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Lo “storytelling” è oggi essenziale nel campo della comunicazione. Con storytelling ci si riferisce al “narrare
storie”, quindi al potere persuasivo della comunicazione. Il quale può essere esercitato: argomentando,
facendo quindi ricorso ad argomenti logici, oppure narrando, coinvolgendo quindi il destinatario in modo
emozionale. Abbiamo due tipi di pensiero legati allo storytelling, quello paradigmatico e quello narrativo.
Quello paradigmatico è quello scientifico e matematico, quello narrativo invece indaga le intenzioni umane,
con esperienza particolari annesse (sfera emotivo-sentimentale).
Negli ultimi decenni la sfera emozionale è diventata sempre più di fondamentale importanza, tanto che si è
iniziato a parlare di “lovemarks” riguardo quei brand che si guadagno non solo il rispetto, ma anche l’amore
dei propri consumatori.
Tre dimensioni collegate a questa frase. La prima è la storia, quindi il contenuto narrativo. La seconda è il
discorso, cioè il modo in cui si organizza il materiale narrativo. La terza è la narrazione, quella più
strettamente collegata allo storytelling, cioè l’atto di produrre un racconto che sia scritto o orale.
Concetto di narratività: un insieme di codici, procedure e operazioni indipendenti dal medium nel quale
esse si possono realizzare, ma la cui presenza in un testo ci permette di riconoscere quest’ultimo come
racconto. (André Gardiés)
Perché avvenga la narrazione devono essere rispettate delle condizioni fondamentali: ci deve essere uno
scopo (che cosa?), uno o più motivi (perché?), uno o più agenti (chi?), una certa circostanza (come?), il tutto
calato in un contesto descrittivo secondo strutture temporali.
La forma narrativa, come ciò che ci permette di collegare fatti ed organizzarli, dando così ordine e logica, ci
serve per dare senso alla narrazione, che diventa esperienza.
Il punto di vista è fondamentale per costruire una narrazione, siccome narrare diventa una proposta
dell’interpretazione da utilizzare. Una narrazione non è mai neutra, ha sempre alla base dei sistemi di valori
che permettono di leggere la realtà.
7.1.4 NARRARE Ѐ PRESENTARE UN PROGRAMMA D’AZIONE
Il fatto che esistano vari punti di vista nella narrazione, significa di conseguenza che ci saranno anche
scontri per via di punti di vista differenti. Quando però il punto di vista diventa collettivo e l’agente diventa
il “noi”, allora la narrazione diventa un vero e proprio programma d’azione (tipico della politica e del
rinnovamento in generale).
Se si parla di BRAND, il mondo possibile è legato all’immaginario di marca, costruito con parti
dell’immaginario sociale già esistente e valori apprezzati e condivisi dal proprio target ideale. Le basi per un
brand di successo sono: visibilità, permanenza e coerenza.
Importante è anche il capitale narrativoRaccoglie i punti salienti della propria storia, indirizzandoli verso i
dipendenti. Costituisce schemi di causa ed effetti, diffonde le pratiche buone e rende esplicite le
conoscenze tacite.
La pubblicistica americana tende ad ignorare gli studi accademici sullo storytelling. Si focalizza su come le
storie vengono usate, ma non su come vengono fatte. Lo storytelling però si basa sul riattualizzare “miti” ed
“archetipi”. Il racconto inizia ad essere studiato in maniera scientifica dagl’anni ’20 del ‘900. Riconosciamo
quindi la struttura monotipica (fase preparatoria, avvio, vicenda, conclusione) e le funzioni suddivise in base
ai personaggi (eroe, antagonista, donatore del mezzo magico, aiutante dell’eroe, principessa e re suo
padre, falso eroe). Schema che si può applicare anche alla mitologia e al “viaggio dell’eroe”.
Altra distinzione all’intero di un testo narrativo avviene tra il piano dell’espressione, quindi ciò che
percepiamo sensorialmente dal testo e il piano del contenuto, all’interno del quale troviamo il livello semio-
narrativo (la storia) e il livello discorsivo(il discorso). Il livello semio-narrativo a sua volta si distingue in
profondo e di superficie. Quello profondo è ciò che sta alla base di ogni testo, mentre quello di superficie
riguarda le strutture che sorreggono il racconto.
Tutte le narrazioni basate sull’opposizione di diversi sistemi di valori, ai quali viene affibbiato in maniera
binaria la qualità di positivo-negativo. (lontananza-vicinanza, euforia-disforia etc). Per definire quindi un
termine in base all’opposizione che troviamo nei suoi termini di paragone viene utilizzato il quadro
semiotico. All’interno del quale troviamo l’opposizione qualitativa, che è tipica dei contrari, quella privativa,
che è tipica dei termini contraddittori (bianco e non-bianco). Nel caso di “non-bianco” e “non-nero”
abbiamo una relazione tra sub-contrari e nel caso di “bianco” e “non-nero” una relazione di
complementarietà.
Si considera tale il livello di analisi del testo più superficiale, al centro del quale viene posta l’identificazione
delle strutture narrative ricorrenti. Utile perché proprio questo è lo strato del desiderio, ossia il valore di
base della narrazione( soggetto-oggetto-desiderio) e proprio basandosi su questo schema si sviluppa la
mancanza. Basandosi sempre sul rapporto soggetto-oggetto-desiderio si sviluppa la fase del contratto, cioè
il momento in cui il soggetto vuole congiungersi con determinati oggetti, che è il meccanismo utilizzato
dagli spot pubblicitari. Il tutto indirizzato ad un destinante/destinatario che è il target di riferimento.
L’oggetto desiderato dunque diventa il valore d’uso. La distinzione tra valori di base e valori d’uso va ad
individuare un quadrato dei valori di consumo, che identifica diverse strategie “narrative” della
comunicazione e del marketing, chiamate valorizzazioni.
Valorizzazione utopica: sono i valori esistenziali, relativi alla vita del soggetto. Il manifestare il
proprio modo di essere, passioni e aspirazioni.
Valorizzazione pratica: si riferisce ai valori d’uso, quindi l’oggetto considerato come strumento, per
l’utilità.
Valorizzazione critica: sono i valori non esistenziali, la mediazione tra opposti (ossimoro?) ad
esempio +innovazione/-costo
Valorizzazione ludica: valorizzazione non utilitaristica, si riferisce quindi ai beni di lusso.
Il programma narrativo è quindi la fase centrale del racconto, la performanza, la quale rappresenta la fase
preliminare della competenza, che si realizza tramite quattro “modalità”(desiderio-dovere-sapere-potere).
Nella fase dell’acquisizione della competenza, entrano l’opponente e l’aiutante. Non si confonda
l’opponente con l’antagonista, il quale viene invece considerato come un anti-soggetto che vuole
congiungersi con l’oggetto (Ariel-soggetto, Re tritone-opponente, Principe-oggetto, Ursula-antisoggetto).
Infine la fase della sanzione, che è quando il destinante giudica l’operato del soggetto. La sequenza
narrativa può quindi organizzarsi in: contrattocompetenzaperformanzasanzione
All’interno di un racconto il narratore può cambiare ripetutamente. Per questo in semiotica si parla di
enunciazione, atto di produrre un enunciato; enunciatore, chi parla ed enunciatario, di chi si parla.
Altro macrotema del livello discorsivo è la dimensione figurativa, che possono essere le ambientazioni
come le caratteristiche dei personaggi.
Gli elementi espressivi sono quelli collegati principalmente ai sensi, sfruttandoli per la narrazione. L’efficacia
comunicativa si basa anche sui modi con cui viene narrata ed in questo gli elementi descrittivi giocano un
ruolo fondamentale.
8. MONDI NARRATIVI, FICTION E BRANDING( o come costruire un’imbattibile macchina testuale
transmediale)
Jenkins nel 2003 teorizza il concetto di comunicazione transmediale, che sarà argomento chiave per la
comunicazione del primo decennio del secolo. In modo particolare si va a concentrare sul rapporto tra
comunicazione transmediale e il branding.
La serie TV “Lost” portò alla creazione alla generazione di altri media e piattaforme comunicative.
Espandendosi anche su blog, videogiochi etc… chiaramente il prodotto transmediale può partire da
qualsiasi tipi di media. Nel caso di “Lost” è stata una serie, nel caso pokemon, un videogioco.
Jenkins, quando parla di transmedia storytelling si riferisce alla tendenza dell’industria culturale a creare
storie che si diffondono attraverso diversi sistemi mediali e piattaforme. C’è chi dice che il transmediale
avviene solo per quei prodotti a sé stanti che aggiungono qualcosa di originale alla storia sulla quale si
basano, altri invece che per essere tali devono essere fedeli alla storia originale. La questione rimane
ancora aperta.
La marca è la sintesi perfetta tra mondo materiale e simbolico. La marca fa parte ormai del mondo
narrativo. Le marche hanno una storia e una serie di valori che si sviluppano all’interno della storia. Il
consumatore che sceglie una determinata marca, si dice che stabilisca un contratto semiotico con la marca
in questione. Quindi il mercato è uno spazio simbolico in cui ogni azienda cerca di imporre la propria storia.
Quindi ogni azienda si andrà a valorizzare secondo certi aspetti. La narrazione serve a differenziare la
posizione simbolica delle aziende e a fidelizzare la clientela.
8.3.1 PRODUCT-PLACEMENT
Esprime molto chiaramente il rapporto tra marche e mondi narrativi. Pratica tipica del mondo televisivo. Il
product placement però deve essere dosato e fatto nel modo giusto, perché rischia di eclissare il contenuto
narrativo nel quale si inserisce e in tal caso perde la sua efficacia.
Merchandising da sempre collegato al marketing, oggi sempre più approfondito anche dagli studiosi di
comunicazione, chi tratta di narratologia non può non averne fondamenti. Il merchandising in sé nasce
dalla narrazione e può essere studiato sotto questo punto di vista. Il fenomeno più interessante è proprio
quello dell’inversione, prima il product placement era sempre per la marca, quello inverso invece fa sì che
un mondo narrativo diventi marca (es. Harrry Potter).
La perdita di credibilità della pubblicità ha portato ad una comunicazione più intima ed “ambientale”, dove
la marca diventa sinonimo di esperienza come stile di vita. La logica della marca può applicarsi a tutto
(università, musei, produzioni audiovisuali etc).
L’esperienza Disney è paradigmatica perché dagl’anni ’30 ad oggi è riuscita ad integrare cinema, televisione,
turismo, parchi tematici e merchandising. (Programma televisivo trasmesso dalla ABC suddiviso nelle
quattro sezioni tipiche dei parchi tematici: Fantasyland, Adventureland, Frontierland, Tomorrowland). Per
Disney i contenuti transmediali e l’importanza del merchandising diventeranno colonna portante
dell’azienda.
Un atro pilastro è il franchising, segnato dall’esperienza di “Star Wars”. Il regista George Lucas firmò
contratto con la 20th Century Fox, non volendo contanti, ma controllo del marchio, in modo tale da
controllare i sequel, i diritti del merchandising, final cut e il 40% del botteghino. Da quest’esperienza nasce
il mondo del franchising, considerato una stupidaggine negl’anni ’80, diventato fondamentale in seguito.
Lucas fu un pioniere incosapevolmente, poiché lui voleva solo mantenere sotto controllo il mondo
narrativo.
Con la fine degl’anni ’80 e inizio ’90 anche la Warner fa del merchandising una propria strategia, andando
ad incrementare gli incassi del 75%. La logica del branding fu adottata per rilanciare anche personaggi già
esistenti (Space Jam del 1996 e i Looney Tunes).
The Matrix in tutto ciò rappresentò un grande prodotto contraddittorio del branding. Denunciava
l’alienazione della società ipercapitalista, incarnando i paradigmi del branding. “Matrix” fu la risposta di
Hollywood al mondo crescente dei videogiochi. Fu quindi un esempio del rapporto fra la marca e il
transmedia storytelling.
The Lord of the Rings si rivolge ad un pubblico più segmentato, fan che avevano già letto I libri, persone che
ne avevano sentito parlare e quelli che non li conoscevano. La sfida narrativa era importante soprattutto
nella selezione del target, dovendosi confrontare con Harry Potter, il quale invece si rivolgeva ad un
pubblico di famiglie. La strategia di “the lord of the Rings” fu quella di non bombardare il pubblico, ma di
puntare alla sua fidelizzazione, con una strategia incrementale e d’indipendenza. Anche nel caso di Harry
Potter si adottò la stessa strategia, per non rischiare che il mercato ne diventasse saturo, poiché alla base di
entrambe le marche, ci sono comunque valori letterari ed infantili (nella sua concezione positiva).
8.5 CONCLUSIONI
Analizzata la situazione è ormai d’obbligo porsi a considerare sempre le forme di comunicazione in un’ottica
transmediale. Partecipare in un mondo narrativo-marca nasce dalla confluenza di: 1) adesione della
pubblicità e della marca alla logica narrativa. 2) La trasformazione di narrazioni e personaggi in brand. La
pubblicità passa dal product-centered all’ user-centered. In molti casi negl’ultimi anni si è investito anche
nella post-produzion, lasciandogli spazio narrativo.
Prima della rivoluzione digitale, oggetti come televisione, macchina fotografica e il telefono era a sé stanti.
Oggi hanno punti in comune, che può essere definita come “convergenza digitale”. La convergenza è il
prodotto della miniaturizzazione dell’hardware.
14.1.1 LA STAMPA
La stampa nasce nel 1450 a Magonza con l’invenzione dei caratteri mobili di Johannes Gutenberg. La
stampa viene considerata come prima vera “rivoluzione tecnologica”
14.1.2 LA FOTOGRAFIA
Primi anni dell’Ottocento, Parigi, Louis Daguerre fissa l’immagine attraverso una cemra oscura su una lastra
di rame. Per la prima volta, si ha una raffigurazione oggettiva della realtà, che la pittura non poteva dare.
Fermare il tempo e cogliere l’attimo. La soggettività viene comunque espressa nella fotografia con gli anni
(es. photoshop)
14.1.3 IL TELEGRAFO
1837 Cooke e Wheatstone brevettano il telegrafo elettrico, ma sarà Samuel Morse a raffinarlo e brevettare
il sistema di codifica “Codice Morse”. Anche se già nel 1792 Claude Chappe aveva inventato il telegrafo
ottico, quello elettrico però viene considerato come la prima comunicazione in tempo reale della storia.
14.1.4 IL TELEFONO
1849 Antonio Meucci effettua i primi esperimenti che vent’anni dopo lo porteranno alla creazione del
“telettrofono”. L’attribuzione fu particolarmente tribolata, tra lui ed uno statunitense, ma alla fine nel 2002
gli fu riconosciuto il contributo essenziale anche dagli U.S.A. Stesso meccanismo del telegrafo, ma
trasmetteva la voce umana.
14.1.5 LA RADIO
Anche per la radio, l’attribuzione è controversa: Nikola Tesla, Julio Cervera e Guglielmo Marconi. Cervera
riuscì a trasmettere pochi anni prima di Marconi (1902). Tesla invece, presentò l’apparato nel 1893,
Marconi invece inventò una rete senza fili e a larga diffusione nel 1903, con conseguente Nobel per la
fisica. Prima vera e propria trasmissione nel 1924, negli anni Settanta e Ottanta abbiamo le radio libere e in
seguito siamo passati alle web radio grazie alla connessione internet.
14.1.6 IL CINEMA
L’invenzione del cinema si fa risalire ai fratelli Lumière nel 1894. Il principio è lo stesso della fotografia, ma
la cinepresa è in grado di scattare 25 fotogrammi al secondo.
14.1.7 LA TELEVISIONE
La televisione arriva nel 1925 grazie a John Logie Baird, inventore scozzese. Trenta righe orizzontali e
cinque fotogrammi al secondo. La consacrazione della televisione arriva però con le Olimpiadi di Berlino nel
1936, raggiungendo l’alta definizione con 405 righe e 25 fotogrammi al secondo . Fu necessario il
dopoguerra per avere la televisione a colori, 1953 U.S.A. con 525linee e 30 fotogrammi al secondo. Nel 63 si
stabilì in Europa il PAL (Phase Alternating Line) con 625 righe e 5 fotogrammi al secondo. In Italia la TV a
colori arrivò nel 1977(funzione linguistica uniformatrice).
14.1.8 INTERNET
Da non confondere internet con i servizi. Internet è la rete delle reti, ciò che permette ai dati di circolare
liberamente. La creazione risale aalla fine degli anni sessanta, durante la Guerra Fredda tra Stati Uniti ed
Unione Sovietica. Arrivò in Italia nel 1986 grazie a Robert Khan e Vinton Cerf, quarta in Europa dopo
Norvegia, U.K. e Germania Ovest.
Ray Tomlinson, un programmatore statunitense inviò il primo messaggio da un nodo all’altro della rete
utilizzando “@”, ma fu Shiva Ayyadurai a mettere a punto il sistema elettronico mail nel 1979. Ne ricevette
poi il brevetto nel 1982.
Martin Cooper e i suoi ingegneri furono gli artefici del “radio telephone system” nel 1973. Cooper è
considearo l’inventore del primo telefono cellulare portatile. In Europa furono introdotti dal 1989 e
commercializzati dal 1991, grazie a Motorola.
Alla fine degli anni settanta vengono sviluppati i primi personal computer e nel 1981 iniziano ad essere
commercializzati su larga scala. Il primo viene chiamato “PC IBM”. Nel 1984 s’inserisce la Apple come
principale competitor.
Svizzera, 1991, Tim Berners-Lee pubblica la prima pagina web. La proposta era stata presentata nel 1989,
ma ritenuta vaga. Era un progetto di comunicazione tra i ricercatori dell’istituto nucleare di Ginevra (CERN).
Con la realizzazione del progetto si definirono anche i linguaggi HTML e HTTP. Fu realizzato anche il primo
browser, Nexus. Anche se il primo della storia fu definito Mosaic, realizzato da due studenti dell’NCSA.
La comunicazione è stata rivoluzionata nel corso dei decenni. Siamo partiti da un tipo di comunicazione
unidirezionale, emesso come una fonte, per poi diventare segnale, viaggiare su un canale (presente anche
solo come rumore), per poi essere ricevuto e codificato. Questo modello è il broadcast, che non prevedeva
nessun messaggio di ritorno (da uno a molti). Negli anni ’80 nasce, grazie alla nascita della rete Internet, la
posta elettronica e il canale di trasmissione digitale a due vie di tipo asincrono. Il tipo di comunicazione è
sempre interpersonale. Nel ’92 l’SMS permette di incrementare la comunicazione uno-a-uno o uno-a-molti,
ma non permette di superare i limiti di interattività della posta elettronica. Nel 2003 fa la comparsa
WordPress grazie al quale iniziano a circolare siti web gestibili e fruibili anche senza particolari conoscenze
informatiche e dell’HTML. Sempre nel 2004 inizia l’avvento dei social, con l’arrivo di Facebook. Questo è il
passaggio da una comunicazione “one way” alla comunicazione “multi way”. Nel caso dei social tutti sono in
grado di esprimere la propria opinione, per questo si parla di multi way.
Crescono anche gli elementi di criticità, come la questione delle “amicizie”. Anche il modo di influenzare le
persone cambia. Comunicazione tradizionale: influenza tramite i “two step model”, in prima battuta gli
opinion leader e in secondo luogo dagli opinion leader al pubblico finale. Nel caso di facebook gli opinion
leader sono diventati “influencer”, che grazie a delle doti (?) sono riusciti ad avere un certo numero di
followers che possono potenzialmente influenzare.
14.3 CONCLUSIONI
Importante al fine della comunicazione è raccontare un prodotto, non pubblicizzarlo. Lo storytelling serve a
questo: trasmettere emozioni oltre che informazioni. Altra caratteristica importante è la crossmedialità,
affinchè ci sia una comunicazione aperta e spontanea con il pubblico.
Inizio anni 2000, 350 milioni di persone connesse. 2013, 3,3 miliardi e negli anni sempre a crescere, c’è
stato il cosiddetto salto digitale. Con questa connessione, anche il mondo della marca subirà un
cambiamento radicale. Tutto ciò va a modificare chiaramente anche il nostro modo di acquistare e di
prendere decisioni. Un brand che voglia parlare con la propria audience deve chiaramente tenere in
considerazione i cambiamenti in atto.
Il momento zero è dato dalla ricerca e informazione, in cui i device diventano padroni. Il secondo momento
diventa quindi la recensione o i social, che poi verranno fruiti da altri utenti.
Per questo oggigiorno, il brand deve studiare una tattica che gli permetta di: intercettare il bisogno del
cliente, essere presenta quando il bisogno si manifesta, permettere acquisto online o facilitare l’acquisto
offline, incoraggiare la valutazione dei prodotti ed infine migliorare il rapporto coi consumatori.
Gli owned media sono gli asset principali di un brand per fare CRM (sito web, canali social, blog e database
di utenti). Per ogni attività cambia l’attività che è meglio utilizzare. Piccola azienda, piccolo sito one page,
con pagina Facebook e attività Google My Business. Azienda media ha bisogno di sito web, con canali
social , raccoglitori utenza e customer service. Nonostante le varie strategie, bisogna ricordare che
l’approccio “Mobile First” è sempre di più l’approccio strategico.
ZMOT come esperienza utente (recensione su TripAdvisor, Amazon, Facebook etc). L’approccio degli
Earned Media è quello di sviluppare awareness, stimolando anche l’attenzione del target e generare
engagement con la propria presenza online. Per alcuni brand è importante anche analizzare la propria
reputazione e il “sentiment” della clientela. Anche in questo ambito, l’utilizzo del mobile risulta essere uno
dei focus principali su cui porre le dovute attenzioni. Diventa quindi fondamentale per le marche, disporre
di tutte le risorse, umane e tecnologiche, per fronteggiare situazioni ed avvenimenti in tempo reale.
I paid media sono gli spazi pubblicitari pagati all’interno dei media, che garantiscono visibilità al brand. La
logica di base simile a quella del media classico, paghi per raggiungere il proprio target. I media pagati sono
ciò che attira in primis la sua attenzione, generando prima di tutto awareness.
Principali leve strategiche paid: Search advertising, Display advertising, Social advertising, Video advertising.
La leva del Search advertising agisce sul potere decisionale (Bisogno Ricerca Comparazione
Conversazione Valutazione) la fidelizzazione avviene tra la comparazione e la valutazione. il Search
advertising può essere utilizzato a vantaggio di un brand per cercare di generare una necessità, quindi
agisce principalmente sui primi quattro livelli. Bisogna stare attenti, l’acquisto di keyword deve essere
sempre accompagnato da strategia, altrimenti è un buco nell’acqua. Search è un media pull, attrae
interesse.
Che significa acquistare una keyword su google? Funziona come un’asta, diverse aziende si contendono le
posizioni sponsorizzate più in alto, comunicando a Google stesso quanto posso pagare per una keyword per
l’annuncio più pagina su cui vorrebbero che atterrasse l’utente.
Display advertising nasce nel 1994, con la comparsa dei primi banner sui siti. (Il primo su di AT&T,
compagnia telefonica americana). Il display advertising si colloca nella fase decisionale dell’utente, dove lo
scopo del banner è quello di incuriosire e attirare l’attenzione, si definisce quindi un media push, perché
crea interesse e bisogni. La rivoluzione avvenne con l’acquisto di banner online. I banner online appaiono
solo agli utenti che potrebbero essere potenzialmente interessati , come se comprasse impression in target.
Il brand studia le caratteristiche del target e i profili online che coincidono, vengono intercettati dai banner
online, altrimenti via. Le informazioni di navigazioni degli utenti vengono poi utilizzate nelle aste, questo
processo viene chiamato programmatic advertising, sempre più data-driven e people-centered.
Per analizzare la Social Advertising, bisogna prima analizzare utenti attivi e audience demografica sui
social. Considerando l’anno 2015, Facebook rimane il colosso per il numero di utenti attivi, anche per quello
che riguarda il numero di campagna di social adv, nonostante l’avvento di Instagram. A differenza di altri
meccanismi cookie-based, le informazioni di facebook vengono inserite direttamente dagli utenti. Le azioni
dei social, vengono inscatolate per delineare i nostri profili come target perfetti per determinate campagne.
La fase del bisogno è coperta dal “reach and frequency” dove si definisce il target e il numero di volte che
vogliamo sia colpito. Fase di ricerca ha ulteriori strumenti di advertising volti a seguire pagine. Altro
elemento da considerare è l’algoritmo di facebook per ottenere buona visibilità e newsfeed, bisogna avere
una strategia di advertising adeguata, con piano editoriale dedicato, immagini e community management,
altrimenti si rischia la discrezione. Suggerimenti:
Social CRM (tipo Facebook) fanbase deve essere ben costruita, non ha senso investire troppo in fan
acquisition diretta.
Preparare piano editoriale con focus su attività sponsorizzate.
Per aumentare reach organica bisogna sponsorizzate anche piano editoriale.
Esplorare sempre advertising e target visto che cambiano continuamente.
Le Video Advertising sono tutte le pubblicità che troviamo su YouTube o in TV, servono per generare
awareness quindi bisogno. Le tre principali strategie del Video Advertising sono: YouTube, Facebook, Video
Advertising tramite attività display o RTB. YouTube probabilmente il più utilizzato, si paga ad impression per
quelli non skippabili e trueview per quelli skippabili, quindi pagano solo se non viene skippato. Su Facebook
invece è quasi sempre ad impression, secondo modalità d’investimento reach&frequency. Le modalità
display classiche o RTB appaiono ad esempio sui quotidiani. Consigli:
Indipendentemente dalle strategie e i media, ciò che fa da bussola sono i dati. Parlando di dati, primo
elemento chiave sono le metriche necessarie alla misurazione delle attività. Le metriche prendono il nome
di KPI. Importante che i KPI vengano intercettati dopo aver determinato gli obbiettivi. Per ciò che concerne
ciò che succede post click, bisogna considerare i software di web analytics, che riguardano la post
interazione.
Chi sono visitatori del sito? Si riferisce ai report relativi al mondo dei visitatori del mio sito, scoprire quindi
che tipo di utente, il loro browser e dati di tipo socio-demografici.
Da dove arrivano? Si riferisce ai report relativi al mondo delle sorgenti di traffico, quindi ad esempio da che
tipo di campagna arrivano questi utenti.
Cosa fanno una volta atterrati sul sito? Si riferisce ai report sui contenuti, possiamo valutare performance
delle singole aree o pagine, capire come interagiscono utenti e i loro percorsi di navigazione.
Dati di investimento
Una volta scelte le metriche, bisogna metterle in relazione con gli investimenti. Gli insight che possiamo
ottenere dai KPI dipende dal grado di dettaglio in cui dividiamo le attività dei media. I software di web
analytics ci permettono di taggare le campagne così da riconoscere il traffico delle diverse iniziative
marketing.
15.3 SO WHAT?