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BÉLA BARTÒK

Béla Bartòk nasce a Nagyszentmiklòs (un paese dell'odierna Romania) il 25 Marzo 1881. Fu
uno dei maggior esponenti della musica contemporanea e fu uno dei pionieri
dell'etnomusicologia.

Bartòk ebbe una vita molto dura e dolorosa. Iniziò a studiare pianoforte all'età di 5 anni con
la madre, essendo finalmente guarito da una dolorosa infermità che lo colpì quando aveva 3
mesi: un eczema che nei primi anni di vita causò un totale isolamento dai giochi e dai
momenti con i coetanei, e inoltre rendeva impossibile qualsiasi scambio di affetto con la
madre. Questa condizione nella sua infanzia determinò molto il Bartòk adulto, a causa di
quel problema infatti egli si trovò a dover porre delle barriere tra lui e il mondo esterno.
Tutto ciò defluirà ovviamente nella sua espressione artistica e spingerà le sue visioni
allucinate, che faranno di Bartok un vero e proprio artista visionario. Si rintraccia quindi
nell'infanzia i segni dell' "orrore adulto", ma questo orrore si libera interamente in intuizione
artistica, e lascia comunque a Bartòk un saldo equilibrio interiore.

Si esibisce per la prima volta all'età di 11 anni, eseguendo un Allegro dell'op. 53 di


Beethoven ed una sua composizione, Il corso del Danubio, in cui si descrivono per mezzo di
canti locali le terre attraversare dal fiume. Questo dettaglio della biografia di Bartok è molto
importante per capire il suo stile compositivo, in quanto abbiamo un'anticipazione di quello
che sarà il tema ricorrente delle sue opere: i canti popolari e la ricerca geografica,
sottolineando gli aspetti terreni della sua patria, i fiumi, le montagne ecc.

Rimasto orfano di padre nel 1888, si trasferisce con la madre a Bratislava: qui inizia la sua
vera e propria formazione professionale. Studiò dapprima a Bratislava con Laszlo Erkel, e
successivamente, presso l'Accademia Nazionale di Musica a Budapest, dove sarà allievo di
Istvan Thoman (pf.) e Hans Koessler (compos.). A Bratislava aveva conosciuto anche
Dohnanyi, il quale cercò di indirizzarlo verso l'ideale del sonatismo brahmsiano, ma le sue
spontanee inclinazioni andavano verso lo stile di Liszt e Wagner.

Più tardi, in patria, grazie all'amico Zoltan Kodaly conobbe l'impressionismo francese e
insieme andarono alla scoperta dell'autentico canto popolare ungherese. Questi due elementi
- l'impressionismo e il canto popolare ungherese - fra le quali gli parve riconoscere
sintomatiche coincidenze nel senso dell'allargamento tonale, determinarono la svolta
decisiva nell'arte di Batòk: rinunciando ai facili successi incontrati fino ad allora con le sue
composizioni di gusto lisztiano e straussiano, s'inoltrò sulla via difficile che doveva
condurlo, attraverso le esperienze più disparate della musica contemporanea, e alla
costituzione di uno stile personale fondato sulla rimeditazione della caratteristica musicalità
ungherese.

Nominato professore di pianoforte. Nella stessa accademia dove studiò da giovane, si sposò
con Marta Ziegler. Dunque, dopo aver trovato la stabilità, tralascia la sua carriera
concertistica per dedicarsi alla composizione e allo studio scientifico del folklore musicale
dei Paesi danubiani. Ed è proprio in questo periodo che comporrà la celebre composizione
pianistica Allegro Barbaro, le 14 Bagatelle, op. 6 e l'opera in 1 atto Il castello di Barbablù.
In queste opere egli esaurisce l'esperienza dell'Impressionismo francese, ma soprattutto
presta occhio alla lezione del canto popolare. Ogni estate infatti egli si inoltrava in mezzo
alla natura della Transilvania, e ciò costituisce per lui sia una ricerca scientifica, ma anche
una preziosa esperienza fisica e umana, sia per le sue condizioni di salute sia per il contatto
con vecchi contadini e boscaioli (dai quali riuscì ad ascoltare vecchie canzoni locali) che gli
fecero superare la propria timidezza di intellettuale e gli rivelarono il popolo nella sua
schiettezza.

Nel 1918 crolla l'impero asburgico, e tale fatto storico porta Bartòk a chiudersi in se stesso,
in quanto vorrebbe trasferirsi all'estero, ma il lavoro iniziato sui canti popolari lo
trattenevano in patria. In questo periodo, quasi per reazione, la sua arte tocca gli elementi
più avanzati de modernismo internazionale, sfiorando le esperienze atonali
dell'Espressionismo.

É il 1923, e per Bartòk è il momento di un'altra crisi intima: divorzierà con la sua prima
moglie e si risposerà con un'altra allieva: Ditta Pasztory, una brillante pianista. Questo fatto
biografico lo spingerò a riaccostarsi alla carriera concertistica. E grazie alle due Tournèes di
virtuoso può finalmente sottrarsi all'atmosfera politica e artistica che stava opprimendo
l'Ungheria, iniziando a diventare famoso all'estero. Dopo anni di raccoglimento, inizia a
comporre un'opera dopo l'altra: tra la Musica per archi, percussioni e celesta, a La Sonata
per due pianoforti e percussioni.

Questa vita avviata sul binario di una feconda maturità viene però sconvolta dalla nuova
guerra e dall’arrivo del nazismo in Ungheria. Bartok era un uomo gentile, educato, ma
soprattutto fu sempre incapace di sottostare a compromessi: le sue opinioni politiche erano
sempre state nette e cristalline ed ora che la vergogna nazista si abbatteva sulla sua patria
per lui non ci furono incertezze e decise di abbandonare casa, figlio e amici che fuggire in
"esilio" in America insieme alla moglie (anni '40). Diedero concerti e Bartòk tenne spesso
conferenze e lezioni riscontrando però curiosità ma non grande successo. Purtroppo però le
sue condizioni di salute causate dalla leucemia che lo affliggeva, lo obbligarono a ridurre il
numero delle se apparizioni in pubblico, e si concentrò ancora una volta sulle sue
composizioni. Morì a causa della sua malattia il 26 Settembre del 1945.
STILE

Oltre ad essere stato, come si è detto, un eccellente pianista, Bartók ha svolto un'infaticabile
e fondamentale attività di etnomusicologo, concretizzatasi in un'infinità di ricerche sul
campo in Ungheria e in altre zone d'Europa e a partire dal 1907, ha insegnato per quasi
trent'anni pianoforte all'Accademia di Musica di Budapest. L'influenza di questi tre aspetti -
le capacità di strumentista, le ricerche sul canto popolare, l'attività didattica - non manca
ovviamente di farsi sentire nella sua produzione musicale.

Bartók aveva cominciato il suo Novecento sotto l'influsso dell'arte di Debussy e dell’
Impressionismo in generale, cogliendone, in particolare, determinate intuizioni timbriche e
certe individuazioni di atmosfere. Lo studio e la riscoperta del canto popolare ungherese
costituiscono uno dei filoni importanti della parabola stilistica della musica di Bartók, che
utilizzò il materiale folclorico della sua terra come via di uscita dalla crisi dell'armonia
romantica. Insieme a Zoltàn Kodàly, Bartók ha raccolto e fissato migliaia di canti popolari
magiari, con lo scopo di documentarsi direttamente alle genuine fonti delle melodie
contadine: antiche melodie prevalentemente pentatoniche nei vari modi dorici, frigi, lidi,
con coloriti particolari di intonazione bizantina, ritmi asimmetrici, metri spesso quinari e
settenari così da spostare continuamente l'accento dinamico ed espressivo. Lo studio di tutta
questa musica contadina ha reso possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore
e minore fino allora in vigore, infatti la più gran parte del materiale raccolto si basava sugli
antichi modi ecclesiastici o greci, o perfino su scale più primitive. Il loro reimpiego ha
permesso combinazioni armoniche di nuovo tipo ed ha avuto per ultima conseguenza la
possibilità di usare liberamente e indipendentemente tutti e dodici i suoni della scala
cromatica. Naturalmente la melodia popolare costituisce un punto di partenza per Bartók
che rielabora con liberalità timbrica, ritmica e armonica il materiale e gli imprime un taglio
e una tensione psicologica del tutto personale, aperti verso certe esperienze
espressionistiche. Questo criterio compositivo si ritrova in diversi lavori del musicista, a
cominciare dalla Suite per pianoforte op. 14, che risale al 1916, per proseguire poi con
i Quindici canti contadini ungheresi, scritti fra il 1914 e il 1917, con i Canti di Natale
rumeni (1915) e fino alle otto Improvvisazioni op. 20 per pianoforte (1920), dove la
reinvenzione delle melodie popolari giunge al più rigoroso radicalismo moderno.

Verso la fine della grande guerra, una nuova, avvia una nuova bruciante esperienza
«europea», quella dell'Espressionismo, che avrebbe trovato nel 1919 la sua celebrazione
con Il mandarino meraviglioso. Dopo la metà degli anni '20, conquista uno stile più
personale, con la serie dei grandi capolavori orchestrali e gli ultimi Quartetti.

Nell'ambito di questo itinerario, la musica per pianoforte costituì una punta di diamante,
infatti Bartók era nato pianista prima ancora che compositore (rinunciò alla carriera dopo lo
sfortunato concorso «Rubinstein» a Parigi, nel 1905, che lo vide secondo dopo Wilhelm
Backhaus). Fu il caso di quell'Allegro barbaro che nel 1911 parve davvero aprire, nella
storia del pianoforte, un capitolo nuovo e in parte anche della Suite, presto divenuta una
delle più eseguite composizioni di Bartók.
SUITE PER PIANOFORTE IN QUATTRO MOVIMENTI OP.14

Nella Suite op. 14, composta nel 1916, pubblicata dalla Universal nel 1918 ed eseguita per
la prima volta dall'autore a Budapest nel 1919 emergono le capacità di strumentista e le
ricerche sul canto folkloristico magiaro e rumeno. La Suite fa parte di una nuova tendenza
nella tecnica pianistica (infatti si accentua il carattere percussivo del pianoforte) e allontana
dalla sua precedente scrittura post-romantica. Dell'Impressionismo non restano qui che le
tracce di una particolare sensibilità timbrica, certo minoritarie rispetto alla presenza di
elementi tipici del pianismo bartókiano (violenze foniche, martellare di ostinati, soluzioni
«percussive») e il dato popolare.

Inizialmente Bartok impostò l’opera in cinque movimenti, ma in seguito decise di


racchiuderla in quattro e di scartare il secondo movimento, l'Andante, che fu pubblicato
postumo nel 1955. I quattro movimenti sono: Allegretto, Scherzo, Allegro molto e
Sostenuto. Nei quattro tempi ma soprattutto negli ultimi tre si notano meglio le figurazioni
armoniche derivate dallo studio del canto popolare, con la mescolanza e contemporaneità di
modo maggiore e minore, con la frequente alterazione di tonalità e l'uso della dissonanza
come stimolo all'effetto dinamico.

La Suite si apre con un Allegretto sereno e giocoso, non privo di una certa ironia, dal sapore
popolareggiante. In questo caso l'etnomusicologo Bartók non ricorre a citazioni o imprestiti
di melodie e ritmi contadini, ma propone del folklore «immaginario», creando melodie e
ritmi assolutamente originali ma interamente derivati dallo spirito del patrimonio folklorico
rumeno in linea con lo scopo che si prefiggeva: «portare nella musica colta il tipico carattere
della musica contadina. L'impianto armonico, per lo più bitonale rende questo tempo simile
a una danza popolare. Le brusche cesure che interrompono verso la conclusione il moto del
discorso, contribuiscono a determinare la fisionomia di netta modernità di questo primo
brano.

La Suite op. 14 si va agitando nei due movimenti centrali, uno spigoloso Scherzo, e un
corrusco Allegro molto. Nello Scherzo, aperto da una secca e nervosa idea discendente che
utilizza dieci suoni cromatici diversi, compare addirittura la serie dodecafonica: niente a che
vedere con la scuola di Vienna, naturalmente; ma ciò indica chiaramente in quale direzione
si stesse movendo l'arte di Bartók. I pochi spezzoni melodici che affiorano nel corso del
brano non interrompono il rapidissimo, martellante scatto del ritmo.

Nel terzo movimento, l’autore utilizza temi arabi raccolti da Bartók nell'oasi di Biskra.
Inoltre si scatena una vorticosa e inarrestabile ossessione ritmica, che sembra voler toccare
un vero e proprio parossismo fonico, simile quella già avvertita nell'Allegro barbaro per
pianoforte del 1911. Questo terzo movimento è caratterizzato da una vivace concitazione
agogica e da una ricco susseguirsi di suoni che richiamano alla mente il primo Stravinsky.

Il Sostenuto finale ha movimento lento ed è di appena 35 battute dalla straordinaria


concentrazione espressiva. L'atmosfera diventa intensa, triste e assorta per un ripiegamento
interiore dell' anima, staticamente rappreso in una serie di accordi gravi e stridenti che si
smaterializzano in prospettive timbriche sempre più rarefatte, metafisiche, finché la chiusa
sfuma in pianissimo.

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