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Edward Sapir: Culture genuine e culture spurie

L'articolo del linguista ed antropologo Edward Sapir stato pubblicato nel 1924
sull' Americam Journal of Sociology col titolo "Culture, genuine and spurious" e,
in Italia, nel 1960, in Antologia delle Scienze Sociali (Il Mulino) col titolo
"Cultura e pseudocultura" alle pagg. 283-313

Vi sono alcuni termini che hanno una peculiare propriet. Manifestamente
essi designano concetti specifici, concetti che pretendono ad una validit
rigorosamente obbiettiva. In pratica, cadesti termini contraddistinguono campi di
pensiero piuttosto vaghi che mutano, si restringono o si allargano a seconda del
punto d vista di chi ne fa uso, comprendendo nell'estensione dei loro signi-
ficati concezioni che non soltanto non armonizzano tra loro, ma sono in parte
contraddittorie. Un'analisi di taluni termini pone subito in luce come al di
sotto della contraddizione di contenuti variabili esiste un'unit sentimentale di
tono. Ci che rende possibile a un apparato cosi discordante di concezioni di
rispondere alla stessa istanza , perci, proprio questo alone relativamente
costante che le circonda. Pertanto, ci che delitto per uno nobilt per
un altro, ma entrambi sono concordi nel ritenere che il delitto, qualunque
sia, una categoria non rispettabile e che nobilt, qualunque sia, una
categoria rispettabile. Ugualmente, un termine come arte pu significare cose
diverse, ma qualunque cosa significhi, il termine di per s esige rispettosa
attenzione e normalmente evoca uno stato piacevolmente raffinato della
mente, un'attesa di elevate soddisfazioni. Se una particolare concezione artistica
proposta o implicita in una opera d'arte ci sgradevole, noi non esprimiamo la
nostra insoddisfazione dicendo: Non amo l'arte. Ci esprimiamo cos
soltanto quando ci troviamo in uno stato mentale di abominio. Ma di solito
aggiriamo la difficolt dicendo: Ma questa non arte, solo stucchevole
banalit, mero sentimentalismo, oppure Non nient'altro che grezza
esperienza, materia darte, ma non arte. Non siamo d'accordo sul valore delle
cose e sulle loro relazioni, ma ben spesso ci accordiamo sul particolare valore
di un'etichetta. Soltanto quando sorge la questione sulla giusta collocazione
dell'etichetta, soltanto allora cominciano i guai. Queste etichette - che forse meglio
chiameremmo troni vuoti - sono nemiche dell'umanit, ma noi non abbiamo altra scelta
che metterci in pace con loro, onde assegnare un trono ai nostri pretendenti favoriti. I
pretendenti rivali lottano fino alla morte, ma i troni cui essi aspirano restano in oro
serenamente splendidi.
Io desidero avanzare i diritti di un pretendente al trono chiamato
cultura. Di qualunque cultura si tratti, sappiamo che essa , o meglio
considerata, una buona cosa. E qui io mi propongo d definire che genere di
buona cosa, sia la cultura.

Varie concezioni di cultura
La parola cultura sembra essere usata in tre principali sensi o gruppi di sensi.
Innanzitutto, cultura tecnicamente usata dagli etnologi e dagli storici della cultura
per comprendere ogni elemento socialmente ereditato nella vita dell'uomo, materiale
e spirituale. La cultura cosi definita confina con luomo stesso, poich anche i
selvaggi pi arretrati vivono in un mondo sociale caratterizzato da un complesso
contesto di costumi, di usanze e di attitudini tradizionalmente tramandati. Il metodo
del boscimano sudafricano nell'arte della caccia, la fede dell'indiano del
Nordamerica nella medicina, il tipo di tragedia nell'Atene di Pericle e l'energia
elettrica dell'industria moderna, son tutti, ugualmente e indifferentemente, elementi
di cultura, essendo ciascuno il naturale prodotto dello sforzo collettivo spirituale
delluomo, essendo ciascuno conservato per un dato tempo non come la risultante
diretta e automatica delle qualit puramente ereditarie, ma mediante i processi pi o
meno consapevolmente imitativi, sintetizzati dai termini tradizione e eredit
sociale. Da questo punto di vista tutti gli esseri umani o, in ogni caso, tutti i
gruppi umani sono culturalizzati, bench in modi e gradi largamente differenti di
complessit. Per l'etnologo vi sono vari tipi di cultura e un'infinita variet di
elementi di cultura, ma non valori, nel senso ordinario della parola, da
attribuire ad essi. Il suo pi alto e pi basso, se egli usa i termini integralmente,
non si riferiscono a una scala morale di valori ma agli stadi, veri o supposti, di una
progressione storica o di uno schema evoluzionistico. Io non intendo usare il termine
cultura in questo senso tecnico. Civilt sarebbe un suo conveniente sostituto,
se questa parola non fosse limitata dall'uso comune a intendere piuttosto forme pi
complesse e raffinate della corrente culturale. Per non far confusione con altri usi della
parola cultura, usi che necessariamente involgono l'applicazione di una scala d
valori, user, se necessario, civilt in luogo del termine cultura adottato dagli
etnologi.
La seconda applicazione dei temine pi largamente corrente, poich si riferisce a
un ideale piuttosto convenzionale d raffinatezza individuale, fondato in un certo
modicum di conoscenza assimilata e di esperienza, ma principalmente formata su un
modulo di tipiche reazioni sanzionate da una classe e da una tradizione di lunga
durata. Nell'ambito dei beni intellettuali richiesta una certa dose di raffinatezza
all'aspirante al titolo di persona colta, ma soltanto oltre un certo livello. Assai
maggior rilievo dato allo stile, una certa preziosit di condotta che assume diverse
sfumature accordandosi alla natura della personalit che ha assimilato l'ideale
culturalizzato. Nel peggiore dei casi, la preziosit degenera in una sprezzante
indifferenza verso i modi e i gusti della folla; e ci costituisce il ben noto snobismo
culturale. Nei casi pi capziosi, essa sviluppa in una dolce e strana vena di
cinismo, un divertito scetticismo che non vorrebbe mostrarsi per nulla al mondo
implicato in un insolito entusiasmo; questo tipo di stile culturatizzato presenta un
aspetto pi attraente alla folla, la quale soltanto di rado si accorge del giuoco
deludente della sua ironia, ma si tratta forse di un atteggiamento di pi radicale
indifferenza dello snobismo outr. L'indifferenza, comunque, generalmente una
condizione sine qua non del secondo tipo di cultura. Altro suo requisito
indispensabile , inoltre, uno stretto rapporto col passato. Il pensiero e l'azione del
presente sono visti, innanzi tutto, nella luce di un inalterabile passato, un passato
di infinita ricchezza e gloria; e soltanto secondariamente, se pure, detti
pensiero e azione sono volti in chiave strumentale all'edificazione del futuro. I
fantasmi del passato, preferibilmente del passato remoto, stringono l'uomo
culturalizzato ad ogni passo. Fantasticamente docile al loro pi leggero tocco,
egli aborre luso della sua individualit come influenza creatrice. Ma forse
l'aspetto pi straordinario dell'ideale culturale la selezione dei particolari
tesori del passato ritenuti i pi degni di adorazione, Questa selezione che pu sem-
brare almeno strana a un profano, generalmente giustificata da una serie di
ragioni, talvolta filosoficamente fondate, ma coloro che non si sentono partecipi
alla questione inclinano a credere che quelle ragioni altro non siano che
razionalizzazioni ad hoc, e che la selezione dei tesori abbia proceduto
principalmente secondo gli accidenti della storia.
In breve, codesto ideale culturale un abito e un atteggiamento. L'abito pu
vestire dignitosamente la persona e l'atteggiamento ha spesso molto charme, ma
l'abito un vestito belle pronto per luso mentre l'atteggiamento resta
atteggiamento. In America l'ideale culturale nella sua classica forma
quintessenziata, una pianta pi esotica che nelle aule di Oxford e di
Cambridge, donde stato importato a queste aspre rive, ma frammenti e
derivazioni di esso sono da noi abbastanza frequenti. L'ideale culturale comprende
varie forme, di cui quella classica oxoniense rappresenta soltanto una delle pi
tipiche. N mancano parallelismi cinesi e talmudici. Ma ovunque rinveniamo
codesto ideale, esso balza ai nostri occhi nella forma di una eredit spirituale che
ad ogni costo deve essere preservata intatta.
Il terzo uso che si fa del termine il meno facile da definire e illustrare
soddisfacentemente, forse perch coloro che lo usano raramente sono in grado di
darci una idea perfettamente chiara di ci che essi stessi intendono per cultura.
Cultura in questo terzo senso condivide con la nostra prima concezione
tecnica l'importanza che attribuiamo ai beni spirituali del gruppo piuttosto che a
quelli dell'individuo. Con la nostra seconda concezione essa condivide
l'accentuazione dei fattori selezionati dal vasto universo della corrente culturale
dell'etnologo come intrinsecamente pi validi, pi caratteristici, pi
significanti, in senso spirituale, di tutto il resto. Dire che questa cultura
comprende tutti gli elementi morali, in opposizione a quelli puramente
materiali, della civilt non sarebbe esatto, in parte perch la concezione
risultante accoglierebbe ancora un vasto numero di elementi relativamente
grezzi, e in parte perch alcuni fattori materiali potrebbero ben occupare un
posto decisivo nell'insieme culturale. Limitare il termine, come talvolta stato
fatto, all'arte, alla religione e alla scienza presenta ancora lo svantaggio di un
troppo rigido esclusivismo. Forse potremmo essere pi vicini al vero se
dicessimo che la concezione culturale che stiamo ora cercando di intendere
mira ad abbracciare in un solo termine quegli atteggiamenti generali, quelle
concezioni di vita e quelle specifiche manifestazioni di civilt che danno a
un particolare popolo il suo posto distintivo nel mondo, Ma non si ponga
tanto l'accento sulle azioni e le credenze di un popolo, quanto su come
codeste azioni e credenze operino nella vita tutta di quel popolo, e sul
significato che esse vi assumono. Uno stesso elemento di civilt pu essere
un'arteria vitale nella cultura di un popolo, e un fattore pressoch trascurabile
nella cultura di un altro. La presente concezione d cultura in grado di
incidere particolarmente sui problemi di nazionalit, sui tentativi di mostrare
incorporate nel carattere e nella civilt di un dato popolo qualche peculiare
virt, qualche forza distintiva che singolarmente gli appartengono. In tal
modo cultura diviene quasi sinonimo di spirito o di genio d un popolo, ma
non interamente, perch, mentre questi termini vagamente usati si
riferiscono piuttosto a uno sfondo, psicologico, di civilt nazionale, la
cultura include in questo sfondo una serie di manifestazioni concrete che si
ritengono propriamente sintomatiche di esso. Pertanto, cultura pu essere
brevemente definita come civilt in quanto essa comprende il genio nazionale.
evidente che ci troviamo qui su un terreno particolarmente pericoloso.
L'ipotesi corrente che il cosiddetto genio di un popolo sia in definitiva
riducibile a certi tratti ereditariamente inerenti a una natura biologica e
psicologica, non porta, per lo pi, a un esame criticamente serio della
questione. Abbastanza spesso avviene che ci che s fa risalire a una
caratteristica razziale innata si riveli a uno studio pi rigoroso, come la risultante
di cause puramente storiche. Un modo di pensare, un tipo distintivo di reazione,
nel corso di un complesso sviluppo storico, si costituirono come tipici e normali,
e servono allora come modello stimolante di nuovi elementi d civilt. Da
numerosi esempi di tali modi distintivi di pensare o tipi di reazione assente
un genio di base. Non occorre una speciale polemica contro questa concezione di
un genio nazionale fintanto che essa non sia adorata come un feticcio psicologico
irriducibile. Gli etnologi diffidano delle vaste generalizzazioni e dei concetti
oscuramente definiti, e sono perci piuttosto impacciati nel trattare di spiriti e geni
nazionali. Lo sciovinismo di alcuni apologeti che ravvisano nello spirito dei loro
popoli peculiari virt del tutto negate agli altri abitanti del globo meno fortunati,
giustifica largamente detta perplessit negli studiosi di etnologia. Inoltre, il pi
delle volte la precisa conoscenza dello scienziato trascura alquanto le ingenue ma
penetranti osservazioni dell'esperienza non professionale. Negare al genio di un
popolo un fondamentale significato psicologico e riferirlo allo specifico sviluppo
storico di quel popolo non , dopo tutto ci che s detto, analizzarlo fuori
dell'esistenza. Resta poi vero che larghi strati di persone tendono ovunque a
credere e ad agire secondo forme stabilite e non istintive, che sono in larga
misura loro peculiari. La questione se tali forme, che nelle loro interrelazioni
costituiscono il genio di un popolo, siano innanzi tutto spiegabili secondo il
temperamento nativo, lo sviluppo storico, o secondo entrambi, interessa lo psi-
cologo sociale, ma non ci concerne. La rilevanza di tale questione non sempre
evidente. sufficiente sapere che attualmente alcune nazioni (facciamo uso di
questa parola senza implicazioni politiche) sono pervenute a dare al pensiero e
all'azione l'impronta di un certo marchio pi chiaramente discernibile in certi
elementi di civilt che in altri. La cultura specifica di una nazione costituita da
quel gruppo di elementi della sua civilt che pi segnatamente mostrano quel
marchio. In pratica talvolta conveniente identificare la cultura nazionale col suo
genio.
Ancora un esempio o due per esaurire queste definizioni preliminari. Tutto il terreno
attraverso il quale stiamo combattendo un covo di soggettivismo, uno splendido
campo per sciorinare le vanit nazionali Perci, esistono numerose opinioni concordi
in campo internazionale per quanto riguarda le caratteristiche culturali salienti di
vari popoli. Nessuno che abbia avuto anche superficialmente contatti con la
cultura francese pu aver mancato di restare impressionato dalle qualit di
chiarezza, di lucida sistematizzazione, di equilibrio, dalla cura nella scelta dei mezzi e
dal buon gusto, che permeano tanti aspetti di quella civilt nazionale. Tali qualit
hanno il loro punto debole. Ci sono ben note la supermeccanizzazione, il timore delle
emozioni o l'indifferenza (cosa ben diversa dal freno delle emozioni), l'esagerato
manierismo a detrimento della sostanza, che si rivelano in alcune manifestazioni dello
spirito francese. Questi elementi della civilt francese, che danno una caratteristica
prova delle qualit del suo genio, si pu dire, nel senso ristretto che qui adoperiamo,
che costituiscano la cultura francese; oppure, per dirla in modo alquanto
differente, che il significato culturale di ogni elemento della civilt francese nella
luce che splende sul suo genio.
Da tale punto di vista possiamo valutare culturalmente alcuni tratti della civilt
francese come il formalismo della sua tragedia classica, l'insistenza nell'educazione
francese dello studio della madrelingua e dei suoi classici, la prevalenza
dell'epigramma nella vita e nelle lettere, il carattere intellettualistico dato cos
spesso ai movimenti estetici in Francia, lassenza di retorica della musica moderna
francese, la relativa assenza di ogni estasi religiosa e la forte tendenza alla buro-
crazia di quella amministrazione. Tutti questi tratti e centinaia di altri,
separatamente, potrebbero essere comparati con facilit alla civilt inglese. Tuttavia,
il loro relativo significato culturale, direi, minore in Inghilterra che in Francia. In
Francia tali tratti sembrano pi profondamente radicati nella struttura culturale
della sua civilt. Il loro studio potrebbe offrire come un rapido colpo d'occhio
sullo spirito della cultura francese.
Ma passiamo alla Russia, la cui cultura presenta un carattere definito come
quella francese. Far menzione di un solo aspetto della cultura russa, ma che
forse il pi significante, a mio parere, cio la tendenza del russo a vedere e
considerare gli esseri umani non come rappresentativi di tipi, n come creature
che appaiono eternamente nelle vesti della civilt, ma come essere umani
primitivi che esistono innanzi tutto in e per se stessi, e soltanto secondariamente
in ordine alla civilt. La democrazia russa fondamentalmente mira meno alla
creazione di istituzioni democratiche che alla liberazione effettiva della personalit
in se stessa. La sola cosa che il russo pu prendere sul serio l'umanit elementare, e
l'umanit elementare, nella sua concezione del mondo, si impone ad ogni passo.
Perci egli si trova magnificamente a suo agio con se stesso, col suo simile e con
Dio. Infatti, io non dubito che il pi accanito ateo russo sia in migliori
rapporti con Dio di un devoto di altre regioni, per il quale Dio sempre qualcosa
di misterioso. Per ci che lo circonda, comprendendo nel termine tutto il
meccanismo della civilt, il russo generalmente prova non poco disdegno. La
subordinazione di tutta la personalit a un'istituzione non da lui facilmente
accettata come un prezzo necessario in cambio dei benefici della civilt.
Possiamo seguir da vicino questa umanit fremente, questo disegno quasi
impertinente del vero io che avvolto nella civilt, in innumerevoli forme. Nelle
relazioni personali possiamo notare la curiosa facilit nel russo di ignorare tutte le
barriere istituzionali che separano l'uomo dall'uomo; e ci implica, nei suoi lati
negativi, talvolta una personale irresponsabilit in cui non ha posto l'ipocrisia.
La rinuncia di Tolstoj non fu un fenomeno isolato, ma un simbolo della profonda
indifferenza russa all'istituzionalismo, agli accresciuti valori della civilt. In un
senso spirituale, facile per il russo rovesciare ogni personificazione dello spirito
istituzionale, poich i suoi reali diritti sono altrove. La preoccupazione dei
russi per l'umanit elementare naturalmente pi evidente nel campo dell'arte,
dove l'espressione dell'io ha pi libero corso. Nelle pagine di Tolstoj, di
Dostoevskij, di Turgenev, di Gorkj e di Cechov la personalit si disfrena nei
morbosi momenti in cui giuoca col delitto, nelle sue depressioni e apatie e nei
suoi generosi entusiasmi idealistici. Numerosi personaggi della letteratura russa
guardano alla vita con inquieto e incredulo stupore. Centinaia di volte li sentiamo
chiedere: Questa cosa che chiamate civilt tutto quello che c' nella
vita?. Anche nella musica lo spirito russo ama svelarsi e rivelare, nel grido e
nel gesto, l'uomo come tale. Questo spirito ci parla dei rudi accenti di un Mussorgsky
come pure della disperazione estrema d un ajkovskij. E difficile pensare alla
corrente generale dell'arte russa come interamente affetta dall'arida putrefazione
del formalismo, e siamo sempre in attesa che qualche lampo o grido umano
sfugga alla prigione, del formalismo.
Ho evitato ogni tentativo di stabilire un parallelo tra lo spirito della
civilt francese e di quella russa, tra la cultura francese e la cultura russa. Lo
stretto parallelismo induce ad accentuare i contrasti. Mi sono semplicemente limitato
a suggerire che sotto gli elementi della civilt, il cui studio proprio dell'etnologo e
dello storico della cultura, sta la cultura, l'adeguata interpretazione della quale
piena di difficolt e spesso lasciata agli uomini di lettere.

La cultura genuina
La seconda e la terza concezione del termine cultura costituiscono, nel
mio intento, la base della nostra cultura genuina - il pretendente al trono i cui
diritti al riconoscimento dobbiamo ora considerare. Possiamo accettare il termine
cultura come significante la caratteristica impronta di una civilt nazionale,
mentre dalla seconda concezione d cultura, quella di un tipo tradizionale di
raffinamento individuale, potremo mutuare la nozione di forma ideale. Mi si
consenta di dire subito che sono ben lungi dal sostenere ogni tipo specifico di
cultura. Sarebbe ozioso, infatti, lodare o biasimare ogni condizione fondamentale
della nostra civilt, ogni punto dell'ordita trama del suo genio. Tali condizioni e
tali punti devono essere accettati come fondamentali, e sono lentamente
modificabili, come ogni altra cosa nella storia dell'uomo, ma una radicale
modificazione delle condizioni fondamentali non sembra strettamente necessaria
alla produzione di una cultura genuina, per quanto sia possibile un
ridimensionamento delle relazioni. In altre parole, una cultura genuina
perfettamente concepibile in ogni tipo o stadio di civilt, nella struttura di
ogni genio nazionale. Essa pu essere concepita facilmente sia in termini d
una societ araba poligamica o di una societ ameroindiana primitiva non
agricola, sia in quelle societ occidentali a noi familiari. D'altra parte, ci
che possiamo chiamare per contrasto culture spurie sono pure facilmente
concepibili sia in condizioni di generale splendore sia in condizioni di relativa
ignoranza e squallore.
La cultura genuina non necessariamente alta o bassa, ma solo
essenzialmente armoniosa, equilibrata, soddisfacente in se stessa E
l'espressione di un atteggiamento, riccamente variato e comunque unificato e
consistente, verso la vita, un atteggiamento che scorge il significato di ciascun
elemento di civilt nel suo rapporto con gli altri. E una cultura, tanto per
idealizzare, in cui nulla senza significato spirituale, in cui non una parte
importante del generale funzionamento porta con s un senso di
frustrazione, di sforzo mal diretto o non simpatetico. Essa non un ibrido
spirituale di toppe contraddittorie, di compartimenti-stagno della coscienza
che evitano di partecipare a una sintesi armoniosa. Se la cultura rende
necessaria la schiavit, essa francamente lo ammette; ma se detesta la
schiavit, essa sente il dovere di un ridimensionamento economico che possa
ovviare alla necessit del suo impiego; non fa gran mostra, nei suoi ideali etici,
di una opposizione intransigente alla schiavit soltanto per introdurre ci che
corrisponde al sistema schiavistico in taluni settori del suo meccanismo
industriale. Oppure, se essa costruisce stupendi templi, lo fa perch sente
necessario simbolizzare nella bellezza del marmo un impulso religioso che
profondo e vitale; se invece inclina a smantellare le istituzioni religiose,
anche pronta a fare a meno delle case religiose istituite; essa non diffidente
quando un appello diretto viene rivolto alla sua coscienza religiosa, per far poi
ammenda con la donazione furtiva di pochi dollari per il mantenimento di
una missione in Africa. Non cura l'istruzione dei suoi figli in ci che sa
inutile e non vitale sia a loro che alla propria vita matura, n tollera mille altri
compromessi spirituali che sono manifesti nella vita americana di oggi.
Sarebbe eccessivo affermare che anche gli esempi pi puri fin qui noti di
una cultura genuina siano andati esenti da spirituali contrasti, dall'arida
putrefazione dell'abito sociale, devitalizzato. Ma le grandi culture, quelle che
istintivamente sentiamo essere state sani organismi spirituali, come la cultura
ateniese dell'et di Pericle e, forse in minor grado, la cultura inglese
elisabettiana, hanno almeno teso a tale armonia.
Spero si sia gi inteso che questo ideale di una cultura genuina non
necessariamente connesso con ci che chiamiamo efficienza. Una societ pu
esseri straordinariamente efficiente nel senso che tutte le sue attivit concorrono
al conseguimento della massima utilit per la societ intesa come un tutto, pu
non tollerare spreco d energie, ma pu ben essere un organismo inferiore
in quanto portatrice di cultura. Non basta che il fine delle attivit sia
socialmente soddisfacente, il fatto che ogni membro della comunit sia
partecipe un modo oscuro di fare la propria parte per il conseguimento di
un vantaggio sociale. Ci giusto fino a un certo punto, ma una cultura
genuina rifiuta di considerare l'individuo come un mero ingranaggio, come
un'entit la cui sola raison d'tre risiede nella sua utilit all'interesse col-
lettivo del quale egli non consapevole, un interesse collettivo che ha soltanto
un remoto rapporto coi suoi interessi e le sue aspirazioni. Le maggiori attivit
dellindividuo debbono direttamente soddisfare i suoi impulsi fantastici ed
emozionali, debbono essere sempre qualcosa di pi che mezzi volti a un
fine. Il grande errore culturale dell'industrialismo, cos come si sviluppato al
giorno d'oggi, consiste nel fatto che, assimilando le macchine ai nostri usi, non
sa poi come evitare l'assimilazione della pi parte dell'umanit alle sue
macchine. La telefonista che durante la maggior parte della sua giornata
presta le sue capacit alla manipolazione di una routine tecnica che
eventualmente ha un valore di alta efficienza ma che non risponde alle sue ne-
cessit spirituali un orribile sacrificio alla civilt. Come soluzione del
problema culturale ella rappresenta un insuccesso - tanto pi orrendo quanto
maggiori sono le sue qualit morali e intellettuali. Come la telefonista, cosi, da
temere, con la gran maggioranza di noi, schiavi fuochisti ai forni che bruciano per
dmoni che distruggeremmo, non fosse ch'essi appaiono in veste di benefattori.
L'indiano d'America che risolve il suo problema economico con la pesca al salmone e
con la caccia al coniglio opera a un livello relativamente basso di civilt, ma
rappresenta una soluzione del problema che la cultura pone all'economia,
incomparabilmente pi alta di quella della nostra telefonista. Non s fa qui
questione dell'immediata utilit, della diretta efficienza dello sforzo economico, n
sentimentalmente rimpiangiamo il tramonto dello stato di natura. La caccia al
salmone dell'indiano culturalmente un tipo pi alto di attivit di quello della
telefonista o del manovale semplicemente perch di solito, mentre essa s svolge,
assente quel senso di frustrazione spirituale, quel sentimento di sottomissione alla
domanda tirannica, eppure cosi frazionata, perch la caccia al salmone si svolge
in naturale armonia con tutto il resto delle altre attivit, invece di rivelarsi nella
derelitta opacit di uno sforzo puramente economico all'interno di una vita.
Una cultura genuina non pu essere definita come una somma di fini
astrattamente desiderabili, come un meccanismo. Essa deve essere riguardata come
una rigogliosa pianta in sviluppo, le cui foglie pi remote e i pi piccoli rami
siano organicamente alimentati dalla linfa vitale. E questo sviluppo non qui
inteso come una metafora che comprenda soltanto il gruppo sociale, ma pu
essere applicato anche all'individuo. Una cultura che non sia fondata sugli
interessi e i desideri centrali dei suoi portatori, e che non muovendo da fini
generali operi sullindividuo una cultura esterna. Il termine esterno, cos spesso
istintivamente scelto per indicare una cultura siffatta, un termine appropriato.
La cultura genuina interna, poich dall'individuo essa volge a fini generali.
Abbiamo gi visto che non c' correlazione necessaria tra lo sviluppo della
civilt e la relativa genuinit della cultura che forma la sua essenza spirituale. Ma
ci richiede un'ulteriore spiegazione. Per sviluppo di civilt si inteso il
grado sempre crescente di sofisticazione della nostra societ e della nostra
vita individuale. Questa sofisticazione progressiva il risultato cumulativo
e inevitabile dei processi di selezione dell'esperienza sociale, delle complicazioni
sempre crescenti dei nostri innumerevoli tipi di organizzazione; e soprattutto
della nostra conoscenza decisamente in sviluppo del nostro naturale ambiente e,
come conseguenza, del nostro pratico dominio, ai fini economici, delle risorse che
la natura a un tempo ci concede e ci nasconde. E soprattutto la forza cumulativa
di questa sofisticazione che ci d il senso del cosiddetto progresso. Dalle
altezze di un grattacielo venti o pi piani pi alto di quanto i nostri padri non
abbiano mai sognato, noi sentiamo di alzarci sul mondo. Lanciando i nostri corpi
attraverso lo spazio con una velocit sempre maggiore, noi sentiamo di
procedere innanzi. Col termine di sofisticazione io non intendo soltanto il
progresso intellettuale e tecnico, ma anche la maggior parte d quelle
tendenze che favoriscono un'esistenza pulita e pi sana e, in senso lato,
un'esistenza pi umana. E bello stringere mani pulite e immacolate,
eliminare il vaiolo e somministrare anestetici. La nostra sofisticazione
continua, la nostra sempre crescente sollecitudine nell'obbedire alle
prescrizioni del buon senso, rende imperative queste nostre inclinazioni.
Sarebbe puro oscurantismo augurarsi un arresto del loro progredire. Ma non
ci pu essere illusione pi fallace - un'illusione che quasi tutti condividiamo -
di quanti credono che, poich gli strumenti di vita sono oggi pi specializzati
e pi raffinati che non siano mai stati prima, e poich la tecnica sorta dalla
scienza pi perfetta di qualunque altra cosa il mondo abbia gi
conosciuto, necessariamente ne consegua che noi siamo sul punto di
attingere a un'armonia pi profonda di vita, a una cultura pi intrinseca e
pi soddisfacente. come se credessimo che una complessa operazione
matematica comprendente numeri di sette o otto cifre non potesse che dare
un uguale numero di cifre. Eppure sappiamo che un milione moltiplicato
zero d zero proprio come uno moltiplicato zero. Vero che il
rafforzamento, che quanto noi ordinariamente intendiamo per progresso
della civilt, , in fondo, un concetto meramente quantitativo che definisce le
condizioni esterne dello sviluppo o la decadenza della cultura. E giusto
aver fede nel progresso della civilt, ma abbiamo torto nel credere che il
mantenimento o anche il miglioramento della cultura sia in funzione di tale
progresso. Lo stadio dell'etnologia e della storia della cultura prova chiaramente
che punto massime di cultura sono state spesso raggiunte a livelli bassi di
raffinatezza, e che punte minime di cultura si sono avute a livelli altissimi. La
civilt, come un tutto, progredisce, mentre la cultura va e viene.
Ogni profondo mutamento nel corso della civilt, in particolare ogni
mutamento nelle sue basi economiche, tende a causare un dissesto e un
ridimensionamento dei valori culturali. Vecchie forme culturali, abituali tipi di
reazione, tendono a persistere per forza di inerzia. Il mancato ridimensionamento di
tali reazioni abituali nel loro nuovo ambiente culturale porta con s una certa
disarmonia spirituale, che gli individui pi sensibili avvertono poi come
un'assenza fondamentale d cultura. Talvolta il mancato ridimensionamento si
corregge da solo con grande rapidit, talaltra pu persistere per generazioni, come
nel caso dell'America, dove uno stato cronico di mancato ridimensionamento
culturale ha per molto tempo ridotto la nostra vita pi alta a una sterile
esteriorit. pi facile, generalmente parlando, per una cultura genuina sussistere
a un livello pi basso di civilt, dove la differenziazione degli individui rispetto alle
loro funzioni sociali ed economiche tanto minore in confronto ai livelli pi alti
che c' meno pericolo che l'individuo scada a frammento inintellegibile
dell'organismo sociale. Il grosso e difficile problema di una societ in rapido svi-
luppo, quello di ottenere gli innegabili benefici di una grande differenziazione di
funzioni, senza al tempo stesso perder di vista l'individuo come un nucleo di valori
culturali viventi. Siamo lontani dall'avere risolto tale problema in America, e si
pu perci dubitare se pi di una insignificante minoranza sia consapevole
dell'esistenza di esso. Tuttavia il vasto e inquietante travaglio del mondo
moderno ha nelle pi profonde radici come una sorta di percezione della fallacia
culturale della presente forma dell'industrialismo.
L'etnologo intelligente che ha studiato direttamente una civilt aborigena,
forse il primo a restare pi impressionato dalla frequente vitalit culturale a
livelli meno sofisticati. Egli non pu fare a meno di ammirare la ben ordinata vita
del componente medio la civilt d una tipica trib ameroindiana, la compattezza
con cui ogni parte di tale vita - economica, sociale, religiosa ed estetica -
organizzata in un tutto significante rispetto al quale il componente medio ben
lungi dall'essere un aggregato passivo; e soprattutto, non pu fare a meno di
ammirare quella funzione formativa, spesso precipuamente creativa, che questi ha
nel meccanismo della sua cultura. Quando l'integrit politica della sua trib
distrutta dal contatto coi bianch e i vecchi valori culturali perdono
quell'atmosfera necessaria alla continuazione della loro vitalit, l'indiano cade in
uno stato d vacuo smarrimento. E anche se gli riuscisse di stabilire un
compromesso soddisfacente col suo nuovo ambiente, di fare quanto i suoi
protettori considerano come un grande progresso verso la civilt, egli conserver
un senso penoso della perdita di un bene vago e grande, una mentalit che gli
sarebbe difficile definire, ma che gli diede un coraggio e una felicit che la
prosperit presente non sembra possa restituirgli, poich egli caduto dal caldo
abbraccio di una cultura nel freddo di una frammentaria esistenza. Quanto si
detto circa la decadenza dell'indiano non imputabile alla riduzione numerica do-
vuta alle malattie, n al disprezzo che cos spesso lo perseguita nella sua vita in
riserva, ma al decadimento d una cultura genuina, sia pure fondata sui
materiali di un basso ordine di raffinatezza,
Non siamo in diritto di chiedere ai pi alti livelli di raffinatezza di garantire
all'individuo il suo complicato meccanismo, ma possiamo chiedere se, a titolo di
compensazione, l'individuo non possa ragionevolmente esigere un'intensificazione
di valore culturale, un accrescimento spirituale, di quelle funzioni che gli sono
riservate. Se ci viene a mancare, si deve ammettere che l'individuo ha
regredito. La limitazione delle funzioni si incentra soprattutto nella sfera
economica. perci indispensabile, se l'individuo deve conservare il suo valore
come essere culturalizzato, che egli trovi compensazioni nelle sfere non-
economiche, non-utilitarie, cio sociali, religiose, scientifiche ed estetiche. Questa
idea d compensazione rivela un importante problema, quello riguardante i fini
immediati e remoti dell'attivit umana,
Come mero organismo, la sola funzione dell'uomo quella di esistere; in
altre parole, l'uomo deve conservarsi e perpetuare la sua razza. Perci il
procurarsi cibo, vesti e riparo per s e per quelli che dipendono da lu, costituisce
il fine immediato della sua attivit. Vi sono alcune civilt, come quella degli
Eschimesi, in cui la pi gran parte delle energie dell'uomo spesa nel
soddisfare questi fini immediati, in cui la maggior parte delle sue attivit
contribuisce direttamente o indirettamente a procurare e approntare i cibi e
le materie atte a vestirsi e a ripararsi. Tuttavia, in pratica non ci sono civilt
in cui almeno una parte di energia disponibile non sia resa libera a fini pi
remoti, bench, di solito, tali fini pi remoti, mediante un processo di
razionalizzazione, sembrino contribuire a quelli immediati. (Un rituale magico,
per esempio, che, se considerato da un punto di vista psicologico, sembra liberare
e dar forma agli elementi estetici fortemente emozionali della nostra natura,
quasi sempre posto in relazione con qualche volgare fine utilitario - la caccia ai
conigli o la cura di malattie). Di fatto, sono pochissime le civilt primitive che
non consumino una parte largamente eccedente delle loro energie nella ricerca
dei fini pi remoti, bench resti vero che tali fini siano quasi sempre in modo
funzionale o pseudo-funzionale intrecciati con i fini immediati. L'arte per
l'arte pu essere un fatto psicologico in questi livelli meno raffinati; ma non
certamente un fatto culturale,
Al nostro livello di civilt i fini pi remoti tendono a dividersi interamente da
quelli immediati e ad assumere la forma di una evasione spirituale o di un
rifugio dalle cure di questi ultimi. La separazione delle due classi di fini non
mai assoluta n potrebbe esserlo; ma sufficiente notare la presenza di una forte
loro divergenza. agevole dimostrare tale divergenza con esempi tolti dalla
nostra esperienza quotidiana. Mentre nella quasi totalit delle civilt primitive
la danza si presta ad essere una attivit rituale, associata almeno
apparentemente a fini di natura economica, presso di noi, invece, essa
semplicemente e consapevolmente una attivit piacevole, che non soltanto s
distacca dalla sfera di attivit dei fini immediati ma tende anche ad assumere
una posizione di ostilit versa tale sfera, In una civilt primitiva un capo danza
naturalmente, e talvolta per esercitare un suo particolare privilegio. Presso di noi,
invece, il capitano d'industria o rifiuta di ballare o lo fa per una concessione quasi
sprezzante alla tirannia del costume sociale. D'altra parte, l'artista del balletto
russo ha elevato la danza a uno squisito strumento di espressione, ed riuscito ad
ottenere un'adeguata, o pi che adeguata, ricompensa culturale per la sua perdita di
capacit nei campo dei fini diretti. Il capitano d'industria fa parte d una classe
relativamente ristretta di individui che ha ereditato, in forme assai complicate,
qualcosa di quel sentimento di controllo circa il conseguimento dei fini diretti che
proprio, per diritto culturale, dell'uomo primitivo; l'esecutore del balletto ha salvato
e accresciuto per s quel sentimento di partecipazione spontanea e di creativit
nel mondo dei fini indiretti, proprio altres, per diritto culturale, dell'uomo
primitivo. Ciascuno ha salvato per s parte del naufragio della cultura
sommersa.
La psicologia dei fini diretti e indiretti subisce una graduale modificazione, fin
qui soltanto in parte compiuta, nei pi alti livelli d civilt. I fini immediati conti-
nuano a esercitare la stessa tirannica influenza nell'ordinare la nostra vita, ma
poich il nostro io spirituale si va arricchendo e sviluppa un bisogno sempre pi
incontenibile di pi sottili forme di esperienza, si sviluppa altres un atteggiamento
di impazienza verso la soluzione dei problemi di vita pi immediati. In altre
parole, i fini immediati cessano dall'essere avvertiti come fini capitali e divengono
gradualmente fini necessari, ma soltanto fini, per il conseguimento dei fini pi
remoti. Tali fini pi remoti, successivamente, lungi dall'essere considerati come
attivit puramente incidentali, risultano dallo straripare di un'energia quasi
interamente concentrata nel perseguire i fini immediati, divengono i fini capitali
della vita. Tale mutato atteggiamento implicito nella affermazione che l'arte, la
scienza e la religione di una civilt pi alta meglio esprimono il suo spirito o la
sua cultura. La trasformazione dei fini cos brevemente delineata lungi dall'essere
un fatto compiuto; ma piuttosto un oscuro impulso nella storia dei valori,
un'espressione della volizione dei partecipanti pi sensibili alla nostra cultura. Alcuni
temperamenti si sentono spinti avanti da detto impulso, mentre altri ne restano
indietro.
La trasformazione dei fini della pi grande importanza culturale poich essa
agisce come una potente forza mossa alla conservazione della cultura a livelli in cui
un funzionamento economico frammentario dell'individuo inevitabile. Finch
l'individuo conserver un serio di controllo sui maggiori beni di vita, egli potr avere
il suo posto nel patrimonio culturale del popolo cui appartiene. Ora che i maggiori beni
di vita si sono largamente trasferiti dal campo dei fini immediati a quello dei fini
remoti, ci diviene una necessit culturale per tutti coloro che non vorrebbero essere
considerati esclusi dalla partecipazione al perseguimento di questi fini pi remoti.
Non possibile armonia e profondit di vita, n cultura quando l'attivit
strettamente circoscritta alla sfera dei fini immediati e quando il funzionamento
entro tale sfera cosi frammentario da non avere alcuna interna intelligibilit n alcun
interesse. Qui sta la pi feroce ironia della civilt americana contemporanea. La grande
maggioranza di noi, privata di ogni partecipazione se non insignificante e
culturalmente sterile alla soddisfazione dei bisogni immediati dellumanit, ancor
pi defraudata dell'opportunit e dello stimolo a partecipare alla produzione d valori
non-utilitari. Parte del tempo noi siamo cavalli da tiro, e nel restante svogliati
consumatori di beni che non hanno ricevuto impronta alcuna dalla nostra personalit.
In altre parole, il nostro io spirituale affamato, e per la pi parte della vita resta
tale.
L'individuo culturalizzato e il gruppo culturale.
Non v' opposizione, in ultima analisi, fra il concetto di una cultura di gruppo e il
concetto di una cultura individuale. I due concetti sono interdipendenti. Una cultura
nazionale viva non mai un'eredit passivamente accettata dal passato, ma implica la
partecipazione creativa dei membri della comunit; implica, in altre parole, la
presenza di individui culturalizzati. Una perpetuazione automatica dei valori
standard, non soggetti a revisione costante da parte di individui che vogliono
inserire una parte di se stesti nelle forme che ricevono dai loro predecessori,
conduce al dominio di formule impersonali, da cui l'individuo escluso, e la
cultura diviene pi una maniera che un modo di vita, e cessa perci d'esser genuina.
altrettanto vero, tuttavia, che l'individuo disarmato senza un'eredit culturale
su cui operare. Senza l'aiuto dei suoi poteri spirituali, egli non pu ordire una
forte tessitura istintuale e culturale col solo impulso della sua personalit. La
creazione assoggettamento di forme al volere di uno, non invenzione di forme ex
nihilo. Se chi perpetua passivamente una tradizione culturale ci d
semplicemente una maniera, il fossile di una vita trascorsa, chi crea traendo da
una cultura devastata ci d coraggiosamente qualcosa di pi che un gesto o un
grido, ci da la scabra promessa di una visione sorta dai nostri desideri.
Secondo una strana idea corrente, le nuove terre costituiscono in particolare
un buon terreno per la formazione di una cultura ricca di energie vitali. Per nuovo s
intende alcunch di vecchio trapiantato in un territorio sprovvisto di relazioni
storiche. Sarebbe cosa mirabile se una pianta che fiorisse in un nero terreno
melmoso, acquistasse improvvisamente nuovo vigore se trapiantata in un terreno
sabbioso. Di solito, le metafore sono pericolose e non provano nulla, ma l'esperienza
suggerisce la forza verace di questa particolare metafora. Perci, non c' nulla di
pi debole, nulla di pi sfrontatamente imitativo ed esterno, di meno virile e di
pi triste, delle culture delle cosi dette nuove terre. Nuovo l'ambiente di queste
culture trapiantate, ma le culture stesse son vecchie, deboli, e in stato di
regressione. Se in America cominciano ad apparire in ritardo i primi segni di una
genuina fioritura di cultura, ci non dovuto al fatto che l'America un paese
ancora giovane, ma che l'America procedendo negli anni, comincia a sentirsi un poco
vecchia. In una terra veramente nuova, la preoccupazione dei fini immediati del
resistenza riduce al minimo la creativit nella sfera dei fini pi remoti, e ne
consegue un evidente imbastardirsi della cultura. Il vecchio patrimonio di beni
culturali non-materiali languisce a non essere assoggettato a radicale riadattamento,
progressivamente impoverisce, e finisce per essere cos disperatamente inadatto
all'ambiente economico e sociale, che gli spiriti pi sensibili tendono a rompere
decisamente con esso e a iniziare da capo con una spregiudicata indagine delle
nuove condizioni ambientali. Tali nuovi inizi sono invariabilmente duri e tardi
recano i frutti di una cultura genuina.
Soltanto apparentemente un paradosso affermare che le influenze culturali
pi sottili e pi decisive della personalit, le rivolte pi feconde, siano discernibili
in quegli ambienti che hanno a lungo e ininterrottamente sopportato una cultura
assai fluida. Lungi dall'essere soffocato in un'atmosfera di infiniti precedenti, lo
spirito creativo acquista resistenza e vigore al fine di rivelare se stesso e, se
abbastanza forte, pu muoversi liberamente in quella stessa atmosfera con una
prepotenza che osano appena sognare i timidi iconoclasti di culture informi. N
in altro modo potremmo intendere la storia della cultura dell'Europa moderna.
Soltanto in un terreno maturo riccamente differenziato potevano sorgere le
iconoclastie e le visioni di un Anatatole France, di un Nietzsche, di un Ibsen e di
un Tolstoj. In America, almeno nell'America di ieri, tali rotture e visioni
sarebbero state soffocate sul nascere, o, se avessero trovato un'aria appena
respirabile, si sarebbero incompiutamente sviluppate in un duro e patetico
isolamento. Non sussiste possibilit di integrazione sana e vigorosa, da parte di
un individuo, di un ideale culturale senza un comune terreno di cultura genuina;
n genuina e comune cultura senza trasformare le energie degli uomini grandi -
energie robuste e colme al tempo stesso - in valori culturali del loro tempo e spazio.
Il pi alto tipo di cultura cosi avviluppato in legami senza fine, alla cui tessitura
occorre un enorme faticoso e lungo lavoro. Una tale cultura sfugge al pericolo dei
due estremi di esteriorit - l'esteriorit causa di saziet, che opprime l'individuo,
e l'esteriorit causa di aridit. La prima rappresentata dalla decadenza ales-
sandrina, in cui lindividuo non pi; la seconda dall'immaturit e la decadenza di
una cultura senza radici, in cui l'individuo non ancora. Entrambi i tipi di
esteriorit possono trovarsi congiunti nella stessa cultura, spesso nella stessa
persona. Cos, non infrequente trovare in America individui che su una sterile
cultura, puramente utilitaria, hanno innestato una tradizione culturale che
contraff una grazia ormai defunta. E si ha il sospetto che tale
giustapposizione di atmosfere incompatibili sia addirittura tipica di certi
ambienti.
Guardiamo ora un po' pi da vicino il posto che occupa l'individuo in una
raffinata cultura moderna, Ho insistito a lungo sul fatto che una cultura genuina
d ai suoi portatori un senso di intima soddisfazione, un sentimento di
padronanza spirituale. A livelli pi alti di civilizzazione questo senso di
padronanza , come abbiamo visto, perfettamente inserito nella sfera
economica; e perci deve, molto pi largamente che nelle civilt pi primitive,
trovar alimento nelle sfere non-economiche dellattivit umana, L'individuo cos
condotto, o dovrebbe esserlo se vuole essere veramente culturalizzato all'iden-
tificazione di se stesso con parte del vasto campo degli interessi non-economici.
Dal punto di vista adottato nel presente studio ci non significa che
l'identificazione sia un processo puramente casuale e acquisitivo, e perci non sia
tanto fine a se stesso quanto in grado d dare all'io il mezzo di sviluppare i suoi
poteri. In una prospettiva concreta, ci significherebbe, per esempio, che un
individuo mediocremente dotato a esprimere i suoi impulsi estetici
plasticamente e a esercitare questo suo dono in umili e sincere forme
(trascurando, forse, tutti gli altri pratici interessi), ipso facto pi
culturalizzato di una persona di brillanti qualit al corrente in modo generale
di tutto il meglio che sia stato pensato, sentito e fatto, ma che non mai
riuscito a mettere parte dei suoi interessi in diretta relazione col suo io
volizionale, con la parte pi intima della sua personalit. Un individuo di
quest'ultimo tipo, con tutte le sue brillanti doti, lo diciamo piatto. Una persona
piatta non pu essere veramente culturalizzata. Naturalmente, pu essere
altamente culturalizzata nel senso convenzionale della parola cultura, ma si
tratta di cosa diversa. Non sarei ben capito se mi si attribuisse la convinzione
che la creativit diretta essenziale, bench essa sia molto desiderabile per lo
sviluppo della cultura individuale. Generalmente, possibile acquisire un senso
della richiesta padronanza congiungendo la propria personalit con quella delle
grandi menti che la societ ha riconosciuto come suoi significanti creatori.
possibile, cio, nella misura in cui un tale rapporto, una tale esperienza
sostitutiva, siano perseguiti da una parte della nostra attivit, tendere verso una
realizzazione che sia inseparabile dallo sforzo creativo. E da temere, tuttavia, che
l'autodisciplina qui implicita non sia cos spesso praticata. La congiunzione, come lo
l'ho chiamata, dell'io con lo spirito maestro troppo spesso degenera in una comoda
servit, in una facile rinuncia della propria individualit, tanto pi insidiosa in
quanto essa ha l'approvazione del giudizio corrente. La comoda servit pu
degenerare ancor pi in un vizio. Quanti di noi non siano del tutto ciechi possono
scorgere in certe nostre conoscenze, se non in noi stessi, un indulgere verso beni
estetici o scientifici, strettamente comparabile allabuso che si fa degli alcoolici.
Entrambi i tipi di questi atteggiamenti servili e rinunciatari indicano una
personalit debilitata, ed entrambi sono antitetici alla formazione della cultura.
L'io individuale, allora, nella sua aspirazione alla cultura, si attacca al
patrimonio culturale della societ in cui vive, non tanto a causa del piacere
passivo di acquisirlo, quanto a cagione dello stimolo dato alla personalit in
sviluppo e dell'orientamento derivato nel mondo, o meglio in un mondo, di
valori culturali. L'orientamento, per quanto convenzionale possa essere, necessario
se non altro per dare all'io un modus vivendi con la societ in senso largo.
L'individuo ha bisogno di assimilare il pi possibile il fondo culturale della societ
in cui vive, i sentimenti correnti del suo popolo, onde impedire alla auto-
espressione di degenerare in una sterilit sociale. Un eremita potr essere
genuinamente culturalizzato, ma difficilmente lo sar socialmente. Affermare che la
cultura individuale deve necessariamente nascere organicamente dal ricco suolo di
una cultura comunitaria, cosa ben diversa dal dire che essa deve essere sempre
legata a quella cultura pel tramite del cordone ombelicale della fanciullezza. Una
volta che lio individuale sia cresciuto forte abbastanza per incamminarsi nel
sentiero pi chiaramente illuminato dalla propria luce, allora non soltanto pu
ma dovrebbe liberarsi il pi possibile dell'impalcatura che gli ha consentito
l'ascesa. Nulla pi patetico della ostinazione con la quale ben intenzionati
aspiranti alla cultura tentano di mantenere o risuscitare quegli stimoli culturali
a lungo sopravvissuti al loro significato per lo sviluppo della personalit. Mantenere o
far rivivere il greco in un individuo, per esempio, in quei numerosi casi in cui la
conoscenza del greco ha cessato di avere una genuina relazione coi bisogni dello
spirito, quasi un crimine spirituale. E ipocrisia incoraggiare lo spirito altrui verso cose
ritenute inutili per s. Se, percorrendo il sentiero dell'illuminatone dell'io, si giunge a
un punto considerato distruttivo dei veri valori di cui l'io si nutriva, come accaduto,
sia pure in modo diverso, a Nietzsche e a Toistoj, ci non significa menomamente
perdere il contatto con la cultura genuina. Al contrario; ci pu voler dire che si
giunti al pi alto punto possibili dei proprio sviluppo culturale,
Nietzsche e Tolstoj rappresentano, tuttavia, tipi opposti di personalit. N si
corre pericolo che la grossa schiera dell'umanit culturalizzata andr mai ad
occupare posizioni spirituali di tale rigore e originalit. Il pericolo vero, come
largamente testimoniato dall'esperienza quotidiana, sta invece nel cedere alle forze
spietatamente livellatrici del comune retaggio culturale e dellazione della mentalit
media sulla media intelligenza. Tali forze tenderanno sempre a una generale
standardizzazione e del contenuto e dello spirito della cultura, cosi potentemente, in
verit che nessun pericolo pu venire dalleffetto eversivo recato da poche forti
personalit autonome. Preoccuparsi della conformit alla tradizione, che i campioni di
cultura cos spesso si sentono chiamati a proclamare, cosa che generalmente possiamo
trascurare. Invece, la preoccupazione opposta, quella cio della conformit alla natura
essenziale propria dell'individuo, ha bisogno, infatti, di essere incoraggiata come un
possibile reagente alla piatta e tediosa identit della prospettiva spirituale, all'anemica
credenza belle pronta, alla sorda intolleranza di ogni sfida, che tanto paralizzano lo
spirito americano.
Del carattere genuino della cultura, e individuale e comunitaria, non si pu dare
maggior prova di quella che mostra latteggiamento adottato verso il passato, le sue
istituzioni, i suoi tesori d'arte e di pensiero. L'individuo o la societ di autentica
cultura non rigettano sprezzantemente il passato. Onorano le opere del passato, non
perch siano gemme fortuite della storia, n perch, essendo fuori del nostro
orizzonte, esse debbano necessariamente essere riguardate attraverso il sacro
cristallo delle bacheche da museo. Queste opere suscitano ancora in noi sincero
interesse e simpatia poich, e soltanto a tal titolo, esse possono essere riconosciute
come l'espressione d uno spirito umano vivamente affine al nostro, malgrado tutte
le differenze formali. Il che equivale quasi a dire che il passato di interesse
culturale soltanto quando ancora presente o pu anche diventare futuro.
Per paradossale che ci possa sembrare, lo spirito storico sempre stato in certo
senso come un inconscio deterrente dell'utilizzazione culturale del passato. Lo spirito
storico dice: Attenzione, quei pensieri e quei sentimenti che voi tanto
avventatamente pensate di incorporare nell'ordita trama del vostro spirito
appartengono ad altro tempo e luogo e sono stati ispirati da motivi diversi, Nel
piegarvi sopra di loro non fate che oscurarli con l'ombra dei vostro spirito.
Codesta fredda riserva un modo eccellente per far della storia; ma dubbia la
sua utilit nella fondazione di una cultura nel presente. Sappiamo infinitamente di
pi sulla antichit ellenica, oggi, di quanto non ne seppero i letterati e gli artisti
del Rinascimento, e sarebbe follia pretendere che la nostra viva utilizzazione dello
spirito ellenico, pur potendolo conoscere perfettamente, sia comparabile
all'ispirazione, allo stimolo creativo, che quegli uomini del Rinascimento
trassero da una tradizione frammentaria e mutila. E difficile pensare a una
rinascenza di quel tipo prosperante nella critica atmosfera di oggi. Noi dovremmo
avanzare con tanta cautela sui sentieri del passato per il timore di mettere il
piede su qualche anacronismo, per non cadere, infine, vinti dalla fatica, in un
pesante torpore, dal quale saremmo risvegliati soltanto dall'insistente strepito del
presente. E possibile che nel nostro stato presente di sofisticazione, un tale spirito
critico, di distacco, non sia soltanto inevitabile ma essenziale alla conservazione
della nostra individualit. II passato ora pi che mai un passato. Forse
dovremmo aspettarci da esso meno d quanto mai prima ci attendemmo. O meglio
non altro aspettarci se non che mantenga i suoi portali spalancati, per poter
entrare e dispogliare il passato di quel tanto che abbiamo scelto per i nostri
bei mosaici. Pu essere che il senso critico della storia, che galvanizza il
passato entro la vita scientifica, sia destinato a distruggere questo passato alla
vita della cultura? Pi probabilmente, sta accadendo che le correnti spirituali
odierne stiano correndo cos in fretta, e in tanta turbolenza, che ci difficile
trovare una prospettiva culturalmente vitale del passato, che in tal modo
lasciato, nel nostro tempo, come una mummia glorificata nelle mani di sapienti
bramini. E, per il tempo presente, quanti di noi assumono la cultura non come
conoscenza n come maniera, ma come vita, chiederanno del passato non tanto
che cosa, quando? e dove? quanto come e l'accento di questo
come sar modulato in accordo coi bisogni dello spirito di ciascuno, uno
spirito libero di glorificare, di trasformare e di rigettare.
Ricapitolando, circa il posto dell'individuo nella nostra teoria culturale,
possiamo dire che la ricerca della cultura genuina implica due tipi di
riconciliazione. L'io cerca di trovare istintivamente una regola. Nel processo
di acquisizione d un senso non crudo di padronanza ma proporzionato al grado
di sofisticazione proprio del nostro tempo, l'io costretto a soffrire una
riduzione e a subire un'impronta. L'estrema differenziazione di funzioni cui il
progresso umano ha costretto l'individuo ne minaccia lo spirito; e noi nulla
possiamo fare se non sottometterci con buona grazia a questa riduzione della
nostra attivit, ma non si deve consentire di tarpare indebitamente le ali dello
spirito. Questa la prima e la pi importante riconciliazione - la scoperta di
tutto un mondo di soddisfazioni spirituali entro gli stretti limiti di una
attivit economica insolitamente confinata. L'io deve porsi a un punto cui possa,
se non abbracciare lintera vita spirituale del suo gruppo, almeno coglierne
sufficientemente i raggi che irrompono nella luce e nella fiamma. Inoltre, lio
deve apprendere a conciliare i suoi sforzi, le sue imperiose necessit, con
l'intera vita spirituale della comunit. Deve contentarsi di prendere alimento
dalla coscienza spirituale di quella comunit e del suo passato, non
semplicemente perch lio possa ottenere il mezzo di crescere interamente, ma
perch possa crescere dove il suo potere, grande o piccolo, possa venire in
contatto con una vita spirituale cui partecipino strettamente altri individui. E
ancora, malgrado ogni riconciliazione, lio ha il diritto di sentirsi crescere in uno
sviluppo spirituale, integro e equilibrato, le cui giustificazioni ultime riposino in
se stesso, i cui sacrifici e compensazioni debbano essere giustificate da se stesso.
La concezione dell'io come un mero strumento per raggiungere fini comunitari,
sia di stato o d'altro corpo sociale, deve essere scartata come responsabile a
lungo andare di assurdit psicologiche e di schiavit spirituale. Spetta soltanto
all'io di concedere, se deve esserci qualche concessione. La libert spirituale,
nella sua essenza, non unelemosina dispensata, ora indifferentemente ora a
malincuore, dal corpo sociale. Il fatto che una diversa filosofia delle reazioni
dell'individuo col suo gruppo sia ora cos prevalente, rende sempre pi
necessario insistere sulla primazia spirituale dell'anima individuale.
E un fatto degno di nota che ogni volta che si discuta di cultura,
istintivamente si ponga l'accento sull'arte. E ci si applica sia alla cultura
individuale che a quella comunitaria. Noi applichiamo il termine
culturalizzato soltanto con riserva a un individuo nella cui vita il
momento estetico non ha luogo. Cosi pure, se vogliamo cogliere qualcosa dello
spirito, del genio, di un periodo trascorso o di una civilt esotica, ci volgiamo
prima e innanzitutto alla sua arte. Un'analisi superficiale non vedrebbe in ci
altro che retorica, una retorica sulla bellezza, il decorativo, che si accorda con la
concezione convenzionale della cultura come vita di raffinamento improntata alla
tradizione. Ma un'analisi pi penetrante rifiuta una tale interpretazione. Per
essa le pi alte manifestazioni di cultura, la vera essenza del genio di una
civilt, risiede necessariamente nell'arte, poich larte l'autentica espressione,
in forme soddisfacenti, dell'esperienza; esperienza non come logicamente
regolata dalla scienza, ma come rappresentazione diretta e intuitiva della vita.
Poich la cultura risiede, nella sua essenza, nello sviluppo armonioso del senso
di padronanza istintivamente perseguito da ogni anima individuale, ci pu sol-
tanto significare che larte, la forma di consapevolezza in cui l'impronta
dell'io pi diretta, meno ostacolata dalle necessit esteriori, sopra tutte le
altre intraprese dello spirito umano intesa a riflettere la cultura. Raccontare le
nostre vite, le nostre intenzioni, le nostre caduche passioni in forme espressive che
convincano gli altri e ci facciano rivivere in questi altri, la pi alta soddisfazione
spirituale che noi conosciamo, la pi alta fusione di individualit con lo spirito
della sua civilt. Se mai larte fosse veramente perfetta nella sua espressione,
allora essa sarebbe immortala. Ma anche larte pi grande piena di scorie
convenzionali, piena delle particolari sofisticazioni del suo tempo. E, come esse
mutano, la forza espressiva di ogni opera d'arte tende ad essere sempre pi
sentita come ostacolata da un che di rigido e di alieno, finch a poco a poco non
cada nell'oblio. Mentre l'arte vive, essa appartiene alla cultura; ma nella misura
in cui essa assume la frigidit della morte, interessa soltanto lo studio delle
civilt, Cos ogni giudizio sull'arte (e perci sulla produzione artistica) ha due
facce. Ed una sfortuna che la faccia diretta alla civilizzazione sia cos spesso
confusa con quella fissata sulla cultura.
Geografia culturale.
Una particolarit spesso notata nello sviluppo culturale il fatto che esso
raggiunge le sue pi grandi altezze in gruppi autonomi relativamente piccoli.
Infatti dubbio che una cultura genuina possa mai propriamente appartenere a pi
che un tal gruppo ristretto, un gruppo fra i cui membri si pu dire che esista,
qualcosa come un contatto spirituale diretto e intensivo. Questo diretto contatto
arricchito dal comune retaggio culturale del quale le menti di tutti si nutrono, e
reso pronto e fecondo dalle migliaia di sentimenti e di idee che tacitamente
vengono assunti e costantemente brillano sullo sfondo. Piccoli gruppi siffatti,
culturalmente autonomi erano l'Atene dell'et di Pericle, la Roma di Augusto, i
liberi comuni italiani del basso medioevo, la Londra dei tempi elisabettiani, e la
Parigi degli ultimi tre secoli. d'uso comune parlare di alcuni di questi gruppi e
delle loro culture come se esse si identificassero, o rappresentassero culture e gruppi
largamente estesi. Per una curiosa estensione, tale uso, in realt, un modo
figurato di parlare, di intendere una parte per il tutto. E sorprendente, per
esempio, quanto buona parte della cosiddetta storia della letteratura francese sia
in realt la storia dell'attivit letteraria svolta nella citt di Parigi. E ben vero
che una cultura strettamente localizzata pu e spesso estende la sua influenza ben
oltre la sua sfera propriamente ristretta. Talvolta essa determina il cammino di
un'intera nazione, di un lontano impero. Tuttavia ci pu avvenire soltanto a spese di
una diminuzione spirituale non appena essa cultura esce dai suoi confini, di un
decadimento in un atteggiamento imitativo. Se noi intendessimo con pi acutezza
quanto incida il rapido estendersi o imporsi di una cultura, in qual misura essa si
propaghi annientando i germi di sviluppi autonomi pi salutari, saremmo meno
desiderosi di accogliere tendente uniformatrici, meno inclini a reputarle di natura
progressiva. Una cultura pu ben essere vivificata dal di fuori, ma la sua
sostituzione con un'altra, sia essa o no superiore, non rappresenta un guadagno
culturale. Non ci riguarda, in questa sede, se sia essa seguita o no da un vantaggio
politico, poich il deliberato proposito di imporre una cultura direttamente per le
spicce, non importa se avallata da buon volere, un affronto allo spirito umano.
Quando un tal proposito viene appoggiato non da buon volere, ma dalla spietata
forza militare, allora si tratta del pi grande delitto concepibile contro lo spirito
umano, il modo di rinnegare in toto la cultura.
Ci significa che dobbiamo volger le spalle a tutte le tendenze
internazionalistiche e vegetare per sempre nel nostro nazionalismo? A questo punto ci
imbattiamo nel diffuso errore che l'internazionalismo sia nella sua essenza opposto
allo sviluppo intensivo delle culture autonome. L'errore procede dal non intendere che
internazionalismo, nazionalismo e localismo sono forme cui possono essere dati
vari contenuti. Noi non possiamo discutere con intelligenza di internazionalismo
prima di sapere perch dobbiamo essere internazionalisti. Purtroppo siamo cos
ossessionati dall'idea di subordinare ogni forma di associazione umana allo stato e
di considerare ogni tipo di attivit come confinante con la politica, che ci diffi-
cile accordare l'idea di una autonomia di cultura locale o strettamente nazionale
con una sovranit dello stato, puramente politica, e con un internazionalismo
economico- politico
Nessuno in grado di vedere con chiarezza quali saranno le conseguente
maggiori degli attuali conflitti mondiali. I quali possono inasprire invece che
alleviare gli odi politico-nazionali e tendere cos a rafforzare il prestigio dello
stato. Ma tale deplorevole risultato non pu essere che una fase transitoria.
Ancor oggi evidente che la guerra, in vari modi, ha tracciato la strada per un
internazionalismo economico, e, a mo di corollario, semipolitico. Tutte quelle
sfere di attivit relative al soddisfacimento di fini immediati, che, dal punto di
vista da noi raggiunto, altro non sono che mezzi, tenderanno a diventare funzioni
internazionali. Tuttavia i processi di internazionalizzazione si adatteranno da s
particolarmente, essi saranno in sostanza soltanto il riflesso di quella
crescente impazienza dello spirito umano circa la preoccupazione dei fini
diretti, di cui si detto sopra. Tali problemi sopranazionali, quali la distribuzione
di beni economici, il trasporto delle derrate, il controllo delle vie di
comunicazione, la zecca, e numerosi altri, devono eventualmente passare nelle
mani di organizzazioni internazionali per la semplice ragione che gli uomini non
saranno in eterno leali verso l'inutile amministrazione nazionale di funzioni che
sono essenzialmente del campo internazionale. E poich questo campo internazionale
sta per essere completamente realizzato, le nostre attuali infatuazioni di prestigio
nazionale nella sfera economica si mostreranno per quelle spirituali imbecillit che
sono.
Tutto ci in stretta relazione con l'eventuale sviluppo culturale. Finch la
cultura sar riguardata come un appannaggio decorativo di larghe unit
politiche, si pu ragionevolmente dedurre che la sua conservazione
subordinata al mantenimento del prestigio di tali unit. Ma la cultura genuina
inconcepibile fuori della base di una coscienza spirituale altamente individuale,
essa raramente resta viva e penetrante quando si estende superficialmente su
un'area interminabile, giacch nei suoi scopi pi alti in nessun modo deve
sottomettersi ai vincoli economici e politici, Ora una cultura internazionale
generalizzata difficilmente concepibile. L'unit politico-nazionale tende ad
avocare a s la cultura e fino a un certo punto ci riesco, ma soltanto al prezzo di
un serio impoverimento culturale di vaste zone del suo territorio. Se l'integrit
politica ed economica di queste larghe unit, statalmente controllate, viene a
poco a poco minata dal crescere di funzioni internazionali, la loro raison
dtre culturale deve anche tendere a indebolirsi. La cultura deve tendere perci
con intensit sempre crescente a stringersi intorno a unit politiche minori e
relativamente piccole, unit che non siano tanto larghe da assorbire
l'individualit che alla cultura come il vero alito della vita. Fra questi due
processi, l'integrazione di forze economiche e politiche in una sovranit del
mondo e la disintegrazione della nostre attuali abnormi unit di cultura in piccole
unit la cui vita sia veramente virile e individuale, il feticcio dello stato presente,
con la sua incontrollata sovranit, pu in un indistinto futuro essere destinato a
sparire, Lo stato politico attuale stato messo a lungo alla prova e si dimostrato
inefficace. Le nostre unit politico-nazionali sono troppo piccole per la pace e
troppo grandi per la sicurezza. Son troppo piccole per l'intelligente soluzione dei
vasti problemi nella sfera dei fini diretti, e troppo grandi per il fecondo
arricchimento dei fini pi remoti, per la cultura.
Nel Nuovo Mondo, forse pi che in ogni altra parte del globo, manifesta la
natura insoddisfacente di una cultura geograficamente diffusa, di piccola profondit
o individualit iniziale. rattristante trovare sostanzialmente le stesse
manifestazioni culturali, materiali e spirituali, spesso fin nei pi minuti
particolari, sia a New York che a Chicago e a San Francisco. Ci indica una
superficialit nella cultura stessa e una disposizione alla imitazione nei suoi
portatori, non certo rassicuranti. Anche se non definito, il modo di uscire
dalla piatta palude culturale chiaramente discernibile per il presente, e non
bene continuare a scaldarsi al sole della autosufficienza, che pu esserci d'aiuto
soltanto nello scandaglio del cuore e nel mostrarci in che cosa esso sia insufficiente.
Non importa se esageriamo la nostra debolezza; preferibile deprimersi che
esaltarsi. Siamo stati abituati ad aver fiducia in risultati essenzialmente quan-
titativi che sono dovuti a una natura insolitamente favorevole e a una tendenza
favorevole di condizioni economiche piuttosto che a qualcosa in noi. Le nostre
vittorie sono state brillanti ma troppo spesso improduttive per la cultura.
L'abitudine di giocare con dadi truccati ci ha posti in una pericolosa
posizione d passivit - pericolosa, cio, per la cultura. Riccamente adagiati
dietro comode cattedre, attendiamo che i grandi fatti culturali ci accadano.
Abbiamo caricato il meccanismo - uno stupendo meccanismo - da cui la
cultura si esprima in tutta la sua pesante panoplia. Il piccolo incremento di
individualit che solo fa cultura nell'io ed eventualmente edifica una cultura
nella comunit sembra non so come sdegnato, molto pi facile amministrare
una cultura in scatola.
Proprio ora ne stiamo aspettando una gran quantit dalla guerra
europea. Nessun dubbio che la guerra e le sue ripercussioni ci libereranno in
parte dalla nostra piatta rispettabilit e apriranno la porta ad alcune correnti
culturali invero stimolanti, ma, se non stiamo attenti, tali influenze possono
subito irrigidirsi in nuove standardizzazioni o affievolirsi in un altro genere di
atteggiamenti imitativi e di reazioni. La guerra e le sue ripercussioni non
possono essere una causa culturale sufficiente, al massimo sono un'altra
combinazione di condizioni favorevoli. N dobbiamo stupirci troppo se una
cultura periclea non venga in qualche modo a sbocciare automaticamente.
Presto o tardi dovremo risolverci all'umile compito di esplorare gli abissi della
nostra coscienza e portare alla luce quanti sinceri frammenti di esperienza
riflessa possiamo trovarvi. Tali frammenti non sempre saranno splendenti,
non sempre saranno per piacere, ma saranno genuini. Allora noi potremo co-
struire. Nel tempo, nel copioso tempo - giacch noi dobbiamo avere pazienza -
una cultura genuina, meglio ancora, una serie di culture autonome interattive
adorner la nostra vita. E New York, Chicago e San Francisco vivranno
ognuna nella propria forza culturale, non guardandosi l'un l'altra di
traverso spiando quale di esse superi le altre nella corsa ai valori esterni,
ma ognuna serenamente dimentica delle sue rivali poich la loro crescita
avverr in un terreno di valori culturali genuini.

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