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DI ETNOGRAFIA ITALIANA
Author(s): Paolo De Simonis
Source: Lares , Vol. 80, No. 1, Numero monografico: Lamberto Loria e la ragnatela dei suoi
significati (Gennaio-Aprile 2014), pp. 127-188
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/10.2307/26233609
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Mitologia e micologia
1 Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi del 27 marzo 1906, Archivio Storico del
Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari (d’ora in poi AS), fasc. 64, doc. 1.
2 P. Mantegazza, Un nuovo Museo in Firenze, in «Il Marzocco», 2 dicembre 1906, p. 1.
3 L. Loria, Lares, in «Lares», I, 1, 1912, pp. 5-6: 5.
4 Il Convegno si svolse presso la Biblioteca delle Oblate, con la partecipazione di P. Apolito P.
6 Cfr. G.P. Caprettini, Totem e tivù, Roma, Meltemi, 2001, p. 14.
7 Cfr., tra l’altro: F. Dei, Oggetti domestici e stili familiari. Una ricerca sulla cultura materiale tra
famiglie toscane di classe media, in «Etnografia e ricerca qualitativa», II, 2009, 2, pp. 279-93; M.
Relieu – A. Fasulo – S. Giorgi, I luoghi che raccontano/racconto dei luoghi: spazi ed oggetti dome-
stici tra biografia e cultura, in «AM-Antropologia museale», VII, 2008, 19, pp. 37-47; M. Relieu –
M. Zouinar – N. La Valle, At home with videocamera, in «Home Cultures», IV, 2007, 1, pp. 45-68.
8 P. Bourdieu, Homo Academicus, Paris, Ed. De Minuit, 1984.
9 S. Silverman (ed. by), Totems and Teachers. Perspectives on the History of Anthropology, New
11 G. Raboni, Mi sono distratto oh per poco appena, in Id., Quare tristis, Milano, Mondadori,
1998, p. 61.
12 Cfr.: S. Puccini, L’itala gente dalle molte vite. Lamberto Loria e la Mostra di Etnografia Italia-
na del 1911, Roma, Meltemi, 2005; S. Massari (a cura di), Il fatale Millenovecentoundici. Le esposi-
zioni di Roma, Torino, Firenze, Roma, Palombi, 2012.
13 Cfr. N. Gallerano, Cercatori di tartufi contro paracadutisti: tendenze recenti della storiografia
sociale americana, in «Passato e presente», II, 1983, 4, pp. 181-196 e P. Clemente, La giusta distanza,
in M. Bruttini – M. Muzzi, La dolce Maremma. Immagini parlate, Arcidosso, Effigi, 2011, pp. 8-12.
14 P. Clemente, La postura del ricordante. Memorie, generazioni, storie della vita e un antro-
pologo che si racconta, in «L’ospite ingrato», annuario del Centro Studi Franco Fortini, II, 1999,
pp. 65-96: 73.
15 Ibid.
16 Cfr. F. Dei, La discesa agli inferi, Lecce, Argo, 1998, p. 115.
«fior di ragazza»
– Villan fottuto, contadino, bada
Se avrò d’accordo gli altri fiorentini
Mi metterò alla porta con la spada,
E proibirò l’ingresso ai contadini.20
17
Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 28 gennaio 1907, AS, fasc. 758, doc. 57.
18
L. Loria, L’Etnografia Italiana. Dal Museo all’Esposizione, in «Il Marzocco», 2 agosto 1908,
pp. 1-2: 2.
19 Citato in P. Jedlowski, Memorie del futuro. Una ricognizione, in «Studi Culturali», X, 2013,
anche far riferimento alla mia memoria personale, avendo appreso questi endecasillabi dalla voce di
mia madre, Amelia Donnini, mezzadra immigrata a Firenze (cfr. P. De Simonis, I Donnini, in Cultura
contadina in Toscana, vol. 2, L’ambiente e la vita, Firenze, Bonechi, 1983, pp. 317-325).
21 Richiamo in proposito tre approcci diversi, per cronologia e metodo: D. Merlini, Saggio di
ricerche sulla satira contro il villano, Torino, Loescher, 1894, che tra l’altro cita (p. 18, nota 22) un
cinquecentesco Contrasto del Cittadino e del Contadino stampato a Siena; M. Feo, Dal «pius agrico-
la» al villano empio e bestiale (a proposito di una infedeltà virgiliana del Caro), XX, in «Maia», 1968,
pp. 89-136 e 206-223; P. Trifone, La retorica del villano. Lingua e società nel teatro popolare senese,
in Id., Rinascimento dal basso. Il nuovo spazio del volgare tra Quattro e Cinquecento, Roma, Bulzoni,
2006, pp. 165-184.
22 Cfr. A. Gareffi, La scrittura e la festa. teatro, festa e letteratura nella Firenze del Rinascimen-
24 Cfr. G. Conti, Firenze vecchia. Storia, cronaca aneddotica, costumi (1799-1859), Firenze, R.
26 Cfr., tra l’altro, P. Clemente, I ‘selvaggi’ della campagna toscana: note sull’identità mezzadrile
nell’ottocento e oltre e V. Petrelli, Il contadino e la città in un Almanacco per il senese: note sulla
ideologia del ‘buon mezzadro’ negli scritti educativi per il popolo, in Iid. et alii, Mezzadri, letterati e
padroni nella Toscana dell’Ottocento, Palermo, Sellerio, 1980, pp. 17-123 e 125-137.
Chi vuol ritrarre madonne, vada sulla montagna di Pistoia [dove] io finora non ho
rincontrato un cipiglio; e quelle soavissime parole escivano dalla bocca di contadi-
nuccie, di pastorelli, abbellite da un sorriso di campagna, che un cittadino stanco
della città può solo vagheggiar degnamente.27
27
N. Tommaseo, Gita nel Pistojese, in «Antologia», ottobre-dicembre 1832, pp. 12-33: 15-16.
28
Ivi, p. 20.
29 Ibid.
30 Ivi, p. 21.
31 Ivi, p. 18.
32 Beatrice Bugelli (1802-1885). Cfr. C. Rosati, Beatrice Bugelli di Pian degli Ontani. Poetessa,
pastora, «Personaggi pistoiesi del ’700 e ’800», Pistoia, Brigata del Leoncino, 2001.
33 R. Fucini, Beatrice del Pian degli Ontani, in Id., Foglie al vento. Ricordi, novelle e altri scritti,
Ricordi e Lucca, in F. Sanvitale (a cura di), La romanza italiana da salotto, Torino, EDT, 2002,
pp. 147-166: 161.
36
Ibid.
37
Ivi, p. 162.
38 S. Ferrari – C. Verzone (a cura di), Le canzoni dell’ova in maggio a Monteguidi, Firenze, Tip.
pp. 22 e 24.
40 R. Fucini, All’aria aperta. Scene e macchiette della campagna toscana, Firenze, R. Bemporad
Exposizioni
42
R. Fucini, Napoli a occhio nudo, Torino, Einaudi, 1976 (ed. originale 1878), p. 5.
43
Ivi, p. 7.
44 C. Lorenzini, Viaggio per l’Italia di Giannettino, Firenze, Paggi, 1880, 3, p. 46.
45 R. Fucini, Frammenti di scampagnata sull’Appennino, in Id., Acqua passata cit., pp. 151-155: 151.
46 Ivi, p. 153.
47 In via del Cocomero, oggi via Bettino Ricasoli, nella Sala del Buonumore adiacente alla
prima sede del futuro Museo di Antropologia. Cfr. F. Fantozzi, Nuova Guida ovvero descrizione
storico-artistico-critica della città e contorni di Firenze, Firenze, Ducci, 1842, p. 422.
48 L. de’ Ricci, Rapporto degli studj accademici dell’anno 1836, in «Atti dell’Accademia dei
1861, p. 17.
52 Ivi, p. 252.
53 Ivi, p. 254.
54 F. Venosta, Esposizione nazionale, in Guida di Milano per la Esposizione nazionale 1881,
colla pianta della città, Milano, G. Ottino, 1881, pp. 330-336: 335.
«orrendi sterquilinii»
55 Cfr. G. Abbatista, La rappresentazione dell’ ‘altro’, in U. Levra – R. Roccia (a cura di), Le
esposizioni torinesi, 1805-1911. Specchio del progresso e macchina del consenso, Torino, Archivio Sto-
rico della Città di Torino, 2003, pp. 253-268.
56 M. Picone Petrusa, Cinquant’anni di esposizioni industriali in Italia 1861-1911, in M. Pico-
58 G.B. Zannoni, Saggio di scherzi comici, Firenze, Stamperia del Giglio,1819, p. vi.
59 Ibid.
60 Ivi, p. ix.
61 Ivi, p. vii.
62 E. Sue, I misteri di Parigi, Firenze, Pezzati, 1843-44, 7 voll. Cfr. anche F. Foni, Alla fiera dei
mostri. Racconti pulp, orrori e arcane fantasticherie nelle riviste italiane, 1899-1932, Latina, Tunué, 2007.
63 Citato in A. Bianchini, La luce a gas e il feuilleton: due invenzioni dell’Ottocento, Napoli,
65 C. Lorenzini, I misteri di Firenze. Scene sociali, Firenze, Fioretti, 1857.
66 Ivi, p. 118.
67 G. Piccini (Jarro), Firenze sotterranea. Appunti, ricordi, descrizioni, bozzetti, Firenze, Maria-
69 S. Fei, Firenze 1881-1898: la grande operazione urbanistica, Roma, Officina, 1977, p. 23.
70 Raccolti in G. Piccini (Jarro), Firenze sotterranea, cit.
in una città raffinata, di tanta civiltà, vi sono uomini, donne, bambini a centinaia, che
vivono in condizioni peggiori de’ bruti !71 […] Siete voi andato mai in quegli antri,
in quelle tane, per que’ sotterranei, dove la notte le pareti formicolano d’insetti, dove
il soffitto è così basso, che è impossibile a un uomo di giusta statura entrare lì senza
curvarsi, e dove su putridi giacigli si scambiano gli amplessi di ladri e di baldracche,
lordure umane, sgorgate in quegli orrendi sterquilinii, dopo aver corso, trabalzate,
per tutte le fogne del vizio ?72
Fu anche grazie a simili sfoggi retorici che il sindaco e marchese Pietro Tor-
rigiani poteva annunziare che la demolizione dell’area del Mercato Vecchio era
finalmente «iniziata a furor di popolo, smanioso di luce, d’aria e di novità».73
Nei fatti, buona parte del popolo di quell’area si trovò improvvisamente senza
casa e, per almeno attenuare il conseguente vulnus, sorse un Comitato per le
case dei poveri e i dormentorii composto da «cittadini solerti e degnissimi».74
Tra questi anche il «dott. Lamberto Loria» immediatamente seguito, nell’e-
lenco riportato da Jarro,75 dall’ «avv. Clearco Freccia» cui Loria avrebbe poi
donato, nel 1904, un album di foto della sua permanenza in India del 1886.76
Nel giugno 1885 tutta la popolazione della zona era stata evacuata e di
questa assenza profittò il montante gusto orientalistico di alcuni artisti che,
per il carnevale del 1886, tradussero scenograficamente in animata quanto
effimera Bagdad il cuore di Firenze che stava per esser demolito: un’area
che «coi suoi cortili, i suoi voltoni, le straducole strette, irregolari, buie, s’è
prestata moltissimo a favorire l’illusione».77 A visitarla accorse folto pubbli-
co che, pagando due lire a beneficio delle Case dei poveri, era accolto da
spahis che montavano cammelli prelevati dalla tenuta pisana di San Rossore:
ci si muoveva in mezzo a caravanserragli e moschee incontrando varie me-
raviglie tra cui la statua di un elefante illuminata da luci multicolori. Piazza
della Fonte era diventata «un cortile sul genere di quelli dell’ Alhambra»78 e
per qualche giorno si chiamò Rahba-el-Kammara. Nel carnevale di due anni
dopo Bagdad virò in simil Pechino: venditori di sete e ideogrammi, fumerie
d’oppio e la scala d’oro del Palazzo Imperiale, mandarini e mercanti, dame
con ombrellini e ventagli.
71
Ivi, p. 22.
72
Ivi, pp. 20-21.
73 Il centro storico di Firenze. Studi storici e ricordi artistici pubblicati a cura della Commissione
75 Ibid.
76 Cfr. C. Bellini – L. Villa, Muti testimoni di un istante fugace. Due prospettive a confronto
sull’album fotografico di Lamberto Loria, in D. Cevenini – D’Onofrio (a cura di), Islâm. Collected
essays, Bologna, I libri di Emil, 2010, pp. 13-38.
77 G. Carocci, Il ghetto di Firenze e i suoi ricordi, Firenze, Galletti e Cocci, 1886, p. 74. L’inter-
pretazione orientaleggiante di vicoli e piazzette si è ripresentata negli ultimi anni in Toscana (e non
solo) con i ‘presepi viventi’ allestiti nei centri storici di vari piccoli paesi.
78 Ibid.
79 Cfr. P. Toscanelli dal Pozzo, Le onoranze centenarie italoamericane a Paolo Toscanelli e ad
Amerigo Vespucci, celebrate nella primavera del 1898 in Firenze, Firenze, Tip. M. Ricci, 1898.
80 Ivi, p. 15.
81 P. Gori, Le feste fiorentine attraverso i secoli. Le feste per San Giovanni, Firenze, R. Bempo-
83 Ivi, p. 315.
84 L. Cerasi, Gli Ateniesi d’Italia. Associazioni di cultura a Firenze nel primo Novecento, Milano,
vano nelle vie che percorrono, contro i passeggi, i caffè, le trattorie, i teatri».85
E con ‘piemontese’ i fiorentini presero a connotare non solo chi proveniva
dal Piemonte ma complessivamente, e in prevalente accezione negativa, ogni
‘venuto da fuori’:86 anche il leccese Girolamo De Blasi, autore di Firenze, i
Ciaccioni e i Buzzurri.87 Si formarono, sulla base delle diverse provenienze,
informali microcomunità tendenzialmente chiuse ma si conobbero e confron-
tarono diversi modi di vita, con implicazioni che andavano dalla lingua al
palcoscenico al cibo.
Le molte lingue dell’itala gente, verificandosi tanto diverse da ostacolare
la vicendevole comprensione, riproponevano e riarticolavano nei fatti vecchi
importanti dibattiti politico-culturali. Tra questioni della lingua e satire con-
tro i selvaggi. A Edmondo De Amicis, dal 1867 a Firenze come redattore dell’
«Italia militare», era stato assegnato un attendente sardo, ventenne, analfa-
beta. Davvero un «curioso soggetto»:88 la sua «fronte era alta appena tanto
da separare i capelli dagli occhi»89 e la sua lingua «era un misto di sardo, di
lombardo e d’italiano, tutte frasi tronche, parole mozze e contratte […] che
facevano l’effetto dei discorsi di un delirante».90
Favelle regionali trovarono spazio non secondario sui palcoscenici fio-
rentini dove si esibirono numerose compagnie dialettali: piacque il Gian-
duja di Giovan Battista Penna91 e non altrettanto il Pulcinella di Antonio
Petito.92
«Deputati e nuovi venuti […] frequentavano altresì le trattorie schietta-
mente fiorentine […] per mangiare lo stufatino e il cibreo di rigaglie».93 O
molto più semplicemente i fagioli conditi con l’olio: «Lè que cà se magne i
fasé ? […] l’ è chiel che ‘l cus i fasé ? […] Ora sentirà il nostro cibo plebeo».94
Si consolidò allora come ‘fiorentina’, per gli italiani non toscani, una modalità
di taglio e di cottura della carne estranea alla precedente tradizione locale e
che i fiorentini avevano adottato per soddisfare i gusti dei turisti anglosassoni:
bistecca da beef steak.95
85
G. Barbèra, Memorie di un editore pubblicate dai figli, Firenze, G. Barbèra, 1883, p. 300.
86
Cfr. C. Marazzini, Firenze capitale: questioni linguistiche, in N. Maraschio (a cura di), Firen-
ze e la lingua italiana fra nazione ed Europa, Firenze, University Press, 2007, pp. 91-104: 98.
87 Ibid.
88 E. De Amicis, Un’ordinanza originale, in Id., La vita militare, Firenze, Salani, 1909 (ed. ori-
90 Ivi, p. 258.
91 P.E. Poesio, Il teatro, in S. Camerani et alii, Panorama di Firenze capitale, Firenze, Il Fauno,
93 Ivi, p. 359.
94 A. Novelli, Firenze presa sul serio, Firenze, Editrice «La commedia fiorentina», 1933 (ed.
96
N. Tommaseo – B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, cit.
97
C. Marazzini, Firenze capitale: questioni linguistiche, cit., p. 101.
98 A. Zuccagni Orlandini, Raccolta di dialetti italiani con illustrazioni etnologiche, Firenze,
C. Ceccuti (a cura di), L’Università degli Studi di Firenze fra istituzioni e cultura nel decennale della
scomparsa di Giovanni Spadolini, Atti del convegno (Firenze 2004), Firenze, University Press, 2005,
pp.13-17.
100 E. Garin, L’Istituto di Studi Superiori di Firenze (cento anni dopo), in Id., La cultura italiana
renze, in C. Chiarelli – W. Pasini (a cura di), Paolo Mantegazza e l’Evoluzionismo in Italia, Firenze,
University Press, 2010, pp. 15-34: 15.
ello Lambruschini. Herzen era un esiliato politico russo che a Firenze conobbe
De Gubernatis, per qualche mese sedotto dagli ideali anarchici di Bakunin che
nel 1864 era arrivato in riva all’Arno dove, dall’agosto 1849, dopo aver parte-
cipato l’anno prima ai moti napoletani del 15 maggio, aveva dovuto riparare
lo storico Pasquale Villari, dal 1865, insegnante nell’Istituto. Nel suo discorso
inaugurale dell’anno accademico 1868-1869 Villari esprimeva «grande simpa-
tia per le riforme più utili indicate dal progresso de’ tempi»102 auspicando dia-
logo stretto tra storia, filosofia e scienze umane al fine di individuare «le leggi
secondo cui i fatti dello spirito si succedono nel tempo».103
Si deve all’interessamento di Villari, che nel 1869 era anche Segretario Gene-
rale della Pubblica Istruzione, se il Ministro Bargoni chiamò a Firenze in questo
stesso anno Paolo Mantegazza, docente di Patologia a Pavia (nonché deputato
dal 1865)104 per un insegnamento obbligatorio105 di Antropologia ed Etnologia:
il primo in Italia, aggregato alla sezione di Filosofia e Filologia dell’Istituto.
Mantegazza, nel ritratto lucidamente acido di Giovanni Papini, fu «despo-
tico e balzano principale […] vero nume del Museo, della Società e dell’Ar-
chivio. Era lui che aveva imposto l’insegnamento dell’antropologia nelle uni-
versità italiane, era lui l’uomo celebre, il poligrafo popolare»106 che del resto
si autodefiniva «poligamo di molti amori intellettuali».107
Il Ministro Credaro lo ricordava, commemorandone in Senato la scom-
parsa, come «uomo di scienza e scrittore educativo e popolare, nel senso vero
della parola: fu tra i primi a volgarizzare in Italia le leggi dell’igiene, che è an-
che base di educazione morale, e per questo egli esercitò un’azione benefica e
larga sulla coltura e sulla scuola del popolo italiano».108
Noto e indubbio come questa sorta di olismo orizzontale sia andata a di-
scapito della qualità scientifica: «gli mancava una teoria, un’idea sua [...] non
aveva approfondito né risolto nessun problema».109
Tanta ‘superficialità’ iperattiva corrispose d’altronde a una straordinaria
capacità di promozione e visibilità: il suo successo personale di cui molti, non
102 Dalla recensione al Discorso inaugurale alle lezioni dell’Istituto di studi superiori in Firenze,
del prof. Preside Pasquale Villari, Gazzettino bibliografico, in «Rivista Contemporanea Nazionale Ita-
liana», XVII, 1869, p. 118
103 Citato in P. Guarneri, Senza cattedra. L’Istituto di Psicologia dell’Università di Firenze tra
105 Sulla effimera ‘fortuna’ accademica della disciplina cfr. S. Puccini, Nascita e primi sviluppi
degli studi etno-antropologici italiani. Introduzione, in Id. (a cura di), L’uomo e gli uomini. Scritti di
antropologi italiani dell’Ottocento, Roma, CISU, 1991, pp. 1-47: 19-22.
106 G. Papini, Il senatore erotico, in Id., Passato Remoto. 1885-1914, Firenze, L’Arco, 1948,
108 Senato del Regno, Atti parlamentari. Discussioni, 5 dicembre 1910, in <http://notes9.sena-
to.it/web/senregno.nsf/e56bbbe8d7e9c734c125703d002f2a0c/a1b09e335637d2294125646f005d0c52?
OpenDocument>.
109 G. Papini, Il senatore erotico, cit., p. 111.
solo Papini, sembravano in realtà quasi invidiosi, rese popolare nella società
italiana l’approccio antropologico. Mantegazza, primo docente incardinato di
Antropologia, riuscì a incardinare la sua disciplina anche molto oltre aule e
laboratori. Parlare non solo ex cathedra era sua costante raccomandazione110
rivolta agli allievi, non tutti peraltro concordi. Fra questi Mochi che, perfino
quando si trattò di ricordare ufficialmente il Maestro scomparso, non si trat-
tenne dal rimproverargli la dipendenza dal
pubblico numeroso e plaudente, attratto dalla piana smagliante esposizione di dot-
trine nuove e di largo interesse delle quali, del resto, venivano esposte solo le linee
principali intelligibili per tutti. E anche quando non fu più il tempo di trattare argo-
menti così universalmente interessanti, anche quando l’insegnamento avrebbe dovu-
to restringersi e farsi speciale e dettagliato, il maestro non seppe rinunciare al gran
pubblico.111
110 Cfr. quanto affermato da Mochi nell’Adunanza straordinaria tenuta il 6 novembre per com-
memorare Paolo Mantegazza, in «Archivio per l’Antropologia e la Etnologia», (d’ora in poi «AAE»),
XL, 1910, pp. 483-500: 494.
111 Ibid.
112 Per una lettura della storia e del senso del Museo cfr. in particolare L. Varriale, Il Mu-
114 Cfr. L. Cerasi, Gli Ateniesi d’Italia, cit.
115 G. Papini, L’asceta osteologo, in Id., Passato Remoto. 1885-1914, cit., pp. 104-109: 108.
116 N. La Banca, «Un nero non può esser bianco». Il Museo Nazionale di Antropologia di Paolo
Mantegazza e la Colonia Eritrea, in Id. (a cura di), L’Africa in vetrina. Storie di musei e di esposizioni
coloniali, Treviso, Pagus, 1992, pp. 69-106: 94.
117 Cfr. S. Puccini, I viaggi di Paolo Mantegazza. Tra divulgazione, letteratura e antropologia,
in C. Chiarelli – W. Pasini (a cura di), Paolo Mantegazza e l’evoluzionismo in Italia, cit., pp. 51-76.
118 Citato in L. De Franceschi, Paolo Mantegazza e la divulgazione scientifica. Rapporti con la
120 F. Zevi, Le altre città e il paesaggio italiano, in W. Settimelli – Id. (a cura di), Gli Alinari
122 P. Mantegazza, intervento nella Seduta di inaugurazione della Società Fotografica Italiana, in
«Bullettino della Società Fotografica Italiana», (d’ora in poi BSFI), I, 1889, pp. 5-6: 6.
123 Id., Introduzione a Id., Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze, I, Milano, Brigola,
cura di), Paolo Mantegazza e l’Evoluzionismo in Italia, cit., pp. 93-115: 111.
127 Vedi anche S. Puccini, Strategie politiche, problemi sociali e interessi demologici nelle grandi
inchieste parlamentari, in Id., Il corpo, la mente e le passioni. Istruzioni, guide e norme per la docu-
mentazione, l’osservazione e la ricerca sui popoli nell’etno-antropologia italiana del secondo Ottocento,
Roma, CISU, 1998, pp. 27-32.
128 P. Mantegazza, Dell’azione fisiologica della coca e delle sue applicazioni, in «Annali Univer-
tura», XII, gennaio 1912, seconda di coperta condivisa con i liquori Vov e Strega e i dadi per
brodo Maggi.
131 Citato in W. Pasini, Paolo Mantegazza a Rimini, in W. Pasini (a cura di), Paolo Mantegazza
133 Citato in L. Varriale, Il Museo Nazionale di Antropologia ed Etnologia di Firenze, cit., p. 55.
134 Cfr. E. Giglioli, La etnologia all’ esposizione di Torino nel 1898, in «AAE», XIX, 1889,
2006, p. 93.
136 P. Mantegazza – A. Zannetti, I due Akka del Miani, in «AAE», IV, 1874, pp. 137-165: 141.
Vedi anche S. Puccini, Gli Akkà del Miani: una storia etnologica nell’Italia di fine secolo (1872-1883),
pubblicato in due parti in «L’uomo», 1984, 1, pp. 29-57, e 2, pp. 197-217.
137 E. Regalia, Il Museo Nazionale d’Antropologia in Firenze, in «AAE», XXXI, 1901, pp. 9-18: 12.
138 Cfr. O. Fantozzi Micali – P. Roselli, Le soppressioni dei conventi a Firenze. Riuso e trasfor-
mazioni dal sec. XVIII in poi, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1980, p. 221.
139 Ibid.
140 Così Mantegazza commemorava il suo Aiuto non retribuito: «Con lui ho passato quella cara
primavera di entusiasmi che indora di poesia la povertà dei mezzi, e che sparge tanto fascino sulle
scaramuccie quotidiane fra il volere e il non potere»: P. Mantegazza, Arturo Zannetti, in «AAE»,
XIV, 1884, pp. 137-142: 138.
Regàlia ricordava che «il Direttore del Museo e l’Aiuto andavano, scherzando
tra loro, a lavare nel cortile i teschi sudici».141 E il Direttore:
Siamo stati per un pezzo spazzini e scienziati, servi e professori, in un bugigattolo
degno di un pizzicagnolo e con tavole di pino più modeste di quelle d’ un vinaio,
schierando ogni giorno quei pochi teschi, che dovevano formare la prima pietra di
uno dei Musei fra i più ricchi d’Europa.142
Inadeguato era del resto anche il sostegno finanziario previsto nel decreto
fondativo del Museo, emanato il 28 novembre 1869: mille lire, ossia la co-
pertura finanziaria minima per legittimare la fondazione di nuovi istituti.143
Tanto che il Ministero, il giorno dopo, inviò una circolare ai Rettori delle
Università ed ai Direttori di Musei e Biblioteche: tutti luoghi dove
trovansi sparsi cranii, armi e strumenti delle epoche preistoriche, oggetti dell’indu-
stria primitiva di popoli selvaggi, ed altre preziose cose del dominio dell’antropologia,
[…] che confuse cogli altri elementi non possono sperare di acquistar mai quella im-
portanza che avrebbero se fossero riunite in un centro solo, nel quale, come farebbesi
nel nuovo Museo di antropologia, si desse opera a raccogliere specialmente i materiali
di una etnografia delle diverse stirpi italiche.144
Si chiedeva quindi «la nota degli oggetti che senza danno dell’insegna-
mento locale e con maggiore vantaggio della scienza potrebbero essere man-
dati a Firenze145 […] Il Ministero non mancherà senza dubbio di rilasciare
regolari ricevute degli oggetti donati».146
Saturata da mezzo migliaio circa di pezzi osteologici, la «stanzuccia» di
via Ricasoli non aveva spazio anche per i materiali etnologici che da più fonti
iniziavano a pervenire: occorreva altra sede che venne individuata nella vi-
cina via S. Sebastiano,147 in un vasto «palazzo neoclassico fatto costruire da
Napoleone per l’Arcivescovo di Firenze nei giardini della Santissima Annun-
ziata»148 e dove il chimico Ugo Schiff aveva progettato di riunire le scienze
sperimentali dell’Istituto con le quali l’Antropologia si trovò o, meglio, scelse
di convivere. Nel 1877 infatti la disciplina si separò dalla Sezione di Filosofia
e Filologia, dove il Ministro Bonghi l’aveva retrocessa a insegnamento libero,
per inserirsi in quella di Scienze Fisiche e Naturali. Da notare che il palazzo
di via S. Sebastiano delimitava ad est un quadrilatero urbano da gran tempo
141
E. Regalia, Il Museo Nazionale d’Antropologia in Firenze, cit., p. 12
142
P. Mantegazza, Arturo Zannetti, cit., p. 138.
143 E. Regalia, Il Museo Nazionale d’Antropologia in Firenze, cit., p. 10.
144 Ivi, p. 11.
145 Ibid.
146 Ivi, p. 12.
147 Oggi via Gino Capponi.
148 G. Papini, Il senatore erotico, cit., pp. 104-105. Cfr. C. De Benedictis – R. Roani – G.C.
Romby, La palazzina dei Servi a Firenze. Da residenza vescovile a sede universitaria, Firenze, Edifir, 2014.
destinato al sapere e alla sua esposizione: sul lato sud via della Sapienza149
conservava nel nome la memoria di un collegio per studenti ideato ma non
realizzato nella prima metà del Quattrocento. Lo spazio a nord era occupa-
to dall’Orto botanico voluto nel 1545 da Cosimo I. A ovest si insediarono,
dopo Firenze capitale, il Rettorato e gli insegnamenti e musei, provenienti
dalla Specola, di Botanica, Mineralogia, Geologia e Paleontologia. Antro-
pologia coabitava a est con Chimica, Fisica e Fisiologia, esperimenti inclusi:
Gino Capponi, futuro titolare della via, dovette ricorrere «ai Tribunali per-
chè gli fosse tolta la molestia dei continui e penosi ululati dei cani tormentati
dalla vivisezione in vicinanza del suo palazzo»150 che fronteggiava i labora-
tori della scienza.
Il Museo di Antropologia dava conto dell’accrescersi progressivo delle
sue collezioni con le illustrazioni dei corrispettivi esploratori ma molte infor-
mazioni arrivavano a pubblico più ampio anche tramite la stampa quotidiana.
Buona copertura giornalistica151 trovò ad esempio la creatura forse più perso-
nale di Mantegazza: il Museo Psicologico, annunciato in una Adunanza SIAE
del 1886, promulgato da decreto reale del 19 maggio 1889 e inaugurato il 28
dicembre 1891 in tre sale dello stesso palazzo del Museo di Antropologia. La
nuova creatura «doveva raccogliere tutti i documenti che illustrano le pas-
sioni umane all’infuori dell’elemento etnico»152 ossia, come specificato sulla
«Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», gli
amuleti, i voti d’amore, gli strumenti per difendere il pudore delle donne, quelli per
violare l’altrui proprietà, le insegne della vanità e tutti gli ordigni per deformare o mi-
gliorare il corpo umano; gli autografi che devono illustrare i caratteri speciali dell’età,
del sesso, del delitto, del genio; tutto ciò insomma che può illustrare i diversi gusti
degli individui, i loro vizi, le loro superstizioni, i loro eroismi.153
149
Oggi via Cesare Battisti.
150
M. Tabarrini, Gino Capponi. I suoi tempi, i suoi studi, i suoi amici, Firenze, G. Barbèra,
1879, p. 353.
151 Cfr. in particolare A. Tommasi, Il museo psicologico di Paolo Mantegazza, in «Rivista di psi-
logico, in «Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia», 1889, 163, mercoledì 10 luglio, pp. 2262-2263: 2262.
154 C. Maurras, Le Musée des passions humaines de Florence, in Id., Anthinéa. D’Athènes à
Nous ne connaissons rien de ce qui sortira de nous. Quelle doctrine pourra naître de la
mise en rapport de ces curiosités bizarres ou communes recueillies de tant de côtés, nous
ne le savons pas. Nous ne sommes que le magasin des faits purs. L’esprit scientifique
nous donnera un jour, quand il lui plaira de souffler, le classement, le tour, le sens et la
figure qui lui paraîtront convenables: il tirera de nous les idées qu’il jugera bonnes.155
«poligrafo puro»
155
Ibid.
156
Cfr. P. Mantegazza, Commemorazione del Prof. Luigi Calori e del Comm. Borg de Balzan, in
«AAE», XXV, 1896, pp. 369-370: 370.
157 S. Ciruzzi, Le collezioni del Museo Psicologico di Paolo Mantegazza a cento anni dalla sua
159 Mochi avrebbe detto: «“Questo non serve” e con questo dire dette inizio allo smembramento
delle collezioni»: E. Pardini, «L’Animus» del Fondatore. La Fondazione: sua storia e sue vicissitudini, in
Id. – S. Mainardi, Il Museo Psicologico di Paolo Mantegazza, in «AAE», CXXI, 1991, pp. 138-143: 142.
160 Cfr., in particolare, S. Ciruzzi, Le collezioni del Museo Psicologico di Paolo Mantegazza, cit.
161 A. De Gubernatis, Fibra. Pagine di ricordi, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato, 1900, p. 393.
162
Ivi, p. 198.
163
Impietoso il commento di Croce secondo cui De Gubernais, non sapendo più a quale altra
passione consacrarsi, scelse quella di commemorare Beatrice: «vi perdette tutto il suo avere, riuscen-
do all’effetto di rovinarsi, come non pochi altri, per una donna, ma (e questa fu la sua originalità)
per una donna che non si sa se sia mai esistita» (B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari,
Laterza, 1943, p. 390).
164 L. Strappini, Angelo De Gubernatis, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto
166 Dalla circolare del 4 luglio 1893 citata in M. Menghini, La “Società nazionale per lo studio
168 Ibid.
169 Cfr. S. Fani – M. Farina, Le vie delle lettere. La Tipografia medicea tra Roma e l’Oriente,
170
A. De Gubernatis, Fibra. Pagine di ricordi, cit., p. 383.
171
Id., Quarto Congresso Internazionale degli Orientalisti, I, in «Bollettino Italiano degli Studii
Orientali», 1876, 10-11, pp. 209-211: 210.
172 F. Lowndes Vicente, Altri orientalismi. L’India a Firenze 1860-1900, Firenze, University
174 V. Meini, in «Gazzetta musicale di Milano», XXXIII, 6 ottobre 1878, Corrispondenza da
e «dalle 12 era già gremita d’invitati e fra loro un gran numero di signore. La
folla era tale che si sono dovute aprire tutte le finestre a causa del caldo»,181
come riportato da «La Nazione» che dedicò largo spazio all’inaugurazione
presenziata dalle Loro Maestà e marcatamente scenografata dalla fantasia li-
turgica di De Gubernatis:
Vestì il fanciullo Guido Ricci all’indiana con una tracolla che portava l’iscrizione:
Museo Indiano, e gli affidò un panka, un ventaglio sormontato da due serpenti dalla
bocca dei quali uscivano profumi indiani. Prima che i Sovrani si allontanassero dal
Salone fece avanzare il fanciullo con due vassoi indiani, sull’uno dei quali stava-
no tre corone intrecciate con nastri d’argento all’indiana e sull’altro un’elegante
profumiera d’argento e d’oro in filigrana con dentro essenza di rose e profumo di
sandalo. Secondo l’uso dell’ospitalità indiana il conte De Gubernatis porse prima
una corona al Re e il fanciullo gridò in Sanscrito: Sri Maharaja Ambrato giaiati (il
glorioso gran re Umberto trionfa); la seconda corona fu porta alla regina con il sa-
176
Citato in ivi, p. 446
177
Ivi, p. 460.
178 Ivi, p. 455.
179 Ivi, p. 456.
180 Ivi, p. 463.
181 All’Istituto di Studi Superiori, in «La Nazione», 15 novembre 1886.
luto: Sri Maharani Margarita giaiati; la terza venne data al principino con il saluto:
Sri Ragia Kamara Viginia giaiati (il glorioso principe reale Vittorio trionfa). Quindi
il De Gubernatis con il cucchiaino d’argento, oro e smalto fece cadere una goccia
di essenza odorosa nei fazzoletti dei tre Sovrani che infine ricevettero in dono la
graziosa profumiera.182
182
Il Museo Indiano, in «La Nazione», 16 novembre 1886.
183
A. De Gubernatis, Fibra. Pagine di ricordi, cit., p. 461.
184 Ivi, p. 493.
185 Oggi viale Antonio Gramsci.
186 Scomparse nel tempo ma attestate in F. Bigazzi, Iscrizioni e memorie della città di Firenze,
188 Ibid.
189 Edificato nel 1876 dall’architetto Charles Mant con la collaborazione dello scultore Carlo
Francesco Fuller. Cfr. C. Cresti, Firenze, capitale mancata. Architettura e città dal piano Poggi a oggi,
Milano, Electa, 1995, pp. 86 e 89.
190 Citato in F. Lowndes Vicente, Altri orientalismi. L’India a Firenze 1860-1900, cit., p. 3, nota 6.
191 A. Boralevi, La costruzione della Sinagoga di Firenze, in Il centenario del Tempio Israelitico
di Firenze, Atti del convegno (Firenze 1982), Firenze, Giuntina, 1985, pp. 50-72: 64.
192 I. Sordi, Etnografia di piazza. Le «Völkerschaustellungen» di Carl Heinrich Hagenbeck, in
G. Sanga (a cura di), La piazza. Ambulanti, vagabondi, malviventi, fieranti, in «La Ricerca Folklori-
ca», n. 19, 1989, pp. 59-68: 59.
193 C.H. Hagenbeck, Io e le belve. Le mie memorie di domatore e di mercante, Milano, Quintie-
Catalogo del Museo Indiano del 1899 compare una «maschera Singalese in
legno (Dono del Sig. Carlo Hagenbeck)»:194 pratica a lui consueta, nella sua
tenace quanto interessata ricerca di accredito presso gli studiosi.
Forse utile, a questo punto, anche un quadro sintetico della complessiva
offerta museale fiorentina entro cui si collocavano le iniziative di Mantegazza
e De Gubernatis.
Primeggiava ovviamente l’ambito storico-artistico.
Nel 1833 erano state aperti al pubblico alcuni ambienti di Palazzo Pitti
e lo erano fin dal 1769 quelli della Galleria degli Uffizi che, prima di allo-
ra, comprendeva anche meraviglie non artistiche poi confluite alla Specola
con l’istituzione, nel 1775, del più antico museo scientifico d’Europa: a sua
volta in parte smembrato con la costituzione, dopo Firenze capitale, del già
citato quadrilatero della scienza. Dal 1880, nel vicino palazzo della Crocetta,
le vetrine del Museo Archeologico rendevano visibili arte e vita del mondo
classico ed egizio.
Oggetti esotici considerati quali espressioni d’arte erano nel Museo Na-
zionale del Bargello, inaugurato nel 1865, e nelle case-museo dei numerosi
collezionisti. Quella di Stefano Bardini, appositamente rielaborata su prece-
denti strutture nel 1881, era una vera vetrina espositiva in attesa di acquirenti.
Nel 1887 si aprì per la prima volta al pubblico, in coincidenza con l’inaugu-
razione della facciata del Duomo, la sterminata raccolta di Frederick Stibbert
tra cui figuravano armi islamiche e giapponesi che per generazioni avrebbero
fatto sognare i bambini fiorentini.
Mascagni, per la sua Iris, visitò in Firenze una importante collezione di
strumenti musicali che aveva anche fornito «utili informazioni a viaggiatori
e scienziati illustri»,195 tra cui Mantegazza, Sommier, Modigliani. Iniziata
da Alessandro Kraus figlio con «un cembalo del XVIII secolo trovato nel
1875 a Montecatini alto [e che] serviva di pacifico covo a due coppie di
piccioni in una soffitta»,196 la collezione si arricchì grazie ad una vasta rete
di antiquari e viaggiatori: nel 1901 Kraus poteva elencare più di mille stru-
menti provenienti dai cinque continenti, dal «Pocúl-logún, strumento da
corda dei Batacchi»197 al «Vaso fischiato, degli antichi Incas del Perù»198
fino alle «campane di terraglia» di Montelupo e a una «buccina piccola dei
pastori del Monte Amiata».199 Se l’«illustre Mantegazza, ha fondato un mu-
seo psicologico generale, noi abbiamo il nostro museo psicologico-musica-
194 G. Donati, Museo Indiano, in «Giornale della Società Asiatica Italiana», III, 1889,
musicali, Firenze, Tipografia di Salvatore Landi, 1901, p. 5. Cfr. inoltre G. Rossi Rognoni (a cura di),
Alessandro Kraus musicologo e antropologo, Firenze, Giunti, 2004.
196 Ivi, p. 4.
197 Ivi, p. 11.
198 Ivi, p. 29.
199 Ivi, p. 14.
le-speciale, nel quale si trovano aggruppati gli strumenti, che presso i vari
popoli vengono usati in certe date determinate estrinsecazioni di fenomeni
psichici!».200 Kraus, perché la collezione evolvesse in museo, propose al Co-
mune di trasferirla dalla sua abitazione di via Cerretani 10 nel complesso di
San Pancrazio201 che fu invece destinato ad accogliere la più concretamente
produttiva Manifattura Tabacchi: i preziosi reperti si dispersero così in varie
sedi a seguito di vendite separate.
A fine Ottocento, in ogni caso, le informazioni più costanti e sentite at-
torno all’alterità culturale erano quelle connesse alla cronaca politico-militare
relativa alle imprese coloniali dell’Italia. Con illustrazioni raffiguranti la guer-
ra d’Africa si «tappezzavano i muri delle botteghe e delle osterie, si andavano
ad ammirare per due soldi al ‘buco tondo’, nei baracconi. Non si ragionava di
altro che di Crispi e del generale Barattieri, di Menelicche e della regina Taitù,
del maggiore Toselli, del forte di Macallè e degli Scioani».202 Circolavano an-
che, appoggiate alla linea melodica del Sor Capanna,203 strofette illuminanti
su come il senso comune popolare leggesse le svariate narrazioni dell’espan-
sionismo nazionale:
Oh ! Menelicche !
Eran palle di piombo e non pasticche.
Oh ! Baldissera !
Non ti fidar di quella gente nera.
Oh ! Baratieri !
E se la va così cresce i pensieri.204
abitazioni
200
Ivi, p. 5.
201
Oggi sede del Museo Marino Marini.
202 V. Cardarelli, La ferriera, in Id., Il Sole a picco, in Id., Opere, Milano, Mondadori, 1981 (ed.
204 G. Galletti, Poesia popolare livornese, Livorno, Tipografia di Raff. Giusti, 1896, p. 92, nota 2.
205 Lettera di Dino Provenzal a Lamberto Loria del 28 novembre 1907, fasc. 921, doc. 19.
206 Via Bonifacio Lupi: così nominata «Con deliberazione del Consiglio Comunale del 2 otto-
bre 1891, Sindaco il Marchese Pietro Torrigiani»: Stradario Storico e Amministrativo della Città e del
Comune di Firenze, Firenze, 1929, p. 15.
207 Via Magenta: così nominata «Con deliberazione del Magistrato dei Priori del 10 agosto
209 Ibid.
210 Cfr. «Bollettino della Società Geografica Italiana», (d’ ora in poi «BSGI»), XXVI, 1892, p. 29.
211 Il 12 febbraio, come certificato dall’Anagrafe del Comune di Firenze dove risulta iscritto
213 Cfr. B. Pellegrino, Il filantropo. Prospero Moisè Loria e la società umanitaria, Bologna,
Minerva, 2014.
214 Cfr. F. Baldasseroni, Lamberto Loria, in «Lares», II, 1913, 1, pp. 1-16: 2.
215 L. Loria, Lettera da Tiflis a Mantegazza del 19 gennaio, in «AAE», XIV, 1884, pp. 414-418.
216 Conservato tra i manoscritti del Museo di Antropologia di Firenze e recentemente trascritto
218 Id., I Viaggi del Dott. Lamberto Loria nella Nuova Guinea, in «BSGI», 1897, VI, pp. 156-161.
«Quella vita nella tenda che avevo trascorsa nella mia giovinezza tra le
selvagge popolazioni Papua»219 riaffiora nel 1905 quando «andando per la
prima volta a Circello nel Sannio, fui fortemente impressionato dalla diversità
delle usanze, dei costumi e della psiche di quelle popolazioni»:220 ne derivò il
celebre trasloco disciplinare che lo convinse a importare in Italia le esperien-
ze di ricerca maturate in remoti altrove. La notorietà del ‘fatto’ comprova il
successo della volontà di Loria di costruire narrativamente un attraente mito
fondativo221 che, per esser tale, deve apparire improvviso, epifanico: l’uovo di
Colombo delle Indias de por acá da cui appunto «sorse spontanea la domanda:
perché andiamo tanto lontano a studiare gli usi e i costumi dei popoli, se an-
cora non conosciamo quelli dei nostri connazionali uniti politicamente sotto
un solo governo; ma con nel sangue, fuse o semplicemente mescolate, mille
eredità diverse ?».222
Oggi potremmo contribuire al significato del mito affiggendovi altre me-
morie significanti: nel Sannio vennero deportati, dopo il 180 a.C., i Liguri
Apuani dell’odierna Garfagnana e Lunigiana, «montani atque agrestes»223 ir-
riducibili alla conquista romana. Non solo. Dell’antico sradicamento si stan-
no occupando comparti delle Università di Pisa e di Bologna che indagano
sul possibile legame genetico tra le popolazioni attuali delle due aree: e questo
in esplicita sinergia con la contemporanea domanda di identità patrimonia-
lizzante sostenuta da amministrazioni e stakeholders interessati alla cultura e
all’economia locale.224
219 L. Loria, Del modo di promuovere gli studi di Etnografia Italiana, in Per la Etnografia Italia-
na, in «Rassegna contemporanea», III, 7, 1910, pp. 123-132: 124. Successivamente anche in Atti del
settimo Congresso geografico italiano, Palermo, Virzì, 1911, pp. 361-369.
220 Id., Come è sorto il Museo di Etnografia Italiana in Firenze, Comunicazione al VI Congresso
223 Citato in J.R. Patterson, Sanniti, Liguri e Romani. Un aggiornamento, p. 60: al momento
sarebbe tradotto in testamento.225 Là, in quelle pagine, tutto non poteva che
apparir perfetto: illuminazione improvvisa nel Sannio, sostegno economico di
uno sponsor unito a quello, anche organizzativo, del Governo, competenza e
disponibilità dei collaboratori, fondazione imminente di una vera etnografia
italiana e di un suo Museo. Ricondurre le fasi di tale cursus honorum entro la
complessità faticosa del reale credo non le tradisca ma le renda, semmai, «più
sacre e più belle».226
Il Circello, anzitutto, fu illuminazione in realtà più conclusiva che im-
provvisa.
Anche prima della genesi primaverile del 1905 non corrispondeva d’al-
tronde all’etnografia italiana l’immagine di una terra buia, informe e deserta.
Tener conto dei ‘dislivelli interni’ rappresentava piuttosto, questo sì, una la-
tenza più che una presenza: anche per l’antropologia di rito fiorentino, entro
cui Loria si era formato conoscendo e facendosi conoscere con parole e testi
di adunanze e relazioni nonché con immagini di Mostre fotografiche.
La fotografia è una pista importante nel ricostruire le motivazioni che
indussero Loria a dedicarsi all’etnografia italiana. Lo evidenzia, emblematica-
mente, la frase posta in esergo all’opuscolo del 1906 227 annunciante la nascita
del Museo fiorentino: «Contribuire a far conoscere gli italiani agli italiani è
opera santa». Sono parole di Giulio Fano, celebre fisiologo che dalle foto
impiegate per registrare l’andamento delle contrazioni atriali passò a quelle
etnografiche partecipando all’attività della SFI al cui interno, oltre alle rap-
presentazioni dell’alterità esotica, si manifestavano vivi interessi per docu-
mentare la varietà culturale del nostro paese.228
Nel 1898 Loria si iscrive nella Società e il 18 dicembre Fano, come da
verbale di assemblea, «invita la Società a fare un’inchiesta nel campo etnico e
antropologico del nostro paese ed a tale scopo ad aprire una rubrica speciale
nel «Bullettino», che illustri i tipi, gli usi e i costumi dei vari popoli d’Italia.
La proposta è accolta da applausi».229 Analoga esortazione Fano riproporrà
l’anno dopo,230 durante l’Esposizione nazionale e internazionale di fotografia
che vide Loria tra i vincitori di medaglia d’oro grazie ai suoi scatti relativi a
Nuova Guinea, Australia ed Egitto. A detta di Augusto Novelli, commedio-
225
L. Loria, Due parole di programma, in «Lares», I, 1, 1912, pp. 9-24. Loria morì il 4 aprile 1913.
226
Endiadi impropria quanto a me carissima, perché appresa da Pietro Clemente entro co-
mune fascinazione per il culto degli antenati, estratta da una novella di Pirandello tradotta in Kaos
(1984) dai fratelli Taviani: «Guarda le cose anche con gli occhi di quelli che non le vedono più! Ne
avrai un rammarico, figlio, che te le renderà più sacre e più belle». Cfr. P. Clemente, La postura del
ricordante, cit., p. 80.
227 L. Loria – A. Mochi, Museo di Etnografia Italiana in Firenze. Sulla raccolta di materiali per
Una promessa disattesa, in «AFT», VII, 13, 1991, pp. 64-69: 65.
229 Citato in ivi, p. 67.
230 Cfr. G. Fano, Sull’applicazione della fotografia agli studi etnografici, in Atti del Secondo Con-
gresso Fotografico Italiano (Firenze 1899), Firenze, Tipografia M. Ricci, 1901, pp. 87-90.
231
A. Novelli, Su e giù per l’esposizione, in «BSFI»,1899, pp. 192-207: 199-200.
232
G. Roster, La Sezione Scientifica nella Esposizione Fotografica di Firenze, in ivi, pp. 273-284:
273-274.
233 F. Faeta, La realtà è prodotto della più augusta immaginazione. La fotografia come prova nelle
scienze antropologiche, in Id., Strategie dell’occhio. Saggi di etnografia visiva, Milano, Angeli, 2003,
(ed. or. 1995), pp. 29-58: 40-41.
234 L. Loria, Relazione sulla proposta pubblicazione fotografica. Tipi, usi e costumi del popolo
237 P. Mantegazza, Psicologia degli indigeni desunta dall’esame dei prodotti della loro industria,
ordinare con rigidi criteri scientifici e ad esporre artisticamente le raccolte [anche se] la mancanza di
mezzi finanziari sufficienti a simile impresa e il poco tempo che egli poteva sottrarre ai suoi preferiti
studi antropologici, limitarono grandemente l’opera sua» (L. Loria, Come è sorto il Museo di Etno-
grafia Italiana in Firenze cit., pp. 6-7).
239 A. De Gubernatis, Il Museo Indiano di Firenze. Voci che volano. Conti senza l’oste, in «La
dia per l’Italia umbertina, in Id. (a cura di), Angelo De Gubernatis. Europa e Oriente nell’Italia um-
bertina, I, Napoli, Istituto Universitario Orientale, 1995, pp. 1-37: 33.
242 A. Mochi, Gli oggetti etnografici delle popolazioni etiopiche posseduti dal Museo Nazionale
244 Ibid.
245 Cfr. G. Baronti, Tra bambini e acque sporche. Immersioni nella collezione di amuleti di Giu-
cui uso ancor sopravvive tra noi».247 In Sicilia «vari musei civici conservano
abiti e oggetti caratteristici della regione».248 Nelle Esposizioni Nazionali di
Milano 1881 e Torino 1884, inoltre, «si fece molta parte all’etnografia nostra-
le»249 e nel 1888 la SFI suggerì «di riprodurre scene, costumi e tipi popolari
del nostro paese».250
Ottime premesse, dunque ma «non esiste ancora […] una raccolta che
abbia per scopo unico e preciso di conservare il maggior numero possibile
degli oggetti, dei manufatti tutti di qualsiasi genere e categoria spontanea-
mente usati e fabbricati dal popolo nostro meno civile».251 Anche per questo
Mochi annuncia di aver avviato una sua personale collezione, di cui mostra
e illustra una ventina di pezzi, che si propone di estendere grazie all’aiuto di
amici e studiosi. Ma occorre affrettarsi perché «ben presto non ne troveremo
più nessun esemplare, perché la nostra civiltà cittadina e modernissima in-
vade rapidamente i più riposti cantucci delle campagne, i più isolati paeselli
montani».252
Elio Modigliani fu tra quanti raccolsero l’invito e l’anno dopo, nell’adu-
nanza del 26 aprile,253 presenta e dona una sua collezione di oggetti valdostani
destinata ad arricchire la raccolta di Mochi. Modigliani segnala inoltre che
anche a Roma, per iniziativa di Angelo Colini e altri, si intende fondare un
Museo Etnografico Italiano: cui rivolge saluti e plausi di maniera che non
riescono ad attenuare la sostanziale e corale reazione negativa alla notizia.
Nell’adunanza si rivendica infatti una sorta di primogenitura fiorentina della
stessa idea, che Mantegazza sostiene aver previsto per il suo Museo di An-
tropologia con «una sezione italiana di oggetti attuali»254 da avviare con abiti
o costumi dell’Esposizione di Milano del 1881: ma «non si volle cedermela,
e non so come sia andata a finire».255 E in ogni caso si tiene a sottolineare
247 Cfr. E.H. Giglioli, La collezione etnografica del Prof. Enrico Hillyer Giglioli geograficamen-
249 Ibid.
250 Ibid. Questi stessi riferimenti figureranno in L. Loria – A. Mochi, Museo di Etnografia Italia-
na in Firenze. Sulla raccolta di materiali per l’Etnografia, cit., pp.16-17, integrati da altri: le intenzioni
etnografiche nazionali avanzate da Pigorini (L. Pigorini, Il Museo Nazionale Preistorico di Roma, in
«Bollettino Ufficiale del Ministero della Pubblica Istruzione», VII, 1881, pp. 488-502: 499) nel 1881
e da Giacomo Boni nel 1905; la realtà del Museo Etnografico di Palermo curato da Pitrè; le iniziative
del Club Alpino Italiano che «ha promosso delle Mostre regionali di costumi che si conservano nei
suoi locali». Raffaele Corso, infine, avrebbe nel 1913 completato il quadro ricordando che anche «Co-
stantino Nigra verso il tramonto della sua vita, raccoglieva per le valli alpine collari di capra, coperti
da fregi» e che «l’orefice Castellani ordinava una mostra di gioie popolari» (R. Corso, Per l’Etnografia
Calabrese (a proposito della Mostra di Roma), [Conferenza tenuta il 3 dicembre 1911 al Circolo di
Cultura di Catanzaro] in «Archivio Storico della Calabria», I, 1912-1913, pp. 116-133: 117).
251 Ibid.
252 Ivi, p. 646.
253 Cfr. Presentazione di oggetti etnografici valdostani, in «AAE», XXXIII, 1903, pp. 619-621.
254 Ivi, p. 621.
255 Ibid.
256
Ivi, p. 619.
257
G. Bartolommei Gioli, Prefazione a I. Baldrati (a cura di), Mostra Agricola della Colonia
Eritrea. Catalogo illustrativo, Firenze, Tipografia Luigi Niccolai, 1903, pp. iii-v: v.
258 A. Mochi, Oggetti esposti dal Museo Nazionale d’Antropologia, in ivi, pp. 119-134: 120.
259 Ibid.
260 A. Levy, Impressioni personali, in «BSFI», XVI, maggio 1904, pp. 137-143: 139-140.
261 C. Panerai, Fotografia e antropologia nel “Bullettino della Società Fotografica Italiana”, cit., p. 68.
262 L. Loria, Collezione fotografica del Museo Forense, in «BSFI», XVII, 1905, pp. 123-125: 125.
Tra Sannio e Africa, nell’estate e l’autunno del 1905, il progetto del Museo
di Etnografia Italiana sembra già delineato e avviato: in azioni e attori.
Il 23 luglio Mochi chiede a Loria notizia su di un memoriale da presentare
al conte Giovan Angelo Bastogi, possibile finanziatore dell’impresa, e insieme
lo informa di star preparando a Livorno «il corredo africano. Però non mi è
263
F. Baldasseroni, Lamberto Loria, cit, p. 15.
264
Ivi, p. 6
265 L. Loria, Come è sorto il Museo di Etnografia Italiana in Firenze, cit., p. 5.
266 Id., I Viaggi del Dott. Lamberto Loria nella Nuova Guinea, cit., p. 160.
267 Verso di una canzone popolare assai diffusa, tra l’altro citata anche in A. Soffici, L’uva e la
croce, in Id., Autoritratto d’artista italiano nel quadro del suo tempo, I, Firenze, Vallecchi, 1951, p. 173.
stato possibile trovare del kaki. Devo prendere invece della comune tela d’A-
frica ?».268 Dopo solo due giorni scrive che «per fare una cosa seria, andrò in
Brianza a posta da un Sabato a un Lunedì», nella certezza di «trovarvi chissà
quante cose».269
Del primo agosto è altra lettera di Mochi straordinariamente emblematica
della situazione e del suo rapporto con Loria:
Benissimo la lettera al Bastogi: se questo sor Giangio non è un cr… (come direbbe
Baldasseroni) si deve lasciar convincere e il Museo Et. It. è bell’ e fatto. […] quanto al
locale e ai dettagli c’è tempo a parlarne in Gennaio: allora ci piglieremo per i capelli.
Sì ! Farò il miracolo di prenderti anche te per i capelli, hai capito ? Il Martini l’hai
lavorato bene anche lui. Sono sicuro che ci aiuterà come meglio potrà. […] Con tutta
codesta aristocrazia di costà non far tanto il p… perché tanto è inutile. Vedrai che gli
Assaortini, ignoranti in fatto di nobiltà, arrostiranno e mangeranno ugualmente te e
noi poveri diavoli ! Stammi bene: pensa all’Africa. Non ti lasciar troppo traviare dai
sogni etnografici italiani [corsivo mio].270
268
Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 25 luglio 1905, AS, fasc. 758, doc. 3.
269
L. De Risi, Il carteggio Mochi-Loria. Primo bilancio del contributo di Aldobrandino Mochi all’et-
nografia italiana, in S. Puccini (a cura di), Alle origini della ricerca sul campo. Questionari, guide e istru-
zioni di viaggio dal XVIII al XX secolo, in «La Ricerca Folklorica», n. 32, 1995, pp. 105-109: 107-108.
270 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 1 agosto 1905, fasc. 758, doc. 5.
271 Cfr., p. 151.
272 Cfr. U.M. Miozzi, La scuola storica romana, 1926-1943, I, Roma, Edizioni di storia e lette-
Occorre che «molti vadano, che molti vedano, che molti imparino, anche
poco per ciascuno, e tornino e scrivano e raccontino e cooperino, ognuno per
la parte sua, a sfatare la leggenda dell’ Africa orrenda e tenebrosa, dell’Eritrea
sterile, inospite, malsana».277 Martini, già da tempo attivo in tale campagna
di controinformazione,278 accolse con estremo favore l’offerta di ospitare il
Congresso che era stata messa a punto a Napoli, il 27 novembre 1904, per
iniziativa della Società africana d’Italia e con la partecipazione di Loria che
riuscì a coinvolgere nell’iniziativa anche la SGI.279
274
L. Loria, Due parole di programma, cit, p. 10.
275
Dal reportage dell’11-12 novembre 1895 di Achille Bizzoni, inviato del quotidiano radicale
milanese «Il Secolo», citato in L. Barile, Scrittori e colonie, Convegno su Italian Colonialism and Con-
centration Camps in Libya 1929-1943, Tripoli 12-13 Dicembre 2006, <http://www.storiaememorie.it/>.
276 Citato in A. Aquarone, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, Roma, Ministero
278 Cfr. M. Zaccaria, “Quelle splendide fotografie che riproducono tanti luoghi pittoreschi”. L’uso
della fotografia nella propaganda coloniale italiana (1898-1914), in C. Fiamingo (a cura di), Identità
d’Africa fra arte e politica, Roma, Aracne, 2008, pp. 147-173.
279 Cfr. A. Aquarone, Dopo Adua: politica e amministrazione coloniale, cit., p. 302.
280
Ivi, p. 308, nota 75.
281
Intervento di L. Loria nella Seduta pomeridiana del 3 ottobre 1905, in C. Rossetti (a cura
di), Atti del Congresso Coloniale Italiano in Asmara (settembre-ottobre 1905), II, Verbali delle discus-
sioni, Roma, Tipografia dell’ Unione Cooperativa Editrice, 1905, p. 124.
282 L. Loria, Del modo di promuovere gli studi di Etnografia Italiana, cit., pp. 124-125.
283 Pubblicate nel 1907. Cfr S. Puccini, Le Istruzioni per lo studio della Colonia Eritrea, in Id., Il
corpo, la mente e le passioni, cit., pp. 148-152 e E. Pacini, Dal territorio eritreo al Museo. Gli scopi e le
tecniche di collezione degli oggetti etnografici, in «Ethnorêma», rivista on line (http://win.ethnorema.
it/Index_en.htm), 2009, 5, pp. 29-49: 31-33. Vedi anche E. Pacini, Raccogliere, collezionare, esporre.
Potere coloniale e viaggio scientifico nella formazione delle collezioni Saho del MNAE, in E. Rossi (a
cura di), Forme di antropologia, cit., pp. 99-132.
Loria poi «vuol far tutto con la sua calma e con l’accuratezza che gli è pro-
pria»:285 un apprezzamento sincero che implica anche presa di distanza da uno
stile di lavoro dove l’efficienza rischia di farsi maniacale. L’uomo-cavalletta, come
lo avrebbe in seguito definito D’Ancona,286 non sta mai fermo: «Loria è alle pre-
se con il fido servo Alì e lo assoggetta ad un corso superiore di fotografia».287
Anche Dainelli concorda: la spedizione italiana è invitata a una festa importante
con banchetto ma «Loria aveva ancora e sempre da impacchettar roba».288
Molto legati a quanto sarebbe avvenuto dopo pochi mesi in Italia appa-
iono vari aspetti concernenti le modalità di raccolta degli oggetti: acquisi-
re molto in poco tempo attraverso interazioni inevitabilmente asimmetriche
segnate da valorizzazione mercantile degli oggetti. Gli antropologi, bulimia
acquisitiva inclusa, prospettavano uno dei cardini del turismo di massa in
luoghi (soprattutto) esotici ?
La raccolta eritrea cresceva ogni giorno, «così ricca ed abbondante, che
siamo stati costretti a chiedere a Martini niente meno che un magazzino, per
depositarvela».289 E quanto «alla sua importanza, essa è certo grande; il va-
lore, anche commerciale, in Europa, sarebbe già di varie migliaia di lire».290
Che cento mercati fioriscano: «Ieri ci fu una festa e fiera di beneficenza
[...]; ci andammo anche noi, tanto più che vi dovevano esser messi in vendita
anche oggetti indigeni».291
La tenda si fa bottega: «una bottega però in cui i compratori stanno a
banco e i venditori affluiscono con la merce. […] Vedono che si paga piutto-
284 S. Ciruzzi et alii, “Missione Eritrea”, 1905-1906. Diario di Aldobrandino Mochi, in «AAE»,
286 Citato in S. Puccini, L’itala gente dalle molte vite, cit., p. 39.
287 S. Ciruzzi et alii, “Missione Eritrea”, cit., p. 28.
288 G. Dainelli, In Africa: (lettere dall’Eritrea), II, Bergamo, Istituto italiano d’arti grafiche,
1908, p. 179.
289 Ivi, p. 35.
290 Ibid.
291 Ibid.
sto benino e fanno a gara per arricchire il Museo di Firenze [...]. Chi avrebbe
detto che il Museo avrebbe trovato degli amici validissimi in questi poveri
diavoli!»292 che altre volte, tuttavia, sono rappresentati come astuti consa-
pevoli negoziatori: come quando Loria è in cerca di informazioni sul rama-
dan che un «furbo pretenzolo non lesina avendo subodorato un bascisc non
disprezzabile».293
Business is business, fino al raggiro e, almeno in un caso, al furto.
A uno shekh musulmano cui viene riconosciuto il titolo di Hajj, Naser, Loria rivolge
[...] un sacco di discorsi lusinghieri, gli diamo una manciatina di caffè e si finisce poi
per tirargli una stoccata. I nostri desideri sono modesti del resto. Vogliamo portargli
via solamente l’appoggiatesta su cui dorme, una tavoletta che gli serve da sedile, il
berretto di fibre vegetali intrecciate distintivo del suo grado e un legnetto che serve da
falsariga per scriver dritto. [...] Naser accondiscende di buon grado a regalarci tutto
quello che desideriamo, e noi a nostra volta gli facciamo dono di due talleri. Così il
mercato è concluso.294
Mochi si allea
con Marinelli e Dainelli per una curiosa impresa. In questa grotta [...] sono degli
scheletri e delle mummie di santi. [...] abbiamo pensato di rapire almeno una delle
venerate reliquie e per far ciò ci siamo messi a passeggiare chiacchierando per l’ac-
campamento e poi ad allontanarsi come per far due passi [...]. Ritrovatici a piè della
grotta, Giotto ed io abbiamo aiutato Marinelli a dar la scalata. Questi, entrato dentro
al rustico sacrario ha preso il cranio [...] poi è rapidamente disceso. Con prestezza e
indifferenza siam tornati al campo dove nessuno s’era accorto di niente. Io avevo il
prezioso cimelio sempre ravvolto nel mantello [...] finché, approfittando di un mo-
mento di solitudine sono riuscito a introdurlo nel mio baule che ho accuratamente
chiuso a chiave.295
292
S. Ciruzzi et alii, “Missione Eritrea, cit., p. 32.
293
Ivi, p. 98.
294 Ivi, p. 48.
295 Ivi, p. 119.
296 L’inaugurazione della nuova sede avvenne il 30 aprile 1932: cfr. S. Ciruzzi, Le Istituzioni
Scientifiche del Palazzo Nonfinito a Firenze (1869-1986), in «AAE», CXVI, 1986, pp. 257-270: 258.
Vedi anche E. Pacini, Dal territorio eritreo al Museo, cit., p. 43.
nessuno sforzo, senza nessuna insistenza ottenni da lui tutto quanto deside-
ravo: con il pronto intuito della persona colta e intellettuale comprese subito
il fine che mi proponevo, con la mirabile semplicità del gran signore consentì
senza discutere a tutte le mie richieste».297 Così Loria in un articolo che «Il
Marzocco» pubblicò il 2 agosto 1908 e che conviene confrontare con il back
stage ricostruibile attraverso le fonti epistolari.
Il 27 marzo 1906 Loria invia infatti a Bastogi un memoriale che cerca
di render concreto il suo sogno individuandone dimensioni, spazi, funzioni,
arredi. Tutto in termini approssimati perché, essendo ancora indeterminato
il ‘dove’,
non è possibile di fare uno studio accurato di una costruzione senza conoscere la
natura e le dimensioni del terreno in cui si deve fabbricare. È questo adunque un
progetto campato in aria; ma esso ti dà un’idea del fabbisogno del Museo […] Il
Fabbricato si divide in una parte di 3 piani lunga 28 m, larga 12 e alta 16 che si co-
struirebbe immediatamente, e un’altra a 2 piani lunga 27 m, larga 25 e alta 12 che si
costruirebbe successivamente in tre volte.298
Il costo totale previsto ammontava a 204.140 lire, tenendo conto che nel
prezzo di 15 lire al metro cubo «sono comprese le spese necessarie per cor-
redare il Fabbricato di riscaldamento a termosifone, luce elettrica, ascensore,
latrine, infissi in ferro e decorazione. Rimane da provvedere gli scaffali che
devono essere di ferro con vetri grandi».299
I sotterranei, inoltre, avrebbero dovuto essere «perfettamente asciutti e
tali da potere servire di abitazione» e «alti 3 m e luminati giacché il pian ter-
reno dovrebbe essere 1 m al di sopra del piano stradale».300
Per la gestione ? «Fintantoché il Museo resterà chiuso al pubblico, due im-
piegati (un custode e un inserviente) bastano per l’andamento del Museo»301
e per i costi il calcolo in lire è presto fatto: biblioteca 2000, inservienti 2400,
pubblicazioni 4000, collezioni 5000, cancelleria e attrezzi 1000, riscaldamen-
to e illuminazione 600. Infine:
Il patto che deve legare me con te dovrebbe avere valore dal 1 luglio p. v., ed un mese
dopo dovrebbero incominciare i lavori di scasso nel terreno per dar mano ai lavori di
muratura alla fine di Settembre e coprire il fabbricato in Agosto 1907. I lavori suc-
cessivi dovrebbero terminare in Agosto 1908. Il Museo non potrebbe adunque essere
occupato che il 1 Gennaio 1909302
297
L. Loria, L’Etnografia Italiana. Dal Museo all’Esposizione, cit., p. 2.
298
Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi del 27 marzo 1906, AS, B4, fasc 64, doc. 1.
299 Ibid.
300 Ibid.
301 Ibid.
302 Ibid.
303
Lettera di Giovan Angelo Bastogi a Lamberto Loria del 14 aprile 1906, AS, fasc 64, doc. 7.
304
N. Puccioni, Gli indiani di Buffalo Bill, in «AAE», XXXVI, 1906, pp. 85-88: 85.
gno anche perché Bastogi in realtà lo sostenne, sia pure in termini contenuti.
Il 14 luglio, in adunanza SIAE, «fa sapere che in collaborazione con il Prof.
Mochi pubblica un opuscolo per far propaganda del progetto di fondare un
Museo di Etnografia Italiana. Chiede che venga riprodotto nel nostro Archi-
vio. È già raccolto un primo nucleo di oggetti ed egli è in cerca di un loca-
le»,305 successivamente individuato in Borgo S. Jacopo 19, come si legge nel
frontespizio dell’opuscolo ancora in bozze il 5 settembre e dunque a due sole
settimane dall’inaugurazione indicata nel 20 dello stesso mese.
Anche qui occorre incrociare i documenti, leggendo quello a stampa alla
luce del suo parallelo epistolare: Mochi scrive infatti a Loria che «è stato poi
necessario datare l’opuscolo e ho scelto per data il 20 7mbre. Non ti pare che
la storica data vada bene per l’inizio di un Museo italiano ?».306 Una scelta
dunque esclusivamente formale quanto brillantemente ‘finzionale’. In quel
giorno in realtà non accadde niente e questo rende forse significative alcune
importanti incertezze su quale debba considerarsi l’effettivo anno di nascita
del Museo. Lo stesso Mochi fece riferimento al 1907 in due occasioni di par-
ticolare rilievo: nel 1909, per il cinquantenario della Société d’Anthropologie
de Paris,307 e nel 1914, commemorando Loria.308
Mochi inoltre neppure ricordava quale fosse il numero civico di Borgo
S. Jacopo corrispondente al Museo: «Fallo sapere tu al Bertieri»,309 lo stam-
patore dell’opuscolo, chiede a Loria. Una dimenticanza davvero prossima al
lapsus significante se si tiene conto di come questa sede non sia mai stata presa
in considerazione da chi appunto l’aveva non scelta ma di fatto patita quale
soluzione di compromesso: come «una oscura casa»310 la soffre Loria e «sede
provvisoria !» la definisce esclamativamente Mochi il 30 novembre manoscri-
vendo questa qualifica sulla carta intestata di cui si è dotato il Museo.
Borgo S. Jacopo 19 era certamente lontano da dovunque Loria avesse im-
maginato dovesse sorgere ex novo il Fabbricato luminoso proposto a Bastogi:
corrispondeva infatti a una casa torre medievale, stretta fra varie altre conso-
relle in una via decisamente angusta. Al momento non sappiamo perché Lo-
ria, una volta obbligato a rinunciare al sogno, abbia finito per scegliere questa
collocazione: se non causale non sarà stato però casuale che tra i partecipanti
al Congresso eritreo figurasse Arrigo Arrighi residente, come enunciato negli
Atti,311 a Firenze in Borgo S. Jacopo 19.
305 Adunanza del 14 luglio 1906, in «AAE», XXXVI, 1906, p. 281. Mantegazza, come già nel
1903 (vedi p. 163) rivendicava di aver avuto la stessa idea vent’anni prima proponendola a Bellucci
e a Pigorini che «non se ne curò».
306 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 5 settembre 1906, AS, fasc. 758, doc. 14.
307 A. Mochi, Les Institutions et les études anthropologiques en Italie. Histoire et état actuel, in
309 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 5 settembre 1906, cit.
310 Citato in G. Cocchiara, Storia del folklore in Italia, Palermo, Sellerio, 1981, p. 236.
311 Cfr. C. Rossetti (a cura di), Atti del Congresso Coloniale Italiano in Asmara (settembre-otto-
bre 1905), cit., p. vii. Arrigo Arrighi apparteneva ad antica famiglia fiorentina con proprietà immobi-
liari in Borgo S. Jacopo e nel territorio dell’attuale Comune di Scandicci dove una loro villa-fattoria
di impianto rinascimentale è ancora detta L’Arrigo: da lì proveniva il «vino vermouth» e l’aceto
presenti a Torino all’Esposizione Internazionale del 1911 (Catalogo generale ufficiale. Esposizione
internazionale delle industrie e del lavoro per il 50° anniversario della proclamazione del Regno d’Ita-
lia – 1911, Torino, Fratelli Pozzo, 1911, p. 405).
312 G. Spini, La società, in Id. – A. Casali, Firenze, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp. 175-224: 203.
313 L. Loria – A. Mochi, Museo di Etnografia Italiana in Firenze, cit., p. 20.
314 Ivi, p. 8.
315 Ivi, p. 15.
316 Cfr. V. Pratolini, Metello. Una storia italiana, Firenze, Vallecchi, 1955,
317 Interessante eccezione quella attestata da Dino Provenzal: cfr. E. V. Alliegro, Antropologia
della Giunta Comunale del 30 marzo 1906, CF 5058. Cfr., sul tema, A. Pellegrino, Operai intel-
lettuali. Lavoro, tecnologia e progresso all’Esposizione di Milano, 1906, Manduria, P. Lacaita, 2008 e
Id., Macchine come fate. Gli operai italiani alle esposizioni universali (1851-1911), Milano, Guerini
e Associati, 2011. Non si trattò della prima ‘missione’ di questo tipo. Cfr. Rapporti sulla spedizione
degli operaj toscani alla grande Esposizione di Londra, del socio ordinario Francesco Bonaini e del socio
corrispondente Angiolo Vegni, in «Atti dei Georgofili», (n.s.), 1853, 1, p. 157-188 e, più latamente,
L. Bigliazzi – L. Bigliazzi, I Georgofili per le Esposizioni nazionali e internazionali, cit.
319 Relazione di A. Menaldo, ASCFi, Comune di Firenze, Cerimonie, Festeggiamenti, Esposi-
zioni, CF 5050.
320 Relazione di F. Ciolini, ivi.
321 Relazione di A. Cinotti, ivi.
322 Ibid.
323 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 30 novembre 1906, AS, fasc. 758, doc. 17.
324 Ibid..
325 Cfr. p. 127.
326 Intervento in L. Loria, Il nuovo Museo di Etnografia Italiana, Adunanza del 16 dicembre,
Loria da Roma: «Ti ripeto che non annetto alcuna importanza a che i
buoni Fiorentini vedano o non vedano questa primavera della bella roba».332
E infine Mochi cerca di adeguarsi, implicitamente riconoscendo a Loria ruolo
preminente:
Io dicevo di fare presto a mettere in ghingheri il Museo e a mostrarlo a chi può inte-
ressarsene veramente, perché questo era, se la mia memoria non sbaglia, il piano di
guerra stabilito di comune intesa fra noi avanti la tua partenza, ed anzi, se ci ripensi,
il movente unico della tua gita costà.333
328 Lettera di Lamberto Loria a Aldobrandino Mochi dell’8 gennaio 1907, citata in S. Puccini,
330 Lettera di Lamberto Loria a Aldobrandino Mochi del 20 gennaio 1907, AS, fasc. 758, doc. 32.
331 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 22 gennaio 1907, AS, fasc. 758, doc. 33.
332 Lettera di Lamberto Loria a Aldobrandino Mochi del 27 gennaio 1907, AS, fasc. 758, doc. 56.
333 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 28 gennaio 1907, AS, fasc, 758, doc. 57.
334 Ibid.
335 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 28 gennaio 1907, AS, fasc. 758, doc. 57.
«sicuro di sbalordire»
336
Lettera di Lamberto Loria a Aldobrandino Mochi del 3 febbraio 1907, AS, fasc. 758, doc. 36.
337
Lettera di Lamberto Loria a Aldobrandino Mochi del 14 febbraio 1907, AS, fasc. 758, doc. 43.
338 Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi del 22 marzo 1907, AS, B4, fasc. 64,
doc. 25.
339
Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi del 4 maggio 1907, AS, B4, fasc. 64,
doc. 29.
340 Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi dell’8 maggio 1907, AS, B4, fasc. 64 ,
doc. 30. .
341 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 20 giugno 1907, AS, B2. fasc. 51, doc.
343 Avrebbe dovuto occuparsi degli «usi fiorentini» ma «ha dato segni di alienazione mentale,
quindi ho creduto inutile di scrivergli per il noto affare»: lettera di Lamberto Loria a Dino Provenzal
del 16 settembre 1910, fasc. 921, doc. 138.
«l’America avesse il quadro della vita fiorentina non dalla insulsa ed oramai
incompatibile maschera nostra ma in grazia d’una forma d’arte vera materiata
col profumo delle nostre donne e de’ nostri fiori».344 Era ormai l’alba del pri-
mo gennaio 1908 e il 29 esordiva L’acqua cheta: 44 sere di repliche e 47 mila
lire di incasso fu la risposta del pubblico ai tre atti ambientati nel quartiere di
S. Niccolò, con Ulisse fiaccheraio, Cecco falegname, Asdrubale cavalocchio.
Il 31 Loria scrive a Mochi imputandogli spese fuori controllo che lo ren-
dono «debitore del Museo di L. 595»345 e il 4 febbraio comunica a Bastogi
una buona nuova. Il deputato Rosadi346 ha voluto visitare il Museo e ne è rimasto
entusiasta. Ha più volte ripetuto che ci voleva la tua munificenza e la tua intelli-
genza per far nascere in Italia una istituzione della quale si sentiva la necessità da
tutti coloro che si interessano delle necessità intellettuali d’Italia. Aggiunse poi che
desiderava essere utile alla istituzione e poneva a completa disposizione tua e mia la
sua influenza e l’opera sua come deputato e come cittadino. Volle eziandio esprimere
la sua opinione sul Museo, sul come è diretto, sui criteri scientifici che lo animano,
sulla maniera con cui gli oggetti sono esposti, &c, &. … P. S. Ho altresì un favore a
chiederti. Voglio che tu venga al Museo, che tu lo veda e che tu esprima intorno ad
esso il tuo intelligente giudizio. Questo mi conforterà a continuare nella via percorsa
o a batterne una nuova.347
344 A. Novelli, Il teatro fiorentino di Stenterello e «L’acqua cheta», in «La Lettura», IX, 1909,
346 Giovanni Rosadi (1862-1925), lucchese laureato in legge a Pisa, fu protagonista nella na-
scente attenzione legislativa alla tutela dei beni culturali. Porta il suo nome l’innovativa legge del 20
giugno 1909 che estende all’ambiente naturale la protezione fino ad allora riservata ai monumenti
storico-artistici. Cfr. M. Ercolini, Il paesaggio (e la sua difesa) nella legislazione italiana dei primi del
Novecento: origini, principi, protagonisti, in G. Ferrara – G.G. Rizzo – M. Zoppi (a cura di), Paesag-
gi. Didattica, ricerche e progetti, Firenze, University Press, 2007, pp. 315-324: 318-321.
347 Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi del 4 febbraio 1908, AS, fasc. 64, doc. 33.
348 Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi del 18 febbraio 1908, AS, fasc. 64, doc. 35.
349 Ibid.
Il giorno dopo Loria a Martini: «In ricompensa dell’opera mia chiedo che
le collezioni che saranno comprate dal Comitato o ad esso regalate, vengano,
finita che sia l’Esposizione, ad essere di proprietà del Museo di etnografia
italiana di Firenze».354
Il 3 luglio Loria comunica a D’Ancona di aver avuto
350 Il Congresso della Società Italiana per il progresso delle Scienze si tenne a Firenze dal 18 al
352 Ibid.
353 Lettera di Lamberto Loria a Giovan Angelo Bastogi dell’8 marzo 1908, AS, fasc. 64, doc. 34.
354 Lettera di Lamberto Loria a Ferdinando Martini del 9 marzo 1908, AS, b. 9, cart. Comitato,
la conferma ufficiale che fra pochissimi giorni sarò ufficialmente incaricato di fare
l’Esposizione a Roma. Perciò il Museo cessa di vivere sotto gli auspici del Conte Ba-
stogi e miei: esso verrà donato alla Esposizione e incorporato poi al futuro grandioso
Museo di Etnografia che avrà sede a Firenze o a Roma.355
Nel 1909 il Museo di Firenze funziona a pieno regime come collettore della
grande rete di ricerca condotta nelle regioni italiane dai ricercatori individuati
e coordinati da Loria. Le ‘qualifiche’ che li connotano, puntualmente riportate
dal coordinatore, compongono un colorito panorama sociale: «amico, amo-
re (per), appassionato, avv., barone, baronessa, canonico, cap., cav., comm.,
conte, costruttori di macchine processionali, ditta, don, dott., duca e duches-
sa, ing., liberale e amante della patria, marchese, maresciallo, monsignor, n.
u., on., prof., reverendo, sindaco, vedova».357 Sul tema ha già largamente e
finemente lavorato Sandra Puccini e qui mi limito a considerare solo poche
questioni di carattere generale viste e vissute all’interno di un caso individuale:
quello del canonico Francesco Polese, di Livorno, testimone di problemi legati
al patrimonio culturale ancora oggi in attesa di soluzioni convincenti. Polese
venne arruolato nell’estate per svolger ricerche attorno a «religiosità popolare,
superstizione, pregiudizi».358 Al canonico però non bastava il rimborso spese:
io sento che lavorerei più volentieri, voglio dire con maggiore entusiasmo, se dal Co-
mitato Esecutivo mi fosse assegnato un onorario, che io non so determinare, ma che
accetterei quando esso rappresentasse un compenso equo della occupazione relativa
mentale (diciamo così), e del tempo impiegato.359
355
Lettera di Lamberto Loria ad Alessandro D’Ancona del 3 luglio 1908, AS, fasc. 21, doc. 5.
356
L. Loria, L’Etnografia Italiana. Dal Museo all’Esposizione, cit.
357 Id., Due parole di programma, cit., pp. 15-17, nota 1.
358 Lettera di Francesco Polese a Francesco Baldasseroni del 20 luglio 1909, AS, fasc. 899,
doc. 3.
359
Ibid.
360
Ibid.
361
Lettera di Lamberto Loria ad Alessandro D’Ancona del 3 luglio 1908, AS, fasc. 21, doc. 5.
362 Ibid.
363 Lettera di Francesco Baldasseroni a Francesco Polese del 29 settembre 1909, AS, fasc. 899,
doc. 24.
364
Ibid.
365
Lettera di Francesco Polese a Lamberto Loria del 18 settembre1909, AS, fasc. 899, doc. 19.
366 F. Polese, Notizia sul Carnevale di Livorno (Tipi Carnevaleschi), saggio dattiloscritto allega-
to a lettera di Id. a Francesco Baldasseroni del 14 ottobre 1909, AS, fasc. 899, doc. 33.
367 Ibid.
Inoltre: «Le cartoline delle macchiette costano lire cinque l’una. Le ri-
produzioni di alcune più antiche altrettanto. Manca il ‘Bersagliere’. Per farlo
‘posare’ ci vogliono dieci lire. A meno l’illustre soggetto non si degna».368
368
Lettera di Francesco Polese a Francesco Baldasseroni del 21 ottobre 1909, AS, fasc. 899,
doc. 36.
369
A. Mochi, Per l’etnografia italiana, in «AAE», XXXII, 1902, pp. 642-646: 644.
370
G.A. Bastogi, Una scritta colonica, Firenze, Tipografia di M. Ricci, 1903.
371 Ivi, p. 74.
372 G.A. Bastogi, Puntiglio, Firenze, Tip. di M. Ricci, 1907.
373 F. Paolieri, I’ ‘Pateracchio. Scene della campagna toscana in tre atti, Roma, Società libr. editr.
nazionale, 1910.
374 Ivi, p. 8.
375 D. Giuliotti, Ferdinando Paolieri e altra gente, in Id., Tizzi e fiamme, Firenze, Vallecchi,
1932, p. 100.
fuoco, ecc. Sul camino bollono una pentola e vari tegami. – A destra è una grande
tavola di quercia con una lunga panca e una fila di seggiole. – La tavola è capace di
una ventina di persone […] Utensili rustici sparsi a casaccio, un po’ da per tutto.376
376
F. Paolieri, I’ ‘Pateracchio’, cit., pp. 17 e 49.
377
Citato in T. Spinelli, Ferdinando Paolieri scrittore di teatro, in R. Albani – C. Vacca (a cura
di), Ferdinando Paolieri, Atti del convegno (Impruneta 1988), Bologna, Printer, 1991, pp: 93-110: 102.
378 Ivi, p, 101, nota 16.
379 G. Papini, La campagna, in «La Voce», 5 agosto 1909, p. 1.
380 Lettera circolare di Lamberto Loria del 25 febbraio 1910 indirizzata a Dino Provenzal, AS,
382 Lettera di Aldobrandino Mochi a Lamberto Loria del 27 ottobre 1910, AS, fasc. 759, doc. 78.
383 Lettera di Lamberto Loria a Aldobrandino Mochi del 5 dicembre 1910, AS, fasc. 758, doc. 89.
Ritratto italiano dalla fine del XVI secolo al 1861384 e, in maggio, l’Esposi-
zione Internazionale di Floricoltura. Commentava «Il Marzocco»: «Firenze,
poveretta, col suo Ritratto e coi suoi fiori, se la caverà col modesto decoro che
compete al suo picciol grado».385 In primavera era anche apparsa per le vie di
Firenze una «réclame fatta con grandi avvisi sulle facciate delle case, a caratte-
ri cubitali: “Venere Agreste poema in ottava rima di Ferdinando Paolieri”»386
che, il 3 febbraio, aveva visto l’insuccesso del suo Chiù, Dramma boscherec-
cio in 4 atti in vernacolo della montagna fra il Chianti e il Valdarno».387
Contadini inediti, perfino equestri, apparvero il 21 novembre, nel teatro
di Barga, nell’orazione di Pascoli a favore della guerra di Libia:
O cinquant’anni del miracolo! […] i contadini che Garibaldi non trovò mai nelle sue
file ... vedeteli! […] La rivoltella in pugno, gli occhi schizzanti fuoco, anelanti sui cavalli
sferzati e spronati a sangue, vengono ... i contadini italiani. […] Ora l’Italia, la grande
martire delle nazioni, dopo soli cinquant’anni ch’ella rivive, si è presentata al suo dove-
re di contribuire per la sua parte all’ umanamento e incivilimento dei popoli.388
L’Italia celebrava il suo primo mezzo secolo di unità sia con i padiglioni
etnografici della Mostra romana che con le tende militari piantate nella sabbia
dello scatolone libico.
384 Cfr. il catalogo: Mostra del ritratto italiano dalla fine del secolo XVI all’anno 1861, Firenze,
Spinelli, 1911.
385 Gaio, Un’Esposizione che è e che fa rimanere di stucco, in «Il Marzocco», 7 maggio 1911,
pp. 2-3: 2.
386 L. Ugolini, Ferdinando Paolieri, trent’anni dopo, in «Nuova Antologia», XI, 1959, 1907,
390 G. Pascoli, La Grande Proletaria si è mossa, cit., pp. 15-16.
391
N. Puccioni, Per un Museo che nacque in Firenze in «Il Marzocco», 20 aprile 1913.
392
Delibera del 14 marzo vidimata dal Prefetto il successivo 23.
393 Ibid.
394 Nonostante, tra l’altro, le «accese polemiche e i ripetuti tentativi» di Mochi: cfr. S. Ciruzzi,
396 Id., Due parole di programma, cit., p. 18.
397 Citato in P. Jedlowski, Memorie del futuro. Una ricognizione, in «Studi culturali», X, 2,
399 Ibid.
400 L. Loria, Due parole di programma, cit., p. 13.
401 Ibid. Marcella era figlia di Mario Michela, amico e compagno di viaggi di Loria. Cfr., tra
l’altro, P. Mantegazza et alii, Istruzioni etnologiche per il viaggio dalla Lapponia al Caucaso dei soci
L. e Michela, in «AAE», XIII, 1883, pp. 109-114.
402 Ibid.
403 Ibid.
404 Ivi, p. 21.
questione molto attuale, di cui farsi carico con grande pazienza etico-etnogra-
fica sapendo bene quanto poco valga anche qui la semplificazione ideologica:
e quanto invece complesso ma fascinosamente prospettico possa risultare il
muoversi in un quadro dove le collaborazioni possono convertirsi in concor-
renze, con annesse frictions. Per Marcus, «via via che il campo è diventato più
mobile e multi-situato, i soggetti si sono fatti più controparti che altri».405
Viene allora a cadenza anche l’endorsement di Loria per «un’opera di
divulgazione che, con purezza di lingua e piacevolezza di stile, narri som-
mariamente gli usi e i costumi delle nostre popolazioni» in un quadro che
«non deve essere soltanto accessibile agli eruditi, agli specialisti, agli etno-
grafi di professione: ma, almeno nelle sue linee più generali, esser veduto e
compreso da ogni colta persona».406 Oggi anche dalla ‘casalinga di Voghera’,
che non saprei quanto lontana da Gus, il lettore medio chiamato in causa da
Hannerz.407
‘Anticipo’ del complessificarsi degli scapes può apparire anche un effetto
collaterale del mito del Circello: «Al mio ritorno, fermandomi alla stazione di
Benevento, vidi un numeroso gruppo di persone che andavano a Napoli: e si
sarebbero imbarcati per le Americhe così vestiti dei loro caratteristici e diversi
abbigliamenti, questi nostri poveri fratelli che forse sarebbero caduti preda
della ingordigia che sfrutta anche oggi i nostri emigranti !».408
Ma in realtà, per l’etnografia, il presente di prima scelta era, e molto a
lungo ha continuato ad essere, quello caratterizzato dalle sopravvivenze del
passato: creava e crea ancora qualche disagio muoversi nel presente in corso
d’opera anche se ormai la questione si dimostra ampiamente discussa e in
buona misura praticata e legittimata. Anche in ambito museografico. Il ‘con-
temporaneo’, per Padiglione, «favorisce una prospettiva conoscitiva che, vol-
ta a rendere straniero il familiare e familiare lo straniero, accomuna etnografia
e museo, potenziandoli reciprocamente».409
Torna la centralità della condizione outsider che rende ineludibile la chia-
mata in causa di Agamben: «È davvero contemporaneo chi non coincide per-
fettamente col suo tempo né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo
senso, inattuale; ma, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo,
egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo».410
405 A. Paini – M. Aria (a cura di), Oltre «Writing Culture»: per un’etnografia del contempora-
neo. Intervista a George Marcus in occasione del venticinquesimo anniversario della pubblicazione, in
«Studi Culturali», IX, 1, 2012, pp. 77-93: 87.
406 L. Loria, Due parole di programma, cit., p. 24.
407 Cfr. F. Scarpelli, Sopravvivere in mondi inospitali, in «Lares», LXXVIII, 1-2, 2012,
studiare gli usi e costumi dei nostri emigrati, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1912.
409 V. Padiglione, Museografia del contemporaneo, in «AM-Antropologia Museale», VII, 19,
Riassunto – Summary
411
L. Loria, L’Etnografia strumento di politica interna e coloniale, in «Lares», I, 1912, pp. 73-79: 79.