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Gilles Lipovetsky

Una felicità paradossale


Sulla società dell’iperconsumo

1. LE TRE ETÀ DEL CAPITALISMO DEI CONSUMI


--- La nascita dei mercati di massa ---
(Produzione e marketing di massa) Il ciclo I del consumo di massa comincia intorno agli anni Ottanta del XIX
secolo e si conclude con la Seconda guerra mondiale. È una fase che vede la nascita dei grandi mercati
nazionali, resi possibili da infrastrutture moderne di trasporto e comunicazione. L’espansione della produzione
su vasta scala è anche stimolata dalla ristrutturazione delle fabbriche secondo i principi della “organizzazione
razionale del lavoro”. L’economia dei consumi è inscindibile dalla strategia di marketing della ricerca del
profitto grazie al volume delle merci e alla politica dei prezzi bassi; lo scopo è mettere i prodotti alla portata
delle masse. Qualche dato tuttavia dimostra i limiti di questa democratizzazione. Nel 1929 negli USA si
contavano 19 vetture ogni 100 abitanti; solo 2 in Francia.
(Tripla invenzione: marca, packaging e pubblicità) Le imprese investono nella pubblicità enormi somme, che
conoscono in poco tempo un aumento rapidissimo1. Standardizzati, avvolti in piccoli imballaggi, distribuiti sui
mercati nazionali, da quel momento i prodotti acquisiranno il nome del produttore: la marca. La fase i ha
trasformato il cliente tradizionale in consumatore moderno, il quale giudica i prodotti per il loro nome più che
per la loro consistenza, che acquista una firma al posto di una cosa.
(I grandi magazzini) Il grande magazzino rappresenta la prima rivoluzione commerciale moderna che inaugura
l’era della distribuzione di massa. Grazie a una politica di vendita a buon mercato, il grande magazzino ha
trasformato quei beni che una volta erano un privilegio in articoli di consumo di massa destinati alla borghesia.
Il luogo degli acquisti si è trasformato in luogo di festa continua.
--- La società del consumo di massa ---
Il II ciclo storico delle economie dei consumi comincia intorno al 1950 e assumerà la sua struttura nel corso
dei trent’anni successivi alla guerra.
(L’economia fordista) La fase due si identifica con “la società dell’abbondanza”. Questo periodo vede
l’aumento del livello dei consumi, la modificazione della struttura del consumo, il diffondersi dell’acquisto di
beni durevoli in tutti gli ambienti sociali. La società dei consumidi massa ha potuto sbocciare solo perché
sostenuta da una ampia diffusione del modello Taylor-Ford d’organizzazione della produzione. Anche la
grande distribuzione viene investita dalla rivoluzione fordista del lavoro [divisione intensiva dei compiti,
volumi di vendita elevati, margine di profitto modesto].
(Una nuova salvezza) La crescita, il miglioramento delle condizioni di vita, gli oggetti-faro del consumo
diventano i criteri per eccellenza del progresso. La fase II è dominata dalla logica economica e tecnica che
verte più sulla quantità che sulla qualità. Ecco un tipo di società che sostituisce la coercizione con la seduzione,
il dovere con l’edonismo, il risparmio con la spesa, la solennità con lo humor, la repressione degli impulsi con
il loro sfogo, le promesse del futuro con il presente; tutto ciò è la “società del desiderio”.

1
Coca Cola: 11.000$ (1892)  3.8 milioni $ (1929)
2. AL DI LÁ DELLO STANDIG: I CONSUMI EMOTIVI
I consumi nella fase II sono definiti come un ambito di simboli distintivi, con i protagonisti che, più che godere
di un valore d’uso, desiderano sbandierare un rango.
--- Dal consumo ostentato al consumo esperienziale ---
A partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, l’accesso a uno stile di vita più facile e confortevole, più libero ed
edonistico, costituiva già un forte stimolo per i consumatori. Esaltando gli ideali della felicità privata e degli
svaghi, la pubblicità e i media hanno favorito dei comportamenti di consumo che attribuivano meno importanza
al giudizio altrui. Il culto del benessere di massa ha promosso un modello di consumo di tipo individualistico.
Il II ciclo su scala storica, si presenta come un compromesso tra la mitologia dello standing e quella del
divertimento, tra il consumo “tradizionale” mirato a dimostrare e quello edonistico individualista.
(Il consumo intimizzato) Sulla scia dell’estrema diversificazione dell’offerta i consumatori si dimostrano più
imprevedibili e volubili, più a cacci di qualità di vita, di comunicazione e salute; eccoci nella fase III, lepoca
dell’iperconsumo. Vogliamo più oggetti “da vivere” che da esibire ; il consumo “per sé stessi” ha scalzato
quello “per il prossimo”. Nel momento in cui la forza motrice della sfida e della differenziazione non è più la
chiave di volta dell’acquisizione di merci, la civiltà dell’iperconsumo prende vita; un impero
dell’individualismo estremo sul quale non tramonta mai il sole. Non si tratta più di sbandierare un segno
esteriore di ricchezza o di riuscita, ma di creare un quadro di vita piacevole e personalizzato.
--- Passione per le marche e consumi democratici ---
Man mano che il consumatore si dimostra sempre meno ossessionato dall’immagine di sé stesso, le sue
decisioni di acquisto sono sempre più debitrici alla dimensione delle marche. L’evoluzione delle pubblicità ne
dà un esempio illuminante. È “l’apparire”, l’immagine creativa della marca, che fa la differenza, seduce e fa
vendere. Nome, logo, slogan, design, tutto deve essere pensato al fine di dare un’anima o uno stile alla marca.
Non si vende più un prodotto, si vende una “visione”, un “concetto”, uno stile di vita.
(Feticismo delle marche, lusso e individuoalismo) Non è più tanto il desiderio di riconoscimento sociale che
sta alla base del tropismo verso le marche superiori, quanto il piacere narcisistico di percepire una distanza con
la maggior parte della gente. I piaceri elitari sono stati ristrutturati dalla logica soggettiva del neo.
Individualismo. Ciò che importa non è più imporre il proprio valore agli altri, ma confermarlo ai propri occhi.
(Iperconsumo e ansia) L’acquisto di un prodotto di marca mira anche a rispondere al meglio delle nuove
incertezze provocate dalla demoltiplicazione dei referenziali. In epoche precedenti esistevano canoni che
distinguevano inequivocabilmente l’alto dal basso, il buono e il cattivo gusto. Questo ordine subordinante si è
sgretolato a favore di sistemi molteplici. Ne scaturiscono dubbi e paure e cresce il bisogno di punti di
riferimento. Quando le regole del “buon gusto” non sono più chiare, la marca permette di rassicurare
l’acquirente.
--- Potenza e importnza dell’iperconsumatore ---
Non cerchiamo tanto l’approvazione degli altri, ma, piuttosto, una maggiore sovranità individuale. Nella
fase III i consumi funzionano come mezzo di appropriazione personale del quotidiano.
(La medicalizzazione dei consumi) La mente di tutti è ogni giorno un po’ più invasa dalle preoccupazioni per
la salute. Non basta più guarire le malattie, adesso si tratta di intervenire a monte per deviarne il corso. I beni
di consumo integrano sempre più la dimensione sanitaria. Come conseguenza, questo degno dello Homo
medicus comporta una ri-drammatizzazione del rapporto con i consumi. L’epoca felice e spensierata delle
merci generiche è finita: arriva il tempo degli iper-prodotti medicalizzati.
(Il corpo: controllo e “delega”) Man mano che si afferma il principio di una sovranità personale sul corpo,
l’individuo delega il suo destino agli effetti di sostanze chimiche che modificano il suo stato psicologico
dall’esterno, sminuendo il lavoro analitico personale, contando sull’eliminazione immediata dei sintomi
sgradevoli. Si nota una certa impotenza soggettiva, con l’individuo che rinuncia a qualunque sforzo personale
arrendendosi all’onnipotenza di prodotti chimici.
(Un ipermaterialismo medicale) Questo non significa l’abbandono totale di approcci psicoterapeutici, ma è
giocoforza constatare che la “farmacia della felicità” tende a ridurre la loro antica centralità. L’ingranaggio dei
bisogni saturisce essenzialmente dall’incrociarsi di due dinamiche indefinite, intrinseche nella società
moderna. La prima è quella dell’offerta tecnica e commerciale che può innovare e rinnovare i suoi prodotti e i
suoi servizi all’infinito. La seconda rimanda all’ordine sociale democratico, fondato sull’individuo come pari
e sul diritto alla felicità.
3. CONSUMI, TEMPO E GIOCO
Per certi aspetti la formula “soffro, dunque compro” è corretta, ma c’è dell’altro; la dimensione edonistica dei
consumi.
--- Il consumo come viaggio e come divertimento ---
(Edonismo, tempo libero ed economia esperienziale) Il turismo è diventato la prima industria mondiale. Questa
preponderanza del ruolo degli svaghi ha spinto alcuni analisti a parlare di un nuovo capitalismo non più
imperniato su di una produzione materiale, ma sul divertimento e beni economici culturali. Non è più solo
questione di vendere servizi, bisogna offrire del vissuto, dell’inatteso e dello straordinario (Economia
esperienziale). L’iperconsumatore è colui che aspetta l’inatteso in ambienti commerciali programmati. Una
ricreazione inebriante, nella quale ci si diverte a credere che il falso è diventato vero, che “l’altrove” è qui
[cucina etnica, esperienze spirituali orientali], e “un tempo” sostituisce l’adesso [parchi a tema dinosauri,
rievocazioni storiche]. Da una parte l’iperconsumatore ha sempre più bisogno di spettacoli eccessivi, da
un’altra vuole un mondo intimo o “vero” che gli rassomigli.
(L’acquisto-piacere) Oggigiorno, anche il consumo di beni materiali tende a scivolae n una logica esperienziale
e lo shopping in generale è imbevuto di un’atmosfera edonistica e creativa. Cosa rende il consumo un
divertimento? Probabilmente lo sviluppo del consumo edonista non è scindibile dalle molteplici strategie
commerciali. Le pubblicità erotizzano i prodotti, creano un’atmosfera gioiosa, un clima di sogni ad occhi aperti
e di stimolo permanente di desideri.
(La febbre del cambiamento perpetuo) Una delle caratteristiche principali dei beni di consumo delle nostre
società è costituita dal fatto che cambiano e che vengono cambiati indefinitivamente. Come per il turista la
cosa più importante è cambiare aria – non importa dove -, così ciò che si cerca attraverso l’atto di acquistare è
anzitutto il piacere della novità, l’estasi di una parvenza di avventura. Bisogna pensare ai consumi nella
fase III come un processo di intensificazione edonistica del presente grazie al rinnovamento perpetuo delle
cose. L’agire dell’iperconsumatore è governato da un’estetica del movimento incessante.
--- I consumi, l’infanzia e il tempo ---
(Ringiovanire il vissuto) La soggettività del neo-consumatore si afferma più nel rapporto con se stesso che in
quello con l’oggetto. Il modello del neo-consumatore non è quello dell’individuo manipolato e ipnotizzato, ma
è l’individuo mobile, orbitante, che, con una sorta di zapping, cambia freneticamente le cose nella speranza,
spesso delusa, di cambiare la sua stessa vita. Il consumatore della fase III è terrorizzato “dall’invecchiamento”
e non cerca tanto di allontanare l’idea della morte, ma piuttosto di lottare contro i tempi morti della vita.
L’iperconsumo ha il compito di ringiovanire incessantemente il vissuto, fornendo i mezzi per vivacizzare sé
stessi e le nuove esperienze: è l’edonismo del ricominciare perpetuo che alimenta la frenesia degli acquisti. I
consumi del ciclo III possono essere equiparati a una mini-festa nella misura in cui ri-dinamizzano il “qui e
adesso”. La prospettiva idilliaca del commercio spinge gli individui a occuparsi di sé stessi, a informarsi, a
diventare gestori adulti della loro vita; da un’altra, è un agente di “infantilizzazione” degli adulti. Il neo-adulto
che si sfoga a EuroDisney non ricade nell’infanzia, si diverte a infantilizzarsi, a sospendere il reale in uno
spazio-tempo limitato; attraverso le infantilizzazioni si gioca con i con le differenziazione, non le si abolisce.
(Nostaligia e desiderio di futilità) L’iperconsumatore non acquista solo prodotti high-tech per comunicare in
tempo reale, ma anche prodotti affettivi che facciano viaggiare nel tempo le emozioni dell’infanzia. Queste
emozioni sono oggi sviluppate sistematicamente con il “retro-marketing”, il cui obiettivo è di promuovere una
relazione affettiva con la marca, che giochi sulla nostalgia dei consumatori. Più aumentano le responsabilità
di sé stessi e le preoccupazioni, più si afferma il bisogno si vuota leggerezza, di abbandono vicino allo “sforzo
zero”, di spensieratezza futile. Non c’è alienazione del soggetto, ma l’uso della libertà per smettere di pensare.
4. L’ORGANIZZAZIONE POSTFORDISTA DELL’ECONOMIA
can’t belive!  questo capitolo è riassunto dimmerda
Nella società degli iperconsumi l’intero sistema di offerta ha cambiato volto. Il sistema capitalistico è stato
attraversato da una rivoluzione delle tecniche di informazione, dalla globalizzazione dei mercati e da una
deregulation finanziaria [cambi di strategia delle industrie, negli stili di concorrenza, nelle politiche di offerta].
Da un modello governato dall’offerta, si è passati a quello dominato dalla domanda (iper-marche e
globalizzazione dei mercati). L’economia basata sui beni materiali si è trasformata in economia di servizio:
nuovi modi di stimolazione della domanda attraverso la segmentazione di mercati e la moltiplicazione dei
modelli. Le nuove tecnologie, a questo proposito, hanno permesso lo sviluppo di una produzione di massa su
misura che consiste nel comporre in modo individualizzato dei moduli prefabbricati a prezzi standardizzati.
La fase III vede un’economia dominata dalla domanda; si produce per vendere. Questa dinamica non la si
riscontra solo nei prodotti di consumo, ma anche nei servizi [mezzi di trasporto con tariffe differenziate]. La
fase III vede anche un ri-orientamento della grande distribuzione incentrata sull’accoglienza,
sull’informazione, sulla consegna a domicilio. Al centro non c’è più la strategia di prezzo, bensì il movimento
verso il cliente e la semplicità dell’acquisto. Nascono i grandi centri commerciali specializzati, i quali non
propongono solo uno specifico stile di vita, incentrato su quella categoria di prodotto limitata, bensì offrono
esperienze d’acquisto affettive e sensoriali; i negozi diventano luoghi di vita.
La corsa all’innovazione: la personalizzazione dei prodotti e dei servizi scorre in un’economia in cui
l’innovazione predomina sulla produzione (cambiamento dei mercati e metodi di consumo per alcuni elemento
centrale del capitalismo). Creazione reale o fittizia di nuovi prodotti come nuovo imperativo categorico dello
sviluppo. Da qui enormi budget destinati alla ricerca e sviluppo. Logica del mercato in tutti gli ambiti; la
cultura dipende sempre più dall’investimento finanziario. Una gran parte dei prodotti ha una durata di vita di
non più di due anni. Da quei deriva la sempre maggiore 3 qualità scadente dei prodotti.
Il fattore tempo diviene fondamentale: concetto di crono-concorrenza: si punta a una sempre maggiore
commercializzazione e pubblicità ancor prima dell’effettiva vendita del prodotto; si consuma non solo quello
che esiste, ma anche quello che materialmente non è ancora concretizzato.
Immagine, prezzo e qualità: parallelamente ai principi di differenziazione e rinnovamento, l’esigenza di qualità
ha radicalmente modificato l’organizzazione della produzione e dei servizi. Nella fase III si uniscono, quasi
paradossalmente rispetto alla fase precedente, concezione della moda e attenzione alla qualità del prodotto. La
qualità diventa un investimento, un elemento decisivo per la competizione economica.
Nuova concorrenza dei prezzi sempre più bassi: il nuovo consumatore non vuole consumare meno, ma vuole
lo stesso prodotto al minor prezzo. (fenomeno del discount incanala in sé bisogni, desideri, svaghi e priorità di
budget). Questo riporta non a un concentrarsi su prodotti di prima necessità, ma a una ricerca ossessiva alla
domanda di beni superflui.
Ruolo della pubblicità: fase III contraddistinta dall’esplosione del budget di comunicazione. Nella pubblicità
non si tratta più solo di vendere Il prodotto, ma pubblicità creativa: si vende uno stile di vita, di valori. Stessa
velocità del prodotto proiettata logicamente anche sulla pubblicità delle grandi marche che diventano amiche
del compratore secondo una logica emotiva.
5. VERSO IL TURBO CONSUMATORE
Alla fine degli anni Settanta più di due terzi delle famiglie erano bene o molto bene forniti di grandi
elettrodomestici. Su questi mercati il consumo raggiunge il suo punto di saturazione; per superare questo
impasse nasce l’ottica del multi-comfort, ovvero un consumo sempre più incentrato sul conmfort dei singoli
componenti di una stessa famiglia.
--- I consumi discrezionali di massa ---
(La rivoluzione del self-service) Nella fase II altri fattori hanno contribuito a creare un cosmo individualista
dei consumi. Si tratta di trasformazioni sopravvenute nel settore della grande distribuzione. In particolare con
la logica del self-service, il modello dominante dei comportamenti individuali in ambiti sempre più ampi della
vita, sia essa familiare, politica o sindacale. Il self-service è una logica di spersonalizzazione che funge anche
da mezzo di acquisizione in autonomia per il consumatore. Grazie al self-service, la grande distribuzione ha
reso possibili degli atteggiamenti e un immaginario di libertà individuale.
(L’edonismo “consumatore”) La fase II corrisponde al lancio in orbita di un individualismo si massa,
edonistico e consumeristico. Questo è evidente dal forte incremento delle spese per il tempo libero2, la passione
per le vacanze, la crescita degli acquisti impulsivi, gusto per il cambiamento. La fase II ha dato impulso a una
fun morality fondata sulla priorità dei piaceri del momento dell’individuo.
--- Il turbo-consumerismo ---
La fase III rappresenta il passaggio dall’età della scelta a quella della iper-scelta, dai consumi individualistici
a quelli iperindividualistici.
(I consumi iperindividualistici) A partire dagli anni Settanta si sviluppa il multi-comfort, cioè il passaggio da
un consumo voluto dalla famiglia a quello imperniato sull’individuo. Gli effetti sono importanti poiché
ciascuno può organizzare la sua vita privata, con i suoi ritmi, indipendentemente dagli altri. I comfort
individuali [segreteria telefonica, videoregistratore] consentono alle persone di costruire inmodo autonomo il
loro spazio-tempo; i riflettori sono puntati su un iperindividualizzazione dei beni di consumo.
(Il consu-viaggiatore) I luoghi di transito cominciano ad assomigliare a dei piccoli o grandi centri commerciali
[aeroporti3, stazioni ferroviarie, metropolitane, ospedali]; i non-luoghi stanno diventando aree commerciali.
Assistiamo alla trasformazione progressiva di spazi mono-funzionali in aree iper-commerciali poli-funzionali.
L’obiettivo è quello di commercializzare il tempo, di dargli una struttura grazie al “sovraconsumo”, un
consumo dentro al consumo. Non è più tanto questione di offrire un viaggio veloce, ma, piutosto, di far passare
più rapidamente il tempo.
(I consumi a ciclo continuo) Assistiamo allo smantellamento delle antiche regole che circoscrivevano il tempo
dei consumi commerciali, poiché essi non devono più “idealmente” conoscere momenti di interruzione o di
pausa. Un proceso di strutturazione di un universo iperconsumeristico a flusso interrotto, che funziona
non-stop, giorno e notte, 365 giorni l’anno. Dopo la diffusione dei beni commerciali in tutto il corpo sociale
(fase II), la fase III sta operando al fine di dilatare l’organizzazione temporale dei consumi, allungando gli
orari e i giorni di apertura dei negozi [turismo notturno, saldi il giorno X a mezzanotte, acquisti on-line].
(Un turbo-consumerismo policronico) L’iperconsumatore è questo individuo frettoloso, per il quale il fattore
tempo è divenuto un referenziale primario che domina l’organizzazione del quotidiano [casse rapide,
distributori automatici, piatti pronti, two seconds]. L’epoca dei “felici momenti di pazienza”, nei quali
l’esperienza dell’attesa costituiva un elemento piacevole, tramonta a vantaggio di una cultura dell’impazienza
e della soddisfazione immediata dei desideri. L’accanimento a comprimere il tempo è stato interpretato come
uno sei segni dell’avvento di una nuova condizione temporale dell’uomo, contrassegnata dalla sacralizzazione
del presente, da un “presente assoluto”. Tuttavia, al contempo, si è testimoni della proliferazione di desideri e
comportamenti che, attraverso i piaceri sensoriali ed estetici, esprimono la valorizzazione di una temporalità
lenta [slow food, ascoltare musica, stazioni termali, tecniche di meditazione e rilassamento]. Siamo di fronte

2
moltiplicato per 3,5 tra 1949 e 1974
3
negli aeroporti il giro d’affari al metro quadro è oggi maggiore a quello degli ipermercati
non a una temporalità uniformemente urgentista, ma un sistema composto da temporalità profondamente
eterogenee; la fase III si struttura sotto il segno di una consumatività poicronica.
(L’effetto Diva) Il tipo ideale del turbo-consumatore s’impone anche perché la fase III ha profondamente
destabilizzato gli antichi modelli di classe. Non si acquista più necessariamente ciò che acquista che ci è
socialmente vicino, poiché la disgregazione dei sentimenti e delle imposizioni di classe ha aperto la possibilità
di compiere scelte particolari. Tuttavia, anche se gli stili di vita non convergono in alcun modo, rimane il fatto
che la potenza organizzatrice degli Habitus non smette di decrescere. La specificità degli stili di vita delle
classi si assottiglia sempre di più: ormai gli ideali di benessere, di viaggio, di fisico sottile sono condivisi da
tutti. Mentre si indeboliscono le identità e i sentimenti di classe, le scelte di consumo hanno come caratteristica
di essere scoordinate ed eterogenee, largamente difficili da prevedere; questo è l’effetto Diva4.
(I consumi balcanizzati) Nei cicli precedenti la divisione in classi e l’antitesi fra il superiore e l’inferiore
costituivano i principi organizzativi dell’ambito del consumo. La fase III va di pari passo con il collasso di
questa logica piramidale, a beneficio di un modello di consumo orizzontale e organizzato in “associazioni”,
frammentato e policentrico. Dopo l’età centralizzata viene l’età multipolare, dispersiva, dell’iperconsumo, in
cui le differenziazioni si verificano secondo una molteplicità di criteri [età, preferenze musicali, progetti di
vita, etnia, orientamento sessuale]. In queste comunità si “entra” e si “esce” a piacimento, attraverso una ricerca
di identità.
(Il bambino iperconsumatore) Negli anni Cinquanta e Sessanta i giovani adolescenti cominciano a emergere
come consumatori autonomi e a divenire bersagli commerciali specifici. La fase III ha spinto questa logica un
gradino più in alto e il bambino, o il preadolescente, esercita un’influenza sempre maggiore sugli acquisti
effettuati dai genitori: è diventato un acquirente-decisionista. Eccoci nell’epoca del bambino iperconsumatore.
(Power age) Ai figli del baby-boom è da attribuire circa la metà dei consumi5. È finita quell’epoca in cui i
pensionati erano spossati, con pochi anni ancora da vivere. Oggi i senior partono, viaggiano da un capo all’altro
del mondo, visitano città e musei, fanno sport, vogliono dimostrare “meno della loro età”. La vecchiaia è
diventato un periodo della vita contrassegnato da edonismo e superattività consumativa. Nella fase III nessuna
fascia d’età deve sfuggire alle maglie del marketing [bebè, bambini, preadolescenti, adolescenti, giovani adulti,
master, liberati, tranquilli, grandi anziani].
--- Tra misura e caos ---
È difficile concordare con quelle tesi secondo le quali siamo di fronte ad una nuova epoca, contrassegnata
dall’avvento del “consumatore imprenditore” e che sostituisce l’individuale con il familiare, l’egoismo, con la
solidarietà, l’inutile con l’essenziale, l’effimero con il durevole. La discontinuità è solo a livello superficiale:
in realtà si assiste all’accentuazione della propria individualità.
(Consumatore “professionale” e consumatore anarchico) Da una parte, assistiamo al moltiplicarsi di
informazioni e un più alto livello di istruzione della popolazione hanno senza alcun dubbio favorito la
“professionalizzazione” delle attività consumative. Dall’altra parte, invece, osserviamo una moltitudine di
fenomeni che, al contrario, sono sinonimi di eccesso e de-controllo di sé [acquisti impulsivi, cyber dipendenze,
bulimia, obesità]. La fase III ha messo in circolazione un consumatore ampiamente libero da imposizioni e riti
collettivi. Tuttavia, questa autonomia personale porta con sé nuove forme di asservimento.
6. IL FAVOLOSO DESTINO DELLO HOMO CONSUMERICUS
La fase III può essere presentata come il momento in cui la commercializzazione degli stili di vita non incontra
più resistenze culturali e ideologiche strutturali.
--- Il consumo mondo ---

4
Prende il nome da un film di Beineix
5
Il libro è del 2006, quando i boomer avevano 50-65 anni, il 30% della popolazione
(I consumi senza freno) La propensione a diventare acquirente di novità commerciali non è spontantea. Al fine
di fare nascere il consumatore moderno, nelle fasi I e II è stato necessario inculcare nuovi stili di vita,
liquidando le abitudini sociali che resistevano ai consumi. Di fatto, non esistono più norme e mentalità che si
oppongano di petto all’ondata dei bisogni monetizzati.
(La spiritualità consumeristica) La chiesa non propone più il concetto di peccato mortale, non esalta più i
valori del sacrificio e della rinuncia. L’idea del piacere e del desiderio viene sempre meno associata alla
“tentazione”, la necessità di portare la propria croce sulla Terra è venuta meno. Da una religione incentrata
sulla salvezza nell’aldilà, il Cristianesimo è passato a una religione al servizio della felicità intra-mondana, che
pone l’accento sui valori di solidarietà e amore; in parallelo cresce la commercializzazione delle attività
religiose e parareligiose [new age, sviluppo personale e spirituale, stage di zen e yoga, seminari sui chakhra,
astrologia]. Ecco allora la spiritualità diventata mercato di massa, prodotto da commercializzare. Allo stesso
tempo, in un quadro d’indebolimento delle capacità organizzative delle istituzioni religiose, la tendenza
dominante è quella dell’individualizzazione del credere e dell’agire e a favorire l’accesso a uno stato superiore
d’essere, a una vita soggettiva migliore e più autentica; una spiritualità self-service. In ogni caso non si tratta
di un inglobamento del religioso nei consumi, bensì di una penetrazione dei principi degli iperconsumi proprio
all’interno dell’anima religiosa.
(L’iperconsumatore etico) Dal 2001 il commercio equo e solidale registra un notevole progresso nel volume.
Lo stadio terminale dei consumi si conclude nella sacralità del “valore etico”, strumento di affermazione
dell’identità dei neo-consumatori.
(Il consumerismo senza frontiere) Tutte le grandi istituzioni sociali sono riformattate, “riviste e corrette” dal
consumerismo [coppia, politica, sindacalismo]. Con lo sviluppo della società di mercato, l’universo del cliente
e dell’utente diventa il paradigma dominante, in tutti gli ambiti si impongono il principio del self-service e la
caducità dei legami, la strumentalizzazione utilitaristica delle istituzioni, il calcolo individualistico dei costi e
dei benefici. IL mercato, ben al di là delle sole transazioni economiche, è diventato il modello e l’immagine
che regola l’insieme dei rapporti sociali. La fase III può essere definita come la società in cui la forma-consumo
appare lo schema organizzatore delle attività individuali.
--- Il consumo riflessivo ---
La fase II dei consumi di massa è stata accompagnata da aspre denunce contro la commercializzazione dei
bisogni e la programmazione degli stili di vita. È evidente che questa fase è finita: lo spirito rivoluzionario non
ha resistito al fascino dell’Eden consumeristico. Siamo testimoni di una sorta di democratizzazione del
dissenso, le critiche al mondo consumeristico sono diventate la cosa più comunemente condivisa da tutti. Man
mano che l’ordine commerciale invade le abitudini di vita, biasimo e insoddisfazioni si moltiplicano.
(Dalla vetrina alla coscienza) La fase III genera il distacco e la diffidenza dei soggetti. Proprio come si
intensifica l’autonomizzazione degli individui nei riguardi delle grandi istituzioni collettive, così si verifica un
maggiore distacco nei confronti delle marche e dei prodotti di consumo. Ciò non significa disaffezione, bensì
maggiore riflessività del consumatore, per orientarsi e scegliere con “conoscenza di causa”.
(L’iperconsumo come destino) L’ecologia e la politica che negli anni Sessanta e Settanta raccomandavano
l’austerità volontaria e “l’auto-limitazione dei bisogni” hanno lasciato il passo alle richiesta di protezione
dall’ambiente. Alle utopie di rinuncia sono succeduti gli appelli per la salvaguardia del “patrimonio
dell’umanità”. L’ecologia non rappresenta più un contropotere all’economia commerciale, funge da strumento
per il riciclaggio di ciò che essa produce.
--- Limiti della commercializzazione ---
Nonostante l’esperienza commerciale occupi una parte sempre più importante del nostro tempo, il rapporto
con sé stessie gli altri non si riduce alle sole attività consumeristiche. Superare sé stessi, riuscire in ciò che
intraprende, vincere le prove, inventare, creare: tutte queste passioni sono a conti fatti immutate. L’esistenza
umana non è stata presa in mano, dall’inizio alla fine, dall’ambito commerciale ed edonistico; siamo ancora in
grado di fare sacrifici.
(Rapporti commerciali e socialità) Innegabilmente, televisione, auto e svaghi hanno contribuito a indurre
all’abbandono di tutto un insieme di luoghi di incontro i più disparati. Tuttavia, contrariamente a quanto troppo
spesso ripetuto, la società non è sinonimo di cocooning. La verità è che sono proprio gli individui più provvisti
di nuove tecnologie che “escono£ di più e incontrano più gente degli altri.
(Annientamento dei valori?) Alcuni osservano l’inquitante diffusione del cinismo nel corpo sociale, con una
proporzione notevole della popolazione che è convinta che “la gente è cattiva per natura”. Ciononostante la
“decomposizione dei valori” ha dei limiti [diritti umani, libertà pubbliche e individuali, i principi di tolleranza,
il rifiuto della violenza, lo spirito di sacrificio]. Il “cuore” dell’iperconsumatore non ha cessato di battere, ha
solo cambiato ritmo.
(La sentimentalizzazione del mondo) Basta considerare il fattore amore per individuare rapidamente il punto
dove il processo commerciale trova i suoi limiti. Ovunque si presenta come un ideale superiore, la quintessenza
della vita, l’immagine più emblematica della felicità. Più si allunga la commercializzazione degli stili di vita,
più si afferma il valore del polo affettivo nella sfera privata.
(Leggerezza e fragilità) Queste analisi non hanno come scopo la discolpa della fase III dei consumi. Mi
inpegno semplicemente a pensarci evidenziando la banalità dell’annuncio apocalittico. Non si profila
all’orizzonte l’abrasione dei valori e dei sentimenti, ma, più prosaicamente, la de-regolazione delle esistenze,
la vita senza protezione, la crescente fragilità degli uomini. Woody Allen: “Dio è morto, Freud è morto, e
anch’io non mi sento molto bene”. Mentre scintilla l’euforia del benessere, in maggiore o minore misura,
ognuno ha la sensazione di non aver vissuto quello che avrebbe vivere, di essere mal compreso, di essere ai
margini della “vita vera”.

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