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Introduzione alla semiotica del testo

Capitolo 1 – PRINCIPI DI BASE

1. Emergenze storiche, filiazioni plurali


La semiotica del testo nata nel corso del ‘900 intrecciando tematiche diverse e oggi studia
l’intero ambito delle scienze dell’uomo.
Essa si basa su alcuni principi di fondo, tra cui:
1. l’importanza della dimensione linguistica e comunicativa nella sfera sociale.
2. l’idea che ogni entità ha valore solo se messa in relazione con altre dello stesso sistema.
3. il PRINCIPIO DI PERTINENZA, secondo cui i rapporti tra elementi possono variare a
seconda del punto di vista dal quale li si osserva.
I primi che hanno considerato il testo come campo di indagine sono stati Saussure e
Hjelmslev, che si sono occupati di linguistica.
Qualcosa di simile successo anche nel campo della folkloristica e mitologia, in cui Levis-
Strauss e Propp hanno analizzato le narrazioni popolari ed etniche e nel campo degli studi
sulla cultura di massa attraverso lo studio dei testi, da parte di Barthes, Eco e Fabbri che
hanno dimostrato la complessità dei messaggi dei media e le implicazioni ideologiche
contenute in essi.
Da tutto ciò nata negli anni ‘60 la narratologia, che si occupava dello studio delle leggi del
racconto.
Inizialmente le ricerche di narratologia si concentravano solamente sui testi narrativi, per poi
estendersi fino a comprendere lo studio del cinema, della televisione, della pubblicità, della
pittura, della fotografia, dell’architettura, del design.
Così, a poco a poco, il testo diviene una categoria semiotica a tutti gli effetti: il testo non è più
una cosa, ma un modello teorico usato come strumento di descrizione e spiegazione di tutti i
fenomeni umani, sociali, culturali e storici.
Da qui la nascita e lo sviluppo della SOCIOSEMIOTICA, che studia il testo inteso come un
dispositivo formale mediante cui il senso si costruisce, si articola, si manifesta e circola
nella società e nella cultura. Quel che con la sociosemiotica cade è la dicotomia tra ciò che è
dell’ordine del testo e il contesto che lo circonda.

2. Da che cosa si riconosce la testualità


La testualità può essere riconosciuta in presenza di alcune caratteristiche di fondo:
1. Principio della negoziazione, un testo non è formato da elementi fissi, dati una volta per
tutte, ma i segni hanno ruolo e significato diverso a seconda del contesto. Un testo viene
negoziato in tutti i suoi punti.
2. Biplanarità, un testo presuppone due piani, dell’espressione e del contenuto, ognuno
dei quali è dotato di una materia, di una forma che la ritaglia e di una sostanza che deriva
da questo ritaglio. Queste due operazioni di formazione sui due piani, avvengono
parallelamente e reciprocamente, e il testo è proprio il processo di messa in relazione tra
queste due operazioni.
3. Chiusura testuale, i confini dei testi, per quanto siano variabili, perché oggetto di
continue negoziazioni, devono pur sempre esserci, anche solo per sottolineare quella
discontinuità costitutiva, che permette la significazione di qualcosa.

4. Molteplici livelli del testo, la conformazione semantica di un insieme testuale può essere
colta in modo semplice o complesso, astratto o concreto. Questo principio è definito
percorso generativo del senso.




5. Intertestualità e traduzione, ogni testo contiene citazioni, biglietti da visita per leggere altri
testi, rimandi. Non è quindi un richiamo delle fonti, ma di una presenza nel testo di altri
testi.

3. Principio di pertinenza
Abbiamo già detto quindi che il testo non è formato da elementi dati una volta per tutte, che hanno
un significato di per sé. Il principio di pertinenza riguarda la scelta del punto di vista da cui
valutare un elemento in relazione agli altri elementi. L’analisi semiotica dei testi infatti non deve
concentrarsi sul singolo termine, ma deve considerare complessivamente il testo.

4. Principio generativo
Il senso può essere espresso in diversi modi, in maniera più o meno estesa, o più o meno
concentrata, questo in base al principio della parafrasi, secondo cui qualsiasi oggetto
semiotico può essere espanso o contratto a seconda dei casi, delle esigenze specifiche o
degli obiettivi. I livelli di senso di un testo sono i possibili modi in cui esso può essere
parafrasato. L’unico modo per dire qualcosa di sensato rispetto a un significato è tradurlo in un
altro significante, cambiandolo un po’, riuscendo comunque a trasmetterlo, spiegarlo e
comprenderlo meglio.
Passando da un livello di senso a un altro, il significato non resta esattamente lo stesso: si
guadagna o si perde qualcosa. Così ciò che probabilmente a un determinato livello non si
coglie diviene più chiaro in un altro livello: per questo si parla di generatività o percorso
generativo. Scopo dell’analisi è quello di ricostruire la gerarchia dei loro livelli sottostanti, la
serie organizzata di domande cui vanno sottoposti per sviscerarne l’articolazione interna.
Quest’idea dell’analisi come passaggio da un livello di pertinenza a un altro, ha portato alla
proposta del modello del percorso generativo di senso: il senso presente in un testo è
articolato in significazione sulla base di livelli di pertinenza collocati a vari piani di profondità,
in ordine crescente di complessità e di concretezza. Quelli profondi sono astratti e semplici,
quelli superficiali più concreti e complessi.
1. il livello profondo del percorso è quello delle strutture narrative. L’idea è che la logica
della narrazione sia alla base di ogni esperienza umana e sociale, così come dei testi.
Le strutture narrative sono suddivise a loro volta in due strati:
a. Strato fondamentale, in cui si trova la struttura fondamentale della
significazione: il QUADRATO SEMIOTICO, nel quale la significazione
prende forma a partire da relazioni di contrarietà, contraddizione e
complementarietà.
b. Strato antropomorfo, è quello in cui i valori del quadrato semiotico
vengono umanizzati e si attuano programmi narrativi, in cui agiscono
soggetti e oggetti. Questo livello prende in considerazione le invarianti
semiotiche, quelle situazioni e fenomeni riscontrabili in ogni testo.
2. il livello superiore è quello delle strutture discorsive. Le relazioni, i valori, gli attanti e le
modalità vengono arricchiti sia da attori, spazi e tempi (componente sintattica), sia da
temi e figure (componente semantica). L’enunciazione o messa in discorso delle
strutture narrative porta a variazioni semiotiche che circolano nelle varie culture.
3. È grazie al meccanismo della testualizzazione che i discorsi ricevono quelle sostanze
espressive che permettono loro di manifestarsi e concretizzarsi in veri e propri testi.
Questo modello non intende presentare l’effettiva costruzione di un determinato testo, ma
ipotizzare la ricostruzione in modo da gerarchizzare i vari elementi semiotici presenti in quel testo.
Così l’analisi semiotica compie a ritroso l’ipotetico cammino che il senso ha seguito dal momento
della sua generazione.

5. Testo e cultura

Questo modello ci permette di capire il motivo per cui un testo può contenere dentro sé un’intera
cultura o comunque può costituire un aiuto per ricostruirla.
Infatti man mano che si scende verso livelli più profondi del percorso si incontrano configurazioni
culturali più ampie: ci accorgeremo che alcuni oggetti, che sembrano essere chiusi, aventi un
significato di per sé, in realtà sono manifestazioni specifiche di configurazioni culturali. Di qui
il senso della relazione tra testo e contesto, una relazione variabile, perché ciò che è testo può
diventare anche contesto secondo una diversa prospettiva culturale e ciò che appartiene ad
un genere col tempo può essere ripensato in un altro.
Ogni testo emana la sua aura di contesto e anche se viene allontanato dal suo contesto
originario, ne produce un altro, crea la propria esteriorità in funzione del significato globale di
cui esso è portatore perché entra in dialogo con l’esterno.

Capitolo 2 – PRINCIPIO DELLA NARRATIVIT

1. Narrazione e narratività
La NARRAZIONE riguarda quei prodotti testuali che vengono intesi come racconti (fiabe,
leggende) o che raccontano storie (romanzi, poemi). È una nozione intuitiva, concreta e
cangiante nel tempo e nello spazio e si usa nel linguaggio comune per designare certe opere
come narrative o meno.
La NARRATIVITÀ un processo di trasformazione di uno o più soggetti che si compie all’interno
di qualsiasi fenomeno culturale o esperienza vissuta.
Riguarda le caratteristiche essenziali, fondamentali, astratte del racconto ed è una categoria
costruita, astratta, stabile entro un paradigma teorico. Viene costruita all’interno della semiotica
come modello esplicativo che accomuna una serie di fenomeni discorsivi diversi. È un’ipotesi
interpretativa per descrivere la struttura profonda d’ogni manifestazione culturale.
Fra i due fenomeni c’è parziale sovrapposizione: c’è narratività in ogni narrazione, ma non
sempre narrazione dove c’è narratività. La strutturazione narrativa del testo garantisce il
potere significativo e l’efficacia comunicativa, a contribuire alla costruzione di quella fiducia di
fondo fra enunciatore ed enunciatario senza la quale nessun testo ha ragione di esistere.

2. Strutture elementari della significazione


Le strutture narrative possono essere descritte secondo 2 prospettive diverse a seconda del
livello di senso che viene interpellato:
1. livello fondamentale (astratto) dove si costituiscono le categorie semantiche articolate
per differenza interna nel quadrato semiotico
2. livello antropomorfo (concreto) dove le categorie semantiche vengono prese in carico
da simulacri umani ed entrano in gioco i concatenamenti delle azioni, articolati in
programmi narrativi. A questo livello il racconto diviene una successione di stati e di loro
trasformazioni

Il quadrato semiotico la rappresentazione visiva dell’articolazione logica di una qualsiasi


categoria semantica (S), lo strumento mediante il quale emerge la struttura interna della
categoria e i termini o s mi (s) che essa genera.

Dato che il senso si costituisce per differenza, il quadrato semiotico tiene conto delle principali
relazioni mediante cui si costruiscono la forma dei significati e dei valori sociali.
Esso può essere letto da 2 prospettive diverse:
1. prospettiva semantica/statica, che rende conto delle relazioni paradigmatiche,
2. prospettiva sintattica/dinamica che rende conto dei passaggi effettuati per passare da
un termine all’altro.





1. Prospettiva STATICA:
Lo schema illustra la serie di relazioni che i
quattro termini della categoria
intrattengono fra loro:
➢ di contrarietà detta anche opposizione qualitativa (s1 vs s2; non s1 vs non s2) → si
instaura tra due termini positivi che possiedono proprietà fra loro opposte (uomo vs
donna).
➢ di contraddizione (s1 vs non s1; s2 vs non s2) → l’opposizione è privativa poiché
mette in relazione un termine positivo dotato di una proprietà specifica con uno
negativo nel quale NON è presente quella specifica proprietà (uomo vs non-uomo;
donna vs non-donna).
➢ di complementarietà (non s1 ← → s2; non s2 ← → s1) → non è un’opposizione ma
una differenza poiché si instaura tra quegli elementi apparentemente sinonimi che
derivano dall’incrocio tra contrarietà e contraddizione (non-uomo vs donna; non-
donna vs uomo).
2. Prospettiva DINAMICA:
Questo modello può essere utilizzato anche per descrivere i percorsi che possibile effettuare
per passare da un termine all’altro. Accanto alle relazioni occorre affiancare 2 operazioni che
permettono di spiegare i fenomeni naturali in continua trasformazione:
➢ di negazione: s1 → non s1 e s2 → non s2)
➢ di affermazione: non s1 → s2 e non s2 → s1
Il quadrato semiotico da un lato genera i termini a partire dalle relazioni e dall’altro permette i
passaggi da un termine all’altro.
Il modello del quadrato semiotico è la descrizione dei processi narrativi: se la narratività è
generazione del senso tramite trasformazione, questa trasformazione è già presente nel
passaggio che va da un termine al suo contrario tramite la sua preventiva negazione.

2.3 Termine complesso e


Termine neutro
Oltre ai sémi di prima generazione esistono anche i sémi di seconda generazione che si
costituiscono quando i termini contrari trovano forme di convergenza. Il termine che riunisce i
s mi contrari viene detto COMPLESSO, mentre quello che unisce i sub-contrari viene detto
NEUTRO.
Dietro ogni termine complesso, peraltro, si nasconde un termine neutro: qualcosa che viene
proposto come economico e al contempo elegante finisce facilmente per essere né uno né
l’altro
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Es. In un quadrato semiotico che articola la categoria della sessualità, l’unione di maschile e
femminile (sèmi contrari) genera il termine ermafrodita (termine complesso), mentre l’unione
di non-femminile e non-maschile (s mi sub-contrari) genera il termine angelo (termine
neutro)

2.4 Costituzione delle assiologie


Il quadrato semiotico ha il ruolo di produrre
assiologie, sistemi di valori composti da
termini che acquistano un valore positivo o
negativo a seconda delle culture.
Per far sì che l’articolazione interna
delle categorie semantiche produca
sistemi di valore, occorre che i termini acquistino un peso ora positivo ora negativo.
Per generare valori è necessario sovrapporre al quadrato semantico rappresentante
l’articolazione logica di una qualsiasi categoria semantica un’altra categoria semantica detta
timica, che distribuisce ai vari termini l’opposizione euforia/disforia.
L’omologazione tra il sèma “euforia” e il termine “bianco” produrrà il valore “bianco=positivo”,
mentre l’operazione inversa, cioè l’omologazione del sèma “disforia” al termine “non bianco”
produrrà il valore “non bianco=negativo”

La categoria timica va a sua volta articolata nel


quadrato: espandendo l’opposizione tra i contrari “euforia” e “disforia”, se ne ricava la “non
euforia” e la “non disforia”, oltre ai termini neutri (adiaforia) e complessi (diaforia), che
indicano l’esistenza di pulsioni verso qualcosa o qualcuno non ancora distinguibili in positive o
negative.

3. Elementi di grammatica narrativa


A livello antropomorfo, il racconto si configura come una continua trasformazione di stati,
dove sono in gioco soggetti, oggetti e valori.
Lo stato è una situazione di congiunzione o disgiunzione tra un soggetto e un oggetto.
Soggetto e oggetto, anche se talvolta impliciti, sono sempre presenti: tuttavia non sono
individui o cose già dati che intrattengono qualche rapporto tra loro, ma sono termini che si
definiscono e si costituiscono a vicenda, soltanto nella loro relazione reciproca. Non può
esserci l’uno senza l’altro.
Entrambi sono attanti, elementi sintattici attraverso cui si articolano e prendono corpo le forze
semantiche in campo di un determinato racconto.
Il soggetto è quell’elemento narrativo che è congiunto o disgiunto con l’oggetto, mentre
l’oggetto è dato nella sua congiunzione o disgiunzione con il soggetto.
Nel racconto ci possono essere due tipi di soggetto:
➢ soggetto operatore, che mette in atto le trasformazioni, e il cui senso si produce negli
eventi che accadono, nelle azioni che i soggetti svolgono (dimensione pragmatica)
➢ soggetto di stato, che è congiunto o disgiunto con l’oggetto, e il cui senso si produce
nelle emozioni dei soggetti (dimensione passionale).

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L’oggetto non importante di per sé, ma per il valore che gli attribuisce il soggetto, che può
andare alla ricerca di un oggetto per ragioni diverse: dunque l’oggetto sempre un oggetto di
valore.
Il senso per esistere ha sempre bisogno di una sua manifestazione, di una sua concretezza
sociale, quindi il valore per darsi ha necessariamente bisogno di essere inscritto in un qualche
oggetto. Per questo motivo in semiotica si preferisce parlare non tanto di valori ma di
valorizzazioni, cioè tutte quelle azioni di attribuzione di senso a un oggetto che producono in
un colpo solo il senso e l’oggetto.
Non bisogna confondere gli attanti, solo a livello antropomorfo delle strutture narrative con i
personaggi veri e propri, gli attori, che appaiono invece a livello delle strutture discorsive.
Esistono vari casi:
➢ 1 attante ! 1 attore (un re, soggetto di stato invia il principe, soggetto operatore a salvare
la principessa)
➢ 1 attore ! più attanti (il re parte per trovare la figlia svolgendo sia soggetto operatore che
soggetto di stato)
➢ Più attori ! 1 attante collettivo (un re, sogg. di stato invia più principi, sogg. operatori a
salvare la principessa)

4. Programmi, modalità, identità


Per esserci una struttura narrativa necessario che gli attanti mettano in moto una sequenza di
stati e di loro trasformazioni. Questa sequenza non casuale: tende a raggiungere uno stato
finale in cui il soggetto per realizzarsi deve far proprio un suo determinato oggetto di valore,
oppure se soggetto operatore deve far sì che l’oggetto divenga proprio del soggetto di stato.
La sequenza narrativa ha un obiettivo specifico: qualcuno che acquista un’identità. L’identità
soggettiva è la conseguenza di un programma narrativo.
Identificare la struttura di un racconto equivale a ricostruire i programmi narrativi che ne
permettono lo sviluppo.
Un programma narrativo (PN) l’insieme delle operazioni che un soggetto operatore mette in
atto per far sì che il soggetto di stato possa esser congiunto o disgiunto con il suo oggetto di
valore.
Per attuare il programma di ricerca dell’oggetto di valore necessario che il soggetto
operatore sia abilitato a farlo: per svolgere una certa azione è indispensabile che egli sia
competente. Il programma narrativo viene modalizzato in modo diverso a seconda della
modalità con cui il soggetto viene reso competente a eseguire l’azione.
Le modalità narrative sono 4:
➢ dovere
➢ volere virtualizzanti
➢ potere
➢ sapere attualizzanti

Si tratta di verbi che non predicano direttamente un contenuto descrittivo, ai quali va aggiunto
un altro verbo che esprime un’azione (fare) o uno stato (essere)
In ogni racconto, per operare la trasformazione, il soggetto operatore deve acquisire prima un
volere o un dovere, e poi un potere o un sapere.
L’identità non mai data una volta per tutte ma si delinea progressivamente, si trasforma
mediante le modalità di cui il soggetto si dota.
Ci sono tipi di soggetti diversi:
• soggetti che hanno il volere ma non il potere e viceversa
• soggetti che non appena hanno potere ne cercano ancora, non passando mai all’azione
vera e propria









• soggetti che hanno il saper-fare ma non il potere, dunque non sono mai nella condizione
di agire.
Al PN di base, che mira al congiungimento o disgiungimento del soggetto di stato con il valore
inscritto nell’oggetto, si aggiunge uno o più PN d’uso che servono al soggetto operatore per
trovare le modalità necessarie attraverso le quali passare all’atto.
Es. se qualcuno vuole sedurre l’oggetto amato (PN di base), deve prima rendersi desiderabile,
gradevole, attraente (PN d’uso) dotandosi di mezzi che gli consentano di diventare tale per poi
mettere in moto il programma finale di conquista.
Accade spesso che si cerchi di mettere in moto programmi di base senza passare dai
programmi d’uso, agendo quindi senza competenze. Dunque se di principio l’acquisizione
della competenza deve sempre precedere il passaggio all’azione, non è detto che di fatto sia così:
ci sono infatti volte in cui nel racconto prevista la presenza di un terzo attante chiamato
destinante, che conferisce al soggetto operatore la modalità necessaria per passare all’azione.
Se il racconto una struttura chiusa (inizio, svolgimento, fine), la figura del destinante lo tiene
in qualche modo aperto e in contatto con un universo semantico altro dal quale provengono i
valori e dove probabilmente si tornerà alla fine.
Le relazioni tra l’universo narrativo dato e l’universo trascendente vengono interamente
gestite dal destinante, che sia mandante che giudice: la sua figura ancora più importante di
quella del soggetto, in quanto da lui che dipendono i valori che il soggetto si incaricherà di
raggiungere e la loro valenza.

5. Schema narrativo e canonico


Lo schema narrativo canonico è un modello a 4 tappe che può essere utilizzato per ogni
aspetto della narratività. Il momento centrale di ogni struttura narrativa quello della
performance, l’atto che porta alla trasformazione narrativa, e che dunque consente il
passaggio da uno stato iniziale a uno stato secondario.
Se la performance deve essere intesa come un’azione o una serie di azioni grazie a cui il
soggetto porta a termine il suo PN di base, la riuscita non è scontata: deve essere sempre
preceduta dall’acquisizione delle competenze necessarie per svolgerla. Questa acquisizione
consiste in un’azione o serie di azioni grazie a cui il soggetto viene messo nella condizione di
passare all’atto.
Lo schema narrativo canonico si articola su 2 livelli composti ciascuno da 2 momenti:
una DIMENSIONE CONOSCITIVA a cui appartengono manipolazione e sanzione,
e una DIMENSIONE PRAGMATICA a cui appartengono competenza e performance.

Lo schema quindi formato da 4 tappe:


1. manipolazione, è l’elemento iniziale di ogni racconto, in cui destinante e soggetto
stipulano un contratto sulla base del quale il soggetto acquisisce un volere o dovere.
2. competenza, è il momento in cui il soggetto acquisisce le competenze necessarie a
svolgere il proprio compito. In genere il soggetto è contornato da aiutanti e oppositori. Tale
acquisizione può essere pacifica come può non esserlo. In base alle competenze apprese
avverrà o meno la performance
3. performance, è il momento in cui il soggetto esegue un’azione sulla base delle
competenze acquisite. Grazie alla performance il soggetto porta a termine il suo PN di
base e la narrazione raggiunge il suo culmine.
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4. sanzione, è il momento finale del racconto in cui il soggetto, operata la performance, si


ripresenta al destinante e sottopone al suo giudizio il proprio operato. È il momento in cui
si tirano le somme di quanto è accaduto, si fa il bilancio delle azioni intraprese e delle
passioni vissute, si cerca di capire se l’assunzione dei valori da parte del soggetto sia stata
efficace.
Non tutti i momenti dello schema devono essere necessariamente presenti in un testo: spesso
alcune tappe vengono per così dire mascherate. Per questo motivo la narrazione è una forma di
argomentazione mascherata: vengono raccontate alcune cose tralasciando alcuni aspetti, ma
essi sono comunque presenti nella narrazione. Spesso infatti siamo in grado di ricostruire ciò che
non viene detto mediante la presupposizione, un ritornare indietro nello schema.
Es. se vedo qualcuno che compra una macchina, presuppongo che esso abbia trovato prima i
soldi per comprarsela. La presupposizione è possibile, l’andare avanti no, perché viene
totalmente affidato all’immaginazione.

6. Polemiche e strategie
All’interno di ogni racconto presente una struttura polemica in cui si incrociano almeno 2 PN di
base: quello del soggetto della storia (eroe) e quello dell’antisoggetto (antagonista).
All’interno di ogni racconto c’è un contrasto polemico tra due programmi: occorre ipotizzare la
presenza e la trasformazione di 2 soggetti, 2 destinatari, 2 sistemi di valori opposti.
La presenza di PN e sistemi di valori opposti genera 2 conseguenze:
1. nel raccontare la storia si deve necessariamente prendere posizione per uno dei due
soggetti presenti, dato che impossibile assumere un punto di vista neutro e
distaccato
2. l’identità del soggetto si costruisce non solo nei confronti dell’oggetto ma anche nei
confronti dell’antagonista e dello scontro che si ha con esso.
In questa situazione rivestono un ruolo di primaria importanza le strategie. Il soggetto, prima
ancora di incontrare l’antisoggetto, deve immaginare le sue possibili mosse, adattando le
proprie a quelle che si presume l’antisoggetto compirà, ma anche l’antisoggetto mette in moto
una strategia analoga. Alle strategie globali dei PN di base, si accompagnano dunque le
tattiche locali dei PN di sostituzione, programmi allestiti per rimediare alle azioni dell’altro o
per anticiparle.
Strategie e tattiche moltiplicano gli attanti narrativi; appaiono un gran numero di soggetti:
➢ Soggetti PRAGMATICI, intraprendono dei programmi d’azione
➢ Soggetti COGNITIVI, cercano di costruire l’essere dell’altro
➢ Soggetti SIMULACRALI, vengono immaginati dall’altro
➢ Soggetti DI FINZIONE, si danno a vedere all’altro.
Da qui l’idea delle tattiche, ulteriori programmi narrativi che vengono messi in atto ogni qualvolta
si tenta di evitare un ostacolo.
Tuttavia, prima ancora di mettere in atto specifiche tattiche e strategie occorre preoccuparsi di
riconoscere metastrategicamente le differenti culture della strategia, così da comprendere il
peso dei valori in gioco e identificare i codici dell’altro.
Quindi i soggetti dovrebbero avere una capacità metastrategica per riconoscere tutto questo e
poter agire di conseguenza.

7. Logiche dell’affetto
L’affettività, il modo d’essere di una persona diventa fondamentale nelle logiche narrative. Le
passioni sono parte integrante della narrazione, vengono infatti coinvolte in ogni azione dei
soggetti. Per questo dobbiamo definire la narratività come un processo orientato di
trasformazione di azioni e passioni, dove ogni azione genera una passione e viceversa.
Semioticamente, la passione, è un effetto di senso del discorso sia perché i vari discorsi
producono, sollecitano, o trasformano le emozioni di entrambi gli attori, sia perché l’idea stessa di



affettività è la risultante finale di una serie di meccanismi semiotici: temporalità, aspettualità,


tensione, intensità e ritmo.
Ogni determinata passione è l’esito di possibili montaggi tra fenomeni semiotici diversi, un
esito che non è mai concluso poiché viene inserito a sua volta in un processo di continui
mutamenti, tensioni, blocchi, rilanci.

8. Percorso passionale canonico


Anche i processi affettivi fanno riferimento a un loro percorso canonico, costituito da 3 tappe
fondamentali: COSTITUZIONE, SENSIBILIZZAZIONE (divisa a sua volta in disposizione,
patemizzazione, emozione) e MORALIZZAZIONE

Secondo questo modello ogni situazione passionale può essere inserita in uno di questi
momenti del processo dell’affettività che si configura come un crescendo:
1. Costituzione, si manifesta una specie di predisposizione del soggetto ad accedere al
percorso passionale, sulla base di un attante detto costituente. Questo il regno delle
passioni senza nome e senza oggetto singolo: non si tratta di vere e proprie passioni ma
di propensioni patemiche che potranno essere circoscritte come stati affettivi o
linguisticamente definite con termini passionali.
Es.1 → La gelosia è quella vaga inquietudine provocata dal comportamento ritenuto strano
dal soggetto amato.
Es. 2 → L’avarizia è quel generico attaccamento alle cose da parte di un soggetto.
2. Sensibilizzazione, la disposizione affettiva diventa passione propriamente detta. La
sensibilizzazione si suddivide in 3 tappe:
a. Disposizione, il soggetto acquista le capacità necessarie per disporre il proprio
animo ad appassionarsi in un modo anziché in un altro
Es. 1 → Il geloso trasforma l’inquietudine in un voler-sapere
Es. 2 → L’avaro organizza la sua inclinazione come non-voler-essere disgiunto dai
propri beni
b. Patemizzazione, la vera e propria performance passionale, il comportamento
appassionato che consegue dalla disposizione d’animo precedentemente acquisita.
Es. 1 → Il geloso crede nel tradimento del soggetto amato e prova ossessivamente
a pedinarlo lasciandosi andare a continue scenate
Es. 2 → L’avaro trasforma immaginariamente il valore dei propri beni mettendo in
moto un programma per la loro difesa
c. Emozione, la conseguenza della passione sul corpo del soggetto, manifestazione
somatica dell’affetto che tende a trasformare la corporeità o a farla agire
direttamente. Con l’emozione il processo passionale raggiunge l’intimità più
profonda e la conseguenza la perdita del controllo
3. Moralizzazione, rientra in gioco l’intersoggettività, in quanto i dispositivi passionali
vengono posti al vaglio di una regola sociale. Questa fase prevede la presenza di un
attante valutatore, che opera secondo il principio classico della misura, a partire dal
quale decide circa l’accesso o l’insufficienza di una determinata passione rispetto a
determinate direttive sociali. Le passioni diventano quindi vizi o virtù.
Es. 2 → L’avarizia potrà a questo punto essere distinta in parsimonia (socialmente
accettata) o tirchieria (socialmente rifiutata)





Nonostante ci si trovi davanti a uno schema, la passione è prima di ogni altra cosa un processo
dinamico. Scopo dell’analisi è quello di sfuggire alle stereotipie linguistiche e discorsive,
spiegandone le procedure costruttive.
L’elaborazione dello schema passionale risente dello schema narrativo: l’importanza di questo
schema sta nel fatto che è sufficiente reperire anche soltanto uno dei momenti del percorso per
poter ricostruire tutti gli altri.

9. Forme di vita
I capisaldi della teoria narrativa sono stati soggetti a costanti integrazioni e revisioni,
approfondimenti e allargamenti.
Lo schema canonico sottende a un’ideologia ben precisa, culturalmente e storicamente
determinata, legata all’azione di un soggetto caricato di precise proprietà, ai suoi calcoli
necessari per il raggiungimento delle sue mire, ai suoi scontri e alle sue alleanze sempre e
comunque finalizzati alla congiunzione con oggetti di valore preventivamente messi in gioco.
Lo schema narrativo canonico un modello non certo da abbandonare ma comunque da
ridimensionare, eliminando quell’aura di universalità che gli viene attribuita.
È un buon punto di partenza per spiegare alcuni meccanismi di produzione del significato, ma
non l’unico possibile: ad esso vanno aggiunti tutta una serie di altri modelli che rendono conto di
fenomeni sociosemiotici più complessi.
Accade spesso che lo stile di vita di un soggetto si costituisca per differenza rispetto al modello
narrativo standard. Alla soggettività di tipo progettuale, si accostano altre forme di soggettività
d’esperienza: si tratta di forme di vita molto diverse tra loro ma tutte riconducibili a una
deformazione coerente dei modelli standard del vivere civile. Deformazione che, una volta
avvenuta, può più o meno stabilizzarsi entrando nell’uso comune.
La procedura semiotica su cui si basa la forma di vita è l’alternanza dialettica fra
condensazione ed espansione, tra figure espresse localmente e configurazioni globali che le
contengono facendole significare.
Per esserci forma di vita, occorre che un soggetto selezioni una qualche categoria semantica e
la ponga come dominante all’interno della propria organizzazione esistenziale: c’è chi seleziona
la categoria della “scelta” ponendosi in una condizione di distinzione e chi, viceversa, preferisce
la condizione di fusione in collettività più o meno grandi.

Capitolo 3 – PRINCIPIO DELLA DISCORSIVITÀ

1. Dalla comunicazione all’enunciazione


Il punto di partenza per comprendere l’enunciazione è una constatazione del senso comune:
così come ogni prodotto presuppone un produttore, ogni prodotto comunicativo presuppone
qualcuno che lo ha comunicato e qualcuno verso cui diretto. Ogni messaggio trasmesso
presenta quindi al suo interno non solo un contenuto enunciato ma anche qualche traccia del
processo di produzione, una specie di firma segreta del suo autore. Di conseguenza ogni
enunciato ha una sua marca, un segno del soggetto che lo ha compiuto.
Il discorso un fenomeno che racchiude il processo comunicativo: vanta al suo interno una
serie di segni che lo caratterizzano come risultato di un fare e come portatore di determinati
contenuti

2. Linguaggi e soggettività
Saussure distingueva 2 aspetti del linguaggio:
• Parole → momento sostanziale in cui il singolo individuo concretamente comunica
• Langue → sistema di regole condiviso dalla massa parlante

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All’interno del linguaggio c’ un lato variabile per cui ogni soggetto si esprime in modo diverso
(parole) e un lato invariante, un codice sociale condiviso che garantisce la riuscita della
comunicazione tra gli individui (langue). Parole e langue sono quindi in relazione dialettica.
John Austin indica una serie di fatti linguistici per i quali i soggetti implicati nella comunicazione
hanno un ruolo di primo piano. Accanto agli enunciati constativi, il cui scopo è descrivere il
mondo e si assumono la responsabilità di rappresentare la realtà, troviamo una serie di forme
d’azione, gli enunciati performativi, il cui valore consiste nel fatto di essere pronunciato al
momento giusto e dalle persone abilitate a farlo.
Roman Jakobson propone la teoria delle funzioni comunicative secondo cui i possibili modi di
usare il linguaggio vengono inseriti nella lingua sotto forma di regole grammaticali e sintattiche che
codificano gli usi stessi.
Colui che per ha più di tutti insistito sull’importanza della presenza del soggetto parlante
all’interno dei meccanismi verbali Émile Benveniste, che ha dimostrato come una serie di
categorie (pronomi personali, dimostrativi, forme e modi verbali) hanno senso solo se
collegate ai soggetti che le pronunciano e alla situazione in cui vengono pronunciate.
Infatti i pronomi cambiano ogni volta di significato a seconda chi li enuncia: IO è il soggetto
parlante e il suo valore si modifica ogni volta che cambia colui che parla.
L’enunciazione è dunque un’istanza di mediazione tra langue e parole che si manifesta nel
concreto atto comunicativo.
Secondo la semiotica ogni enunciato presuppone un’enunciazione, un atto produttivo originario
che può essere più o meni manifestato all’interno dell’enunciato stesso. Ci possono essere casi in
cui il soggetto dell’enunciazione viene segnalato esplicitamente, casi in cui ogni traccia della
produzione enunciativa viene nascosta; ma l’enunciazione è sempre presente nell’enunciato,
anche quando non è percepibile.
Tutto questo permette di ricostruire il modo in cui l’enunciato è stato prodotto: il processo di
débrayage, grazie al quale entrano in gioco tre fondamentali categorie: attore, tempo e spazio,
passando dal livello della narratività a quello della discorsività.
Se il soggetto dell’enunciazione è un IO che parla in “un qui” e in “un ora”, l’enunciato potrà
riprodurre al suo interno queste stesse figure enunciando l’enunciazione attraverso un
débrayage enunciazionale, quando il soggetto è un NON IO che parla in un “non qui” e in un
“non ora” cancella l’enunciazione attraverso un débrayage enunciativo.
Il processo inverso è definito embrayage, tornare indietro a figure precedenti.
Un enunciato possiede al suo interno delle marche, che rinviano al soggetto dell’enunciazione:
da un lato all’enunciatore, dall’altro all’enunciatario. In questo modo l’enunciazione può essere
interpretata mediante i modelli narrativi. La comunicazione diviene un racconto, e i suoi
personaggi fondamentali possono essere pensati come attanti narrativi. Parlare non è solo
trasmettere ma dar luogo a un’azione in cui un Soggetto operatore (Enunciatore) congiunge un
Soggetto di stato (Enunciatario) con un Oggetto (Messaggio): in questo modo l’enunciatario
non è solo un Soggetto operatore ma anche il Destinante. Conseguenze:
1. Indicare i protagonisti dell’enunciazione come attanti vuol dire riproporre la loro
differenza con gli attori effettivi della comunicazione: enunciatario ed enunciatore non
sono persone reali, ma i loro simulacri testuali
2. enunciatario ed enunciatore sono caricati di valori modali
3. enunciatore ed edunciatario oltre ad essere soggetti pragmatici sono anche soggetti
cognitivi: entra in gioco il momento del contratto, quella specie di accordo sui valori che
nel corso del racconto entreranno in gioco.

3. Efficienza ed efficacia
Non bisogna confondere mittente e destinatario con enunciatore e enunciatario: i primi sono
attori in carne ed ossa mentre i secondi sono i loro simulacri all’interno del discorso.
Enunciatore ed enunciatario esistono perché i discorsi presuppongono strategie, che

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per essere messe in atto dagli attori hanno bisogno di simulacri.


L’emittente propone un’immagine di sé (enunciatore) e un’immagine del destinatario
(enunciatario). Lo stesso farà il destinatario: costruisce un’immagine dell’emittente
(enunciatore) nel momento in cui fornisce un’immagine di sé (enunciatario).
L’efficacia concreta della comunicazione deriva dall’efficienza discorsiva interna, dalla
simulazione orientata degli attori comunicativi nella struttura dell’enunciazione. Sono così
enunciatario ed enunciatore a svolgere concretamente l’azione comunicativa.
Si sviluppa una sorta di circolo virtuoso fra la costruzione dei patti comunicativi e l’efficacia: da
una parte stipulare un patto condizione alla buona riuscita del processo comunicativo,
dall’altra la fiducia che l’enunciatario pone nell’enunciatore e il conseguente patto
comunicativo tra questi due attanti non preliminare.
Non c’ infatti un momento iniziale di contratto da cui prende avvio il discorso: nel corso del
processo comunicativo concreto che tale patto viene stipulato.

4. Strategie del sapere


L’enunciato è interpretabile come un oggetto di valore che l’enunciatore si adopera a
congiungere con l’enunciatario. Qualsiasi testo, oltre ad innescare argomentazioni profonde e
patti comunicativi, tende a costruire al suo interno quella configurazione cognitiva complessa
chiamata “notizia, ipotesi teorica, messaggio”
Il soggetto dell’enunciazione, oltre ad essere un attante pragmatico (qualcuno che fa)
dovendo scambiare un oggetto che un messaggio, deve contenere al suo interno un
attante cognitivo (qualcuno che sa).
Così come esistono enunciatore e enunciatario, è possibile ipotizzare all’interno del discorso dei
soggetti enunciazionali:
➢ informatore → soggetto che sa che c’ qualcosa da far sapere.
➢ osservatore → soggetto che sa che c’ qualcosa da sapere.
Osservatore e informatore sono attanti: possono essere manifestati sotto forma di attori
oppure restare astratti e impliciti
A seconda dei casi, l’osservatore può essere:
❖ focalizzatore → quando resta del tutto indeterminato.
❖ spettatore → quando riceve una collocazione spaziale e temporale.
❖ assistente → quando può essere reso attraverso un attore
❖ assistente partecipante → quando può diventare un personaggio del racconto
❖ assistente protagonista → quando diventa la figura centrale.

L’informatore non va identificato con colui che informa ma piuttosto con quelle possibili figure
che forniscono in modo più o meno soddisfacente la necessaria competenza per farlo.
Dotati di competenze modali variabili, positive o negative, Osservatore e Informatore possono
intrattenere fra loro relazioni contrattuali o polemiche.
Può succedere infatti che:
1. l’osservatore voglia sapere e l’informatore voglia far sapere.
2. l’osservatore voglia sapere mentre l’informatore non voglia o non possa far sapere.
3. l’osservatore non voglia sapere e l’informatore voglia far sapere, costringendo in qualche
modo il primo ad acquisire un’informazione che non voleva.
I regimi del sapere dipendono dalle moltiplicazioni di osservatori e informatori:
➢ se le fonti di informazione sono molteplici e contradditorie, il sapere tende a
sgretolarsi, mentre se l’informatore è unico, viene prodotta una specie di discorso
realistico, veritiero.
➢ se gli osservatori sono molti, la verità tende a frammentarsi, mentre se uno solo si
costruisce una specie di certezza soggettiva

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5. Intertestualità,
interdiscorsività,
intermedialità
Un’ulteriore questione relativa al fenomeno dell’enunciazione è quella del modo in cui il discorso,
manifestandosi, rende possibile un’esperienza empirica di sé: viene prodotto materialmente da
un emittente e recepito fisicamente da un qualche destinatario. Solo il testo presenta la doppia
faccia (espressione e contenuto). Così il discorso può essere manifestato da testi molto
diversi tra loro.
Testo e intertesto sono la medesima cosa: comprendere i confini del testo è comprenderne i
legami con altri testi e, viceversa, stabilire legami tra testi è determinare la fisionomia di ciascuno
di essi.
Il problema diventa quello della costruzione e del mantenimento della coerenza discorsiva a
partire dai testi di tipo e natura differenti.
I testi che contribuiscono alla manifestazione del discorso possono adottare le medesime materie
dell’espressione ! si parla di coerenza intrasemiotica oppure possono far ricorso a differenti
materie dell’espressione ! si parla di coerenza intersemiotica o intermediale.
La coerenza del discorso può essere costruita in due modi:
1. orizzontalmente, grazie alla compresenza entro un medesimo pacchetto testuale di figure
appartenenti ora a una, ora all’altra forma di totalità figurativa
2. verticalmente, grazie alla progressiva concretizzazione e conseguente arricchimento di
una storia astratta prima in un preciso tema e poi in una specifica forma di figuratività e una
specifica batteria di attori, spazi e tempi.

6. Temi e figure
I termini linguistici hanno un significato letterale, che il significato proprio che si trova nella
definizione offerta dai dizionari e rinvia al referente esterno, alla cosa che rappresenta, e un
significato figurato che un significato aggiunto dal singolo parlante o scrivente, che non rinvia
al referente reale ma indica qualcosa d’altro.
Dunque da un lato c’ il significato razionale del segno, costruito dalla lingua comune, e
dall’altra il significato poetico, dettato dall’immaginazione, costruito ad hoc.
Questa visione della semantica è stata ampiamente superata, è stato mostrato infatti che:
➢ il significato dei termini non stabile, ma si trasforma nel corso del tempo.
➢ il significato linguistico non un concetto, ma un composto di entità di natura diversa
di tipo logico-visivo e sensoriale.
➢ non esiste un significato legato ad un solo e unico termine, dato che le entità
linguistiche di per sé composte, vanno a comporre entità più vaste nella cui articolazione
complessiva si costituisce la significazione.
Questa significazione ha al suo interno elementi di vario genere: entità astratte costruite
intellettivamente, entità figurative, entità somatiche che articolano la categoria timica.

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La tematizzazione la ricopertura semantica delle strutture narrative attraverso la selezione


di una serie di temi possibili, raffigurabili a loro volta in modi diversi: ci sono ad esempio temi che
si collegano automaticamente con certe figure in modo da creare veri e propri stereotipi discorsivi.
La relazione fra temi e figure va in entrambe le direzioni: se da un lato il tema una realtà
semantica astratta che viene figurativizzata e arricchita di senso, le figure a loro volta sono
portatrici di temi diversi.

La figuratività tende a staccarsi dalla sua base tematica e a rendersi relativamente autonoma
producendo vere e proprie argomentazioni figurative e rientra nel piano del contenuto.
Esistono diversi sotto-livelli di figuratività, ordinati gerarchicamente a densità figurativa
crescente:
1. figurale → in cui pochi formanti figurativi cominciano a ricoprire la tematizzazione
precedente.
2. figurativo → in cui appaiono le prime figure compiute del mondo.
3. iconico → in cui tali figure vengono arricchite di dettagli sempre più minuziosi.

La distinzione tra livello tematico e livello figurativo e all’interno di quest’ultimo la


separazione fra i sotto-livelli figurale, figurativo e iconico, permette di abbozzare una
tipologia dei discorsi: ci sono discorsi in cui viene privilegiata la componente tematica, altri in
cui la componente figurativa a giocare un ruolo primario.
All’interno di questi ultimi andranno poi distinti tipi di discorso dove prevale una figuratività
tenue da altri in cui viene sviluppata l’iconicità ! in quest’ultimo caso il testo, arricchito di figure
del mondo identificabili (icone), viene caricato di effetti di reale: accade che il destinatario,
attraverso una griglia di lettura, sia portato a riconoscere in quelle icone costruite dal testo
alcune figure del mondo naturale da lui stesso precedentemente individuate. Tende in tal modo
a considerare il messaggio contenuto nel testo iconico come qualcosa di veridico

Capitolo 4 – PRINCIPIO D’ESTETICITÀ

2. Figurativo e plastico
La semiotica rileva una doppia natura significativa dell’immagine. La sostanza visiva in
un’immagine significa 2 volte perché viene formata 2 volte:
I. FIGURATIVA: le forme, i colori, i materiali in essa contenuti significano perché tendono a
riprodurre o a rappresentare qualcosa che già conosciamo nel mondo della nostra
esperienza
II. PLASTICA, la tecnica visiva ci colpisce comunicandoci altri possibili messaggi

Uno dei casi più frequenti e più evidenti di questo duplice linguaggio delle immagini è quello
relativo al problema della rappresentazione visiva del tempo narrativo: in linea teorica le
immagini sono statiche, dunque non potrebbero rappresentare un’azione in movimento e
nemmeno i molteplici momenti del medesimo racconto.
Eppure gli artisti hanno escogitato diverse maniere per superare il problema, inserendo in un unico
quadro più momenti dello stesso racconto: ponendo per esempio il momento precedente sullo
sfondo e quello finale in primo piano oppure il primo a sinistra e il secondo a destra.
Un caso pubblicitario in cui la compresenza di questi due linguaggi, figurativo e plastico,
dell’immagine è evidente è l’annuncio per l’ansiolitico Sédatonyl, nel quale il contenuto
comunicativo emerge immediatamente: grazie al prodotto il soggetto passa progressivamente
da uno stato di ansia a uno stato di tranquillità.
Sul piano figurativo emerge posizionata in basso la posizione yoga, simbolo di
rilassamento, che non invece presente nelle altre due figure al centro e in alto. Il processo di
tranquillizzazione è dato figurativamente dalle tre posizioni del corpo.

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A livello figurativo questo processo narrativo è reso anche dalla silhouette della donna, il tratto
grafico che ne rappresenta il contorno.
Sul piano plastico il processo di tranquillizzazione viene determinato da una serie di categorie
visive:
➢ la collocazione delle figure in alto, al centro e in basso rende il tempo della trasformazione.
➢ lo scuro e il chiaro veicolano la trasformazione timica (scuro : chiaro = disforia : euforia)
➢ la figura asimmetrica e quella simmetrica sono elementi plastici che confermano il
passaggio dalla disforia all’euforia.
Questo esempio ci permette di fare 2 osservazioni:
1. il piano plastico dell’immagine non è il piano dell’espressione della sua figuratività, ma
un linguaggio secondo dotato di una propria espressione e di propri contenuti che si
sovrappone a quello figurativo.
2. il piano plastico dell’immagine non agisce sulla base di elementi singoli di tipo simbolico
ma funziona attraverso le analogie, attraverso cioè la procedura semiotica definita
semisimbolismo.

3. Argomentazioni figurative
La figuratività è quel livello del senso che prende in carico la percezione umana e sociale del
mondo, in primo luogo di tipo visivo, ma anche riguardante l’apparato sensoriale e somatico.
La visione non un’operazione naturale ma dipende, come la lingua, da una serie di codici
sociali che la trascendono, tanto arbitrari quanto condivisi
Vedere qualcosa significa decidere in anticipo cosa guardare. Le immagini non rappresentano
le cose, ma le nostre idee delle cose: è la ragione per la quale in quest’immagine possiamo
vedere sia un coniglio che un papero, ma mai entrambe le figure nello stesso momento.

Generalmente più un testo visivo ricco di effetti visivi


che rendono conto dei dettagli della
figura più considerato realistico
Es. una circonferenza in sé è semplicemente una circonferenza, ma se progressivamente
disegniamo al suo interno o al suo esterno una serie di tratti essa diventerà tante altre figure
possibili, e viceversa partendo da un’immagine dettagliata ed eliminando progressivamente dei
tratti rimarrà non più un’immagine figurativa, ma un’immagine astratta.
Volendo generalizzare, potremmo dire che il livello figurativo del discorso prevede una sorta di
scala graduale che va da un massimo di figurazione a un massimo di astrazione.
La teoria semiotica ha proposto di soffermarsi su 3 sottolivelli della figuratività:
1. livello figurale → in cui pochi formanti figurativi cominciano a esser tratteggiati e ad
assumere configurazioni ben riconoscibili
2. livello figurativo → in cui diventano riconoscibili precise figure del mondo della nostra
esperienza
3. livello iconico → in cui le figure identificate nel precedente livello vengono arricchite di
dettagli sempre più minuziosi, sino a imporre un’interpretazione standard della figura
La differenza fra le immagini non sta nelle cose che rappresentano ma nella loro diversa
densità figurativa.

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La figuratività non presente solamente nelle immagini ma in qualsiasi altro sistema semiotico
compreso il linguaggio verbale. Nella costituzione del piano dei significati verbali è sempre
presente una componente visiva, i sèmi figurativi, che contribuiscono alla produzione degli
effetti di senso delle parole: dunque i sottolivelli del piano figurativo sono presenti anche nel
linguaggio verbale.
Questi sottolivelli non sono però soltanto presenti nelle immagini o nelle parole in modo oggettivo:
spesso dipendono dal tipo di sguardo, culturalmente situato, che si proietta sulla medesima
immagine.

4. Linguaggio plastico
Nei giochi che si instaurano fra i sottolivelli del campo figurativo emergono vere e proprie
forme argomentative indicibili verbalmente ma estremamente chiare all’osservatore.
A dispetto di chi si ostina a ribadire il carattere di immediatezza comunicativa delle immagini, la
semiotica insiste sul fatto che esse si insinuano più che dire, suggeriscono più che dichiarare,
nascondono più che svelare, argomentano più che rappresentare.
Il plastico è un linguaggio secondo che si sovrappone a quello figurativo in parte
appoggiandosi a esso, in parte riarticolando la materia espressiva dell’immagine per veicolare
significati originali.

Tra le categorie pertinenti alla costruzione del linguaggio plastico, ricordiamo:


1. categorie eidetiche, hanno a che fare con linee e forme.
2. categorie cromatiche, riguardano i colori.
3. categorie topologiche, concernono la posizione delle figure rispetto allo spazio del
supporto impiegato
A queste tre categorie vanno aggiunte:
4. luce, che intreccia una questione di colori con una di forme
5. testura, che sconfina in parte nella problematica dell’enunciazione, in parte in quella della
tattilità.
Le categorie topologiche entrano in gioco quando diviene pertinente il modo in cui le figure sono
posizionate. Nell’esempio di Sédatonyl i tre personaggi sono collocati secondo l’asse verticale
della pagina, che viene usato per significare il processo temporale di avanzamento verso la
tranquillità euforica: viene attivato un semisimbolismo per il quale alto : basso = prima : dopo.
Per quanto riguarda le categorie cromatiche ! passaggio dal bianco/nero al colore
Per quanto riguarda le categorie eidetiche ! passaggio dalla disforia all’euforia è
sovradeterminato dall’opposizione fra tratto grafico discontinuo e continuo.
Il modo migliore per entrare nel merito del linguaggio plastico è quello di vederlo all’opera nella
costruzione di qualsiasi testo, di carattere più o meno visivo.

5. Esperienza sensoriale e corporeità


La dimensione visiva non è l’unica a essere importante sul piano dell’espressione dei testi.
Udito, olfatto, gusto, tatto e tutta la complessa esperienza polisensoriale vengono convocati per
produrre significati ulteriori.
Quindi l’esperienza visiva coinvolge la totalità dei sensi, da cui deriva la necessità di lavorare
sulla dimensione estetica del senso, dove per senso si intende la sua accezione etimologica di
sensorialità, che coinvolge il corpo nella sua interezza e complessità.
I sensi e il senso (così come il soma e il sèma) non sono accomunati solo per ragioni casuali
di sonorità, ma sono fenomeni strettamente correlati, se non addirittura uno solo.
Il corpo è il luogo in cui e il mezzo per cui si costituisce e si ricostruisce la significazione.
Corpo e spazio sono strettamente legati: il corpo abita uno spazio e allo stesso tempo è uno
spazio, o meglio un contenitore.

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Così la semiotica è arrivata a considerare l’esperienza corporea come una specie di co-
partecipante alla costruzione e alla trasformazione della significazione.
Il corpo ha a che fare con le materie dell’espressione dei diversi linguaggi e contribuisce alla loro
formazione semiotica; inoltre interviene al momento dell’enunciazione e ne rimane traccia al
momento della conseguente costruzione dei vari testi.
Si ipotizza che il corpo sia responsabile non solo della discorsività ma, più a fondo, della
semiosi: è a partire dalle prese di posizione corporee che si determina qualcosa.
6. Sinestesie
A questo punto, la questione è quella di predisporre dei modelli d’analisi che mettano in
collegamento sensorialità e testualità, modelli al tempo stesso specifici perché elaborati a
partire dalla particolare maniera in cui il corpo e la percezione accedono al senso, e generali
perché in qualche modo retroattivi rispetto alle testualità canoniche.
Accade così che la differenza tra corpo rappresentato e corpo rappresentante sia molto
difficile da cogliere.
A partire da queste considerazioni, la semiotica ha elaborato un modello di analisi testuale
relativo alla corporeità, la topica somatica, una matrice che stabilisce una tipologia di “modi del
sensibile” al cui interno trovano spazio, oltre ai cinque sensi, anche processi generalmente esclusi
ma pertinenti alla semiotica del corpo.
Questo modello parte del presupposto che il corpo sensibile si distingua in:
➢ corpo proprio, a partire da cui si produce una percezione del sé
➢ carne, una sorta di referenza intima che determina qualcosa come un me
Entrambi, hanno un interno e un esterno, nonché una zona di confine, un involucro che separa
e al tempo stesso mette in comunicazione ciò che sta dentro da ciò che sta fuori.

Ogni modo della sensibilità instaura una


specifica sintassi figurativa, un’articolazione formale dei suoi processi a partire, che può
essere investita da sostanze diverse, dando luogo a effetti sinestetici più o meno mascherati.
La sinestesia non è semplicemente la rappresentazione esteriore di un senso attraverso un
altro, ma il riuso di una forma sintattica attraverso altre sostante sensoriali.
Così come due immagini possono essere associate, dando luogo a possibili argomentazioni
visive per il fatto che hanno in comune un qualche sottolivello figurativo, allo stesso modo due
processi sensoriali possono essere accostati o sovrapposti perché hanno in comune
un’articolazione sintattica soggiacente.
La sinestesia può essere anche intesa come una sovrapposizione percettiva di tratti
espressivi e tratti semici.

7. Spazio e soggettività

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La questione del corpo non è legata soltanto alla sfera della sensorialità, ma coinvolge molti altri
fenomeni semiotici tra cui in modo molto potente il senso dello spazio.
Il corpo ha un nesso costitutivo con lo con la spazialità: acquista consistenza e senso grazie
alla sua collocazione in un determinato luogo e al tempo stesso contribuisce a dare senso a tali
luoghi.
Semioticamente, spazialità e soggettività si costruiscono reciprocamente, a patto di intendere la
spazialità non come ambiente fisico ma come fenomeno significante per l’uomo e la soggettività
non come individualità ma come un qualcosa che costruisce la propria identità attraverso processi.
Sappiamo dalla teoria narrativa che al programma d’azione di una certa soggettività si oppone
quello di un’altra soggettività: in ogni spazio dunque ci sono quanto meno due soggetti che
entrano in relazione con loro.
Immaginando ogni luogo fisico come un enunciato di stato che presuppone un enunciato del
fare, possiamo distinguere tra:
1. soggetti enunciati nello spazio, per cui certe azioni vengono delegate a forme e sostanze
spaziali, sono impliciti e fisici e spesso più efficienti;
2. soggetti dati a livello di enunciazione, “utilizzatori di modello” previsti dall’articolazione
spaziale, sono astratti e in qualche modo costretti dalla situazione
3. soggetti empirici che vivono lo spazio, si adeguano allo spazio, accettano la semantica
dello spazio oppure la riorganizzano, sono concreti e imprevedibili.

Esiste una correlazione tra le forme di articolazione degli spazi e le forme di comportamento
dei consumatori: lunghi corridoi tutti uguali fanno sì che i consumatori si incanalino negli stessi
punti e aspettino il loro turno per acquistare; al contrario spazi ampi e complessi senza un ordine
prestabilito portano i consumatori a crearsi un proprio percorso; ancora spazi non-discontinui,
pieni di fratture portano i consumatori a scegliere a priori dove direzionarsi e cosa fare
esattamente; infine spazi non-continui aperti e senza direzioni prestabilite con molteplici entrate
e uscite portano il consumatore a rilassarsi e a dimenticarsi quasi i motivi per i quali è lì.
Ne consegue che la sfera dell’affettività e delle passioni va inserita all’interno di una
problematica della spazialità.
Per quanto riguarda la semiotica delle vetrine, per la scienza della significazione le vetrine non
sono semplici soglie, ma macchine produttrici che danno a vedere, anticipano all’esterno quanto
all’interno si mostrerà meglio.

8. La presa estetica
La presa estetica permette di studiare i legami tra i processi sensoriali e i processi somatici
(estetici) compresi gli altri fenomeni che fanno parte del dominio dell’arte.
La presa estetica quel momento in cui la sensorialità trasforma in maniera radicale la
cognizione, la soggettività e l’intersoggettività.
Per spiegare questo legame occorre ricordare 2 punti:
1. presenza della figuratività nel piano del contenuto dei linguaggi → il significato non ha
solo natura concettuale ma anche sensibile, di modo che la sensibilità non si dà soltanto
sul piano dell’espressione significante ma anche su quello del contenuto del significato
2. relazione fra plastico e figurativo → il plastico emerge quando trascende la percezione
figurativa dell’immagine.
La presa estetica quindi la trasformazione non narrativa dell’esperienza, la costituzione
corporea della soggettività.

9. Guizzo finale
Il racconto di Italo Calvino intitolato “il seno nudo” presente nella serie Palomar, ci è d’aiuto per
riuscire a spiegare la presa estetica.

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Il protagonista Palomar si pone come una sorta di eroe positivo della conoscenza impossibile,
è una persona che non totalizza la sua esperienza del mondo circostante, ma preferisce
descrivere ciò che puntualmente vede.
Un giorno incontra una donna stesa sulla spiaggia a prendere il sole a seno nudo e si pone diversi
problemi etici e ideologici: «guardare o non guardare? E se si, in che modo?»
Nel racconto Palomar oscilla tra quattro diversi modi di guardare quel seno e altrettante
possibili rielaborazioni cognitive.
➢ in un primo momento cerca di guardare altrove,
➢ poi lascia autonomia al suo sguardo che cade proprio sul seno trasformandosi in tatto.
➢ successivamente per non far apparire la donna come un semplice oggetto (visione
negativa e sessista) sceglie di adottare un’altra strategia: guardare solo fino ad un certo
punto.
➢ Al divenir pelle tesa del seno la sua visione diviene nuovamente tattile, l’occhio resta
incantato e avviene una congiunzione tra lo sguardo e il seno. Egli sente come un guizzo,
avviene un trasalimento, direziona lo sguardo a mezz’aria, lo sguardo risale verso l’eidos
(figura) e il seno si ricostruisce come forma.
➢ infine lo sguardo riprende il suo corso come nulla fosse

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