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ESAME Storia Dei Generi e Delle Forme Musicali.
ESAME Storia Dei Generi e Delle Forme Musicali.
I brani di musica d’insieme non erano destinati a strumenti determinati - “per ogni sorta di
strumenti” è l’espressione che comunemente appare nei titoli delle opere stampate.
Le tacite convenzioni della prassi esecutiva erano di solito condizionate da fattori sociologici,
e l’assegnazione timbrica era variamente stabilita a seconda delle consuetudini legate ad
ambienti diversi e alla disponibilità degli esecutori.
Va però tenuto presente che la produzione strumentale del Cinquecento rimase pur sempre,
e in gran parte, legata sostanzialmente, nei tratti stilistici e formali, ai modelli vocali.
Nel corso del XVI secolo, la composizione strumentale si allontana sempre di più dal
semplice ricalco ed emulazione della vocalità.
Le peculiarità di ogni singolo strumento vengono sempre di più consapevolmente valorizzate
ed evidenziate. Si apre la via alla coltivazione del virtuosismo esecutivo.
Nei primi decenni del Cinquecento ha anche inizio la pubblicazione di manuali pratici che
descrivono le proprietà specifiche dei singoli strumenti e che danno istruzioni su come
suonarli.
A fine anni Cinquanta e nei primi anni del Seicento, vengono riconosciute le possibilità
superiori, tanto virtuosistiche quanto espressive, del violino rispetto agli altri strumenti. Si
assiste pertanto all’espansione del repertorio musicale destinato specificamente a questo
strumento.
Funzioni ed usi della musica strumentale solistica e d’insieme.
Sia in ambito ecclesiastico che profano, molti generi di musica strumentale venivano
utilizzati prevalentemente in funzione di intonazione, di pre-,post-, o interludio ad eventi
liturgici, cerimoniali e scenici. Fino ad almeno i primi anni del Seicento, era molto diffuso il
repertorio di brani strumentali spesso basati su melodie popolari, che venivano impiegati per
accompagnare i movimenti di danza.
Nel corso del XVI secolo il repertorio della danza venne via via sottratto al suo impiego
funzionale di musica di consumo per assumere la forma di musica d’arte stilizzata, di musica
da camera domestica diffusa nelle cerchie di strumentisti dilettanti.
Durante il XVI secolo, l’impiego degli strumentisti nel servizio liturgico era limitato, eccezion
fatta per l’organo, alle cappelle vescovili e a poche chiese poste nei domini di principi e
potenti.
Negli ultimi decenni del secolo numerose cappelle ecclesiastiche assegnarono un posto
stabile agli strumentisti.
Nel quadro della lettura organistica strettamente funzionale al servizio liturgico, un posto di
particolare rilievo spetta alla pratica delle “Messe per organo”, documentabile già nel XV
secolo in Germania e in Italia, e in San Marco a partire dagli ultimi decenni del Cinquecento.
Prevedeva che l’organista suonasse dei brani alternatamente al coro, invece di
accompagnarlo nella varie parti dell’Ordinario.
I brevi pezzi organistici erano fondati su una melodia gregoriana trattata ed elaborata
dapprima rigorosamente e poi più deliberatamente secondo il metodo tradizionale, molto
adoperato anche nelle polifonie vocali, del cantus firmus.
I procedimenti compositivi.
Il compositore di musica strumentale, di norma esecutore delle proprie creazioni, doveva
risolvere il problema di dare assetto formale ad un brano musicale privo di un testo poetico.
L’itinerario di una composizione strumentale ha da trovare sostanzialmente in sé e soltanto
in sé le apposite strategie di organizzazione formale.
Uno dei procedimenti compositivi più frequentemente adottati nei brani strumentali riguarda
la semplice elaborazione contrappuntistica sopra una melodia data, perlopiù di origine
vocale.
Altro procedimento comunemente adoperato è l’elaborazione di più motivi identici o variati
mediante artifizi imitativi molteplici e diversi.
Nella letteratura organistica per i servizi dell’Ufficio e della Messa si usa il procedimento di
parafrasare segmenti di canto gregoriano che fungevano da cantus firmi.
L’esenzione del vincolo del testo poetico offre comunque al compositore strumentale le
possibilità di variare.
La configurazione formale d’un pezzo strumentale è concepita dinamicamente e sfrutta man
mano e sempre più le peculiarità timbriche dei singoli strumenti.
Mutevole, elastica e svariata ha pertanto da essere l’organizzazione formale di un brano
strumentale.
Le composizioni che invece servivano per accompagnare dei movimenti di danza o che su di
essa erano modellate ad uso esclusivamente cameristico (e non coreutico), seguono
un'organizzazione formale precostruita, basata sulla periodicità e la regolarità dei gesti
melodici, ritmici, armonici e sulla ricorrenza di sezioni uguali (lo schema bipartito è quello più
usato).
Toccata.
Nei primi decenni del XVI secolo, la toccata ha la funzione di brano preludiante e
introduttivo, dall’andamento libero e fantasioso.
Il termine stesso ne precisa la specifica maniera di realizzazione sonora ottenuta mediante
il “toccare” lo strumento.
Nella seconda metà del XVI secolo, la toccata era il solo genere del repertorio da Chiesa,
destinato esclusivamente all’organo.
I brillanti motivi ornamentali e i passaggi cadenzali caratteristici delle sue toccate furono
ritenuti degni di imitazione.
Non sempre le sezioni di una Toccata sono nitidamente separabili l’uno dall’altra.
Tipico procedimento di aprire la toccata con un inizio accordale relativamente statico dal
punto di vista ritmico. Passando poi ad una fase di maggior movimento, con scale e trilli di
vario tipo. Poi si passa ad una sezione di passaggi altamente virtuosistici, e si conclude con
una specie di coda iniziata con un movimento armonico plagale.
Le dodici Fantasie, composte a soli venticinque anni, offrono una vivida testimonianza della
solida perizia tecnica e dello straordinario talento compositivo di Frescobaldi.
Suite.
La musica da ballo.
Nel secondo Cinquecento si verifica il graduale processo di stilizzazione e assolutizzazione
della musica da ballo in musica d’arte, sottratta al suo impiego funzionale e affidata alla
prassi musicale da camera e domestica. Il repertorio delle diverse danze svolse un ruolo
preminente nello sviluppo della musica strumentale.
Le musiche da ballo hanno in comune la tendenza alla semplicità della scrittura, con gli
accordi che accentuano la regolarità ritmica, prevale la simmetria dei periodi di quattro, otto,
sedici battute, e ciascuna sezione è nettamente articolata con cadenze.
L’aggruppamento di diversi tipi di danza costituì il primo stadio di sviluppo della Suite.
Il termine “suite” apparve per la prima volta nella raccolta Estienne Du Tertre (metà XVI),
Septième livre de danceries, per designare l’aggruppamento di diverse varietà di danza.
Tra le danze che incontrarono il maggior favore nel XVI secolo e oltre vanno segnalate le
seguenti:
● SALTARELLO, in metro ternario di andamento veloce.
● CORRENTE, in vivace metro ternario puntato (AA BB)
● ALLEMANDA, in metro ternario lento, composta da tre o quattro sezioni simmetriche.
● SARABANDA, in metro ternario lento o veloce, formata di due sezioni ripetute.
● GIGA, in metro composto (6/8,12/8) di andamento vivace, divisa in due sezioni
ripetute.
Agli inizi del Seicento molte musiche da ballo perdono la loro funzione coreutica e vengono
composte ad uso esclusivamente cameristico, pur obbedendo ai principi organizzativi,
metrici e ritmici nonché ai gesti melodici delle forme originarie, ma affinandoli e stilizzandoli
al massimo.
Intorno alla metà del secolo compare in Francia e in Germania il tipo definitivo di suite in
tre-quattro tempi s’allontana da ogni connessione coreografica e che viene composta
perlopiù per clavicembalo.
Alla suites si dà una nomenclatura varia: Partiten in Germania, Ordres in Francia, Lessons in
Inghilterra.
A Froberger va il merito di aver dato alla Suite, che rappresenta un parte importante della
sua opera, l’assetto fondamentale che sarà mantenuto in futuro, ossia una unità musicale
emersa dalla volontà del compositore piuttosto che lasciata alle scelte arbitrarie.
Le sue trenta suites per clavicembalo ci sono pervenute in due volumi autografi.
Nel primo volume (1649) abbiamo il tipo di suite in tre movimenti
(ALLEMANDA-CORRENTE-SARABANDA) solo la n.3 adotta l’ordine classico dei movimenti
(ALLEMANDA-CORRENTE-SARABANDA-GIGA).
Il secondo volume (1657) mette la giga al secondo posto
(ALLEMANDA-GIGA-CORRENTE-SARABANDA).
François Couperin (1668-1733)
Figura eminente nel panorama della musica clavicembalistica francese dei primi anni del
Settecento è quella di François Couperin.
Pièces de clavecin
- primo libro (1713): ordres 1-5
- secondo libro (1717): ordres 6-12
- terzo libro (1722): ordres 13-19
- quarto libro (1730): ordres 20-27
Alla base della maggior parte di questi brani sono forme di danza stilizzate, anche se solo in
pochi casi un movimento di danza è esplicitamente indicato. All’inizio molti recano un proprio
titolo che riguarda il carattere del brano quanto il suo movimento più appropriato
I titoli, straordinariamente vari alludono perlopiù ad effettivi elementi descrittivi.
XXV Ordre
1. La visionaire
2. La mystérieuse
3. La Monflambert
4. La Muse victorieuse
5. Les ombres errantes
Vediamo come si legano i brani a delle suggestioni (titolo), si sviluppa questo gusto in
francia, lo scopo è di avvolgere con eleganza, con delle suggestioni ii brani.
Attraverso il titolo del brano possiamo pure trovare degli omaggi a delle famiglie o
personaggi importanti (es. La Monflambert).
Couperin utilizza lo schema bipartito tipico delle danze francesi nello stile di corte, quali
l’Allemande e la Sarabande. La forma prediletta è il Rondeau.
Couperin compensa l’esilità di suono e la fissità dinamica del clavicembalo con una
ricchezza della scrittura imitativa, spostamenti dall'acuto al grave, incrociando le mani, uso
del legato e del tocco secco a martelletto.
Abbiamo una fitta trama di abbellimento, segnati accuratamente sulle rispettive note: trilli,
mordenti, appoggiatore ecc..
Nei suoi pezzi per clavicembalo Couperin assegna particolare importanza all’esplorazione
armonica.
Un raffinatissimo senso ritmico: pur se orientato ad una scansione regolare e costante, il
movimento ritmico mantiene una certa mobilità data dal sapiente gioco di variazioni e
alterazioni delle figure ritmiche.
Vi è inoltre una grande varietà delle indicazioni metriche.
La Sonata.
Nel primo Seicento le composizioni designate con il termine “sonata” di solito usavano una
combinazione di strumenti a corde o a fiato, oppure archi e basso continuo.
Molte delle prime sonata consistono in una successione di sezioni brevi tra loro contrastanti.
La sonata poteva essere per una, due, tre o quattro parti strumentali, più
l’accompagnamento del basso continuo.
Verso la metà del secolo cominciò a prevalere la sonata detta “in trio” o “a tre”.
Variabile era il numero della sonata a tre, e anche la scelta e l'intercambiabilità degli
strumenti. Questa versatilità era più che altro dettata dalla aspirazione alla massima
vendibilità. Nei titoli infatti non si specificava affatto il numero degli interpreti: “a tre” si riferiva
alle sole parti melodiche reali.
La sonata a tre veneziana degli anni 1620-1630 impiega di solito una combinazione di
strumenti a corda e a fiato.
A partire dagli ultimi anni del Seicento la sonata solistica e d’insieme tende in linea di
massima ad essere articolata in quattro movimenti che si susseguono nel tipico ordine
lento-veloce-lento-veloce.
Tra le caratteristiche stilistiche prevalenti vi è l’uso di procedimenti imitativi.
Rispetto al secolo precedente, l’editoria veneziana subì un vistoso declino dovuto anche alla
concorrenza che veniva dall’estero.
L’Olanda e l’Inghilterra conquistarono ben presto una buona parte del mercato europeo di
musica strumentale, perché gli editori praticavano su larga scala tecniche più moderne e
meno costose dell’incisione musicale su lastre di rame, che permetteva di riusare la stessa
lastra per le successive riedizioni e a basso costo.
In Italia, invece, si continuava ad adoperare ancora il procedimento coi caratteri mobili, più
costoso e meno elegante.
Basso continuo.
Tecnica esecutiva e compositiva praticata dalla fine del XVI secolo e codificata all’inizio del
XVII secolo.
Il basso continuo (detto anche basso numerato, cifrato o figurato) è la parte musicale di una
partitura in cui è notato il registro più grave di una composizione. Esso fu regolarmente
utilizzato in tutti i generi musicali vocali e strumentali a partire dall'inizio del XVII secolo fino
al cadere del XVIII. Nel basso continuo viene notata in forma sintetica, su un unico rigo, la
parte degli strumenti ad esso solitamente destinati (organo, clavicembalo, arpa, viola da
gamba, tiorba, arciliuto ecc.). Grazie anche alle indicazioni numeriche (da cui il nome di
basso numerato, cifrato o figurato), talvolta, ma non necessariamente, presenti sulle note del
basso continuo, gli esecutori potevano estemporaneamente realizzare per esteso l'armonia
del brano mediante una successione di accordi ed altre note di abbellimento. Più
esattamente i numeri (semplici, doppi, tripli) indicavano gli intervalli delle note da suonare
rispetto alla nota del basso. Nella pratica, altri strumenti gravi, ad arco (violoncello, violone,
contrabbasso) o a fiato (trombone, fagotto), potevano raddoppiare la linea del basso
continuo.
Il basso continuo non fu utilizzato soltanto nella pratica dell'accompagnamento, ma anche
come linea-guida di una composizione per strumento a tastiera, elaborata all'impronta
dall'organista o dal clavicembalista sulla base del basso numerato.
Nel secondo Seicento la musica per archi, d’insieme e solistica, conobbe per lungo tempo
nell’opera di Corelli il modello ideale, assoluto e ineguagliabile.
Senza precedenti fu la fama di Corelli, se si considera che egli fu compositore che coltivò
esclusivamente la musica strumentale, non scrisse alcun brano vocale.
Non fu neanche compositore estremamente fecondo: in trentacinque anni circa di attività
creativa, produsse in media poco più di un paio di sonate o concerti all’anno, settantadue
opere.
Segno indubitabile della fama ed internazionalità di Corelli è dato dall’alto indice di consumo
delle sue opere all’epoca, e dalla grande quantità di edizioni a stampa e copie manoscritte.
Il rango di caposcuola tenuto da Corelli si avverte anche dalla lunga schiera di musicisti e di
violinisti-compositori accorsi a Roma da molte regioni d'Italia e d’Europa per studiare sotto la
sua guida.
L’arte di Corelli si presenta come momento di sintesi e di voluta stilizzazione dei generi e dei
modi di scrittura violinistica.
Precisa sembra la volontà di Corelli di offrire forme compositive pervenute ad uno stadio tale
di conchiusa perfezione si da assurgere inevitabilmente a modelli immutabili di scrittura e di
tecnica strumentale.
Questo in effetti è il senso di “classicismo” che la critica musicale ha sempre riconosciuto
alle creazioni corelliane.
L'opera di Corelli si impone come magistero di equilibrio, di razionalità e di perfezione
formale, come il modello di esemplare funzionalità didattica e tecnica.
Una delle ragioni della fortuna di Corelli risiede appunto nella razionale semplicità della sua
arte.
Corelli tiene sempre d’occhio l’agio dell’esecuzione e l’”effetto” naturale dello strumento.
Si tratta pertanto di un'arte in grado di soddisfare e affascinare ambienti culturali
differentissimi e differentemente motivati.
Lo stile delle opere corelliane assurgerà a modello conosciuto e ammirato in tutta Europa.
sorte che è toccata, più che ad altri prima di lui, a Palestrina e a Frescobaldi.
A Corelli va inoltre assegnata l’invenzione di equilibrati rapporti tra polifonia, omofonia e forte
senso della tonalità nell’ambito del sistema maggiore-minore.
Egli è tra i primi compositori ad avviare il processo di purificazione e di semplificazione della
scrittura polifonica rigorosa di ascendenza cinquecentesca.
Il contrappunto imitativo di Corelli è, infatti, sempre segnatamente ancorato ad un solido
substrato armonico tonale che è chiaramente definito dalla linea del basso continuo.ù
Egli sfrutta bene le risorse dello stile fugato e dei canoni all’unisono.
Dialoghi imitativi fittamente intrecciati tra i due violini, il gioco imitativo delle parti, a cui non
raramente partecipa il basso, appare decisamente proteso verso il raggiungimento di aree
tonali chiaramente definite.
La forma sonata.
Un procedimento compositivo che fu molto adoperato nel periodo classico (resterà valido
fino ad Ottocento inoltrato) è la cosiddetta “forma sonata”.
Un principio compositivo fondato sull’organizzazione coerente e unitaria di elementi
armonico-tonali e tematici.
La forma sonata è di norma adoperata nei primi movimenti di una qualsiasi composizione
strumentale, sia solistica (sonate), che cameristica (quartetti) che orchestrale (sinfonie e
concerti solistici).
Risale al primo Ottocento la codificazione teorica della forma sonata come struttura tipica del
periodo classico.
Il carattere drammatico della contrapposizione dei “due” temi fu ritenuto segno caratteristico
di ciò che Reicha chiama “la grande forma binaria”.
Si confermerà l’idea che sono basilari la contrapposizione dei temi e la polarizzazione delle
aree tonali per l’articolazione della forma. Ma non è possibile sottovalutare la struttura
tematica: i temi e i loro ordine hanno un ruolo importante nell’articolazione della forma.
Risulta, ad esempio, a volte difficile, talvolta impossibile, applicare lo schema astratto a molti
lavori tardo-settecenteschi, in particolare a molte opere di Haydn.
Sarebbe di certo un errore pensare che per i compositori del XVIII secolo esistessero dei
modelli fissi di forma-sonata. E’ anzi molto dubbio che si possa definire un’unica
forma-sonata.
Gli eventi strutturali delineati dal coordinamento di elementi armonici e tematici si collocano
secondo il seguente percorso:
Il contrasto delle sezioni è marcato con forza con mezzi tematici che hanno la precisa
funzione di articolare in vari modi e di definire in maniera coerente la struttura della forma.
Importante è la posizione che i temi occupano e la funzione che svolgono.
Il contrasto di carattere di un tema dipende cioè dal contrasto di funzione che assume
all’interno della struttura.
Chi analizzi un movimento in forma-sonata deve chiedersi dove si trovino i punti cardine
della struttura, per poi arrivare ad afferrare il senso unitario della forma, percependone i
nessi connettivi e i tratti distintivi.
Nella forma-sonata i punti di articolazione sono rinforzati quasi sempre da una pausa, da un
mutamento del disegno ritmico, da un improvviso cambiamento del ritmo armonico ecc..
ESPOSIZIONE
Contrassegno determinante di questa prima parte è il contrasto delle tonalità.
Funzione del primo gruppo tematico è la definizione immediata ed inequivocabile della
tonica.
Il movimento verso la dominante (o verso la relativa maggiore) può avvenire in una grande
varietà di modi.
La procedura seguita dalla maggior parte dei compositori è di dare forza propulsiva e
direzionale alla sezione di Transizione, detta anche “ponte modulante”, attraverso il
coinvolgimento di più elementi del linguaggio musicale:
Al momento di iniziare il movimento che allontana dalla tonica, molti compositori usano
presentare un’idea tematica totalmente nuova.
Una volta completata la modulazione alla dominante (o alla relativa maggiore), può
intervenire un nuovo tema di carattere completamente diverso.
Il “secondo tema”, un importante cambiamento tematico, molto spesso di carattere melodico
pregnante ed espressivo, che risulti nettamente opposto ai temi principali.
SVILUPPO
Questa sezione della forma-sonata assolve due funzioni:
1. ritardare attraverso il movimento armonico e l’elaborazione motivica la
stabilizzazione tonale
2. di preparare la risoluzione alla tonica che si avrà nella Ripresa
Per non dare mai l’impressione di una seconda tonalità che possa rivaleggiare con la
dominante o la tonica, si fa ampio uso di progressioni rapidamente modulanti e di estesi
cromatismi. Molto adoperate sono le varianti motiviche dei temi.
Può persino apparire un tema totalmente nuovo all’inizio (Mozart, Quartetto d’archi in Sib
magg. K458).
Ci sono Sviluppi che non fanno affatto allusione all’Esposizione.
RIPRESA
Funzione della Ripresa è di risolvere le tensioni armoniche e tonali che si erano create in
parte dell’Esposizione e nello Sviluppo. Il ritorno alla tonica non comporta però la ripetizione
pure e semplice di tutta o di parte dell’Esposizione, ora trasposta alla tonalità di base.
Fino al 1780 circa, la successione degli elementi tematici poteva essere invertita: si iniziava
la Ripresa con il secondo gruppo, senza far comparire affatto il primo tema principale.
CODA
La Ripresa viene spesso estesa mediante una Coda.
Funzione della Coda è di riaffermare la tonica facendo quasi sempre uso del tema
principale.
Tra i compositori attivi della seconda metà del XVIII secolo molto probabilmente nessuno
come Haydn diede un contributo così importante nel campo della musica strumentale e un
apporto così fondamentale alla formazione dello stile classico.
Ebbe la capacità di produrre capolavori eccellenti in quasi tutti i generi della musica.
Nel corso del suo lungo periodo creativo che si protrasse per oltre cinquant’anni, Haydn si
dedicò contemporaneamente a diversi generi di composizioni.
Uno dei grandi meriti di Haydn fu di aver saputo unire mirabilmente la maestria
contrappuntistica, le tecniche complesse della fuga, del canone, con il nuovo gusto, che si
potrebbe definire protoromantico per le espressioni forti e robusti contrasti.
Egli fu maestro supremo del quartetto d’archi e portò il genere della sinfonia all’apice della
perfezione quanto ad ampiezza e profondità di scrittura orchestrale.
IL QUARTETTO D’ARCHI.
Il Settecento fu dominato dall’affinamento dell’arte della conversazione, e fra le sue
conquiste maggiori si annoverano i quartetti di Haydn.
“Un amico mio s’immaginava nell’udire un quartetto d’Haydn d’assistere ad una conversazione di
quattro amabili persone e questa idea mi è sempre piaciuta, perché molto si avvicina al vero.
Sembrava a lui di riconoscere nel violino primo un uomo di spirito ed amabile, di mezza età, bel
parlatore, che sosteneva la maggior parte del discorso da lui stesso proposto ed animato. Nel
secondo violino riconosceva un amico del primo, il quale cercava per ogni maniera di farlo comparire,
occupandosi rare volte di {97n} se stesso ed intento a sostenere la conversazione più coll’adesione a
quanto udiva dall’altro che con idee sue proprie. Il Basso era un uomo sodo, dotto e sentenzioso.
Questi veniva via via appoggiando con laconiche, ma sicure sentenze il discorso del violino primo, e
talvolta da profeta, come uomo sperimentato nella cognizione delle cose, prediceva ciò che avrebbe
detto l’oratore principale, e dava forza e norma ai di lui detti. La viola poi gli sembrava una matrona
alquanto ciarliera, la quale non aveva per verità cose molto importanti da dire ma, pure voleva
intromettersi nel discorso e colla sua grazia condiva la conversazione, e talvolta con delle cicalate
dilettose dava tempo agli altri di prender fiato. Nel rimanente più amica del Basso che degli altri
interlocutori. “ Giuseppe Carpani, Le Haydine.
La produzione haydniana di quartetti d’archi si apre con l’op.9, cui fanno seguito le due serie
di quartetti dell’op.17 e dell’op.20, scritti tra il 1796 e il 1772.
Secondo l’uso dell’epoca, ciascuna serie è costituita di sei composizioni, ognuna articolata di
norma in quattro movimenti.
E’ di importanza capitale il contributo che Haydn dà in questi lavori al genere del quartetto
per due violini, viola e violoncello.
In molti scritti di teoria musicale tardo-settecenteschi il quartetto d’archi viene descritto come
il corrispettivo musicale di una conversazione seria fra uguali.
A Haydn viene riconosciuto il merito di essere stato d’esempio a tutti.
Il quartetto d’archi acquista infatti con Haydn uno spessore sonoro, una complessità e
raffinatezza di linguaggio, un’ampiezza di struttura prima di allora sconosciuti.
Haydn distribuisce il materiale tematico fra tutte le parti, utilizzando ampiamente la struttura
contrappuntistica.
La successione di quattro movimenti diventa la regola già nei quartetti dell’op.9, con acuti
contrasti tra un movimento e l’altro. In questa raccolta, come nell’op.17, è ancora evidente il
virtuosismo del primo violino su gli altri strumenti.
Lo sforzo di raggiungere una espressione vigorosa e profonda si rivela ancor più nei
quartetti dell’op.20. In tre lavori di questa raccolta (n2,5.6) Haydn si serve della complessa
struttura di fuga a due o tre soggetti per dare rilievo ai movimenti finali e presenta audaci
esperimenti di modulazioni.
Dopo l’op. 20 passò quasi un decennio prima che Haydn ritornasse al genere del quartetto.
Nel 1781 portò a termine sei quartetti dell’op.33, conosciuti come “quartetti russi” perchè
dedicati al granduca Pavel Petrovic.
Egli mirò a creare il tipo di quartetto classico, in cui si fondessero perfettamente rigore del
lavoro tematico e pregnanza dell’invenzione melodica, immediatezza del linguaggio
musicale e sottigliezza e semplicità.
Rispetto ai quartetti op.20, i quartetti op.33 si differenziano stilisticamente nei seguenti punti:
● l’interscambio tra parti principali e sussidiarie viene sviluppato appieno
● netta caratterizzazione di ciascuno dei quattro movimenti
● applicazione dei procedimenti della forma sonata nei primi movimenti
● tutti i minuetti sono indicati con scherzo o scherzando
● trasformazione del finale in un movimento orecchiabile, quasi di sapore “popolare”
● eccetto quello del quartetto n1, i finali sono scritti tutti i forma di rondò o di tema con
variazioni.
Nel Settecento si manifestò l’aumento della dimensione pubblica delle attività musicali che
stimolò la crescita del mercato dell’editoria musicale che si avvale ora della tecnica più
moderna e meno costosa dell’incisione su lastre di rame.
L’esigenza di far musica si realizzò nell’ambito delle manifestazioni concertistiche pubbliche
delle “Accademie musicali”, alle quali partecipano musicisti sia dilettanti sia professionisti.
Oltre a Londra e Parigi, tra le città nordeuropee che nel XVIII secolo svilupparono un’intensa
attività concertistica figurano Amburgo, Amsterdam, Berlino, Lipsia e, più tardi nel secolo,
Vienna.
Vale notare cge molto poco sappiamo sugli ambienti e le istituzioni che in Italia coltivarono la
musica strumentale. Con la possibile eccezione degli Ospedali veneziani, sembra che il
concerto pubblico a pagamento fosse un tipo di manifestazione musicale in quest’epoca
assai poco diffuso in Italia.
L’elemento solistico viene ad assumere una parte sempre più rilevante in tutti i generi di
musiche strumentali.
In molti casi i compositori sono essi stessi interpreti validissimi delle proprie creazioni
strumentali. E’ persino possibile incontrare, dopo l’esempio di Corelli, compositori che non
scrissero non una sola pagina di opere vocali.
Con la crescita della domanda di musiche strumentali i compositori si dedicarono sempre più
alla creazione di generi musicali facilmente smerciabili.
Ad una più ampia commerciabilità del prodotto musicale, specialmente nel campo della
musica orchestrale e da camera, contribuì segnatamente l’editoria musicale.
Nel nord-ovest del continente sorse alla fine del Seicento una vigorosa industria della
stampa musicale, che per la prima volta applicò alla musica, su ampia scala, la tecnica
dell’incisione su lastre di rame.
Il processo che usava caratteri mobili dava pertanto alla musica un aspetto spezzettato e
disordinato.
Nel primo ventennio del Settecento gli editori italiani non avevano ancora abbandonato la
vecchia tecnica dei caratteri mobili e non risulta che abbiano cercato sbocchi commerciali a
nord delle Alpi.
Molte opere di musicisti italiani più quotati in quel tempo furono così stampate all’estero.
Sulla scadente qualità delle edizioni italiane si pronuncia Vivaldi nella prefazione dell’op. 3,
L’Estro armonico, raccolta che fu stampata ad Amsterdam nel 1711 e a cui seguirono
edizioni francesi e inglesi.
Dal momento che i nobili veneziani di solito non impiegavano i musicisti come musicisti a
salario fisso, i compositori dipendevano dal mecenatismo forestiero. Per questa ragione è
importante considerare la ricchissima produzione di musica strumentale veneziana dei primi
anni del Settecento come manifestazione di una lunga e nobile tradizione che costituì un
modello per il resto dell’Europa.
SINFONIA.
Nel teatro musicale seicentesco, brani strumentali denominati “sinfonie” venivano eseguiti
durante talune scene liriche o di tempesta, ma soprattutto durante i cambiamenti
dell’apparato scenico.
Nella prassi operistica di fine seicento i compositori fecero sempre più ricorso alla sinfonie
introduttive denominate “avanti l’opera”. Questi brani non rispondevano ad uno schema
formale preciso e potevano essere caratterizzati da un’articolazione in due (lento-veloce o
veloce-lento), tre (veloce-lento-veloce) o anche in quattro-cinque brevi movimenti.
Ciò che significativamente emerge nelle sinfonie d’opera scritte a cavallo fra Sei e
Settecento si da A.Scarlatti sia dai maestri veneziani, è una costante ricerca del contrasto
per catturare l’attenzione dell’ascoltatore: di tempi tra un movimento e l’altro, all’interno di un
movimento di piani sonori differenziati (tra “soli” e “tutti”), di scrittura omofonica e imitativa, di
registri diversi nelle parti strumentali, di svariati materiali tematico nel tessuto
contrappuntistico.
Non è stato comunque chiarito del tutto in quale preciso momento si verificò l’emancipazione
della sinfonia dal melodramma. Sembra che i primi passi decisivi in questa direzione siano
avvenuti in maniera graduale e non siano stati opera di un singolo compositore.
Pare che l’inizio di questo processo sia da collocarsi in Italia tra il 1720 e il 1730.
SINFONIA DA CONCERTO.
Il genere di musica strumentale che nel periodo classico subì le trasformazioni più profonde
fu la sinfonia da concerto. Si andò alla ricerca di nuovi procedimenti formali e si modernizzò
la tecnica orchestrale.
Enorme fu la quantità di sinfonie prodotte in ogni parte d’Europa nel secondo Settecento.
La più grande domanda di opere sinfoniche proveniva, oltre dagli enti concertistici delle
principali capitali, dalle numerose orchestre mantenute dalla miriade di piccole corti
dell’Europa.
Nella seconda metà del secolo avvenne la sostituzione della Germania all’Italia come centro
della musica strumentale.
A partire dal 1750/1760 circa la sinfonia venne articolata in quattro movimenti nel tipico
ordine Allegro-Andante-Minuetto-Presto. Nel primo movimento si preseglie di norma la
forma-sonata. Nel movimento lento si prediligono lo stile cantabile e il clima lirico, forma di
un tema con variazioni.
Haydn fu il primo compositore ad usare il tema con variazioni nei movimenti lenti di sue
sinfonie e quartetti d’archi.
La scrittura orchestrale viene ora concepita non più come contrapposizione di masse
sonore, ma viene piuttosto pensata in favore dello “scambio” e dello sfruttamento
“caratterizzato” delle peculiarità timbriche ed espressive di “gruppi” di strumenti ben distinti
l’uno dall’altro.
Il clavicembalo viene eliminato dall’orchestra, salvo l’uso che se ne faceva nei lavori
operistici per accompagnare i recitativi; e l’organo veniva utilizzato per realizzare il basso
nella musica sacra.
Con l’aumento dell’organico orchestrale viene a rendersi man mano superflua la presenza di
uno strumento a tastiera per la realizzazione del continuo che completa l’armonia. E la
responsabilità di guidare l’orchestra è affidata al primo violino.
In precedenza ia fiati era stata assegnata la funzione di raddoppio degli archi secondo i modi
del concerto grosso. Nella sinfonia del periodo classico invece agli strumenti a fiato si
richiede una partecipazione costante alla presentazione e allo sviluppo dei materiali tematici
importanti.
Nell’ultimo ventennio circa del Settecento il complesso orchestrale si cristallizzò in una
formazione pressoché fissa, rimasta più o meno immutata praticamente fino ai nostri giorni.
L’insieme dell’orchestra viene distinto in tre “gruppi” principali: gli archi, i legni e gli ottoni.
Il complesso quadripartito degli archi a parti moltiplicate (violini primi e secondi, viole,
violoncelli e contrabbassi) costituisce il fulcro dell’edificio sonoro.
IL PERIODO CLASSICO.
IL CONCETTO DI “CLASSICISMO” MUSICALE.
Con la parola “classico” si suole designare il periodo della storia della musica compreso tra il
1750/1770 circa e il 1810/1820.
Riferito innanzitutto alla grande stagione della musica strumentale (orchestrale e
cameristica) che si compendia nei nomi di Haydn, Mozart e Beethoven, e che vide Vienna al
centro di un’ampia diramazione europea, il concetto di “classicismo” musicale fu elaborato
all’interno della cultura romantica tedesca dell’Ottocento, determinata a rivendicare e a
fissare una propria identità nazionale.
Il terreno su cui germina il linguaggio musicale del classicismo è “lo stile galante” fondato su
l'immediatezza comunicativa. Nuova però la tendenza a considerare la costruzione musicale
di più di una semplice melodia accompagnata, bensì come un discorso tra due o più parti,
dotato di una coerenza interna che investe il linguaggio musicale in tutte le sue componenti
(tessuto sonoro, melodia, ritmo, armonia, struttura delle frasi e dei periodi musicali.
La rivalutazione del contrappunto significa anche restituire alla composizione un aspetto più
complesso.
Non si rifiuta del tutto il gusto tipicamente galante per la piacevolezza delle frasi melodiche.
Haydn per esempio ama trasformare una banale, semplice formula di accompagnamento in
melodia o viceversa estrarre un accompagnamento dai motivi della parte principale. Questo
lo vediamo nei suoi quartetti d’archi.
La vita musicale subì alcune trasformazioni che portarono ad una ridefinizione della figura
sociale del musicista.
Comparve nella vita musicale europea una nuova forma di organizzazione del lavoro
musicale: il sistema capitalistico del “libero mercato” basato sul profitto, che offrì al
compositore l’opportunità di operare in relativamente piena autonomia artistica, senza per
questo rompere definitivamente con precedente sistema del mecenatismo (vedi il caso di
Haydn).
La nuova indipendenza imprenditoriale aprì per il musicista uno spazio al di là della corte e
della chiesa e contribuì a modificare i rapporti tra compositore, esecutore e pubblico.
L’artista “libero” che si rivolgeva con la sua opera ad un pubblico più vasto e anonimo,
sperimenta le soddisfazioni ma anche le delusioni di un’esistenza in gran parte dipendente
dal gusto o semplicemente dagli umori di quel pubblico interclassista.
In ogni caso, mai al compositore avrebbe sfiorato l’idea di scrivere un’opera senza una
precisa committenza o senza lo stimolo di un'occasione finanziaria, così soltanto per
realizzare se stesso; egli componeva per un interlocutore in carne ed ossa, sia esso
musicista raffinato, intenditore o ascoltatore appassionato.
Nel tardo settecento in grande considerazione furono tenute le capacità comunicative della
musica strumentale. E la ricerca di un repertorio orientato verso l’ascoltatore costituì in
genere l’elemento prevalente delle strategie e delle scelte compositive.
La benestante e colta classe borghese dimostrò un accresciuto interesse nei confronti della
musica.
Fu di certo la più abbiente borghesia colta a sostenere la cultura concertistica pubblica e
semipubblica delle metropoli europee.
Le diverse “società musicali” divennero istituzioni sempre più importanti in cui la borghesia e
la nobiltà insieme manifestavano la propria attenzione per la musica.
Cominciò così ulteriormente la figura del compositore professionista che vive principalmente
delle entrate procuratagli dalle sue composizioni: delle commissioni degli enti concertistici e
dalla vendita delle opere date alla stampe.
SINFONIE DI HAYDN.
Non meno importante è stato il contributo dato da Haydn nel portare lo stile sinfonico alla
graduale definizione e ad un nuovo livello di complessità molto elevata.
Egli ci ha lasciato centosette sinfonie composte tra il 1757/1795 ad un ritmo abbastanza
costante.
Quelle prima della Sinfonia n.82 furono quasi tutte pensate per il piccolo complesso
orchestrale di Esterhaza, che di norma comprendeva soltanto due oboi, due corni, fagotto e
archi.
In molte sinfonie degli anni ‘60-’70 è visibile la ricerca costante per effetti nuovi e per le
sorprese.
Numerosi sono gli interventi concertanti solistici.
Nelle sinfonie dei primi anni ‘60 è visibile l’influsso dello stile vivaldiano (E’ significativo
notare che molti concerti di Vivaldi, tra cui Le quattro stagioni, erano nella biblioteca di Paul
Anton Eszterhazy).
A partire dagli anni ‘80 Haydn riuscì a promuovere in tutta Europa la conoscenza delle sue
sinfonie. Il periodo dei suoi maggiori capolavori si fa iniziare con le cosiddette “sinfonie
parigine” che debbono la loro nascita alla committenza della Loge Olympique massonica di
Parigi.
Sono lavori che rivelano tutti un'orchestrazione più raffinata e la costante ricerca di effetti
nuovi.
[...] negli anni Ottanta, soprattutto per i generi strumentali maggiori, Haydn non componeva ormai più
per il principe Esztherházy ma per un pubblico immaginario molto più vasto. Aveva un proprio editore a
Vienna (Artaria), ma anche numerosi altri editori erano ansiosi di pubblicare musiche sue a Parigi,
Londra, Amsterdam e in varie città tedesche, con regolari accordi commerciali o con edizioni pirata. Pur
confinato a Esztherháza, Haydn era ben consapevole della popolarità di cui godeva in Europa, anche se,
in realtà, ciò che gli era dato conoscere era tutt’al più il buon andamento delle vendite di alcune raccolte
o di certi generi strumentali, senza potersi rendere conto di persona del perché. Non conosceva le ragioni
precise neppure del suo successo a Vienna, dove, a differenza di Mozart, e pur soggiornandovi ogni anno,
non aveva frequentazioni regolari né esperienze approfondite della vita concertistica. Tanto meno era in
grado di sapere quali fossero gli ingredienti della sua popolarità a Londra, essendo improbabile che gli
editori inglesi, ad esempio William Forster o John Bland, sapessero fornirgli chiarimenti. [...] Dopo il 1791
– data del suo arrivo a Londra – il pubblico da immaginario divenne presto una realtà familiare. La nuova
esperienza lo spinse subito a riconsiderare il proprio stile, e tracce dell’adattamento al gusto locale non
tardarono a emergere nelle nuove partiture.
I soggiorni londinesi furono indubbiamente gli avvenimenti più importanti della carriera
artistica del compositore. Straordinario successo ebbero le dodici sinfonie che presentò lui
stesso al pubblico londinese.
Sinfonia n. 93 in re maggiore
Sinfonia n. 94 in sol maggiore ‘La sorpresa’
Sinfonia n. 95 in do minore
Sinfonia n. 96 in re maggiore ‘Il miracolo’
Sinfonia n. 97 in do maggiore
Sinfonia n. 98 in si bemolle maggiore
Sinfonia n. 99 in mi bemolle maggiore
Sinfonia n. 100 in sol maggiore ‘Militare’
Sinfonia n. 101 in re maggiore ‘La pendola’
Sinfonia n. 102 in si bemolle maggiore
Sinfonia n. 103 in mi bemolle maggiore ‘Rullo di timpani’
Sinfonia n. 104 in re maggiore
Per i concerti a Londra Haydn ebbe a disposizione una eccezionale orchestra di sessanta
suonatori, ossia tre volte l’organico della modesta orchestra d’Eszterhaza.
Hanno infatti in comune queste ultime sinfonie uno stupendo equilibrio orchestrale.
Indiscusso divenne il predominio delle sue sinfonie, dei quartetti, delle sonata per pianoforte
nel repertorio concertistico a partire dal primo Ottocento.
Già nel 1804 le sue opere apparivano nei programmi di sala con la stessa frequenza di
quelle di Haydn e di Mozart e furono quasi tutte stampate durante la sua vita, spesso sotto il
suo stesso controllo.
Nessun compositore dell’epoca romantica potè sottrarsi al peso schiacciante della sua
eredità.
Alla sua morte, Beethoven lasciò una quantità di materiale documentario, forse superiore a
quanto ciò ci è stato lasciato da qualsiasi altro compositore.
Documenti di eccezionale importanza per la storia della vita creativa di Beethoven sono gli
schizzi musicali dove il compositore annotava ogni idea musicale che si presentava.
Beethoven non componeva in fretta e usava abbozzare la sua musica in grande anticipo
rispetto alla stesura finale, lavorava contemporaneamente a più composizioni.
Nel 1806/1807, ad esempio, lavorò contemporaneamente agli abbozzi della Quinta e della
Sesta sinfonia, che sono opere di carattere molto diverso l’una dall’altra.
Gli abbozzi preparatori assumono in lui una rilevanza particolare, superiore a quella che di
norma rivestono in qualsiasi altro compositore.
Molte delle sue opere scritte dal 1802 in poi si distinguono infatti per le proprie qualità
individuali proprio perché furono frutto di un lento e laborioso processo.
Ognuna delle nove sinfonie richiese un lungo periodo di gestazione, che nel caso estremo
della Nona sinfonia abbracciò un periodo di quasi dieci anni.
Vale notare che Mozart aveva composto le ultime tre sinfonie in meno di due mesi e che
Haydn terminò in pochi anni le dodici sinfonie “Londinesi”.
Non si può dire che Beethoven abbia creato nuove “forme”, neanche nelle sue ultime
composizioni sperimentali.
Sulla base di effettive differenze stilistiche, si suole suddividere le opere di Beethoven in tre
“periodi” creativi.
A proporre per primo tale ripartizione stilistica fu il musicologo Wilhelm von Lenz.
Tre periodi:
I: 1782-1802
Sinfonie nn. 1-2; concerti per pianoforte e orchestra nn. 1-3; sonate per pianoforte nn.
1-20
II: 1803-1815
Sinfonie nn. 3-8; concerti per pianoforte e orchestra nn. 4-5; concerto per violino;
sonate per pianoforte dall’op. 53 all’op. 90
III: 1816-1826
Sinfonia n. 9; Missa solemnis; sonate per pianoforte dall’op. 101 all’op. 111
Il primo periodo.
Sin dall’inizio della sua carriera creativa Beethoven operò nell’intento di espandere le
strutture formali che aveva ereditato dai suoi predecessori, introducendovi vari effetti e
procedimenti.
Le sonate per violino e pianoforte testimoniano, invece, la perfetta padronanza che aveva
Beethoven della scrittura squisitamente violinistica.
I due strumenti sono in genere trattati su un piano di parità: i materiali tematici sono
equamente distribuiti, con frequenti dialoghi serrati l’uno e l’altro strumento.
Il pianoforte è lo strumento che forse più di qualsiasi altro fu legato alla carriera artistica di
Beethoven e che fu per lui fonte principale e determinante di ispirazione.
Per tutta la vita fu continua la richiesta da parte sua di strumenti di estensione più ampia,
dotati di maggiore potenza sonora e di pedali più versatili.
Desiderava pertanto strumenti più evoluti, capaci di sostenere tali sonorità.
Il secondo periodo.
Praticamente ogni sua opera scritta dal 1802 in poi presenta di fatto spiccati caratteri
individuali e connotazioni formali molto significative.
L’elementare motivo ritmico di quattro note che apre il primo movimento della Quinta sinfonia
(1808), esso solo costituisce la sostanza tematica dell’intero movimento e ne determina il
carattere inconfondibilmente singolare e individuale.
Nelle opere del “secondo periodo” le strutture e gli schemi compositivi tradizionali non
vengono né pienamente accolti né completamente ripudiati, bensì utilizzati come “materiale”
da manipolare.
La Coda, aumenta molto in estensione nelle composizioni del secondo periodo: Beethoven
voleva così dare un peso speciale alla conclusione del movimento.
Caratteristica principale delle opere del secondo periodo è la spinta enfatica verso il
grandioso e il monumentale.
Tipici tratti di questo periodo:
Quinta sinfonia.
Nella Quinta sinfonia in DO min., Op. 67, composta nel 1807-1808, in cui i tratti distintivi
dello stile monumentale si presentano.
La Quinta acquistò la reputazione della sinfonia beethoveniana per eccellenza. Opera di cui
si nutrì l’estetica musicale romantica.
Particolarità stilistica di questa sinfonia è l’estrema economia del materiale tematico che
abbraccia la sinfonia nella sua totalità.
Beethoven dimostra la capacità straordinaria che possedeva di saper sfruttare al massimo
tutte le possibilità di sviluppo e di elaborazione di un singolo tema.
Il primo movimento vive in funzione del motivo ritmico di quattro note annunciato
solennemente nelle battute d’apertura.
Lo stesso motivo si insinua in alcuni punti del movimento lento, nella transizione tra terzo e
quarto movimento e nell’ultimo movimento.
Il terzo periodo.
Gli ultimi dieci anni della vita di Beethoven furono anni di isolamento, cagionato in primo
luogo dal notevole peggioramento dell’udito.
Da questo isolamento scaturiscono le ultime opere.
Beethoven si sforzò di raggiungere un nuovo equilibrio psicologico e creativo.
IL PERIODO ROMANTICO.
Furono i letterati tedeschi a impiegare per primi, sul finire del Settecento, il sostantivo
Romantik (“romanticismo”) per denominare la nuova corrente dell’arte della “sensibilità”
moderna svincolata dai modelli classici.
Fin dalle prime definizioni ideologiche del romanticismo formulate da scrittori e pensatori
tedeschi nell’ultima decade del Settecento, la musica viene considerata come quella tra le
arti singole è la più vicina al segreto ultimo delle cose, più dotata di suggestione irresistibile
quanto inesplicabile.
Era ferma convinzione dei romantici che il linguaggio musicale, in particolare quello della
musica strumentale, arrivasse a suscitare nell’animo di chi ascolta concetti e sensazioni che
trascendono le possibilità espressive della parola e dell’immagine.
La musica di Beethoven muove le leve del terrore, dell’orrore, dello spavento, del dolore e ridesta
appunto quella nostalgia infinita (Sehnsucht), che è l’essenza del romanticismo.
Va osservato che il termine romanticismo non è qui usato per denotare uno stile o un
periodo storico, ma per indicare una disposizione spirituale, uno stato d’animo.
Va tenuto presente che nell’Ottocento la critica musicale divenne uno strumento essenziale
e molto importante di comunicazione in campo musicale, esercitando una profonda influenza
sulla cultura musicale. Erano i grandi giornali musicali pubblicati nella capitali musicali che
modellavano il gusto del pubblico, creavano o distruggevano la reputazione di compositori e
esecutori.
Il mezzo tipico con quale la musica faceva il suo ingresso nella casa borghese era il
pianoforte.
La musica divenne oggetto di consumo di un pubblico di massa.
L’uomo si trascinava alla progressiva alienazione e alla ricerca di evasione dal contatto con
l'opacità del vivere quotidiano. La musica in particolare serviva ad appagare tali necessità.
Gli uomini romantici puntano l’attenzione verso l’interpretazione dei tumulti oscuri dell’anima,
di ciò che si chiama l’”inconscio”, il sogno. Di qui il culto dei romantici del misterioso e del
notturno, del bizzarro e del grottesco, del pauroso e dello spettrale, del diabolico e del
macabro, dell’erotico.
La tendenza della cultura romantica a tirare continuamente in ballo i fatti interiori della psiche
umana, privilegiando, la parte inconscia rispetto a quella consapevole.
Una delle novità fondamentali della cultura musicale del romanticismo è l’interesse della
musica del passato collegato, soprattutto in Germania con il sorgere del nazionalismo.
I compositori stessi prendono a fondamento del proprio stile quell’organizzazione delle forme
e degli elementi musicali che avevano contraddistinto la musica del periodo classico.
Nessun compositore, da Corelli a Debussy, ha tentato di mettere in dubbio o di seriamente
infrangere il sistema tonale maggiore-minore.
Il ripristino delle opere degli antichi maestri conosciuti e sconosciuti non sarebbe stato
possibile senza la nascita della musicologia.
Un ruolo importante nella promozione e nella diffusione della musica del passato fu svolto
dalle attività della associazioni musicali.
Ad esempio, sul versante Cattolico, gli esponenti del “movimento ceciliano” si dedicarono
con molto entusiasmo a ristabilire il repertorio del canto liturgico medievale e della polifonia
cinquecentesca.
La musica di J.S. Bach costituì pertanto un polo di attrazione per i musicisti tedeschi del XIX
secolo.
La sua musica strumentale fu elevata a paradigma della musica strumentale pura e venerata
come l’espressione d’una musicalità autenticamente germanica.
In molti casi il musicista acquisisce consapevolezza d’essere protagonista attivo della cultura
musicale del suo tempo, esce pertanto dal chiuso della sua arte per vestire i panni
dell’intellettuale.
Risulta oltremodo difficile caratterizzare sul piano stilistico il romanticismo musicale, non si
configura come uno stile ben determinato. Specie per quanto riguardo la musica
strumentale, si può fare qualche osservazione di carattere generale.
● SONORITA’ nuova sensibilità per il suono in sè, l’orchestra costituisce una fonte
inesauribile di colore e di effetti timbrici, e ora molti compositori la ritengono il mezzo
più idoneo per produrre sonorità evocative di situazioni e immagini tipicamente
romantiche.
Alcuni strumenti di nuovo o d’insolito uso sono accolti con sempre maggior frequenza
nell’organico strumentale: l’ottavino, il corno inglese, la tromba, l’arpa ecc…
Berlioz viene inoltre considerato il primo ed autorevole teorico dell’orchestrazione
moderna.
● ARMONIA la maggior parte dei compositori romantici attribuisce all’armonia una
funzione prevalentemente espressiva più che architettonico-formale.
● MELODIA maggiore scioltezza e flessibilità rispetto al classicismo.
● RITMO il musicista romantico sarebbe colui che “si ribella” alla disciplina degli
schemi formali classici (della forma-sonata, per esempio). Si configura invece la
tendenza all’elaborazione di strutture formali ampie e monumentali, sia nelle
dimensioni che nelle sonorità; queste strutture trovarono nel poema sinfonico, nella
sinfonia la più completa realizzazione.
Nel corso dell’800, varie società di concerti pubblici sorsero nelle principali città europee e
nordamericane che contribuirono alla diffusione della produzione della musica sinfonica
contemporanea.
Per la loro diversità e potenza espressiva, le sinfonie di Beethoven furono punto di partenza.
Alcuni compositori trassero ispirazione dalla Quarta, Settima e Ottava sinfonia muovendosi
nella direzione della musica “pura” nelle forme consacrate dalla tradizione classica.
Altri compositori presero le mosse principalmente dallo stile monumentale dell’Eroica, Quinta
e Nona sinfonia.
Anche i titoli della Prima sinfonia in Sib magg. (“Primavera”, 1841) e della Terza sinfonia in
Mib magg. (“Renana”,1850) di Schumann più che avere specifici intendimenti descrittivi,
alludono ad un atmosfera generica.
HECTOR BERLIOZ (1803/1869)
Opera centrale della musica sinfonica a programma, cioè musica ispirata in genere a un
testo letterario non cantato nè recitato né rappresentato, fu considerata nell’Ottocento la sua
Symphonie fantastique (“Sinfonia fantastica”, 1830).
Per la prima volta nella storia della musica orchestrale, il compositore si affidò ad un
programma letterario scritto, di cui si previde la distribuzione tra gli ascoltatori in occasione
dell’esecuzione.
Quando cominciò a comporre la Fantastica nei primi mesi del 1830 aveva già scoperto
alcune sinfonie di Beethoven.
Da Beethoven Berlioz imparò il coraggio di sperimentare strutture compositive caratterizzate
dalla ciclicità e da ripetizioni tematiche, di sfruttare nuovi e inediti colori e combinazioni
orchestrali.
II. Un bal [Un ballo] Valse allegro ma non troppo, musica brillante e seducente.
festa danzante durante la quale il giovane musicista è continuamente turbato
dall’immagine dell’amata [idea fissa]
III. Scène aux champs [Scena campestre] Adagio, pensieri d’amore e di speranza turbati
da oscuri presentimenti.
ascoltando una melodia strumentale eseguita da due pastori, il giovane musicista si
abbandona a pensieri contrastanti di illusione e di angoscia
Disperando di poter realizzare il proprio amore, il protagonista tenta di suicidarsi con l’oppio
IV. Marche au supplice [Marcia verso il patibolo] Allegretto non troppo, musica selvaggia
pomposa.
il giovane musicista sogna di aver ucciso l’amata e di essere stato condannato a morte
V. Songe d’une nuit de Sabbat [Sogno d'una notte di sabba] Larghetto-Allegro, musica
selvaggia, pomposa.
visione allucinatoria finale che trasporta il protagonista in una riunione di streghe e mostri.
Nel programma della sinfonia vi sono anche riferimenti autobiografici all’amore delirante di
Berlioz per Harriet Smithson, la bella attrice irlandese che nel settembre del 1827 aveva
recitato a Parigi l’Amleto di Shakespeare. Berlioz fu presente a quella rappresentazione e
perdette immediatamente la testa per lei, la quale, dopo un corteggiamento tempestoso e
bizzarro, divenne sua moglie.
Novità principale della Fantastica è la ricorrenza, in veste sempre diversa, del tema di
apertura del primo Allegro in tutti gli altri movimenti. La melodia, denominata “idea fissa” nel
programma, rappresenta l’immagine ossessionante che il musicista ha della donna amata.
Ciò che colpisce molto l’ascoltatore è il vocabolario molto esteso e variegato della
strumentazione. Il predominio del colore timbrico su tutti gli altri elementi della struttura
musicale.
IL CONCERTO GROSSO.
(Corelli)
Nei Concerti grossi dell’op.6 (composti a partire dal 1680), Corelli tende a stabilire equilibrati
rapporto tra due livelli sonori contrastanti: un piccolo complesso di strumenti solisti
denominato “concertino” - che mantiene l’organico tipico della sonata a tre (due violini e
basso continuo) - in contrapposizione all’intera orchestra d’archi, chiamata appunto
“concerto grosso”, o “ripieno” o “tutti”.
Sembra che la pratica di distinguere un piccolo gruppo di strumenti dal resto dell’orchestra
fosse assai comune nel Seicento in molte chiese romane.
Nell’op. 6, costituita da otto concerti “da chiesa” e quattro “da camera”, il modo di trattare il
concertino rispetto al ripieno è di una varietà estrema. Egli ricorre a tutti gli amalgami
possibili in modo da ottenere effetti sonori inattesi. I due organici a volte si alternano
rapidamente, a volte gli episodi affidati ai solisti sono molto più estesi rispetto a quelli
presentati dal “tutti”. I due gruppi sono inoltre spesso uniti tematicamente per mezzo di
motivi che passano da uno strumento all’altro in imitazione.
I concerti dell’op.6 sono articolati in un numero variabile di movimenti - da quattro a sei- che
obbediscono al principio del contrasto e dell’alternanza tra tempi lenti e tempi veloci.
Tra i movimenti che compongono ciascun concerto è mantenuta la medesima tonalità, salvo
qualche movimento centrale posto al relativo minore.
Il concerto grosso corelliano è da considerare come precursore del concerto solistico, che in
Italia fu coltivato prima a Bologna, poi soprattutto a Venezia e più tardi a Padova.
Figura dominante nel panorama della musica strumentale del primo Settecento è il
veneziano Antonio Vivaldi.
Egli arricchì la scrittura strumentale, quella violinistica in particolare, di una varietà di effetti
che influirono sulla tecnica strumentale del tempo.
Fertilità inesauribile dell’invenzione melodica, la chiarezza dell’impianto armonico, la forte
vitalità timbrica, l’immediatezza espressiva del tessuto sonoro.
Oltre che attendere all’istruzione musicale delle allieve, impegno principale di Vivaldi alla
Pietà era di fornire regolarmente nuove musiche (vocali e strumentali) e di curarne
personalmente le esecuzioni durante le messe solenni o le funzioni vespertine.
Le esecuzioni strumentali e vocali erano molto incoraggiate dai governatori degli istituti,
contribuivano non poco alle spese di sostentamento degli istituti stessi. Pare che la qualità
delle esibizioni musicali fosse molto alta, soprattutto alla Pietà.
La produzione di Vivaldi stava comunque entro i limiti assolutamente normali per quel
tempo: il numero globale delle sue opere non supera quello di molti altri musicisti del
Settecento (J.S.Bach, Mozart, Haydn ecc).
Ai tempi di Vivaldi gravava sulle spalle dei maestri di cappella la creazione di musiche
sempre nuove richieste. Il pubblico era abituato ad ascoltare sempre qualcosa di nuovo.
La capacità di scrivere rapidamente e in abbondanza era perciò requisito che si richiede non
solo all’operista ma anche al compositore strumentale.
Delle musiche strumentali di Vivaldi date alle stampe con numero d’opera, i concerti solistici
costituiscono la percentuale maggiore.
Il concerto solistico del primo Settecento entra nella sua fase più matura con l’opera di
Vivaldi.
Questo nuovo genere di composizione è quello che gli procurò il maggior successo, nelle
linee generali il modello proposto resterà inalterato almeno fino alla fine del secolo.
- Ritornello
Vivaldi accentuò nel concerto solistico il contrasto tra i tempi allegri esterni e i movimenti
lenti centrali.
I movimenti lenti sono infatti modellati sull’aria d’opera e strumentati con effetti appunto
operistici.
Un forte effetto di contrasto risiede nella particolare tensione tra la vitalità virtuosistica
nettamente dominante del solista di contro alla coralità d’insieme orchestrale.
La struttura impiegata quasi sempre da Vivaldi, dal 1710 circa, nel primo e nel terzo
movimento dei suoi concerti solistici è la cosiddetta “forma col ritornello”, nel quale il gruppo
tematico iniziale proposto dall’intera orchestra (il “tutti”) torna periodicamente (done il nome
“ritornello”) alternandosi ad episodi dominanti dal solista, o dai solisti.
Gli episodi solistici introducono nuovo materiale tematico o sviluppano liberamente uno o più
motivi del ritornello.
Il gruppo tematico iniziale non appare, però, quasi mai ripetuto letteralmente, ma subisce
accorciamenti e trasformazioni varie; la ripetizione di uno stesso motivo, ad esempio, può
venire assegnata di volta in volta ad una diversa combinazione di strumenti.
Soltanto il ritornello conclusivo ripropone integralmente o quasi il gruppo iniziale.
Gli episodi solistici sono dunque lontani dal seguire uno schema rigido e uniforme. La varietà
dei procedimenti è tale da conferire al concerto vivaldiano quell’impressione di estrosità e di
ricchezza inventiva che aveva affascinato i suoi contemporanei.
L’esposizione iniziale del “tutti”, che è nella tonalità d'impianto, ha lo scopo di fissare con
chiarezza e di imprimere bene nella memoria la tonalità di base.
Nei concerti per quattro solisti si avverte l’influsso del concerto grosso di stampo corelliano,
mentre i concerti per uno e due strumenti solisti rivelano lo spirito di sperimentazione.
Nel XIX secolo l’arte di Bach si fece paradigma, modello supremo, punto di riferimento
sicuro e inattaccabile del luteranesimo schietto e ortodosso.
Bach passò tutta la vita nella Germania centrale, terra madre del luteranesimo,
guadagnandosi da vivere come organista e soprattutto come compositore di musica sacra.
Irrilevante fu il peso commerciale delle opere di Bach, durante tutta la sua vita pochissime
delle sue mille e passa opere furono date alle stampe, la sua fama fu locale. La sua musica
fu dimenticata per due generazioni prima di essere salutato come impareggiabile
compositore di musica sacra.
L’attività creativa di Bach, come di tanti altri compositori del tempo, nacque dunque con il
preciso scopo di soddisfare un’esigenza pratica - liturgica, didattica, di intrattenimento,
privato ecc..- suggerita dalle particolari situazioni.
Durante tutto l’arco della sua vita Bach nutrì uno straordinario interesse per le opere altrui,
antiche o moderne, che egli copiava di proprio pugno, un metodo faticoso ma molto
consueto nel Settecento.
Egli conosceva le opere di Palestrina e di Frescobaldi, dei maestri veneziani contemporanei,
oltre che i lavori tastieristi dei principali compositori tedeschi.
Da quello studio scaturì la sua perfetta padronanza in ogni campo della musica.
La grandezza di Bach risiede appunto nella particolare sua predisposizione a raccogliere,
espandere ed esaurire nella propria musica molti elementi stilistici e formali comuni agli inizi
del Settecento, e a fonderli con la propria eredità luterana della Germania settentrionale
inconfondibilmente radicata nella scrittura polifonica.
E’ da tenere presente che la fuga non adotta uno schema strutturale ben preciso, va
pertanto intese non tanto come una “forma” architettonica precostruita, quanto, come un
“procedimento” compositivo basato sulla tecnica dell’elaborazione contrappuntistica rigorosa
di un unico elemento tematico, ciò che di norma viene chiamato “soggetto”.
Unico vincolo formale della fuga è la presentazione iniziale del soggetto alternativamente
nelle diverse parti o voci, nella tonalità di tonica e poi di dominante, la cosiddetta “risposta”,
che è presente contemporaneamente ad un libero controcanto denominato “controsoggetto”.
L’esposizione è quindi strutturata in modo che il soggetto e la risposta compaiano almeno
una volta in tutte le singole parti che costituiscono l’intreccio polifonico della composizione.
Le entrate del soggetto devono effettuarsi ad altezze diverse.
Durante tutto l’arco della sua vita artistica Bach scrisse una quantità considerevole di
composizioni strumentali, molte sono andate perdute, quelle che abbiamo ci sono pervenute
in copie manoscritte.
Figurano tra i lavori più celebri di Bach i Concerti brandeburghesi, di cui ci è pervenuto
l’autografo con dedica datata 24 marzo 1721 al margravio Christian Ludwig di Brandeburgo.
Si tratta comunque di opere perlopiù composte durante gli anni di Weimar, concepite come
una sorta di piccolo campionario dimostrativo delle variegate risorse esecutive associate al
genere del concerto solistico e d’insieme.
Caratteristica della raccolta è appunto l'eccezionale strumentazione: ad ogni concerto
corrisponde infatti un organico di volta in volta differente.
Sotto l’aspetto formale Bach adotta - con l’unica eccezione del Primo concerto - l’ordine dei
tre movimenti veloce/lento/veloce, con i due tempi esterni che rispettano la cosiddetta “forma
ritornello”. Vi si riconosce indubbiamente l’archetipo del concerto vivaldiano.
La singolarità di questo concerto, Quinto concerto, risiede nel fatto che per la prima volta al
clavicembalo viene conferita una posizione di prestigio in mezzo all’orchestra piuttosto che
essere relegato alla semplice funzione di strumento che realizza il basso continuo.
Bach ha anche scritto un numero considerevole di lavori cameristici per strumento solo, per
uno, due, tre strumenti con basso continuo, nei quali il clavicembalo svolge la funzione di
strumento concertante, come non era mai visto prima di allora.
Sono lavori che richiedono un’esecuzione polifonica altamente virtuosistica, alla quale si
accompagna sempre una profondità e ricchezza espressiva tipiche dello stile bachiano.
DISCORSO ESIBIZIONE
DIALOGO
A partire dalla prima metà circa del XVIII secolo il genere del concerto inteso come dialogo
tra strumento/i solista/i da un lato e orchestra dall’altro ebbe ancora più ampia diffusione
europea rispetto alla prima metà del secolo.
Carattere precipuo del concerto del periodo classico è il contrasto dinamico tra solista e
orchestra, molto più marcato rispetto al concerto del primo Settecento.
Ad imporsi quale protagonista ideale del concerto solistico divenne il pianoforte, strumento
che fino ad allora era rimasto in secondo piano nei confronti del concerto per violino (vivaldi)
e per altri strumenti monodici.
Nel primo movimento dei concerti scritti intorno alla metà del secolo incominciò a
standardizzare, dopo l’esperienza del concerto solistico vivaldiano, il numero delle sezioni di
“solo” e “tutti” o ritornelli, con di norma tre sezioni di “solo” incorniciate da quattro ritornelli.ù
Nel tardo Settecento il ritornello orchestrale iniziale venne ad ampliarsi sotto l’aspetto
tematico, divenne più esteso e di carattere sinfonico.
Poiché si doveva porre rilievo, nel primo movimento, il contrasto e ad un tempo la fusione
del “solo” e del “tutti” orchestrale, la struttura del concerto richiede, in quest’epoca,
un’articolazione più variegata, più dilatata e ben diversa rispetto a quella di ogni altro genere
strumentale.
Invece di una sola esposizione ce ne sono due e molto variegato è il materiale tematico: il
solista può presentare motivi che assomigliano ai ritornelli orchestrali, oppure avere temi
suoi caratterizzati da brillanti passaggi virtuosistici.
Mozart scrisse concerti per tutti gli strumenti allora in uso, eccetto il violoncello, tromba e
trombone.
Un posto privilegiato nella sua produzione strumentale occupano i 23 concerti per pianoforte
e orchestra.
Mozart portò il genere del concerto per pianoforte ad un alto grado di complessità formale, di
ricchezza espressiva, di contenuto virtuosistico e sinfonico, addirittura in misura superiore
rispetto alla sinfonia.
Specialmente nei concerti scritti tra il 1784/91 l’orchestra accompagna, dialoga, si oppone al
pianoforte; ai legni assegna un ruolo particolarmente importante.
Nei primi movimenti in forma-sonata, Mozart conserva nella maggior parte dei suoi concerti
la concezione tradizionale della forma.
- respiro corto
- blanda responsabilità tematica di S
Forma-sonata
- processo di elaborazione
- responsabilità tematica equamente divisa tra S e O
Lo sviluppo artistico di Mozart fu molto facilitato dalla straordinaria capacità che aveva
nell’apprendere e nell’assimilare ogni tipo di musica a cui di volta veniva sottoposto. Fu
dotato di sensibilità e di osservazioni eccezionali, un orecchio infallibile, memoria musicale.
Particolarmente determinanti per il suo sviluppo artistico furono non solo i rapporti che ebbe
con i compositori del tempo ma anche gli incontri con cantanti, virtuosi, con orchestre di
prim’ordine.
L’immagine di lui che ci offrono numerose biografie è quella di un essere infantile, ingenuo, a
suo agio solo con la musica. E’ rimasto molto del copioso epistolario, il tono delle sue lettere
rimase perlopiù fino all’ultimo spiritoso, malizioso, ottimista.
MUSICA VOCALE I: I GENERI DA CAMERA.
IL MADRIGALE.
Etimologia mandrialis
matricalis
Sappiamo dalle fonti madrigalistiche, che circolano tra il 1520 e il 1540 in versione
manoscritta prima ancora che attraverso la stampa, furono per la maggior parte redatte a
Firenze e a Roma.
La genesi del madrigale va anche collegata alla nuova corrente letteraria dell’epoca
tendente a instaurare un rapporto di felice imitazione tra poesia e musica.
Tale movimento fu denominato “petrarchismo”, ebbe solide basi prima a Roma e a Firenze e
poi a Venezia.
Nel decennio 1520/1530 si accentua il gusto per i liberi testi non strofici, che vennero ad
essere conosciuti, a partire dal 1530, col nome di “madrigali”.
Tale termine appare infatti per la prima volta nel titolo della raccolta Madrigali de diversi
musici: libro primo stampato a Roma nel 1530.
Dal punto di vista formale il madrigale è infatti durchkomponiert, una composizione a forma
“aperta”, a invenzione continua, non fondata sul letterale ritorno di frasi ed episodi musicali.
L’intenzione del compositore madrigalista è di imitare singole parole o concetti insiti nel testo
poetico, facendo ricorso ai più svariati procedimenti melodici o armonici o ritmi o
contrappuntistici.
Nel madrigale l’attenzione è rivolta alla capacità illustrativa che la musica è in grado di
fornire ad ogni singola immagine verbale.
Tra i compositori che occupano un posto di spicco nella prima fase del madrigale (anni
‘30/’40) figurano Philippe Verdelot (1470/1552) e Jacques Arcadelt (1505-1568), i quali
furono attivi principalmente a Roma e a Firenze.
Jacques Arcadelt
-nasce nel 1505
-si forma in Francia
-giunge a Firenze alla fine degli anni Venti
-nel 1538 si trasferisce a Roma, dove entra come cantore nella Cappella Sistina e come
magister
-puerorum nella Cappella Giulia
-nel 1551 torna in Francia
-muore nel 1568
I loro madrigali ebbero un influsso notevole sui compositori delle generazioni successive e
vennero assunti a modello canonico della scrittura madrigalistica.
In particolare, il Primo libro di madrigali (Venezia 1539, quattro voci), con il Bianco e dolce
cigno in testa, di Arcadelt godette di molta notorietà e di una longevità editoriale.
Il musicista dell’età di Arcadelt affronta il testo poetico con l’intento dirivestirlo di un elegante abito di
note senza, ancora, intenti di marcatura psicologica o di soggettiva rilettura interpretativa [...]; la
gamma di possibilità espressive è contenuta nei limiti di uno stile polifonico che mira ad esiti di
dolcezza sonora e piacevolezza melodica impreziositi dalla raffinatezza degli intrecci
contrappuntistici. Pur all’interno di una dimensione stilistica ancora angusta, il musicista [...] esercita
la propria libertà inventiva nella scelta dei soggetti, nella strategia della dispositio di timbri e agogiche,
nella sottolineatura di singoli elementi del discorso poetico.
Franco Piperno
-circoli raffinati (corti e accademie) inclini alla degustazione del testo poetico.
I dipinti del XVI sec. raffiguranti gruppi di esecutori mostrano, infatti, soltanto cantori che
“cantano a libro” (Il libro-parte), ma non ascoltatori.
Si eseguivano in ambito domestico, per particolari eventi celebrativi, dalla metà circa del
secolo vennero anche scritti madrigali su commissione delle accademie artistiche letterarie.
Ma come a nascere fu prima la poesia, così la musica lei (come sua donna) riverisce ed onora. In
tanto che, quasi ombra di lei divenuta, là di mover il piè non ardisce dove la sua maggiore non la
preceda. Onde ne siegue che se il poeta inalza lo stile, solleva eziandio il musico il tuono. Piagne se il
verso piagne, ride se ride; se corre, se resta, se priega, se niega, se grida, se tace, se vive, se muore,
tutti questi affetti ed effetti così vivamente da lui vengon espressi, che quella par quasi emulazione,
che propriamente rassomiglianza dee dirsi.
Le parti debbono cantare spesso insieme, cioè senza invenzioni che non siano a nota contro nota, e
con movimento leggero e diminuito di minime, semiminime etc., restando di quando in quando in tre o
quattro voci - se si è in cinque - e facendo far pausa alle altre parti. Qui si debbono usare
frequentemente le fughe raddoppiate, i contrappunti alla quinta, decima e dodicesima etc., le
imitazioni contrarie con le loro risposte alla seconda terza, sesta e settima. [...] Si deve aver cura
particolare di corrispondere con la melodia al senso letterale del testo, e quando si trattasse di cose
dure ed aspre, si devono usare passi duri ed aspri, formati da intervalli dissonanti; e se si tratta di
cose allegre e dolci, si facciano anche passi allegri ed armoniosi, servendosi della natura delle
consonanze ariose e delle loro leggiadre posizioni.
Se il testo parlasse di correre o di volare, pure è opportuno che la musica sia più veloce e più svelta
rispetto a quella delle altre parole. E al contrario, per illustrare alcuni termini tardi e torpidi, anche la
musica dovrà essere intorpidita e tarda, usando brevi semibrevi e minime per la durata di queste
parole, e non di più. Ma se parlassero di cadere, saltare, andare in cielo o all’inferno, anche le parti
della composizione dovranno cadere o alzarsi una dopo l’altra con un salto di ottava o almeno di
quinta. Quando parlassero di scendere o salire, il corrispondente movimento sarà per grado, senza
salti. Nei madrigali più che in altro genere di composizione il musicista è tenuto a esplicare il
senso letterale [...].
Claudio Monteverdi (1567/1643)
La figura di Monteverdi occupa una posizione di grande rilievo nel panorama musicale dei
primi decenni del XVII sec. Ciò è dovuto al fatto che la sua opera racchiude e comprende da
una parte le esperienze stilistiche maturate negli ultimi decenni del Cinquecento, mentre
dall’altra introduce un ricco ventaglio di nuovi mezzi espressivi, stilistici e formali.
Lo stile dei primi cinque libri di madrigali risente fortemente l’influsso del linguaggio
descrittivo e dei modi intensamente espressivi.
Nei madrigali scritti durante il periodo veneziano, dal libro sesto, Monteverdi si dedica
all’esplorazione piena delle nuove risorse offerte dalla monodia da camera e dallo stile
recitativo, sfruttando ampiamente le voci solistiche e la compagine sonora strumentale (parti
autonome). Il linguaggio del madrigale consegue così una ricchezza di mezzi espressivi,
stilistici e formali mai raggiunta prima di allora.
Notevole sensibilità letteraria ha dimostrato Monteverdi nelle scelte dei testi poetici.
La “seconda pratica” è quella in cui “per signora dell’armonia pone l’oratione (il testo)”, in cui
cioè i valori espressivi del testo poetico prevalgono su quelli della musica.
Intenzione esplicita di Monteverdi è di elaborare, coordinare e articolare il discorso musicale,
al quale la parola ha dato l’avvio, in cui l’organizzazione formale complessiva gioca un ruolo
di primaria importanza.
Il disegno globale del brano è disposto in sezioni, frasi, periodi musicali che si collegano, si
combinano, si ripetono, si alternano secondo una forte logica interna che esalta e potenzia
l’articolazione sintattica del testo poetico.
LA CANTATA DA CAMERA.
Nel panorama musicale del Seicento un posto di particolare rilievo va assegnato alla cantata
solistica da camera.
Questo genere di musica vocale, coltivato da praticamente tutti i più reputati compositori del
tempo.
La cantata da camera era un tipo di musica destinata ad un pubblico selezionato di
intenditori competenti e raffinati e fiorì pertanto in ambienti principeschi e signorili.
Tra i punti in comune tra la cantata e il madrigale figura la somiglianza della tematica
poetica, anche se la maggior parte delle cantate fiorì su testi di poeti sconosciuti.
Almeno nella sua fase iniziale la cantata è, come il madrigale, una forma musicale aperta e
mutevole.
E’ oltremodo difficile tracciare la storia della cantata settecentesca seguendo una linea
precisa e netta di sviluppo. Le prime raccolte furono stampate a Venezia tra il 1620 e il 1640,
probabilmente ad uso delle accademie. La gran parte delle fonti manoscritte di cantate
redatte da metà secolo in poi sono invece di provenienza romana.
Il termine “cantata” sembra essere stato adoperato per la prima volta da Alessandro Grandi
(1586-1630) nel primo volume delle Cantade et arie, stampato a Venezia nel 1620, per
designare le tre arie strofiche della raccolta basate su un basso ostinato.
Un simile procedimento compositivo era stato adottato da Caccini in alcune arie comprese
nelle Nuove musiche del 1602.
Nella seconda metà del secolo la cantata crebbe, in genere, di dimensioni e di varietà
stilistica. Negli ultimi anni del Seicento un numero crescente di cantate adottò la forma di
due arie unite e solitamente precedute da un recitativo.
Fino a metà Seicento la maggior parte delle cantate richiedevano un solo cantante (in
genere un soprano) accompagnato dal basso continuo.
Argomento poetico delle cantate è solitamente l’amore, quasi sempre quello malinconico e
infelice presentato in una cornice pastorale. Protagonisti sono spesso personaggi stereotipi
della letteratura idillico-pastorale, che si esprimono nel linguaggio poetico dal sapore
elegiaco di lussureggiante fantasia.
La forma musicale che prende la cantata è determinata dall’articolazione del testo poetico.
Gli episodi narrativi, scritti in versi endecasillabi o settenari, si svolgono in stile RECITATIVO.
Mentre le ARIE corrispondono a momenti lirico-espressivi e adoperano versi di perfetta
regolarità ritmica e metrica (ternari, quaternari, quinari).
Il Lied (“canzone”) per voce sola e pianoforte occupa un posto rilevante nel romanticismo
tedesco perché soddisfaceva l’esigenza di un’espressione più personale, realizzata
mediante una profonda compenetrazione tra testo poetico e musica.
Dal punto di vista del testo, la forma tipica del Lied è la suddivisione in più strofe di una
struttura perlopiù identica, nel numero e nella metrica dei versi.
Dal punto di vista musicale il Lied è tipicamente costituito da una linea melodica di marcata
cantabilità, che di regola aderisce strettamente allo schema metrico (molto regolare) del
testo poetico, di cui rispecchia il contenuto emotivo-espressivo.
Quanto alla forma musicale si distinguono due tipi di Lied:
1. Il Lied strofico (pre-romantico), con un’unica melodia per le varie strofe o talvolta con
due melodie cantante con lo schema ababa.
2. Il Lied non strofico del tipo detto durchkomponiert, di forma aperta, nel quale cioè la
musica segue via via il testo da cima a fondo, senza riprese, ritornelli, ripetizioni. Tale
struttura segue il senso della poesia in maniera più diretta che non quella strofica.
Uno dei tratti stilistici che caratterizzano il Lied di quest’epoca (tardo settecento) è la
semplicità della linea melodica, articolata in frasi perfettamente bilanciate e fondata su
vocalità di tipo strettamente sillabico, con poche ripetizioni di parole e pochissimi melismi; la
parte pianistica svolge la neutrale funzione di sostegno e di semplice accompagnamento.
Con oltre Seicento pezzi composti tra il 1814/1828, il Lied sta al centro della produzione
musicale di Schubert. Per la qualità inconfondibile dello stile, l’originalità dell’invenzione
melodica piegata sapientemente alle esigenze della poesia, è lecito vedere in queste
composizioni la nascita del Lied romantico.
FRANZ SCHUBERT
- 1797: nasce a Lichtenthal, sobborgo di Vienna
- studia composizione con Antonio Salieri
- a 21 anni lascia l’impiego di maestro nella scuola paterna
- ristrettezze economiche e difficoltà a imporsi
- pratica generi diversi
- 600 Lieder
- almeno dal 1825, cominciano le Schubertiadi
- 1827: diventa socio della Gesellschaft der Musikfreunde
- 1828: muore
E’ un tipo di Lied “più artistico e profondo” dove vediamo “il nuovo spirito poetico” che si
rispecchia nella musica.
Per cogliere il senso più profondo della poesia grande cura è riservata, nei Lieder romantici,
all’accompagnamento pianistico. E’ necessario che essi (l’accompagnamento) siano
perfettamente compresi tanto dal cantante quanto dal pianista.
Come mai era avvenuto prima di allora, gli accompagnamenti di pianoforte nei Lieder di
Schubert spesso svolgono la funzione di suggerire qualche immagine pittorica del testo, in
modo da intensificare lo stato d’animo della canzone.
Nel 1815 il giovane Schubert compose il migliore suo Lieder su poesie di Goethe.
La ballata drammatica Erlkonig (“Il re degli Elfi”) narra di un padre che cavalca attraverso la
notte e la tempesta con il figlio moribondo tra le braccia, mentre il re degli Elfi invita il
fanciullo nel suo regno.
Chi galoppa così tardi nella notte e nella «Vuoi venire con me, caro fanciullo?
bufera? Le mie figlie già ti attendono premurose;
È il padre con il figlio; le mie figlie guidano la danza notturna
tiene il ragazzo tra le braccia, e ti culleranno e balleranno e canteranno per
lo stringe saldamente, lo tiene al caldo. te».
«Figlio mio, perché nascondi spaventato il «Padre mio, padre mio, non vedi là lontano
volto?». le figlie del re degli Elfi nel luogo più oscuro?».
«Padre, non vedi il re degli Elfi? «Figlio mio, figlio mio, vedo benissimo:
Il re degli Elfi con la corona e il mantello?». sono i vecchi salici grigi che brillano».
«Figlio mio, è soltanto una striscia di nebbia». «Io ti amo e sono affascinato dal tuo
«Dolce fanciullo, vieni con me! bell’aspetto,
Bei giochi desidero fare con te; e se tu non vieni di tua volontà, farò uso della
molti fiori variopinti crescono sulla riva; forza».
mia madre ha molte vesti d’oro». «Padre mio, padre mio, mi afferra in questo
istante!
«Padre mio, padre mio, non senti Il re degli Elfi mi ha ferito».
ciò che dolcemente mi promette il re degli
Elfi?». Il padre rabbrividisce, galoppa veloce,
«Sta’ tranquillo, riposa tranquillo, figlio mio: stringe tra le braccia il figlio che geme,
il vento sta fremendo tra le foglie secche». raggiunge con fatica e ansia il cortile di casa;
ma tra le sue braccia il fanciullo era morto.
Il più importante successore di Schubert in questo campo fu senza dubbio Schumann. Dopo
aver coltivato il pianoforte con ventitré opere pubblicate, la sua produzione liederistica inizia
e si esaurisce quasi completamente nel 1840, l’anno del suo matrimonio con Clara Wieck:
ne compose più di 130 distribuiti in una ventina di cicli lunghi e brevi.
● diffusione del pianoforte anche in case borghesi (il ‘fare musica’ in ambito
domestico)
● scrive bene per le voci: tessiture comode, assenza di intervalli astrusi, andamento
regolare che consente il canto legato e lascia prendere fiato (emissione ‘naturale’).
IL SISTEMA PRODUTTIVO.
Molto diverse erano invece le modalità di creazione, produzione e consumo del repertorio
operistico nel Settecento fino al tempo di Rossini e di Bellini.
In quest’epoca era virtualmente escluso che per un nuovo allestimento della stessa opera si
utilizzasse inalterata la partitura di un allestimento precedente.
Si può dire che il sistema impresariale dello spettacolo operistico, votato in primo luogo al
guadagno economico, andò propagandosi ovunque dopo essere stato introdotto a Venezia
nel 1637.
-1637: l’Andromeda di Francesco Mannelli (libretto di Benedetto Ferrari) al Teatro San
Cassiano di Venezia.
Nell’ottica dell’impresario, come in quella del pubblico pagante, erano i cantanti solisti ad
occupare il primo posto nella scala gerarchica del personale artistico.
I compensi percepiti dai compositori erano assai inferiori rispetto a quanto guadagnano i
cantanti. Va anche ricordato che nei libretti stampati in occasione di ogni singolo allestimento
non sempre figurava il nome dell’autore della musica.
L’impresario si comportava nel seguente modo: prendeva in affitto il teatro da il proprietario o
da una società, si procurava i migliori cantanti, affida al librettista la redazione del testo
poetico, incarica il musicista di stendere la partitura, che doveva essere scritta in funzione
delle capacità vocali degli interpreti.
Il teatro d’opera italiano del settecento si configura come un’attività sempre più
istituzionalizzata e continuativa, legata fortemente alle consuetudini sociali, economiche e
culturali cittadine.
I teatri che vengono definiti all’italiana, cioè con platea e palchi a pianta di ferro di cavallo,
sono costruiti e decorati in tutta Europa da generazioni di validi architetti e scenografi italiani.
Nel corso del Settecento molti teatri vengono ricostruiti non più in legno ma in muratura, e di
norma sono dislocati nel cuore della città.
La natura civica del teatro d’opera settecentesco si manifesta anche sul versante delle
occasioni di lavoro che i suoi complessi meccanismi operativi offrivano a professionisti e a
mano d’opera locali e si rifletteva su quello delle fonti di guadagno indiretto per il commercio
cittadino.
L’opera seria era il genere di spettacolo che alimentava il maggior giro di capitali, perché
richiedeva la partecipazione di un cast vocale di prestigio.
Lo spettacolo serio aveva carattere di prestigio e di ufficialità, e che il pubblico che lo
frequentava era in genere aristocratico e facoltoso.
I cantanti avevano predilezione per un determinato ruolo drammatico generico adatto alle
proprie caratteristiche vocali.
I cantanti evirati potevano interpretare qualsiasi ruolo, senza distinzione di sesso o di
carattere, in quanto, nell’opera seria del Settecento, il concetto di “realismo” scenico era di là
da venire.
Il cantante di prestigio, per un evidente motivo di comodità vocale, non accettava volentieri
parti che non fossero state scritte appositamente per lui, e questo rappresentava un
incentivo a mettere in circolazione lavori sempre nuovi.
IL CANTANTE.
Il sistema socio-economico ed artistico entro il quale si realizzò il teatro d’opera italiano del
Settecento era costruito in modo da permettere e valorizzare al massimo le qualità
interpretative dei cantanti virtuosi.
Era intorno ad essi che ruotava la macchina dello spettacolo operistico. Il punto principale di
riferimento nell’ambito di un determinato allestimento operistico era l’interpretazione che del
dramma davano i cantanti virtuosi. Erano i grandi cantanti a determinare il carattere
specifico dell’opera, soprattutto nella stilizzazione esasperata dell’aria solistica.
La distribuzione delle arie era infatti progettata secondo le esigenze e le capacità dei
cantanti.
Finché i conservatori di musica non presero forme istituzionali moderne, i fanciulli di
otto-dieci anni erano di norma avviati al canto nelle cappelle ecclesiastiche, le fanciulle nei
conventi, oppure erano affidati a maestri-cantanti.
Se il ragazzo era giudicato idoneo al canto, gli veniva impedita la mutazione della voce
nell’età adolescenziale mediante l’evirazione. Cosicché il cantante poteva mantenere la voce
acuta di soprano e contralto.
Si assiste nel Settecento alla preponderanza dei registri acuti nella distribuzione delle parti
vocali nell’opera seria.
I cantanti castrati che mandavano in estasi il pubblico dei teatri di tutta Europa provenivano
quasi esclusivamente dall’Italia.
La crescita delle attività musicali nelle maggiori città portò all’organizzazione di scuole di
musica dedite all’istruzione musicale dei cantanti, strumentisti e compositori.
Le più reputate di queste istituzioni nacquero all’origine, nel XVI secolo, come pubblici istituti
caritativi, chiamati “conservatori”, per essere poi trasformati nella seconda metà del XVI
secolo, in scuole di formazione professionale per i musicisti che le frequentavano, anche a
pagamento.
Molto rinomati nel Settecento erano i quattro Conservatori napoletani, a differenza di questi,
i quattro Ospedali veneziani impartivano insegnamenti musicali soltanto a ragazze.
Tra la fine del Seicento e i primi anni del Settecento il dramma musicale serio era
caratterizzato dalla commissione di scene tragiche, comiche e coreutiche, con una
sovrabbondanza di arie solistiche brevi, la maggior parte con struttura tripartita col “da capo”
e accompagnate dal solo basso continuo.
Nelle mani dei librettisti aderenti agli ideali dell’Arcadia, il melodramma di fine Seicento-primi
decenni del Settecento subì inoltre alcune trasformazioni nella sua struttura formale.
Si semplificò la trama, si soppressero i personaggi e gli episodi comici, si sfoltì il numero
delle scene e si ridusse il numero delle arie.
Studi recenti hanno stabilito che i cambiamenti avvenuti alla struttura del dramma serio per
musica del primo Settecento non sono attribuibili in modo speciale ad un singolo librettista,
in quanto furono graduali e frutto di un orientamento generalmente diffuso.
Per questo motivo i suoi drammi acquistarono valore di modello esemplare. Va tenuto
presente che l’ascesa di Metastasio librettista coincise con l’affermazione di una nuova
generazione di cantanti che avevano raggiunto un livello altissimo di abilità esecutiva.
Le improvvisazioni e i lunghi vocalizzi diventano parte integrante dell’aria.
I drammi di Metastasio furono ideati con la precisa consapevolezza che avrebbero trovato la
loro realizzazione solo se uniti alla musica e al canto.
Concetti essenziali che sorreggono enfaticamente le vicende dei drammi metastasiani sono
le virtù dell’amicizia, della fedeltà, dell’eroismo, sono questi i concetti che prevalgono su
quelli amorosi.
Merito di Metastasio, è l’aver saputo predisporre l’intreccio di ogni suo dramma secondo un
piano accuratamente equilibrato.
Atto per atto mai si susseguono due arie di uguale o di simile colore affettivo e quasi mai si
danno allo stesso personaggio due arie consecutive ispirate al medesimo sentimento.
Il monopolio dell’aria col da capo nell’opera seria del tempo impose a Metastasio la
caratteristica spartizione del testo dell’aria in due strofette, ciascuna contenente perlopiù lo
stesso numero di versi dell’altra.
L’innovazione di Metastasio rispetto ai librettisti a lui precedenti riguarda l’assoluta regolarità
all’assetto metrico e ritmico delle due strofe.
Metastasio fa uso pressoché costante di versi di un sol metro, il metro più frequentemente
adoperato in assoluto per i singoli versi è il settenario, a volte in combinazione con il
quinario. (ma troviamo anche ottonario e senario).
Data la regolarità della posizione degli accenti ritmici, il verso settenario era quello che
agevolava maggiormente la costruzione di fraseggi simmetrici.
L’Aria col da capo o tripartita è concepita, come detto, in funzione dell’interprete che la
esegue. Il brano si articola in tre sezioni.
- La prima strofa del testo poetico fornisce l’ossatura per la prima parte (A): dopo una
prima esposizione del testo che va a risolversi in una tonalità vicina, si passa a
ripetere la stessa prima strofa con modifiche melodiche, per ritornare poi alla tonalità
di base.
- Segue una seconda parte (B) basata sulla seconda strofa del testo, di tonalità,
melodia e metro contrastanti con quelli della prima parte (A)
- Si torna poi a ripetere la prima parte dell’aria (A), variata questa volta dagli
abbellimenti improvvisati dal cantante. E’ appunto probabile che la prima parte
dell’aria fosse ritenuta più importante perché ripresa “da capo”.
Alla fine del Seicento il recitativo diviene l’espressione musicale predominante e pressoché
esclusiva nella realizzazione delle fasi dinamiche dell’azione drammatica nonché del tessuto
connettivo fra le varie arie.
L’uso che si fa del recitativo “accompagnato” fu in un primo tempo molto limitato: lo si utilizzò
per mettere in risalto quelle situazioni sceniche di più alta temperatura emotiva.
Nel decennio 1720/1730 la norma era di impiegare almeno due scene di questo tipo in ogni
opera seria.
Metastasio ritiene che il recitativo accompagnato vada usato con cautela poichè in caso di
abuso verrebbe a perdere la sua efficacia drammatica.
L’OPERA COMICA.
L’opera di genere comico mantenne nel corso del Settecento una propria autonomia di
sviluppo rispetto al dramma musicale serio.
Nei primi anni del secolo era pur sempre una parte della nobiltà a finanziare i teatri minori
dove si allestiva l’opera buffa, mentre la corte riservava un atteggiamento di protezione e
mecenatismo nei confronti del dramma serio.
Gli spettatori dell’uno e dell’altro spettacolo erano in genere gli stessi.
L’argomento di carattere giocoso, immediatamente legato alla vita e alla problematica
sociale contemporanea, rifletteva e soddisfaceva in primo luogo il bisogno di evasione dalla
realtà quotidiana da parte della società elevata e aristocratica del tempo, voleva cioè
avvicinarsi ad una forma d’espressione artistica più semplice e genuina.
Non si può dire però che nel Seicento esistesse un genere buffo chiaramente distinguibile
come tale.
Nel Settecento si usavano molti termini per designare l’opera di genere comico: intermezzo,
opera buffa, dramma giocoso, commedia per musica ecc..
Tutte queste categorie distinguiamo:
- L’opera breve fatta di pochi episodi comici chiamata “intermezzo”, cantata da due o
tre personaggi, avente funzione di interludio, di inserto diversivo tra gli atti di
un’opera seria. Gli intermezzi si frappongono fra gli atti delle opere per alleggerire il
tono complessivamente troppo serio dell’opera principale, si inseriscono queste
scene comiche indipendenti rispetto all’opera principale, si presentano come un
diversivo.
Oltre che per la quotidianità della vicenda e di carattere giocoso dei temi trattati, il dramma
comico si distingueva da quello serio per il peso che spettava nell’economia dello spettacolo
all’azione scenica.
Il teatro comico si avvaleva pertanto di interpreti meno capaci vocalmente ma molto più
adatti a valorizzare l’azione mimica.
Alcuni intermezzi godettero, non soltanto nel testo ma anche nella veste musicale, di una
longevità sconosciuta alla maggioranza delle opere (si pensi alla eccezionale fortuna de La
serva padrona di Pergolesi).
Dal momento che il sistema produttivo dell’opera buffa non faceva perno sul cast vocale di
virtuosi, al compositore veniva riconosciuta un ruolo maggiore e determinante.
I libretti degli intermezzi veneziani e napoletani non hanno pregi particolari di carattere
letterario. Eppure sono meccanismi perfetti di funzionalità scenica: gli intrecci sono
semplicissimi, vivace è l’azione verbale e mimica.
In genere non più di due o tre sono i personaggi che agiscono, di norma un uomo e una
donna.
La vicenda in genere si sviluppa in genere attraverso una serie di conflitti, bisticci, raggiri,
equivoci tra i due protagonisti, per risolversi in un lieto fine. Gli argomenti trattati sono quelli
della commedia dell’arte.
Molto comune è anche il tema del contrasto tra mariti gelosi e mogli infedeli che alla fine si
riconciliano.
La serva padrona di Pergolesi andò in scena la prima volta al Teatro di San Bartolomeo di
Napoli il 5 settembre 1733.
L’intermezzo è composto di recitativi e di sette pezzi chiusi: due duetti e cinque arie.
Per la sua incantevole semplicità e irresistibile comicità, questo lavoro di Pergolesi si
affermò presto come modello del suo genere.
Molto diffuso era anche l’uso di travestire interpreti maschili con abiti femminili e viceversa,
cosa che dava luogo alla confusione dei sessi.
Dato che non si adoperavano quasi mai cantanti evirati, spesso le parti dei personaggi
maschili giovani erano affidate a cantanti donna.
La voce di soprano nell’opera comica si identifica in un preciso ruolo drammatico e diviene
simbolo immediato della creatura femminile, soprattutto della donna giovane.
Alla donna meno giovane si assegna un registro vocale orientato verso il basso (contralto).
Commedeja pè mmuseca.
Nel decennio 1720/1730 si assiste, a Napoli, alla formazione di una tradizione comica
musicale, nei generi del breve intermezzo in due parti e della struttura più complessa ed
elaborata (in due o tre atti), non meno del dramma serio della commedeja pe mmuseca.
Sorta nei primi anni del secolo a Napoli contemporaneamente alla commedia dialettale in
prosa, la commedeja pe mmuseca fu espressione artistica distinta dall’intermezzo per
complessità d’impianto.
Come l’intermezzo, la commedeja pe mmuseca rappresenta gli aspetti buffi della vita
quotidiana in chiave realistica. Carattere precipuo della commedia musicale napoletana è la
tinta sentimentale e malinconica della vicenda in cui agiscono personaggi seri e comici.
-Li zite ‘n galera (Napoli 1722) di B. Saddumene con musica di L.Vinci è la tra le prime opere
buffe dialettali di cui disponiamo partitura.
-Lo frate ‘nnamurato (Napoli 1732) di Pergolesi.
Intorno alla metà del secolo l’opera buffa assunse nelle mani del geniale
commediografo-librettista veneziano Carlo Goldoni (1707-1793) la fisionomia che
conserverà praticamente immutata per tutto il secolo e oltre. Goldoni è stato uno dei più
fecondi, e certo il più influente librettista comico del Settecento.
Nel cristallizzare l’assetto formale del “dramma giocoso” in due-tre atti che divenne il
modello di scrittura drammatica nel genere comico, Goldoni trasse molti elementi stilistici
della commedia per musica napoletana.
Per merito di Goldoni la scrittura del libretto si fa più variegata, le vicende si fanno più
caricaturali e sentimentalizzate. Tema costante è il conflitto sociale tra le diverse classi che
ha di solito come protagonisti l’amore tenero e affettuoso. Abbiamo anche il tema del
rapporto città-campagna.
-Il filosofo di campagna (Venezia 1754) musicato dal veneziano Baldassare Galuppi
(1706-1785).
Oltre che nei finali d’atto, i pezzi d’insieme vengono situati anche in altre occasioni in cui la
loro importanza musicale e scenica appare rilevante.
L’opera seria della seconda metà del 700 dimostrò una tenace capacità parziale di
rinnovamento.
Si ha la ricerca di un nuovo equilibrio tra musica e parola, dovuto anche al mutamento
profondo del gusto degli strati colti e attivi del pubblico teatrale.
A partire dal 1750 circa si affermò sempre più alla tendenza di abbandonare la forma
dell’aria col da capo.
A partire dagli anni 70 molto di moda divennero le arie in forma di “rondò” francese. Molto
comune divenne anche il rondò (“aria”) a due tempi, uno lento e uno veloce.
L’aria in due movimenti lento-veloce conquistò sempre maggiore importanza durante gli
ultimi decenni del Settecento, fino a diventare la forma d’aria prevalente nell’opera italiana.
I tratti stilistici più significativi dell’opera seria così come si presenta negli ultimi anni del XVIII
secolo sono i seguenti:
- Valorizzazione drammatica del coro, ruolo attivo e individuale
- Smantellamento graduale degli ordini musicale (aria col da capo)
- Sfruttamento dei concertati d’insieme
- Valorizzazione degli episodi orchestrali: l’orchestra può assumere la guida con motivi
propri per dare particolare forza espressiva.
- Si indebolisce la figura del cantante virtuoso puro assoluto, sostituito da un nuovo
tipo di cantante-attore proto-romantico, il quale sente la necessità di specializzarsi in
ruoli drammatici specifici.
Negli ultimi decenni del Settecento e poi per tutto il XIX secolo Parigi divenne la vera
capitale del teatro musicale europeo.
Un successo nei teatri della capitale francese fruttava materialmente al compositore poichè
lì vigeva da tempo un “diritto d’autore” efficace.
Parigi disponeva di tre principali organismi teatrali che occupavano sale diverse e che
avevano la responsabilità di tre tipi principali d’opera:
- Il “Theatre de l’Opèra” riceveva sussidi finanziari dai governi municipale e nazionale,
rappresentava l’opera seria e il balletto. Possedeva un’orchestra e cori numerosi.
ampie risorse sceniche e un eccellente corpo di ballo. Il suo repertorio tendeva a
coagularsi intorno a opere di successo e di repliche assicurate.
- Il "Théatre de l'Opéra-Comique" metteva in scena tutta la gamma di opere francesi
che utilizzavano anche il dialogo parlato oltre il canto.
- Il “Theatre Italien” vi si esibivano principalmente i migliori cantanti d’opera italiana.
Per tutto il Settecento l’opera seria italiana era rimasta esclusa dalle scene parigine, mentre
gli intermezzi e le opere buffe in forma originale avevano avuto solo sporadici allestimenti.
Queste esecuzioni avevano trasformato da un lato l’opera italiana in un polemico, ideologico
oggetto del desiderio di schiere di intellettuali e dall’altro avevano stimolato forme di
assimilazione di elementi della musica italiana nella tragédie lyrique e all'opéra comique.
Da molte parti si ammetteva che il repertorio serio francese era scaduto e sorpassato e che
pertanto vi si dovevano innestare elementi della tradizione dell’opera italiana in una nuova,
inedita misura stilistica.
L'OPÉRA-COMIQUE.
La rigenerazione dell’opera francese era stata anticipata da una maturazione dello stile
letterario e musicale dell’opera-comique (l’aggettivo comique indica la presenza di
recitazione).
Il nuovo genere di spettacolo è formato da: parti cantate (arie, duetti), dialoghi parlati senza
accompagnamento musicale.
Prima della metà del XVIII secolo l'opera-comique era un genere più teatrale che musicale,
con più dialoghi che musica.
Nel secondo settecento si passò ad aumentare e a dare più importanza alle parti cantate.
La musica dell'opera-comique, nella fase più matura, utilizzava le seguenti forme molto
semplici:
- La romanza: brano vocale solistico di struttura strofica, di carattere
poetico-sentimentale.
- Le forme vocali solistiche a rondeaux.
La ricerca di una teatralità più intensa ebbe come conseguenza l’introduzione, nelle partiture
e nei libretti, di esaurienti e dettagliatissime indicazioni sceniche circa i movimenti e i gesti
dei personaggi.
La caratteristica più importante fu l’allargamento cospicuo della gamma espressiva
dell’orchestra. La quale venne usata per dare un colore caratteristico alla situazione
drammatica.
IL TEATRO DI MOZART.
Il genere operistico fu il tipo di composizione più frequentato da Mozart nel corso della sua
carriera, 22 opere teatrali.
La sua produzione teatrale si suddivide in vari gruppi, secondo il genere di appartenenza,
opere serie (Idomeneo, La clemenza di Tito), opere buffe (Le nozze di Figaro, Don Giovanni,
Così fan tutte), lavori in lingua tedesca i Singspiel ( Il ratto dal serraglio).
Mozart fu compositore dotato di una infallibile sensibilità per il linguaggio del teatro musicale.
E’ da osservare che le sue opere nacquero non contro ma in armonia con i generi del teatro
musicale dell’epoca.
Le tre commedie di L. Da Ponte e le opere tedesche furono tutto tranne che una “riforma”: si
mantennero nell’ambito dei generi esistenti, in particolare del Singspiel e dell’opera comica.
Mozart non fu dunque un “distruttore” dei generi operistici.
Una delle caratteristiche principali dell’opera comica del secondo Settecento era una
flessibilità abbastanza ampia delle strutture musicali e drammaturgiche.
Mozart accettò pienamente la pratica teatrale del suo tempo e confezionò le sue partiture
operistiche in funzione del cast di cantanti che le avrebbero rappresentate.
IL SINGSPIEL.
Con Il ratto dal serraglio Mozart creò il primo, grande capolavoro nella storia del Singspiel
tedesco.
All’epoca di Mozart il singspiel era un genere ibrido: alterna parti musicali cantante (sing) e
parti recitate in prosa (spiel). In origine era una commedia in musica, o meglio con inserti
cantanti, sull’esempio dell’opera-comique francese.
Gli argomenti trattati nei singspiel erano di norma basati su leggende, favole, storie
popolaresche ambientate in luoghi fantastici e immaginari.
Erano di solito interpretati da esecutori (“attori-cantanti”) semi dilettanti in grado di cantare le
semplici ariette (i Lieder, strofici) che erano comprese in questi lavori.
A Vienna, il singspiel venne apprezzato anche negli ambienti aristocratici.
Mozart concepì Il ratto dal serraglio attingendo a piene mani sia dalla tradizione dell’opera
comica italiana, sia dal Singspiel.
L’esotico soggetto “turco” (è la storia di una fanciulla rapita dai pirati turchi e fatta schiava
nell’harem di una Pascià) piacque immensamente al pubblico viennese e le rappresentazioni
continuarono ininterrottamente fino al 1788.
Nuova è anche la delineazione psicologica dei personaggi. I pezzi vocali solistici riescono a
comunicare direttamente e magistralmente l’interiorità del personaggio.
Mozart trovò soprattutto in Lorenzo Da Ponte il poeta adatto a perseguire il suo disegno
drammaturgico musicale che investiva gli aspetti più sottili del rapporto tra testo e musica.
Dalla collaborazione con il letterato veneto e il musicista salisburghese nacque la celebre
triade di opere buffe Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte (1786-1790).
L’intreccio delle Nozze di figaro ruota intorno all’amore di Figaro e Susanna e alla loro ferma
volontà di sposarsi, a dispetto di tutte le complicazioni e gli sconvolgimenti.
Don Giovanni tratta della passione sensuale/sessuale incarnata nella personalità distruttiva
del protagonista, qui troviamo la commistione di elementi seri e buffi. A Don Giovanni,
Mozart ha genialmente destinato una vasta gamma di stili di canto, ora serio, ora tragico, ora
buffo ora popolareggiante.
Così fan tutte ha per argomento le leggi dell’amore, è un’amara satira sulla instabilità in
amore delle donne.
Nelle tre opere depontiane l’aria col da capo viene quasi completamente abbandonata.
Quasi sempre le arie sono pertanto comprese entro un recitativo, da cui sgorgano e in cui
rientrano con la massima naturalezza di conversazione.
Le arie solistiche contemplative sono praticamente assenti. Nelle Nozze di figaro soltanto tre
arie si possono definire monologiche, e non è un caso che siano assegnate a personaggi
altolocati come la Contessa (Porgi amor, Dove sono i bei momenti, Vedrò, mentre io
respiro).
I pezzi d’insieme e i concertati hanno una capitale importanza nella concezione drammatica.
IL MELODRAMMA ITALIANO.
L’unico luogo d’incontro fra le diverse classi sociali fu in quegli anni il teatro d’opera, sia pure
gerarchicamente ordinato nei tre precisi e ben delimitati settori della platea, dei palchi e della
galleria. Durante le stagioni operistiche, le persone agiate consideravano il teatro come il
luogo ideale di ritrovo pubblico reale.
Nell’Ottocento la musica operistica veniva ascoltata anche da chi non poteva permettersi di
andare a teatro. La musica d’opera costituiva il fondamento principale del repertorio dei
complessi bandistici. A partire dagli anni 40 le melodie d’opera erano diffuse anche dai
suonatori ambulanti d’organetto. I più noti motivi operistici venivano inoltre suonati da
organisti in chiesa durante le funzioni religiose, persino ai funerali.
Per tutta la prima metà del XIX secolo e oltre, non c’era inoltre in Italia nulla di vagamente
simile ai concerti sinfonici che si tenevano nelle capitali europee della musica (Lipsia, Parigi,
Londra, Vienna).
Il sinfonismo europeo dovrà attendere decenni prima di farsi conoscere in Italia: il concerto
pubblico si affermerà soltanto a partire dall’ultimo quarto di secolo.
(Sembra che l’Eroica di Beethoven dovette aspettare il 1843. quarant’anni dopo la
composizione, per essere eseguita a Milano).
Un tratto che accumunava tutti questi compositori era la saldezza nel mestiere e un
artigianato impeccabile e compiuto.
Finchè non fu in vigore il diritto d’autore, cioè per tutta la prima metà del secolo (fu introdotto
nel 1865), il musicista che componeva per il teatro mirava al successo immediato e agli
immediati vantaggi economici che ne potevano derivare. Doveva trascrivere opere sempre
nuove e mantenere un ritmo di produzione musicale rapido.
La prassi artigianale dell’opera di allora non consentiva opportunità alcuna per lunghe
meditazioni creative. L’opera di norma veniva scritta tutta d’un getto, senza ripensamenti di
sorta; poteva però, subire modifiche e revisioni nel corso delle prove di scena.
Come nel Settecento, le revisioni venivano scritte perlopiù per soddisfare le esigenze di
specifici cantanti.
Rossini completò le seicento pagine della partitura del Barbiere di Siviglia in
diciotto/diciannove giorni; Donizetti compose l’Elisir d’amore in due settimane.
Bellini fu il primo compositore a diradare la propria produzione.
Fino alla metà circa del secolo erano gli impresari a gestire direttamente il successo e il
fallimento della stagione operistica di un dato teatro. Erano dei veri e propri industriali dello
spettacolo, erano loro a curare i rapporti con le autorità governative.
Con l’affermarsi dell’editoria musicale, grazie alla nuova legislazione sul diritto d’autore e alla
crescita del mercato delle musiche operistiche a stampa, l’impresario si riduce a poco più di
un esecutore, e diviene una figura di poca importanza.
I diritti sulle partiture eseguite passano dall’impresario del singolo teatro, all’editore fornitore
dei materiali orchestrali.
A partire dal 1860 circa la produzione complessiva del compositore d’opera cala
vistosamente rispetto al passato.
Il periodo di maturazione d’un dramma musicale nuovo è spesso molto lungo e pieno di
travagli. Con l’affermarsi dell’editoria operista del secondo Ottocento, i compositori,
soprattutto Verdi, puntano sì alla popolarità immediata, e a ricavare lauti guadagni a lungo
termine: c’era da guadagnare molto più concedendo in affitto una partitura e le parti
orchestrali di un medesimo lavoro di successo, che componendone uno nuovo ogni anno.
Verdi è forse il primo compositore che impone all’editore di inserire, nei contratti coi teatri,
una clausola che proibisca qualsiasi modifica della versione della partitura da lui consegnata
per la stampa. L’editore poteva tutelare più efficacemente dell’impresario l’interesse artistico
del musicista.
I principali editori fiorirono a Milano,città che si impose come il centro-guida della vita
operistica italiana.
La Casa Ricordi deteneva il monopolio della produzione operistica più vitale, ebbe Verdi e
Puccini nella sua scuderia.
Il concetto di “repertorio” nel campo del teatro musicale andò consolidandosi anche in Italia:
non si allestivano più soltanto opere nuove ma si ripropongono periodicamente anche le
partiture di maggior successo precedenti.
L’ORGANIZZAZIONE FORMALE.
Ciascun numero musicale è costruito secondo uno stesso modello che non ha subito
trasformazioni.
All’interno di ciascun numero musicale si alternano sezioni “cinetiche” (in cui l’azione
procede in modo dinamico) e sezioni “statiche” (in cui l’azione rallenta o ristagna), articolate
di solito in quattro “tempi” diversi.
La sequenza dei “tempi” di cui consta ciascuno di questi “numeri” si consolidò sulla base del
“gran duetto”.
I termini “tempo d’attacco” e “tempo di mezzo” non si trovano nelle partiture dell’epoca ma
sono desunti dallo Studio sulle opere di G.Verdi di Abramo Basevi.
Basevi definisce questa struttura compositiva con la locuzione di “solita forma”, uno schema
di massima, che di volta in volta il compositore può osservare oppure trasgredire.
I diversi “tempi” si differenziano uno dall’altro per ragioni sia d’ordine drammatici, sia d’ordine
musicale.
1. “Tempo d’attacco”. Avviene lo scontro dialettico tra i personaggi, talvolta in stile detto
“parlante”, su un movimento continuo dell’orchestra. Ben evidente è pertanto la
conclusione di questa sezione. Avviene di solito con un colpo di scena che muta la
situazione drammatica.
2. “Adagio/Cantabile”. E’ il momento in cui il culmine sentimentale trova sfogo,
meditazione lirica dei personaggi. Questa è la sezione più memorabile sotto il profilo
melodico.
3. “Tempo di mezzo”. Il tempo riprende a scorrere e ritorna l’azione dinamica.
4. “Cabaletta”. E’ la sezione conclusiva in tempo mosso, in cui si sfoga la situazione.
Ognuno dei momenti della “solita forma” è sottolineato da un cambiamento di metro poetico,
di tempo, di tonalità.
Tramontata definitivamente l’aria col da capo, sono contemplate le arie d’un sol tempo e
d’una sola sezione, precedute da un recitativo.
Un’aria ridotta la solo cantabile si denomina “Romanza”. L’aria che i personaggi principali
cantano nell’entrare in scena la prima volta si chiama “Cavatina”.
Molto comune è l’aria in due sezioni contrastanti, senza legami tematici: la prima lenta
(riflessiva ed espressiva), la seconda veloce, brillante e virtuosistica conosciuta come
“Cabaletta”.
La Cabaletta fa parte di un duetto o di un pezzo compositivo, di cui essa costituisce la
conclusione.