Nella storia della musica, la musica medievale è quella musica composta in Europa durante il
Medioevo, ovvero nel lungo periodo che va convenzionalmente dal V secolo al XV secolo ed è
suddivisa in sottoperiodi che ne distinguono lo sviluppo in quasi un millennio di cultura europea.
Indice
1 La teoria della musica medievale e Guido d'Arezzo
o 1.1 L'Esacordo
o 1.2 La solmisazione e la mutazione
o 1.3 La Mano guidoniana
o 1.4 Ugolino Urbevetano da Forlì
2 Monodie sacre e profane
3 La notazione medievale
o 3.1 La notazione neumatica
o 3.2 La tavola dei nèumi di S. Gallo
4 Musicisti più normativi della legge poliromana
o 4.1 I trovatori
o 4.2 Trovieri
o 4.3 Ars antiqua
4.3.1 Scuola di Notre Dame
o 4.4 Ars nova
4.4.1 Ars nova francese
4.4.2 Ars nova italiana
5 Note
6 Bibliografia
7 Voci correlate
8 Altri progetti
9 Collegamenti esterni
Guido d'Arezzo nacque intorno al 995 d.C. in un villaggio vicino a Pomposa (Ferrara). Entrò nel
monastero benedettino dell'abbazia di Pomposa e poi si trasferì ad Arezzo, dove maturò il suo
nuovo metodo per l'apprendimento del canto liturgico, che espose al Papa Giovanni XIX, il quale ne
favorì la propagazione. Le sue opere sono il micrologus de musica, considerato il più importante
trattato musicale a noi pervenuto del Medioevo e il prologus in antiphonarium nel quale
l'antifonario viene dato nella nuova notazione.
Guido d'Arezzo diede una soluzione ai molteplici tentativi di notazione diastematica e fu una figura
importante nella storia della notazione musicale, soprattutto per l'impostazione del modo di leggere
la musica: inventò il tetragramma e utilizzò la notazione quadrata.
Diede, inoltre, un nome ai suoni dell'esacordo, con l'intento di aiutare i cantori a intonare e
memorizzare una melodia anche senza leggerne la notazione. A questo fine utilizzò l'inno Ut
queant laxis, dedicato a san Giovanni Battista: Guido aveva infatti osservato che i primi sei
emistichi dell'inno hanno inizio ciascuno su un diverso suono dell'esacordo, in progressione
ascendente. Decise, dunque, di dare come nome a ciascun suono la sillaba di testo corrispondente:
Traduzione:
Affinché i fedeli possano cantare con tutto lo slancio le tue gesta meravigliose, liberali dal peccato
che ha contaminato il loro labbro, o S. Giovanni (Più tardi, unendo le lettere iniziali delle due parole
che compongono il settimo emistichio si diede nome alla nota si).
Successivamente la sillaba ut fu sostituita con do: l'artefice della sostituzione è stato erroneamente
identificato in Giovanni Battista Doni, il quale nel XVII secolo avrebbe a questo scopo impiegato la
prima sillaba del proprio cognome; in realtà l'uso della sillaba do è attestato già nel 1536 (dunque
molto prima della nascita di Doni) in un testo di Pietro Aretino. Guido D'Arezzo realizzò anche il
sistema esacordale che non fu un sistema teorico, ma un metodo didattico, con la funzione pratica di
aiutare i cantori ad intonare i canti. Organizzò la successione delle note in esacordi perché la
maggior parte dei canti stavano nell'ambito di 6 note ed erano le sei note che stavano nel
tetragramma.
La solmisazione e la mutazione
In precedenza le note erano denominate soltanto con una lettera dell'alfabeto latino, uso tuttora in
vigore nei paesi anglosassoni: partendo dal do la successione delle note era C D E F G A B. Guido
d'Arezzo utilizzò le sillabe dell'Inno a S. Giovanni per indicare i gradi dell'esacordo, in modo che il
semitono ascendente (E-F, B-C, A-Bb) fosse sempre chiamato mi-fa e costituisse sempre il
passaggio dal terzo al quarto grado dell'esacordo.
Quindi si solmisava ut, re, mi, fa, sol, la l'esacordo naturale C D E F G A, ma anche l'esacordo duro
G A B C D E e l'esacordo molle F G A Bb C D.
Il sistema è piuttosto semplice finché si canta all'interno di un esacordo. Quando la melodia supera i
limiti dell'esacordo occorre passare da un primo esacordo a un secondo, ovvero dal naturale al duro,
e dal molle al naturale e viceversa.
Guido d'Arezzo stabilì che i punti per effettuare la mutazione, cioè per cambiare esacordo prima
della sua fine, fossero G, A e D per i canti col B molle (bemolle) in chiave e D, E e A per i canti col
B quadro (naturale). Di queste tre note la prima vale per i passaggi ascendenti, la seconda per quelli
discendenti, la terza per entrambi. Al passaggio di esacordo la nota in cui si effettua la mutazione si
chiama re in salita e la in discesa.
Ad esempio, se abbiamo il B molle in chiave, la scala ascendente (in neretto i punti delle mutazioni)
E F G A Bb C D E F si solmisava mi, fa, re, mi, fa, sol, re, mi, fa. In discesa F E D C Bb A G F E si
solmisava fa, mi, la, sol, fa, la, sol, fa, mi. Senza B molle in chiave la scala che noi oggi
chiameremmo di do maggiore, C D E F G A B C, in solmisazione si pronuncerebbe ut, re, mi, fa,
sol, re, mi, fa, mentre in discesa C B A G F E D C potrebbe cantarsi come quella in salita al
contrario o anche fa, mi, la, sol, fa, la, sol, fa.
Come si può vedere le mutazioni in salita sono sempre in G e D e in discesa in A e D. La nota in cui
si effettua la mutazione si chiama re (che sia in G o in D) se si sale e la (che sia in A o in D) se si
scende. Lo stesso discorso vale con D, E, A per i canti col B quadro.
La solmisazione consente, più che l'apprendimento dei canti, la corretta intonazione degli intervalli
secondo l'intonazione naturale degli armonici. Non solo il semitono diatonico ascendente è sempre
chiamato mi-fa, ma anche il tono presente tra I e II grado e tra IV e V grado dell'esacordo è sempre
chiamato ut-re o fa-sol, mentre il trono tra II e III e tra V e VI, di ampiezza minore del precedente
(il cosiddetto tono piccolo), è chiamato re-mi (o sol-la, in assenza di mutazione). Chi canta sa
dunque che l'intervallo mi-fa corrisponde al semitono diatonico, ut-re e fa-sol al tono grande e re-mi
e sol-la al tono piccolo, qualunque siano le altezze assolute da lui cantate.
La Mano guidoniana
La mano guidoniana
Lo stesso argomento in dettaglio: Mano guidoniana e Guido d'Arezzo.
Per facilitare ai cantori la pratica della solmisazione venne inventata la mano guidoniana: sulla
mano sinistra veniva messa la notazione alfabetica di Oddone di Cluny (= lettere maiuscole = ottava
grave; minuscole = ottava media; doppie minuscole = ottava acuta). Guardando questa mano
doveva essere più facile praticare la solmisazione. La mano guidoniana aiutava, dunque, la pratica
della solmisazione.
Con il passare del tempo, vennero tentate altre vie di notazione: in particolare, nel XV secolo si
ricorda Ugolino Urbevetano da Forlì: infatti, dalle testimonianze ricaviamo che fu: "Glorioso
musico e inventor delle note sopra gli articoli delle dita delle mani", e dunque "Uomo famoso".
Oltre alla produzione musicale legata alle numerose famiglie rituali cristiane (Sangallese,
Mozarabica, Ambrosiana, Romana, Toledana etc) esisteva naturalmente anche la musica non legata
al tempo sacro di cui ci rimangono pochi esempi documentati. Tra questi il "canto delle scolte
modenesi" melodia in volgare che ricorda alcuni inni ambrosiani nello sviluppo musicale,
probabilmente cantata dalle guardie di quella città sugli spalti.
Tra le testimonianze pervenuteci, ci sono anche inni e planctus, prime forme musical-teatrali, legate
allo sviluppo di una musica in lingua latina con prodromi del volgare: tra questi ricordiamo il
Planctus Karoli, lamento funebre scritto per la morte di Carlo Magno, di cui, conosciamo anche la
versione musicale.
La musica in forma mista (latino e volgare) era di ambito prettamente popolare e ci è pervenuta
tramite alcuni manoscritti: tra questi il più famoso è quello proveniente dal monastero di Benedikt
Beuren e noto al grande pubblico come Carmina Burana. Curioso esempio di utilizzo di una
melodia preesistente è il canto "O admirabile Veneris idolum", brano proveniente dalla raccolta dei
Carmina Cantabrigensia, più antica di quella Germanica con notazione adiastematica e quindi di più
difficile interpretazione. Il canto è una dichiarazione d'amore di un maestro nei confronti
dell'allievo, ma la curiosità sta nel fatto che la melodia è quella di O Roma Nobilis, antico
processionale in uso nella Roma tardoimperiale del IV°-V° secolo.
La storia della musica, al di fuori della chiesa, è principalmente legata, ancora una volta, alla storia
della letteratura europea nel senso che nel momento in cui nasce la letteratura volgare, quella che
chiamiamo "letteratura romanza", nasce per la musica e nell'ambito del sistema feudale, per
l'organizzazione che Carlo Magno e i suoi eredi diedero all'immenso territorio del Sacro Romano
Impero.
Il feudalesimo diede un assetto sociale, economico e politico all'intero territorio del Sacro Romano
Impero, quindi diede anche una certa stabilità. Questo provocò la graduale trasformazione della
fortezza militare, del castello, in corte, ove nacque la prima produzione della letterature europea: la
lirica cortese.
È una lirica incentrata prevalentemente sul tema dell'amor cortese e il rapporto fra la donna e il suo
amante non è altro che la riproduzione del rapporto di vassallaggio fra il vassallo e la sua Signora,
musa e Domina.
La forma principale di questa lirica d'amore fu la canso costituita da un vario numero di strofe,
precedute da una volta.
Il trobar plan era un modo di scrivere poeticamente abbastanza semplice. Il trobar rich era un
modo di poetare più complesso, il trobar clus era un modo di poetare chiuso, nel senso che se non si
conosceva una chiave di lettura, era impossibile leggere, decodificare il testo poetico. I testi poetici
erano fatti dai trovatori, poeti provenzali, e non venivano letti o recitati, ma cantati da menestrelli e
giullari, musicisti di provenienza perlopiù popolare. Il primo trovatore fu Guglielmo IX d'Aquitania.
Altri furono:
Ebolo II di Ventadorn, il creatore dell'ideale di vita cortese e caposcuola della tradizione
trobadorica. Della sua opera non è rimasto nulla;
Marcabruno di Guascogna, autore di 43 composizioni, aspre e sottili, soprattutto sirventes e
4 melodie;
Jaufré Rudel, principe di Balja, rimatore dolce e leggiadro. Di lui possediamo 6 poesie
amorose di cui r con la musica;
Giraut de Bornelh, considerato da Dante, insieme ad Arnaut Daniel, fra i maggiori poeti
provenzali,
Raimbaut de Vaqueiras. Fu uno dei più originali artisti del tempo. La sua attività di trovatore
si svolse in Italia, alla corte di Bonifacio I di Monferrato;
Peire Vidal, di cui abbiamo 12 composizioni. Viaggiò molto e fu anche in Italia;
Folquet di Marsiglia: di padre genovese, morto nel 1231, fu Autore di 13 composizioni;
Uc de Saint Circ, vissuto in Italia alla corte di Alberico da Romano. Fu l'autore della vidas
di numerosi trovatori: testimonianze biografiche di scarsa affidabilità;
Arnaut Daniel, di cui abbiamo due testi musicati;
Tra tutti il più importante e famoso fu Bernard de Ventadorn, che viene considerato uno dei più
ispirati poeti del mondo trobadorico. La cosa interessante fu che i "cansonieri", cioè le raccolte di
canzoni di questi trovatori, ci hanno tramandato circa 2600 testi poetici, dei quali ci sono pervenute
solo 300 melodie.
La disparità fra il gran numero di testi e il ridotto numero di melodie si spiega perché l'ispirazione è
uguale esattamente a quella della lirica greca: i testi poetici erano scritti, mentre le melodie legate a
schemi melodici fissi e ad una sorta di memorizzazione di tradizione orale.
Accanto alla canso ci furono delle altre forme poetiche dei trovatori come il jeu parti, una sorta di
dialogo, oppure l'aube, il commiato mattutino di due amanti, il sirventes, una canzone di contenuto
politico, morale o allegorico.
Nel nord della Francia, intanto, si erano sviluppate due forme letterarie di tipo narrativo:
"chanson de geste" che narrava le gesta di Carlo Magno e dei suoi paladini, poi passata nella
narrativa popolare. Era in versi e, secondo alcuni, veniva declamata.
Il romanzo cavalleresco che raccontava le gesta di re Artù e dei Cavalieri della Tavola
Rotonda ed era in prosa.
Con il romanzo cortese nacque un nuovo rapporto tra il destinatario e il testo letterario, fondato
sulla lettura. Nella nuova lingua, quella francese, la canso diventò chanson, il jeu parti jeu parti e
l'alba divenne aube.
Accanto a queste forme ne nacquero delle altre di tipo narrativo, per esempio la chanson de toile,
una canzone in cui una donna che tesse racconta una storia. È una lirica di contenuto narrativo che
risponde ad un'esigenza di narrazione molto sviluppata nelle corti della Francia settentrionale. C'è
poi la tradizione di testi poetici con ritornello, che derivavano dalle musiche di danza. Questi testi
sono: Ballade, rondeau e virelai. Gli stessi termini denunciano la provenienza dalla danza. Ballade,
infatti, vuol dire ballata, rondeau viene da "ronder" che vuol dire girare e virelai viene da "viler" che
vuol dire anche girare.
Con il matrimonio di Beatrice di Borgogna con Federico Barbarossa la lirica francese venne portata
in Germania, dove nacque la tradizione del lied, l'equivalente tedesco della chanson francese e della
canso provenzale. I trovatori provenzali, diventati trovieri francesi, vennero chiamati Minnesanger
(minne = amore e sang = canto) ed erano poeti aristocratici che scrivevano testi poetici.
La differenza tra il lied tedesco a la tradizione francese provenzale è che nel lied tedesco c'è una
concezione molto più spirituale dell'amore rispetto alla forte componente sensuale della lirica
francese. La prima scuola poetica italiana fu quella siciliana. I poeti di quest'ultima erano i poeti
della cerchia di Federico II e, diversamente dai trovatori e dai trovieri, la loro formazione scolastica
non era avvenuta perlopiù in ambito ecclesiastico. Per la prima volta in Italia, la poesia volgare
nasce in un ambito nel quale la musica non è coltivata. Di conseguenza, in Italia, nel corso del
Duecento, si determina la frattura fra la poesia e la musica che sarà, in parte, recuperata con l'ars
nova e con Dante, nella cui opera "Divina commedia" c'è un'ampia allusione alla pratica della
poesia per musica.
Le poche melodie di lirica trobadorica che ci sono pervenute risalgono al 1300 circa. Questo perché
si sentì l'esigenza di mettere per iscritto una parte di questo patrimonio. A questo punto si è posto il
problema dell'interpretazione ritmica di questi testi musicali, perché il canzoniere dei trovatori e dei
trovieri ci è pervenuto in notazione quadrata guidoniana, che non dava alcuna informazione ritmica.
Ci sono state varie ipotesi, una di queste è stata quella di applicare i modi ritmici. Questa tesi è stata
smentita da due fattori:
Tutti quelli che hanno tentato di trascrivere con i modi ritmici hanno ottenuto risultati
diversi;
I mottetti scritti da Adam de la Halle, sono in notazione modale, quindi se A. de la Halle
avesse usato una notazione modale, l'avrebbe usata anche per le composizioni profane.
Tuttavia questo non è accaduto, quindi l'ipotesi dei modi ritmici è sfumata.
Adam de la Halle fu un poeta francese che, ad un certo punto, si trasferì a Napoli al servizio degli
Angioini, presso i quali concepì un'operina in miniature: le jeu de robin et marion che è una
pastorella drammatica; la pastorella era una lirica in cui si immaginava l'incontro di un cavaliere
con un pastorella. La soluzione che oggi viene ritenuta più convincente sul ritmo del canto dei
trovatori e dei trovieri è quella proposta dallo studioso fiammingo Hendrik Van der Werf che
afferma: "..bisogna intonare questi testi mantenendo lo stesso ritmo che avrebbero, se venissero
declamati". Il ritmo di questi testi, dunque, deve essere quello della declamazione[1].
Accanto al canto gregoriano, praticato in ambito liturgico, si sviluppò una produzione musicale
sacra che non era legata alla liturgia. Si tratta di una produzione in latino data dall'ufficio
drammatico (e poi dal dramma liturgico) e di una tradizione in volgare, data dalle laudi. Nel
Medioevo, all'interno della liturgia, si cominciarono a teatralizzare rievocazioni del testo sacro che
lo consentivano. Questa prima fase della teatralizzazione di momenti del testo sacro prese il nome
di ufficio drammatico, perché la teatralizzazione avveniva nell'ambito di una celebrazione liturgica.
Il passo successivo fu la nascita del dramma liturgico che fu una vera e propria rappresentazione
teatrale, realizzata sull'altare della chiesa, in cui i chierici vestivano i panni di attori. Il dramma
liturgico fu una rappresentazione teatrale ispirata alla tradizione del vecchio e del nuovo
Testamento e interamente cantato. Il passaggio dall'ufficio drammatico al dramma liturgico risulta
evidente se si prende in considerazione il primo ufficio drammatico, "quem quaeritis?, un tropo che
si cantava nel mattutino pasquale. Il mattutino è quel momento della liturgia delle ore che riguarda
l'inizio, una delle prime ore del giorno di Pasqua. Questo tropo era un canto interamente inventato
che rievocava l'incontro dell'angelo con le pie donne. Questo nucleo dialogico venne teatralizzato,
dunque diventò un ufficio drammatico. Quando dal canto teatralizzato si passò alla
rappresentazione vera e propria in cui all'angelo e alle pie donne si aggiungono altri personaggi,
nasce il dramma liturgico che prende il nome di Ludus Paschalis perché la parola che venne
utilizzata per indicare questi drammi di norma fu ludus, gioco. Fra l'altro, si tenga conto che il
rapporto fra la teatralità e il gioco è molto diffuso nelle lingue non italiane.
Il ludus Danielis rievoca la vicenda di Daniele e della fossa dei leoni ed è una rappresentazione
molto interessante perché è il più grandioso dramma liturgico. Prevede molti personaggi in scena, la
presenza di strumenti accanto alle voci ed ha un numero molto alto di melodie di varia provenienza.
(gregoriana, ma anche melodie più vicine alla tradizione della lirica volgare). Inoltre, il ludus
Danielis ha delle parti in volgare perché i fedeli ormai parlavano in volgare e, quindi, in una
rappresentazione teatrale che doveva raggiungere direttamente il fedele in una rappresentazione
teatrale si sentì la necessità di inserire parole, frasi o parti in lingua volgare. A questo inserimento
della lingua volgare si accompagnò la tendenza di inserire delle parti comiche che vennero legate in
particolare ad alcuni personaggi. Ad esempio San Pietro era esposto alla comicità. Questo provocò
una reazione della chiesa che, ad un certo punto, vietò che i drammi liturgici, divenuti troppo
profani, si facessero all'interno della chiesa. Questi drammi liturgici, quindi, vennero spostati sul
sagrato della chiesa e divennero sacre rappresentazioni.
La sacra rappresentazione è una rappresentazione di contenuto sempre sacro, legato ad una vicenda
sacra. Si rappresentava fuori dalla chiesa, sul sagrato, ed era in lingua volgare. Col passare del
tempo, nel Medioevo, il testo della sacra rappresentazione assume una precisa versificazione, quella
in ottave di endecasillabi. Delle sacre rappresentazioni bisogna ricordare che si trattava di un teatro
che non rispettava i principi del teatro classico, cioè di unità di tempo di luogo e di azione che si
sarebbero applicate a partire dal 1400, quando venne scoperta la poetica di Aristotele e quindi si
applicarono i principi diciamo classicisti.
Accanto al dramma liturgico e alla sacra rappresentazione, dobbiamo ricordare come funzione
musicale di contenuto sacro uno extra liturgico, le Laudi. Il loro sviluppo va letto all'interno di una
grande fioritura religiosa che avvenne nel corso del Duecento, legata in gran parte anche alla
diffusione del movimento francescano. Infatti è il cantico delle creature di San Francesco d'Assisi,
di cui si sa che esistesse una traduzione musicale, che noi non possediamo. Più avanti si costituirono
addirittura delle confraternite. Preposte proprio all'esecuzione di laudi furono le confraternite di
laudi, le cui raccolte vennero chiamate laudari. Col passare del tempo, la lauda assunse la forma
metrica della ballata e tra queste ricordiamo due laudari che ci sono pervenuti:
Laudario di Cortona;
Codice della Biblioteca Magliabechiana di Firenze;
Sono due laudari in parte simili (le melodie derivano tutte da un protolaudario, cioè da un modello
originario), ma anche molto diversi (le melodie del laudario, che si trova nella Biblioteca Nazionale
di Firenze, sono molto più fiorite e i manoscritti in cui si trovano queste melodie sono molto più
ricchi eleganti e miniati rispetto a quelle del laudario di Cortona).
La notazione medievale
La notazione neumatica
Per scrivere le melodie i monaci avevano inventato dei neumi, parola che dal greco significa segni,
da porre sopra le parole dei canti, senza ausilio di righi e chiavi. I neumi non indicano l'esatta
altezza delle note, da apprendere oralmente, ma sottili sfumature ritmiche. La trasmissione orale del
canto gregoriano non impedì l'utilizzazione, dal punto di vista teorico, di una scrittura alfabetica
medievale, che, a differenza di quella greca, utilizzò le lettere dell'alfabeto latino. La notazione che
venne utilizzata fu quella di Oddone di Cluny. Si tratta di una notazione tuttora impiegata nei paesi
anglosassoni, che utilizza le lettere dalla A alla G, per indicare la successione dei suoni dal La al
Sol. Le lettere maiuscole si riferiscono alla prima ottava (quella più bassa), le lettere minuscole alla
seconda ottava(ottava intermedia).Per quanto riguarda il si, nota mobile, si utilizzava il si dai
contorni rotondi se bemolle, mentre il si dai contorni quadrati se naturale. Dal punto di vista pratico,
per facilitare le memorizzazione dei canti, si posero degli accenti (neumi) sul testo, che ricordavano,
a chi cantava o leggeva il testo, l'andamento della melodia. E poiché in greco l'accento si chiama
neuma, questa notazione venne chiamata neumatica. Inizialmente, gli accenti furono l'accento acuto
(´), l'accento grave (`), circonflesso (^) e l'anticirconflesso (ˇ). Gli vennero dati anche nomi, quali,
ad esempio, notazione in campo aperto (perché i neumi erano liberamente posti sul testo), notazione
adiastematica (da "diastema" = intervalli + "a privativa, cioè incapace di indicare l'altezza precisa
dei suoni, ma solo l'andamento della melodia) e notazione chironomica - da "cheiros" = mano,
perché riproponeva, in pergamena, il movimento della mano del "precento" (= direttore d'orchestra),
che guidava il coro.
Un momento decisivo nell'evoluzione della scrittura musicale fu quello in cui un ignoto copista
tracciò una linea a secco, senza inchiostro, sulla pergamena. Prima di questa linea pose la lettera C
(= Do, nella notazione alfabetica medievale). I neumi che stavano sopra della linea erano al di sopra
del do, mentre quelli che stavano sotto erano al di sotto del do. Successivamente venne aggiunta una
seconda linea, prima della quale venne messa la lettera "G" (che indicava il sol) ed una terza linea,
preceduta dalla lettera F (che indicava il Fa). L'evoluzione di queste lettere ha portato alla nascita
delle chiavi di Do, Sol e Fa. Inizialmente ogni linea aveva la sua chiave ed era colorata, per essere
distinta dalle altre. Il punto di arrivo di questo tentativo, di questo sforzo di trovare una notazione
che indicasse l'altezza reale dei suoni, quindi che non si limitasse ad indicare l'altezza della melodia
fu appunto la notazione quadrata guidoniana, una notazione costituita da quattro linee e tre spazi (=
tetragramma). La 5ª linea nacque quando si sviluppò un canto più ampio dal punto di vista
melodico. La chiave utilizzata era una sola. Dal punto di vista della forma dei neumi, questa
notazione deriva da quella aquitana.
Precisiamo che con il termine neuma si indica la nota o il gruppo di note che corrisponde ad una
sillaba. Quando la sillaba è resa da una sola nota grave, si ha il punctum; quando, invece, è resa da
una sola nota acuta, si ha la virga.
La tavola dei neumi di S. Gallo fu formulata dai benedettini di Solesmes. Prevede una lettura in
senso verticale e una in senso orizzontale:
Nella lettura in senso verticale vengono raggruppati i neumi che derivano dagli accenti, i neumi che
derivano dall'oriscus e neumi che derivano dall'apostrofo. 1.I neumi che derivano dagli accenti: i
più importanti sono il punctum, che è una singola nota al grave, e la virga, che è una singola nota
all'acuto. I neumi che derivano da più note: i più importanti sono:
il podatus o pes, che indica due note ascendenti, perché è dato dall'unione del punctum con
la virga;
La clivis, che indica due note discendenti ed è data dall'unione di un accento acuto, che
indica la nota più alta, e dall'unione di una virga con un punctum, che indica la discesa;
Climacus: indica 3 o più note discendenti ed è reso da una virga con due punctum;
Scandicus: è dato da tre note ascendenti ed è reso da un punctum e una virga;
Torculus: è una nota acuta fra due gravi;
Porrectus: è una grave tra due acute;
Nella lettura in senso orizzontale, invece, si hanno i vari modi con cui un neuma può essere
modificato. Normalmente un neuma poteva essere modificato, nella sua forma o per mezzo di
lettere, per indicare un mutamento nell'esecuzione. Le lettere utilizzate erano la "t" e "c", che
significano rispettivamente "tenete" (= il neuma deve essere allungato) e "celerite" (procedere
rapidamente). Un neuma poteva essere allungato anche aggiungendo un piccolo segnale, un piccolo
trattino detto episema.
Poi abbiamo un particolare tipo di intervento sulla scrittura, lo stacco neumatico. Con esso si nota
che il tropatore, mentre sta scrivendo, improvvisamente stacca la penna. Si vede, quindi, un pezzo
bianco. Lo stacco neumatico evidenzia un momento di respiro. C'è poi un ultimo carattere che è la
liquescenza che veniva posta sopra sillabe particolarmente complesse, per esempio, sopra le sillabe
che presentavano scontri consonantici. Quando questo segno veniva posto sopra queste sillabe, il
cantore sapeva che doveva ridurre il volume della voce in modo da non far percepire
eccessivamente lo scontro consonantico. Così facendo, il carattere aspro, sgradevole di queste
sillabe veniva ridotto. Il quilisma è un segno neumatico che si trova quasi sempre nel mezzo di una
terza ascendente. Indica una nota di transizione cantata con voce leggera e flessibile. Questi vari tipi
di neumi legati alla notazione di S. Gallo ritornano uguali nella notazione quadrata guidoniana,
quindi una singola nota grave viene indicata da un singolo neuma quadrato. La differenza fra neuma
quadrato e neuma di S. Gallo è che il neuma di S. Gallo, da cui il neuma quadrato deriva, non dava
l'altezza, mentre il neuma quadrato indica l'insieme delle note che vanno sulla sillaba, ma ci dà
anche la loro altezza precisa. Analizzando un brano in scrittura quadrata vediamo che ci sono delle
stanghette. La stanghetta alta più piccola divide due incisi, la stanghetta che sta nel mezzo del
tetragramma separa due frasi, la doppia stanghetta indica l'alternarsi di un coro con l'altro o del coro
col solista.
Parlando della polifonia, quando si cominciano ad utilizzare lo stile di discanto, si sente la necessità
di fare un'organizzazione ritmica più rigorosa che viene data da 6 schemi ritmici che nacquero dalla
prassi musicale. Questi sei schemi ritmici furono tutti caratterizzati dalla suddivisione ternaria per il
discorso trinitario. Nel momento in cui questi schemi vennero codificati per acquisire una maggiore
legittimità culturale, si utilizzarono i piedi della metrica classica, quindi il primo modo fu dato da
una virga e da un punctum.
Detto questo, che si trattasse di un'applicazione artificiosa a dei modelli ritmici preesistenti è
dimostrato dal fatto che, in alcuni casi, il piede della metrica greca corrisponde al ritmo effettivo,
mentre in altri casi no. Ogni voce aveva il suo modo ritmico, per esempio la voce di tenor di una
composizione sempre al 5º modo, cioè il canto gregoriano al tenor veniva dato sempre con la
scansione ritmica che camminava meno velocemente delle voci superiori alle quali venivano dati
altri schemi ritmici un po' più movimentati. Era essenziale nell'organizzazione di un modo ritmico
l'Ordo(= ordine). Gli ordines consistevano nell'indicare quante volte si doveva ripetere uno schema
ritmico prima di una pausa.
La suddivisione della longa viene detta Modus. Il modo è perfectus se la longa è divisa in 3 brevis,
imperfectus se la longa è divisa in due brevis. La suddivisione della brevis viene chiamata tempus,
detto perfectum se è divisa in tre e imperfectum se è divisa in due semibrevis. La suddivisione della
semibrevis viene chiamata Prolatio e si dice Maior se la semibrevis è divisa in 3 minime e minor se
la semibrevis è divisa in due minime. In Italia abbiamo, inoltre, una notazione dell'ars nova italiana
che deriva da quella francese, ma che è un po' più complessa. Questa notazione venne impostata da
Marchetto da Padova in un trattato chiamato "Pomerium in arte musicae mensurate". In essa viene
aggiunta anche la semiminima e le varie suddivisioni delle varie figure, dalle più grandi alle più
piccole, sono ancora più complesse di quelle dell'ars nova francese. Inoltre, vi erano delle scritture
nere e bianche.
I trovatori
I trovatori furono poeti attivi nei secoli XII e XIII nelle corti aristocratiche della Provenza, regione
attualmente appartenente alla Francia. Parlavano la lingua occitana. Successivamente, trovatori si
poterono trovare in Francia, Catalogna, Italia settentrionale, e vennero ad essere influenzate tutte le
scuole letterarie d'Europa: la scuola siciliana, toscana, tedesca, scuola mozarabica e portoghese. Fra
i più noti si ricordano:
Bernard de Ventadorn
Jaufré Rudel
Raimbaud de Vaqueiras
Guglielmo IX d'Aquitania
Trovieri
Erano musicisti provenienti dalla Francia del nord. Il loro modo di vestire era molto diverso da
quello dei trovatori e anche il loro dialetto: parlavano la lingua d'oil, uno dei due volgari francesi
(assieme alla lingua d'oc).
Ars antiqua
Con il termine Ars Antiqua (o Ars Vetus) è indicato quel periodo convenzionale della Storia della
musica anteriore al XIV secolo nel corso del quale in Italia e in Francia venne gradatamente
recepita la "riforma" compositiva e musicale, iniziata da Philippe de Vitry e da Marchetto da
Padova, chiamata provocatoriamente Ars nova. In particolare si ha la riforma della polifonia. Fra gli
esponenti più rilevanti si citano:
Adam de la Halle
Francone da Colonia
Petrus de Cruce
Riccardo Cuor di Leone
Thibaud IV de Champagne
La Scuola di Notre Dame o Scuola di Parigi fu una scuola musicale al servizio della cattedrale di
Notre Dame di Parigi, nella quale tra il XII secolo e gli inizi del XIII, si sviluppò la polifonia. Gli
unici esponenti a noi noti sono:
Leoninus
Perotinus
Ars nova
L'ars nova è la rivoluzione dell'Ars antiqua che era molto diversa da quella che descriviamo adesso:
Ars Nova è la locuzione con cui si indicò nel XIV secolo un nuovo sistema di notazione ritmico-
musicale in contrapposizione a quello dei secoli precedenti. L'Ars Nova si sviluppò quasi
contemporaneamente in Francia e in Italia, all'inizio del XIV secolo. Nel 1377 l'Ars Nova francese e
italiana si fusero: nella notazione di Marchetto da Padova, per esempio, si inseriscono le figure
ritmiche di Vitry, la ballata diventa a 2 voci e quasi sostituisce il madrigale.
Machaut (a destra) riceve Nature e tre dei suoi bambini, da una illustrazione di un manoscritto
parigino del 1350
Philippe de Vitry
Guillaume de Machaut
Marchetto da Padova
Francesco Landini
Jacopo da Bologna