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7 – Quaderni del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente –

Università Ca’ Foscari Venezia

LA CITTÀ

Realtà e valori simbolici

Contributi della Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche


Indirizzo in Storia antica e Archeologia

a cura di
ALBERTO ELLERO, FRANCO LUCIANI, ANNAPAOLA ZACCARIA RUGGIU

––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
S.A.R.G.O.N. Editrice e Libreria
Padova 2011
Il volume è stato pubblicato con il contributo del
Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente
Università Ca’ Foscari Venezia

© S.A.R.G.O.N. Editrice e Libreria


Via Induno 18b I-35134 Padova
SAR.GON@libero.it
I edizione Padova, Marzo 2011
Proprietà letteraria riservata

ISBN 978-88-95672-13-7

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HERDER Editrice e Libreria, Piazza Montecitorio 117-120, 00186 Roma
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Via S. Sofia 58
I-35100 Padova
Tel. 049-8752328
INDICE

ANNAPAOLA ZACCARIA RUGGIU


Presentazione ................................................................................................................p. I

SIGLE E ABBREVIAZIONI .............................................................................................. p. III

NICLA DE ZORZI
Rumori dalla città: la percezione culturale dei suoni nell’antica Mesopotamia .......... p. 1

FRANCESCA CREMA
La polis dei Feaci: epos e storia.................................................................................. p. 33

CINZIA RAMPAZZO
Un contesto etrusco arcaico dall’area urbana dell’antica Caere: l’edificio
a tre vani del santuario in località S. Antonio ............................................................ p. 51

FLAVIA MORANDINI
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma (Scarlino – GR) e Marsiliana d’Albegna
(Manciano – GR): modello “urbano” esportato in campagna o modello “extra-urbano”
radicato nella tradizione? ............................................................................................ p. 79

SILVIA PALAZZO
Le “città” in terra di ethne: riflessioni su realtà di Illiria e di Tracia ........................ p. 101

FRANCESCA MARUCCI
La città romana e i suoi loci celeberrimi. Contesti di comunicazione politica e valori
simbolici nell’Italia romana dalle fonti epigrafiche ................................................. p. 121

CHIARA MARATINI
I luoghi del commercio a Pompei ............................................................................. p. 159

LUANA TONIOLO
“...municipii sui uvam Pompeiani nomine appellant”: modelli di produzione e
distribuzione del vino vesuviano nel mercato cittadino e suburbano ....................... p. 191

CRISTINA MARTA ACQUA


Immagine imperiale e paesaggio urbano ad Antiochia sull’Oronte ......................... p. 219
PRESENTAZIONE

Annapaola Zaccaria Ruggiu

Dopo i primi due contributi del Dottorato in Storia Antica e Archeologia, Storia
dell’Arte della Scuola di Dottorato in Scienze Umanistiche, dal titolo “Temporalia,
Itinerari nel Tempo e sul Tempo” e “Alimentazione e Banchetto”, esce il terzo volume
sul tema della Città che raccoglie gli articoli dei Dottorandi e dei Dottorandi in cotutela
dell’indirizzo di antichistica.
All’interno di questo immenso tema generale ogni dottorando propone il suo punto di
visuale che contribuisce a chiarire, per centri abitati di differenti civiltà e periodi, aspetti
particolari che spaziano da quelli di tipo economico o politico, a quelli della vita
quotidiana o della percezione del vivere urbano. Non si intende certamente offrire un
quadro completo di tutte le questioni relative al concetto di città, alle realizzazioni
urbanistiche nelle diverse epoche e culture, − né questo era il fine degli incontri semina-
riali organizzati intorno a questo tema − ma solo lo sviluppo di alcune questioni legate
agli interessi di ciascun allievo, alle sue ricerche e alle problematiche che all’interno del
suo percorso formativo la Scuola ha contribuito a sviluppare.
Tutti questi lavori sono il prodotto di discussioni seminariali, di incontri specifici
sull’argomento “Città” che nel Dottorato abbiamo organizzato nel 2009-2010, con
specialisti non solo dell’area di antichistica ma anche di altri settori scientifici, e ai quali
ogni Dottorando ha partecipato portando il suo contributo.
A me sembra che dare spazio a interessi diversi, e contribuire a espandere e svilup-
pare curiosità, approfondimenti, desiderio di saperi nuovi, contatti e scambi con aree
differenti da quelle del proprio stretto ambito di ricerca possa essere considerato uno
degli apporti più significativi di un Dottorato e uno degli scopi a cui bisogna tendere e
quindi contribuire a realizzare. La continuità di una iniziativa come questa, e il
trasformare dibattiti e seminari in pubblicazioni scientifiche, rendere i dottorandi i
protagonisti di esperienze interdisciplinari, in un momento di cambiamenti così radicali
per l’Università, assume un significato più largo. Intende affermare infatti la volontà di
perseguire un obiettivo che, malgrado la strada ci appaia accidentata e la sua conclu-
sione ci sia ancora oscura, deve essere visto e vissuto da dottorandi e docenti come una
delle poche certezze e ricchezze che possediamo: rendere gli allievi più consapevoli
delle proprie capacità, più capaci essi stessi di recepire stimoli dall’esterno per
trasformarli in occasioni di arricchimento e di ricerca, immettendoli così nel circuito
della comunicazione scientifica.

Annapaola Zaccaria Ruggiu


Coordinatore del Dottorato in Storia Antica e Archeologia
Università Ca’ Foscari, Venezia
SIGLE E ABBREVIAZIONI*

AE L’Année Èpigraphique, Paris 1888-


AHw W. VON SODEN, Akkadisches Handwörterbuch, Wiesbaden 1959-1981
Antioch-on-the-Orontes Antioch-on-the-Orontes. Publications of the Committee for the Excavations of
Antioch and its vicinity, I-V, Princeton 1934-1972
I G. W. ELDERKIN (ed.), Antioch-on-the-Orontes I. The excavations of 1932,
Princeton 1934
II R. STILLWELL (ed.), Antioch-on-the-Orontes II. The excavations of 1933-
1936, Princeton 1938
III R. STILLWELL (ed.), Antioch-on-the-Orontes III. The excavations of 1937-
1939, Princeton 1941
V J. LASSUS, R. STILLWELL (edd.), Antioch-on-the-Orontes V. Les portiques
d’Antioche, Princeton 1972
BMC A Catalogue of the Greek Coins in the British Museum, 1873-1929
BMC Syria W. WROTH (ed.), Catalogue of the Greek Coins of Galatia, Cappadocia, and
Syria, London 1899
CAD The Assyrian Dictionary of the University of Chicago, Chicago 1956-
CIL Corpus Inscriptionum Latinarum, consilio et auctoritate Academiae
litterarum regiae Borussicae editum, Berolini 1863-
CLE F. BÜCHELER (cur.), Carmina Latina Epigrafica, Leipzig 1895-1926
IG Inscriptiones Graecae, consilio et auctoritate Academiae scientiarum rei
publicae democraticae Germanicae editae, Berolini-Novi Eboraci 1873-
IGBulg IV G. MIHAILOV (cur.), Inscriptiones graecae in Bulgaria repertae, IV,
Inscriptiones in territorio Serdicensi et in vallibus Strymonis Nestique
repertae, Sofia 1966
IGLS Inscriptions grecques et latines de la Syrie, Paris 1929-
IGRR R. CAGNAT – G. LAFAYE (cur.) Inscriptiones Graecae ad Res Romanas
pertinentes auctoritate et impensis Academiae inscriptionum et litterarum
humaniorum collectae et editae, I-IV, Paris 1906-1927
ILCV E. DIEHL (cur.), Inscriptiones latinae christianae veteres, I-III, Dublin–Zürich
19703; J. MOREAU – H. I. MARROU (curr.), IV, Supplementum, Dublin–Zürich
1967
ILS H. DESSAU, Inscriptiones Latinae Selectae, Berolini 1892-1916
InscrAq G. B. BRUSIN, Inscriptiones Aquileiae, Udine 1991
InscrIt Inscriptiones Italiae, Roma 1931-
KAR E. EBELING, Keilschrifttexte aus Assur religiösen Inhalts I-II, Leipzig 1919-
1923
MANN Museo Archeologico Nazionale di Napoli
MRR T, R. S. BROUGHTON, The Magistrates of the Roman Republic, I-III, Atlanta
1951-1986
PIR Prosopographia imperii Romani saec. I. II. III. Edita consilio et auctoritate
Academiae litterarum Borussicae, Berolini-Lipsiae 1897-1898
PLRE A. H. M. JONES – J. R. MARTINDALE – J. MORRIS (ed.), The Prosopography
of the Later Roman Empire, I-III, Cambridge 1971-1992
PPM I. BRAGANTINI – M. DE VOS – F. PARISE BADONI – V. SAMPAOLO (a cura di),
Pitture e Mosaici in Pompei, (Istituto dell’Enciclopedia Italiana “Treccani”),
I-IX, Roma 1990-1997

*
Le riviste citate all’interno dei contributi sono abbreviate secondo l’Archäologische Bibliographie.
Sigle e abbreviazioni

RE A. PAULY – G. WISSOWA – W. KROLL (Hrsgg.), Real-Encyclopädie der


klassischen Altertumswissenwschaft, Stuttgart 1893-1978
RPC I M. AMANDRY – A. BURNETT – P. P. RIPOLLÈS (edd.), Roman Provincial
Coinage, I, From the death of Caesar to the death of Vitellius (44 BC-AD 69),
London-Paris 1998
SupplIt Supplementa Italica. Nuova serie, Roma 1981-
Syll3 W. DITTENBERGER (cur.), Sylloge Inscriptionum Graecarum, I-IV, Leipzig
1915-19243
ThLL Thesaurus Linguae Latinae, Leipzig 1900-
TIR AA.VV., Tabula Imperii Romani K 34, Naissus, Dyrrachium, Scupi, Serdica,
Thessalonike, Ljubljana 1976
TUAT O. KAISER (Hrsg.), Texte aus der Umwelt des Alten Testaments. 18
Lieferungen in drei Bänden, Gütersloh 1982-1997
II, 5, 1 O. KAISER (Hrsg.), Texte aus der Umwelt des Alten Testaments, II, 5, Lieder
und Gebete, 1, Gütersloh 1989
III, 3, 1 O. KAISER (Hrsg.), Texte aus der Umwelt des Alten Testaments, III, 3, Mythen
und Epen, 1, Gütersloh 1993

IV
LE FATTORIE ARCAICHE DI PIAN D’ALMA (SCARLINO – GR)
E MARSILIANA D’ALBEGNA (MANCIANO – GR):
MODELLO “URBANO” ESPORTATO IN CAMPAGNA O
MODELLO “EXTRA-URBANO” RADICATO NELLA
TRADIZIONE?*

Flavia Morandini

L’organizzazione del paesaggio etrusco è connotata da una molteplicità di tipi di


insediamento, per ognuno dei quali è possibile individuare degli elementi distintivi sulla
base di criteri di natura topografica, geomorfologica e cronologica.
A questo risultato si è giunti attraverso studi in cui archeologia e topografia, inserite in
un contesto pluridisciplinare, hanno permesso di fare luce sui processi evolutivi della
città etrusca e sull’organizzazione del suo territorio1.

*
Desidero ringraziare il Prof. Adriano Maggiani, i cui preziosi consigli hanno costituito un supporto
fondamentale allo sviluppo di questo lavoro.
1
A partire dall’Ottocento, le opere di George Dennis (1843) e Luigi Canina (1846), rivolte in
particolare alle emergenze architettoniche, soprattutto quelle delle necropoli, si pongono sulla scia dei
resoconti settecenteschi del Grand Tour, che hanno avuto il merito, al di là di criteri poco scientifici,
di aver fatto conoscere a tutta l’Europa il paesaggio dell’Italia centrale. La seconda metà del XIX
secolo segna una svolta con il progetto grandioso della Carta Archeologica d’Italia, che prevede la
copertura “integrale” del territorio. A questa visione di tipo “panoramico” si affianca una letteratura
archeologica rivolta al particolare, che consiste in opere monografiche rimaste fondamentali: è
sufficiente ricordare le monografie di Ranuccio Bianchi Bandinelli su Chiusi (1925) e Sovana (1929).
Con la metà del Novecento, la ricerca topografica in Etruria assume un carattere più rigorosamente
scientifico, ad opera della scuola anglosassone, capeggiata da Ward Perkins, padre del “South Etruria
Survey”, un progetto che ha aperto la via alla topografia intesa in senso moderno, ponendo maggiore
attenzione al legame tra insediamento e territorio, attraverso una lettura diacronica del paesaggio, in
un contesto pluridisciplinare nel quale hanno importanza particolare le più avanzate tecniche di
rilevamento. Parallelamente il filone “italiano” che fa capo alla Carta Archeologica fa proprie alcune
di queste innovazioni, sfociando nella produzione di fascicoli della Forma Italiae, come quelli di
Vetulonia (C. B. Curri, 1978) e di Tuscania (S. Quilici Gigli, 1970), che hanno il pregio di conciliare
archeologia del paesaggio e ricerca di superficie, senza tralasciare la ricerca d’archivio. Un ulteriore
passo in avanti è stato compiuto negli anni Ottanta dal “Tuscania Project” che, raccogliendo l’eredità
di Ward Perkins e delle sperimentazioni condotte dalla Scuola Britannica di Roma sul suolo ellenico,
si è mosso sul duplice binario della ricerca estensiva e dell’indagine settoriale, attraverso
l’applicazione di tecniche elettromagnetiche a ciascun singolo sito. Un importante contributo legato a
questi studi è il volume di Marco Rendeli (1993), nel quale vengono sintetizzate le strategie e i metodi
più innovativi di ricerca, che si estendono all’utilizzo di modelli matematici (“poligoni di Thiessen”,
Flavia Morandini

Tali problematiche sono state affrontate, con successo, anche dal punto di vista
lessicale, permettendo di associare termini precisi non solo a realtà testimoniate
dall’archeologia, ma anche a concetti di valenza socio-istituzionale con implicazioni di
tipo spaziale, come nel caso di cilth, spura, rasna, methlum, tuthina, thuch.
“...Cosa intendiamo per città? La città materializzata nelle sue strutture fisicamente
visibili o la città in quanto istituzione e soggetto politico? La città delle case e dei templi
o la città dei cittadini?...”2. Con queste parole Giovanni Colonna sintetizza bene la
complessa questione della formazione della città etrusca, per la quale propone un mo-
dello di riferimento scandito in tre momenti successivi3.
Il primo, quello definito “pre-urbano”, rispecchiato sul piano culturale dall’orizzonte
protovillanoviano, è rappresentato dalla coppia terminologica cilth-rasna4.
L’abitato tipico di questa fase cronologica occupa generalmente un’altura, natural-
mente difesa, identificabile con un cilth, abitato da un rasna, una comunità che si
riconosce nel gruppo che esercita la funzione militare.
Con l’inizio dell’età del Ferro si verifica in Etruria un cambio radicale: la
popolazione abbandona quasi del tutto le sedi del periodo precedente per stanziarsi in
gruppi di varie centinaia di individui nelle zone attorno ai pianori che in età storica
costituiranno le grandi metropoli etrusche.
Nel IX secolo a.C. il territorio appare quindi diviso in grandi comprensori facenti
capo a gruppi di villaggi molto ravvicinati tra loro, radunati attorno ad un cilth. Tale
stadio, che ha portato a definire questo processo come “primo sinecismo”, costituisce il
momento proto-urbano, ben testimoniato a Tarquinia e a Veio. È proprio in questo
orizzonte, infatti, che si verifica un secondo processo sinecistico, che vede la progres-
siva concentrazione e la successiva unione dei villaggi in un unico nucleo abitativo, che
può essere definito spura, termine che designa una sorta di “organismo federativo,
intermedio tra il villaggio e la nazione”5.
Da qui in poi si può parlare di momento urbano, che tuttavia non risponde a processi
né lineari né contemporanei, ma a tappe formative che si concludono in epoca storica
avanzata, riflettendo l’andamento dei conflitti interni ad ogni comunità e dettati dalla
topografia del luogo. Il fenomeno riguarda la formazione dell’urbs, cioè del methlum

“rank-size analysis”, “Xtent”) (RENDELI 1993, 98-114). Per una panoramica sulla storia degli studi
cfr. Marco Rendeli (RENDELI 1993, 17-58) e il recente lavoro di Maria Bonghi Jovino (BONGHI
JOVINO 2005, 27-58), con bibliografia aggiornata.
2
COLONNA 2005, 1871.
3
COLONNA 2005, 1871-1890. L’analisi di Giovanni Colonna appare molto schematica e legata
all’esplicitazione dei termini sopra indicati. Il problema della formazione urbana in Etruria è molto
complesso e diversificato da città a città, soprattutto per il periodo che giunge sino alla metà dell’VIII
secolo a.C., quando le comunità tirreniche sembrano adottare strategie consimili di sfruttamento del
territorio (BONGHI JOVINO 2005, 30-45). Sull’inizio del processo di definizione della “città” in Etruria
si segnalano inoltre i contributi di Renato Peroni (da ultimo PERONI 2000), Marco Pacciarelli
(PACCIARELLI 2000), Iefke Van Kampen (VAN KAMPEN 2003) e Gilda Bartoloni (BARTOLONI 2006,
49-60 con bibliografia precedente).
4
COLONNA 2005, 1884-1885.
5
COLONNA 2005, 1887.

80
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

definito da un pomerium, che, in seno allo spura, si distingue dal resto del territorio,
costellato da tuthina, le comunità rurali.
Infine, la sequenza dedicata al lessico dell’“abitare” è stata arricchita grazie allo
studio della Tabula Cortonensis da parte di Adriano Maggiani, che ha proposto di iden-
tificare nel termine thuch il significato di “casa, dimora, palazzo”6.
Anche l’analisi delle fonti latine ha permesso di delineare un quadro di natura dia-
topica, che, sulla base di un uso consapevole dei termini urbs, oppidum, castellum e
vicus, attesta l’esistenza in Etruria di una gerarchia di insediamenti, che trova riscontro
anche sul piano archeologico7.
E così Livio definisce urbes Veio, Volsinii, Perugia, Chiusi e Arezzo, che preve-
devano un’estensione compresa tra gli 80 e i 190 ha, mentre Roselle, con un’area di 24
ha, e Troilum sono chiamate oppida8. Entrambi i termini designano una realtà con fun-
zione di centro di riferimento per il territorio circostante, i cui confini sono protetti da
castella, ossia da insediamenti fortificati posti a difesa dell’area di pertinenza dell’urbs,
come testimoniato dall’Ager Volsiniensis9. In opposizione ai castella vi sono i vici,
villaggi sprovvisti di strutture difensive, di piccole dimensioni, localizzati nelle vici-
nanze di insediamenti di maggiore estensione o dislocati in aperta campagna10.
L’assetto della campagna etrusca di età arcaica appare dunque come il risultato di un
processo che affonda le proprie radici nell’età orientalizzante, quando il territorio
etrusco sembra costellato da insediamenti fortificati di media grandezza (10-30 ha),
controllati da potentati locali inseriti in un sistema di alleanze11.
La situazione è meglio rappresentata dall’Etruria del sud, dove si registra il conso-
lidamento di una fitta rete di insediamenti satelliti dipendenti da un centro principale,
atti allo sfruttamento delle risorse del territorio12.
Un caso esemplare è quello di Cerveteri, che si dota di una corona di abitati minori
dislocati lungo la costa (Alsium, Pyrgi, Santa Marinella), sulla valle del Mignone (Tol-
fa, La Scaglia, Rota), ai confini con Tarquinia e nell’area di frontiera orientale (Blera, S.
Giuliano, Tragliatella)13.
In età arcaica si assiste alla conclusione del processo di urbanizzazione, che dona alle
città una veste istituzionale e monumentale. Attorno ad esse si sviluppa una capillare
rete di piccoli insediamenti legati al centro di riferimento con modalità più complesse
rispetto al periodo precedente: in un rapporto di diretta emanazione dal centro urbano
(bounded hierarchical system) oppure inseriti in un sistema di gerarchizzazione
(dendric central place), come ha ben mostrato lo studio dell’agro vulcente14.
La crisi delle istituzioni gentilizie vede l’assunzione di una mentalità improntata sul
concetto di isonomia, che si concretizza in un nuovo modo di organizzare gli spazi, sia
6
MAGGIANI 2001, 103-104.
7
BECKER 2008, 73-80.
8
BECKER 2008, 75.
9
BECKER 2008, 75-76.
10
BECKER 2008, 76.
11
CIFANI 2002, 247-248.
12
BONGHI JOVINO 2005, 45-53.
13
RENDELI 1993, 283-367; BONGHI JOVINO 2005, 46, 49-50; ZIFFERERO 2005, 257-272.
14
RENDELI 1993, 157-220.

81
Flavia Morandini

nei centri abitati di nuova fondazione, come Marzabotto, Spina e Capua, sia nelle aree
funerarie, di cui le necropoli ceretane e volsiniesi costituiscono esempi eloquenti15.
Ne consegue che anche il paesaggio rurale subisce radicali trasformazioni, basate sul
perfezionamento dei sistemi produttivi, supportati anche da nuove tecniche idriche
mutuate dall’ambito cittadino16.
Questa organizzazione territoriale si caratterizza per alcuni elementi costanti, quali la
localizzazione in aree ad alto potenziale agricolo, sprovviste di strumenti di difesa, sia
naturali che artificiali, e poste in prossimità di snodi viari e di piccole necropoli, una
superficie dei nuclei abitativi compresa tra 0,25 e 0,5 ha, la presenza di ceramica adibita
alla conservazione ed alla cottura dei cibi, la costruzione di edifici stabili con materiali
duraturi (mura in pietra e tegole)17.
La fattoria, definita come “singola unità abitativa e produttiva”18, assurge così a
cellula del nuovo assetto del paesaggio rurale, che si caratterizza per differenti tipologie
di contesti, distinti sulla base del tipo architettonico, secondo la classificazione proposta
da Gabriele Cifani, che analizza i contesti di Roma e del Latium Vetus di età arcaica19.
Ad edifici realizzati principalmente con materiale deperibile, composti da uno o due
vani estesi su una superficie di 20-50 mq, documentati ad esempio in località Torrino
(fase I), in agro romano20, si affiancano alzati con muratura in pietrame e copertura in
tegole, caratterizzati da più spazi contigui, da 3 a 5, che coprono una superficie com-
presa tra i 120 e i 300 mq, rappresentati dalle testimonianze di Acqua Acetosa Laurenti-
na (Fig. 1, nr. 2), dalla fase II di Torrino (Fig. 1, nr. 3) e dalla fattoria dell’Auditorium
(Fig. 1, nr. 4; Fig. 4), sulla quale si tornerà in seguito21. Una terza tipologia è costituita
da edifici dalla planimetria più complessa, articolata in una corte centrale, con vani di-
sposti almeno su tre ali, che occupano una superficie complessiva che va dai 600 ai
1500 mq; in questo gruppo rientra la prima villa dell’Auditorium (Fig. 1, nr. 5; Fig. 5),
anch’essa di prossima trattazione22 .
Se fino a pochi anni fa l’Etruria offriva per l’età arcaica esempi relativi alle prime
due tipologie, di cui il caso più significativo appare la fattoria scavata presso il podere
Tartuchino, nell’alta valle dell’Albegna, in particolare per la prima fase, databile verso
la fine del VI - inizio del V secolo a.C. e rappresentata da un edificio rettangolare di
circa 100 mq con un lato lungo porticato23 (Fig. 1, nr. 1; Fig. 2), due scoperte recenti
offrono nuovi interessanti spunti di lettura.

15
CRISTOFANI 1985, 77-78.
16
CIFANI 2002, 255.
17
CIFANI 2002, 249.
18
PAOLUCCI 2009, 39.
19
CIFANI 2002, 254; CIFANI 2008, 278-279.
20
BEDINI 1984, 84-90; CIFANI 2008, 205-206, 278.
21
CIFANI 2008, 278-279; in particolare per Acqua Acetosa Laurentina cfr. 199-202, per Torrino cfr.
205-206; per la fattoria dell’Auditorium cfr. CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006; CIFANI
2008, 189-192.
22
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006; CIFANI 2008, 189-192, 279.
23
ATTOLINI – PERKINS 1992, 71-134; PERKINS 2007, 185-190.

82
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

La prima testimonianza è costituita dalla fattoria di Poggio Tondo, a Pian d’Alma,


nel territorio di Scarlino, pertinente al comprensorio vetuloniese24 (Fig. 3). Questo
insediamento si associa alla presenza di altri piccoli insediamenti nella valle dell’Alma
e ad un nucleo di tombe a tumulo, che restituiscono un quadro popolato da una fitta rete
di abitati, posizionati nei pressi delle principali vie di comunicazione viarie, idriche e
litoranee25.
Scavato tra gli anni 1995 e 2000, l’edificio, esteso su una superficie di 200 mq, si
caratterizza per una pianta rettangolare, formata da uno spazio centrale, al quale si
accede dal lato orientale. Le strutture, prive di fondazioni, sono impostate direttamente
su uno zoccolo in arenaria, dal quale si eleva un’ossatura lignea rinforzata con argilla,
scaglie di arenaria e paglia. Il ritrovamento di laterizi con evidenti tracce di com-
bustione nell’ala ovest ha fatto ipotizzare la possibilità che una parte dell’alzato fosse
costruito in mattoni e che l’edificio sia stato distrutto da un incendio, sviluppatosi con
ogni probabilità a partire dalla zona occidentale. Gli ambienti erano coperti da tavole
lignee, ad eccezione del vano A, che, sulla base del ritrovamento di tegole e coppi, do-
veva avere un pesante tetto sostenuto da elementi di rinforzo quali pali di legno e
pilastri in pietra. La pavimentazione, costituita in tutto il complesso da argilla pressata
con scaglie di arenaria, si differenzia nel lato ovest dell’ambiente A, dove sono stese
lastre in arenaria, delimitate da un basso muretto di 30 cm, sotto il quale scorre una
canaletta che sfocia all’esterno dell’edificio26. L’indagine delle strutture e lo studio dei
materiali ha consentito agli scavatori di attribuire specifiche funzioni alla maggior parte
degli ambienti.
In sintesi, il vano A, coperto da tetto in tegole a uno spiovente, occupa il lato nord-
occidentale dell’edificio e si sviluppa in tre spazi contigui, interpretati come area
residenziale e di rappresentanza. In particolare, quello destro, sulla base del ritro-
vamento di resti di vasellame da mensa e di oggetti fittili adibiti alla filatura ed alla
tessitura, è stato considerato un vano di pertinenza femminile, mentre quello sinistro,
per la presenza del lastricato in arenaria e della canaletta, doveva ospitare un sistema
atto alla spremitura per la produzione di olio e vino. Proseguendo in senso orario,
l’ambiente contrassegnato con la lettera D, di grandi dimensioni, svolgeva la funzione
di magazzino, dati i grandi contenitori rinvenuti al di sotto del crollo, e di trasfor-
mazione di prodotti, come testimoniano il bacino e le macine ivi ritrovati. Per il vano E,
molto piccolo e posizionato all’ingresso della corte e in stretta connessione con l’am-
biente D, è stata proposta la funzione di deposito degli attrezzi. In corrispondenza di
questo vano, all’esterno del perimetro, si apre una sorta di annesso.
Oltre l’ingresso, nell’angolo sud-orientale si trova il vano G, piccolo e lacunoso,
forse con funzioni di ambito maschile, mentre maggiore importanza è stata attribuita
all’ambiente B, direttamente connesso allo spazio cortilizio. Il rinvenimento di un’an-

24
PARIBENI 2001, 104-139; PARIBENI 2009, 667-672.
25
PARIBENI 2001, 128-130.
26
Per maggiori informazioni sulla tecnica costruttiva cfr. PARIBENI 2001, 106-113; PARIBENI 2009, 898-
899.

83
Flavia Morandini

fora vinaria all’interno della stanza, significativamente a pianta rettangolare, ha fatto


pensare ad un ambiente di rappresentanza dedito ad attività simposiali27.
Il quadro complessivo che ne emerge è quello di un edificio di carattere agricolo,
diviso tra spazi adibiti a funzioni residenziali, testimoniati da oggetti pertinenti alle
attività di filatura e tessitura e da vasellame da cucina, mensa e dispensa, ed aree di
carattere produttivo, documentate dal sistema di spremitura della parte sinistra del vano
A e dai rinvenimenti dell’ambiente D, cui è doveroso aggiungere numerosi strumenti in
pietra e un peso in piombo28.
Il modello planimetrico offre interessanti elementi di novità per l’età tardo arcaica, a
partire dallo spazio cortilizio29, con parte centrale scoperta e portico a falde inclinate,
convergenti verso la vasca al centro, funzionale alla raccolta delle acque piovane, solu-
zione comune alla cosiddetta “Casa dell’Impluvium” di Roselle30. Quest’ultima, tutta-

27
PARIBENI 2001, 114-125.
28
PARIBENI 2001, 127. Il piombo è stato oggetto di studio da parte di Adriano Maggiani, che ne ha
messo a fuoco i problemi, in particolare per quanto riguarda la riduzione di peso dell’oggetto,
inserendolo all’interno della sequenza ponderale della libbra etrusca (MAGGIANI 2002, 163-199, in
particolare 169-170, 173; con aggiornamenti in MAGGIANI 2007, 135-147).
29
In Etruria il nesso casa-cortile è testimoniato solo a partire dall’Orientalizzante Medio dalle case
dell’acropoli di S. Giovenale. Si tratta di due case (I e III), composte ciascuna da due vani assiali, di
cui uno funge da vestibolo, affacciati su uno spazio comune, fornito di pozzo (ZACCARIA RUGGIU
2003, 198-202). Nello stesso periodo a Roselle vengono costruite piccole abitazioni a due vani
affiancati, modello che si affermerà definitivamente nell’Orientalizzante Recente, come dimostrano le
case di Acquarossa, la “casa di legno” di Veio e le abitazioni di Massa Marittima, sul lago dell’Accesa
(COLONNA 1986, 399-401). Si segnalano inoltre le strutture, rese note recentemente, rinvenute a
Poggio Civitella, a sud di Montalcino, dove, ad una prima fase costituita da un edificio rettangolare a
sviluppo longitudinale, da collocarsi entro la prima metà del VI secolo a.C., succede la costruzione di
ben cinque edifici, ascrivibili alla seconda metà del secolo. Nello specifico, la casa 1 e la casa 3 si
articolano in un ambiente sub-rettangolare, al quale si accede tramite piccolo vestibolo disposto sul
lato corto, ricordando la soluzione adottata per il complesso V nel Quartiere B dell’Accesa (DONATI –
CAPPUCCINI 2007, 31-51, in particolare 34-42). I prototipi di questa tipologia edilizia vanno ricercati
in ambiente greco a Thorikos, dove l’agglutinamento di due, forse tre, vani affacciati su di un
corridoio, implica un’organizzazione piuttosto razionale degli ambienti e un tentativo di
specializzarne la funzione (PESANDO 1989, 46; ZACCARIA RUGGIU 2003, 157), ma anche a Zagora,
Oropos, Eleusi, Dreros e Megara Hyblaea (PESANDO 1989, 46-51; MAZARAKIS AINIAN 2001, 153).
30
PARIBENI 2009, 668. Per la “Casa dell’Impluvium” di Roselle cfr. DONATI 1994. La casa di Roselle è
considerata una tappa fondamentale nello sviluppo della casa ad atrio (ZACCARIA RUGGIU 2003, in
particolare per Roselle cfr. 202-208). Oltre agli ormai noti esempi di Regae e Marzabotto, nel 2005 è
stato edito il complesso di Gonfienti (Prato), che presenta un edificio della seconda metà del VI -
inizio del V secolo a.C., anch’esso riconducibile al modello della casa ad atrio (POGGESI et alii 2005,
270-273; CIFANI 2008, 275-276). Questo tipo di architettura privata si diffonde anche a Roma, dove le
case costruite sulle pendici del Palatino testimoniano l’esigenza di nuove soluzioni planimetriche. La
casa ad atrio costituirebbe, secondo i recenti ritrovamenti dell’équipe coordinata da Andrea Carandini,
il modello per la domus Regia dei Tarquini, che lo studioso sostiene di aver identificato nel lotto regio,
accanto alla domus Regis Sacrorum (CARANDINI 2004, 60-62; CAPANNA – AMOROSO 2006, 88-111;
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 587). Inoltre, l’osservazione di un frammento della
Forma Urbis avrebbe permesso, allo stesso studioso, di avanzare ipotesi riguardo l’identificazione
della casa serviana. Inglobato all’interno della residenza del prefetto del pretorio, l’edificio, confinante
con le terme di Traiano e il muro settentrionale della Domus Aurea, costituirebbe un “fossile urbano”,
in quanto rispettato dalle costruzioni successive, e mostrerebbe un atrio tuscanico (CARANDINI –

84
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

via, mostra un ingresso decentrato rispetto al cortile, mentre a Pian d’Alma esso è in
asse con l’ala destinata allo spazio residenziale e, in particolare, con quella tripartita,
così come si osserva nei palazzi di Murlo e Acquarossa, secondo una soluzione ben nota
per l’Etruria, diffusasi a partire dall’Orientalizzante Recente31.
Inoltre, la disposizione degli ambienti attorno ad un cortile, oltre alle residenze extra-
urbane aristocratiche di Murlo ed Acquarossa appena citate, richiama la fattoria
dell’Auditorium, della seconda metà del VI secolo a.C., che presenta una struttura a
corte centrale, estesa su un’area complessiva di circa 330 mq, circondata da ambienti sui
tre lati ad eccezione di quello occidentale (Fig. 4). L’edificio, orientato a nord-est,
prevedeva un ingresso sul lato sud-occidentale, attraverso cui si accedeva al cortile, sul
quale si affacciava una serie di ambienti. Il lato sud-orientale ospitava due vani interpre-

MINARDI 2007, 17-52). La casa ad atrio dei Tarquini avrebbe pertanto ispirato le successive case
aristocratiche sorte sul Palatino (ZACCARIA RUGGIU 2003, 327-334). Sull’articolazione spaziale della
casa etrusca si vedano i fondamentali lavori di sintesi di Giovanni Colonna, che ha il merito di aver
individuato la stretta connessione tra architettura domestica e architettura funeraria (COLONNA 1986,
371-529; COLONNA 1994, 554-565), il volume Case e palazzi d’Etruria (STOPPONI 1985) e i
contributi di Luigi Donati (DONATI 1994; DONATI 2000, 313-333), di Mario Torelli (TORELLI 2000,
67-78, con bibliografia precedente), di Paolo Carafa (CARAFA 1995, 266-274), i più recenti studi di
Annapaola Zaccaria Ruggiu, sull’evoluzione dello spazio abitativo, in relazione alla forma socio-
istituzionale del banchetto (ZACCARIA RUGGIU 2003), e di Gabriele Cifani, sull’architettura di Roma
arcaica (CIFANI 2008, 264-287). Si segnalano inoltre numerosi articoli, alcuni di carattere generale
(cfr. ad es. V. Izzet e A. Naso), altri incentrati su specifici insediamenti (cfr. ad es. E. Rystedt, L.
Karlsson, P. Hellström, L. Flusche, D. J. Waarsenburg, E. Jarva, A. M. Bietti Sestieri – A. De Santis,
B. Blomé), contenuti negli Atti del Convegno Internazionale From Huts to Houses 2001.
31
Le case di Acquarossa offrono in tal senso un prezioso contributo documentario: case del tipo a pianta
allungata a tre vani contigui, con quello mediano che funge da vestibolo agli altri due o con tutti e tre
gli ambienti che si aprono su un corridoio antistante (case A e B della zona G), considerate come i
precedenti delle future case a pastas di Olinto. Questa disposizione spaziale viene ben presto imitata
dall’architettura funeraria, come dimostrano la tomba ceretana dei Capitelli, degli Scudi e delle Sedie,
della Cornice, Giuseppe Moretti, seguite dalla Tomba II della Cornice, delle Tre Celle e della Ripa
(Tipo D del Prayon, vd. PRAYON 1975). Lo sviluppo massimo dei due sottotipi si ha in età arcaica,
dove si gettano le basi per l’evoluzione della casa con atrio tuscanico. Il secondo palazzo di Murlo
(580 a.C.) costituisce una prima tappa fondamentale. La pianta quadrata, che prevede strutture
porticate su un cortile centrale, si ispira a modelli orientali quali il palazzo cipriota di Vouni e il bit-
hilani del palazzo di Larissa sull’Hermos. La tripartizione degli ambienti sull’unico lato non porticato,
costituiti da un’esedra aperta su due vani laterali, sottolinea lo spazio di rappresentanza, sul tipo del
liwan persiano. Un ventennio più tardi la struttura tripartita di Acquarossa occupa un ampio vano
rettangolare, il cui accesso è enfatizzato da una colonna, che immette in due laterali più piccoli. Una
testimonianza eccezionale è costituita dalla tomba rupestre di Pian di Mola a Tuscania, che consta di
tre vani con porticato antistante, sotto una copertura a due falde con columen adorno di acroteri e una
terrazza, cui si accede mediante una scalinata laterale sorretta da un colonnato. A Cerveteri non si
possono non ricordare le tombe II della Cornice e quella della Nave, nonchè le tombe della Ripa e del
Tablino; il nome attribuito a quest’ultima è eloquente circa l’innovazione nella disposizione spaziale,
con il vano di fondo arretrato nella parte centrale a costituire un vero e proprio tablino. La tipologia è
documentata anche a Roma, nella coeva fase della Regia di Brown, che presenta tre vani porticati,
come nella successiva Casa della Sacra Via, e, secondo recenti scoperte, anche la fase 2.3 della Domus
Regia, cronologicamente ascrivibile alla seconda metà dell’VIII secolo a.C. (FILIPPI 2004b, 112). Cfr.
n. 36 per maggiori precisazioni sull’edificio. Per la bibliografia di riferimento si rimanda alle opere di
sintesi citate in n. 30.

85
Flavia Morandini

tati come spazi adibiti a magazzino, mentre il lato in corrispondenza dell’entrata è


suddiviso in quattro ambienti, di cui i due principali dovevano contenere un forno e un
bacino con accanto il focolare. A funzioni residenziali sono invece stati attribuiti i tre
vani che si sviluppano lungo il lato nord-occidentale, per il ritrovamento di un peso da
telaio, di oggetti votivi e di ceramica pregiata32.
La probabile presenza di un piccolo impianto atto alla spremitura rende accostabile la
fattoria etrusca alla prima villa dell’Auditorium, innalzata sulla precedente fattoria,
distrutta alla fine del VI secolo a.C.33 (Fig. 5). Si tratta ora di un nuovo proprietario,
certamente aristocratico, vista la presenza, a sud dell’abitato signorile, di un quartiere
riservato a subordinati, che sorge sopra la precedente costruzione, appartenuta ad un
piccolo colono34.
Il nuovo edificio occupa una superficie complessiva di 600 mq e si articola in
ambienti disposti a formare due quartieri distinti, organizzati attorno ad una grande
corte e ad un cortile a sud. Sulla base della maggiore regolarità nella disposizione
spaziale, il settore settentrionale è stato identificato come area adibita a funzioni resi-
denziali, mentre quello meridionale come pars rustica. L’ingresso è posizionato al
centro del lato occidentale dell’edificio, attraverso il quale si accede alla corte
settentrionale, che doveva misurare circa 120 mq. Di grande rilevanza è il lato
settentrionale, suddiviso in tre ambienti, di cui quello centrale, di forma rettangolare,
ricorda le sale di rappresentanza presenti negli edifici A e C di Acquarossa, entrambe
precedute da portici. Il carattere di rilievo dell’ambiente è altresì sottolineato da un
pavimento in tegole che costituisce una sorta di “tappeto” al suo ingresso, distin-
guendosi da tutti i piani circostanti in terra battuta35, riconducibile alla soluzione adot-
tata per il pavimento in scaglie di tufo della fase 2.3 della Domus regia, datata alla fine
dell’VIII secolo a.C. (Fig. 6)36 .

32
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 86-98.
33
PARIBENI 2009, 670-671.
34
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 574 ss.
35
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 142.
36
Si tratta della cosiddetta Domus Regia, successivamente denominata Domus Regis Sacrorum (PAPI
1995, 169-170), localizzata all’interno del lotto regio pertinente al santuario di Vesta (FILIPPI 2004a,
89-100), indagata a partire dal 2001 dall’equipe di Andrea Carandini. Nota come Domus Publica in
età tardorepubblicana-protoimperiale, l’esistenza di una fase più antica era stata finora solamente
ipotizzata. Lo scavo stratigrafico ha finalmente reso possibile la documentazione di una sequenza di
dodici fasi, che copre un arco cronologico che si estende dalla metà circa dell’VIII secolo a.C. sino
all’età giulio-claudia. La sequenza attesta senza soluzione di continuità uno sviluppo che da una
struttura a vano unico si articola progressivamente in spazi molteplici. La seconda fase,
corrispondente alla seconda metà dell’VIII secolo a.C., documenta, secondo le ricostruzioni date dagli
scavatori, un edificio aperto su una corte centrale, che ricorda le più tarde regiae etrusco-laziali, anche
se sarà con la fase 4, ascrivibile cronologicamente alla successione di Tarquinio Prisco ad Anco
Marcio, che si assisterà alla definitiva concretizzazione della tipologia palaziale, con la corte
circondata sui quattro lati (FILIPPI 2004b, 101-121; FILIPPI 2005, 199-203). L’edificio identificato con
la domus regia rappresenterebbe l’esempio più antico della tipologia abitativa palaziale finora
rinvenuto, che costituisce l’ispirazione, secondo Andrea Carandini, anche per la Regia di Brown
(CIFANI 2008, 126-130, con bibliografia precedente) e la Casa delle Vestali. Per ciò che concerne
quest’ultima, studi recenti hanno permesso di individuare la successione di almeno tre strutture, di cui
non è possibile al momento ricostruire una planimetria, che coprono un arco cronologico esteso

86
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

Ancora, in analogia con il palazzo di Murlo, si può osservare la presenza delle torri
angolari, poste alle estremità del lato settentrionale, che potevano assolvere ad una
duplice funzione difensiva ed utilitaria37.
Il lato orientale doveva ospitare un portico ligneo, che separava la corte dallo spazio
in cui era posizionato il torchio oleario. Adiacente a questi ambienti, fuori dal perimetro
della villa, sporge un ambiente a pianta quadrata. La sua funzione è stata suggerita da
oggetti cultuali e dalla presenza, nel periodo successivo, di un vero e proprio tempietto
con pronao a due celle (Fig. 7)38 .
Il settore meridionale della villa è costituito da quattro ambienti. Quello localizzato a
nord ovest è identificabile con un cortile scoperto, dove sono stati rinvenuti un bancone
alto 30 cm, un pozzo e un piccolo focolare39. A sud e ad est del cortile si aprono altri tre
grandi ambienti adibiti alla cottura ed allo stoccaggio40.
Per ciò che concerne le dimensioni, la fattoria di Pian d’Alma (200 mq) (Fig. 3) si
accosta maggiormente alla fattoria dell’Auditorium (330 mq) (Fig. 4), mentre la prima
villa dell’Auditorium (Fig. 5), con i suoi 600 mq, è paragonabile alle strutture palaziali
laziali, come quella di Satricum, di uguale estensione41.
Una nuova scoperta in area etrusca ha permesso di identificare un edificio rurale di
circa 400 mq. Si tratta della cosiddetta “Casa delle anfore” in località Poggio Alto,
pertinente ad un consistente gruppo di insediamenti a vocazione agricola gravitante su
Marsiliana d’Albegna (Figg. 8-9). A partire dal 2006 l’attività di scavo ha portato alla
luce un edificio a pianta quadrangolare, di circa 20 m di lato, articolato in ambienti
disposti attorno ad una corte centrale, alla quale si accede dal lato orientale.

dall’ultimo quarto dell’VIII alla metà del VI secolo a.C.; è stato invece possibile proporre un’ipotesi
per il periodo a partire dall’ultimo quarto del VI secolo a.C., grazie al confronto con l’edificio di età
repubblicana che ne ricalca in parte la forma (ARVANITIS 2004, 145-153). Come è noto, il modello
palaziale trova la sua massima espressione in Etruria nel secondo palazzo di Murlo (ricostruito attorno
al 575 a.C.) e ad Acquarossa (560-550 a.C.); nel Latium vetus edifici analoghi vengono eretti a
Satricum (fine VII – inizi VI secolo a.C.) e a Lavinium (seconda metà del VI secolo a.C.). Gli
elementi strutturali caratterizzanti di ispirazione orientale (cfr. n. 31) sarebbero, secondo Gabriele
Cifani, frutto di un’influenza diretta, senza la mediazione greca. A riguardo è interessante notare come
il modello palaziale sia attestato in Italia meridionale esclusivamente in centri indigeni, quali
Cavallino, in Messapia, e Canosa, in Daunia, entrambi di VI secolo a.C., e non trovi riscontri negli
insediamenti coloniali greci (CIFANI 2008, 269-272).
37
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 144-145.
38
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 145-152. Cfr. n. 46.
39
Il recupero di due olle in impasto grezzo e di frammenti pertinenti ad una kylix in ceramica attica
sembra suggerire come l’ambiente, oltre che per la cottura dei cibi, fosse adibito ad attività estiatorie,
probabilmente svolte sul bancone. Nell’ambiente a est sono documentai un’olpe miniaturistica in
ceramica depurata e il piede di una kylix attica a figure rosse; inoltre, lungo il limite ovest è stato
recuperato un piano cottura composto da due tegole, accanto alle quali erano collocati frammenti di
vasi in bucchero, tre olle, una ciotola in impasto grezzo e uno spiedo, che sembrano essere stati
sigillati intenzionalmente prima dell’innalzamento dei piani pavimentali e della ripartizione dello
spazio in quattro vani (CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 152, 458-462).
40
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 152.
41
Su Satricum cfr. ZACCARIA RUGGIU 2003, 259-265; MARIJKE 2007 con bibliografia precedente;
CIFANI 2008, 269-270.

87
Flavia Morandini

I dati preliminari parlano di strutture con basamenti in pietrame e alzati in mattoni


crudi, con copertura in tegole in impasto rosso-bruno. L’indagine, ancora in corso, ha
finora restituito una grossa quantità di ceramica, tra cui almeno sette anfore del tipo Py
3C, vari contenitori in impasto grezzo, bucchero, ceramica depurata e vernice nera, che
hanno permesso di datare il complesso alla fine del VI – inizio del V secolo a.C., con un
periodo d’uso esteso a tutto il secolo42.
La fattoria vetuloniese può dunque essere raffrontata al secondo tipo architettonico
definito da Gabriele Cifani per i contesti rurali laziali, mentre la “Casa delle anfore”,
con la sua notevole estensione, è inseribile nel terzo tipo.
Le fattorie di Pian d’Alma (Fig. 3) e di Marsiliana d’Albegna (Fig. 8) rappresentano
una novità nel panorama delle residenze rurali di età arcaica in Etruria e denotano una
sorta di continuità di modello con le residenze extra-urbane principesche di età
orientalizzante e di piena età arcaica.
Sotto questo punto di vista il discorso è molto complesso e necessita per alcuni aspet-
ti di una distinzione tra Roma e l’Etruria.
A Roma l’impianto della Fattoria dell’Auditorium (Fig. 4) corrisponde alla seconda
metà del VI secolo a.C., epoca di forti mutamenti connessi alle riforme di Servio
Tullio43, quando nell’Urbe è già in atto da tempo il processo di separazione dei poteri,
ben testimoniato, secondo gli scavatori, dal complesso della Domus Regia44.
A partire dall’ultimo quarto del VII secolo a.C., con l’insediamento di Tarquinio
Prisco al potere, si assisterebbe infatti al graduale passaggio di questa casa da Domus
Regia a Domus Regis Sacrorum, portando i Tarquini ad abitare un’altra domus situata al
di fuori del santuario, subito a est, contemporaneamente alla scissione della domus dal
focolare dei Lari ed allo spostamento del sacello di Mars e Ops nella Regia del Brown,
che viene ora edificata45.
La nuova dimora dei Tarquini, sulla base di recenti ipotesi, sarebbe una casa ad atrio
e avrebbe ispirato le successive case aristocratiche del Palatino46, implicando una
precisa e consapevole scelta politica da parte dei re etruschi.
Se infatti il palazzo, nella sua accezione anteriore a Tarquinio Prisco, rispondeva ad
un’organizzazione di tipo gentilizio di carattere totalizzante, dove si concentravano i
poteri politico, religioso e militare, con la nascita della città e la sua sistemazione
urbanistica, tale forma sembra non corrispondere più alle esigenze dell’aristocrazia
“urbana”. Il modello palaziale rimane nello schema dell’edificio pubblico, come testi-
moniano la Domus Regia e la Regia del Brown, mentre le dimore dei nobili e degli
stessi re sviluppano un nuovo modello abitativo identificabile nella casa ad atrio.
Le dimensioni allungate di quest’ultima, che contengono al proprio interno il grande
atrio per accogliere le vaste clientele, sembrano funzionali all’inserimento omogeneo di
queste strutture nel nuovo tessuto urbano47.

42
ZIFFERERO et alii 2009, 145-154.
43
CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006, 579 ss.
44
Cfr. n. 36.
45
FILIPPI 2004b, 121.
46
Per maggiori dettagli e per la bibliografia si rimanda alla n. 30.
47
ZACCARIA RUGGIU 2003, 390 ss.

88
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

Fuori dalle mura, invece, la Fattoria dell’Auditorium (Fig. 4) testimonia il perdurare


della tipologia architettonica più antica, in un clima di forte conservatorismo.
All’indomani della cacciata dei Tarquini, mentre nella città il modello della casa ad
atrio si perpetua con significative trasformazioni48, all’altezza del primo miglio, un
aristocratico costruisce ex-novo un impianto cui è stato attribuito giustamente il termine
di villa: in esso, i nuovi ambienti destinati alla familia si affiancano ad una ampia co-
struzione con cortile centrale che, per quanto completamente nuova, si riallaccia stretta-
mente al tipo “palaziale” della fase precedente.
La presenza di un luogo di culto, seppur al di fuori del perimetro della villa, pare un
ulteriore riferimento ad edifici che rispecchiano forme di potere in cui gli aspetti del
pubblico e del privato si concentrano nelle mani del proprietario49.
Se dunque per Roma si può parlare di trasferimento di un modello “urbano” in una
realtà extra-urbana, in seguito alla caduta della monarchia ed alla volontà di continuare
a manifestare le proprie prerogative, la situazione dell’Etruria sembra indirizzare verso
una lettura differente.
La casa di “città” si avvia verso una nuova articolazione spaziale che la porterà, in
tappe successive, ad assumere una pianta incentrata su un atrio cruciforme, attorno al
quale si aprono vari ambienti. Ne sono esempi eloquenti i casi di Regae, Marzabotto e la
recente scoperta di Gonfienti (Prato) (Fig. 10)50, inseriti in un tessuto urbano ispirato a
principi di stampo ippodameo51 e legati all’affermazione di quel ceto medio emergente
che si affianca e sottrae in maniera graduale le antiche prerogative connesse
all’aristocrazia, ormai in forte crisi: nel VI secolo a.C. i palazzi di Murlo, che assom-
mava al suo interno potere politico, militare e religioso, e di Acquarossa, nel quale il
potere religioso sembra ormai significativamente trasferito all’esterno dell’edificio,
vengono distrutti52.
Quindi, mentre a Roma la casa ad atrio, pur soppiantando la Regia, rimane legata alle
istituzioni regali ed aristocratiche53, in Etruria essa viene assimilata in contesti socio-
istituzionali differenti e diventa parte attiva del processo di “urbanizzazione”.

48
Con la cacciata dei Tarquini si assisterebbe all’elisione dello spazio riservato al banchetto, che farebbe
la sua ricomparsa nel II secolo a.C., come ha osservato Annapaola Zaccaria Ruggiu sulla base dello
studio delle case ad atrio di IV e III secolo a.C. di Fregelle e di Pompei (ZACCARIA RUGGIU 2003,
396-399).
49
Le fasi successive della villa, quelle comprese tra il 300 e l’80 a .C. circa, prevedono una graduale
trasformazione delle strutture in casa ad atrio e la monumentalizzazione del tempietto addossato al
lato orientale del perimetro esterno (CARANDINI – D’ALESSIO – DI GIUSEPPE 2006). Secondo una
recente proposta di Adriano La Regina, avanzata nel corso dell’ultimo Convegno del Museo “Claudio
Faina” ad Orvieto (18-20 dicembre 2009), il periodo 3 della villa, esteso dal 300 al secondo quarto del
III secolo a.C. circa, perderebbe i connotati di edificio privato e assumerebbe quello di domus publica,
legata al vicino santuario di Anna Perenna.
50
Cfr. n. 30.
51
ZACCARIA RUGGIU 2003, 392-393.
52
TORELLI 1981, 147 ss., 174-194.
53
Come accennato in precedenza, secondo le recenti proposte di Andrea Carandini, infatti, Tarquinio
Prisco avrebbe costruito la propria dimora al di fuori della Domus Regis Sacrorum, innovando il
modello della casa ad atrio, successivamente ricalcato dalla casa serviana e da quella abitata da
Tarquinio il Superbo, la quale avrebbe ispirato le recenziori case del Palatino (per la bibliografia si

89
Flavia Morandini

In campagna, invece, è possibile osservare il permanere di elementi di forte


conservatorismo che rimandano a modelli precedenti. Si considerino ad es. i casi della
fattoria di Pian d’Alma (Fig. 3) e di quella di Marsiliana d’Albegna (Fig. 8): oltre alla
pianta del tipo con corte centrale, è di notevole interesse nella prima la presenza di
un’ala tripartita (A) adibita a spazio di rappresentanza, componente integrante e costi-
tutiva del modello palaziale54.
Sembra pertanto di poter rilevare in Etruria una sorta di filo rosso che dai palazzi di
età orientalizzante e arcaica conduce, nonostante le dimensioni drasticamente ridotte,
alle residenze extra-urbane dell’età arcaica matura.
Alla luce di queste considerazioni, la tesi secondo la quale si assisterebbe all’ado-
zione di un modello “cittadino” nell’architettura di campagna da parte di quel ceto
medio coinvolto nel processo di trasformazione del paesaggio rurale55, alla fine del VI
secolo a.C., sembra meno convincente; altrettanto possibile e forse più probabile ritengo
l’ipotesi del perpetrarsi di uno schema fortemente radicato nella tradizione e saldamente
ancorato a gruppi sociali di stampo aristocratico.

BIBLIOGRAFIA

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ricerca in Etruria, Siena 2009.

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in luce nei recenti scavi», in M. BONGHI JOVINO (a cura di), Tarquinia e le civiltà del Mediterraneo,
Atti del Convegno internazionale, Milano 22-24 giugno 2004, Milano 2006.

rimanda alla n. 30). In mancanza di conferme archeologiche comprobanti tali teorie, più prudente è
l’ipotesi di Annapaola Zaccaria Ruggiu, che imputa l’adozione di questa nuova tipologia ad una
precisa scelta di Tarquinio il Superbo, volta alla riaffermazione di quell’aristocrazia che aveva trovato
in Servio Tullio un ostacolo al saldo mantenimento dei propri privilegi (ZACCARIA RUGGIU 2003,
392-394).
54
Cfr. n. 31. Poco si può commentare circa l’articolazione spaziale della fattoria di Marsiliana
d’Albegna, se non sottolineare nuovamente la notevole estensione che raggiunge i 400 mq. A questo
proposito si auspica una rapida edizione dei dati preliminari riguardanti le ultime campagne di scavo.
55
PARIBENI 2001, 132; PARIBENI 2009, 671. Vd. inoltre nn. 15-17, 53.

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Fig. 1. Tavola comparativa dei principali edifici rurali di età arcaica di area medio tirrenica.
1. Podere Tartuchino; 2. Acqua Acetosa Laurentina; 3. Torrino; 4. Fattoria dell’Auditorium;
5. Villa dell’Auditorium. CIFANI 2008, 280.

95
Flavia Morandini

Fig. 2. Podere Tartuchino (Semproniano – GR). Fase II. ATTOLINI – PERKINS 1992, 81.

Fig. 3. Pian d’Alma (Scarlino – GR), località Valli di Capanne. La fattoria etrusca. PARIBENI et alii
2001, 104.

96
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

Fig. 4. Pianta ricostruttiva della Fattoria dell’Auditorium (550-500 a.C.). CARANDINI et alii 2006,
88.

Fig. 5. Pianta ricostruttiva della prima villa dell’Auditorium, periodo 2, fase 1 (500-300 a.C.).
CARANDINI et alii 2006, 144.

97
Flavia Morandini

Fig. 6. Pianta ricostruttiva della Domus Regia, fase 2.3 (750-700 a.C. ca.). FILIPPI 2004b, 112.

Fig. 7. Pianta ricostruttiva della villa dell’Auditorium, periodo 3 (300-225 a.C.). CARANDINI et alii
2006, 213.

98
Le fattorie arcaiche di Pian d’Alma e Marsiliana d’Albegna…

Fig. 8. Marsiliana d’Albegna (Manciano – GR), località Poggio Alto. Planimetria dell’edificio rurale
alla fine della campagna di scavo 2007. Archeologia 2009, 150.

Fig. 9. Marsiliana d’Albegna (Manciano – GR), località Poggio Alto. Ambienti A e B alla fine della
campagna di scavo 2007. Archeologia 2009, 150.

99
Flavia Morandini

Fig. 10. Gonfienti (Prato). Planimetria dell’edificio di fine VI-V secolo a.C. POGGESI et alii 2005,
353.

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