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1.

DATI, INFORMAZIONI, CONOSCENZA

PIRAMIDE DELLA CONOSCENZA - Gerarchia DIK(W)


La relazione tra dati, informazione e conoscenza è rappresentata da una struttura gerarchica.
- Data
- Information
- Knowledge
- (Wisdom)

Il passaggio da un livello all’altro non è solo qualitativo, ma anche quantitativo (in senso riduttivo).
Aumenta la qualità, ma diminuisce la quantità: il fatto che la piramide si stringe indica che ci vogliono molti
dati per giungere ad un'informazione.

Gerarchia o circolarità?
Relazione cirolare: “Per decifrare i dati e trasformarli in informazione è necessaria la conoscenza”.
Le definizioni date dagli studiosi sono spesso circolari, nel senso che un concetto è definito per mezzo
dell’altro:
“i dati sono item di informazione”, “l’informazione sono dati processati”, “l’informazione è
rappresentazione in forma simbolica della conoscenza”, “la conoscenza è informazione fatta propria
dall’utente”

DATI
I dati hanno una dimensione:
- nucleare (entità più piccole)
- quantitativa (sono numeri, misurabili)
- empirica (che deriva dall’esperienza, i dati derivano infatti da un processo di percezione)

Il fatto che i dati siano empirici non implica necessariamente che siano oggettivi: lo sguardo
dell’osservatore influenza l’oggetto osservato. Inoltre, i dati sono frutto di un processo di selezione, ma se
sono selezionati si va a contraddire un’altra concezione diffusa, riguardante il fatto che i dati pre-esistano,
a qualsiasi livello di consapevolezza dell’osservatore.
Nel momento in cui raccolgo dei dati, li raccolgo seguendo un metodo, deciderò quali dati cercare o meno,
e già questo rende li rende “meno oggettivi”. Anche indagare un fenomeno con due metodi diversi porta a
risultati diversi.

I dati di per sé non hanno significato, lo acquistano in relazione con: 1. altri dati; 2. il contesto.
 Processo inferenziale: le inferenze sono dei processi logici per cui, a partire dalla assunta verità di
un’asserzione, si ricava la verità di un’altra asserzione (es. Marco porta il gatto dal veterinario >
inferenza: il gatto sta male).

INFORMAZIONE
Deriva dal latino in-formare, dare una forma. Dunque, è il risultato di un processo di trasformazione, di
elaborazione. È necessaria la presenza di un soggetto che compia un’interpretazione.
L’informazione ha una dimensione:
- elaborata
- immateriale
- intenzionale
- finalizzata
CONOSCENZA
La conoscenza condivide alcune dimensioni con l’informazione –è frutto di un processo di elaborazione, è
immateriale, applicativa e prospettica– ma che una sua dimensione peculiare è l’essere
contemporaneamente individuale e collettiva.

La dimensione collettiva ha a che fare con il concetto di stabilità. Il fatto che la conoscenza sia stabile la
rende condivisibile. La stabilità permette la condivisione, ma anche la condivisione rende stabile.
Tuttavia, la conoscenza deve essere anche dinamica perché se troppo statica diventa inutile. Se il mondo
cambia e la conoscenza rimane uguale, non serve a niente. D’altro canto, dinamico non vuol dire fluido
perché se devo poter applicare ciò che ho imparato a soluzioni nuove, quello che ho imparato deve avere
una sua consistenza, una sua solidità, altrimenti non lo posso riusare.

Trasferire la conoscenza non è così facile. La conoscenza ha una dimensione molto più soggettiva e
intangibile rispetto all’informazione o al dato. È ciò che ciascuno ricava dall’incorporazione dei dati, che poi
viene incorporato con le sue credenze, i suoi valori, le sue azioni. È qualcosa di fortemente orientato
all’interno, compreso completamente solo da chi la possiede.

Knowledge Management
Disciplina che si occupa di trasferire la conoscenza.
Anche se oggi è prevalentemente declinato in termini di organizzazione aziendale, in quanto ricerca e
attuazione consapevole di processi volti alla conservazione, allo sviluppo e alla diffusione della conoscenza
esso ha una lunga storia alle spalle.
Alcune forme di knowledge management: biblioteche, enciclopedie, l’epica, la tradizione orale… Sono tutti
modi per trasmettere la conoscenza.

Due pratiche diffuse nel knowledge management.


 Visualization: l’atto o il processo di interpretare in termini visivi / rendere in forma visibile
 Storification: il processo che consiste nel dare forma narrativa a un contenuto / “avvolgere”
un’attività (cognitiva) dentro una narrazione, in modo tale che quest’attività diventi più
coinvolgente.
Esempi: apprendimento tramite realtà virtuale, far sì che l’ambiente diventi un “mondo”,
videogame

Narrare non è banalmente un mezzo per coinvolgere il pubblico, per creare engagement (questo è un
effetto collaterale). La narrazione è uno strumento conoscitivo, un mezzo per comprendere il mondo.
Questo fenomeno è stato analizzato dal filosofo francese Liotard nel suo saggio “La condizione
postmoderna”: il principio chiave della postmodernità è l’esaurimento delle grandi narrazioni, che
conferivano un senso unitario alla realtà e alla storia. Le grandi narrazioni vengono sostituite dalle piccole
narrazioni e il sapere scientifico prende il sopravvento sul sapere narrativo.
Questo panorama, tuttavia, non descrive la società di oggi. La rivoluzione digitale non ha esaurito le storie,
ma le ha moltiplicate, rendendo possibile una narratività molto sottile e diffusa, e resa sempre più
pervasiva dalla crossmedialità. La rivoluzione digitali ci ha reso tutti un po’ autori, oltre che lettori. Ma
soprattutto noi viviamo talmente immersi in un universo narrativo che non siamo più consapevoli che la
nostra comunicazione sia costantemente narrativa.
Storia dei pesci: due pesci giovani che nuotano nell’acqua, arriva un pesce più vecchio che chiede ‘com’è
l’acqua oggi?’. I pesci si guardano e si chiedono: ‘acqua? Cos’è l’acqua?’ > da questa narrazione si capisce
che l’essere immersi in un certo ambiente non ci permette di percepirlo appieno.
2. NARRAZIONE, NARRATIVA E STORYTELLING

Narrazione: l’azione del narrare / la cosa narrata, il racconto in sé


Narrativa: genere letterario / il complesso delle opere appartenenti a tale genere (es. narrativa italiana
dell’Ottocento)

Nella sezione “neologismi” del Vocabolario Treccani, narrazione e narrativa hanno la stessa definizione:
forma di comunicazione argomentata tesa a conquistare consensi attraverso un’esposizione che valorizzi
ed enfatizzi la qualità dei valori di cui si è portatori, delle azioni che si sono compiute e si ha in programma
di compiere, degli obiettivi da raggiungere.

Questi due termini -che in origine designano due cose diverse- hanno finito per prendere lo stesso
significato perché sono stati utilizzati come calchi semantici un termine inglese: narrative.

Narrative: 1. Si parla solo di rappresentazione (c’è solo il punto di vista di chi propone la narrazione); 2.
Modo di rappresentare o interpretare, recepire (c’è anche il punto di vista di chi riceve la narrazione,
perché l’ha fatta propria e interpreta la realtà in funzione di quella narrazione).

Narrativa / narrazione non sono termini neutri, ma implicano una connotazione negativa. Se parliamo della
narrazione di qualcuno, si intende un racconto “manipolato”, una visione di parte che altera i fatti.
Inoltre, in italiano “narrazione” viene usato per tradurre storytelling.

Narrative & storytelling


Storytelling non si identifica con narrative. Il primo consiste in una storia vera e propria, dalla struttura
chiusa e ben definita e può essere parte di una narrative, intesa come struttura aperta, espressione di una
visione, di qualità e valori che creano un’identità e che possono essere comunicati attraverso più
storytelling.
[narrative = insieme di più storie; storyelling = una storia]

Video “Year in Search 2021” > è una narrative perché ha una struttura aperta (si possono aggiungere
storie), non c’è un finale vero e proprio.
Video Airbnb > non c’è un set di valori, una visione del mondo, è un insieme di dati, non c’è una storia.

Il problema è che con il tempo si è creata una banalizzazione del concetto di narrazione.
“Narrative turn” (anni ’90) > racconti e narrazioni approdano in settori nuovi (oltre al settore letterario) >
diluzione e banalizzazione del significato di storytelling > storytelling, che significava raccontare, finisce per
diventare un generico “dire qualcosa di coinvolgente con un fine strategico”.
Proprietà delle storie
- Diacronicità: gli eventi si dispongono lungo un arco temporale e abbiano una certa durata (slide
11> c’è una certa durata ma non è una narrazione perché non c’è una voce narrante, manca un
tema centrale, non c’è un’ambientazione spaziale chiara, non c’è un inizio e una fine
Slide 12>Concatenazione degli eventi, voce narrante, ambientazione, ha un inizio ma manca anche
qui una fine. Manca la morale: il perché mi stai raccontando questa storia, struttura che faccia
emergere il senso degli eventi.
- Trama: struttura che dia un senso. Percepiamo un racconto un avvenimento unitario perché la serie
di fatti che lo compongono vengono messi in relazione tra loro da una trama. La trama è il filo che
costituisce la parte trasversale del tessuto. Il termine, applicato alla narrazione, è una metafora che
mette in luce la natura artificiale del racconto. Uno stesso avvenimento può dare vita a narrazioni
diverse.
La trama non coincide né con il contenuto, la materia narrata (fabula) né con la forma data a questa
materia dal racconto (intreccio), piuttosto scaturisce dalla relazione che si instaura tra queste due
componenti, illuminando il contenuto che taluni eventi recano allo sviluppo e all’esito finale della
storia. Raramente fabula e intreccio procedono in parallelo; più spesso si hanno degli scollamenti
che possono riguardare l’ordine (flashback) o la durata (sommari, ellissi, pause) dei fatti narrati.
- Il valore universale: una storia ha sempre a che fare con una particolarità e una contingenza – c’era
una volta (quella volta lì, non un’altra volta).
La trama, collegando tra loro elementi particolari, fa emergere una struttura intellegibile che
riconosciamo presente anche in altre realtà simili. Pur restando particolare nella sua
configurazione, una storia costituisce un caso concreto di cui è colto il valore universale applicabile
a casi analoghi.
- Natura artificiale: nessun racconto è naturale, anche il più realistico, coinciderà con la realtà che
racconta.

Il patto narrativo
Chi asserisce è tenuto a rispondere della verità di ciò che asserisce e della sincerità con cui lo asserisce, chi
racconta no (cerco di considerare vero ciò che viene raccontato, anche se contraddice la mia esperienza).
Il lettore accetta di considerare come vero quello che gli viene raccontato, anche se ciò contraddice la sua
esperienza del mondo a condizione che sia salvaguardata la coerenza interna dell’universo narrativo.
La “realtà” di una storia riguarda la relazione che si instaura tra il narratore, il suo discorso e il pubblico.
3. LA STRUTTURA DELLE STORIE

Un caso di storification
Il catalogo IKEA 2021 è stato l’ultimo in formato cartaceo (accompagnato anche da un catalogo in versione
audio). Per festeggiare i 70 anni dall’uscita del primo catalogo IKEA ha digitalizzato tutti i numeri
precedenti.
Nel 2020, IKEA Italia ha lanciato anche un podcast: “Storie fuori catalogo”. Così l’azienda fa il suo debutto
nel mondo del branded podcast.

Branded podcast
Podcast: prodotto editoriale originale fruibile on-demand, auto-conclusivo, ideato e realizzato
specificatamente per l’ascolto.
Branded podcast: è un podcast ideato, realizzato e finanziato da un brand allo scopo di intrattenere (ma
anche altri scopi) un pubblico target in modo coerente con i valori e gli obiettivi del brand. È distribuito
sugli spazi digitali del committente e/o sulle piattaforme di podcasting.

Come forma di branded entertainment offre numerosi vantaggi.


- Bacino di potenziali utenti in continuo aumento
- Disponibilità di molteplici touchpoint
- Fruibilità anche in contesti dove altri tipi di contenuti non possono arrivare in quanto la vista è
occupata da altro
- Ascolto attivo (atto voluto)
- Maggior tempo di esposizione al contatto con il brand
- Permanenza dei contenuti

L’interesse per questo tipo di prodotti è stato alimentato da un caso specifico: podcast “The message”,
rilasciato dalla sezione healthcare di General Electric (2015).

Trama minima (Todorov)


Struttura ricorrente in tutte le narrazioni.
La trama minima consiste nel passaggio da un equilibrio a un altro: un’iniziale situazione stabile viene
turbata da qualche forza o potere.
Il risultato è uno stato di squilibrio, attraverso una serie di peripezie si torna a uno stato di equilibrio, simi
al primo ma mai identico.

La struttura delle storie (Propp)


Studia le favole dal punto di vista morfologico.
Per l’analisi della favola è importante che cosa fanno i personaggi e non chi fa e come fa, problemi, questi
ultimi, di carattere accessorio.
Propp individua 7 ruoli e 31 funzioni (funzione=l’azione di un personaggio considerata dal punto di vista del
suo significato per lo svolgimento della vicenda).
I ruoli sono: donatore, aiutante, antagonista, eroe, falso eroe, colui che invia l’eroe, la principessa e suo
padre.
Esempi di funzioni sono: allontanamento, imposizione del divieto, infrazione, misfatto o mancanza,
combattimento, matrimonio.

Ogni fiaba ha un numero limitato di funzioni ma la successione con cui le funzioni si presentano è sempre
identica.
Negli anni ’60 la Morfologia della fiaba diviene il punto di partenza di una serie di sviluppi e
approfondimenti che muovono in direzione di una più elevata formalizzazione e di un allargamento del
campo di applicazione.
Quello che era nato come un discorso valido per un solo tipo di racconto sarà il punto di partenza
dell’elaborazione di un metodo di analisi valido per tutto l’universo narrativo.

In quel periodo la cultura occidentale è dominata dallo Strutturalismo > corrente linguistica – Saussure -
concepisce il proprio oggetto di studio come strutture chiuse, costituite da elementi il cui significato nasce
dalla relazione tra gli elementi stessi. Approccio molto simile a quello di Propp.

Anni 60/70 molti studiosi cercano di elaborare un modello generale della narrazione/racconto. Il più noto è
Greimas. Elabora un modello fondamentale della semiotica strutturale.
Distingue tra attanti e attori.
 Gli attanti sono ruoli sintattici della narratività, quindi astratti e privi di investimenti semantici. Lo
studioso individua sei possibili attanti:
- Soggetto / oggetto
- Destinatore / destinatario
- Aiutante / avversario

 Gli attori si situano al livello della superficie narrativa.

Un attore può svolgere più ruoli attanziali, più ruoli possono essere realizzati da più attori.

Asse verticale > asse del desiderio, del volere (ogni storia è mossa da un desiderio)
Primo asse orizzontale (superiore) > asse del sapere, della comunicazione
Secondo asse orizzontale (inferiore) > asse del potere

Spot per il lancio del primo Mcintosh


Ragazza = soggetto
“il sistema” = antagonista
Scardinare il sistema, riaffermare la propria libertà = oggetto
Martello = aiutante
Società in generale = destinatario
Apple = destinante

La struttura di Greimas è troppo rigida.

Campbell > L’eroe dai mille volti (1949)

Il “viaggio dell’eroe” come archetipo narrativo


C’è un eroe che fa un viaggio da un mondo comune/dimensione di normalità a un mondo straordinario
dove incontra delle forze soprannaturali, deve compiere una serie di prove fino a ottenere la vittoria.
Una volta ottenuta, potrà tornare indietro e portare in dono agli altri i frutti di questo viaggio.
Questo viaggio è innanzitutto un viaggio dentro se stessi. La metafora di un viaggio di formazione e di
maturazione.

A. Fontana, Marketing narrativo, Milano 2011.


4. IL POTERE DELLE STORIE

Elaborare un prodotto comunicativo non è come scrivere un romanzo, richiede una fase di preparazione e
progettazione molto accurata (che a sua volta implica la raccolta di dati).

Whirlpool > From aspiration to inspiration: Whirlpool every day care.


Progetto che si propone di modificare la percezione negativa nei confronti delle faccende domestiche
quotidiane. Esse vengono presentate come “gesti d’amore”.

- Sito web dedicato


- Spot
- Video su piattaforme digitali
- Campagne social
- Contest “care is musical”

(questa è una narrative)

La svolta narrativa
Fenomeno per cui a partire dalla fine degli anni 70 un numero sempre maggiore di discipline appartenenti
all’ambito delle scienze umane ha iniziato a “leggere” i propri oggetti di studio in chiave narrativa
utilizzando gli strumenti messi a punto dalla narratologia e dalla critica letteraria.
La svolta narrativa ha dimostrato la pervasività e la potenza della narrazione in ambiti differenti da quello
letterario nel quale, fino a non molti anni prima, si erano concentrate le ricerche.

Tra le principali acquisizioni degli studi sulla narrazione vi sono quelle relative alle funzioni che essa assolve
nella vita dell’uomo e delle società umane.
- Funzione relazionale
- Identitaria
- Paradigmatica
- Mnestica
- Ludica
- Cognitiva
5. STORIA E DISCORSO

Non c’è una definizione univoca della nozione di discorso. Possiamo comunque ricondurre la pluralità di
significati attribuiti al termine a tre accezioni di base:
- Discorso come unità transfrastica (concepito come un’unità comunicativa la cui dimensione va al di
là della frase. Prospettiva tipicamente testuale che tratta il discorso come oggetto linguistico, quindi
lo indaga con i metodi della linguistica).
- Discorso come enunciazione (si pensa al discorso come un atto di messa in funzione della
lingua/codice).
- Discorso come pratica sociale:
 insieme di pratiche sociali (condivise da una società), linguistiche e non, che veicolano assunti
ideologici.

Si può immaginare come un insieme di cerchi concentrici.


 Livello esterno > discorso come spazio in cui si instaurano e si gestiscono relazioni di natura sociale
(discorso marca-consumatori)
 Livello intermedio > discorso come modo socialmente organizzato di pensare, parlare e scrivere di
un dato argomento, contenente in sé sistemi di valori costruiti all’interno di schemi usuali di
espressione (discorso sul Natale – c’è un modo tipico di parlare di ciò, con tutti i valori correlati).
 Livello profondo > discorso come dispositivo ideologico che sottostà a ciò che si dice (discorso sul
Natale come modo per ribadire i ruoli di genere)

Testi e discorsi
Il discorso si manifesta nel testo ma non si esaurisce in esso. In quanto prodotto sociale, il discorso si
manifesta sempre in una pluralità di testi.
Possiamo definire il testo come una produzione linguistica realizzata da qualcuno per qualcuno in una
situazione data e con uno scopo preciso.

In un testo il significato non si riduce al solo significato composizionale ma si arricchisce di ulteriori sensi
generati da cotesto e contesto.
Definiamo significato composizionale quello che si ricava collegando il significato convenzionale delle
parole (quello registrato nei dizionari) secondo le regole della grammatica a cui appartengono quelle
parole.

Es. “Il gatto miagola” > oltre al significato composizionale, se questa frase viene detta in un’altra situazione
potrebbe dire “ha fame”, “vuole andare in giardino”…

Cotesto > sistema di co-occorrenze testuali (insieme di tutti gli elementi linguistici presenti nel testo >
condizione intra-testuale).
Contesto > insieme delle circostanze in cui si verifica un atto comunicativo (status dei partecipanti,
relazioni…).

 Questi due elementi influenzano l’interpretazione del testo.

La linguistica testuale, pur considerando l’interazione tra testo e contesto, li tratta come elementi distinti.
Nella prospettiva del discorso invece il testo stesso è parte del contesto e contribuisce a determinarlo (se
ad esempio compare un nuovo testo, esso si inserisce in quel determinato insieme di testi, ma la sua
apparizione modifica l’insieme, che a sua volta costituisce il contesto in cui si va a situare il testo stesso > il
testo determina il contesto; il contesto determina il modo in cui viene percepito il testo).
Discorso vs testo
Principali caratteristiche che differenziano un approccio discorsivo da uno meramente testuale:
- Il discorso è contestualizzato, ma discorso e contesto si costruiscono vicendevolmente
- Il discorso è il prodotto ma anche il collante di una comunità discorsiva
- Il discorso ha sempre una componente dialogica

Dialogicità
Ogni parlante è lui stesso, in vario grado, un rispondente: egli stesso infatti non è il primo parlante colui
che per la prima volta ha violato il silenzio dell’universo.
Per quanto monologica, per quanto concentrata sul proprio oggetto, un’enunciazione non può non essere
in una certa misura anche una risposta a ciò che è stato detto su un dato oggetto, su una data questione.

Sintesi:
- Attualmente si assiste a un processo di narrativizzazione della comunicazione, consapevolmente
ricercato ai fini di una più efficace ricezione dei contenuti.
- Esiste una grammatica della narrazione (che la narrativizzazione deve rispettare!)

 “Una buona storia connette sempre una causa a un effetto”


 “Una buona storia deve connettere una causa inattesa a un effetto conosciuto oppure una causa
conosciuta a un effetto inatteso”

- Le storie sono manifestazioni di un discorso ma possono anche essere mezzi per diffondere un
contro-discorso.
- Le storie possono essere narrate (diegesi) o rappresentate (mimesi).
 Nel dare forma narrativa a una comunicazione dovrò decidere chi racconterà la storia.
6. NARRAZIONE / ENUNCIAZIONE

Narrazione come enunciazione


In ogni storia è presente un'istanza narrativa, manifesta o meno (è manifesta quando il narratore si
esprime in quanto tale, ad esempio il narratore dei Promessi Sposi).
In quanto atto che implica la presa di parola da parte di un soggetto, la narrazione può essere Letta in
chiave di enunciazione (una narrazione è un discorso anche perché può essere letta in chiave di
enunciazione, cioè come atto che implichi la presa di parola).

L'enunciazione, nozione elaborata tra gli anni ’60 e ‘70 del Novecento sulla scorta degli studi di Émile
Benveniste e Roman Jakobson, è definibile come “messa in funzione” del linguaggio attraverso un atto
individuale di utilizzazione (il linguaggio esiste in potenza finché qualcuno non lo mette in atto usandolo).

Nel momento in cui attualizza la lingua l'individuo si enuncia come parlante, cioè si costituisce come
soggetto (l'Io che dice Io).
La soggettività instaura contemporaneamente un'alterità: non impiego io che quando mi rivolgo a un tu.
Il discorso, anche in quanto enunciazione, è sempre dialogico.

Prodotto dell'enunciazione è l'enunciato, il quale conserva traccia dell'evento che lo ha prodotto.


Ciò avviene perché l'individuo, appropriandosi della lingua e instaurandosi come soggetto, non può fare a
meno di porsi al centro della propria enunciazione, mantenendo con essa un rapporto costante e
necessario.

Gli elementi linguistici attraverso i quali il soggetto (enunciante) mantiene un collegamento con
l'enunciazione sono detti deittici. Si tratta di un insieme di forme per interpretare le quali occorre
necessariamente fare riferimento al contesto extra-linguistico.
Sono deittici:
- gli indici di persona
- gli indici di ostensione spaziale e temporale

Gli indici di ostensione


Deissi spaziale: codifica la collocazione spaziale rispetto alla posizione dei partecipanti all'atto
comunicativo.
Criteri fondamentali: prossimità (es. questo, qui) e distanza (es. quello), rispetto al centro deittico
rappresentato dal parlante.

 Deissi empatica: la deissi spaziale viene usata non per esprimere una certa vicinanza reale, ma un
avvicinamento dell’oggetto > riflette il sentiment del locutore (“questo tesoro di bambina” vs “sai
com’è, quella là”).

Deissi temporale: codifica l'individuazione di un punto o un intervallo di tempo in relazione al momento


dell'enunciazione (es. prima / dopo, oggi / ieri, dieci anni fa, ma anche uso tempi verbali).

 Le forme della temporalità: Benveniste osserva che la categoria del tempo discende
dall’enunciazione. In effetti è in relazione al presente che si definiscono gli altri tempi: il passato
come ciò che non è più presente, il futuro come ciò che non lo è ancora.
A sua volta il presente è il tempo co-estensivo alla situazione di enunciazione. In quanto tale si può
dire che il presente si rinnova in ogni situazione di discorso.
La deissi testuale
Riferimenti al discorso stesso o a sue parti, realizzati tramite l'impiego di indicazioni spaziali (come si è visto
sopra) o temporali (come si vedrà a breve).

Deissi o anafora?
La deissi non va distinta con l’anafora, rapporto di identità referenziale tra due espressioni linguistiche
(es. Vado a casa. Ti aspetto lì.) In questo caso lì non fa riferimento a un elemento extra-testuale, ma fa
riferimento a un elemento precedentemente espresso (casa).
Per distinguere questi due concetti, devo chiedermi: fa riferimento a qualcosa di esterno al testo (deissi) o
interno al testo (anafora)?

Gli indici di persona


Sono i pronomi di prima e seconda persona (singolare e plurale).
“Egli” (la non-persona) è un deittico negativo e indica che il soggetto non prende parte all’enunciazione.
Il modello di Kerbrath-Orecchioni > pone l’accento tra colui che parla e tutti coloro che non parlano
Il modello di Benveniste > pone l’accento sui tratti di personalità e di soggettività. Io e tu sono entrambe
persone, ma io è dotato di personalità, tu no, perché il soggetto esiste nel momento in cui dice io. In
questo schema, non si mette in evidenza ciò che differenzia io da tu, ma ciò che li accomuna.

Storie in 1° persona
Nella comunicazione delle organizzazioni le narrazioni in 1° persona singolare sono poco comuni. Dove
presenti sono usate per veicolare testimonianze ed esperienze.

Un altro ambito in cui si trovano storie in 1° persona sono i blog istituzionali. Servono a dar voce agli esseri
umani che stanno dietro l’organizzazione. Possono essere individuali o collettivi.
I blog collettivi nei casi migliori riescono a dare voce a tutta la struttura assolvendo non solo a una funzione
informativa ma anche a una narrativa (es. Sharing Mayo Clinic).

Un’altra possibile applicazione è la creazione di racconti che abbiano come protagonisti personas (video
ragazza-campus universitario). La ragazza è una creazione fittizia che è stata prodotta mettendo insieme
tutta una serie di dati raccolti a partire dal comportamento degli utenti, interviste, focus group…
Quindi si rilevano i dati, si studia il comportamento degli utenti e poi si ricavano dei personaggi. Tuttavia,
non è un metodo molto efficace perché non è una storia, ma una descrizione. Si potrebbe benissimo
strutturare sotto forma di brochure, con un elenco puntato.

Noi, un io “allargato”
L’unicità di io e tu comporta anche il fatto che essi non siano soggetti ai normali processi di pluralizzazione.
Noi va inteso non come plurale di io, bensì come io+altri.
Questa “dilatazione” spiegherebbe sia l’uso del plurale maiestatis (es. quando il Papa parla in qualità di
Pontefice, per mostrare un grado di autorevolezza superiore) sia quello del plurale modestiae (per diluire la
forza con cui si dice qualcosa, es. nella tesi “come abbiamo dimostrato).

Io+lui/loro (noi esclusivo, nel senso che esclude l’altro interlocutore)


Tocca a noi? (madre e figlio dal dottore)

Io+tu/voi (noi inclusivo)


Ieri abbiamo visto questo argomento (il docente agli studenti)

Il noi inclusivo è un “colpo di mano” discorsivo perché pone la parola enunciata come parola comune senza
prima verificare se i soggetti inclusi siano d’accordo (es. E poi diciamolo…che mondo sarebbe senza
Nutella).
Ne risulta una dissimetria tra enunciatore e co-enunciatore.

Quando io non dice tu


Un caso particolare è quello di un noi che di fatto esclude il locutore (es. Allora, la smettiamo?).

L’uso di noi in luogo di tu/voi sembra tipico di situazioni asimmetriche.


Negando all’altro il ruolo di tu (non lo si riconosce come interlocutore), gli si nega la possibilità di prendere
a sua volta la parola.

Noi, il pronome inclusivo


Numerosi studi hanno messo in luce che la 1° persona plurale nei testi di natura istituzionale è un pronome
di solidarietà.
Il noi aziendale delinea un ambiente ideale in cui tutti i partecipanti, indipendentemente dal loro effettivo
potere, lavorano insieme per raggiungere gli obiettivi dell’azienda.

Evocare l’interlocutore
I pronomi di 2° persona mettendo in scena l’interlocutore portano il lettore all’interno del testo simulando
la sua partecipazione al discorso.
Sono tra i principali marker relazionali, strumenti per l’engagement del lettore.
Numerose ricerche dimostrano che l’uso della 2° persona genera la percezione che il messaggio sia più
rilevante per il lettore e che ciò che viene detto sia più utile per lui.

Favorire il self-referencing
= processare l’informazione collegandola al proprio sé o ad aspetti di esso.

- Il ricordo del messaggio migliora quando i partecipanti, anziché limitarsi a interpretarne il


contenuto, lo collegano a se stessi.
- L’effetto persuasivo aumenta quando il messaggio è costruito in modo da favorire il self-
referencing.
- L’uso della 2° persona può promuovere il self-referencing

Dare del tu
TU condivide con IO la natura di “istanza unica per definizione e valevole solamente nella sua unicità”.
È dunque forma individualizzante e come tale valorizzante.
TU è partecipe di una relazione privilegiata con IO, perciò la scelta di questa forma esprime una
comunicazione: diretta, paritaria, personale, emotiva.

TU codifica vicinanza ed è forma della deissi sociale > segnalazione dei rapporti sociali esistenti fra gli
interlocutori in termini di intimità e simmetria.

Storie in 2° persona
È il punto di vista (o focalizzazione) ad essere in seconda persona. Il narratore è un io.

Anche nell’uso di VOI, quando non è allocutivo di cortesia, dobbiamo vedere tu+tu o tu+lui/loro.
Vantaggi rispetto al TU:
1. Lascia all’interlocutore la libertà di riconoscersi o meno
2. Tratta il singolo come parte di un gruppo

Lui, la non persona


La 3° persona è l’“assente”: esterno alla relazione discorsiva, non può assumere un ruolo attivo, non può
mai dire IO né asserire una propria soggettività.

Es. Vuola la pappa questo bambino? (la mamma al figlio piccolo)

Per contro se in un testo scritto “evoco” il destinatario parlandone in 3 persona lascio al mio interllcutore la
possiilità di identificarsi o meno in questo soggetto.

Narrazione come enunciazione enunciata (non agita)


- Occorre distinguere tra enunciazione empirica (riguarda i soggetti reali, che sono nella realtà) ed
enunciazione enunciata (si realizza quando raccontiamo una storia, riguarda i soggetti che si
incontrano nel testo).
- Ogni narrazione è la simulazione di qualcuno che parla a qualcun altro. Il qualcuno che parla è il
narratore, il qualcuno cui il narratore si rivolge è il narratario.
- Narratore e narratario sono figure interne al testo e non vanno confuse con soggetti empirici come
autore e lettore.

Tipi di narratore/narratario
Per quando riguarda il narratore si danno due possibilità:
- È interno alla vicenda narrata (narrazione intradiegetica)  narra in 1° persona
- È esterno alla vicenda narrata (narrazione extradiegetica) e in tal caso potrà essere palese od
occulto.
- Se occulto narra rigorosamente in 3° persona; se palese può narrare in 1° o in 3° persona.

Un narratore interno può avere un narratario interno (si tratterò di un personaggio che racconta a un altro
personaggio) oppure esterno (crea un’immagine di interlocutore che non prende parte alle vicende
narrate).

Un narratore esterno ha un narratario esterno, spesso solo implicito, non rappresentato (casi come quelli
del romanzo di Calvino sono rari).

Studi recenti dimostrano che il tipo di narratore/narratario influenza il modo in cui il lettore empirico
sperimenta la finzione narrativa.
 Enunciati contenenti verbi d’azione alla 1° persona provocano un aumento dei potenziali motori
mentre ciò non avviene se il verbo è alla 3° persona
 Se gli enunciati in 3° persona singolare promuovono una rappresentazione a prospettiva esterna
all’evento, quelli in 1° persona singolare possono promuovere più facilmente una rappresentazione
a prospettiva interna ma l’assunzione di una prospettiva interna è più forte se l’enunciato è in 2°
persona singolare.
 Le storie in 1° persona comportano un più alto livello di immersione complessiva > maggiore il
piacere sperimentato nella lettura (si dimostra anche il legame tra immersione e apprezzamento);
le storie in 3° persona richiedono un maggior impegno cognitivo.
Dimensione discorsiva della narrazione
Come ogni enunciazione anche la narrazione ha un’intrinseca dimensione discorsiva, ma è una dimensione
- Simulata
- Mediata

Questo è particolarmente evidente nella narrazione extradiegetica con narratore/narratario espliciti >
l’autore empirico proietta un’immagine di enunciatore ed enunciatario nel testo, il lettore empirico è
chiamato a riconoscere queste immagini e a identificarsi nel narratario.

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