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COSA SOTIENE MCKENDRICK?

L’autore sostiene che la rivoluzione dei consumi sia la corrispettiva della rivoluzione industriale,
colloca la rivoluzione dei consumi a metà 700 in UK. Va vista come una società flessibile, con
aspirazioni di status da parte della classe borghese verso la nobiltà. La sua è una visione
prettamente consumistica: l’industrializzazione è visto come l’effetto, e non la causa, dei desideri
di consumi, i quali sarebbero stati spinti da tecniche promozionali. L’ostentazione e l’emulazione
sono alla base della sua teoria, che non tiene conto però dei motivi che spingevano i borghesi a
consumare. Nel 1850 a parigi nascono i grandi magazzini e secondo l’autore nasce anche la
capacità di produrre e di consumare.

COSA SOSTIENE CAMPBELL?

Campbell offre una spiegazione modernista della nascita della società dei consumi. Secondo
l’autore l’ostentazione può essere esclusa dalla sfera del consumo. I desideri di consumo sono
mossi da un atteggiamento estetico, di stampo romantico che porta ad una ricerca della novità.

L’etica estetica ha portato dunque alla nascita della società dei consumi proprio per la sua
caratteristica di mettere l’infivisuo al centro, con le sue passioni, emozioni e desideri. Grazie a
questa attenzione per l’”IO”, secondo Campbell, sarebbe nata la cultura materialistica. Secondo
l’autore, il consumatore è un edonista, cioè una persona che basa sul piacere i propri principi.

COSA SOSTIENE DE VRIES?

De Vries offre una spiegazione scambista alla nascita della società dei consumi. Afferma che nel
fine 600 la spesa per i consumi crebbe anche di fronte ad un taglio dei salari. Le famiglie infatti
invece di limitare i consumi, produce oggetti per ottenere il denaro necessario per comprare altri
oggetti voluttari. Secondo l’autore dunque in questo frangente nasce il consumo e la figura
dunque del consumatore. La società dei consumi dunque sarebbe nata grazie alla possibilità di
partecipare agli scambi monetari. Questa teoria ci fa capire come produzione e consumo siano la
sessa faccia della medaglia, ma non tiene conto del valore culturale delle merci.

COSA SOTIENE SOMBART?

Sombart cerca di spiegare l’origine del capitalismo cercando di combinare fattori di crescita
economica relativi alla produzione con quelli relativi al consumo. Egli fa rinvenire le tracce già nel
300, quando l’accumulo di capitale non era più dedicato all’economia feudale ma al commercio.

Parallelamente cambiano anche il tipo di merci commercializzate: i beni voluttari. La diffusione di


beni non necessari ha portato ad una nuova struttura del commercio, ma anche della società e
della cultura. I borghesi cercano di mescolarsi ai nobili imitandone il gusto e la raffinatezza.

Sombart si occupa anche della gestione del lusso. Esso sostiene che il lusso abbia portato allo
sviluppo del consumo, in quanto, secondo l’auto, i prodotti di lusso sono “simbolici” e
rappresentano una fortissima leva al consumo. “il lusso porta una forte spinta all’imitazione e
quando non posso permettermelo cerco qualcosa che mi ricordi il lusso che ho visto”.

COSA SOSTIENE SIMMEL RIGUARDO LA MODA?

Simmel da molta importanza alla moda. Sostiene che essa sia una forte leva per tutta a società
dei consumi, la quale è, allo stesso tempo, imitazione e differenziazione (serve a distinguerci ed
omologarci) e cambiamento (in quanto la moda non sta mai ferma ma cambia continuamente).
Quindi le classi sociali più basse cercano di imitare le classi nobiliari, e cosi facendo, le classi
nobiliari sono potate a rinnovarsi, a distinguersi. Queste leve fanno funzionare l’interno sistema
della moda, la cui funzione è quella di articolare la struttura gerarchica della società. Ogni classe
dunque si differenzia e si distingue dalle altre. La koda per Simmel ha un effetto “trikle down”,
cioè uno gocciolamento dall’alto verso il basso dettato dalle classe superiori.

COSA SOSTIENE MCKRACKEN SULLA MODA?

McCracken sostiene che la moda ha sostituito quella che nella società tradizionale era la patina,
vi è dunque un diverso modo di attribuire il valore. Oggi moda e patina convivono in modernità e
vintage. Secondo l’autore anche la ricerca di uno stile personale è una forma di affermazione di
noi stessi, quindi la moda ci da identità. La moda, secondo l’autore, può anche diffondersi in
modo trasversale oltre che dall’alto verso il basso come sosteneva Simmel.

L’autore osservava inoltre, che in una società frammentata i raggruppamenti socio-culturali sono
guidati da innovatori o testmaker. Polhemus nel 1994 osservava che gli street-style (gruppo
sociale più basso) sviluppavano una loro moda. Un altro esempio è l’evoluzione della moda del
piercing e del punk da trasgressivo a normale. A tal proposito, Blumer nel 1979, sosteneva che
uno stile diventa moda non quando viene adottato da un elite, ma quando corrisponde la gusto di
un nascente pubblico di consumatori di moda. Le classi privilegiate dunque possono influenzare
ma non controllare il gusto.

VEBLEN CONSUMO VISTOSO

Il consumo, secondo l’autore, è un modo per le classi borghesi di ostentare il proprio status. Per
la prima volta dunque il consumo si distacca dal bisogno. Il valore di alcuni beni dunque è dato
dalla capacità di evidenziare un posizionamento sociale. Man mano che la borghesia ha accesso
alle merci, i nobili si avvarranno di merci sempre più originali e costose, e così ciclicamente.

Veblen parla inoltre di agiatezza vistosa e consumo vistoso. Il primo indica che il proprio status
deve essere sempre manifestato, mentre il secondo indica che io consumo non perché ne ho
bisogno o perché ho desiderio, ma consumo per far vedere il mio gusto e suscitare negli altri
anche un po di invidia. Veblen, a tal proposito, osservava come le classi più povere ricercavano il
consumo vistoso. Oggi la valenza simbolica di tali beni è sicuramente più complessa e vi sono
diverse forme di classificazioni di status come la non ostentazione, l’understatement..vi è dunque
un approccio policentrico. Il modello dell’emulazione dunque passa da un estremo all’altro, il
consumo è visto solamente in una logica sociale: invidia come fondamento psicologico universale
che non tiene conto della diversità culturale all’interno della sfera del consumo. La sfera provata
del consumo dunque non viene presa in considerazione.

PENSIERO DI ADAM SMITH

Con Adam Smith il consumo viene isolato e separato dalla produzione. Esso osservava come il
consumo fosse un fattore di sviluppo economico ma considerava che non tutti i consumi erano
concessi. Esistono infatti forme di consumo definite corrette (prodotti che vengono consumati
dalla borghesia, che non sono i prodotti di lusso, ma consumi della nuova classe borghese) e
consumi scorretti (spreco). Dunque secondo l’autore vi erano forme di consumo che erano
migliori di altre. Un esempio lo troviamo a fine 700 in cui si diffonde il caffè che diventa la bevanda
borghese e si contrappone al consumo di bevande alcoliche.

Con Smith si sviluppa il concetto di consumatore sovrano, cioè il consumo necessario per
incrementare la produzione in cui tutti consumatori sono sovrani del mercato, e dalle loro scelte
si crea domanda a cui la produzione deve per forza rispondere. Le teorie economiche
neoclassiche dell’800 considerano il consumatore sovrano in un ottica meccanicistica, le scelte
del consumatore sono orientare ad una massimizzazione dell’utilità, acquistando sono i beni
necessari e non valutando aspetti sociali. Questa teoria non tiene però conto di tre aspetti:
formazione o standardizzazione delle preferenze, caratteristiche qualitative dei beni e il controllo e
il bilanciamento dell’informazione.

MARX COSA INTENDE CON LE MERCI SONO FETICCI?

Il consumo, secondo Marx, è un’alienazione per l’uomo. Le merci sono feticci che vengono amate
dagli uomini, sono feticci perché nascondono la loro natura reale. Nascondono la loro natura di
oggetti perché possiedono la fatica, il sudore e il tempo dedicato da latri uomini per costruirli.
Marx per spiegare questo concetto sostiene che siamo davanti a cose sensibilmente
sovrasensibili, cioè un processo in cui l’umanità del lavoratore si riversa, e da valore, all’oggetto. E
secondo Marx è questo che da plusvalore all’oggetto. Per Marx il consumatore produce un effetto
di finissaggio delle merci (la merce vene destandardizzata). Le aziende oggi propongono il
finissaggio direttamente in fase di produzione. Un esempio è la nike con la personalizzazione delle
scarpe.

IL PENSIERO DI BAUDRILLARD

Secondo l’autore il significato e il valore della merce è unicamente culturale. L’autore sostiene che
non bisogna più concentrarsi sulla singola marce in quanto gli oggetti intrattengono una relazione
di tipo sintattica con gli altri beni. Secondo egli gli oggetti si comportano come la parola all’interno
di una lingua, sono cioè regolati da una serie di regole che ne determinano la sintassi della lingua
stessa. Dunque osservando il sistema degli oggetti possiamo interpretare quella che è la lingua.

Gli individui non consumano oggetti che soddisfano bisogni, ma consumano segni che hanno la
capacita di consentire, alle persone che consumano gli oggetti, di raggiungere obiettivi sociali e di
carattere generale.

Il consumatore dunque non consuma per soddisfare i bisogni, perché essi non sono innati ma
sono creati dalle società pubblicitarie che influenzano in tal modo il comportamento dei
consumatori. L’autore infatti denuncia il sistema della produzione sostenendo che gli individui
siano spinti al consumo e abbiano sempre nuovi desideri in quanto vittime di strategie
pubblicitarie e di marketing delle imprese.

Il sistema degli oggetti dunque rappresenta un sistema comunicativo unitario, gli oggetti non
hanno senso presi singolarmente ma acquistano senso se presi in una logica di sistema. Il
sistema degli oggetti, in questo modo, è in grado di istituire un sistema culture capace di
comunicare la nostra posizione nella società.

Secondo l’autore il consumo assume anche una funzione ideologica che si traduce nella
creazione di regole e modalità di consumo per ciascuna classe sociale. Osservano il suo contesto
di riferimento, cioè la Francia degli anni 60, nota come esito una divisione in classi e come esse
utilizzano merci differenti. Le regole e le modalità di consumo dimostrano come le persone
appartengono ad una casse sociale rispetto che ad un altra.

Le merci si caratterizzano per un valore anche di segno, che da un lato ha la capacità di indicare
l’appartenenza del consumatore ad un determinato stato sociale e dall’altro è in grado di
differenziare una classe sociale da un’altra.

Baudrillard e la scuola critica considerano i consumatori come una massa indistinta di individui in
balia dei media non tenendo conto che ognuno consuma in modo diverso , se non altro perché ci
sono distinzioni di età, genere e classe.

COSA SOSTIENE RITZLE A POPOSITO DEI RITUALI?

Ritzle sosteneva che il consumo sviluppava una serie di rituali. Nel libro “le cattedrali del
consumo” sostiene che nelle società contemporanee, esistono dei luoghi dedicati ai rituali di
consumo che agiscono negli individui che li frequentano nello stesso modo co cui le grandi
cattedrali cattoliche agivano sui fedeli. I centri commerciali sono come le cattedrali, non solo
perché attraggono a se la gente, ma perché al loro interno si svolgono una serie di rituali (es. il
rituale dei saldi). Tutti i gruppi sociali hanno bisogno di rituali per affermare la loro esistenza e
l’aderenza dei propri membri.

I rituali di corso possono essere divisi in due categorie: MACRO-RITUALI, cioè cerimonie per
consolidare l’appartenenza alla comunità (riti di integrazione). Essi coinvolgono un gran numero di
persone e avviene in momenti specifici. Il brand Heineken coinvolge gli appassionati attraverso
dei rituali, organizzando festival con cadenza annuale con lo scopo di creare apparenza tra i
consumatori. i MICRO-RITUALI invece, sono procedure per facilitare i contatti quotidiani e
negoziare la propria identità. Coinvolgono un numero minore di persone e avviene nella
quotidianità. Heineken: esiste un modo di versare la birra che chiunque può seguire per ottenere
un’esperienza gustativa ideale.

Dunque capiamo come l’accesso a determinati beni e la partecipazione al loro consumo consente
all’individuo di sentirsi parte di un gruppo. I beni dunque creano simbolicamente appartenenza. la
dimostrazione di appartenenza a una comunità avviene attraverso l’impiego di rituali.

IL PENSIERO DI RIESMAN

Riesman elabora un concetto riguardante il concetto di consumo, sostiene che esiste un


patrimonio di oggetti che ognuno di noi si sente di dover possedere, oggetti senza i quali si
sentirebbe “cittadino di serie b” o addirittura emarginato. A partire dal possesso di questi oggetti
uno si sente di far parte del sistema sociale, definisce questo sistema degli oggetti “standard
ecogy” tradotti in italiano a “beni di cittadinanza”, quei beni che ti permettono di essere cittadino
dello stato.

Ma perché c’è bisogno di questi oggetti?

Perché tutti noi ci facciamo una "socializzazione anticipatoria”, cioè ci immaginiamo in ruoli
diversi, migliori. A volte, spesso, noi anticipino questo desiderio cercando di acquistare quei
prodotti che avremmo una volta realizzato questo nostro desiderio. Si esplica attraverso l’acquisto
di prodotti che non fanno parte della possibilità di spesa. 

Questa idea è servita, anni dopo, per sviluppare l’idea degli stili di vita, in quanto si è scoperto
che le persone molte volte spendevano molto di più di quello che guadagnavano andando avanti
a indebitamenti. La sua “socializzazione anticipatoria” gli faceva spendere più di quello che
poteva permettersi.

IL PENSIERO DI DE CERTEAU

Egli afferma che il consumo sia una forma di produzione in quanto i consumatori trasformano
significati culturali. Per l’autore il consumatore interpreta e merci in modo personale e le assembla
a modo suo. Gli individui sono creativi perché si riappropriano di un bene facendolo proprio,
interpretando un detrimento oggetto in maniera diversa. I consumatori fanno questa attività di
riappropriazione in maniera continua. Ha l’idea dunque che esita il concetto di “riappropriazione
individuale”, cioè rielaborazioni che rimangono nascoste dalla grande quantità di messaggi grati
in parallelo dal sistema della produzione.

La sua visione vede l’attività del consumatore produttore in un’ottica diversa e di non
accettazione del sistema dominante, è una visione critica, l’individuo lo fa sottraendosi alle
logiche sociali. La sua idea di consumatore produttore è una sorta di protesta e di rifiuto alle
logiche della produzione. In contrapposizione con la logica di Tofler.

Il consumo è visto come produzione perché utilizza di nascosto quello che viene imposto dalla
produzione ma non genera a sua volta creazioni proprie. Lavoro di straforo = pratiche lavorative
che consistono nel attrarre materiale a proprio vantaggio e utilizzare gli strumenti di produzione
per proprio conto. Quindi mentre Tofler parla di collaborazione tra impresa e consumatore, De
Certeau parla di consumo nonostante le logiche del sistema imprenditoriale, come un campo da
battaglia tra imprese e consumatori.

Le pratiche del quotidiano si possono dividere in strategie e tattiche. le strategie vengono messe
in atto dal sistema della produzione, le tattiche sono invece messe in atto dai consumatori che
agiscono di straforo.

COSA SI INTENDE CON NORMALIZAZIONE DEL CONSUMO?

Esistono una serie di norme che hanno a che fare con il mondo del consumo. Le leggi suntuarie
per esempio sono delle norme di consumo. Il tema del controllo dei desideri è fondamentale nella
sfera del consumo. Comportamenti devianti come cleptomania e acquisti compulsivi
rappresentano il limite che il consumatore non deve superare. La dipendenza dunque è limitata
qualora rappresenti un comportamento eccessivo (dieta, palestra, ...) che esce dalla norma.

Quindi vuol dire considerare una serie di regole, istituzionali e sociali, sui limiti della quantità di
beni che si posano consumare.

MERCIFICAZIONE E DEMERCIFICAZIONE

Kopytoff sostiene che le merci siano valutabili in base al loro prezzo e quindi scambiabili. Ogni
volta che una merce viene acquistata entrano in una sfera sociale differente e assumono anche
altri valori (demercificazione). Conisiderato dal punto di vista del consumo le merci dunque si
sottraggono alle logiche della produzione e dello scambio monetario. Basta pensare ad un
animale domestico, comprato in un negozio, che si trasforma dunque in merce che ha un suo
valore di mercato, quando l’animale entra nel ambito familiare esso perde il suo valore di merce
quindi si demercifica, acquisendo un valore differente. Questo è un processo che secondo molti
autori avviene continuamente nella nostra quotidianità, tutte le volte che acquistiamo qualcosa
che poi si inserisce nel ambito familiare.

Le merci dunque hanno una vita sociale e quindi siamo in grado di seguire la vita degli oggetti
così come la vita degli individui. Le merci dunque hanno una vita sociale, una biografia che
include momenti di mercificazione e demercificazione (libreria Billy).

McCraken sostiene a riguardo che ogni nuovo oggetto passa attraverso i rituali di possesso.
Quando gli oggetti entrano in nostro possesso vengono demercializzati quindi è il loro valore di
scambio diminuisce.

Anche lo scambio di beni è un importante fenomeno di demercificazione perché nello scambio di


doni non si dovrebbe guardare il valore o il prezzo del bene ma il suo significato. I regali sono un
modo per trasfigurare le merci rendendole catalizzati di legami personali, demercificandole e
caricandole di significati sentimentali esclusivi.

Anche il collezionismo può essere visto in chiave di demercificazione. In quanto i singoli prezzi
facendo parte di una collezione hanno un valore maggiore. La collezione collezione completa a
sua volta ha un valore superiore al totale del valore dei singoli prezzi. Il valore che noi gli diamo è
legata alla nostra idea di collezione e al valore che noi diamo in quel momento, se manca un
pezzo alla collezione esso avrà un valore inestimabile per noi.

La collezione produce nuovi circuiti di valore, che non sono riducibili al valore di mercato.

Mercificazione e Demercificazione rappresentano quindi i due poli costituitivi del rapporto tra
soggetto e oggetto nelle società contemporanee.

PRIVATIZZIAZIONE DEL CONSUMO

A fine 600 si assistette alla privatizzazione del consumo che crea una separazione tra produzione
e consumo. Esso non è più regolato da leggi suntuarie, ma agganciato al fenomeno della moda.
Simmel (nel 1901) sostiene che la moda diventi una leva trainante per tutta la società dei consumi.
Sostiene anche che la moda viene trainata dalla limitazione e differenziazione, quindi le classi
sociali più basse imitano le classi nobiliari e in quel momento le classi nobiliari sono portate a
rinnovarsi, a differenziarsi. Queste due leve fanno funzionare tutto il sistema della moda.

PRODUZIONE CULTURALE DEL VALORE ECONOMICO

Per capire la società dei consumi contemporanea bisogna considerare un lungo processo in cui
essa si svincola dalla stratificazione sociale e viene dettata dalla moda e da esperti che ne
decidono il buon gusto. Gli studiosi Appadourai e Mukeji evidenziano come il valore economico
delle merci sia un prodotto culturale.

Il consumo viene isolato come categoria significativa e parte centrale del discorso. Prima, la
categoria usata per discriminare il “buono” dal “cattivo” era quella del lusso. A fine del 600 si
assistette alla privatizzazione del consumo, in cui esso viene separato dalla produzione. Il lusso
viene dunque demoralizzato, viene tolta cioè quella connotazione per cui esso era considerato
negativamente. Lavorare e diventare ricchi non è più visto negativamente e il consumo finalizzato
alla produzione è visto positivamente. Nasce così il ruolo sociale del consumatore. Esso consolida
il suo ruolo quando ha accesso ad una grande quantità di merci grazie alla nascita dei grandi
magazzini. Nasce la capacità di scelta e il concetto di tempo libero che è fortemente legato al
concetto di shopping. Nell’800 con la nascita della sociologia dei consumi, gli studiosi individuano
una logica distintiva: il consumo come logica per guadagnare uno status sociale. Nel dopoguerra
l’attenzione si sposta verso la comunicazione di massa e verso la manipolazione del
consumatore. Insomma la società dei consumi è emersa in modo graduale, alla sua formazione
hanno contribuito aspetti sociali e aspetti economici più specifici.

LIMITI DELLA RAZIONALITA’ ECONOMICA

Il lavoro di Backer illustra come nella teoria economica neoclassica le pratiche di consumo
rimangono modellate come scelte individuali. Il consumo è visto essenzialmente che decisione
d’acquisto. Sociologia, antropologia e storia del consumo non considerano più le scelte del
singolo, ma considerano i contesti di consumo, che va oltre al semplice atto di acquisto. Questo
viene esemplificato da McCracken con l’effetto Diderot, secondo il quale i beni hanno significato
solo in relazione ad altri beni. Insieme ad altri autori come D&I e Baudrillard mostra che i beni
possono comunicare i propri significati solo se in relazione con altri beni, altrimenti rimangono
neutri. Dal punto di vista neoclassico non sono solo i consumatori ad essere isolati, ma anche le
merci non sono considerate come parte di un sistema.

Daniel Miller (1998) attraverso una ricerca etnografica condotta a Londra tra famiglie di diversa
classe dimostra come anche fare la spesa ha la sua valenza rituale, è un’azione carica di
significati condivisi

APPROPRIAZIONE DELLE MERCI

L’oggetto nasce come tale ma poi arriva spesso ad essere qualcosa di diverso poiché le persone
trasformano e fanno proprie le risorse che hanno trovato o acquistato sul mercato. Il consumo
quindi fa parte di un percorso di attribuzione dei significati, il quale si divide in due stadi: la
pubblicità e la moda trasferiscono i significati dal mondo sociale alle cose e i significati delle cose
saranno poi rielaborati dai consumatori mediante una serie di attività di rituali.

Il consumo dunque è visto come un momento di produzione di significati. Trasformiamo le merci


sia dal punto di vista materiale che simbolico.

BAUMAN

IL SIGNIFICATO DEL TEMPO PER BAUMAN

Il consumismo liquido moderno si distingue principalmente per la ridefinizione del significato del
tempo. Il tempo viene vissuto da chi fa parte della società dei consumatori come qualcosa che
non è ciclico o lineare come era per le altre società della storia. Esso è invece puntinismo o
punteggiato: contrassegnato cioè d’abbondanza di rotture e discontinuità. Il tempo è frazionato in
un gran numero di istanti eterni. La linea punteggiata del tempo può essere vista come una serie
d’istanti equiparabili al big bang (istante che ha dato vita ad un’universo di possibilità) oppure
come un cimitero di occasioni perse.

I consumatori della società consumistica devono seguire le curiose abitudini degli abitanti di
Leonia, una delle città invisibili di Calvino: l’opulenza di Leonia si misura infatti dalle cose che ogni
giorno vengono buttate via per fare posto alle nuove. Tanto che ci si chiede se la vera passione di
Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove diverse, o non piuttosto l’espellere,
l’allontanare da se, il montarsi di una ricorrente impurità.

FRAGILITA’ DEI LEGAMI PER BAUMAN

Le persone nella società liquida non riescono ad avere legami stabili e duraturi perché tendono a
cercare sempre la soddisfazione momentanea senza sforzi e cambiano in continuazione oggetto
del desiderio una volta raggiunta la soddisfazione (proprio come nel consumo delle merci).

STATO SOCIALE PER BAUMAN

Uno stato è sociale quando promuove il principio dell’assicurazione collettiva contro le disgrazie
individuali. E’ questo principio a ridefinire l’idea di società come esperienza di comunità sentita e
vissuta. Lo stesso principio eleva i membri della società allo status di cittadini come attori e non
solo come beneficiari. L’applicazione di tale principio è in grado di proteggere uomini e donne
dalla povertà. Lo scopo dello stato sociale dunque è proteggere la società ed evitare il
moltiplicarsi delle “vittime collaterali” del consumo.

DANNI COLLATERALI BAUMAN

L’espressione “danni collaterali” appartiene al lessico dei portavoce militari nelle loro conferenza
stampa , in seguito è stata utilizzata anche dagli avvocati e infine è stato traferito al linguaggio
giornalistico fino a quello comune. Nei temi trattati da Bauman, i “danni collaterali” prodotti da
una promozione di interessi economici consistono in una mercificazione complessiva e completa
della vita umana. Hochshild afferma che i “danni collaterali” corrispondono ad una
“materializzazione dell’amore”, il lavoro distoglie l’uomo dalla vita familiare che cerca di rimediare
a questa assenza con regali costosi: si materializza l’amore.

Esiste una nuova categoria di popolazione che si può considerare vittima collettiva dei “danni
collaterali” prodotti dal consumismo, la cosiddetta “sottoclasse”.

Si viene collocati nella “sottoclasse” in quanto si è considerati inutili, qualcosa di cui gli altri
farebbero a meno. In una società di consumatori in cui tutto viene valutato in base al valore di
mercato, la sottoclasse è composta da chi non ha valore: uomini e donne non mercificate.
Considerati perciò consumatori falliti.

I POVERI SECONDO BAUMAN

La società dei consumi è un tipo di società che interpella i suoi membri principalmente in veste di
consumatori; è un tipo di società in cui si pubblicizza, si incoraggia o si impone un stile di vita
dedito al consumismo e se ne vieta qualsiasi alternativa. In una società di consumatori dunque il
consumo è visto come una vocazione, come unico diritto universale e al tempo stesso dovere.
Non ci sono discriminazioni di età, genere o di classe.

I poveri si trovano in una situazione in cui sono costretti a spendere lo scarso denaro o le poche
risorse per procurarsi oggetti di consumo privi di senso, anziché sopperire a bisogni fondamentali,
al fine di allontanare da se una totale umiliazione sociale e la prospettiva di essere molestati e
derisi.

Nella società dei consumi esistono regole molto severe e rigide da rispettare per non essere
esclusi. Vengono infatti definiti “invalidi” i consumatori “difettosi”.

LA MARCA

ESTETICA ED ETICA DELLA MARCA

Una marca come tale deve fare anche delle scelte estetiche, deve farsi ricordare esteticamente,
non intendiamo che deve essere bella, ma deve avere delle caratteristiche estetiche di distintività.

Alle spalle delle scelte estetiche delle marche traspare un etica, vale a dire una precisa modalità di
comportamento è uno specifico tono di voce, coerente ed armonico con valori di marca.

La marca infatti non può essere incoerente, perché se così fosse verrebbe ritenuta contraddittoria
con effetti negativi dal punto di vista economico.

Una marca deve comunicare degli aspetti etici partendo dagli elementi estetici (es. Marlboro tanti

anni fa era nata per essere un prodotto per le donne e quindi aveva un altro tipo di packaging e
colore, ovvero morbido e con colori pastello. Non vendeva e quindi fa una riedizione estetica per
cambiare target e modo di comunicare, utilizza un pacchetto rigido e spigoloso, diventando delle
sigarette per gli uomini, seguendo un clichè culturale; Swatch introduce un semi-durevole nel
settore dei beni di consumo immediato e lo fa a partire da scelte estetiche precise)

LA MARCA E L’ESAGONO DI KAPFER

Gli aspetti fisici di un prodotto sono le lenti espressivi di un discorso unitario che comprende varie
sfaccettature della marca. In questo modo la marca inventa la prima storytelling delle aziende che
si barcamena tra globalizzazione e localizzazione.

L’esagono ci dice che esso è costituito da almeno sei elementi e tracciando una linea verticale
possiamo dividere aspetti interni ed esterni della marca. Gli aspetti esterni comprendono: luogo
fisico, relazione e riflesso. Mentre gli aspetti interni: personalità, universo culturale e
rappresentazione mentale.

MARCA COME MEDIA

I media sono infrastrutture che distribuiscono contenuti (come la RAI) e al contempo i media sono
proprio i contenuti. Con l’arrivo di Internet, Couldry sostiene che la società si sia trasformata da
broadcasting (società della comunicazione di massa) a narrowcasting (società
dell’autocomunicazione di massa). Quindi oggi è più corretto parlare di “ambiente” dei media che
trasmettono flussi informativi, mescolando istituzioni e contenuti, proprio come i media.

Le infrastrutture cambiano perché la tecnologia avanza e perché ci sono delle novità. Si parla di
ambiente perché l’avanzamento tecnologico mette insieme media diversi, c’è una convergenza di
media, si crea quindi un ambiente che trasmette differenti flussi informativi prodotti da diversi
media. Anche la marca può essere considerato un media, produce dei contenuti e dei flussi
informativi in grado di modificare credenze, attitudini, comportamenti e ha una infrastruttura che
può essere identificata nel prodotto. La marca è effettivamente creatrice di ambienti e converge
con altri media (Jenkins, 2007). Gli sportivi sono marche (Ronaldo), le squadre di calcio sono
marche (Manchester), le istituzioni sono marche (il MOMA, il Louvre), anche le non marche sono
diventate marche. Le marche oggi mediano tra noi e i prodotti, e tra noi e gli altri.

LA STORIA DELLA MARCA

La marca è sempre esistita come segno antropologico e precede l’industria, l’impresa e il


marketing. Essa aveva prima di tutto il valore di firma: marchiare un prodotto significava indicare
simbolicamente l’origine. La marca, sopratutto grazie al packaging diventa “venditore silenzioso”,
incaricata di sedurre il consumatore in un’economia sempre più mediata. I commercianti
diventano garanti del prodotto che vendono e la marca assume un nuovo valore di collegamento,
permette cioè all’industria di ristabilire un contatto con il cliente. Lo sviluppo delle marche è legato
allo sviluppo della pubblicità, la quale ha il ruolo di informare i consumatori dell’esistenza di nuove
invenzioni e convincerli che la loro vita sarebbe migliorata con essi. Lo sviluppo delle marche
inizia a basarsi su una sorta di inflazione delle promesse che porta regolamentazione della
reclame in Francia.

LA MARCA PRODOTTO

La marca-prodotto è una marca legata in modo stretto, esclusivo e duraturo ad un prodotto.


Quasi ogni marca all’inizio è tale perché in questo modo può costruirsi un’identità forte e una
società può adottare un approccio multimarca, cioè coprire uno stesso segmento di mercato con
diversi nomi di marche indipendenti, oppure orientarsi verso mercati diversi da quello originario.

FAMILY BRAND

Se ne parla se una società usa il nome di una marca per una o più linee o gamme di prodotti.

MARCA-GAMMA= prodotti apparenti al medesimo ambito (es. Dove, Gillette,…) che permettono
alla società di capitalizzare un’immagine di marca coerente facilitando sia la distribuzione sia il
lancio di nuovi prodotti grazie alla notorietà del nome di marca.

MARCA-OMBRELLO= varie gamme di prodotti raggruppate su mercati diversi (Swatch, Virgin,


Honda), perciò si differenzia per un territorio più esteso e ogni linea è legata a una comunicazione
specifica, avendo l’immenso vantaggio degli effetti di sinergia e di rinnovare spesso la marca con
l’immissione di nuovi prodotti, avendo però un’identità difficile da gestire.

LA CORPORATE BRAND E LA LOGICA DI GARANZIA

Con la corporate brand la società mette in scena il suo nome per garantire i suoi prodotti (danone,
kellog’s, renault, nestela). La marca garanzia è una firma della società che viene in supplemento a
una altra marca per garantire i prodotti e autentificarne l’origine, stabilendo una relazione di
trasparenza tra il prodotto e il nome dell’impresa. I vantaggi sono gli effetti di sinergia tra la
corporate brand e le altre marche, mentre i rischi sono

SENSIBILITA’ DELLA MARCA

La sensibilità verso la marca testimonia l’importanza del suo nome nel processo di scelta del
prodotto all’interno di una categoria. Diversi fattori permettono di spiegare il grado di sensibilità
alla marca:

1. Interesse del consumatore nell’atto di acquisto, esso può essere forte o assente.

2. Rischio percepito dal consumatore nell’atto di acquisto.

3. Valore di segno: i consumatori hanno una preferenza per alcune marche la cui immagine è
vicina alla rappresentazione che hanno di se stessi.

4. Valore edenico attribuito al consumatore alla categoria di prodotti: riflesso di se percepito dal
consumatore in alcune marche.

FEDELTA’ DELLA MARCA

la fedeltà rimanda ad uno schema di acquisti ripetuti del prodotto, accompagnato da


un’atteggiamento positivo nei confronti della marca. Vi sono due diverse tipologie di fedeltà:
Fedeltà attiva, in cui vi è una forte empatia nei confronti della marca, Fedeltà passiva, vi è una
forte inerzia comportamentale la cui manifestazione non richiama nessuna sorta di empatia o di
affetto da parte del consumatore.

La fedeltà di marca si misura per mezzo di due differenti approcci: un approccio fondato sui
comportamenti d’acquisto e un’approccio fondato sui comportamenti nei confronti della marca.
L’approccio comportamentale consiste nel ritenere un consumatore fedele quando acquista
regolarmente la stessa marca, ma è un approccio puramente meccanico e non è facile ricavarne il
carattere intenzionale di un acquisto.

Ci sono diversi scenari:

- fedeltà esclusiva: riacquisto sistematico di una sola marca in una categoria di prodotti.

- fedeltà abitudinaria

- fedeltà ragionata

- fedeltà incondizionata: non si prende in considerazione l’ipotesi di un sostituto.

- fedeltà condivisa: acquisto regolare di due o più marche della stessa categoria di prodotti.

- cambio marca: dato dal cambiamento significativo nel ciclo di vita familiare, del modo di vita,
tenore di vita, indisponibilità di marca, offerta promozionale…

- infedeltà cronica: insensibilità totale alla marca.

ATTACCAMENTO ALLA MARCA

L’attaccamento alla marca può essere inteso come l’intensità di un legame emotivo e affettivo che
il consumatore mantiene nei confronti della marca. L’attaccamento si manifesta attraverso vari
comportamenti, come la propensione a personificare la marca, un effetto di tristezza in caso di
assenza, l’effetto di raccomandazione, i rituali di consumo, comportamento di fedeltà,
comportamenti di difesa.

MARCHE NAZIONALI

Prodotti di marca non specifici di una particolare catena di distribuzione e che quindi si possono
trovare in quasi tutti i distributori. La marca nazionale crea traffico (attirando i consumatori in un
punto vendita) e riduce il rischio commerciale, riducendo lo sforzo commerciale del distributore e
valorizzando l’insegna. Le insegne perciò non possono fare a meno delle marche leader della loro
categoria (Pampers, Cocacola). Contribuisce inoltre a declinare la responsabilità del distributore.
La marca nazionale ha anche il ruolo di fidelizzazione della clientela e di booster, in quanto una
parte del valore aggiunto generato dalla marca produttrice porta un beneficio anche al
distributore.

MARCHE DEI DISTRIBUTORI (MDD)

Prodotti distribuiti solo sotto il controllo dell’impresa commerciale di vendita al dettaglio o


all’ingrosso a cui appartengono. Esempio: esselunga, carrefour.

Uno dei fattori che spiega il suo successo è l’accesso diretto e permanente al cliente. Il
distributore è cuore del mercato perché è in contatto con l’industria e con i cantori e beneficia del
fatto che il distributore sceglie una certa misura su quali marche esporre sugli scaffali e dove
collocare. Poiché hanno accesso alla comunicazione televisiva possono pensare di sviluppare
una potenza mediatica pari a quella delle marche nazionali.

LE FUNZIONI DELLA MARCA

la marca può assumere tre diverse funzioni:

1. Funzione di sovranità (sacerdote)= la marca come depositaria di un savoir-faire da cui deriva


che le grandi marche siano consolidate in un prodotto icona portatrice di un’innovazione. La
marca è un oggetto magico suscettibile in grado di concedere poteri ai consumatori
(concezione prometeica).

2. Funzione guerriera= difesa di un territorio simbolico, infatti il fondamento economico della


marca risiede nella capacità di creare una preferenza grazie a un posizionamento, cioè lo
spazio mentale che si costruisce tra i consumatori target.

3. Funzione di riproduzione= dissemina la sua presenza nella dimensione dello spazio e del
tempo attraverso gli identificativi di marca che la personificano.

LE COMPONENTI IDENTITARIE DI UNA MARCA

Livello assiologico= rappresenta il livello dei valori profondi di una marca. Esso riguarda dunque le
scelte operate dalla marca nell’universo dei valori che strutturano il mercato.

Livello narrativo=incarnazione dei valori di una marca attraverso una storia che abbia un senso
per il consumatore.

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