

(i6) 11 termine per «coscienza», nel passo citato, è Bnwustsein ; ma in altri testi il (^wissen,
la coscienza in senso morale, ha la stessa origine sociale e la stessa funzione di integrare
1'individuo nel gruppo, finalizzandolo agli scopi di questo : cfr. per esempio Genealogia della
morale, II, 3.

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ARTE E IDENTITÀ 377

Carte, che è scuotimento e scompiglio del sistema linguistico


concettuale canonizzato, all'impulso a mascherarsi e a calarsi in
apparenze diverse dalla propria. È interessante osservare che l'im
pulso a fingere, in queH'afbrisma come già nel saggio su verità e
menzogna, non è anzitutto un impulso artistico ; lo diventa at
traverso un processo di afïïnamento e di autonomizzazione, at
traverso un tipico movimento di eccesso, che perô corrisponde —
ma qui Nietzsche non si ferma su ciô — al processo per cui l'arte
diventa un fenomeno specializzato e una sede separata dal resto
délia realtà sociale. La stessa profonda connessione tra impulso a
fingere, uscita dal proprio ruolo sociale ed arte è il senso
dell'aforisma 356, sempre nel libro quinto délia Gain scienza, che
va letto in connessione con il 354 perché gli fa un po' da con
trappunto. Come là il soggetto autocosciente era funzione di
una società organizzata e integrata, qui proprio l'affermarsi
dell'istrione diventa la principale minaccia all'esistenza di ogni
società «nell'antico significato délia parola». Ancora una volta, il
movimento base è quello dell'eccesso : nella società europea
moderna c'è una rigida distribuzione dei ruoli sociali (di classe, di
mestiere, etc.), e anche chi apparentemente è più libero di
scegliersi il proprio ruolo in realtà se lo trova imposto. In questa
situazione, accanto a una rigida identificazione col ruolo per cui
questo viene considerato come la verità stessa del soggetto, si
fa strada paradossalmente anche un altro atteggiamento : la
credenza «degli Ateniesi, che si fa notare per la prima volta
nell'età di Pericle, quella credenza degli americani di oggi, che
sempre più vuol diventare anche credenza europea» per cui «il
singolo è convinto di potere, a un dipresso, tutto, di essere fatto, a
un dipresso, per ogni ruolo (...) ognuno tenta con se stesso, im
prowisa, tenta nuovamente, tenta con piacere (...) ogni natura
cessa e diventa arte». La stessa rigidezza dei ruoli, sembra pensare
Nietzsche, li svela nel loro carattere di ruoli, di parti di una corn
media. Con ciô, perô, nasce anche la consapevolezza di poterli
assumere e deporre a piacere. Ciô sarebbe ancora una posizione
di forza fondata sulla continuità di una coscienza. Ma la debo
lezza che, nel seguito deU'aforisma, Nietzsche riconosce come ca
ratteristica di questo atteggiamento non si spiega se non con la
sua affermazione, riferita ai Greci ma owiamente trasferibile agli
europei moderni, che entrando nella «credenza nei ruoli» (una

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378 G. VATTIMO

«credenza da artisti»), si diventa anche realmente dei com


L'assunzione di un atteggiamento di liberté nei con
proprio ruolo è un processo che non si arresta tanto fac
ancora una volta sembra di sentire echeggiare qui la co
Platone : la libertà dal ruolo non conduce a poggiare
una propria verità più profonda e autentica, quale
cora l'autocoscienza del soggetto consapevole produtt
zioni ; ma porta a diventare realmente dei commediant
perdita di ogni continuità e di ogni centro. Per questo
moderno non è più «materiale per una società». «
costruttiva che ora resta paralizzata ; viene meno il c
fare piani a lunga scadenza ; cominciano a manca
organizzatori : chi oserebbe ormai intraprendere op
compimento delle quali si dovrebbe contare su mill
estingue appunto quella credenza fondamentale sulla
quale uno puo far calcoli e promesse, puà anticipare pro
ticamente il futuro, e a tal punto sacrificarlo ai suoi p
che l'uomo viene ad avere valore e senso solo in qua
pietra di un grande edificio : a tal fine, prima di tutto
essere saldo, deve essere «pietra» ... soprattutto non com
mediante! ». Non mi sembra vi possa essere dubbio sulla valuta
zione che Nietzsche dà di questo processo : la sua ammirazione
per le grandi costruzioni delle società nell'antico significato délia
parola non gli impedisce di considerare con ironia il valore at
tribuito a ciô che dura, e di considerare invece come «le più in
teressanti e bizzarre epoche délia storia» quelle in cui dominano i
commedianti. La conclusione dellaforisma, nella quale Nietzsche
rimprovera ai socialisti di voler costruire la loro società libera
con questo materiale umano che non è più pietra per edifici
sociali, dissipa ogni dubbio su quale sia la sua posizione ; certo
non quella di chi lamenta che una tale costruzione non sia più
possibile ; semmai, conformemente alle ragioni fondamentali
della sua polemica contro il socialismo (il socialismo come ultima
forma della morale platonico-cristiana), egli rimprovera al so
cialismo di contare ancora sull'uomo della tradizione umanisti
ca, sul soggetto autocosciente e quindi implicitamente sulla ri
gidità del sistema dei ruoli.
Qyesto aforisma 356 della Gaia scienza si intitola «Inwiefern es in
Europa immer 'künstlerischer' zugehn wird» (In che senso le cose in

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ARTE E IDENTITÀ 379

Europa andranno in maniera sempre più 'artistica') : la messa tra


virgolette del termine che si riferisce all'arte non va intesa
banalmente come la sottolineatura di una intenzione ironica, ma
come l'espressione della consapevolezza che l'arte di cui si tratta
qui non è « l'arte delle opere d'arte» che sta invece a suo agio —
almeno in quanto si lascia esorcizzare dalla istituzionalizzazione
— dentro il sistema dei ruoli e non dubita della sua naturale
validità. Dalla lotta tra Dioniso e Apollo dell'opera giovanile sulla
tragedia a queste pagine del quinto libro della Gaia sdenza il filo
conduttore che si è evidenziato — e che, owiamente, andrebbe
ampliato in una ricostruzione compléta di tutta la riflessione
estetica nietzscheana — ha una sua fisionomia ben précisa : la
produzione artistica delle belle apparenze è trionfo di Dioniso, in
quanto le belle apparenze sono condnuamente travolte in un
gioco che le disidentifica e, insieme e inscindibilmente, disiden
tifica il soggetto che le créa e le contempla. Qpesta disidentifica
zione è una minaccia al linguaggio comunicativo canonizzato, al
sistema ordinato dei concetti e, in defïnitiva, all'organizzazione
sociale fondata sulla disdnzione dei ruoli, perché la disidendfï
cazione è anzitutto uscita dal ruolo, scuodmento di ogni ordine
oggetdvo e soggettivo. La lotta tra Dioniso e Apollo è una lotta
storica in cui è in gioco il principio di idendtà come fïssazione
sociale dei confini tra vero e falso, della gerarchia dei concetti,
dei limiti dei soggetti. Nell'epoca in cui viviamo, posta sotto il
segno della morte della tragedia e del trionfo di Socrate, della
ratio dell'organizzazione sociale ("), Dioniso si présenta come ec
cesso, e la sede di questo eccesso è principalmente l'arte. Eccesso
si dà anche nelle altre forme della «vita spirituale» : nella morale,
nella metafisica, nella scienza ; questo eccesso è indicato e rias
sunto nella formula «Dio è morto» ucciso dal suo amore per gli

(17) Nel capitolo 17 della Nascita della tragedia c'è un esplicito accostamento del dew ex
machina della tragedia decadente al principio che domina una società fondata sulla tec
nologia : la serenità dell'uomo teoretico del socratismo pone «al posto di una consolazione
metafisica una consonanza terrena, anzi un proprio dem ex machina, ossia il dio delle mac
chine e dei crogiuoli, vale a dire le forze degli spiriti della natura riconosciute e impiegate
al servizio dellegoismo superiore», cioè dei fini «generali» ; questo è detto alla conclusione
di un capitolo in cui Nietzsche mostra che in Euripide e poi, esplicitamente, nella com
media attica nuova, i caratteri dei personaggi si irrigidiscono in «maschere con una sola
espressione » : l'imporsi dellegoismo superiore comporta la rigida fissazione dei ruoli.

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380 G. VATTIMO

uomini e dalla troppa religiosità di questi. Ma l'arte è luogo


légiât» dell'eccesso perché in essa, di fatto nella nostra trad
l'eccesso si présenta in tutta la sua portata, cioè insieme
violazione dei confini tra reale e apparente e come violazion
limiti dell'identità personale, corne oltrepassamento délia s
tività autocosciente. Non ha senso, su queste basi, un'e
come teoria dell'arte, ma solo una lettura delle vicende dell'a
(nei suoi prodotti, nel suo statuto sociale, nel suo signi
psicologico per il produttore e lo spettatore) che la veda
luogo di una lotta storica tra principio di identità (sistem
ruoli) e dionisia. Ciô distingue una possibile estedca di ispir
nietzscheana da ogni orientamento di dpo kandano o d
hegeliano — quelli che a ben vedere ancora dominano il
panorama estedco del nostro secolo : l'arte non è infatd né una
categoria permanente dell'esperienza umana, una dimensione o
direzione délia coscienza, né una fase storica dello sviluppo dello
spirito che si possa guardare dal punto di vista délia auto
coscienza raggiunta, la quale si definisce poi in termini di
soggetdvità. Il gioco dell'eccesso che l'arte rappresenta, proprio
come (con un gioco di parole) eccesso di gioco, impulso a spielen,
play, jouer, recitare oltre ogni necessità e utilità, è tutto an
cora in atto, e scompiglia proprio ogni sistemazione categoriale
dell'esperienza (che è poi giustificazione trascendentale delle
forme che l'esperienza ha già preso ; il proposito di Kant nei con
fronti délia fisica newtoniana), anche quando questa sistemazione
si presend come risultato di un processo di maturazione storica in
cui pero la fase suprema è ancora sempre pensata in base alla
gerarchia di quelle catégorie (l'assoluto-risultato di Hegel è
spirito). L'esperienza dell'arte scompiglia il sistema delle catégorie
attaccando appunto la sua organizzazione gerarchica comandata
dalla soggetdvità, la quale viene svelata nel suo nesso con
l'assoggettamento.

3. Un'ulteriore analisi delle molteplici — e talvolta apparen


temente contraddittorie — affermazioni di Nietzsche sull'arte
non potrebbe che mettere in luce sempre nuovi aspetd e artico
lazioni di questo nesso e délia portata eversiva dell'arte. L'at
tualità del recupero nietzscheano del legame visto da Platone tra
apparenza estedca e disidentificazione puô essere verificata da

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ARTE E IDENTITÀ 381

due punti di vista, che perô si riducono a un'unica radice. Si puo


infatti anzitutto mettere in luce quanto di Nietzsche, e in specie
della sua polemica contro il soggetto-assoggettato, è passato in
tutta 1'avanguardia novecentesca, da Joyce all'espressionismo, dal
surrealismo a dada e ad Artaud ; un lavoro di critica e sto
riografia letteraria e artistica intrapreso da varie parti C8). Ma,
in secondo luogo, si puà mostrare, a partire dell'esempio più
clamoroso, quello di Lukâcs, che la visione nietzscheana dell'arte
come sede della lotta tra Dioniso e Apollo, tra identità ed ever
sione dei ruoli, è quella che puô aiutare l'estetica e la critica con
temporanea a recepire più radicalmente e completamente la por
tata eversiva dell'arte del nostro secolo e, di riflesso, a leggere in
modo diverso anche l'arte del passato. La teoria filosofica del
l'arte e anche la critica delle arti sembrano infatti soffrire di una
strana condizione di «ritardo» rispetto all'arte militante, il che in
fondo non fa che richiamare al carattere di mediazione istituzio
nalizzante che teoria e critica hanno sempre avuto rispetto al
l'attività artistica produttiva ; almeno in una certa misura, ri
flessione filosofica sull'arte e critica hanno una funzione sociale
analoga a quella del museo (forse non è un caso che l'estetica
filosofica e la critica siano diventate cosi rilevanti come discipline
specializzate proprio parallelamente alFafFermarsi del museo
come istituzione sociale). Non mancano, nel campo filosofico,
rilevanti eccezioni a questa situazione generale : si pensi a
Heidegger (19), e forse ancora di più a Walter Benjamin. Non sem
bra perô che, anche presso gli autori della cosiddetta scuola di
Francoforte, che più esplicitamente si richiamano a lui, la sua
critica radicale del valore «cultuale» attribuito all'opera d'ar
te (2#) sia stata sviluppata, come owiamente richiedeva, in una
(18) Manca perô une. sguardo d'insieme sulle crédita nietzscheane presenti e vive nelle
avanguardie arristiche novecentesche. Cfr. quanto dice su ciô L. Secci, Nietzsche e I'espres
sionismo, nel volume collettivo su II caso Nietzsche, Cremona, Libreria del Convegno, 1973. Il
principale collegamento «organico» di Nietzsche con l'avanguardia novecentesca, in chiave
negativa, è quello stabilito da Lukâcs nella Zerstörung d*r Vernunft (Berlino 1955) e nei suoi
numerosi saggi sulla letteratura novecentesca.
(19) Circa il senso in cui il pensiero heideggeriano sulla poesia e sull'arte puô con
siderarsi meno inadeguato a leggerc l'avanguardia artistica del nostro secolo si veda il
capitolo II del mio Poesia e ontologia, Milano, Mursia, 1967 ; anche se alcune tesi di quel libro
andrebbero ora corrette in base all'ulteriore riflessione su Nietzsche.
(20) Nel saggio su L'opéra d'arte nell'epoca delta sua riproducibilità tecnica, uscito nella «Zeit
schrift für Sozialforschung)) nel 1936.

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382 G. VATTIMO

critica di tutti gli atteggiamenti feticizzanti che ancora


il modo di recepire l'arte. Se il valore dell'opera d'ar
mostra Benjamin, non è (più) cultuale ma «espositivo»
teoria deU'esperienza estetica e il modo di fruire, valut
pretare le opere d'arte devono modificarsi radicalmente
sotto questo rispetto, invece, l'estetica e la critica o
mostrano una strettissima e non problemadzzata contin
passato, pur nella diversità degli orientamenti e delle
rispetto a questo che la rimemorazione nietzscheana del
parenza estedca-disidentificazione puô fungere da saluta
in guardia. Vorremmo, per concludere, mostrarlo in ri
a due esempi di rilievo.
In una lucido saggio del 1963, Jacques Derrida (21), dis
un libro di Jean Rousset, contrapponeva la coppia di
«forza e significazione» a quella di «forma e significazio
lavorava Rousset (anche qui, come più tardi nel famo
sulla «differanza», Derrida gioca sul cambio di una le
parola) per richiamare l'attenzione sulla implicanze m
(nel senso heideggeriano di questo aggettivo) ancora gra
presenti nelle nozioni di forma e di struttura. Le esigen
Derrida muoveva, e che hanno condnuato a ispirare il su
successivo, si ricollegavano, nelle sue intenzioni, a Nietz
è richiamato esplicitamente nelle pagine conclusive d
Per Derrida si trattava di operare su queste basi una
generale dello strutturalismo. Qjiesta revisione, di fatto
ampiamente in atto, almeno sul piano fdosofico ; m
cussione condotta allora da Derrida, e poi sempre costan
ripresa, è ancora pienamente attuale oggi : sia perch
turalismo rimane un filone largamente egemone nel ca
critica letteraria e délia arti, sia soprattutto perché
ragionevole dubbio che Derrida stesso non abbia portato
fondo le esigenze antimetafisiche e nietzscheane che inte
valere. Si rileggano queste righe nella pagina conclusiva
significazione : «La divergenza, la differenza tra Dioniso e A
lo slancio e la struttura non si cancella nella storia, p

(2i) Force et signification, pubblicato dapprima in «Critique», n. 193-94 (g


1963) e poi in L'écriture et la différence, Parigi, Seuil, 1967 ; lo citiamo nella tra
Pozzi, La scrittura e la differenza, Torino, Einaudi, 1971.

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ARTE E IDENTITÀ 383

non è nella storia. È anch'essa, in un senso insolito, una struttura


originaria : I'apertura della storia, la storicità stessa. La differenza
non fa semplicemente parte né della storia né della struttura. Se
con Schelling è necessario dire che 'tutto non è che Dioniso', è an
che necessario sapere — e questo è scrivere — che come la forza
pura, Dioniso è travagliato dalla differenza (...) Da sempre egli è
in relazione con il suo esterno, con la forma visibile, con la strut
tura, come propria morte ...» (22). Non sembra che, negli scritti
successivi, Derrida sia andato oltre questo recupero, nel pensiero
della differenza, della nozione di struttura. Nietzsche è cosi ri
cevuto dentro un quadro ancora sostanzialmente metafisico :
Dioniso è bensi travagliato dalla differenza ma, con Schelling,
tutto non è che Dioniso ; e questa è senza dubbio una proposizione
metafisica. Qjaesta tendenza a includere Nietzsche, nonostante
tutto, entro una cornice metafisica (e più in generale a sviluppare
una nuova metafisica intorno alla differenza (")) è particolar
mente evidente in alcune letture di Nietzsche ispirate a Derrida
(anche se non solo a lui) aile quali abbiamo già avuto occasione
di accennare. Qjaeste letture sono rilevanti per il nostro problema
perché, anzitutto, arte e poesia hanno in esse una posizione cen
trale ; e in secondo luogo perché il senso che da esse viene at
tribuito all'arte e alla poesia nel pensiero di Nietzsche è poi
largamente analogo a quello che viene loro riconosciuto, al di
fuori del riferimento a Nietzsche, da Derrida stesso e dai critici
che si ispirano a lui. La «dionisia» di cui parla Bernard Pautrat
non fa che modulare in riferimento a Nietzsche la tesi derridiana
che abbiamo citato testualmente : il conflitto Dioniso-Apollo è in
realtà il travaglio interno di Dioniso stesso (24), e questo travaglio
è la non storica apertura della storicità ; si tratta di una origine
sui generis, «un movimento già sempre travagliato da una dif
ferenza» (25), che perô funziona come vera e propria origine
metafisica, giacché la storia non è altro che ripetizione e 'messa in

(22) La .1 crittura e la differenm, trad, cit., p. 36.


(23) Su ciô si vedano le penetranti osservazioni di M. Dufrenne, nel saggio «Pour une
philosophie non théologique» premesso alla seconda edizione di Le poétique, Parigi, P. U. F.,
>973
(24) Cfr. B. Pautrat, Versions, cit., p. 116 ss.
(25) J. M. Rey, L'enjeu des signes, cit., p. 37.

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384 G. VATTIMO

scena' sempre rinnovata di questo movimento. Per quan


senso insolito», si trat ta pur sempre di una struttura :
nome dell'essere non più pensato corne pienezza déli
ma come movimento délia differenza ; ma nella misura
apertura non storica délia storicità, gli appartiene pur
cora un peculiare carattere di presenza, che non è f
cizzare. Una conferma di ciô si puô vedere nel fatto ch
lettura «derridiana» di Nietzsche, ritorna massicciamen
valere anche l'altro elemento che, nella tradizione meta
sempre accompagnato il primato délia presenza e délia
e cioè il primato délia coscienza. Secondo Sarah Kof
esempio, all'oblio del carattere metaforico del lingu
caratterizza la tradizione metafisica, Nietzsche oppo
siero in cui la metafora è consapevole di esser taie
parlano di parodia (27) e di messa in scena (terapeut
differenza originaria (28). Là dove c'è una struttura ori
insolita quanto si vuole, ogni oltrepassamento e libe
questo caso, dalla metafisica, dal pensiero reificato, ecc
configurarsi che come «presa di coscienza». Qjiesto
primato dell'autocoscienza determina anche in modo
funzione che viene attribuita alla poesia e all'arte
consapevole, parodia del linguaggio metafisico, mess
délia differenza originaria sono tutte espressioni che, p
interpreti di Nietzsche, descrivono anzitutto Tarte,
il peculiare carattere poetico del filosofare di Nietz
nessuno di loro si domanda fino a che punto il predo
consapevolezza che questi atteggiamenti comportan
cora qualcosa di comune con l'ebbrezza dionisiac
Nietzsche qualificava l'esperienza tragica. Alla non-stori
differenza, che riduce la lotta tra Dioniso e Apollo a
costitutivo dell'essere, corrisponde una peculiare immo
stessa «storia» a cui questa struttura «insolita» dareb
ogni testo, poetico o filosofico, è letto da Derrida e

(2b) Per Sarah Kofman, Nietzsche et Ui métaphore, cit., la volontà di poten


metaforica e interpretativa che si dà esplicitamente per tale (cfr. p. 137
(27) B. Pautrat, Versions, cit., p. 290-gi.
(28) J. M. Rey, L'enjeu, cit., p. 71.

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ARTE E IDENTITÀ 385

discepoli solo alio scopo di scorgere in esso il trasparire, sotto


forma di lacuna e di assenza, dello squilibrio originario della dif
ferenza ; ma rispetto alla differenza originaria non ci sono «collo
cazioni» diverse (29). È in questa prospettiva immobile che si
giustifica persino la tesi di una parentela sostanziale tra Hegel e
Nietzsche, in nome della loro comune dionisia (30). Se si pensa alla
portata storica di rinnovamento di una civiltà tragica, e quindi di
recupero di una possibilità di esistenza effettivamente dionisiaca,
che Nietzsche attribuiva all'arte e che assegnava come compito al
proprio pensiero, non si puô non sollevare il dubbio che il pen
siero derridiano della differenza prosegua lo strutturalismo — e
tutte le sue implicanze metafisiche — mutando semplicemente
il contenuto della nozione di struttura : alla struttura come
dispiegarsi di una totalità organica (opera d'arte o qualunque
altro 'oggetto' delle scienze dello spirito, come ad esempio una
società primitiva) si è sostituita l'archi-struttura della differenza ;
ma anche davanti a questa «struttura in senso insolito» l'atteg
giamento è ancora quello contemplativo e coscienzialistico della
metafisica : alla presa di coscienza tendenzialmente hegeliana di
una positività e di una presenza, si sostituisce la presa di coscienza
di una assenza, e cioè di una finitezza, che ripete moduli paleo
esistenzialistici. In questa cornice, qualunque portata parodistica
venga riconosciuta alla poesia (e al pensiero non più metafisico
che su di essa si modella) funziona come ripetizione catartica
della scena originaria, con tutte le implicanze che ha la nozione
di catarsi in Aristotele : esorcizzazione della portata eversiva
dell'apparenza, restaurazione dell'ordine morale attraverso il
«riconoscimento» in tutti i suoi sensi : riconoscimento della forma
dell'opera come cifra e simbolo della forma della totalità («tutto
non è che Dioniso») ; e riconoscimento consapevolizzante di sé in
questa totalità.

(29) In Heidegger, invece, c'è una parabola «storica» délia metafisica, entro la quale si
danno posizioni e fasi davvero diverse : si ]K'nsi per esempio alia storia della filosofia come
si configura nel secondo volume del Nietzsche, cit. Heidegger non va mai in cerca soltanto
dell'oblio della dillerenza, ma delle inodalità storiche di questo oblio. Tutto cià,
probabilmente, perché egli continua a pensare a una Veberwindung della metafisica come
evento — quindi anche come svolta storica. L'antistoricismo dell'interpretazione derri
diana di Heidegger sembra dimenticare tutto questo aspetto del suo pensiero.
(30) È la tesi di B. Pautrat, Versions, cit., pp. 132-33.

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386 G. VATTIMO

Se in Derrida e nella sua «scuola» il permanere di u


metafisica di struttura non criticata a fondo comport
ritorno, per quanto coperto, del fantasma metafis
coscienza e quindi délia soggettività, riproponendo un
fondamentalmente contempladva (e cultuale, nel li
Benjamin) dell 'opera d'arte, intesa corne cifra délia dif
travaglia l'essere, un fenomeno simmetricamente oppo
risultati analoghi, si dà nell'estetica di Adorno, an
blematica e déterminante per tutta una corrente délia
temporanea. Qpi, infatti, a una insufïiciente critica d
metafisica (hegeliana) di soggetto, corrisponde un
cupero delle caratteristische formali dell'opera d'arte,
come struttura, perfezione, riuscita. E' nota l'importa
che il concetto di Schein, di apparenza, ha nell'estetica
la postuma Aesthetische Theorie (31) lo erige a termin
non solo dell'estetica ma, attraverso la funzione p
riconosciuta all'arte, di tutta la filosofia. Ma lo Schein
non solo ha perso il nesso con la disidentificazione del
che aveva in Nietzsche ; funziona anzi esplicitament
nei suoi caratteri apollinei (perfezione, riconoscibil
dità» si direbbe) — come mezzo di restaurazione dell'identità del
soggetto in un mondo in cui questo è minacciato dalla universale
massificazione. Adorno, che pure è un lettore attento di Nietz
sche, non nutre fondamentalmente alcun sospetto nei confronti
dell'autocoscienza : l'autocoscienza non solo non è funzione
dell'universale massificazione e dell'organizzazione totale — come
è per Nietzsche — ma anzi è l'ultima spiaggia délia resistenza con
tro l'alienazione. Tutta la critica délia civiltà di massa, che
Adorno svolge soprattutto a partire dalla Dialektik der Aufklärung,
è fondata sull'idea che l'alienazione non sia già la costituzione del
soggetto borghese-cristiano, l'uomo dell'umanismo, ma solo la
sua dissoluzione nella moderna società massificata. Per questo,
tra l'altro, Adorno non riesce a capire il carattere radicale délia
critica heideggeriana alla metafisica (32). Proprio in quanto deve

(31) Pubblicata a cura di Gretel Adorno e Rolf Ticdemann, Fianrolortc, Suhrkamp,


1970.

(32) Si veda soprattutto la prima parte della Negative Dialektik, Franco!orte, Suhrkamp,
1966 ; e il prccedente Jargon der Eigentlichkeit, ivi 1964.

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ARTE E IDENTITÀ 387

funzionare come estrema linea di difesa e mezzo di restaurazione


(una restaurazione peraltro impossibile, e in ciô è vero che
Adorno è pessimista) di questo soggetto borghese-cristiano,
l'opéra d'arte appare ad Adoirno caratterizzata da tutti i predicati
formali (e anzitutto la struttura, la compiutezza, l'intima legalità)
che le sono stati attribuiti nella tradizione metafisica.
Nel breve Discorso su Urica e società, del 1957 (") si possono già
vedere in nuce terni che la Aesthetische Theorie sviluppa in modo
più articolato. Ci richiamiamo a questo discorso anche per un
altro motivo, e cioè che esso discute il problema di un genere let
terario, la lirica, in cui è centrale la questione del rapporto tra in
dividualité e ultraindividualità. I termini del problema sono fon
damentalmente gli stessi che quelli délia Nascita délia tragedia : non
solo perché anche Adorno si domanda come la lirica, in quanto
espressione dell'individuale, possa assurgere a significato univer
sale ; ma anche perché c'è un esplicito riferimento a «dolore e
sogno» (34) come fond délia lirica che non puô non richiamare la
coppia dolore dionisiaco-sogno apollineo dell'opera nietzschea
na sulla tragedia. Diversamente che in Nietzsche, per Adorno
l'universalità délia lirica non risiede nel fatto che il poeta, nello
«stato d'animo musicale» da cui nasce la composizione, si im
merge e si identifica con l'uno originario (secondo il linguaggio
schopenhaueriano dello scritto sulla tragedia), la cui unità è pre
e anti-istituzionale ; invece, per Adorno (che si richiama in ciô a
Hegel), il soggetto individuale è già sempre mediato con l'univer
sale (35), e ciô si manifesta proprio nel fatto che il medium délia
lirica è la lingua. Nella lirica puô verificarsi il paradosso per cui
«la soggettività si rovescia in oggettività» perché «la lingua ha in
sé stessa un carattere duplice. Si adegua totalmente, con le sue
configurazioni, ai sentimenti soggettivi (...). Ma essa resta d'altro
canto il mezzo dei concetti, che stabilisce l'indispensabile rap
porto con l'universale e con la società». Tutto questo processo di
universalizzazione e oggettivazione operante nella lingua, che

(33) Compreso poi in Noten zur Literatur, vol. I, Francoforte,Suhrkamp, 1958, pp. 73-104 ;
lo citiamo nella traduzione di M. Peretti, dall'antologia l.etteratura e marxism», a rura di G. P.
Borghello, Firciize, Zanichelli, 1974.
(34) Letteratura e marxism«, cit., p. 120.
(35) l.etteratura e marxhmn, cit., p. 119.

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388 G. VATTIMO

Nietzsche ricostruisce nello scritto su verità e menzogna


lui rappresenta già l'inizio délia decadenza, il bloc
produttività metaforica dionisiaca nella catena délia log
mente codificata, per Adorno costituisce, hegelianamen
regia délia costituzione del soggetto. L'alienazione com
là dove questo soggetto decade a pura funzione délia soc
scambio, e la vita individuale si consegna essa stessa al f
Puô darsi che in questa situazione il soggetto debba «usc
stesso tacendosi» (3#) ; ma non per rinnegarsi, bensi per
quella funzione di vera mediazione di universale e indiv
è minacciata dalla riduzione di tutto a valore di scambio e délia
lingua a puro strumento di comunicazione.
Lo Schein dell'arte — nell'opporsi dell'opera all'oggettività mer
cificata — ha solo la funzione di negare il soggetto reificato ; la
lirica puô diventare cosi Pultimo rifugio dell'idea di una «lingua
pura» ("), che non è perô il rnetos nietzscheano, ma la lingua come
la mediazione universale di Hegel. L'eventualità che questa pu
rezza si attui anche come silenzio è quella che si realizza
nell'avanguardia ; ma anche nella lettura dell'avanguardia,
Adorno non mette mai in dubbio che si possa (meglio : si debba)
dare una soggettività autocosciente non alienata, costituita
hegelianamente come mediazione-conciliazione di individuale e
universale. Di qui, anzitutto, il suo insistere sugli aspetti di rigore
formale dell'arte ; di qui, anche, il suo modellare la fruizione
estetica su quella dell'cœsperto», che sa cogliere l'opéra nei suoi
valori strutturali (38). Ciô che viene in luce nella sociologia délia
musica — e cioè che il soggetto délia fruizione estetica è per
Adorno il borghese colto, che, nel caso délia musica, conosce le
note e puô quindi percepirla in tutti i suoi valori formali — ap
pare anche nel discorso sulla lirica là dove viene teorizzata la
necessità dell'intervento dell'intellettuale borghese perché si operi
la mediazione tra impulsi ed emozioni individuali e universalità
délia loro espressione. Certo si puô essere d'accordo con Adorno

($6) Letteratura e rnarxismo, cit., p. 126.


(37) Ibid.
(38) Cfr. Einleitung in die Musiksoziologie. Zwölf theoretische Vorlesungen, Francoforte,
Suhrkamp, 1962, specialmente la prima conferenza. Ma è una tesi che si ritrova am
piamente in altri scritti adorniani, da Dissonanzen (Gottinga, Vandenhoeck, 1956) a Der
getreue Korrepetitor (Francoforte, Fischer, 1963).

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ARTE E IDENTITÂ 389

là dove dice che «Baudelaire, la cui lirica prende a schiafFi non


solo il juste milieu, ma anche ogni compassione sociale borghese
(...) tuttavia, in poesie come le Petites vieilles o quella della serva di
gran cuore dei Tableaux parisiens, fu più fedele alle masse, alle
quali egli opponeva la sua maschera tragicoarrogante, di tutta la
poesia sulla povera gente» (39) ; ma cio in fondo è vero perché per
Adomo la mediazione di individuale e universale si dà solo nel
soggetto borghese, cioè nel borghese come il vero soggetto. L
possibilité di una poesia e di un'arte popolare, non mediata da un
artista colto — cioè possedente la lingua e posseduto dalla lingua
come mediazione istituzionalizzata — è qui appena sfiorata e
comunque rimane del tutto problematica. Come di Baudelaire
rispetto alia «poesia della povera gente», si puô dire anche d
Nietzsche che, con tutta la sua arroganza antisocialista, è stat
più fedele alle masse — nel suo sforzo di cogliere il dionisiaco in
forme d'arte escluse o censurate dalla tradizione classicista — di
quanto non la sia Adorno a causa del suo persistente umanismo.
Anche lo Schein adorniano sembra leggibile agevolmente in ter
mini di catarsi aristotelica : si oppone al reale frammentario e
caotico della mercificazione generale come dominio di perfezione
e di purezza ; ma questa perfezione e purezza è quella del sogget
to borghese-cristiano definito in termini di autocoscienza, che —
come del resto ben sa Adorno nella difesa senza speranza che ne fa
— si oppone invano all'individuo reificato della società di massa
perché ne è segretamente complice, in quanto sua origine e
momento prépara tori o.
Nella loro simmetricità, che qui abbiamo schematicamente en
fatizzata, le posizioni estetiche di derivazione derridiana e ador
niana ci sembrano esemplificare due modi di ripresa attuale di
tematiche nietzscheane che, in quanto assunte parzialmente,
finiscono per funzionare esattamente nella direzione opposta a
quella intesa da Nietzsche. Adorno teorizza l'apparenza ma senza
connetterla con la negazione del soggetto ; Derrida muove bensi
da posizioni che si vogliono «antiumanistiche», ma nella misura
in cui non si libera della «struttura » ritrova fatalmente il soggetto
autocosciente della tradizione metafisica. L'insufficienza di queste

(39) Letteratura e rruirxLsmo, cit., p. 121.

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390 G. VATTIMO

posizioni, pur nella stimolante ricchezza di prospettive


che spesso propongono, si rivela non solo sul piano t
soprattutto nel confronto con le vicende dell'arte d
secolo. Si puô dawero ritenere che l'avanguardia novec
proponga, attraverso la sua rottura del mondo form
tradizione, il riscatto e la salvezza del soggetto corne m
di individuale e universale che era il centro di quel
forme ? Oppure che intenda valere come messa in sc
ripetizione (il cui eventuale significato terapeutico sare
sempre legato a una «presa di coscienza») del movimento
originario délia differenza, movimento in verità immobile come
l'insuperabile finitezza dell'esistenza ?
Il problema che Nietzsche propone, con la sua ripresa del nes
so «platonico» tra apparenza e disidentificazione, coincide con
quello posto all'estetica filosofica dalla vicenda attuale (l'es
perienza ancora aperta dell'avanguardia) dell'arte. Ora che an
che la filosofia, attraverso una meditazione che è ispirata in
modo decisivo a Nietzsche, ha cominciato a sospettane radical
mente del soggetto, siamo in grado di domandarci, di fronte
all'arte e alla letteratura del nostro secolo, chi sia (ancora) il
«soggetto» non solo délia sua produzione ma anche e soprattutto
délia «contemplazione» ; chi possa essere il «lettore» di un'arte il
cui senso fondamentale sembra essere — in modo finalmente
esplicito — il gioco délia bella apparenza come gioco délia
disidentificazione. È questo — da un punto di vista nietzscheano
— il contenuto del dialogo tra «poetare» e «pensare», un dialogo
in cui gli interlocutori mettono in gioco anzitutto sé stessi.

Università degli Studi di Torino.

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