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Jephte, oratorio a sei voci, strumenti e basso continuo

15 dicembre 1629.

È il caso, ad esempio, di Jephte, il cui coro finale venne


pubblicato per intero da padre Athanasius Kircher, grande
estimatore di Carissimi, nella Musurgia universalis (Roma
1650).

Di conseguenza non ci è possibile stabilire la cronologia esatta


degli oratori di Carissimi.
Circa Jephte, si può congetturare sia stato composto a ridosso
del trattato di Kircher, intorno cioè al 1649, o poco prima.

Durante tutto il ‘600 la vicenda di Iefte fu uno dei soggetti


favoriti dei musici che coltivarono il genere dell’oratorio.
Se ne contano cinque versioni in latino e ancora di più in
volgare.
Secondo la prassi a quel tempo usuale, Carissimi ricava il testo
per il proprio Jephte tagliando e interpolando liberamente la
Vulgata.
Della vicenda di Iefte narrata in tre capitoli del libro dei Giudici
(10, 6 – 12, 7) viene preso soltanto un episodio (11, 4.28-
28), integrato da un mezzo versetto dal libro di Giuditta (16,
13a) e da 15 aggiunte di fonte ignota, che non è da escludere
siano state scritte dal compositore stesso.
Tali aggiunte intervengono per conferire maggior evidentia
drammatica alla battaglia contro gli Ammoniti, liquidata
piuttosto sbrigativamente nella Bibbia (cfr. Gdc 11, 32-33), per
prolungare il momento dell’esultanza della figlia di Iefte e delle
compagne, per arricchire il dialogo tra il capo dei Galaaditi e la
figlia, infine soprattutto per dar voce allo straziante lamento
della ragazza, su cui l’Antico Testamento non si sofferma
affatto (cfr. Gdc 11, 38b).
Come tutti gli oratori latini di Carissimi, la struttura di Jephte
appare progettata a campata unica, senza cioè prevedere
una cesura mediana per il sermone.
Tuttavia, in base all’azione drammatica Howard Smither (1977)
suggerisce di dividerla in due ampie sezioni, la prima articolata
in tre sottosezioni pervase di ottimismo, la seconda in due di
lamentazione.

Più di recente Graham Dixon (1986) ha preferito considerare il


testo articolato in tre tableaux ben delineati (la battaglia – le
celebrazioni per la vittoria – i lamenti).
Questa è l’ipotesi interpretativa che il maestro Peyretti ha fatto
propria per l’esecuzione odierna.

Ad ogni modo, dal punto di vista narratologico colpisce la


scelta fatta da Carissimi di incominciare in medias res,
tagliando via di netto tutti i fatti antecedenti, anche
quelli utili alla comprensione della vicenda (chi era Iefte,
Gdc 11, 1-3; la sua elezione a capo di Galaad, 11, 6-11; le
varie ambasciate da lui inviate, 11, 12-28).
Ancor di più colpisce la scelta di lasciare la vicenda in
sospeso senza scioglimento, rinunziando anche ai due
succinti versetti con cui la Bibbia suggella l’episodio (cfr. Gdc
11, 39-40).
L’apparente stranezza di queste decisioni va compresa nel
contesto delle adunanze quaresimali descritteci dal Maugars.
L’historia veterotestamentaria non costituiva che una parte di
quegli “oratori”. Preceduta da non poca altra musica, essa era
seguita dal sermone di “uno dei più eccellenti predicatori” e poi
ancora dal canto drammatizzato del Vangelo del giorno.
La storia di Iefte e della figlia, in particolare, si poteva
prestare come incisivo exemplum per un sermone
sull’obbedienza oppure, meglio ancora, come limpida figura del
sacrificio di Cristo per il proprio popolo. Artista dal senso
sopraffino per l’essenziale, Carissimi decurta l’episodio di Iefte
di ogni particolare superfluo alla sua corretta significazione
spirituale. Chierico di fede sincera, sa bene che l’autentico
“scioglimento” della vicenda non si ha altrove che nella
Dominica resurrectionis.
Diversi sono i motivi per i quali fin da subito, dal Kircher in poi,
Jephte è stato giudicato un capolavoro.

LA NARRAZIONE AFFIDATA A VARIE VOCI


Innanzitutto, assolutamente originale è l’idea di non
affidare la narrazione esclusivamente a una voce.
Cinque volte il ruolo dell’Historicus è affidato a un solista,
non però sempre alla stessa voce (nn. 1, 5, 7, 9, 14), una
volta a un duetto (n. 4) e una a un terzetto (n. 8).
In tre occasioni della narrazione si fa carico il coro, ora a 4 voci
(n. 22), ora a 6 (nn. 3, 6).
Oltre che per il timbro vocale, sempre allo scopo di acuire al
massimo l’impatto drammatico del testo, la narrazione varia
anche per genere di stile.
Solo 4 sui 10 interventi dell’Historicus sono musicati
nell’ordinario recitativo secco.
Gli altri sono ariosi, duetti e terzetti: cori appunto.
La misura dell’efficacia di questa doppia alternanza è la vivacità
drammatica che essa arriva a conferire all’episodio della
battaglia (nn. 3-8).

RECITATIVI
Un secondo motivo della grandezza di Jephte sono senza
dubbio i recitativi.
Già gli storici del XVIII secolo riconobbero a Carissimi il merito
di aver portato a perfezione lo stile del recitativo.
Straordinaria, in effetti, appare la flessibilità espressiva che
egli, ammirato come “oratore musicale” senza pari, sa
conferire ai propri recitativi.
Tra le virtù dell’elocutio egli punta tutto, in primo luogo, sulla
perspicuitas, deducendo dalle parole dei ritmi, secondo i
suggerimenti dell’accentuazione quantitativa latina.
Il finissimo senso della misura che gli è connaturale lo porta a
rinunziare a qualsiasi fronzolo inessenziale.
Le figure dell’ornatus vengono dosate con austerità estrema.
Carissimi è molto attento, in particolare, a sfruttare le
ripetizioni per creare pathos.
LE FIGURE RETORICHE
Le figure retoriche che più sovente ricorrono sono il climax (la
ripetizione di uno spunto melodico all’intervallo di seconda, ad
esempio sulla lacerante exclamatio con cui si sfoga Iefte al n.
15) e l’epizeuxis (la ripetizione all’intervallo di quinta o
quarta, ad esempio sull’angosciata invocazione “pater mi” al n.
18, oppure sull’amarissimo “plangam” al n. 20).

Non ci sono vocalizzi: l’unica coloratura (i dattili gioiosi su


“praecinebat”, n. 9) è anch’essa figura retorica (ipotiposi).

ARMONIA
Un altro strumento di cui Carissimi sa avvalersi con grande
maestria per accrescere l’intensità emotiva della propria
musica è l’armonia.
Infallibile appare la sua capacità di intuirne e sfruttarne il
potenziale espressivo.
L’esempio più eclatante è la mutatio toni (la modulazione dal
tono maggiore di sol a quello minore di la) che intercorre tra i
nn. 13 e 14: un geniale coup de théâtre fatto davvero di
niente, eppure efficacissimo nel dare il senso del subitaneo
trapasso dalla felicità al dramma.
Non meno d’effetto è il ricorso alla figura della pathopoeia, il
cromatismo (al n. 18 sulle laceranti e generose parole con cui
la figlia accetta di autoimmolarsi, “ego filia tua unigenita…”).
Sapiente e incisivo risulta anche il dosaggio delle
dissonanze, solitamente di settima (a esprimere un brivido di
timore da parte del narratore di fronte all’imperscrutabile
volontà del Signore, n.14 su “domino”, lo stupre attonito della
figlia, n. 16 su “pater” e “decepta”, l’angoscia di Iefte, nn. 19,
21).
SEZIONI IN STILE ARIOSO
A contrastare l’asciuttezza melodica dei recitativi intervengono
numerose e ben assortite sezioni in stile arioso. In un periodo
in cui lo schema formale dell’aria barocca era ancora in fase di
gestazione, Carissimi dimostra un estro apprezzabile nella
sperimentazione di nuove aggregazioni strofiche, tramite un
uso accorto di parallelismi e ripetizioni.
Il n. 5, ad esempio, si può ritenere in sostanza un’aria bipartita
(AB), la cui stroficità è interiormente rinforzata da più d’una
epizeuxis e da un tricolon (“et pugnat contra vos”). Anche il
primo intervento della figlia (n. 10) è considerabile un
antecedente dell’aria col da capo, nonostante la terza sezione
(10c) non ripeta fedelmente né la musica né il testo della
prima (10a).
La riproposizione della sezione mediana (10b) in leggiadro
ritmo ternario come duetto (n. 11) e la ripetizione un po’
amplificata della terza (n. 12) sono espedienti che dimostrano
la volontà di Carissimi di plasmare aggregazioni strutturali di
più ampio respiro. È questa l’intenzione creatrice sottesa tanto
alla ripetizione del lancinante grido di dolore di Iefte (nn. 15,
17b), quanto soprattutto al disperato lamento della figlia (nn.
23-29).
Quest’ultimo episodio conobbe un’ampia diffusione anche come
pezzo autonomo, estrapolato dal resto dell’oratorio, sulla scia
del successo del nuovo genere inaugurato da Monteverdi. Si
tratta, in effetti, di un episodio magistralmente costruito, nel
quale la temperatura emotiva raggiunge livelli elevatissimi, in
un impressionante crescendo di pathos, punteggiato da
drammatici climax (“ingemiscite”, n. 25) ed epizeuxis (“in
sonitu horribili”, n. 27; “et Jephte filiam …”, n. 29), da
cromatismi (pathopoeia su “moriar”, n. 25) e da aspre
trafitture dissonanti.
Tre fuggevoli interventi dell’Echo si intercalano, secondo il
principio dell’attenuazione classica, ai quattro sfoghi della
ragazza, a un tempo proiettandone il dolore su coordinate
spazio-temporali eterne e infinite ed evocando il senso
dell’immensa spazialità delle montagne.
IL CORO
Come in tutti gli oratori di Carissimi, anche in Jephte il coro
riveste un ruolo di particolare importanza.
Esso è parte integrante della struttura e contribuisce in
maniera significativa al progresso dell’azione. A rigore le fonti
definiscono chorus solo i nn. 3 e 30, definizione che tuttavia
sembra di poter estendere senza problemi anche ai nn. 6 e 13.
Il n. 22 appare interpretabile altrettanto bene come assieme di
quattro soli.
Per contro, per stile e funzione i nn. 4, 8 e le parti dell’eco si
prestano anche a un’esecuzione corale.
I nn. 3, 6 e 13 sono tre limpidi esempi di quello che al tempo
veniva definito “concertato alla romana”, basato sulla
sezionalizzazione del fraseggio alternando tutti omoritmici o
polifonici a passaggi concertanti con poche voci, aggregate in
modalità perennemente cangiante.
Il n. 6, in particolare, animato da concitati dattili riesce efficace
nel dar l’idea della fuga disordinata degli Ammoniti. Il n. 13 è
un brano di ampio respiro, suggello gioioso e trionfale delle
celebrazioni per la vittoria.

Il coro conclusivo è senza dubbio il brano più ammirato


dell’intero Jephte.
Haendel ne rimase tanto impressionato da prenderne a
prestito parecchi elementi per il coro del proprio oratorio
Samson. Si tratta in realtà di musica di eccezionale impatto
espressivo, la conclusione senza dubbio più sublime
dell’episodio del lamento.
È anch’esso un brano a sezioni.
L’esordio omoritmico, nella sua dolente compunzione, suona
come una solenne apertura verso orizzonti interminati. Tanto le
dissonanze di cui è irto l’accenno di fugato sulle parole “in
carmine doloris” quanto il lavorìo polifonico che anima le
sezioni successive appaiono tuttavia l’emblema di un’angoscia
per la quale, in termini solamente umani, non è possibile né
razionale spiegazione né durevole conforto.

Nota sull’esecuzione
Il lavoro di preparazione del maestro Peyretti per l’esecuzione
odierna si è svolto in tre direzioni. Il primo passo è stata una
ricognizione filologica della partitura. Sono state collazionate
tra loro fonti diverse, con riferimento particolare alla numerica
del basso continuo: il coro finale edito dal Kircher, la vecchia
edizione dal catalogo Ricordi e quella critica recenziore curata
da Adelchi Amisano, nonché una copia d’un manoscritto
parigino proveniente da Nôtre Dame.
In un secondo momento, in fase di concertazione, è stato
necessario decidere l’organico strumentale.
Per Jephte, infatti, nessuna delle fonti a oggi disponibili
prevede alcuna parte strumentale obbligata. Ciò non significa
assolutamente che Carissimi volesse escludere gli strumenti: il
loro impiego per consuetudine era regolato ad libitum, a
seconda cioè dell’organico disponibile sul momento.
Ispirandosi alla prassi dell’epoca (Monteverdi in particolare) e
alle indicazioni fornite da Amisano, il maestro Peyretti agli archi
e al continuo (con un’arpa settecentesca al posto del liuto) ha
inteso aggiungere flauto, oboe, fagotto e tromba. Da ultimo, è
stato necessario ricostruire le parti strumentali omesse dalle
fonti. Agli strumenti di norma sono stati affidati raddoppi delle
parti vocali, a livello tanto armonico quanto melodico. Unica
eccezione, la parte degli archi nel n. 6 è stata arricchita d’un
frammento melodico desunto dal n. 5.
Per aiutare il pubblico a immedesimarsi più facilmente nella
vicenda, è stato deciso di far precedere ciascuna delle tre
sezioni di Jephte dalla recitazione d’una parafrasi in italiano del
testo latino.

I TESTI 

Giacomo Carissimi
Jephte

Historicus [Altus]
Cum vocasset in proelium filios Israel rex filiorum Ammon et
verbis Jephte acquiescere noluisset, factus est super Jephte
Spiritus Domini, et progressus ad filios Ammon votum vovit
Domino dicens:

Jephte [Tenor]
Si tradiderit Dominus filios Ammon in manus meas, quicumque
primus de domo mea occurrerit mihi, offeram illum Domino in
holocaustum.

Historicus [Soli et Chorus]


[Chorus]
Transivit ergo Jephte ad filios Ammon, ut in Spiritu forti et
virtute Domini pugnaret contra eos; et clangebant tubae, et
personabant tympana, et proelium commissum est adversus
Ammon.

[Bassus]
Fugite, cedite, impii, perite, gentes; occumbite in gladio,
Dominus exercituum in proelium surrexit et pugnat contra vos.

[Chorus]
Fugite, cedite impii, corruite et in furore gladii dissipamini.

[Cantus]
Et percussit Jephte viginti civitates Ammon piaga magna nimis.

[Chorus]
Et ululantes filii Ammon facti sunt coram filiis Israel humiliati.

[Bassus]
Cum autem victor Jephte in domum suam reverteretur,
occurrens ei unigenita filia sua cum tympanis et choris
praecinebat:
Filia Jephte [Cantus]
Incipite in tympanis
et psallite in cymbalis,
hymnum cantemus Domino
et modulemur canticum.
Laudemus Regem coelitum,
laudemus belli Principem,
qui filiorum Israel
victorem ducem reddidit.
Sodales [Duo Cantus]
Hymnum cantemus Domino
et modulemur canticum,
qui dedit nobis gloriam
et Israel victoriam.

Filia Jephte
Cantate mecum Domino,
cantate omnes popoli,
laudate belli Principem,
qui nobis dedit gloriam
et Israel victoriam.

Sodales [Chorus]
Cantemus omnes Domino,
cantate omnes popoli,
laudemus belli Principem,
qui nobis dedit gloriam
et Israel victoriam.

Historicus [Altus]
Cum vidisset Jephte, qui votum Domino voverat, filiam suam
venientem in occursum, prae dolore et lachrimis scidit
vestimenta sua et ait:

Jephte
Heu mihi, filia mea! Heu, decepisti me, filia unigenita; et tu
pariter, heu, filia mea, decepta es.

Filia Jepthe
Cur ego te, pater, decepi, et cur ergo, filia tua unigenita,
decepta sum?
Jephte
Aperui os meum ad Dominum ut quicumque primus de domo
mea occurrerit mihi, offeram illum Domino in holocaustum.
Heu mihi, filia mea! Heu, decepisti me, filia unigenita; et tu
pariter, heu, filia mea, decepta es.
Filia Jephte
Pater mi, si vovisti votum Domino, reversus victor ab hostibus,
ecce ego filia tua unigenita: offer me in holocaustum victoriae
tuae. Hoc solum, pater mi, praesta filiae tuae unigenitae ante
quam moriar…

Jephte
Quid poterit animam tuam, quid poterit te, moritura filia,
consolari?

Filia Jepthe
Dimitte me, ut duobus mensibus circumeam montes, ut cum
sodalibus meis plangam virginitatem meam.

Jephte
Vade filia, vade filia mea unigenita, et plange virginitatem
tuam.

Historicus [Chorus]
Abiit ergo in montes filia Jephte et plorabat cum sodalibus
virginitatem suam, dicens:

Filia Jephte
Plorate colles, dolete montes et in afflictione cordis mei ululate.

Echo [Duo Cantus]


Ululate.

Filia Jephte
Ecce, moriar virgo et non potero morte mea meis filiis
consolari. Ingemiscite silvae, fontes et flumina, in interitu
virginis lachrimate.

Echo
Lachrimate.
Filia Jephte
Heu me dolentem, in laetitia populi, in victoria Israel et gloria
patris mei; ego sine filiis virgo, ego filia unigenita moriar et
non vivam! Exhorrescite rupes, obstupescite colles, valles et
cavernae in sonitu horribili resonate.

Echo
Resonate.

Filia Jephte
Plorate filii Israel, plorate virginitatem mea, et Jephte filiam
unigenitam in carmine doloris lamentamini.

Chorus
Plorate filii Israel, plorate omnes virgines et filiam Jephte
unigenitam in carmine doloris lamentamini.

LE TRADUZIONI 

Narratore [Contralto]
Poiché il re dei figli di Ammon aveva sfidato in battaglia i figli di
Israele e non aveva voluto prestar fede alle parole di Iefte, lo
Spirito del Signore si posò su Iefte e, dopo aver marciato
contro i figli di Ammon, fece un voto al Signore dicendo:

Iefte [Tenore]
Se il Signore avrà consegnato nelle mie mani i figli di Ammon,
chiunque mi verrà incontro per primo uscendo dalla mia casa,
offrirò lui al Signore in olocausto.

Narratore [Soli e Coro]


[Coro]
Si mosse dunque Iefte contro i figli di Ammon, per combattere
con la forza dello Spirito e la potenza del Signore contro di
essi; e squillavano le trombe, e risuonavano i timpani, e la
battaglia fu ingaggiata contro Ammon.

[Basso]
Fuggite, ritiratevi, empi, perite, genti; soccombete con la
spada in mano, il Signore degli eserciti si è levato in battaglia e
combatte contro di voi.

[Coro]
Fuggite, ritiratevi, empi, andate in rovina e nel furore delle
armi siate dispersi.

[Soprano]
E Iefte colpì venti città di Ammon con un colpo troppo forte.

[Coro]
E in mezzo agli ululati i figli di Ammon furono umiliati davanti
ai figli di Israele.

[Basso]
Mentre però Iefte ritornava vincitore nella sua casa,
correndogli incontro la sua figlia unigenita cantava con timpani
e danze:

Figlia di Iefte [Soprano]


Inneggiate con i timpani
e salmodiate sui cembali,
un inno cantiamo al Signore
e mettiamo in musica un cantico.
Lodiamo il Re celeste,
lodiamo il Principe della guerra,
che ha reso vincitore il condottiero
dei figli di Israele.
Compagne [Due Soprani]
Cantiamo un inno al Signore
e mettiamo in musica un cantico per Lui,
che ha dato a noi la gloria
e a Israele la vittoria.

Figlia di Iefte
Cantate con me al Signore,
cantate popoli tutti,
lodate il Principe della guerra,
che ha dato a noi la gloria
e a Israele la vittoria.

Compagne [Coro]
Cantiamo tutte al Signore,
cantate popoli tutti,
lodiamo il Principe della guerra,
che ha dato a noi la gloria
e a Israele la vittoria.

Narratore [Contralto]
Quando Iefte, che aveva fatto il voto al Signore, vide sua figlia
che gli veniva incontro, per il dolore e le lacrime si stracciò le
vesti e disse:

Iefte
Ahimè, figlia mia! Ahimè, m’hai tratto in inganno, figlia
unigenita; anche tu parimenti, ahimè, figlia mia, sei stata
ingannata.

Figlia di Iefte
Perché io te, padre, ho tratto in inganno, e perché io, figlia tua
unigenita, sono stata ingannata?

Iefte
Ho fatto la mia promessa solenne al Signore che chiunque mi fosse venuto
incontro per primo uscendo dalla mia casa, avrei offerto lui al Signore in
olocausto. Ahimè, mi hai tratto in inganno, figlia unigenita; anche tu parimenti,
ahimè, figlia mia, sei stata ingannata.

Figlia di Iefte
Padre mio, se hai fatto un voto al Signore, ritornato vincitore
dei nemici, ecco sono la tua figlia unigenita: offri me in
olocausto per la tua vittoria. Questo solamente, padre mio,
concedi alla tua figlia unigenita prima che io muoia…

Iefte
Che cosa potrà consolare la tua anima, che cosa potrà
consolare te, figlia destinata alla morte?

Figlia di Iefte
Lasciami andare, affinché per due mesi io me ne vada in giro
per i monti, affinché con le mie compagne pianga la mia
verginità.

Iefte
Va’ figlia, va’ figlia mia unigenita, e piangi la tua verginità.

Narratore [Coro]
Andò via allora sui monti la figlia di Iefte e piangeva con le
compagne la sua verginità, dicendo:

Figlia di Iefte
Piangete colli, piangete monti, e per l’afflizione del mio cuore
ululate.

Eco [Due Soprani]


Ululate.

Figlia di Iefte
Ecco, morirò vergine e non potrò per la mia morte esser
consolata dai miei figli. Gemete selve, fonti e fiumi, lacrimate
per la morte d’una vergine.
Eco
Lacrimate.

Figlia di Iefte
Ahimè, quale sofferenza insieme alla letizia del popolo, alla
vittoria di Israele e alla gloria di mio padre; io vergine senza
figli, io figlia unigenita morirò e non vivrò! Inorridite rupi,
stupite colli, valli e caverne di orribile suono riecheggiate.

Eco
Riecheggiate.

Figlia di Iefte
Piangete, figli di Israele, piangete la mia verginità, e per la
figlia di Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.

Coro
Piangete, figli di Israele, piangete vergini tutte, e per la figlia di
Iefte unigenita con un canto di dolore lamentatevi.

dalle prime battute, i soprani raggiungono il loro apice sulla parola unigenita, sottolineandone
la tragica condizione; l’imitazione su in carmine doloris è resa in un aumento progressivo e
costante della tensione: parte dai bassi, utilizza una figura puntata in simbolo di singhiozzo,
culmina con il coro pieno in una dissonanza tenuta. Una repetitio piangente (lamentamini)
conduce alla ripresa – a una sorta di responsio – di tutta la prima parte che, proponendosi
nuovamente all’ascolto, si carica di un’intensità ancora più vivida, girando una seconda volta il
perno della commozione

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