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Profilo storico
Dopo l’editto di Milano del 313, con cui Costantino sancì la libertà di culto, il cristianesimo iniziò
una capillare diffusione nelle diverse parti dell’impero. Vennero costruite le prime basiliche, in cui
iniziarono a risuonare canti in onore di Cristo, della Vergine e dei santi.
I canti
Il canto gregoriano è in lingua latina, ad una voce (monodico), senza accompagnamento
strumentale, a ritmo libero, cantato da solisti e/o coro. E’ la preghiera quotidiana nei monasteri
medievali e veniva cantato sia nelle comunità religiose maschili che in quelle femminili. Nel canto
gregoriano si distinguono due opposte modalità di esecuzione:
Accentus: lettura intonata in recto tono con lievi inflessioni nelle cadenze. Di derivazione ebraica
propria dei salmi.
Concentus, linea melodica più mossa, può essere 1) sillabico (una sillaba corrisponde a una nota),
2) semisillabico (una sillaba a 3-4 note), 3) melismatico (una sillaba a molte note).
I canti poi possono prevedere un’esecuzione responsoriale (alternanza di solista e coro) oppure
antifonale (alternanza di due cori). Durante le liturgie erano presenti anche le preghiere e letture
intonate direttamente dal celebrante o da un solista. I canti del repertorio gregoriano erano eseguiti
durante la liturgia delle ore e durante la messa.
La liturgia delle ore (o ufficio) comprende vari momenti del giorno e della notte in cui nelle
comunità religiose medievali ci si trovava per la preghiera corale. Venivano cantati antifone, salmi,
responsori, inni e cantici. Il libro liturgico che contiene i canti dell’ufficio delle ore si chiama
antifonario. Il salmo è una composizione poetica biblica inclusa nel libro dei Salmi dell’Antico
Testamento. I salmi sono 150 e sono attribuiti a re Davide, anche se è noto che non fu lui l’autore di
tutti. La melodia dei salmi è semplicissima, basata principalmente sulla ripetizione di una stessa
nota tante volte quante sono necessarie per concludere ogni singolo versetto con inflessioni nelle
cadenze (all’inizio, a metà e in conclusione del versetto). Il salmo è preceduto e seguito
dall’antifona, breve canto in genere sillabico o semisillabico ma melodico, il cui testo spesso
riassume i contenuti del salmo. I responsori sono i canti più fioriti della liturgia delle ore e
prevedono l’intervento di un solista. L'inno è una lode a Dio espressa nel canto. Spetta a
sant’Ambrogio (vissuto nel IV secolo) il titolo di padre dell'innodia latina. Egli racchiuse la fede e i
sentimenti cristiani in un genere di facile esecuzione, su testo poetico, costituito da una successione
di strofe musicalmente tutte uguali, in stile prevalentemente sillabico.
I canti della messa si dividono in canti che rimangono invariati per tutte le domeniche dell’anno
liturgico (canti dell’ordinario: il testo è sempre lo stesso, cambiano le melodie) e in canti che
invece variano a seconda della festività (canti del proprio). Il libro liturgico che contiene i canti
dell’ordinario della messa si chiama kyriale, quello che contiene i canti del proprio si chiama
graduale.
L’introito è il canto di ingresso della Messa e, come il communio (canto eseguito durante la
distribuzione dell’eucarestia), si compone di un’antifona intercalata con versetti di un salmo.
L’alleluia è il canto più fiorito e prevede l’intervento di un solista. Un altro canto melismatico è
solitamente il Kyrie mentre il Gloria e il Credo, a causa del lungo testo, sono prevalentemente
sillabici.
La notazione
Per diversi secoli il canto cristiano fu trasmesso oralmente. È facile immaginare le difficoltà che
questo stato di cose doveva procurare alle persone che avevano il compito di eseguire e trasmettere i
canti necessari alla celebrazione quotidiana della messa e dell’ufficio. Secondo un calcolo
approssimativo, i circa 3000 brani che servivano per coprire le celebrazioni dell’intero anno
liturgico corrispondevano a 70/80 ore di materiale memorizzato. Questo stato di cose, unitamente
all’esigenza di tramandare un repertorio incontaminato, portò alla nascita della scrittura musicale
(IX secolo). Era basata su neumi (segni) posti in campo aperto sopra al testo che indicavano solo
l’andamento della melodia ma con ricchezza di sfumature espressive. Questo tipo di notazione, utile
solo come sussidio mnemonico a chi conosceva già i canti, si chiama adiastematica (cioè senza
linee). Varie erano le tipologie di notazione in tutt’Europa in base alle aree geografiche influenzate
dai diversi monasteri.
Notazione neumatica quadrata da un graduale senese della fine del sec. XV.
Guido d’Arezzo
I tropi e le sequenze
I tropi e le sequenze fiorirono soprattutto nelle comunità monastiche dei territori dell'impero franco
sin dai primi decenni del IX secolo con lo scopo di abbellire e variare il repertorio gregoriano. Si
chiamano tropi le aggiunte e le interpolazioni di testi e di melodie ai canti liturgici ufficiali. Se agli
inizi si trattava di aggiungere un testo ad una preesistente melodia che ne era priva (erano applicati
testi ai lunghi melismi), ben presto vennero inserite anche nuove musiche ai nuovi testi, così che
quasi tutte le forme liturgiche furono introdotte, intercalate e commentate dalle nuove composizioni.
I canti che subirono le più frequenti addizioni furono quelli della Messa sia nel Proprio come
nell'Ordinario ad eccezione del Graduale e, per intuibili ragioni di prudenza dottrinale, del Credo.
Tra i canti dell'Ufficio soprattutto i responsori subirono ampliamenti tropati. Se la fissità del testo
liturgico era ormai intangibile, nessuno aveva proibito che vi si apportassero aggiunte o
introduzioni: un esercizio questo nel quale trovavano largo spazio di applicazione le esigenze
creative di monaci e chierici. Si formarono così nuovi libri liturgici i Tropari, nei quali le nuove
creazioni furono per lo più disposte secondo l'ordine liturgico dei graduali e degli antifonari. Un
tropo particolarmente celebre poiché da qui si fa risalire la nascita del dramma liturgico è il Quem
Quaeritis. È attribuito a Tutilone da San Gallo e nella sua forma più antica è contenuto in un
manoscritto databile nei primi decenni del X secolo. È articolato in un dialogo tra gli angeli di
guardia al sepolcro e le Marie che si sono recate al sepolcro di Cristo. Sviluppato in ufficio
drammatico, con il titolo Visitatio sepulchri il Quem quaeritis si ritrova in almeno 400 manoscritti
sparsi per tutta Europa. Le sequenze sono un particolare tipo di tropo applicabile solamente
all’alleluia; nacque con procedimento analogo a quello del tropo, dall'aggiunta di testi liberamente
inventati ai vocalizzi dell'alleuia. Notker Balbulus, monaco dell'abbazia di San Gallo, nel proemio
al suo liber hymnorum (860) che contiene un primo esempio di 40 sequenze, narra come egli avesse
realizzato quei canti adattando liberi testi poetici alle sillabe “le lu” di alleluia, secondo il
procedimento di un altro monaco che aveva operato allo stesso modo sulla sillaba finale “ia” della
medesima acclamazione. La sequenza ebbe ampio sviluppo nei secoli seguenti, divenne
composizione autonoma e indipendente dall’alleluia, assunse un testo poetico, di struttura strofica,
con strofe musicalmente uguali a coppie e carattere molto simile all'inno per l’esecuzione
prevalentemente sillabica. La sequenza era un genere particolarmente idoneo alla esaltazione delle
glorie locali, degli eroi e dei santi che onoravano una chiesa o una terra con imprese e miracoli. Per
questo conobbero un enorme sviluppo nel corso di tutto il medioevo. Fiorirono presso vari centri e
soprattutto a San Gallo, Nonantola, Verona etc. fino a raggiungere il numero di 5.000 di cui 150
furono accolte nel messale. Ma dopo la riforma del concilio di Trento ne rimasero solo cinque
Victimae Paschali laudes (Pasqua), Lauda Sion (corpus Domini), Dies irae (messa dei defunti),
Veni sancte Spiritus (Pentecoste), Stabat Mater (Venerdì Santo). La drastica limitazione liturgica
non può tuttavia travisare il giudizio sulla funzione storico musicale della sequenza: superando
l'ambito della modalità, essa accelerò il cammino verso la moderna tonalità maggiore e minore e,
facendosi eco dei temi più cari al popolo (trattò infatti gli argomenti più vari: storie dei santi,
miracoli, eventi storici etc. ), rese il testo liturgico più comprensibile e sentito.
I modi gregoriani
La teoria degli otto modi gregoriani è un sistema per organizzare i canti del repertorio gregoriano,
per poterli classificare e raggruppare in base alle affinità nell’estensione e nella struttura melodica,
in modo da poterli richiamare più rapidamente alla memoria e intonarli con maggior sicurezza.
Si tratta di un insieme di otto scale di otto suoni ascendenti, ciascuna con inizio da un grado diverso.
Quattro sono i modi autentici e quattro sono i modi plagali che iniziavano una quarta sotto il
rispettivo autentico. Ogni modo ha due note principali: la finalis (su cui termina) e la repercussio
(nota attorno a cui ruota la melodia). La finalis è comune all’autentico e al plagale, la repercussio si
trova una quinta sopra la finalis nei modi autentici e una terza sopra nei plagali con parecchie
eccezioni. Nello specchietto sottostante è indicata in grassetto la finalis mentre è contornata la
repercussio. Per capire quale modo caratterizza un canto si cerca di individuare la finalis e la
repercussio e si guarda l’ambito di estensione.